val vibrata life edizione febbraio 2014

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FEBBRAIO 2014 MENSILE A DISTRIBUZIONE GRATUITA www.valvibratalife.com Photo Credits: Marco Calvarese ValVIBRATA life ARTE CULTURA ECCELLENZE AMBIENTE SOCIETA’ IL SARTO DI SAN PIETRO

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VAL VIBRATA Life è un giornale Free Press dedicato al territorio della Val Vibrata e dintorni.

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IL SARTODI SAN PIETRO

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Distende e rallegra pensare che il territorio, Val Vibrata e dintorni, sia un giacimento di vere e proprie eccellenze. Un mondo nascosto di cui alle volte non si ha percezione o forse, non si ha conoscenza. E la cronaca ordinaria si dimentica del buono che c’è. Del bello, poi, non ne parliamo. La politica – aggiungo- gioca sulle distrazioni di larga parte dell’opinione pubblica sempre meno libera di pensare in liber-tà, risucchiata nella spirale delle preoccupazioni del tempo presente. Salvo poi, rispolverare temi cari a molti vibratiani. L’economia langue, le istituzioni sono assenti e quando agiscono hanno l’agilità di un pachiderma. Nel frattempo il territorio soffre quando non muore. Le elezioni si avvicinano e il moto caotico del partitismo genera magne-tismo sull’elettorato potenziale. Che di sentire le sirene non ha più voglia, se si eccettua chi fa parte dell’entourage, chi lustra i “cavalli da corsa” nelle scuderie, dei pagatori di cambiali, degli speranzosi di en-trare nel poltronificio dell’azienda politica produttrice del nulla. Altro giro, altra giostra per chi vorrà salirci. E noi altri, come in una partita a briscola a quattro, a guardare.

DIRETTORE RESPONSABILEAlex De Palo

SEGRETERIA DI REDAZIONEVirginia Ciminà

HANNO COLLABORATOAlfonso Aloisi, Federica Bernardini, Marco Calvarese, Valeria Conocchioli, Anna Di Donato,

Martina Di Donato, Noemi Di Emidio, Alessandra Di Giuseppe, Francesco Galiffa, Giordana Galli,Virginia Maloni, Bruno Massucci, Stefania Mezzina, Michele Narcisi, Nando Perilli, Andrea Spada, Paride Travaglini

EDITOREDiamond Media Group s.r.l.

Via Carlo Levi, 1- Garrufo di Sant’Omero (TE)Tel. 0861 887405 - [email protected]

VAL VIBRATA LIFEReg. Trib. di Teramo n° 670\2013

GRAPHIC DESIGNMilena De Palo

GRAFICADiamond Media Group s.r.l.

STAMPAArti Grafiche Picene s.r.l.

PUBBLICITA’[email protected]

RESPONSABILE TRATTAMENTO DATI Dlgs 196/03Alex De Palo

Riservato ogni diritto e uso. Vietata la riproduzione anche parziale

Poltronificio italia

ALEX DE PALO

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BELLEZZA

DIALOGO

CINEMA

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CHIUSO IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LE SENTINELLE DEL MARE

E’ CARLO BRESCIANIIL NUOVO VESCOVOPICENO APRUTINO

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COME NATURA CREACRA-ORA CONSERVA 14

DA SANTITà A SANITà, LA STORIA DELLA BADIA DI CORROPOLI 40

LA LEGGE DI STABILITA’

UN TE’...ALL’UNCINETTO

SOPRAVVISSUTI A FAME E STENTI

LA SATIRA DI PERILLI

INTORNO AD UN CHICCO DI GRANO

VAL VIBRATA LIFE BABy

EUROSVILUPPO ABRUZZO IN RETE

ECOBUILD APPUNTAMENTO A LONDRA

IL PANINO DI SERIE A

MODA

EVENTI

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IL SIGNORE IN ROSSO42IL CALCIO GIOVANILE A TORTORETO438

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L’ESERCITO DEL PAPA VESTE GIULIESE’

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MARIAGRAZIA MITSU PETRINOED I NIPPON COMICS

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ECCELLENZE

Quel laboratorio capitolino di via di Porta Angelica potrebbe quasi sembrare una normale sartoria se, chiudendo gli oc-chi, non si facesse caso alle Guardie Svizzere che controllano quando varchi l’ingresso di Città del Vaticano.Ma è comunque impossibile non rendersi conto di dove ci si trova: ovunque è un trionfo di giallo e blu che caratterizzano le divise indossate dalle guardie del Papa. Non è infatti una normale sartoria quella che ci apprestiamo a visitare. Siamo entrati nell’”atelier” dove opera colui che realizza le divise delle Guardie Svizzere Pontifice: Ety Cicioni.Nato a Giulianova poco più di 40 anni fa, Ety Cicioni non ha avuto un’infanzia spensierata. Ancora giovanissimo si è ri-trovato, assieme alle sorelle, orfano di padre con la madre in dolce attesa della sorella più piccola.Diplomatosi in Ragioneria mentre si impegnava in lavori sta-

TAGLIA E CUCE NEL “NOME DEL PADRE”

FOtOSERViziO: MARCO CALVARESE

gionali, ha iniziato immediatamente dopo a lavorare in una importante azienda tessile teramana, all’interno della quale si è distinto nel tempo seguendo molti corsi di formazione che lo hanno fatto crescere professionalmente.il 3 novembre 1997 ha iniziato a lavorare a Città del Vaticano come sarto delle Guardie Svizzere Pontificie.E’ sposato con la conterranea giuliese Lucia dalla quale ha avuto due figli, Matteo ed Emanuele, con i quali ora vive sta-bilmente a Roma.

Come si fa a diventare sarto?Ho iniziato tanto tempo fa a Giulianova, appena terminati gli studi e per esigenze familiari, sono andato a lavorare in una dit-ta di sartoria giuliese che, dopo qualche anno trascorso a svol-gere i lavori più umili, mi ha dato l’opportunità di crescere dal

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ECCELLENZE

punto di vista lavorativo facendo dei corsi, con tanti sacrifici.Ho iniziato senza sapere nulla. Infatti aprivo le cuciture delle confezioni.La passione per la sartoria è arrivata dopo aver soddisfatto le esigenze lavorative per i grossi problemi familiari e non è pas-sata inosservata a chi mi era vicino che, vedendomi molto im-pegnato ed attento nel mestiere e forse anche quel qualcosa in più, mi ha chiesto se mi interessava fare dei corsi.Ho seguito questi corsi con tanti sacrifici, sia economici che di vita, infatti lavoravo di giorno e la sera, fuori orario lavorativo, tornavo in sartoria per provare a fare le cose che imparavo nelle lezioni che seguivo durante i fine settimana che trascorrevo fuo-ri. È durata quasi 3 anni questa storia.

Quindi qual è l’ingrediente segreto per diventare bravo?Tanta passione e tanta pratica per diventare un buon sarto, bi-sogna fare corsi di formazione continua perché nulla è sconta-to, bisogna anche avere un briciolo di fortuna se trovi chi ti sta vicino e ti sa insegnare ma, soprattutto, ci vuole tanta tenacia, perché all’inizio non si guadagna molto e non hai quegli stimoli che possono darti tanti altri mestieri e professioni.

Come ha fatto un sarto giuliese ad arrivare fino al Vaticano? Per un fatto molto particolare. C’era un ragazzo di Giulianova che lavorava in Vaticano da alcuni anni e chiese alla mamma, titolare di una lavanderia a Giulianova Paese, se conoscesse una coppia di sarti bravi che potesse sostituire il sarto molto an-ziano che era al servizio della Guardia Svizzera Vaticana, rima-sto solo dopo la prematura morte del collaboratore.È nata proprio così, da una chiacchierata tra la titolare della lavanderia giuliese e mia madre che per lei eseguiva qualche lavoro.Così, forte del mio carattere che mi porta a non dire di “no” a niente, ho chiesto un colloquio.

Un giorno importante per te quello del colloquio, prova a raccontarcelo se lo ricordi.Lo ricorderò sempre benissimo, innanzitutto perché in Vaticano non ero mai venuto prima e non sapevo ne-anche cosa fosse. Un giorno molto particolare del quale ricordo tutta la trafila per farmi rilasciare i permessi per entrare e, subito dopo, il passaggio in quelle grandissi-me sale, tutte belle e curate.Ci siamo incontrati con il sacerdote responsabile, oggi diventato vescovo, abbiamo avuto il colloquio nel mar-zo 1997 e, già in quella occasione, chiesi anche di ve-nire a vedere la sartoria restando un po’ impressionato perché avevano ancora le macchine a pedali, avevano il ferro da stiro pesante e con il filo appeso.Sono rimasto pietrificato perché già vivevo una realtà completamente diversa, lavorando in un’azienda dove mezzi e tecnologia erano più avanzati ed al passo con i

tempi, mentre qui era tutto “congelato”.Quando loro mi chiesero se fossi propenso a venire, io risposi “guardi, mi dispiace ma io con quella attrezzatura non posso realizzare quello che voi mi chiedete, non potrei”. Sono stato molto onesto e non ho fatto carte false per entrare.Passarono due mesi ed a maggio mi ritelefonarono chieden-domi se ne potevamo riparlare, se potevo fare una lista ed un preventivo del mezzi di cui avevo bisogno.Tempo 10 giorni ho preparato il preventivo. Poi mi chiamarono dicendomi “vieni pure che facciamo il contratto”.Ho dovuto aspettare 6 mesi per chiudere i rapporti con l’azien-da in cui lavoravo, dove nel frattempo avevo raggiunto livelli di responsabile, e verso la metà di ottobre mi sono trasferito a Roma accompagnato da mia madre che per qualche mese mi ha affiancato come sarta, offrendomi una collaborazione forte iniziale in questa avventura.Il 3 novembre 1997 abbiamo iniziato ufficialmente a lavorare qui dentro ed è stata davvero dura.

Perché dura, cosa avete dovuta fare tu e tua madre Marisa di così complicato per realizzare una divisa basata su un model-lo che, proprio il 22 gennaio 2014, ha compiuto esattamente 100 anni?Basti tenere presente che una divisa ha 154 pezzi , 56 bottoni e diverse applicazioni, un lavoro non da poco che oggi, dopo tan-ti studi, ricerche e perfezionamenti che ci hanno fatto raggiun-gere un livello qualitativo veramente alto, ci porta via 39 ore, dal taglio alla confezione, con la finitura e le prove comprese.Siamo dovuti ripartire da zero, archiviando il metodo comple-tamente vecchio utilizzato fino a quel momento ed iniziarne uno nuovo; quindi abbiamo smontato la divisa dell’epoca e con le tecnologie nuove abbiamo cercato di dare delle geometrie dei riferimenti un po’ più semplici.Ci abbiamo impiegato un po’ di tempo, il primo anno e mezzo è stato quasi “sotto costo” lavorare. Entravamo alle 7 e la sera prima delle 10 non se ne parlava di uscire, ci fermavamo giusto il tempo per dormire, visto che mangiavamo anche dentro per non perdere tempo.Fu veramente dura all’inizio. Ancora più complicata da realiz-zare è la divisa degli Ufficiali delle Guardie Svizzere Vaticane, quella bordò.

Spesso nel racconto del tuo cammino per arrivare a questo punto, ritornano tua madre e la tua famiglia. Quanto sono importanti loro e quanto le esperienze che con loro hai con-diviso?Quando è morto papà, mamma aspettava una bimba di 3 mesi ed eravamo altri 3 figli minorenni, quindi io insieme alle mie sorelle abbiamo cercato di andare avanti con la famiglia lavorando, restando uniti e formando un’unica forza che aveva

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ECCELLENZE

come obiettivo unico proprio la sussistenza della famiglia e non l’acquisto del vestito bello o la serata in discoteca, perché io non ci andavo a ballare, anche perché d’estate andavo a fare il pa-nettiere per poter arrotondare lavorando di notte.Molti mi dicono “così hai perso una parte dell’adolescenza”, ma io non rimpiango nulla, poi ci sono andato anche in discoteca quando sono cresciuto e mi sono anche fidanzato con Lucia, mia moglie, perché non lavoravo solamente ma andavo anche a farmi una passeggiata per il corso di Giulianova.Proprio durante una di queste passeggiate, mi sono innamora-to di Lucia. Lei aveva 17 anni ed io 21, è stato un cammino in-sieme, anche duro soprattutto quando sono venuto a lavorare a Roma e potevo tornare a trovarla solamente il fine settimana, ma non ne mancavo mai neanche uno per poterla vedere.

Da quando Ety Cicioni ha iniziato a lavorare in Vaticano, sono tre i Papi che si sono avvicendati: Giovanni Paolo ii, Bene-detto XVi ed ora Francesco. il sarto giuliese, orgoglioso, ha attaccato ad una parte della sartoria vaticana immagini dove spicca l’abito bianco papale degli ultimi tre successori di San Pietro sempre vicino al suo volto sorridente e quello dei suoi cari e che testimoniano momenti importanti come il battesi-mo di suo figlio più piccolo.Una personalità intraprendente quella di Ety Cicioni che con-tinua ad investire sull’attività di sartoria e, dal 2004, lavora anche nella parte ecclesiale che, dopo 10 anni di perfeziona-mento, lo ha portato a raggiungere livelli importanti; infatti nel prossimo Concistoro anche il Segretario di Stato Vatica-no, Pietro Parolin, avrà gli abiti realizzati da lui stesso. Sempre in movimento per cercare di far conoscere il suo la-voro in tutto il mondo ecclesiale, investendo risorse persona-li di promozione della sua attività, come il tour che in 7 giorni lo ha portato a toccare New York, Boston, toronto e Montreal, ma anche l’ultima esperienza in Brasile, dove vede spiragli d’investimento che consiglia a qualche collega sarto.Se qualcuno volesse fare una camicia completamente artigia-nale o puntare su qualcosa di unico, credo proprio che qualche piccola soddisfazione se la potrebbe togliere. Il problema è che

nessuno ci vuole puntare perché richiede sacrifici iniziali, ri-schiando.Io nel mio piccolo ci provo sempre e continuo a cercare nuovi investimenti, come l’ultimo che sta partendo proprio in questo periodo “I Sarti del Borgo”.Sono tornato in zona e mi ha rattristato vedere la desolazione delle nostre zone industriali, da questo l’idea di cercare di creare un gruppo per investire sul territorio assieme ad un grande sar-to delle Marche, creando un’azienda piccola ma di livello che si rivolga al pubblico dell’alta moda, in grande crescita in questo periodo.Spero che questo possa servire come esempio al mondo giuliese e della nostra zona in generale, per aprirsi al mondo, uscire per apprendere quelle cose che poi ti serviranno per investire sul tuo territorio.

Vivi all’ombra del “cupolone”, a pochi passi da quello che è un punto di riferimento per i Cattolici di tutto il mondo, è impossibile quindi non affrontare il discorso religione e fede.La fede è fondamentale nella vita, non solo per il mio lavoro ma in generale, cresce in me di pari passo con l’età. Un pensiero che, senza obblighi, cerco di far capire anche ai miei figli.

i figli vogliono seguire le orme del padre?È chiaro che a me farebbe molto piacere e gli amici mi raccon-tano come parlino di me agli altri entusiasti del mio lavoro, con-fessandomi spesso che vogliono seguire le mie orme però, ogni cosa a suo tempo. Ripeto che mi farebbe piacere ma ognuno deve fare la propria strada. Io ho fatto il panettiere e il pastic-cere, per guadagnare i soldi sono andato in una tranceria, mi sono diplomato ragioniere e poi sono andato a fare un mestiere non per scelta ma, più che altro, per bisogno. Quindi dico che ognuno all’inizio deve fare quello che può e che gli riesce.Noi cerchiamo di dare ai figli tutto quello che possiamo e, se poi vorranno, potranno seguire corsi specifici per restare al passo con i tempi perché, quando arriverà il momento di darmi il cam-bio, io sarò ormai vecchio e passato.

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La Diocesi di San Benedetto del tronto-Ripatransone-Montalto Marche ha un nuovo vescovo. Si tratta di monsignor Carlo Bresciani, subentrato a Gervasio Ge-stori oggi in pensione. Bresciani è stato nominato uf-ficialmente il 4 novembre 2013, e consacrato vescovo l’11 gennaio, nella Cattedrale di Brescia, per l’imposizio-ne delle mani di monsignor Luciano Monari, vescovo di Brescia. Secondo l’antica tradizione della Chiesa hanno concelebrato Monsignor Gervasio Gestori, divenuto Vescovo Emerito di San Benedetto del tronto - Ripa-transone – Montalto e Mmnsignor Angelo Vincenzo zani, segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, alla presenza di una vasta rappresentanza dell’episcopato marchigiano e lombardo, e con nume-rosi fedeli della diocesi di San Benedetto del tronto. La celebrazione è stata presieduta dal vescovo Federico

Pellegrini, cerimoniere vescovile e il servizio liturgico prestato dal Seminario Diocesano di Brescia e dal coro dello stesso Seminario. Seminario, che così come il Ve-scovo di Brescia, ha partecipato all’insediamento del nuovo vescovo, avvenuto il 19 gennaio, suscitando il forte ringraziamento da parte di Monsignor Bresciani, per aver voluto essergli vicino in questa nuova fase del-la vita. La lunga giornata dell’insediamento del vescovo Bresciani aveva preso il via nel primo pomeriggio del 19 gennaio, ma in precedenza c’era stata la visita al San-tuario di Loreto, con il primo incontro da parte di mon-signor Bresciani e i nuovi diocesani, che si è sviluppato a Cupra Marittima, in provincia di Ascoli Piceno, primo comune della diocesi, con i fedeli, ma anche con la sof-ferenza, con i malati e disabili, che il Vescovo ha forte-mente voluto, e con i rappresentanti dell’Unitalsi, il Pre-sidente Sabatino Di Serafino. Quindi c’è stata la visita al porto di San Benedetto del tronto, quasi un omaggio al lavoro del mare, e l’incontro con i marinai, gli immigrati e i disoccupati; verso questi ultimi, monsignor Brescia-ni ha espresso parole di solidarietà. Al Mercato ittico, alla Sala dell’asta del pesce, è stato accompagnato dal Sindaco di San Benedetto del tronto, che ha donato al nuovo vescovo la miniatura dell’opera “Gabbiano Jona-than” dell’artista Mario Lupo, simbolo della città di San Benedetto, dal Capitano Lo Presti della Capitaneria di Porto, da autorità civili e militari, e accolto da un coro di donne e uomini marinai, accompagnati dalla fisar-monica che hanno cantato brani tipici sambenedettesi. L’incontro più emozionante per il nuovo Vescovo, ed è stato proprio Monsignor Bresciani a rivelarlo successi-vamente, è stato quello con i giovani, avvenuto in piaz-za Matteotti. Una folla di ragazzi, provenienti da ogni angolo della diocesi si è unita, accogliendolo anche tra-mite lettere e disegni per dare un benvenuto speciale al Vescovo Bresciani, e invitandolo a visitare le rispettive parrocchie. Sotto il cielo coperto di nuvole che minac-ciavano pioggia, con cori da stadio, tutti, in un corteo festoso e colorato, anche dagli striscioni realizzati per l’occasione, hanno accompagnato Sua Eccellenza verso la chiesa; dopo aver applaudito le sue parole: “per voi giovani la porta di casa mia sarà sempre aperta…- ha detto – però non venite tutti insieme!” Una frase genu-

HABEMUSEPISCOPUME’ CARLOMonsignor Bresciani reggerà le sorti della diocesi Piceno-aPrutina

StEFANiA MEzziNA

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ina, ma allo stesso tempo concreta, che è andata dritta al cuore dei giovani. Alla successiva cerimonia ufficiale del passaggio del ba-stone pastorale, l’insediamento sulla cattedra episco-pale e la celebrazione eucaristica, avvenuta nella Catte-drale Santa Maria della Marina, dove spiccava il nuovo stemma episcopale, “Pro corpore eius”, hanno voluto partecipare in tantissimi, al punto che la cattedrale non è stata sufficiente, ma in previsione di ciò, presso il confinante teatro Don Bosco, era stato allestito un maxi schermo, per rendere partecipi anche quanti non sono riusciti ad entrare nella cattedrale. Emozionante la vi-sione dei tre Vescovi, che rappresentano il passato e il futuro: a benedire l’insediamento c’era, infatti, il primo Vescovo della diocesi, Monsignor Giuseppe Chiaretti, il successivo, e attuale Vescovo Emerito, Gervaso Gestori che per 18 anni ha guidato la Diocesi, e quello attuale, Monsignor Carlo Bresciani. tra loro, un caloroso abbrac-cio, e pensieri di stima, con l’augurio di ogni bene per il nuovo Vescovo, anche da parte del Vescovo di Brescia. A salutare l’insediamento c’erano 102 sacerdoti della Diocesi. Diocesi che comprende anche Martinsicuro, Colonnella, Sant’Egidio alla Vibrata e Civitella del tron-to, e ad accogliere la nuova guida della Diocesi c’erano anche nonché i rispettivi primi cittadini, Paolo Cama-ioni, Leandro Pollastrelli, Rando Angelini e Cristina Di Pietro. Abbiamo chiesto a Sua Eccellenza Monsignor Bresciani se ha già in mente un programma di avvio alla guida della Diocesi, scoprendo così che il nuovo Vescovo ha visitato in passato Civitella del tronto, in occasione di una sua presenza temporanea in Abruzzo. Mi sono fermato appositamente a visitare Civitella e l’ho trovata molto bella. Per il resto non avevo una conoscen-za specifica del territorio e certamente mi riprometto di vi-sitare presto le diverse parrocchie, delle quali ho già cono-sciuto le rispettive guide, e i territori. Attualmente non ho nessun programma, perché sono convinto che una visio-ne migliore del territorio e allo stesso tempo dei problemi, se si presenteranno, possa avvenire meglio solo tramite una conoscenza concreta.

Carlo Bresciani nasce a Nave il 26.3.1949, viene ordina-to presbitero a Brescia nel 1975 della parrocchia di Cor-tine e dal 1975 al 1980 ha studiato a Roma. tra 1980 e il 1981 è stato vicario cooperatore festivo della parrocchia di S. Giacomo in città. tra 1981 e il 1982 è stato nuovamente studente a Roma,

al suo ritorno tra 1982 e il 1985 è stato nominato vicario cooperatore festivo della parrocchia di Maderno. tra 1985 e il 1986 è stato vicario parrocchiale festivo di S. Vigilio V.t.; tra il 1982 e il 2001 è stato assistente ec-clesiastico A.M.C.i.. Nel 1986 fino al 2009 è stato vicario parrocchiale festivo della parrocchia di Lodrino, e sempre negli stessi anni insegnante presso l’Università Cattolica. Dal 1997 al 2009 è stato direttore dell’istituto Superio-re di Scienze Religiose presso l’Università Cattolica di Brescia. Dal 1982 è stato insegnante presso il Seminario Dioce-sano di Brescia e l’Università Cattolica. Dal 2004 Consultore Congregazione per l’Educazione Cattolica; Direttore istituto Superiore Formatori presso

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l’istituto Psicologia Pontificia Università Gregoriana dal 2004. infine dal 2009 è stato Rettore del Seminario dio-cesano. Lo stemma episcopale di Monsignor Carlo Bresciani è uno scudo bipartito con raffigurata una nave antica che ricorda il suo paese natale, cioè Nave in provincia di Brescia, ma è anche il simbolo della Chiesa - San Be-nedetto del tronto, importante porto di mare: quindi richiamo alla diocesi. Sopra la nave c’è una stella, Stella Maris, cioè Maria madre della Chiesa. Azzurro: A causa della sua relazione con il cielo, l’azzurro simboleggia tutte le virtù più elevate, tra le quali devozione, fedeltà, castità, giustizia, santità. La Croce centrale a doppio braccio orizzontale richia-ma le SS. Croci di Brescia, reliquie antiche custodite

nel Duomo vecchio della città e rimanda al mistero pa-squale di morte e resurrezione, mistero da cui la Chiesa trae la sua origine e la sua vita. Rosso: rimanda al san-gue di Cristo. Dal costato di Cristo uscì sangue e acqua. Un nuovo richiamo alla Chiesa. Nel lato destro dello scudo c’è una leonessa che ricorda la città di Brescia (stesso simbolo presente nello stem-ma cittadino) immagine collegata anche al cognome del vescovo, e cioè Bresciani.Motto Pro corpore eius. tratto da Col 1,24: “A favore del suo corpo che è la Chiesa, di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio”. L’ordine episco-pale è per il servizio alla Chiesa.

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LA PASSIONEPER IL MASTINO NAPOLETANO

A distanza di quasi un anno rincontriamo il nostro ami-co Alfredo Ciabattoni. E parlando del più e del meno scopriamo il suo amore per il mastino napoletano. Una passione da sempre presente nel nostro Alfredo tanto da portarlo persino negli Stati Uniti alla ricerca di que-sti esemplari e alla vittoria del campionato europeo di European Championship American Bulldog “Best in show”.Una passione resa ancor più solida dalla collaborazione con gli Alleri-allevatori Riuniti, un gruppo di amici che con Alfredo condividono un’inguaribile passione per il mastino, un felino nel movimento che predilige il trotto, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “leone dei cani”.Il mastino napoletano, è l’eccellenza italiana con linee di sangue migliori del mondo. Non è un caso se è conside-rata la razza più invidiata da tutti. Caratterizzato da un aspetto troppo diverso , il mastino cammina e trotta in modo diverso, guarda il mondo in modo diverso, odora, dorme , russa in modo diverso. Protegge e asseconda in modo diverso. La sua diversità lo eleva all’unicità.Data la sua forte storicità, il mastino napoletano rap-presenta un vero e proprio “monumento vivente” della moderna cinofilia. Infatti durante il regno borbonico, co-

nosciuto come “Cane ‘e presa”, fu utilizzato come cane da guardia e successivamente, durante l’epoca del brigan-taggio, fu usato come “soldato” contro l’esercito sabaudo.La razza ha le sue origini in Campania, precisamente nel cuore di Capua dove c’era il più importante centro d’ar-mi e d’allevamento dell’impero. Proprio lì si allevavano e si addestravano cani da guerra. I mastini erano allevati

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PUBBLiREDAziONALE

Per dettagli contattare:AllevAtori Alleri riuniti

Virgilio Dal Buono - cell: 336 330033Alfredo Ciabattoni - cell 329 2614743

e selezionati per una specifica funzione: la guerra. Nei campi di battaglia, dove probabilmente erano utilizzati soggetti più resistenti e in grado di affrontare lunghe marcie, nelle arene, dove invece si esibivano combat-tendo con fiere, tori e gladiatori, i soggetti più grandi e poderosi. Da Capua, il mastino napoletano si è diffuso assolvendo anche altre funzioni come guardiano impa-reggiabile della proprietà dei patrizi, orgogliosi di esibi-re in casa i soggetti magari ammirati nelle arene e anche più generalmente diventando prezioso collaboratore e guardiano nell’epoca fiorente agricoltura e pastorizia della Campania Felix.Nel corso degli ultimi 50 anni però il mastino napole-tano un tempo eccellenza dal punto di vista fisico e ca-ratteriale è stato rovinato dall’uomo. Ipertipicizzando l’aspetto in tutti i sensi. È stato reso pigro, non idoneo al movimento, goffo, non capace di vedere bene (infatti le pliche della pelle gli coprivano la visuale). Oggi il 90% della razza è così e le persone lo conoscono solo così. È stato volutamente accoppiato male.Il progetto di Alfredo e degli Alleri è quello di riportare

alla luce l’origine del vero ma-stino italico che è invidiato da

tutto il mondo. Ricreare una buona morfo

funziona-

lità e soprattutto riselezionare queste razze dal punto di vista caratteriale accoppiando soggetti che abbiano caratteristiche simili. Alfredo e gli Alleri sono sempre alla ricerca sul territorio di soggetti che abbiano que-sti determinati requisiti. Li selezionano e li addestrano attraverso l’esperto preparatore e conoscitore cinofilo Maurizio Cerarchi.Il cane ideale deve avere tre caratteristiche principali: funzione, rusticità e tipo. Molto importante è la funzio-ne: la tonicità, l’ efficienza dei sensi, degli organi e degli apparati motori, tempra e comportamento, idonei per compiti storicamente specifici quali la guardia, la difesa personale, la sorveglianza, l’attacco e la lotta; la rustici-tà: la naturale e facile gestibilità economica dell’animale, intesa come resistenza ad essere soggetto a patologie , longevità, il minor livello possibile di cure e attenzioni riguardo alimentazione, veterinaria, la facile inseribilità in contesto rurale e naturale; tipo: gli aspetti morfologici peculiari che più caratterizzano una razza e la distinguo-no dalle altre.Un mastino rustico, possente, fortemente espressivo di grandi volumi ma pienamente funzionale, sano, di forte tempra, più aperto nello sguardo e nel carattere e senza più alcuna traccia di linfatismo.Per tutti coloro che hanno e vogliono condividere que-sta passione, possono mettersi in contatto con Alfredo Ciabattoni.

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TERRITORIO

Una scritta, un cartello come tanti altri: CRA-ORA Mon-sampolo.Un paesaggio “discreto”, schivo, appartato, forse perché prezioso.Un grosso cancello verde sulla Salaria, un lungo viale di ulivi che porta ad un complesso di edifici circondati da campi.tanti passano senza nemmeno accorgersene; ai più atten-ti non sfugge però la targa d’ingresso: CRA-ORA Monsam-polo del tronto.È l’unità di ricerca per l’orticultura, uno dei centri più im-portanti d’italia e non solo, che trae le sue origini dalla Re-gia stazione di gelsi-bachicoltura di Ascoli Piceno, centro di fama internazionale istituito nel 1912, e dove vengono svolte ricerche finalizzate al miglioramento genetico di specie orticole.Preposto alla direzione del centro è Valentino Ferrari, che sviluppa la ricerca sulla biodiversità e sul migliora-mento genetico di solanacee, crocifere e leguminose e cinque ricercatori sono impegnati in progetti di miglio-ramento genetico, recupero e valorizzazione di biodi-versità orticole autogame ed allogame al fine di otte-nere varietà dotate di resistenze genetiche a fitopatie e di elevate caratteristiche qualitative da iscrivere nel Registro Nazionale Varietà e da reintrodurre nei territori d’origine. Nadia Ficcadenti, 1°ricercatore, responsabile scientifico del laboratorio di biotecnologie, studia la resistenza ge-netica ai patogeni in particolare nel melone

LA “NURSERY”DI MADRE NATURAil PoModoro “Pera d’aBruzzo” rinasce al cra-ora di MonsaMPolo dove i ricercatoristudiano genetica e Biodiversità

PARiDE tRAVAGLiNi

Nazzareno Acciarri 1°ricercatore ed esper-to breeder di cavolfiore e pomodoro Gabriele Campanelli si occupa di agricol-tura a basso impatto ambientale con parti-colare riferimento al biologico.Emidio Sabatini, specializzato nel miglio-ramento genetico della lattuga e del po-modoro e miniaturizzazione delle attrez-zature per la trasformazioneSara Sestili esperta di biologia molecolare, genomica e trascrittomicaNumerosi prodotti che troviamo sulle no-stre tavole sono il risultato del migliora-mento genetico sviluppato nel centro di Monsampolo.Meloni, melanzane, cavolfiori, carciofi, fa-gioli, pomodori…: l’elenco delle specie “migliorate” è veramente lungo. Basti pen-

sare che sono ben 505 le pubblicazioni di lavori scientifici su riviste nazionali ed internazionali.L’ultimo risultato in ambito del pomodoro, è l’ottenimento della varietà SAAB-CRA (Sapore antico Abruzzo), il “Pera d’Abruzzo”, che ha avuto un grosso riscontro sul mercato e che deriva da popolazione locale antica abruzzese con-traddistinta da frutto piriforme.Una ricerca durata ben 9 anni, iniziata nel 2004, attraverso interventi di miglioramento genetico per aspetti di ordine produttivo, fitosanitario, su ecotipi locali con l’intento di mantenere le stesse caratteristiche gustative del precursore.

Valentino Ferrari

Biologia MolecolareAllevamento in coltura in vitro di meloneFoto: Ficcadenti CRA ORA®

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Mantenendo le originali qualità organolettiche e gusta-tive, sono stati eliminati i difetti insiti nella popolazione locale come le evidenti spaccature e suberificazione dei frutti, la scarsa allegazione dei palchi fiorali, l’ eterogeneità della forma e soprattutto l’elevata suscettibilità alle malat-tie che lo avevano relegato a prodotto da orto familiare per la scarsa produttività.Nel 2008, è stato possibile restituire alla Regione Abruzzo, tre varietà migliorate denominate, “Giulianova”, “Cento-buchi” e “Belisari” con le quali è stato dato avvio ad una filiera corta che ha coinvolto cinque amministrazioni co-munali, l’ARSSA Abruzzo ed il mercato ortofrutticolo di Cepagatti. Nel 2009 a seguito del successo ottenuto, sono state disposte a dimora 250.000 piantine e per favorire la tracciabilità del prodotto sono stati identificati marcatori molecolari esclusivi che contraddistinguono il “Pera d’A-bruzzo” da costituzioni similari. Nel 2010, tutta la filiera è stata potenziata con l’allevamento di 500.000 piantine il cui prodotto è stato commercializzato con confezioni identificative dei territori d’origine ed oggi, questa varietà è molto competitiva anche nei confronti degli ibridi, cosa impensabile con l’”originale”.il progetto partecipato ha reso protagonisti attivi tutti i soggetti che hanno ritenuto il CRA capace di supportare aziende orientate alla varietà biologica di tipicità vegetali. tale modello di consulenza ha affiancato passo dopo pas-so una progettualità spesa fuori dalle “provette”. Si può af-fermare che tale ricerca è viva e rinnova l’entusiasmo per

il bene primario che è la nostra terra.Grazie al successo della varietà ottenuta dal CRA-ORA, la Regione Abruzzo ha affidato al Dott. Ferrari anche il pro-getto di recupero del pomodoro “Mezzo tempo” di Vasto utilizzato per la preparazione del famoso brodetto alla va-stese. Un pomodoro dolcissimo dove è molto elevato il rapporto tra zuccheri ed aciditàtre anni di ricerca, hanno consentito di raggiungere tra-guardi notevoli, tali da motivare una progettualità capace di far ottenere in breve tempo un nuovo prodotto, cioè una varietà “emendata” nei difetti che lo rendevano poco commerciabile .Non solo pomodori ma anche meloni, melanzane, carcio-fi cavolfiori “colorati”, bietole rosse, il particolare fagiolo “Occhio di Luna”, caratterizzato dall’ilo contornato da una corona azzurra, e da un’alta digeribilità con un contenuto ridotto di fattori antinutrizionali, la patata blu progetto ancora in fase embrionale e tanto altro.il CRA di Monsampolo è all’avanguardia anche per quan-to riguarda la sperimentazione in vitro e come sottolinea orgogliosamente il direttore è leader nazionale ed inter-nazionale nel miglioramento genetico in agricoltura bio-logica e precursore delle tecniche bioagronomiche. Altra peculiarità del centro è quella di essere sede della banca del germoplasma delle Marche, una delle poche in italia, istituita nel 2003 e nata con lo scopo di preservare tutte le biodiversità di interesse agrario, impedendo la di-spersione del grande patrimonio di semi di specie ortico-

le, cerealicole e foraggiere della Regione Marche.i semi vengono acquisiti attraverso censimenti a tappeto con l’ausilio di amministrazioni, corpo forestale, ispettorati agrari e vengono moltiplica-ti, , caratterizzati, fotografati a Monsampolo ed il seme ottenuto ex novo, trasferito in banca per quelle che possono essere le esigenze future di ri-cercatori ed agricoltori.Per garantirne la riproduzione, periodicamente i semi vengono tolti dalle celle frigorifere e nuova-mente coltivati nei loro luoghi d’origine da agri-coltori che hanno aderito al progetto.Quasi 500 accessioni sono conservate nella banca del centro CRA di Monsampolo.

Pera D’AbruzzoFoto: Ferrari CRA ORA®

Cavolfiore rosaFoto: Ferrari CRA ORA®

Fagiolo Occhio di LunaFoto: Ferrari CRA ORA®

Laboratorio

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LE VEDETTE DEL MARE

LA GUARDIA COSTIERA E IL PORTO DI GIULIANOVA “CASA” DI DIPORTISTI E PESCATORI

ALFONSO ALOiSi

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TERRITORIO

Da sinistra : Capo di 1° Classe Paolo Vantaggiato, Tenente di Vascello Franco Pezzuto, Luogotenente Partenio Santarsia

il bacino portuale di Giulianova, da circa un secolo, è da con-siderare a ragione lo scalo marittimo della provincia di tera-mo. Posto simmetricamente al centro della costa teramana, rappresenta l’unico attracco certo e sicuro del territorio con

servizi a terra ed assistenza tecnica. La struttura giuliese è ubicata proprio al limite sud dell’Adriatico della Val Vibrata confinando naturalmente con la spiaggia di tortoreto le cui genti di mare, da decenni, hanno un rapporto consolidato di lavoro e non solo con l’approdo. Va detto che l’Ufficio Circon-dariale Marittimo con sede a Giulianova, guidato dal tenente di Vascello Sandro Pezzuto, ha potestà anche sull’arenile del-la Val Vibrata, da tortoreto fino a Martinsicuro, comprese le relative concessioni e gli atti amministrativi che riguardano le attività nautiche in genere. Si può senz’altro affermare che i quindici chilometri di litorale vibratiano sono intensamente vissuti, sia dal punto di vista turistico che imprenditoriale e commerciale. L’Ufficio Locale Marittimo di tortoreto, gestito dal Luogotenente Partenio Santarsia, ha competenza sul de-manio tortoretano ed albense per un totale di circa otto chi-lometri di costa. L’estensione territoriale parte dalla foce del fiume Salinello fino a quella del Vibrata su cui sono dislocate circa cento concessioni balneari. il numero dei natanti iscrit-ti è pari ad ottanta unità circa di cui sessanta si servono del porto di Giulianova, mentre venti rappresentano la flottiglia della piccola pesca con ricovero direttamente sulla spiaggia, sia a tortoreto che ad Alba Adriatica. i rimessaggi privati sono rappresentati dal Circolo Nautico di Alba Adriatica e dalla Nautica Massetti. Gli iscritti come “gente di mare” di terza ca-tegoria sono ottantacinque circa e collegati esclusivamente alla pesca costiera ed al traffico locale. L’Ufficio Locale Marit-timo di Martinsicuro, diretto dal Capo di 1^ Classe Paolo Van-taggiato, ha competenza su sette chilometri di litorale, dalla foce del fiume Vibrata fino a quella del tronto che segna an-che il confine tra le regioni Abruzzo e Marche. in questo am-bito risultano circa cinquanta concessioni balneari con tren-tacinque natanti iscritti adibiti sia alla grande che alla piccola pesca. i primi trovano ricovero nei porti di San Benedetto del tronto e Giulianova. Grazie alle piccole darsene realizzate di recente, si possono annoverare all’interno della flotta truen-tina anche circa cinquanta imbarcazioni da diporto utilizzate esclusivamente durante la bella stagione. Aspetto non da poco conto è la presenza di dieci grandi centri della trasfor-mazione del pescato che, per alcune attività di filiera, fanno capo alla Guardia Costiera di Martinsicuro. All’Ufficio Locale Marittimo sono iscritti in sessanta nel registro della “gente di mare”, mentre i rimessaggi ammontano a tre tra Villa Rosa ed il capoluogo. Ma esiste un sogno nel cassetto, ovvero il pro-getto pensato qualche anno fa dall’Ente Porto di Giulianova sotto la presidenza dell’avvocato Pierangelo Guidobaldi, ma rimasto ancora sulla carta a causa dei sopraggiunti venti di crisi che hanno spazzato anche alcuni sogni legati a delle progettualità. L’idea, in larga parte concordata con la Città territorio, era quella di riservare diverse decine di posti barca ai diportisti vibratiani nella zona della banchina di riva libe-rata dalla presenza dei pescherecci, trasferiti lungo il nuovo braccio mediano, per fare posto alla nautica riferita allo sva-go Un modo sicuramente utile ed efficace per sviluppare il comparto ed incrementare il movimento leggero, sia a terra che in mare, in modo da incidere significativamente sui flussi delle presenze fisiche a Giulianova. Crediamo che il progetto non sia stato completamente abbandonato. Con ogni proba-bilità sarà ripescato in momenti più favorevoli.

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Per separare i chicchi dall’involucro che li avvolge, i più gio-vani sono abituati a vedere all’opera le mietitrebbie, i meno giovani le trebbiatrici; ma nei millenni precedenti, quando questi mezzi non esistevano ancora, a quali strumenti si ri-correva? Pensiamo che sia interessante appagare la curiosità e approfondire l’argomento, esaminando le varie tecniche usate per eseguire un’operazione nata con l’inizio della colti-vazione del grano e dei cereali in genere.Dall’affascinante viaggio virtuale nel passato, sulle orme di varie fonti, emerge che i sistemi usati erano diversi. il proce-dimento più primitivo, mai caduto in disuso nelle coltivazio-ni di più scarsa importanza, era quello che in Francia chiama-vano “chaubage”; consisteva nel prendere per il gambo un piccolo fascio di cereali e nel battere con forza, spesso all’a-perto, le spighe contro il suolo, un muro oppure un piano inclinato o curvo, come quello di una botte. i chicchi ancora attaccati alle spighe erano fatti cadere a colpi di bacchetta. Questo tipo di lavorazione consentiva di mantenere intatti

INTORNO A UN CHICCODI GRANO

La trebbiatura nei tempi antichiFRANCESCO GALiFFA

una pietra da trebbia

la preparazione del piano inferiore

della slitta da trebbia

gli steli del grano, utili per confezionare vari oggetti, tra cui i famosi cappelli di paglia o, più semplicemente, come si dirà nelle prossime puntate, per coprire i mucchi e le serre della paglia e del fieno. il processo risultava però alquanto lento e l’uomo, per velo-cizzare il lavoro, escogitò altri sistemi, che si possono sintetiz-zare in due grandi categorie: la prima, che aveva come base la pressione effettuata sulle spighe, era diffusa nel bacino del Mediterraneo; la seconda, che aveva come fondamento la battitura, sembra avesse origine, invece, nel Nord Europa. Esisteva, comunque, una grande molteplicità di forme da ambedue le parti e si contavano numerose contaminazioni. Alcune di queste varietà hanno lasciato sopravvivenze locali anche molto tempo dopo l’abbandono del loro uso e si può pure dire che esse sono, in forme sporadiche, giunte fino a noi.La prima tecnica, comunemente nota col nome di “tresca”, era seguita sin da tempi molto remoti; tra le più antiche raf-figurazioni egiziane di lavori agricoli legati al ciclo del grano, infatti, c’è quella rinvenuta in una tomba di Saqqara (circa 2500 a.C.), dove sono rappresenti 11 asini in fila, incitati con un bastone da un uomo, mentre trebbiano cereali non mie-tuti. Nelle epoche successive la pressione era comunemente ope-rata col calpestio dei piedi di uomini e di animali su di uno strato abbastanza spesso di cereali stesi in circolo sull’aia. S’impiegavano tutti gli animali da traino: buoi, cavalli, muli, asini, preferibilmente non ferrati, per evitare che il grano ve-nisse schiacciato. Un uomo, posto al centro, aveva il compito, con un bastone o una frusta, di far circolare senza sosta le bestie. Di tanto in tanto, per far subire a tutte le spighe la necessaria pressatura, si portava via la paglia.

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una slitta da trebbia in azione in sardegna

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Un perfezionamento di questo sistema di pigiatura consi-steva nel far trainare dagli animali uno strumento pesante di varia natura sopra lo strato di cereali; di quest’attrezzo si riscontrano notizie in antiche fonti, sia scritte sia arche-ologiche, le quali ne testimoniano l’uso molto diffuso nel passato in varie parti del Mondo, italia compresa. Esso era costituito comunemente da una lastra di pietra, materiale fa-cilmente reperibile, e il suo uso sembrerebbe perdersi nella notte dei tempi; un esemplare è rintracciabile nella impres-sione lasciata da un sigillo cilindrico, risalente al iV sec. a.C., rinvenuto ad Arslantepe-Malatya, in turchia. La pietra era lavorata e ridotta a forma di trapezio; non superava quasi mai la lunghezza di 50/60 cm e sulla superficie più liscia vi erano incise scanalature che servivano a migliorarne il ren-dimento. Queste erano orizzontali, come le righe di un testo, o diagonali, sempre parallele fra loro; spesso formavano dei disegni geometrici. Nel lato più stretto del trapezio era pre-sente un foro, che serviva a fissare la corda collegata agli ani-mali, generalmente cavalli, che facevano scorrere la pietra sui covoni di grano predisposti in circolo. Per aumentare la pressione, sulla pietra viaggiava anche il conducente degli bestie e spesso vi saltavano sopra, per gioco, i bambini. in alcune aree essa assumeva anche la forma di rullo. Circa il materiale usato, era costante l’utilizzo di calcare, granito e pietre dure in genere; i primi due erano preferiti perché, per durezza e resistenza, garantivano un migliore rendimento e una maggiore durata. Le difficoltà e le abilità necessarie per la costruzione di questi attrezzi, così importanti nell’or-ganizzazione rurale del passato, fecero sì che sorgessero botteghe di scalpellini specializzati nella loro realizzazione. il costo dell’attrezzo era certamente elevato e ciò lo rende-va molto prezioso; per tutelarsi da eventuali furti, i commit-tenti vi facevano incidere sopra le iniziali del proprio nome. La pietra da trebbia è stata, in genere, utilizzata in italia fino all’epoca della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto nelle aree marginali pedemontane, dove si registravano produ-zioni limitate di frumento, per uso familiare, tali da non giu-stificare spese e investimenti per l’acquisto di macchine più moderne. Oggi questi attrezzi litici possono essere ancora trovati in vecchi insediamenti agricoli, spesso abbandonati in un angolo dell’aia. Alcuni sono entrati nelle collezioni di musei di cultura contadina, ormai molto diffusi sul territorio. Quest’antico strumento, che può essere considerato l’ante-nato della macchina trebbiatrice, subì un’evoluzione presso i Romani. L’attrezzo modificato fu chiamato “tribulum”, ter-mine da cui derivava il verbo “tribulare”, che significa “batte-

re, muovere verso, spingere, premere”. Dai due termini latini derivano, rispettivamente, le parole italiane “trebbia” e “treb-biare”. il “tribulum” poteva essere realizzato con una larga ta-vola o con più tavole assemblate e presentava un’estremità ricurva verso l’alto; questa particolarità lo faceva somigliare a una slitta, nome col quale la macchina oggi è comunemente indicata. La slitta da trebbia aveva, nella parte inferiore, og-getti acuminati come chiodi di ferro, pezzi di conchiglie, selci o vetri, tutti materiali facilmente reperibili in loco. Occorreva però una certa destrezza nel lavorarli e nell’applicarli e ciò fa presupporre che l’attrezzo fosse costruito da artigiani specia-

trebbiatura con il correggiato. “tacuinum sanitatis - casanatense 4182”, Xiv secolo

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TERRITORIOlizzati, i quali si tramandavano il mestiere di padre in figlio. Conseguentemente, intorno a quest’attività si sviluppava un florido commercio. La slitta era trainata da buoi, cavalli o muli per mezzo di una catena o cinghia collegati al giogo. Per aumentare la pressione sul grano, il conducente l’appesanti-va sedendo al suo centro; il peso poteva essere aumentato collocando sul piano delle grosse pietre. Le lame delle slitte sminuzzavano la paglia e separavano i chicchi di grano dalla pula meglio delle scanalature delle pietre da trebbia. il secondo sistema di trebbiatura era quello della battitura, praticata ai tempi di Plinio con una pertica e in seguito col correggiato. Questo metodo era il più diffuso nelle nostre zone soprattutto perché era il più economico, non richieden-do investimenti di sorta per l’acquisto degli strumenti e degli animali; i due attrezzi possono essere considerati le trebbia-trici del proletariato rurale, il quale disponeva solo della forza delle proprie braccia per eseguire i lavori. All’inizio, dunque, la battitura si eseguiva con una pertica oppure con un basto-ne di castagno o di salice. Per renderlo più elastico e allargare la sua superficie di battitura, l’estremità dell’attrezzo poteva essere tagliata, a una certa lunghezza, in molte parti, tra le quali s’introduceva e si fissava un pezzo di legno sporgente, che serviva da strumento di battitura. Nei primi secoli dell’Era Cristiana la pertica fu soppiantata dal correggiato, nel dialetto della Val Vibrata “lu frajelle”, ter-mine molto simile al latino “flagellum”, da cui deriva e, quin-di, estremamente efficace per indicare l’azione che doveva svolgere, quella di flagellare le malcapitate spighe di grano. La sua comparsa si può far risalire al iV secolo circa ma la sua affermazione si ebbe solo nel Medioevo. Rispetto alla pertica esso presentava il vantaggio di una maggiore maneggevo-lezza conferita dalla snodatura; era diviso, infatti, in due parti articolate tra loro con l’ausilio di corde, di strisce di cuoio o di pelle di anguilla. L’operatore impugnava la parte più lunga (130-150 cm circa) e con un abile gesto faceva roteare quello più corto (80 cm circa), ma più pesante, abbattendolo sulle spighe. L’attrezzo ha rotto le braccia agli uomini fino alla prima metà del Novecento e i vecchi della Val Vibrata conservano nitido il ricordo della tecnica necessaria per il suo uso.Abitualmente l’operazione di battitura del grano era svolta

una rievocazione della trebbiatura coll’uso di correggiati

da tre o sei persone, disposte in circolo intorno al mucchio; questa situazione dava luogo a un detto: “Battere in tre, dor-mire in due, mangiare da soli”, con un chiaro riferimento, nell’ultima ipotesi auspicata, all’imbarazzo di mangiare in due nello stesso piatto durante i pasti consumati in campa-gna, in occasione dei lavori collettivi.i battitori si alternavano nel menare colpi, seguendo ordine e tempi ben precisi, che evitavano ai bastoni di intrecciarsi; quando erano in tre, gli attrezzi si abbattevano sul mucchio uno dietro l’altro e il ritmo dei colpi era, come ci ha esempli-ficato un contadino “esperto”: tun-tun-tuntun-tun-tun Agli occhi dello spettatore, il loro volteggiare continuo e se-quenziale creava l’effetto “ola”. Quando i battitori erano sei, si dividevano in due gruppi da tre: uno era costituito dai nume-ri pari e l’altro da quelli dispari; i tre membri di ogni raggrup-pamento azionavano contemporaneamente gli attrezzi, che pertanto si abbattevano sul grano disposto per terra quasi simultaneamente, creando cadenze che suonavano così:tu-tu-tun/tu-tu-tun tu-tu-tun/tu-tu-tun Soprattutto nella seconda situazione occorreva un forte af-fiatamento tra gli operatori e vederli all’opera era uno spet-tacolo, per le orecchie e per gli occhi. il sibilare dei bastoni che fendevano l’aria e i colpi cadenzati assestati sulle spighe spargevano per l’etere ritmi atavici; quando però la stanchez-za delle braccia prendeva il sopravvento e il vino assunto per rinfrescare la gola cominciava a fare effetto, il sincronismo andava a farsi benedire, gli strumenti cominciavano a intrec-ciarsi e si scatenavano rimbrotti reciproci, che non di rado portavano a darsi qualche “frajllata” sulla schiena. tutte le tecniche sopra descritte prevedevano, indistinta-mente, una seconda fase di lavorazione, la separazione dei chicchi di grano dalla paglia e dalle impurità. Con una forca si raccoglieva il grosso della paglia e poi, con una pala di le-gno, si sollevava e si lasciava cascare quello che rimaneva; i chicchi cadevano verticalmente e le parti più leggere erano spostate lateralmente dall’aria. il grano era infine sottoposto alla vagliatura, con l’utilizzo di grossi crivelli, per liberarlo da ulteriori impurità.

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RITORNO AL PASSATO

Riscoprire un antico mestiere è come riaprire dopo anni un vecchio baule impolverato di ricordi: un flusso di emozioni ci porta indietro nel tempo facendoci rivivere attimi rimasti accantonati nella nostra memoria. Vedere le creazioni all’un-cinetto della signora Cinzia Ficcadenti fa proprio questo ef-fetto e vogliamo condividerlo con i nostri lettori.

Cara Cinzia, ci parli un po’di lei e della sua vita.Vivo a Colonnella con la mia famiglia e durante l’anno scola-stico sono assistente al pulmino mentre d’estate lavoro negli hotels della costa.

Come è nato l’interesse per l’uncinetto?Come sarà accaduto a molte, ho imparato a lavorare all’un-cinetto fin da quando avevo 14 anni e mia madre, dopo il la-voro, mi mandava dalle vicine di casa ad apprendere questa lavorazione antichissima che poi è diventata una vera pas-sione. Da quel momento ho iniziato a realizzare tovagliette, copertine, vestitini per i miei figli, lenzuola, frange per asciu-gamani ecc. in seguito ho un po’ abbandonato questi lavori per mancanza di tempo, anche se da qualche mese sono tor-nata ad impugnare di nuovo uncinetto e fili, non resistendo alla tentazione di realizzare qualcosina. E sono nate così le mie tazze.

Che tipo di lavorazione utilizza per creare delle tazze così perfette?Dapprima creo la forma della tazza e del coperchio con l’un-cinetto. Poi metto a scaldare in un pentolino 5 cucchiai di acqua e altrettanti di zucchero e, poco prima dell’ebollizio-

UN TE’... ALL’UNCINETTO

VALERiA CONOCChiOLi

ne, spengo il fuoco, immergo nel composto la tazza e il co-perchio, li tiro fuori e inizio a lavorarli una mezz’oretta su dei supporti per stenderli bene e dargli la forma finale. Li lascio poi una notte intera sul radiatore per farli asciugare comple-tamente. C’è chi per l’inamidatura ricorre all’amido, io invece preferisco utilizzare questo metodo.

Quanto tempo impiega per preparare una tazza?È una lavorazione abbastanza lunga, soprattutto per chi è tutto il giorno fuori casa e deve ritagliarsi un piccolo spazio serale per concentrarsi e mettersi a lavorare. Per realizzare all’uncinetto una tazza impiego circa cinque ore. A queste va poi sommato il tempo necessario per stendere come si deve la tazza (serve molta forza per fare un buon lavoro) e farla asciugare. Nonostante ciò, io lo faccio volentieri perché è un vero piacere e mi porta alla mente tanti bei ricordi della mia giovinezza.

ha in previsione altri oggettini da realizzare?Ultimamente mi sono occupata solamente di queste tazze che amo poi regalare ai miei amici nelle occasioni speciali, magari riempendole con qualche leccornia. Non nascondo però che vorrei iniziare a creare anche orecchini all’uncinet-to, seguendo sempre lo stesso procedimento.

La ringraziamo per aver condiviso con noi questa sua pas-sione che ci ha permesso di ammirare delle tazze così belle ed eleganti. Magari, in un’altra occasione, verremo a vedere anche pasticcini, cupcakes o dolcetti all’uncinetto così l’ora del tè sarà piacevole ma anche light.

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mandato anche ai figli Stefano, Luca e Paolo. Il primo con una specializzazione in endodon-zia, ottenuta alla New York University, il secondo Luca al quinto anno della facoltà di Odontoiatria all’Università di Chieti e reduce dall’esperienza Erasmus presso una presti-giosa Università di Barcello-na e Paolo al secondo anno di Odontoiatria presso l’Univer-sità di Chieti.Nello studio dentistico De Gregoriis la classica paura del dentista non esiste. Uno stu-dio curato nei minimi dettagli con pareti colorate per rende-re l’ambiente il più accoglien-te e familiare possibile.

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TERRITORIO

La storia moderna di Nereto è indissolubilmente legata alla sua tradizione di capoluogo della Val Vibrata, estrinsecatasi anche e soprattutto quale polo dell’amministrazione della Giustizia locale.Le persone meno giovani ricordano ancora episodi ed aned-doti legati alla Pretura di Nereto, al succedersi di figure au-torevoli di Pretori assurti poi ai vertici della magistratura per terminare carriere prestigiose nelle solenni aule della Supre-ma Corte di Cassazione.Del pari, la prestigiosa avvocatura vibratiana ha dato lustro al territorio con prestigiosi esempi di giuristi maestri dell’o-ratoria.il riferimento a Nereto quale centro di amministrazione della Giustizia locale ha le sue tracce all’alba del XVii secolo, allor-

CHIUSOPER LEGGE

BRUNO MASSUCCi

SALVATO DAI BORBONI CANCELLATO DAI CONTEMPORANEI BENPENSANTI CHE ARCHIVIANO 300 ANNI DI STORIA IN NOME DELLA “SPENDING”

ché fu restituito al Demanio Regio.La giustizia venne, sin da quell’epoca esercitata dai Regi Go-vernatori che vi risedettero sino al 1806.Nel 1807, il regno di Napoli, occupato dai francesi, istituì i Giudicati di Pace e dè Circondari.E proprio Nereto fu scelto come residenza del Giudice ed il suo circondario fu composto dai comuni di Corropoli, Con-troguerra, Colonnella, Sant’Omero e torano Nuovo.Nel 1815, col ritorno dei Borboni, Nereto rimase sede del Giu-dice, che però mutò la denominazione in quella di Giudice Regio.Con l. 13 nov. 1859, n. 3781, viene approvato nel regno di Sardegna il nuovo ordinamento giudiziario.in base a tale legge la giustizia è amministrata dai Giudici di

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mandamento e di polizia, dai tribunali di circondario, dalle Corti di appello, dalle Corti di assise, da una Cor-te di Cassazione. L’ufficio giudiziario di Nereto viene confermato qua-le Giudice di mandamento.A seguito delle annessioni al regno di Sardegna e poi al regno d’italia le Giudicature di mandamento subentrano ai precedenti organi di giustizia di pri-mo grado e mantengono tale denominazione fino a quando, con l. 6 dic. 1865, n. 2626 , viene approvato l’ordinamento giudiziario dell’italia unificata che isti-tuisce, in luogo della Giudicatura di mandamento, la Pretura.in base all’ordinamento giudiziario del 1865 la Pre-tura è istituita in ogni mandamento e, nelle città di almeno 40.000 abitanti in cui vi siano più preture, si prevede la possibilità di istituire con regio decreto Preture urbane per i giudizi penali.il r.d. 14 dic. 1865, n. 2637 , che determina il numero, le sedi e le circoscrizioni territoriali dei circoli per le corti d’assise e delle preture, pubblica la tabella delle sedi di Pretura, tra le quali è ricompresso Nereto. trascorre circa un secolo fino a quando il nuovo or-dinamento giudiziario approvato con r.d. 30 gen. 1941, n. 12, coordina e aggiorna le disposizioni pre-esistenti. L’art. 5 stabilisce numero, sedi e circoscrizioni terri-

toriali con apposita tabella ed anche tale riforma conferma Nereto e la sua Pretura nel suo ruolo centrale sul territorio.La modifica sostanziale all’ordinamento del 1941 è quella apportata dalla l. 1 feb. 1989, n. 30 , che istituisce le pre-ture circondariali e detta nuove norme relative alle sezioni distaccate. La legge stabilisce che il pretore ha sede in ogni capoluogo di provincia, e pubblica una tabella che modifica quella del 1941. Le preture esistenti a questa data e non aventi sede nei ca-poluoghi, tra le quali la Pretura di Nereto, diventano Sezioni distaccate della pretura che ha sede nel capoluogo di circon-dario.E così la Pretura di Nereto diventa Sezione distaccata della Pretura Circondariale di teramo.Con d. lgt. 19 feb. 1998, n. 51, le Preture vengono soppres-se e le relative competenze trasferite al tribunale ordinario «fatta salva l’attività necessaria per l’esaurimento degli affari pendenti».Scompare così, dopo oltre un secolo, la Pretura di Nereto.tuttavia, con la legge 21 novembre 1991 n. 374 venne istitui-ta la figura del Giudice di pace, che prese il posto del vecchio giudice conciliatore, in virtù della quale le cause continuaro-no a celebrarsi a Nereto, sino all’entrata in vigore del D.L.vo n° 156/2012 che, con la complicità di una colpevole ammi-nistrazione comunale, pone fine alla tradizione giudiziaria degli uffici giudiziari che, sotto le svariate figure illustrate, hanno dato lustro all’intero territorio della Val Vibrata.

il grande rifiuto

E ’triste dover constatare che le amministrazioni comunali alle quali fu proposta la “gestione” non abbiano saputo co-gliere l’opportunità offertagli dal legislatore, che ha previsto la possibilità per gli enti locali interessati di chiedere e ot-tenere il mantenimento degli uffici del giudice di pace con competenza sui rispettivi territori, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi carico delle spese di funzionamen-to e di erogazione del servizio giustizia. E così, si è preferito risparmiare sui costi oggettivamente contenuti che avrebbe comportato il mantenimento dell’Ufficio del Giudice di Pace di Nereto.

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TERRITORIO

Ripercorrere con la mente alcuni momenti duri della no-stra vita non è mai facile, in particolare se questo periodo è quello della Seconda Guerra Mondiale e se lo si è vissuto sulla propria pelle, come Mario Luzi, che quando scoppiò il conflitto era un ventenne che viveva a Bellante e aveva già visto prendere la strada dell’arruolamento da due fratelli. Era il 10 settembre 1942 quando fu portato ad Atene, dopo

un periodo di addestramento a Mantova. il suo compito era quello di telefonista, ma il periodo fu breve. i tedeschi arrivano a reclutarli e dopo venti di viaggio in un treno che trasportava bestiame arrivò in Germania, a Norimberga, in un campo di smistamento. Li fu separato dai suoi compa-gni, fu chiamato e rispose al suo destino che lo portò a Re-gensbourg ( Ratisbona). Fu messo ai lavori in una fabbrica

che lavorava il legno, la sua mansione era quella di inserire il legname nell’apposita macchina per la macchinazione. Lavorava-no di continuo, facevano tre turni, giorno e notte. Lavoravano sotto stretto controllo, in condizioni disumane. Dormivano, per quel che si poteva, in una baracca. Erano in cento costretti a man-giare qualsiasi cosa, anche ciò che non era commestibile. Presto fu spostato di nuovo, in viaggio per altri due giorni, in cui man-giò solo due volte. “Arrivammo a Kulmbach. Rinchiusi come animali dentro ad uno stabi-limento di legno, senza cibo né acqua, senza sapere cose stesse succedendo. Solo il giorno seguente ricevemmo una tazza di brodo di rape. La mattina seguente ci portarono fuori per la disinfestazione degli abiti. Rimanem-mo nudi per un giorno intero, al freddo, spa-ventati, senza cibo. La debolezza e la paura erano le uniche compagne. In un giorno di novembre riprendemmo i lavori, ora dove-vamo lavorare i campi e ci armarono di pale e picconi”. Non rimane difficile immaginare con quanta crudeltà furono trattati.“Ricordo il giorno di San Martino, quando invece delle castagne, dopo una giornata di duro lavoro mi aspettava la solita minestra con le rape”. Vento, pioggia, neve, freddo, niente rappresentava un ostacolo per chi, con fare autoritario, comandava dall’al-to della sua saccenza e spesso veniva alle mani. “Ricordo con chiarezza quando ci ra-sarono le teste, era una domenica, poi, sotto la pioggia battente ci accompagnarono a lavoro, facendo percorrere con passo svelto 5 kilometri, questa era la distanza dall’ac-campamento al campo di lavoro. Una mat-

SOPRAVVISSUTI A FAME E STENTI

Mario luzi racconta le Pagine Più dure della sua vita riannodando il filo della MeMoria

MARtiNA Di DONAtO

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TERRITORIO

tina mi svegliarono alle 5, mi cacciarono fuori dal rifugio e mi imposero di correre, seminudo. Senza una motivazione”.Ma non è il freddo il suo ricordo peggiore, ma la fame, la distanza da casa, dagli affetti, dalla madre che era ignara del tragico destino di quel figlio. “Il giorno di Natale non ci fecero lavorare, ma ci barricarono dentro alle nostre ba-racche e io pensavo ai miei cari lontani e a mia madre che si portava dentro un immenso dolore. Pensavo alla mia libertà perduta e a tutti quei Natali passati”.La vita nei campi tornò presto a gravare su ogni pensiero e cancellò tutti quei ricordi piacevoli. “Il giorno del primo dell’anno per festeggiare mi fecero fare il bagno, seguito da un pasto scarso: la minestra e qualche pezzo di pane, ma la fame era troppa. Un giorno ricordo che trovai tre patate e le misi in tasca con il solo pensiero di mangiare insieme ai miei compagni, ma tornati all’alloggio vidi entrare il comandante che puntandomi il fucile in petto mi urlò -Caput, caput!- Pur non capendo il tedesco, il messaggio fu chiaro, gli porsi le tre patate, lui le buttò a terra e mi diede uno schiaffo, con tutto il disprezzo che aveva”.i giorni passavano lenti, troppo lenti, ed ogni alba era un dono del Signore. “ Ho pianto molto in quel periodo. La mat-tina mi svegliavo e vedevo i miei compagni accanto a me senza vita. Non mi rimaneva che piangere e pregare”, poi di nuovo nella massa, a lavoro. “A maggio ci trasferirono nel campo che avevamo costruito e cambiammo di nuovo lavo-ro. Ora eravamo in fabbrica per 12 ore l giorno. Il rumore delle bombe era continuo, ogni volta che sentivamo esploderne una ringraziavamo Dio per essere sopravvissuti. Il 28 agosto tornammo di nuovo civili, senza più guardie che ci sorveglia-vano, le nostre condizioni erano migliorate, ma ancora non spiego quale sia la motivazione di questo cambiamento, quasi ingrassai in tre mesi”.Nel 1945 gli americani si avvicinavano “ad aprile partim-mo all’improvviso insieme ai tedeschi, tre giorni di cammino

e ci abbandonarono. I tedeschi scapparono. Eravamo in sei, camminammo per 500 kilometri, poi gli americani ci blocca-rono perché era troppo rischioso addentrarsi nei paesi. Que-gli americani stavano combattendo il nemico comune e ci riportano indietro, ma il confine della nostra patria era cosi vicino!”.Dopo una nottata passata in una caserma il viaggio verso casa riprese, “incontrammo una giovane ragazza con il suo fidanzato, le promettemmo che l’avremmo portata in salvo e così facemmo”. Arrivati a Bologna con il treno, arrivò il mo-mento di dire addio a chi aveva sofferto insieme a lui, fu doloso ma la speranza di riabbracciare i propri cari smorzò ogni tristezza.Da Bologna verso Forlì, in direzione Pescara e poi, final-mente a casa. Quei treni erano pieni di italiani, che come Mario erano sopravvissuti alle tirannie della guerra e sono riusciti ad arrivare sani e salvi a casa. “Quando arrivai a casa abbracciai mia madre e ancora una volta ringraziai chi da lassù mi aveva protetto”.Questa storia sembra così lontana, quasi impensabile per chi non c’era, ma è successo realmente ed è una storia vera che quest’uomo porta nel cuore e che va custodita.

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LA SATIRA DI PERILLI

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ValVIBRATAlife bab

y

TESTO DI maura marZiaLiILLUSTRAZIONI DI GiOrDana GaLLi

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FAVOLA D’AMORE

l cielo rabbrividì felice. Tirava un venticello leggero e la serata era magnifica. Guardò la luna ed era come se la vedesse per la prima volta. Era bellissima, luminosa e piena di fascino. E all’istante se ne innamorò perdutamente.“Che sciocco- pensava- l’ho avuta sempre vicina e non me ne ero mai accorto! Ma come è stato possibile?”.Il cielo passò tutta la notte a sospirare senza chiudere oc-chio. Quando il mattino il sole cominciò a risplendere, si sentì solo e tristissimo e non vedeva l’ora che tornasse la notte per poterla rivedere.Cominciò a fantasticare e a pensare a cosa poteva fare per corteggiarla. Era un’esperienza nuova per lui e non sapeva come comportarsi. Quando la vide arrivare e brillare dolcis-sima, arrossì di colpo, poi si mise a cantare.La luna sentì la melodia e alzò gli occhi stupita. Il cielo era così strano sopra di lei e che voce melodiosa aveva!...

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Si mise in ascolto rapita e notò, per la prima volta, che era stupendo; sorgeva tutte le notti eppure non se n’era mai ac-corta! Neanche a lei era capitato mai di innamorarsi e non riusciva a definire quello strano formicolio che sentiva sot-to la pelle. Aveva la sensazione che il canto fosse diretto a lei, così passò tutta la notte trepidante e felice.Nelle notti seguenti cominciò tra loro un mutuo colloquio, fatto di sospiri e sguardi lunghi e densi di promesse… Se ne accorsero le stelle che stava succedendo qualcosa di strano. C’era nell’aria come una malia…tra il cielo e la luna scor-reva un’energia che trascinava anche loro in un turbino tra-volgente!La primavera era arrivata di colpo, dopo un lunghissimo e rigido inverno e l’aria gentile che portava, era complice di quell’insolita storia d’amore.Durante il giorno, tutto si fermava e restava come sospe-so. Al sopraggiungere della notte, il cielo diventava teso, e aspettava solo l’occasione per poter dichiarare alla luna tut-to il suo sentimento che aveva dentro.

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Erano già diversi mesi che la storia durava e una sera il cielo decise di indossare il suo abito migliore. Pregò le stel-le di essere discrete e leggere e, quando la luna comparve, le corse incontro, l’abbracciò e l’avvolse nel suo mantello di seta. Tutt’intorno, il silenzio fu denso e profondo.Fu una notte d’amore!Si dissero mille cose, si guardarono intensamente. Quando la luna se ne andò inebriata, il cielo la vide allontanarsi, per la prima volta, senza trepidazione perché tutto aveva ora un senso! Non più frasi sommesse, ma certezza e affetto sicuro. Gli veniva il desiderio di cantare e di fare capriole, ma cosa avrebbero detto le stelle? Il cuore era così colmo d’amore che traboccava. Sentiva ancora sulla pelle il profumo del-la luna così sottile e avvolgente. Non l’avrebbe più scorda-to! Da allora la storia d’amore tra il cielo e la luna dura e diventa ogni giorno più bella, percorre sentieri sconosciuti e trova sempre il modo di rinnovarsi. Basterebbe essere un po’ più attenti per vedere che, sopra di noi, una coppia vive fe-lice e rallegra la nostra vita.Se alziamo gli occhi in alto e ci mettiamo in ascolto, po-tremmo sentire le frasi d’amore che si sussurrano i due in-namorati in mezzo a un mare di stelle.

Maura Marziali

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Il futuroappartienea chi credealla bellezzadei propri sogni.

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IMPRENDITORIA

Con la legge di stabilità 2014, (l. 27 dicembre 2013 n. 147, en-trata in vigore il 01/01/2014, concernente disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), il Governo ha messo in campo una serie di provvedimenti per rilanciare l’economia del Paese.La manovra affronta i due principali fattori di criticità del si-stema produttivo: l’alto costo del lavoro e la difficoltà di ac-cesso al credito. Gli interventi volti all’abbassamento del costo del lavoro ri-guardano la riduzione delle tasse per le imprese attraverso deduzioni irap e maggiori risorse per i lavoratori mediante diminuzione del costo del personale per i nuovi assunti a tempo indeterminato a partire dall’anno di imposta 2014 nonché riduzioni dei premi e contributi inail, (la Legge pre-vede la restituzione completa del contributo addizionale ASPi 1,4% nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeter-minato).A tal fine è stato istituito il Fondo per la riduzione della pres-sione fiscale che utilizza le risorse derivanti dalla spending review per il biennio 2014-2015 e le risorse derivanti dalla lotta all’evasione fiscale.L’aspetto che interessa maggiormente le piccole e medie im-prese è l’accesso al credito.il credit crunch, ovvero la stretta creditizia, dalla fine del 2011 ad oggi, ha registrato una tendenza in diminuzione di circa l’8%, vale a dire oltre 70 miliardi. Va sottolineato in primis che la legge di stabilità ha istituito il Sistema Nazionale di Garanzia (S.N.G) tra i quali vi è il Fondo di Garanzia per le PMi.Le piccole e medio imprese potranno beneficiare di finanzia-menti a rischio zero garantiti dallo Stato. i beneficiari sono: le imprese femminili, ovvero società cooperative e società di persone costituite in misura non inferiore al 60% da donne, società di capitali le cui quote di partecipazione spettano in misura non inferiore ai 2/3 a donne e i cui organi di ammini-strazione siano costituiti per almeno 2/3 da donne, le ditte individuali gestite da donne, che operano nei settori dell’in-dustria, dell’artigianato, dell’agricoltura, del commercio, del

turismo e dei servizi; imprese sociali, ovvero PMi che eser-citano principalmente un’attività economica finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi di utilità sociale ed iscritte nell’apposita sezione del Registro delle imprese.Per accedere alle garanzie e controgaranzie del Fondo Cen-trale bisogna rivolgersi ad un istituto bancario, avere i re-quisiti di cui sopra; le operazioni consentono una copertura massima dell’80% per un importo fino a 1,5 milioni euro in caso di garanzia diretta del Fondo, mentre può raggiungere i 2,5 milioni in caso di controgaranzia concessa da una Confidi o altra fonte di garanzia accreditata.Le operazioni interessate dalla garanzia del fondo sono:1.Operazioni con copertura massima del Fondo fino all’80%2.Sostegno alle imprese che vantano un credito dalle Pubbli che amministrazioni3. Operazioni finanziarie di durata superiore a 36 mesi4. Operazioni finanziarie per il consolidamento delle passività5. Operazioni sul capitale di rischioSecondo aspetto, ma non meno importante, tra i provve-dimenti legislativi adottati per il 2014 è il potenziamento dell’ACE (acronimo di Aiuto alla Crescita economica) che pre-vede la possibilità di dedurre dal reddito netto dell’impresa una percentuale di utili reinvestiti o di nuovi capitali investiti. in altre parole è un’agevolazione introdotta per ridurre le tas-se sulle imprese che si finanziano con capitale proprio.La legge di Stabilità 2014 ha aumentato le aliquote rispetto agli anni precedenti:• periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014: aliquota al 4%,• periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015, aliquota al 4,5%,• periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016, aliquota del 4,75%.La legge di Stabilità prevede, inoltre, la rivalutazione dei beni di impresa e delle partecipazioni. Questo provvedimento permette alle imprese di far valere la loro reale patrimonializ-zazione e avere una maggiore base sulla quale calcolare gli ammortamenti.A sostegno del credito all’esportazione sviene finanziato, con 200 milioni di euro, il Fondo di dotazione del Mediocredito centrale. incrementato di 100 milioni di euro per il 2014 e di 50 milio-ni di euro per il 2015 il Fondo per la crescita sostenibile che dispone lo stanziamento di 50 milioni di euro, nel 2014, altri 50 nel 2015 e 100 milioni di euro nel 2016 per finanziamenti agevolati, nella forma di contratti di sviluppo, per i settori in-dustriale e turistico.Novità, poi, per le aggregazioni di imprese dei settori della manifattura sostenibile e dell’artigianato digitale: la legge, infatti, istituisce un fondo con una dotazione di 5 milioni di euro sia per il 2014 e che per il 2015, destinato a sostenere le imprese unite in Associazione temporanea di imprese (Ati), o Raggruppamento temporaneo di imprese (Rti).

ECCO COME IL GOVERNO DOMA LA CRISI

IL FUTURO (INCERTO)E LA LEGGE DI STABILITA’ 2014

ALESSANDRA Di GiUSEPPE

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IMPRENDITORIA

EUROSVILUPPOIMPRESE IN RETE DALL’ABRUZZOALL’UNITED KINGDOM

ANNA Di DONAtO

Lo scorso dicembre si è svolta nella capitale britannica una delle prime concrete iniziative estere promosse da Eurosvi-luppo Spa strumento satellite di Confindustria nonché or-gano sociale volto al sostegno delle imprese. in occasione dell’incontro erano presenti 12 aziende abruzzesi del settore moda alcune di loro riconducibile alla Cna, anch’essa interve-nuta nel progetto.Dopo essere state esposte le possibilità del Made in italy nel mercato inglese, gli imprenditori hanno incontrato i rappre-sentanti di compagnie del calibro di Mulberry, Pomellato e la Crowdroots, esperta in ricerca ed innovazione.Poste le basi per una prima ripresa negli investimenti ed affrontata l’importanza dell’originalità e della qualità so-prattutto manifatturiera, artigianale, tessile e quant’altro, ci si prepara ai futuri piani riguardanti la nostra Regione, con l’ingente supporto dei Fondi Sociali Europei e dell’ambizioso progetto 2014-2020.Energia, risorse interne e qualità di brands da convogliare nella conquista di mercati internazionali.Con la recente comparsa delle PMC e DMC Abruzzesi distri-buite tra mare e montagna di cui abbiamo parlato in passato, ci si dovrebbe attendere un ingente cambiamento di rotta

volto più che alla collaborazione e allo sperato scambio eco-nomico tra competitors territoriali, ad un piano di confluen-za strategica verso i nuovi mercati richiesti dall’Europa.Un progetto nel progetto, l’Europa stanzia dei finanziamenti da raggiungere nel 2020 a partire da gennaio 2014, la Re-gione Abruzzo rispose all’appello con DEStiNAtiON MANA-GEMENt e PROJECt MANAGMENt, ora si ha l’occasione di dimostrare la forza della nostra economia nel tanto sbandie-rato mondo globale.A questo proposito, e qualora il messaggio fosse stato real-mente recepito e non utilizzato come metodo per risollevare le economie personali degli attori in gioco, ci sarà sicuramen-te da attendersi una presenza regionale delle nostre aziende a Vinoteca 2014, quello che, il 27 febbraio entrerà nella storia come il wine tasting londinese.imprese in Rete, riguarda pertanto uno stimolo ulteriore all’investimento nelle nostre possibilità interne, dal manu-fatto all’industria, dall’enogastronomia alle nuove forme di capitale. Che la Val Vibrata possieda tutte le carte vincenti, dovrebbe essere la storia a raccontarlo.

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IMPRENDITORIA

La nuova edizione di questo straordinario evento curato dalla più grande multinazionale di comunicazione e media (UBM) si terrà dal 4 al 6 marzo 2014 al centro espositivo Excel di Londra.L’obiettivo è di spingere le aziende più all’avanguardia del nostro paese a sfruttare le nuove opportunità di business che il Regno Unito offre.Ciò che molti non sanno, infatti, è che il mercato inglese, ol-tre a non risentire eccessivamente della crisi economica sta registrando una forte espansione nel campo delle costruzio-ni (fatto alquanto scontato dato l’imponente afflusso di na-zionalità registrato negli ultimi anni).A tal proposito, il risalto maggiore viene dato al settore del design, dell’architettura delle energie rinnovabili e dell’edili-zia ecosostenibile.il nostro territorio, da sempre legato allo sfruttamento dell’e-nergia solare per la pianificazione di strategie rinnovabili sembra ignorare le milioni di possibilità offerte dai nuovi mercati fondati sull’eco build e su altre forme di rinnovabile.Lo scorso anno si è registrata la partecipazione di 90 aziende italiane e ben 40mila persone tra espositori e buyers prove-nienti da oltre 100 paesi.in questa occasione le aziende emergenti e lungimiranti po-tranno sfruttare, oltre che le proprie potenzialità progettuali

e di vendita, la presenza di leader si settore esperti nell’ado-zione di nuovi piani di crescita ed inserimento, in un mercato in cui la presenza del settore edile supera il valore di 90 mi-liardi annuali.Negli ultimi due anni lo stato italiano ha ridotto ed in parte eliminato molti degli incentivi previsti per gli impianti fo-tovoltaici trascinando molti investitori o modesti acquirenti attratti dalle opportunità di risparmio, dal boom al collasso totale. in Abruzzo numerosi sono stati i casi in Val Vibrata.Stando a quanto detto da Dino hukic, project coordinator delle trade Fairs, coloro che decideranno di partecipare ri-volgendosi direttamente all’italian Chamber of Commerce in UK, otterranno una sorta di free membership e il risparmio di oltre il 40% rispetto a UBM sull’affitto dello stand, promo-zione pre-fiera e logistica e la collaborazione con le came-re di commercio italiane locali per l’ottenimento di ulteriori finanziamenti, per non parlare degli “early bird” (coloro che per primi aderiranno) aventi diritto a maggiori agevolazioni.Se i prodotti enogastronomici val vibratiani fanno ancora fatica a trovare inserimento e piccole e medie aziende ten-tennano nello sfruttare i poteri dell’esportazione, sembra ovvio chiedersi a che livello di evoluzione si trovino i nostri architetti, designer e compagnie edilizie legate al rinnovabi-le nell’apertura ai nuovi mercati.

ECO BUILD

APPUNTAMENTO A LONDRAda tutto il Mondo i Pionieri delle energie rinnovaBili

ANNA Di DONAtO

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PEOPLE

Gusto o& oNaturaInoValoVibrata,otuttooiloGustooeolaoNaturaodellaoCucinaoTipicaoAbruzzese

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TERRITORIO

LE VERDI SPERANZE VESTITE D’AZZURROLA CRISI FA SVOLTARE ANCHE LO SPORT: A TORTORETO IL MATERIALE UMANO ARRIVA PRIMA DEL DENARO

in tempo di crisi, quando i cordoni della spesa tendono a stringersi sensibilmente, non solo i settori più pro-priamente collegati all’economia reale subiscono delle brusche frenate.Da alcuni anni, infatti, stiamo assistendo ad una eviden-te contrazione dei posti di lavoro, della domanda nei consumi ed addirittura alla stagnazione delle richieste legate allo svago familiare. insomma, l’andamento ne-gativo dell’economia ha raggiunto tutte le attività, nes-suna esclusa. Sono chiari e tangibili i riflessi che si sono riverberati anche sul mondo dello sport ed in partico-lare su quello del calcio dove, com’è a tutti noto, non si è mai badato agli esborsi milionari. tante società del firmamento del football italiano nel frattempo sono fal-lite ed altre hanno tirato i remi in barca attraverso un lento inesorabile ridimensionamento. Naturalmente gli esiti dell’andamento economico generale hanno inciso profondamente sulla filosofia del tortoreto Calcio. La formula “prevenire è meglio che curare” è stata applica-ta in pieno. Così il presidente del sodalizio tortoretano Desiderio Santomo ha condiviso con i suoi più stretti collaboratori (Salvatore Sarchese presidente onorario; Gigino Pachini segretario; Antonio Cirino responsabile amministrativo e Carino Cudini presidente settore gio-vamile) una nuova strategia programmatica. Una svolta tesa a costruire il futuro attraverso le nuove leve reclu-tate sul territorio o al massimo nell’hinterland. L’opzio-ne per il rivoluzionario percorso è caduta su tre allena-tori di Giulianova che hanno lavorato assieme per anni all’interno del vivaio giallorosso con ottimi risultati. Per Pasquale Rossi, coordinatore dell’intero settore gio-vanile e mister dei giovanissimi, si tratta di un vero e

proprio ritorno giacchè è stato anni fa alla guida del tortoreto. i suoi compagni di cordata sono Armando Falini e Sandro Barnabei. il presidente Desiderio Santomo è soddisfatto della scelta e sottolinea: “La difficile condizione economica e sociale generale è un dato fermo che dobbia-mo tener presente, soprattutto quando si han-no delle responsabilità come quelle di portare avanti una struttura sportiva.Queste riflessioni ci hanno portato a considerare un nuovo approccio e cioè quello di puntare sui giovani per affrontare il futuro in modo tranquil-lo e senza stravolgimenti. tenendo presenti tali premesse e con l’obiettivo di poter contare sulle forze del domani, abbiamo ritenuto opportuno

affidare i nostri ragazzi a tecnici esperti e competenti che rispondono ai nomi di Pasquale Rossi, Armando Falini e Sandro Barnabei. Dalla folta schiera di giovani –conclude il dirigente tortoretano- preleveremo tan-ti giovani destinati ad indossare le maglie della prima squadra che attualmente sta disputando un buon cam-pionato di prima categoria”. A tortoreto, grazie anche alla famiglia Pedicone presente come sponsor ufficiale con il marchio Las, i giovani calciatori hanno a disposi-zione due campi di calcio regolamentari, la palestra co-munale ed un’ottima attrezzatura per gli allenamenti.Circa centocinquanta sono i campioni in erba che vesto-no i colori biancazzurri di cui cento (classe 2008) iscritti alla scuola calcio, mentre gli altri appartengono alle ca-tegorie giovanissimi (1999-2000) ed allievi (1997-1998). Questa la rosa dei ‘Giovanissimi’: Simone Alfieri, Mat-teo Bushi, Floriano Cirilli, Fabio Compagnoni, Christian De Annuntis, Andrea De Santis, Alex Del toro, Lorenzo Di Leonardo, Lorenzo Freddi, Jacopo iaconi, Damiano Lavalle, Giandomenico Nardi, Klodian Ndreka, Matteo Panichi, Alessandro Pelliccioni, Jacopo Pelliccioni, Nabil Rejeb, Emanuele Ripani, Nicolò Sacchini, Stefano tasso-ni, Alessandro Vinciguerra, Marco Vinciguerra e tomas Xhari. E la rosa ‘Allievi’: Kevin Belletti, Matteo Carletta, Simone Compagnoni, Gianluca Cudini, Giulio Del toro, Alessandro Di Michele, Luigi Di Nicola, Mattia Di Pan-crazio, Lorenzo Di Salvatore, Danilo Di Vincenzo, Eros Fanì, Florim Jashan, Lorenzo Marcelli, Antonello Marra-no, Stefano Medori, Roberto Micaletti, Enrico Palmieri, Marco Porrea, Kolukas Sabaudin, Alberto Speca, Ales-sandro Viviani e Mario Xhari.

ALFONSO ALOiSi

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PEOPLE

IL SOL LEVANTE GUIDA LA MANODI “MITSU”

Chi non ricorda cartoni animati provenienti dal Giappone e di-ventati veri cult, come Lady Oscar, Mazinga o Jeeg Robot? E proprio questi sono i per-sonaggi che han-no ispirato Ma-riagrazia Mitsu Petrino, una bravissima dise-gnatrice che vive il suo amore per l’Oriente, il Giap-pone e i manga attraverso i suoi fumetti.Appassionata da

sempre di questo mondo che la porta lontano con la fanta-sia, fino a creare personaggi e storie che strappano un sorriso a grandi e piccoli.

Come è iniziata la tua passione per il disegno?Quella per il disegno è una passione che mi è stata trasmessa dai miei genitori, disegnatori per hobby e probabilmente un po’ l’ho ereditata anche da mio zio Mario Lupo, disegnatore e scultore. Poi con il passare degli anni aumentava sempre più, insieme all’amore per i cartoni animati ed in particolare per le sigle dei cartoni animati

Qual è stato il tuo percor-so?ho iniziato da autodidat-ta: da piccola mi divertivo a bloccare alcune scene dei cartoni animati del-la Disney che vedevo in VhS, copiavo i personaggi dai fermo-immagine e li inserivo nei miei fumetti. Lì, ho scoperto dei segreti molto utili per la mia pas-sione. Poi grazie al sugge-rimento di una mia amica ho deciso di fare dei fu-

MARtiNA Di DONAtO - PhOtO Di S.i. tRACK

metti un’unica storia. Successivamente ho frequentato la scuola di fumetto Adria-tica per cinque anni, dove ho insegnato due anni

Perchè hai scelto proprio i fumetti per bambini?Forse e’ una deformazione professionale, essendo io un’in-segnate mi sento molto vicina ai bambini, o forse semplice-mente perchè io sono rimasta un po’ bambina, sono anco-ra la fan che è felice di ascoltare le sigle dei cartoni animati cantate da un palco. E ad un film preferisco di gran lunga la replica de cartoni che guardavo quando ero bambina. Certo, ora con un’ottica diversa, ma è sempre un piacere

Cosa vuol dire Mitsu?Mitsu è uno pseudonimo. È il nome di un personaggio di un videogioco degli anni ‘90

hai partecipato anche al Lucca Comics and Games.Si. Sono oramai dieci anni che partecipo a questa rassegna. Negli ultimi due anni ho tenuto un laboratorio con i bambini e nell’ultima edizione ho presentato il mio libro Maru Maru Strips

Qual è la storia?La storia è quella di un draghetto alato, Maru Maru appunto, che viene inseguito e tormentato da una pallina da baseball che non riesce ad allontanare. A marzo uscirà la versione tra-dotta per il mercato estero. Una curiosità: durante la rasse-gna “Comics per Africa”, il disegnatore che ha portato alcuni dei più grandi fumetti in cartoni mi ha spiegato che Maru in giapponese vuol dire proprio pallina, ma io non lo immagi-navo neanche.

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TERRITORIO

DA TEMPIO DIVINO A CAMPO PROFUGHI, IL LUNGO PERCORSO DELL’ABBAzIA DI CORROPOLI

MARtiNA Di DONAtO

l’acquisto de parte della provincia di teramo, la Badia divenne un campo di concentramento dove vennero rinchiusi Jugoslavi di fede comu-nista, indiani, polacchi, greci, inglesi, ebrei ma anche italiani.Dopo questa breve ma tragica parentesi fu ripre-so il progetto del preventorio antitubercolare, dove bambini affetti dalla tubercolosi o figli di genitori affetti da tubercolosi potevano trovare cure e ristoro. Ma anche questo progetto fu ab-bandonato, nel 1980, la motivazione: mancanza di fondi e nel giro di poco tempo tutto fu distrut-to con attacchi notturni. il comune e i cittadini si operarono per cercare di recuperare l’edifico, varie furono le proposte e altrettanti i progetti rifiutati. Nel 1988 uno spiraglio sembrava esserci…la Ba-dia venne ristrutturata e proprio grazie a quest’o-perazione vennero ritrovati reperti importati:

emersero intere fondamenta del monastero successivamen-te distrutto, mosaici romani appartenenti all’epoca imperiale e molti altri oggetti come anfore in cotto, ceramiche. Furono scoperti anche cunicoli sotterranei risalenti all’epoca medio-evale.All’interno della Cappella si trovava la statua di Maria Santis-sima a cui tutti i corropolesi erano devoti, in particolar modo i braccianti vi offrivano doni per chiedere l’abbondanza dei raccolti. Vi ricorsero anche durante l’epidemia del 1765,anno in cui la statua fu portata in processione per tutto il paese su iniziativa dei monaci Celestini. Pian piano il morbo sparì e si gridò al miracolo. Nell’anno della soppressione del monaste-ro la statua fu spostata nella chiesa centro storico.Dopo vari contrasti, come quello avvenuto nel sedicesimo secolo tra i vescovi aprutini e i priori di Mejulano riguardo alla giurisdizione spirituale di Corropoli e dopo molte fun-zioni assegnate, oggi la Badia sembra aver trovato pace, è diventata bene demaniale del comune di Corropoli che vi ha istituito una scuola di aviazione.

Al tempo dei pagani su di una collina in Contrada Porcina nasceva il tempio dedicato alla dea Flora (dea romana del-la fioritura, successivamente diventata dea della primavera). Successivamente con l’arrivo dei Benedettini il tempio fu di-strutto per fare spazio alla costruzione di un monastero.Nel 1231 passò sotto la dipendenza di San Pietro in Ferentillo di Spoleto e sotto le regole di San Benedetto. All’interno del Monastero era presenti alloggi, officine e biblioteche.Nel 1497 il territorio passò in mano ai Celestini. Nel 1574 il territorio fu dichiarato “nullìus” e nel periodo compreso tra il 21 marzo e il 20 luglio dell’anno 1616 diventò Badia, restau-rata nella seconda metà del ‘600. Quasi nulla muta fino all’anno 1870 quando il Monastero vie-ne soppresso per effetto delle leggi napoleoniche, le quali prevedevano l’uscita in scena dei monaci dai conventi e l’a-bolizione delle corporazioni religiose. Qualche anno dopo il Ministro delle finanze prese la decisione di vendere le pro-prietà a Luigi Ludovisi- Buoncompagni, Duca di Piombino e Principe di Sora. i terreni erano destinati alla coltivazione di riso, canapa, canne e querce. Ma nel 1856 questi vendette a favore di alcuni possidenti della zona.L’edificio nei primi anni del ‘900 fu acquistato dal corropole-se Angelo Di Monte che ne fece un centro per la Bachicoltu-ra, un centro di attività scientifica sul baco da seta che però chiuse i battenti del 1938.Nel periodo del primo conflitto mondiale la Badia fu utilizza-to come campo di rifugio per i profughi della città di telve, città trentina con quale Corropoli si gemellò nel 1987 ( Mario Ranalli firmò il testo del gemellaggio).Poco prima del secondo conflitto mondiale l’amministrazio-ne provinciale lo acquistò per conto del Consorzio Antituber-colare per 220.000 Lire, circa. Nel 1941 fino al 1944 e dopo

BADIATRAVAGLIO

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TERRITORIO

IL SIGNORE IN ROSSOIL PEPERONCINO, RE DELLE SPEzIE, PROMOSSO DALLA MEDICINA

extra-vergine d’oliva, possibilmente quando ancora verde. Si pone la teglia su un fornello largo con fiamma di media in-tensità e, appena sulla superficie si scorge qualche bollicina all’interno dell’olio e al momento in cui compare il primo fumo, si butta dentro il peperoncino rosso o verde o anche giallo (basta che sia forte!) in tocchi non superiori al centi-metro, prendendone sia la punta, ma, soprattutto la base perché particolarmente ricca di semi. Si lascia il preparato sul fuoco fino a che non si scorgono i primi segni che richia-mino la frittura. in quel momento, senza sbagliare i tempi ed in perfetta sincronia, si spegne il fuoco e questo nettare bol-lente deve essere versato con un piccolo cucchiaio sulla pa-sta, ma anche su altri piatti, come “foglia e patate”, e …..buon appetito!”.il professor Gasbarrini sposta la conversazione sul piano medico e dice: “Alcuni anni or sono mi sono proposto di fare ricerche sperimentali sull’effetto del peperoncino e ne fui entusiasta perché, dopo le ricerche condotte dalla no-stra Scuola di Bologna, molti altri studiosi approfondirono i motivi dell’effetto favorevole sulla digestione e si valorizzò appieno la capsaicina, che è un ormone ad effetto motorio, contenuto in questo fantastico prodotto della nostra terra. Non vi sono, nella quasi totalità dei casi, effetti indesiderati, anche se, a tutta prima e specie in chi non è abituato ad usar-lo, si possono verificare irritazioni sulle labbra e nel cavo ora-le; mentre è abbastanza comune qualche effetto indeside-rato sull’orifizio opposto e sui vasi venosi in esso contenuti”. Conclude Gasbarrini: “Comunque il piacere di farne uso è su-periore a ogni sofferenza conseguente . Si dice da noi addò cè stà gusto, n’cè sta perdenza!”. Nel gennaio del 1999, ovve-ro quindi anni fa, così Giovanni Gasbarrini scriveva al colon-nello Ettore Liuni: “…(omissis)…Le devo comunicare che il peperoncino, che costituisce la “C” del logos “Capsor”, è stato da me fotografato più volte, riprodotto in diapositive e mo-strato in numerosissimi Congressi nei quali vado a parlare”. Peperoncino sinonimo di buona digestioneLa capsaicina è un derivato del metabolismo di un acido grasso monoinsaturo, e la diidrocapsaicina lo è della versio-ne satura. Sono metaboliti secondari delle piante, come gli altri capsaicinoidi. Vengono prodotti da ghiandole situate tra la parete del frutto e la placenta (il tessuto che sorregge i semi): soprattutto quest’ultima è ricca di capsaicina, mentre i semi, contrariamente all’opinione comune, sono ricoperti in superficie di capsaicinoidi ma ne sono internamente pri-vi. Capsaicina e capsaicinoidi sono alcaloidi incredibilmente stabili: restano inalterati per lungo tempo, anche dopo cot-tura e congelamento.La capsaicina fu scoperta nel 1816 da P.A. Bucholtz, il quale isolò la sostanza piccante dai peperoncini macerati median-te solventi organici. il metodo è tuttora utilizzato per estrarre l’oleoresina dai peperoncini. Nel 1846 L.t. thresh la sintetizzò in forma cristallina e la battezzò capsaicina. Nel 1878 anche l’ungherese Endre hogyes ottenne la capsaicina in cristalli, che chiamò capsicolo, e dimostrò che la capsaicina stimola le mucose della occa e dello stomaco, aumentando la pro-duzione di succhi gastrici. Da qui il collegamento ad una più facile e veloce digestione.

ALFONSO ALOiSi

Sulle proprietà benefiche del peperoncino, diavolicchio o diavolillo che dir si

voglia è stato scrit-to molto, fiumi

di parole che hanno rappre-sentato questo prodotto dei campi in tutti i suoi molteplici aspetti. Ettore Liuni, colon-nello delle F i a m m e Gialle, ha

dedicato un intero volume

al “saettino” in collaborazione con il ‘Centro Studi Capsor’ di Bologna dal titolo “Grasso è buono, Peperoncino è me-glio…!”. Una raccolta di articoli di stampa, interviste, docu-mentazione e testimonianze dedicate appunto al piccante ortaggio per antonomasia. Ne parla suor Germana nei suoi ‘fioretti’ ed è anche nei ricordi di Padre Pio da bambino. Ma tanti, tantissimi personaggi della cultura, della musica, del giornalismo e persino della politica hanno trattato argomen-ti legati alle proprietà del peperoncino che, com’è noto, ha un vasto seguito in Val Vibrata dove alcuni amici ogni anno, attorno alla festa dell’immacolata, organizzano un galà de-dicato espressamente proprio al peperoncino superando la X edizione della manifestazione. tra gli aficionados del rosso condimento non poteva mancare il professor Giovanni Ga-sbarrini che di apparato digerente e collegamenti vari sicu-ramente se ne intende. il noto medico, che tiene sempre a rimarcare le sue origini abruzzesi, sottolinea: “Fin da piccolo nella mia famiglia sono stato abituato all’uso del “peperonci-no forte“. Come tutti gli altri, questo prodotto è individuato con vari nomi, a seconda della regione d’italia in cui si colti-va e si usa: lu’ saettì, lu’ pepentone forte, lu’ diavulille, ecc.. Ben diverso dalla “paprika “ usata in molti Paesi del mondo. il saettino abruzzese, a mio avviso, è il migliore fra tutti quelli che abbiamo nel nostro Paese, anche se molti in altre regioni ne reclamano il primato”. Giovanni Gasbarrini torna indietro con la memoria e ricorda: “Mia mamma, di famiglia abruzze-se (Cugnoli), ma nata e vissuta a Napoli, mio padre teramano puro sangue (Civitella del tronto), entrambi nelle loro tra-dizioni domestiche erano abituati a fare uso alimentare del peperoncino”.Continua Gasbarrini: “Nei ristoranti lo si trova preparato in varie maniere al fine di poterlo conservare: sotto forma di polvere o di piccoli frammenti, ma ho l’impressione che così si distribuisca nel piatto in maniera settoriale. Oppure nell’o-lio, ma, dopo un tempo relativamente breve, tende a diven-tare leggermente rancido. Conosco bene quale è il modo migliore per trattarlo ed usarlo in maniera di approfondirne le qualità e le proprietà. Volete conoscerla?”. Ecco allora la ricetta del professor Gasbarrini: “Si prepara un tegamino ( se possibile di quelli di una volta, di alluminio e di un diametro non superiore ai 20 cm), con due dita di olio

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IL PANINO CHE SI MANGIAGUARDANDO

il 31 dicembre del 1999, all’età di 79 anni, il droghiere Massimo Antonio Vagnoni (tonì de Pepentò per tutti i neretesi), dopo 64 anni, 6 mesi e 29 giorni di onorato servizio, chiudeva definitivamente i battenti della sua bottega di generi alimentari, situata a Nereto in Piazza della Repubblica, proprio dirimpetto al Palazzo Muni-cipale. Aveva iniziato a lavorare giovanissimo a fianco della madre Santa Clemente (conosciuta come Santi-na) e la sua attività era sopravvissuta all’avvento e al predominio dei supermercati; aveva dovuto arrendersi solo agli ispettori della Asl, i quali imponevano l’ade-guamento del locale alle norme igieniche e sanitarie. L’età sconsigliava investimenti considerevoli, soprattut-to per un uomo affezionato al suo bancone, che conser-vava la pietra di marmo originale, alle sue scaffalature, rinnovate intorno al 1960, e agli strumenti d’altri tempi, come l’affettatrice manuale a volano di colore rosso. il ritiro alla vita da pensionato creò rammarico tra le donne del centro del paese, abituate alla gentilezza di questo droghiere, il quale, dall’altra parte del ban-cone, con la giacca bianca e l’immancabile cravatta, le serviva a puntino, proponendo loro prodotti di quali-tà e le consigliava sul loro uso. il venerdì mattina, per esempio, c’era la fila per ritirare le porzioni di ceci e baccalà ammollati, opportunamente ordinati nei gior-ni precedenti. tra i prodotti di eccellenza acquistabili nel suo negozio va segnalata la pasta Verrigni, ancora oggi sinonimo si assoluta qualità nel settore, prediletta

da molti ristoratori qualificati e da intenditori. Nei suoi scaffali giacevano, poi, confezioni di prodotti di diffici-le reperibilità come le aringhe affumicate, considerate pesci poveri ma in realtà ricche di sapore e preziose per la salute, e le saraghine, pesci che popolano il tratto di mare antistante alla costa romagnola, conservate sot-to sale alla stessa maniera delle più conosciute sarde e alici. A proposito di quest’ultime, si racconta che alcuni avventori delle cantine dislocate nelle vicinanze della bottega avevano l’abitudine di acquistarne alcune, che erano dissalate, in modo spicciativo, battendole con forza sul tacco della scarpa.A rammaricarsi per l’abbassa-mento definitivo della serranda del suo locale non fu-rono solo le mas-saie, ma anche giovani e studen-ti, i quali prima di avviarsi verso i cancelli delle scuole facevano la fila per ottene-

FRANCESCO GALiFFA

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PANINO DI SERIE A

PROCEDIMENTO tagliava il cetriolo a rondelline sottili o il carciofino a fettine; preparava il tonno sminuzzandolo con un coltello dentro la stessa scatoletta, in modo da poterlo spalmare; prelevava 2 alici dal barattolo grande agitandole per bene per far cadere il sale più grande, le sciacquava, stringendole tra il pollice e l’indice, sotto il rubinetto del lavandino posto all’ingresso del negozio, le deponeva su un pezzo di carta paglia predisposto sul bancone di marmo eliminando, sempre con lo stesso coltello, testa e coda; le apriva per diliscarle. iniziava a disporre gli ingredienti nella parte inferiore del panino, privato di una parte della mollica. Spalmava il tonno sopra a uno strato di cetriolini; a seguire, disponeva i pezzetti di olive e i capperi, i filetti di alici e infine la giardiniera. Qualche schizzo d’olio d’oliva completava la preparazione. Ricopriva con la calotta del panino. Faceva attenzione a distribuire uniformemente il condimento su tutta la superficie del panino, comprese le estremità, perché, da buono psicologo del gusto, riteneva che il primo morso decretasse l’indice di gradimento di un cibo.il numero degli ingredienti e il cerimoniale rendevano alquanto lunga la sua preparazione, che richiedeva intor-no ai 5 minuti, a fronte dei 60 secondi necessari per un panino con la mortadella o col il salame.

*Per tratteggiare la storia del protagonista e per ricostruire la ricetta, oltre che dei ricordi personali, mi sono av-valso delle testimonianze del figlio Gaetano, che ha messo gentilmente a disposizione anche alcune foto, di Attilio Barbarese, di Maria Cristina Branella e di Alessandro De Palo.La foto del panino è stata scattata da Alberto Camplese.

re il panino al tonno, il mitico panino al tonno, che egli amava definire “Panino di seria A”! Gli allievi della sezio-ne staccata dell’appena istituito Liceo Scientifico erano più fortunati perché le loro aule si trovavano a non più di trenta metri dal negozio, che prendevano d’assalto durante l’intervallo. Una colazione o una merenda con un suo panino rappresentavano un ottimo sollievo per il languore delle ore intermadie tra i pasti principali.Nella preparazione del panino seguiva un rituale ben preciso, sempre costante. Sistemava sull’alto bancone un foglio di carta gialla e sopra di esso un altro di carta oleata; vi poggiava il panino fragrante appena uscito dal forno e lo divideva con un coltello affilato, eliminan-do parte della mollica in modo da ricavare l’alloggio per gli ingredienti. Alla fine delle operazioni, copriva il tutto con la parte superiore del panino e chiudeva l’involu-cro prima con la carta oleata e poi con la carta gialla. tutti i passaggi erano eseguiti con la massima calma ed erano accompagnati dal commento; elargiva al clien-te le informazioni sulla provenienza, le caratteristiche

e l’uso dei singoli ingredienti. Quando era scartato, il panino grondava olio da ogni parte e si doveva presta-te molta attenzione per non ungersi il vestito. Valeva la pena, però, correre questo rischio perché i tanti sapori che esso racchiudeva lasciavano soddisfatto il palato e ricreavano lo spirito. Per chi non aveva tempo o voglia di cucinare, poteva tranquillamente sostituire il pasto di mezzogiorno.Noi abbiamo interpellato il figlio Gaetano ed altri affe-zionati clienti per ricomporre la ricetta del “Panino di serie A” ve la proponiamo in modo dettagliato, dopo averne sperimentato le delizie per averlo ricomposto al fine di fotografarlo. La descriviamo, per chi volesse gustarlo di nuovo, raccontando il procedere di tonino. infine, avvertiamo il lettore che il nostro amico era au-tore anche di altri gustosi panini, come quello, sempli-ce e delicato, con burro e alici e il “Panino di serie A1”, decisamente robusto, che racchiudeva una fetta di ca-ciotta di formaggio pecorino, salame e alici dissalate.

INGREDIENTITonno (scaToleTTa da 80 g),1 ceTriolino o un carciofino soTT’olio,olive verdi denocciolaTe, capperi,2 alici,giardiniera (poca).

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Zona Industriale Santa Scolastica di Corropoli (TE)

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MODA

Ce l’ aspettavamo tutte: Sarah J. Parker ha creato una sua linea di scarpe, trench e borse chiamata SJP. Personaggi famosi come Victoria Beckham, Katie holmes l’hanno preceduta nel mondo della moda, ma chi meglio di lei, la Carrie di Sex And the City poteva dire la propria sull’universo scarpe?infatti per il suo ruolo nel telefilm ha indossato migliaia di tacchi vertigi-nosi e abiti da far levare il fiato vivendo sulla propria pelle la vestibilità di tali capi ed accessori ( e questa è una grande garanzia!). Sarah aveva già mosso i suoi primi passi nel mercato moda con la collezione a basso costo Bitten, e adesso, in collaborazione con il presidente della Manolo Blahnik Usa sta per promuovere la propria linea con prezzi che oscillano dai 200 ai 500 $ al paio.La collezione comprende pumps, zeppe, ballerine, stivaletti, tutte con un piccolo nastro di gros grain cucito nella parte posteriore, un tocco personale dell’attrice in ricordo dei nastri che la madre metteva sempre tra i suoi capelli e tra quelli delle sorelle. L’altezza? tacchi alti si ma non eccessivamente: ”Non c’è niente di sexy nel non essere in grado di camminare”.. e se lo dice lei ci possiamo cre-dere, no?

FEDERiCA BERNARDiNi

SJP: LE SCARPE(E NON SOLO) FIRMATESARAH JESSICA PARKER

EvEnti

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MODA

GIULIANOVA

Per un San Valentino differente, il Circolo Virtuoso il nome della rosa di Giulianova propone la seconda edizione della rassegna “Non prendermi per il cu...ore” : poesia, musica e tanto altro.inizio ore 21.30, il circolo si trova in antonio Gramsci 46/a, Giulianova alta.

il 16 febbraio si terrà, invece, l’incontro con Simone barete sulla filosofia ed in particolare su “Il fondamento dello Stato nella Repubblica” di Paltone. inizio ore 18

ancora all’ officina, il 21 febbraio sarà la volta della narrativa: Giovanni d’alessandro parlerà del suo libro “La Tana dell’odio” a cura di luca Maggitti. È la storia di un giovane medico Jusuf Samirovic, adottato da una famiglia italiana dopo essere fuggito alle atrocità della guerra nella ex Jugoslavia che per tutta la vita cerca di ritrovare le sue radici.inizio ore 21.30.

il 28 febbraio ci sarà l’incontro con dimitri ruggeri di nella e la sua poesia “ Il marinaio di Saigon: versi senza legge”. l’incontro sarà curato da Manuela Valleriani.inizio ore 21.30.

SANT’OMERO

il 19 febbraio e il 12 Marzo, presso la biblioteca comunale “G. d’annunzio” di Sant’omero si terranno il secondo ed il terzo incontro con lo storico Costantino di Sante. in occasione del settantesimo anniversario della liberazione verrà affrontato il percorso della resistenza italia-na ed in particolare della resistenza in Val Vibrata. Gli incontri fanno parte della sezione “Voci tra gli scaffali” della rassegna Mondo d’autore.inizio ore 20.30.

Sempre per la sezione “Voci tra gli scaffali”, il 5 Marzo si terrà il penultimo incontro su dante e la divina Commedia a cura del Professor Mario rosati.inizio ore 20.30

EvEnti

Eventi Febbraio-MArzo

MARtiNA Di DONAtO

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CULTURA E SPETTACOLO

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MODA

L’animalier è tornato in auge in modo quasi irriverente nelle sfilate, negli accessori e in tutto il mondo del design, dall’ar-redamento agli strumenti di uso quotidiano. Per molti anni non sono riuscita ad amare questa tipologia di stampa e a nulla sono serviti i tentativi per farmi cambiare idea da parte della mia amica Nada fun del leopardato, anche se, devo am-metterlo, su di lei , bella e di classe, sta proprio bene. Poi ho capito : la mia avversione era determinata non dalla fantasia in sé ma dall’utilizzo senza criterio e pieno di errori che se n’è fatto durante gli anni ’80 – ’90. L’animalier è una stampa presente nelle passerelle sin dagli anni ’30 e fino ai ’60 ha rappresentato la classe , l’eleganza, la passione (vi ricorda qualcosa Betty Page, la prima pin – up, Ava Gardner o Audrey hepburn ?) , per poi, verso i ’70, assu-

mere un valore più glam – rock ponendosi sulla maglieria e la lingerie (Blondie). Ma a partire dagli anni ’80 si è avvicinata sempre di più al grottesco a causa di un uso spropositato che se n’è fatto e che purtroppo se ne fa ancora oggi. E’ importan-te infatti tener conto di alcune regole affinché non si passi dall’essere cool all’essere trash.Se madre natura ci ha donato un fisico tutte curve meglio evitare capi troppo attillati e poi non abbinare mai l’anima-lier con abiti ed accessori dalle tonalità accese o con altri tipi di stampa a “macchia”, o, ancor peggio, con fantasie diverse come le righe o i pois.Un ultimo accorgimento: il maculato esprime già tanta sen-sualità, non c’è bisogno di osare oltremodo con scollature generose, spacchi vertiginosi e plateau eccessivamente alti

FEDERiCA BERNARDiNi

LA SAVANANELL’ ARMADIO

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PIU’ BELLECON UN BUON MAKE-UP

NOEMi Di EMiDiO*

truccarsi è importante per noi donne, ci fa sentire più femmi-nili, più belle, valorizza lo sguardo, il sorriso e ci consente di nascondere i piccoli difetti. Per ottenere un buon make-up è fondamentale partire da un’ottima base, da li, poi, possiamo fare un trucco giorno, un trucco sera oppure un trucco per una occasione speciale!Per prima cosa è importante prendersi cura della propria pelle effettuando mattino e sera una detersione al viso con latte e tonico adatti al proprio tipo di pelle, per togliere le im-purità ed eventuali residui di trucco, se necessario, fare uno scrub viso una volta a settimana per favorire il distacco delle cellule morte rendendo la pelle più liscia, morbida e velluta-ta, applicare poi una crema viso idratante o una base trucco illuminante.Si procede poi, con l’aiuto di una piccola spugnetta trucco, per applicare il correttore color avorio su eventuali occhiaie, seguito da quello color arancio per evitare il grigiore; con il correttore verde è possibile coprire, con l’aiuto di un pennel-lino, eventuali macchie rosse come brufoli o couperose. Dopo aver coperto i piccoli difetti, si passa al fondotinta. Bisogna scegliere un colore che somigli il più possibile alla nostra carnagione ed al nostro tipo di pelle. Chi ha la pelle secca può sceglierne uno fluido, mentre chi ha la pelle grassa uno compatto o in crema; applicarlo in piccole quantità dal centro del viso sfumandolo verso l’esterno e sul collo.in seguito applicare una cipria in polvere fissativa per il truc-co ,con un pennello a setole grandi e morbide, per un effetto più leggero, per opacizzare il viso , per donare un incarnato perfetto e per farlo durare più a lungo. Con lo stesso pennel-lo applicare sulle guance una velatura di fard brillante rosato o color bronzo, sfumandolo verso gli zigomi per chi ha il viso

rotondo, mentre per un viso ovale o magro, stenderlo con movimenti circolari solo sulle guance. Come risultato deve apparire una base fresca, leggera, e naturale, senza appesan-tirla troppo.Si procede poi, alla scelta dei colori , è importante tener con-to del colore della nostra pelle, degli occhi, dei capelli ma, anche dell’abbigliamento e degli accessori!Per truccare gli occhi si consiglia di applicare la matita o l’eye-liner con una linea sottile infracigliare dall’interno dell’occhio verso l’esterno per poi stendere sulla palpebra mobile un ombretto dai toni chiari, mentre sulla parte esterna verso l’interno, sfumare con un colore più scuro, procedere poi con il mascara sulle ciglia superiori ed inferiori e per un tocco di luce in più o per una occasione speciale, applicare con un pennellino sottile un ombretto glitter creando sfumature.E per finire... sulle labbra un rossetto o gloss brillante, per dare volume oppure delineare bene il contorno con una ma-tita correggendo eventuali difetti, o per dare una maggiore carnosità, uscire leggermente dal contorno per poi sfumarla verso l’interno, applicando un velo di lucidalabbra. Nel truc-carsi è importante non esagerare, occorre fare una scelta, se mettere in evidenza gli occhi, con eyeliner, mascara, ombret-ti dai colori scuri o se mettere in risalto la bocca con un ros-setto rosso o dai colori accesi.Ogni persona comunque, può scegliere il trucco più adatto a sè, per rendere i tratti del viso più giovane, passionale, inten-so... con i colori che più la rappresenta, in base alle proprie emozioni, sensazioni o semplicemente per seguire la moda del momento!

* (Estetista)

BELLEZZA

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DIALOGO

ViRGiNiA MALONi*

il gruppo rappresenta una risorsa educativa e didattica, dove ognuno può acquisire il sostegno per la propria autorealiz-zazione: è un luogo in cui è possibile modellare, attraverso il confronto con gli altri, la propria mappa cognitiva e la pro-pria identità. Un gruppo è dominato da movimenti e leggi proprie, in cui ciascun membro si mette in relazione con l’altro in conformi-tà a bisogni e vissuti personali condivisi: questa rete relazio-nale contribuisce all’emergere e all’accadere di specifici av-venimenti o comportamenti all’interno del gruppo. il primo gruppo di riferimento è la famiglia, poi la scuola ed il gruppo dei pari. E’ nella scuola e all’interno del gruppo-classe che la realtà personale, evolutiva e adolescenziale, con tutte le sue sfumature, viene vissuta. Attraverso un gioco di identificazio-ni proiettive il singolo membro del gruppo veste i panni di un determinato personaggio (vittima, giocoliere, contenito-re di parti debole, amico di tutti, ribelle) di cui il gruppo ha bisogno per organizzare la propria sopravvivenza e il proprio funzionamento, poi al di fuori del gruppo classe quell’adole-scente potrà comportarsi e relazionarsi con gli altri in modo completamente diverso. il gruppo-scuola è uno spazio affet-tivo in cui l’adolescente modella le proprie rappresentazioni psichiche ed emotive proprie e dell’altro. Spesso gli insuccessi scolastici sono riconducibili a una serie di fallimenti nella sfera relazionale legati ad una mancata in-tegrazione nel gruppo-classe da parte di alcuni studenti non inseriti, per cui conoscere le dinamiche della classe, gli affetti che si muovono in essa, può permettere agli insegnanti di utilizzare il gruppo come risorsa, individuando i fattori di rischio presenti al proprio interno, cercando di canalizza-re funzionalmente l’aggressività, attraverso un’attenta ge-stione e contenimento delle dinamiche presenti. Questo è importante perchè il gruppo dei pari facilita il passaggio e la trasformazione dal “Sé” infantile verso il “Sé” adulto e gli consente di non sentirsi solo, di sperimentarsi, attivarsi, com-prendere esperienze che non sarebbero realizzabili in soli-

tudine. il gruppo dei pari viene, infatti, de-finito un “organizzatore psichico” (Biondo, 2008) che predispone la mente, permette identificazioni, rispecchiamenti, individua-zione del Sé, sostegno personale. il gruppo è fondamentale anche all’interno della si-tuazione lavorativa. Un gruppo di lavoro è costituito da un insieme di individui che in-teragiscono tra loro con una certa continui-tà, nella consapevolezza di dipendere l’uno dall’altro e di condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti. Ognuno svolge un ruo-lo specifico e riconosciuto, sotto la guida di un leader, basandosi sulla circolarità della comunicazione, che preservi sia il benesse-

re dei singoli sia lo sviluppo del gruppo stesso.La realizzazione concreta della collaborazione all’interno del gruppo è poi facilitata dal meccanismo di negoziazione, che permette il confronto e il passaggio dal punto di vista dei sin-goli individui ad un punto di vista comune e condiviso per realizzare al meglio gli obiettivi previsti.La nascita del “gruppo” come strumento terapeutico in ambi-to clinico, è databile intorno agli anni 50’, alla fine del secon-do conflitto mondiale, ed ha origine da un’esigenza pratica, rivelandosi poi utile nel tempo. il gruppo terapeutico è quel momento di incontro in cui ogni partecipante porta tanto i propri punti di forza, che diventeranno così risorse del grup-po stesso, di cui tutti i partecipanti potranno così usufruire, quanto le proprie singolari debolezze, con cui ogni altro partecipante potrà confrontarsi e a cui potrà rispondere in modo esclusivo e significativo.Ognuno potrà quindi ugualmente rispecchiare in tutti gli altri membri, la propria difficoltà a superare il suddetto pro-blema, quale che sia nello specifico. E’ oggetto di regolare studio il fenomeno, peraltro articolato, per cui, in ogni tipo di gruppo terapeutico, i passi avanti di un membro tendano a diventare, in breve tempo, passi avanti di tutti gli altri com-ponenti.

* (Psicoterapeuta)

LA VITAUN GIOCO DI SOCIETA’

IL GRUPPO COME SLANCIO PER L’IDENTIFICAzIONE E RISORSA EDUCATIVA

Bibliografia di riferimento

Bion W.R., Esperienze nei gruppi, Armando, Roma, 1971.

Biondo D., Fare gruppo con gli adolescenti. Fronteg-giare le “patologie civili” negli ambiti educatici, Franco Angeli, Milano, 2008.

Pietropolli Charmet G., I nuovi adolescenti. Padri e ma-dri di fronte a una sfida, Raffaello Cortina, Milano, 2000.

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CINEMA

All’ uscita di questo film il pubblico non poteva che aspet-tarsi una farsa o meglio una divertita e ironica presa di co-scienza che il mito del fisico, dell’ impresa sportiva e degli allenamenti allo stremo delle proprie forze fosse del tutto tramontato ,un ricordo delle rispettive gioventù. Più di un riferimento infatti rimandano alle pellicole con in comune il tema del pugilato e dei loro eroi di strada... e come se fosse un Rocky vs Jack L a Motta e i loro rispettivi interpreti sono noti : Stallone- De Niro...Eppure questi due campioni di bravura e incassi al botte-ghino si ritrovano l’uno contro l’altro per l’ultima decisiva sfida che ne decreti la vittoria definitiva ,anche nella vita di tutti i giorni. Sembra quasi anche un invito a non lasciare persa o intentata nessuna occasione che la vita ci offre , per la serie che” ogni lasciata è persa” .Cosi , sullo sfondo di una vita sentimentale piuttosto irrisolta per Stallone - Razor Sharp che si porta con sè l’amore andato in frantumi nei confronti della ancora più che bella Kim Basinger - Sally e del suo eterno rivale the Kid McDonnen ancora più sca-pestrato e che tenta di ricucire il suo rapporto fallimentare con il figlio ( che guarda caso ha avuto proprio con Sally) , si

narra una vicenda dai toni farseschi più che seriosi . Si gioca sugli effetti della senilità , sul fisico che inevi-tabilmente non regge come un tempo, ma anche sui personaggi di sfondo come il bravissimo Alan Arkin che fa l’allenatore sui generis di Razor Sharp e con metodi cosiddetti tradizionali gli fa immergere le mani nell’urina di cavallo o rotolare gomme o bere ,come faceva Rocky Stallone ,10 uova rotte nel bicchiere senza vomitare!! E Merita anche il pittoresco manager (Kevin hart) , figlio di quello che poi si è intascato la maggior parte dei guadagni lasciando i loro pugili piuttosto in bolletta , il quale tenta di diventare ricco a sua volta, visto l’ eco della campagna pubblicitaria sulla sfida dei due anziani pugili ...Come non citare anche, la goffa scazzottata ripresa e messa su internet, mentre le loro sagome stanno prestandosi alla progettazione di un video game .Certamente, quindi , divertimento e ironia non mancano fine alla fine e oltre i titoli di coda ... una bella prova filmica e una compiaciuta atmosfera malinconica non guastano mai , nemmeno il trionfo dei buoni sentimenti e del buonismo in generale .

E’ questo il titolo di una delle migliori opere che il cinema fantastico ci poteva regalare. Certo che se poi alla regia si trova un maestro come Alfred hitchcock il risultato è più che garantito , con una trama che ha al centro sostanzial-mente l’aggressione inspiegabile di un gabbiano nei con-fronti della protagonista ( tippi hedren ) ma che poi svilup-pa una serie di tematiche tra le più disparate, a cominciare dal tema delle relazioni umane che appare molto travagliato , ma anche il tema ecologico o ancora il registro apocalittico di carattere religioso : la tragedia che ci fa capire quanto sia fragile l’umanità e quante colpe abbia da scontare . Ad ogni modo sembrerebbe non esserci una causa raziona-le che chiarisca quello che sarà emblematicamente un as-sedio da parte dei volatili nei confronti dei cittadini inermi, ed è certamente questa, insieme alle splendide scene degli attacchi degli uccelli ad essere la più seducente delle spie-gazioni : l’irrazionalità . Ancora una volta hitchcok trae spun-to da un romanzo di Daphne Du Maurier ( da cui già aveva tratto Rebecca ) per regalarci un film meraviglioso che dilata la suspence in tempi di azione e spazio molto coesi che ci inducono allo spaesamento più completo ma naturalmente senza mai annoiarsi... forse anche perché i registri molteplici

a cui il film tende a trasportarci come dalla commediola sofistica iniziale alla progressiva irrazionalità e al non sense ci fanno tremare e sospirare fino alla fine e tutto d’un fiato. Un plauso anche alle musiche non musiche ( Bernn herman) dato che sono rappresentate per lo più dalle strida dei corvi e dei gabbiani che da allora non sono stati più così consueti ma piuttosto sinistri e apocalittici...

IL GRANDE MATCH

GLI UCCELLI

ANDREA SPADA

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