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Persti terunt in Amore Frate rnitatis Istituto Missioni Consolata Pasquale Mastrogiacomo, Una Cattedrale in Europa 2014, Acerno (SA) Anno 95 - n.2 febbrAio - 2015 Persti terunt in Amore Frate rnitatis

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Pasquale Mastrogiacomo, Una Cattedrale in Europa 2014,Acerno (SA)

Anno 95 - n.2 febbrAio - 2015

Perstiterunt in Amore Fraternitatis

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frammenti di luce

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L’EUROPA E I SUOI SANTI PROTETTORI P. Giuseppe Ronco, IMC

L’Europa è un continente relativamente piccolo. Favorita dal clima temperato, dall’assenza di zone inabitabili e dal lunghissimo tratto di mare che la circonda, ha però una popolazione molto elevata, inferiore soltanto all’Asia e all’Africa.

Il suo nome è legato al mito di Europa, raccontato da Omero, Esiodo ed Ovidio. Figlia

di Agenore, re di Tiro, Europa fu rapida da Zeus apparso sotto forma di un toro bianco. Ne divenne l’amante, generando tre figli: Minosse, da cui nacque il Minotauro, Sarpedonte e Radamanto, giudice degli inferi. Ma colui che usò per primo il termine Europa per indicare il continente fu san Colombano, fondatore dell’abbazia di Bobbio, in una lettera che scrisse

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al papa Gregorio Magno.

Come realtà storica e costituita, l’Europa nasce all’indomani del Secondo conflitto mondiale, dinanzi al triste spettacolo di morte e devastazione che per anni aveva imperversato, fino a produrre Aushwitz.

Al pessimismo di quegli anni subentrò la speranza che una ritrovata solidarietà tra i suoi popoli avrebbe generato una pacifica convivenza ed un benessere equamente ripartito. Si trattava di conferire unità geopolitica a un territorio diviso dall’evoluzione storica, operando una vera e propria unificazione spirituale. Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea, prevedeva che l’unità si sarebbe costruita solo per gradi, “per piccoli passi”. E così avvenne.

Oggi, il superamento del vecchio concetto di territorialità induce a praticare una solidarietà legata ai diritti e alla democrazia, piuttosto che allo spazio fisico. La convivenza multiculturale, dovuta all’inarrestabilità dei flussi migratori, con il conseguente travaso di culture, fa sì che la cultura europea si sia globalizzata ed “è probabilmente un privilegio dell’Europa il fatto di aver saputo e dovuto imparare, più di altri paesi, a convivere con la diversità” (H.G. Gadamer, L’eredità dell’Europa, Einaudi 1991).

“Unita nella diversità”, diventa nel 2000 il motto dell’Unione europea. L’ispirazione venne dalla storia del re vichingo Harald Blåtand , detto Harold Bluetooth a causa di un dente azzurro, che seppe unire i popoli scandinavi introducendo nella regione il cristianesimo. Al suo nome si ispirarono anche gli inventori della tecnologia bluetooth, ritenendo che fosse un nome adatto per un protocollo capace di mettere in comunicazione dispositivi diversi , così come il re unì i popoli della penisola scandinava con la religione.

Nella bandiera dell’UE a fondo azzurro, le 12 stelle in cerchio rappresentano gli ideali di unità, solidarietà e armonia tra i popoli d’Europa. L’inno europeo è “An die Freude”, l’Ode alla gioia di Friedrich Schiller, tratto dalla Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven, composta nel 1823. “E’ una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica: «la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco,

sotto lo sguardo paterno di Dio» (Luigi Della Croce). Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione” (Benedetto XVI, Scala, 1° giugno 2012).

Nel 1995 una piccola località del Lussemburgo darà il nome agli accordi di ‘Schengen’ che, gradualmente, consentiranno ai cittadini di viaggiare liberamente senza controllo dei passaporti alle frontiere.

Realizzato il mercato unico, il Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992), ha fornito le modalità e i criteri per la politica monetaria e la moneta unica, che consistono nell’ innalzare i profitti contenendo i salari, e nel rendere il mercato del lavoro più flessibile per stimolare la produzione. L’UE diventa così un regime economico, parte integrante dell’impero del denaro, dove l’aspetto finanziario prevale su quello democratico.

Con la firma del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (Roma, 29 ottobre 2004), sono delineati il ruolo centrale della Costituzione e i valori universali, quali la civiltà, l’umanesimo, l’eguaglianza, la libertà, la possibilità di professare liberamente la propria fede nonché la custodia dell’immenso patrimonio culturale, artistico e umanistico.

Manca però il riferimento alle radici cristiane di cui tanto si è discusso. Dostoevskij con

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veemenza gridava: “L’Europa ha rinnegato Cristo. E’ per questo, è solo per questo che sta morendo”.

Radici cristiane dimenticate

«C’è un quinto continente un po’ invecchiato. E questa è una “periferia”. Alcuni dicono che l’Europa non è la “madre Europa”, ma la “nonna Europa”. Non so se è vero! Ma questo continente è una “periferia” (Papa Francesco, 21 settembre 2014).

C’è una domanda alla quale è difficilissimo rispondere: Perché l’Europa rifiuta di riconoscere le proprie radici cristiane?

Se è vero che oggi l’Europa si rivela come un mosaico di culture (l’area latina, germanico-baltica, slava e celtica) e molte religioni hanno asilo sul suo suolo, è pur sempre vero quello che Wolfgang Goethe diceva: “La lingua materna dell’Europa è il cristianesimo”.

Benedetto XVI afferma che «non si può pensare di edificare un’autentica “casa comune” europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa». (Discorso al congresso COMECE, 24 marzo 2007).

Soffocata dall’edonismo, dalla tecnolatria e da un crescente individualismo, l’Unione Europea, negando le sue radici cristiane, rischia di rimanere senza radici e di perdere i riferimenti necessari per esprimere un ideale di libertà vera, fatta di rispetto per la vita, dignità della persona, responsabilità e senso critico.

Anche Kant era convinto che “il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra civiltà”. Contro la smarrimento dell’eredità cristiana è necessario riscoprire il ricordo dei valori sorgivi della nostra civiltà.

Nell’ Esortazione Apostolica Post-Sinodale Ecclesia In Europa (28 giugno 2003) Giovanni Paolo II ha stigmatizzato in modo eccellente i

drammi negativi dell’Europa.

Si è diffuso un agnosticismo pratico e un’indifferenza religiosa di vasta portata; riesce difficile integrare il messaggio evangelico nell’esperienza quotidiana; si ha l’impressione che il non credere vada da sé mentre il credere abbia bisogno di una legittimazione sociale né ovvia né scontata.

Grande è il vuoto interiore e la perdita del senso della vita che attanaglia molte persone. Sul piano sociale aumenta una sensazione di solitudine, la natalità diminuisce, le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata si estinguono, si sgretola la concezione di famiglia, perdurano i conflitti etnici, rinascono atteggiamenti razzisti e tensioni interreligiose. L’indifferenza etica e il decidere da sé cosa sia il bene e il male è ormai moneta corrente.

In breve, il tentativo di far prevalere un’antropologia senza Dio e senza Cristo ha portato ad abbandonare l’uomo a se stesso. La cultura europea dà l’impressione di una « apostasia silenziosa » da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse. Siamo ai prodromi di una “cultura di morte”.

E’ tempo di riproporre modelli di santità

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cristiana capaci di entusiasmare e creare una vera Eur-hope, basata sulla speranza di un futuro migliore.

I santi patroni

“Per questo, dopo opportuna consultazione, completando quanto feci il 31 dicembre 1980, quando dichiarai compatroni d’Europa, accanto a san Benedetto, due santi del primo Millennio, i fratelli Cirillo e Metodio, pionieri dell’evangelizzazione dell’Oriente, ho pensato di integrare la schiera dei celesti patroni con tre figure altrettanto emblematiche di momenti cruciali del secondo Millennio che volge al termine: santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce. Tre grandi sante, tre donne, che in diverse epoche — due nel cuore del Medioevo e una nel nostro secolo — si sono segnalate per l’amore operoso alla Chiesa di Cristo e la testimonianza resa alla sua Croce”( Spes aedificandi, 1 ottobre 1999).

La loro santità, infatti, si espresse in circostanze storiche e nel contesto di ambiti « geografici » che le rendono particolarmente significative per il Continente europeo e ispiratrici per il futuro.

Tre santi e tre sante. Due monaci: Benedetto

e Cirillo; un ecclesiastico: Metodio; tre donne mistiche impegnate nel sociale e indicate da Giovanni Paolo II come compatrone d’Europa per la loro specificità di donne e per il forte significato spirituale e storico della loro testimonianza cristiana.

Benedetto è il primo patrono nominato nel 1964 da Paolo VI, a riconoscimento dell’opera originaria e fondamentale svolta dal monachesimo benedettino nello sviluppo della civiltà e della cultura europea, a partire dall’alto medioevo (V-VI secolo) e dalla evangelizzazione degli antichi popoli barbarici. Egli testimonia lo sforzo della Chiesa nella costruzione di un ordine sociale e politico sulle macerie del mondo antico.

Dall’insegnamento evangelico e dalla spiritualità di san Benedetto è scaturito il progetto medievale dell’Europa unita intorno ai valori cristiani di libertà, del rispetto per ogni uomo e ogni nazione, della giustizia e della sovranità dei popoli militarmente deboli. Elaborò un programma per lo sviluppo culturale dei singoli uomini e di intere comunità, radicando con il suo “ora et labora” la sua vita stessa in Dio.

Fu “araldo” della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in occidente; mentre sul versante civile, fu messaggero di pace e maestro di civiltà.

Si servì di tre strumenti: la Croce, cioè la legge di Cristo, in cui popoli diversi potevano riconoscersi come l’unico popolo di Dio; il libro, cioè la cultura, un patrimonio da salvare e trasmettere; l’aratro, cioè il lavoro manuale per far fiorire anche le terre selvatiche.

Metodio e Cirillo, coinvolsero nell’evangelizzazione i paesi del cristianesimo ortodosso e dell’area bizantina orientale, introducendo nella cultura europea di allora il patrimonio culturale dell’Oriente, e aprendo agli slavi la strada per conoscere la civiltà occidentale.

La loro opera missionaria sta all’inizio della cultura dei popoli slavi. Tradussero la Bibbia in lingua cirillica, inventando appositamente un alfabeto ancor oggi in uso e ponendo le basi della letteratura nelle lingue di quei popoli. Fu

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il «principio» della cultura slava e un esempio mirabile di inculturazione cristiana.

Veri precursori dell’ecumenismo lavorarono accanitamente per l’unità della Chiesa, svolgendo il loro servizio missionario mettendo in comunione la chiesa di Costantinopoli con quella di Roma.

Brigida di Svezia nacque nel 1303 a Finsta. Modello di vita laicale, sposa felice e madre di otto figli, pur vivendo a corte aiutò personalmente molti poveri, dedicando loro tempo ed energie. Attraverso i numerosi pellegrinaggi intrapresi in vari santuari venne a conoscenza della realtà europea. Innamorata della passione di Cristo, partecipò in vari modi all’edificazione della comunità cristiana, ammonendo ogni genere di persone e svelando, attraverso le sue rivelazioni, i disegni di Dio sulla storia. Fondatrice dell’Ordine del SS. Salvatore, contribuì al rinnovamento della vita consacrata, raggiungendo essa stessa le vette più alte della mistica.

Vivendo poi in terre scandinave, distaccate dalla piena comunione con la sede di Roma, Brigida resta un prezioso esempio ecumenico, rafforzato anche dall’impegno del suo Ordine a pregare sempre per l’unità.

Di poco posteriore a Brigida è Caterina da Siena, dottore della Chiesa, discepola della spiritualità domenicana, radicata in una profonda intimità con Cristo maturata nella “cella interiore” del suo cuore, operò attivamente per l’elevazione e il bene pubblico e privato dei suoi concittadini.

Donna “virile” e forte, ebbe il coraggio di andare ad Avignone per convincere il papa a tornare a Roma e rinsaldare attorno a lui la cristianità sbandata e impaurita.

Proponeva a tutti il rinnovamento dei costumi, il governo del mondo e della Chiesa fatto con giustizia e nella ricerca della pace, con l’esclusione totale delle armi.

Molti si raccolsero attorno a lei come discepoli, riconoscendole il dono della maternità spirituale e imitandola nel suo impegno per i poveri.

Con Edith Stein prende forma il tormento

della ricerca e la fatica del « pellegrinaggio » esistenziale dell’uomo europeo contemporaneo. Ebrea rimasta fedele al suo popolo, illustre filosofo della fenomenologia di Husserl, ebbe il pregio di saper dialogare con il pensiero filosofico contemporaneo.

Dopo l’incontro con le opere di Teresa d’Avila si convertì al cristianesimo e divenne carmelitana assumendo il nome di Teresa Benedetta dalla Croce. Militò a favore della promozione sociale della donna esplorando la ricchezza della femminilità e la missione della donna sotto il profilo umano e religioso. Solidale con il suo popolo , seppe vedere nello sterminio sistematico degli ebrei la croce di Cristo, morendo martire nel tristemente famoso campo di Auschwzitz-Birkenau. Oggi Edith è per noi un esempio luminoso dell’annuncio del vangelo della croce e della protesta levata contro tutte le violazioni dei diritti fondamentali della persona. Dichiarare oggi Edith Stein compatrona d’Europa significa porre sull’orizzonte del Continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza, che invita uomini e donne a comprendersi e ad accettarsi al di là delle diversità etniche, culturali e religiose, per formare una società veramente fraterna.

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Un futuro di speranza

“Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19).

È tempo ormai che quell’appello susciti nuovi disegni di santità, perché l’Europa ha bisogno soprattutto di quella particolare santità che il momento presente esige, originale quindi e in qualche modo senza precedenti. Occorrono persone, capaci di “gettare ponti” per unire sempre più le Chiese e i popoli d’Europa e per riconciliare gli animi. Occorrono “padri” e “madri” aperti alla vita e al dono della vita; sposi e spose che testimonino e celebrino la bellezza dell’amore umano benedetto da Dio. Persone capaci di dialogo e di “carità culturale”, per la trasmissione del messaggio cristiano mediante i linguaggi della nostra società.

L’Europa ha bisogno di nuovi confessori della fede e della bellezza del credere, di testimoni che siano credenti credibili, coraggiosi fino al sangue, di vergini che non siano tali solo per se stessi, ma che sappiano indicare a tutti quella verginità che è nel cuore d’ognuno e che

rimanda immediatamente all’Eterno, fonte d’ogni amore.

La nostra terra è avida non solo di persone sante, ma di comunità sante, così innamorate della Chiesa e del mondo da saper presentare al mondo stesso una Chiesa libera, aperta, dinamica, presente nella storia odierna d’Europa, vicina ai dolori della gente, accogliente verso tutti, promotrice della giustizia, attenta ai poveri, non preoccupata della sua minoranza numerica né di porre paletti di confine alla propria azione, non spaventata dal clima di scristianizzazione sociale (reale ma forse non così radicale e generale) né dalla scarsità (spesso solo apparente) dei risultati.

Sarà questa la nuova santità capace di rievangelizzare l’Europa e di costruire la nuova Europa!” (Congregazione per l’Educazione Cattolica - Pontificia Opera per le Vocazioni Ecclesiastiche, Nuove vocazioni per una nuova Europa. In verbo tuo … Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa, Roma 08/12/1997, n. 12).

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beato giuseppe allamano sr. irene stefani

CONFIDENZA, FAMILIARITÀ, DOLCEZZA, FIDUCIAIL SERvIZIO DELL’AUTORITÀ

Padre Stefano Camerlengo, padre generale IMC

Le parole poste al inizio di questa presentazione sottolineano, insieme a varie altre, il comportamento abituale del Beato Giuseppe Allamano nel trattare con le persone, e riassumano la raccomandazione costantemente fatta ai suoi missionari e missionarie.

1. Allamano Padre.

Chi rievoca la figura dell’Allamano ne mette soprattutto in risalto la paternità. È la caratteristica maggiormente ripetuta su di lui come Superiore. Era padre dal «cuore amoroso, pieno di santa premura per i suoi figli e si dice felice soltanto quando li vede al sicuro». Padre benevolo, al quale ci si sentiva portati ad aprire completamente l’anima in piena confidenza.

Fin dai primi anni di sacerdozio, quando fu Direttore spirituale in seminario, i giovani trovarono in lui «la buona mamma dei chierici», «l’angelo consolatore», colui «che teneva nelle sue mani i cuori». Per questo riusciva ad ottenere con la persuasione, con l’affabilità e la dolcezza. Secondo il sistema piuttosto rigido dei seminari del tempo, non trascurava la correzione, ma la terminava sempre con la parola benevola, tutta sua, che consolava. E anche i giovani affermano che si trattenevano dal commettere «quelle innocenti sciocchezze proprie della gioventù

per non recargli dispiacere. Tanto era il rispetto e l’amore che avevano per il loro educatore. E pure alcuni che furono dimessi dal seminario, ebbero a dire: “ci ha licenziati in modo tale che ne siamo commossi e l’abbiamo ringraziato”».

L’Allamano seppe anche allentare le tensioni, ottenere il rispetto delle norme disciplinari e dell’autorità, creare serenità. «Con il suo fare paterno», «con la sua dolcezza sapeva temperare la rigidità di governo del Rettore». L’Allamano aveva grande rispetto per l’autorità del Rettore e «malgrado tutto l’ascendente che aveva sui chierici non suscitò alcun dualismo fra sé e il Rettore» che egli riteneva l’unica e vera autorità nel seminario dopo l’arcivescovo. E il can. Soldati «ricorreva volentieri all’opera moderatrice dell’Allamano quando si accorgeva di essersi lasciato trasportare dal suo carattere impulsivo». Così superarono dissensi e contrapposizioni che spesso si verificano in casi simili.

Ne nacque una profonda amicizia, come in tutte le altre sue attività di collaborazione. Questa esperienza andò a vantaggio dell’Allamano stesso, che approfondì la caratteristica che sempre dimostrò nei suoi compiti di governo: esigente nelle proposte e nell’osservanza delle regole, ma comprensivo delle persone, delle loro capacità, debolezze, stanchezze e

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condizionamenti vari. Forte e dolce insieme; fermo nei principi, umanissimo e paterno nell’applicarli. E sarà pure il criterio che proporrà ai superiori dell’Istituto: ammonire, correggere, richiamare alla fedeltà della propria vocazione e missione, ma sempre in modo benigno, dolce e paterno.

Stesso comportamento alla Consolata. Presta attenzione ai religiosi addetti al santuario e ai sacerdoti anziani. Quando non li vedeva, andava a trovarli in camera, portava il cibo, riordinava la stanza, “facendo da infermiere e un po’ di tutto”.

«Trattava i convittori come un buon padre, interessandosi delle loro condizioni economiche, e riducendo la già tenue retta di pensione, e pure concedendone a parecchi una totale dispensa. In casi pietosi sovveniva le stesse famiglie dei convittori» (F. Perlo).

«Si interessava anche delle minime richieste; ascoltava tutte le difficoltà; era tutto per l’individuo con cui trattava; non dimostrava noia alcuna, né preoccupazione per aver altro da fare, né paura di perder tempo, sembrava non avesse

altro pensiero. Quando il visitatore gli aveva esposto il motivo della visita, egli rispondeva, dava il consiglio, la direzione, ma con un fare così paterno e persuasivo che si usciva dal colloquio con la convinzione di essere stati compresi, e che la via tracciata era proprio quella da seguire, perché voluta da Dio, che aveva parlato per bocca del suo ministro» (G. Cappella).

Così all’Istituto. «Si preoccupava delle minime necessità materiali e spirituali di ognuno. Si interessava grandemente dei parenti dei membri dell’Istituto, specialmente delle loro mamme. E quando avvertiva qualche necessità, senza esserne pregato, sovveniva con larga generosità» (G. Barlassina). Era sempre lui a lenire la piaga quando nella famiglia del missionario succedeva qualche disgrazia.

2. Esortazioni ai missionari.

Per l’Allamano, la dolcezza e la mansuetudine sono virtù indispensabili per tutti coloro che devono trattare con il prossimo. Già nel primo Regolamento dell’Istituto propone: «Ad esempio del Divin Maestro che era mite e umile di cuore, (i missionari) usino grande carità, mansuetudine, longanimità nel trattare con gli indigeni; si prestino con affabilità a curare le malattie» senza distinzione tra cristiani e non convertiti (II, 16).

E vi ritorna spesso nelle sue lettere o esortazioni ai missionari e alle missionarie.

Ai missionari, il Beato Fondatore raccomanda: «siate “Missionari della bontà”, agite con la “bontà della vita”, con tenerezza, pazienza, umiltà, affabilità; senza asprezze, con “massima dolcezza”. Esorta a farsi conoscere come “diversi” per la “bontà della vita”, che è benevolenza, misericordia, facendo vedere che si vuol bene.

Fin dalla prima lettera circolare ai missionari in Africa scrive che: «non si attirano le anime con la durezza, con uno zelo amaro, col rinfacciare duramente gli errori, riprendere con asprezza i vizi. Ciò torna sovente più a danno che a utilità». E manifesta anche il suo “vivo

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dolore” nell’apprendere che non si trattarono con viscere di carità gli africani «e che talora si spinse l’impazienza fino ad alzare le mani e batterli. Vi accerto che ne fui addoloratissimo e ne provai una pena inesprimibile» (27.11.1903). E qualche anno più tardi ritorna sullo stesso argomento e attesta di aver piano per questo e ribadisce: «amateli questi poveri infelici, trattateli con bei modi ... e non perdendo la pazienza quando per ignoranza o testardaggine, non corrispondessero ai vostri desideri».

Così, tra i ricordi ai partenti raccomandava sempre la “mansuetudine”, unica virtù di cui Gesù dice specificamente di imitarlo e invitava a farne un proposito da rinnovare ogni mattina. Per lui, la dolcezza e la mansuetudine è virtù indispensabile per tutti coloro che devono trattare con il prossimo.

Questo ha in ricaduta nella attività missionaria. Secondo lo spirito dell’Allamano, quella del missionario è una spiritualità di presenza, con rapporti personali e attenzione all’altro. I primi missionari nel Kenya lo calarono nelle “decisioni di Murang’a”, soprattutto con l’impegno delle visite quotidiane ai villaggi per conoscere e contattare le persone, curare

gli ammalati, rendersi conto delle necessità, annunciare il vangelo. Ciò corrisponde a quanto proponeva il Fondatore:

-> abbiamo a cuore la gente, prestando attenzione alle necessità degli altri;

-> stiamo con loro specialmente dove c’è sofferenza, solitudine, violenza;

-> ci prendiamo cura dei più deboli e degli marginati; in una parola: vogliamo portare consolazione;

-> spandete il profumo dell’amore, facendo felici le persone.

Alle Missionarie dice che devono avere: «un cuore largo verso i suoi fratelli», «cuore grande e generoso», «cuore aperto», «cuore magnanimo per ogni miseria umana», «cuore pieno di amore per Dio». Ad alcune in partenza per l’Africa raccomandava: «lasciate il sapore dell’amore di Dio dovunque andrete, ma ancor più del prossimo» (III, 29). E ribadiva che «La missionaria in modo particolare deve avere un cuore largo verso i suoi fratelli», «cuore grande e generoso», «cuore aperto», «cuore magnanimo per ogni miseria umana», «cuore pieno di amore

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per Dio» (Conf. I, 86, 156, 346; II, 143).

È una delle caratteristiche della Ven. Sr. Irene Stefani, presto prima Beata degli Istituti missionari dell’Allamano. Mirabile è la sua dedizione caritatevole verso tutti, soprattutto i più bisognosi. Ma la sua attenzione alle persone non era disincarnata. Si dedicava agli altri con dedizione tutta materna, con bei modi, rispetto, delicatezza, dolcezza e affabilità, senza fare distinzioni. Questo colpì gli africani, che la soprannominarono, a sua insaputa, Nyaatha: “mamma tutta misericordia”, la misericordia personificata. Per loro è ancora oggi la Nyaatha, “la buona mamma che vuole bene a tutti”, “la segretaria dei poveri”, “l’angelo di carità”... e così via. È come una litania ripetuta che sintetizza il vivo ricordo di lei, le sue caratteristiche, il suo cuore, la realizzazione della sua convinzione che la missionaria «ha cuore per amare, mani per aiutare» e deve farlo con «sentimenti di misericordia, bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza».

3. Raccomandazioni ai Superiori.

La esortazione che con maggiore frequenza ritorna nelle lettere dell’Allamano a superiori e superiore è di: intervenire “colle belle maniere”, “con bel garbo”, con comando “fermo ma dolce”, “amorevolmente”, “con fermezza e benignità”.

Alla giovane superiora, Sr. Margherita De Maria, trasmette il suo spirito di padre: «abbi grande pazienza, incoraggiando, consolando, sempre correggendo maternamente... Fa coraggio a tutte... Raccomanda sempre grande carità, longanimità».

Alcune altre raccomandazioni nelle lettere a superiori/e:

- Fa loro coraggio; richiama in bei modi senza scoraggiare; sostieni la debolezza dei fratelli.

- Occorre pazientare, comprendere, correggere e animare perché si arrivi poco per volta a essere e vivere all’altezza della loro vocazione;

- Esortare a tenere sempre alto il morale e nessuno si scoraggi.

La stessa cosa ripete anche ai formatori. È loro dovere intervenire. Ma, “con belle maniere”, “in bel modo”, con fermezza e dolcezza. A questo riguardo, significativo è il richiamo al formatore Don Borio: «usi parole e modi amorevoli coi giovani. Non so come vada, ma in casa nostra c’è più timore che amore... Nelle correzioni private e pubbliche... e nel dare avvisi lasci le parole secche... Ciò non vuol dire che debba lasciar andare, no; è solo questione di modo e tempo opportuno: mai dare l’impressione di agire con improvvisazione e passione».

Esorta anche a “pazientare, compatire e scusare”. Si deve supporre che chi ha già affrontato tanti sacrifici non può essere tacciato di cattivo animo. A volte può sembrare che alcuni lo siano, «ma non lo sono, e presi in bel modo e tollerando un poco si rimettono a posto».

A questo riguardo a una giovane superiora scrive: «fa coraggio a te e a tutte. Sono giovani, facili a scoraggiarsi, ma buona volontà è in tutte, e il Signore le aiuterà. Tu continua con carità e longanimità a sostenerle; non tralasciando di ammonirle e correggerle finché si pongano all’altezza della loro vocazione».

Questo è il cuore del metodo educativo dell’Allamano.

“Farsi amare”. Dando il compito di formatore a P. Gallea, raccomandava: «Devi cercare di farti amare più che di farti temere». Non basta amare, bisogna far vedere che si ama. Da chi si sente amato si ottiene tutto. Il rapporto

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singolare del Padre Fondatore con i missionari lo evidenzia in modo superlativo e ammirevole. I missionari cresciuti al suo fianco hanno conservato scolpito nel cuore il suo ricordo. Avevano viva coscienza di aver trovato in lui «un vero padre, tutto amore per i figli», «un amato, amatissimo Padre». Hanno avuto per lui stima, confidenza piena, totale apertura di cuore; fiducia incondizionata, da rimettersi sempre alla sua parola, ritenendola espressione della volontà di Dio. Su questo rapporto di comunione e affetto, il Fondatore ha impostato le relazioni con le persone e la formazione. Per questo ebbe una grande forza di attrazione e una straordinaria efficacia e incisività.

«Alla domenica, dopo le funzioni, amava averci attorno a sè, ben vicino e familiarmente, come figli attorno al padre amato; si ascoltava senza fatica questi insegnamenti che sgorgavano pian piano ma fluenti dalle sue labbra e più dal suo cuore, e poi tutti insieme l’accompagnavamo fino al cancello della palazzina, ed ancora volevamo trattenerlo e dilungare di un po’ la gioia all’udire la sua voce, così paterna e suasiva, che ci lasciava in cuore una pace e una volontà di mettere in pratica i suoi insegnamenti» (B. Falda).

L’incontro comunitario veniva approfondito in quello individuale attraverso le lettere, i diari, le confidenze, l’interessamento per situazioni personali o famigliari, l’attenzione a tutti, per cui ognuno aveva l’impressione di essere oggetto della sua particolare attenzione.

Ciò provoca la cordiale apertura con lui, la fiducia e confidenza piena, l’adesione cordiale. E’ uno dei segreti della riuscita dell’opera missionaria dell’Istituto fondato dall’Allamano. Le sue parole avevano una straordinaria efficacia: bastavano a infondere coraggio, a far superare le difficoltà e indurre a perseverare nelle prove. «In questi frangenti - ricorda un missionario - erano balsamo al mio povero cuore le parole del venerato Rettore, ripetute molte volte familiarmente». Un altro, ricorda un momento di solitudine nella foresta africana e prosegue: «Colla mente e col cuore ritorno al caro Istituto, e colla mia fantasia passo questa serata col nostro amato padre». Un altro ancora gli scrive: «Mi farebbe oltremodo piacere un suo

scritto... E’ incalcolabile il bene e il coraggio che mi infonderebbe», «mi mette di buon umore».

Per una convinzione vissuta, l’Allamano esorta i formatori a “farsi amare”. Questo comporta un insieme di atteggiamenti: tratto umano, sensibilità da amico, capacità comunicativa, incontro personale, infondere fiducia e ottimismo.

E ha avuto un seguito anche nei suoi successori nella direzione dell’Istituto. Il Dr. Borla testimonia: «Non credo di esagerare affermando che dopo lo spirito dell’Allamano si possa parlare dello spirito di Barlassina, per i Missionari della Consolata e per molti altri. O meglio Barlassina fu la proiezione vissuta dello spirito dell’Allamano».

Questo si può applicare anche a altri. Lo si ritrova nei Capitoli e nelle circolari dei Superiori Generali, anche se l’insistenza è piuttosto sulla “solidarietà”, “la comunione”, la “armonia di intenti e di lavoro”. Ma per realizzare queste proposte che fanno parte del carisma e spirito del Fondatore, non bastano i propositi e desideri, occorrono i tre principi per i Superiori, indicati dall’Allamano stesso al Camisassa in visita al Kenya: «sincerità e confidenza; dolcezza e bontà; contatti personali».

E per l’impegno personale di ognuno, vi è un’altra sintesi, stilata da Sr. Irene Stefani: «Spirito di carità operosa/ di pietà/ e di dolcezza. Ecco tutto!». Un “tutto”, che è “il nostro distintivo”, “lo stampo”.

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le dieci abitazioni dell’ allamano

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A DIECI MIGLIA CIRCA DA TORINO...CASTELNUOvO E LA CASA PATERNA DEL FONDATORE

P. Francesco Pavese, IMCDa giovane sacerdote, il Fondatore tentò di scrivere la biografia dello zio don Cafasso, rimasta poi solo un manoscritto di 5 capitoli e di 33 pagine, perché come lui stesso confidò in seguito, si vide «incapace di ben esprimere la stima e la venerazione che osservavo in quanti l’avevano conosciuto». Iniziava questa biografia con una breve descrizione, di sapore manzoniano, del suo paese: «A dieci miglia circa da Torino, per quella parte che volge ad Oriente posa sull’estremo pendio di lunga collina a destra e a sinistra circondata da ridenti colli ricchi di vigneti che gli fanno nobile corona con davanti verdeggiante e deliziosa pianura, Castelnuovo d’Asti, paese assai considerevole pel numero dei suoi abitanti e piccolo centro di commercio e

di comodità pei molti paeselli che gli stanno vicini. Non è qui il luogo di parlare delle sue glorie antiche: come fosse in mano dei Signori Astesi nelle lunghe e terribili lotte feudali del Medio Evo un potentissimo Forte, ciò che indica il nome conservatoci».

Il card. C. Salotti, nella biografia del Cafasso dal titolo “La perla del cloro italiano”, descrive così il paese: «Castelnuovo d’Asti può dirsi un paese fortunato […]. Situato ai piedi di un ameno e fertile colle, che lo separa dai venti boreali, è composto da famiglie di lavoratori, che traggono sostentamento ed una certa agiatezza dall’onesto lavoro dei campi».

Davvero Castelnuovo è ritenuto un paese

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“fortunato”. Diede i natali nel 1811 a S. Giuseppe Cafasso; nel 1815 a S. Giovanni Bosco; bel 1838 al card. Giovanni Cagliero, salesiano e missionario in Patagonia; a mons. Giovanni Battista Bertagna, insigne moralista, professore al Convitto, vescovo ausiliare di Torino; a mons. Francesco Cagliero, Missionario della Consolata e Prefetto Apostolico dell’Iringa, in Tanzania; a mons. Matteo Filippello, vescovo di Ivrea. Al centro di questo lungo elenco, per noi è registrato il 21 gennaio 1851, data della nascita del nostro Fondatore!

Se si osserva la foto di Castelnuovo, come appariva al tempo dell’Allamano, si notano tre chiese con i loro campanili. A destra si intravede solo quella di S. Bartolomeo. Al centro appare meglio la parrocchiale di S. Andrea. In alto sulla sinistra, la Madonna del Castello, dove il Fondatore ha tenuto una predica da diacono. La casa paterna degli Allamano, che non si può vedere, si trova in basso, sulla destra della foto.

Tutti, però, conosciamo la sua casa in via G. Marconi, 6, costruita a due piani. È una casa di contadini, che, da come si presenta, dimostra una situazione di un decoroso livello economico. La famiglia del Fondatore non era ricca, ma neppure povera. Si entra nel cortile

da un portone in legno, in fondo ad un vicolo di pochi metri. La porta d’ingresso della casa introduce in una minuscola entrata a pian terreno: a sinistra la cucina, che serviva anche da sala da pranzo; a destra la stalla, che aveva l’entrata per gli animali direttamente dal cortile, abbastanza ampia, dove d’inverno la famiglia si rifugiava per riscaldarsi al tepore delle mucche. Dalla piccola entrata inizia la scala fino al primo piano: a destra ci sono due camere da letto. La prima è quella dei genitori, dove nacquero i figli. I mobili sicuramente corrispondevano a quelli che possiamo ammirare oggi, che sono del tempo. Uscendo dalla porta a vetri si accede ad un balcone in legno, che percorre metà della facciata. A sinistra della scala, un’ampia camera, forse dei figli. Uscendo da questa camera inizia un’altra rampa di scale che porta al secondo piano, con camere a destra e a sinistra, corrispondenti per dimensione a quelle del piano sottostante. Quella più ampia si può immaginare che servisse da magazzino, che in una casa di contadini era indispensabile per conservare i frutti di differenti coltivazioni fino alla consumazione in famiglia o alla vendita. Sulla parete sinistra di questa camera, in alto, si apre una botola che introduce ad un basso sottotetto. Di rimpetto a questo edificio, che

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costituiva la vera abitazione, al fondo del cortile, c’era una rustica costruzione, che dava sulla strada, la quale poteva servire per le masserizie e come fienile. Questa costruzione, in seguito, fu modificata in abitazione.

L’Allamano non si lamentò mai né della sua casa e né del suo paese. Che fosse felice di essere un “castelnovese” lo dicono molte cose: si è recato diverse volte durante la vita e ne ha parlato abbondantemente. Anche queste sue semplici parole sono interessanti: «Sono nato in quei luoghi, in mezzo alle vigne. Quando eravamo ragazzi andavamo a vedere che cosa facevano nelle vigne, a fare i curiosi, ma qualche volta ci cacciavano via, perché a quell’età imbrogliavamo solo. Però il mezzadro che avevamo era un buon vecchio e ci radunava tutti e ci spiegava. Io non ho mai fatto quel mestiere, ma mi pare che se mi mettessi imparerei subito». Il fatto che ci fosse un mezzadro indica che alla famiglia bastava la metà del ricavato per vivere con un certo decoro.

A Castelnuovo, salendo dalla piazza verso la parrocchia, ad un certo punto la strada si biforca: quella di sinistra porta alla casa natale del Cafasso. L’Allamano l’acquistò nel 1921. Nel 1925, quando il Cafasso venne beatificato, lo stesso Allamano fece porre sulla facciata una lapide a ricordo. È stato il P. G. Barlassina, superiore generale, a trasformare nel 1937 il primo piano in cappella.

Castelnuovo, oggi, si è ingrandito e molti edifici sono restaurati o fabbricati di recente. Al tempo del Fondatore le case e le strade erano sicuramente più modeste. Le chiese no, sono ancora quelle del suo tempo, eccetto la succursale della parrocchiale, una recente e bella costruzione nella parte bassa del paese, che agevola la partecipazione alle funzioni per quanti non possono percorrere le ripide salite che portano all’antica chiesa parrocchiale.

La casa del Fondatore fu restaurata, soprattutto all’interno, sotto la guida e i consigli del p. Giulio Cesare, in occasione della beatificazione nel 1990. Nel cortile è stata posta una statua in bronzo, alta 2 m., opera dello scultore M. Ventura, in atteggiamento di accoglienza. Copie della stessa statua si trovano anche altrove: in casa madre a Torino, ad Alpignano, nella casa

delle missionarie in corso Allamano, a Nepi e al Sagana in Kenya.

Recentemente nella casa si realizzò un’altra e più importante restaurazione, sotto la direzione del p. Valeriano Paitoni con la collaborazione del p. Orazio Anselmi. Venne inaugurata nella festa della Consolata del 2013. L’edificio che dà sulla strada fu praticamente rifatto. Al piano terreno una saloncino per accogliere i visitatori e offrire le prime spiegazioni; al piano superiore tre camere indipendenti, più una sala da pranzo con cucinino. Anche il cortile subì un profondo rifacimento. In esso domina la statua del Fondatore. Anche l’interno della casa paterna ebbe abbellimenti e grosse modifiche: nella cucina sono sistemati mobili d’epoca; la stalla è trasformata in cappella. Al primo paino, sulla sinistra della scala, c’è una sala che presenta la “vita dell’Allamano” con fotografie e l’attrezzatura per proiezioni. Oltre la camera da letto dei genitori, conservata intatta, si può ammirare una esposizione di oggetti e ricordi personali del Fondatore. Al secondo piano è rifatta la mostra missionaria, con fotografie e oggetti, a partire dai primi tempi, fino ad oggi.

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attivitÀ della direzione generale

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PORTARE FRUTTO IN TEMPI DIFFICILI!

P. Stefano Camerlengo, IMC

“Gli Istituti religiosi all’inizio furono per lo più fervorosi. Ma non tutti continuarono nel fervore, rientrò lo spirito mondano che prese il sopravvento. Che dire del nostro Istituto? Esso sussisterà; però domandiamoci: si manterrà sempre nel fervore? Ecco la grazie che dobbiamo chiedere incessantemente al Signore. Guai se si lascia decadere il fervore degli inizi... se un giorno lo spirito dell’Istituto dovesse venir meno, spero di farmi sentire dal paradiso!”

“Si ponga con animo all’opera non in via provvisoria ma stabile, come dovesse ciò fare per sempre; procuri di esaminare i posti e gli individui e secondo la lor idoneità li collochi al loro luogo; non si consumi in lavori e viaggi faticosi, ma operi per mezzo di tutti: è da prudente il sapere operare per mano altrui anche con qualche difetto nell’esito delle opere”. Beato Giuseppe Allamano

“Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla.”

La lettera di Giacomo, ribadisce che, anche nella prova più dura, c’è uno spiraglio per la gioia, perché la sofferenza irrobustisce la pazienza, che è il midollo della speranza ( Gc 1,2-4.12).

Missionari carissimi,

Grazie per l’accoglienza e la fraternità!

Anche se viviamo tempi difficili, si tratta di portare frutto, anche in stagioni apparentemente problematiche. Occorre attivarsi e mettere sulla tavola, i frutti del banchetto eucaristico: amicizia, fraternità, pace, giustizia, riconciliazione, pazienza e mitezza. Il senso della vita cristiana è “rendere grazie” anche all’interno di “giorni difficili”. Che questo tempo di “purificazione” sia di rinnovamento profondo e segno di entusiasmo ritrovato nella missione. Accogliamo con spirito disponibile ed aperto il messaggio del Papa Francesco ai consacrati nella lettera apostolica che presenta l’anno dedicato alla vita consacrata: “Non ripiegatevi su voi stessi, non lasciatevi asfissiare nelle piccole dispute della casa, non restate prigionieri dei problemi. Essi

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si risolvono se voi andate fuori ad aiutare gli altri e a risolvere i loro problemi e annunciare la buona novella. Voi troverete la vita donando la vita, la speranza donando speranza, l’amore amando” (Papa Francesco, Lettera apostolica a tutti i consacrati, anno dedicato alla vita religiosa, 30 novembre 2014-02 febbraio 2016!).

1. Missione da ripensare

Il nostro Istituto sta facendo una grande riflessione sulla missione e sul nostro modo di essere missionari per il futuro. Credo che questa riflessione deve toccare anche le nostre comunità ed ognuno di voi dovrebbe sentirsi coinvolto in questo cammino. Il contesto attuale della missione non è più lo stesso sia perché il paese è cambiato e sia perché noi anche siamo diversi, la situazione attuale ci conduce a un profondo, radicale ripensamento delle nostre strutture, della loro comprensione, delle nostre relazioni, dei nostri progetti e orizzonti. Per questa ferma decisione di ritornare alla missione e qualificarla maggiormente, non ci sono ricette, né modelli collaudati e approvati. Ci sono tuttavia alcuni compiti da assolvere con partecipazione e diligenza.

Il primo aspetto è quello di fare una riflessione sul tempo di crisi e di incertezza che stiamo vivendo, segnata da questo tempo di “purificazione”, dal profondo cambiamento generazionale e

geografico del personale missionario, dalle difficoltà economiche, dalla frammentazione dell’identità carismatica. Paradossalmente, questo momento, questa epoca può essere la migliore per riproporre il progetto originario della vita consacrata e della missione, proprio a partire dalla fragilità storica in cui essa si trova. Al contrario, quando i numeri diventano sinonimo di successo, il riconoscimento sociale è considerato un fine, la missione è misurata in base all’efficienza e alla visibilità, il rischio della vita religiosa consacrata e della missione è di cadere nella logica del mondo, di andare incontro a un drammatico processo di “paganizzazione” e di perdere il senso della trascendenza della nostra vocazione. I tempi attuali, pertanto, sono tempi di purificazione e di recupero dell’essenziale. È fondamentale non soccombere alla mediocrità e al compromesso, o alla tentazione di tornare al passato, dal momento che questo passato non esiste più.

In secondo luogo occorre accettare che molti nostri modi di fare la missione hanno fatto il loro tempo e hanno già compiuto il loro servizio. Oggi la situazione è completamente cambiata e chiama ad un uscita dai luoghi e dalle forme comuni. Questa uscita indica l’alto mare: “duc in altum”, “verso acque profonde” (Lc 5,4). Non sempre è necessario ristrutturarsi per essere più efficienti. Molte volte, il grande cambiamento è una semplice questione di riposizionamento.

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2. Missione da vivere insieme come fratelli

Certo che i differenti contesti di missione generarono varie forme di presenza dove l’essenziale non è una vita condivisa, ma una missione assunta in comune. La comunità non viene prima della missione come qualcosa di prestabilito: è costituita a partire dalla missione, nella sua esperienza spirituale e nei suoi aspetti concreti e istituzionali. Purtroppo non è questo ciò che avviene. La frattura tra la vita comunitaria e la missione è una delle principali ragioni della profonda crisi in cui ci troviamo oggi in generale in tutto l’Istituto. Senza dubbio, anche la missione si qualifica, in maniera decisa, quando avviene in comunità. Il mondo richiede, oggi, una testimonianza di comunione, di fraternità e di dialogo (Vc. 51), non solo come autentico servizio evangelico, ma anche come segno. Perciò, comprendere la missione come progetto comune non è solo una strategia per un’efficacia pastorale, ma è principalmente fedeltà all’imitazione del maestro, che ha voluto la missione in comunità, inviando i suoi discepoli a due a due (Mt 10,1-4). In essa si esprime l’impegno fondamentale contro ogni forma di dominio sull’altro, e la pratica assidua della fraternità, come manifestazione di una nuova logica di convivenza universale. La comunione e la condivisione annunciano l’effondersi dell’amore di Dio-Trinità nelle nostre vite, come un modo nuovo di ripensare

le relazioni con le persone, al di là di tutte le frontiere, per trasformare il mondo in una sola famiglia.

3. Missione con un stile povero e solidale

Un fondamentale aspetto dello stile cristiano del missionario del Vangelo è l’essenzialità, la sobrietà, la povertà nel cibo, nel vestito, nelle esigenze quotidiane e nelle relazioni interpersonali: «E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche» (Marco 6, 8-9).

«E ordinò loro»: è la prima volta, in Marco, che Gesù comanda qualcosa e non si limita a consigliare. Come a dire che è solo l’obbedienza a Gesù che giustifica e rende possibile la missione in povertà.

«Non portare nulla»: dunque distacco pieno dalle cose, povertà totale. Ma una povertà che è frutto e segno di una grande libertà interiore: quella libertà che ha in sé l’energia di superare ogni possibile preoccupazione terrena, perché emerga e domini l’unica, vera, grande “passione” alla quale il missionario obbedisce, la passione di annunciare, senza ostacoli e freni di qualsiasi genere, il Vangelo, la lieta notizia del

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Regno di Dio. Nulla, in realtà, è più importante e prioritario del Regno! Solo il Regno è il fatto decisivo per eccellenza: tutte le altre cose passano in secondo piano!

La povertà che il Signore richiede al missionario non può non interpellarci, sempre e in un modo più forte nelle attuali situazioni segnate dalla cultura consumistica, proprio in ordine alla credibilità e all’efficacia dell’annuncio del Vangelo. Solo una Chiesa povera è pienamente libera, e solo una Chiesa libera è veramente missionaria! E questo diciamo non solo dei singoli membri della Chiesa, ma anche delle singole comunità cristiane: delle nostre stesse parrocchie e realtà di Chiesa. In questo senso, non basta che la Chiesa sia attenta e sollecita verso i poveri. Deve passare da una “Chiesa per i poveri” a una “Chiesa povera”, nel senso evangelico del termine: povera perché non s’aggrappa ai potenti di questo mondo; povera perché pronta a disfarsi di inutili pesi; povera perché consapevole che il segreto della propria forza è la grazia di Dio; povera perché capace di usare mezzi umani con distacco e libertà.

Conclusione

Quanto descritto e condiviso è un ideale normativo nel quale fissare continuamente il nostro sguardo, nel senso più radicale e impegnativo, che richiede conversione. È una conversione che certamente tocca le stesse comunità, ma che, in definitiva, interpella e coinvolge sempre la singola persona. Non ci sarà l’auspicato, anzi il necessario rinnovamento, delle nostre comunità, se non ci sarà quello di ciascuno di noi, con tutto il peso e l’onore di una responsabilità personale insostituibile e indelegabile.

Imploriamo dal Signore la grazia di questa conversione! Con fiducia umile e salda, chiediamo a lui che, tra il dono e il compito missionario che ci affida e la fragile libertà umana di ciascuno di noi che gli risponde, non prevalgano mai la nostra infedeltà e la nostra miseria di uomini “plasmati di polvere”. Prevalgano sempre la sua fedeltà e la sua grandezza misericordiosa. Vinca la sua salvezza come “lieta notizia” per noi e per tutti. Sia, ancora e sempre, il suo Vangelo a

correre per le strade del mondo e a ricreare in novità il cuore di ogni uomo.

A tutti e ad ognuno: coraggio e avanti in Domino!

Fraternamente, padre Stefano Camerlengo, padre Generale

Roma gennaio 2015

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Nel 1926 l’eredità di guida dell’Istituto passò ad un uomo diverso dall’Allamano ma che aveva in comune con lui l’amore per le missioni, anche se le concepiva come una conquista continua ed una espansione inarrestabile: Mons. Filippo Perlo.

Monsignor Perlo applicò all’Italia il metodo da lui adottato in Africa, per accrescere il numero delle missioni. L’esigenza di sviluppare alcune strutture dell’Istituto nel paese d’origine era condivisa da tutti e in parte programmata anche dall’Allamano. Ciò offriva dunque al Superiore Generale la possibilità di far convergere le proprie energie su di un campo che gli era congeniale: in due anni diede mano all’ampliamento della Casa Madre, e fece aprire in tutta Italia centri di Animazione Vocazionale per ragazzi, secondo un piano di proporzioni grandiose che mirava ad un duplice scopo: accrescere il numero dei missionari ed ottenere mezzi abbondanti per il mantenimento e lo sviluppo dell’Istituto.

Durante il suo governo in Africa lavoravano 167 missionari e 164 suore, mentre in Italia si trovavano 220 tra sacerdoti, fratelli e chierici con 320 suore a cui andavano aggiunti 510 aspiranti per un totale di 1372 unità. Quelle che apparivano non erano però le sole realtà che caratterizzavano il governo di Mons. Perlo. Esse richiedevano un prezzo nascosto di sacrifici e malintesi che finì per mettere in crisi l’intera istituzione da lui guidata.

Tanto che il 2 gennaio 1929 arrivò nella Casa Madre di Torino il vescovo cappuccino mons. Luca Ermenegildo Pasetto che lesse ai superiori riuniti il decreto con cui Propaganda Fide li sospendeva dalle loro funzioni ora affidate a lui. Con questo atto iniziava il lungo periodo della Visita Apostolica all’Istituto che terminò solo nel 1933, quando con decreto del 28 giugno Propaganda Fide nominava p. Gaudenzio Barlassina, Prefetto Apostolico del

Kaffa, a Superiore Generale dell’Istituto.

La nomina di padre Gaudenzio Barlassina a Superiore Generale, non solo suscitò il consenso di tutto l’Istituto ma ritrovò un centro di unità, di identificazione, che lo fecero definire da molti come l’ideale continuatore dell’Allamano. Il suo programma si rivolge al recupero della dimensione “religiosa” dell’Istituto che egli si proponeva di rinvigorire ascoltando tutti, ma senza seguire il volere di tutti, anzi sforzandosi di non subire l’influenza di nessuno al di fuori di quella della spirito di Dio, come scrisse nella sua prima circolare.

Non era diverso da Mons. Perlo per dinamismo, amore alle missioni, senso dell’Istituto, ma era più sagace e più prudente: un impareggiabile uomo di relazioni e conoscitore delle persone. Aveva annunciato che avrebbe fatto il Superiore con il peso che aveva allora questa parola, e non ci rinunciò mai. I suoi primi atti di governo furono rivolti a riportare lo spirito di famiglia e la semplicità di rapporti tra i membri dell’Istituto.

Poi anche lui pensò ad allargare l’Istituto fuori dall’Africa, dove nessuno ipotizzava di estenderlo. In p. Gaudenzio Barlassina, l’idea di aprire all’Istituto la “strada dell’America”, era nata dal bisogno di trovare fonti economiche capaci di assicurarne un migliore assetto finanziario. Lo sviluppo dei territori di missione africani; la ristrutturazione delle case in Italia che, sebbene ridotte di numero dopo la Visita Apostolica, richiedevano somme ingenti per un equipaggiamento decoroso; la necessità di acquistarne delle nuove per rispondere ai bisogni emergenti; l’opportunità più volte avvertita di non concentrare gli investimenti dell’Istituto solo in Africa e in Italia erano ragioni valide per far pensare ad un paese oltre oceano.

Alle motivazioni economiche si aggiungeva anche l’intuizione alimentata con lo scambio di notizie tra gli istituti religiosi, che i paesi

TRATTI DESCRITTIvI DELLE GUIDE DEL NOSTRO ISTITUTO

DOPO L ‘ALLAMANOP. Stefano Camerlengo, IMC

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dell’America Latina, erano vivai di vocazioni. P. Barlassina capiva che l’Istituto voluto dall’Allamano non poteva avere frontiere, proprio perché aveva come scopo la missione che è intrinsecamente universale.

Ma anche solo guardando al campo già affidato all’Istituto non ci voleva molto per recepire la necessità di moltiplicare gli operai.

Il Capitolo Generale del 1949 segnò una tappa importante di questa “nuova” visione, soprattutto attraverso la mediazione del padre Domenico Fiorina, che in quell’assemblea fu eletto Superiore Generale.

Durante quel Capitolo, i Capitolari analizzarono la vita dell’Istituto, elaborarono uno statuto per le missioni e tenuto conto dello sviluppo del medesimo in vari Paesi, decisero l’istituzione delle “Delegazioni”, entità che pur conservando dei legami di unità con il centro, avrebbero goduto di una certa autonomia, assumendo ciascuna un particolare aspetto a seconda del paese in cui si trovava e del lavoro che i missionari svolgevano.

Ma in quell’assemblea fu soprattutto compreso il senso specifico delle nuove aperture e si percepì coscientemente la trasformazione dell’Istituto che esse avrebbero operato. In cambio, Torino

garantiva alle missioni la continuità di personale e di mezzi per portare avanti il processo iniziato.

Per giungere ad una profonda trasformazione del proprio ambiente il missionario aveva bisogno di pensare e di sentirsi in comunione. L’isolamento non avrebbe permesso il crescere delle idee; di certo invece ne avrebbe anticipato la morte.

Queste indicazioni del Capitolo si rivelarono a breve distanza estremamente intuitive poiché si avvicinò un momento della storia dell’Istituto in cui il processo di trasformazione si evidenziò come momento essenziale della attività missionaria: il tempo del travaglio per l’indipendenza e la sua accoglienza nei Paesi Africani.

All’apparenza meno evidente, ma forse ancor più profondo è stato il processo di trasformazione dell’ambiente e dell’Istituto operato in e dall’America Latina.

Espressione del tempo Conciliare è il padre Mario Bianchi, uomo dall’acuto pensiero, eletto superiore generale, della felice mano del p. Natale Giacobbe che vi trasfuse il pathos di un momento di grazia e di tanti membri del medesimo Capitolo che sentirono

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profondamente di essere convocati per un’assemblea speciale.

Tutti i Capitoli sono stati un momento importante della storia dell’Istituto, ma quello del ‘69 lo ha trasformato: nella sua comprensione della mutante realtà in cui era inserito, nella proposta di uno sguardo d’amore e non di sfida o di paura verso il mondo che cambiava, nel coraggio con cui gli propose di rinnovarsi e di fare una nuova missione appoggiandosi sulla forza del Vangelo e sul coraggio della incarnazione.

Esso metteva in guardia i missionari dal fare una missione che cedesse alla tentazione di gratificare se stessi, di farli sentire utili segnando così il divorzio tra la loro opera e una nuova umanità che camminava nel mondo.

Il Capitolo tracciava le seguenti linee essenziali per il rinnovamento a cui orientava l’Istituto: decisa affermazione della natura esclusivamente missionaria dell’Istituto; richiamo ad un rinnovamento interiore nello stile e nella tradizione del Fondatore; impostazione della vita religiosa nella prospettiva missionaria; rinnovamento della vita comunitaria; accentuazione della internazionalità dell’Istituto, mantenendo le caratteristiche missionarie della sua fondazione; volontà di accogliere e promuovere vocazioni missionarie anche nelle regioni di missione; affermazione che tutti i membri dell’Istituto formano una sola famiglia con pari diritti e doveri; applicazione dei principi di collegialità e sussidiarietà nei rapporti e nella vita dell’Istituto; volontà di continuare e di perfezionare l’attività missionaria con spirito di servizio nelle chiese locali; inserimento nelle comunità umane con piena solidarietà allo sviluppo dei popoli; disponibilità a collaborare con tutte le forze missionarie della Chiesa, in particolare con gli istituti missionari e con il clero locale; attuazione di nuove forme di collaborazione con i laici; accentuazione data ai problemi della formazione, come vitali per l’istituto; senso dell’ottimismo e della speranza come caratteristiche distintive del missionario (Atti pag. 18-19).

A supporto di queste indicazioni il Capitolo esortava tutto l’Istituto a un rinnovamento profondo poggiato su una continua ricerca e su

fiduciose sperimentazioni. Ciò avrebbe richiesto in tutti un grande spirito di apertura, un’ansia di ricerca che portasse a trovare vie nuove e il coraggio di abbandonare soluzioni e formule diventate inoperanti. Le sperimentazioni avrebbero esigito l’accordo e la collaborazione di tutti.

Seguendone lo spirito gli Atti del Capitolo produssero un paragrafo che oggi suona profezia. Il numero 160 diceva: “Il dovere missionario della Chiesa si estende pure alla rievangelizzazione delle comunità cristiane che si trovano in regresso, a motivo di una evangelizzazione superficiale o per mancanza di adeguata assistenza religiosa... l’attività pastorale si orienti alla formazione della fede personale adulta, operante e costantemente aggiornata; guidi i singoli e le comunità ad operare per il miglioramento delle condizioni attuali di vita, sostenendo i valori della giustizia e della fraternità con la testimonianza cristiana” (Atti pag. 76).

Le orme di questo Capitolo sono state ripercorse in quelli successivi. Le migliori intuizioni sono state codificate nel nuovo testo delle Costituzioni.

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L’afflato spirituale è riecheggiato in tante lettere del p. Mario Bianchi e del padre Giuseppe Inverardi.

La ricchezza di questo magistero per l’Istituto è stata raccolta nelle oltre mille pagine del volume “Consacrazione e Missione”. In esse vi si ritrova costantemente espresso che il bisogno di profondità attraversa oggi ogni interrogativo sulla missione che l’Istituto si pone. Infatti è il modo nuovo con cui la missione dell’Istituto si colloca nella realtà del mondo che le fa scoprire sempre un di più da raggiungere, un oltre da perseguire.

Tensioni politiche, difficoltà sociali, guerre e guerriglie, minacce e calunnie e sofferenze fisiche che hanno portato anche alla morte di alcuni missionari, hanno segnato la vita dell’Istituto in Mozambico, in Etiopia, nel Congo, a Roraima e in Colombia. Tuttavia, non ha vinto la paura ma l’amore per la gente alla quale infondere coraggio e speranza e con la quale condividere i rischi della vita.

Nonostante questa dimensione di martirio, l’Istituto ha voluto continuare a esprimere che la missione è un continuo andare oltre, ed ha così progettato l’apertura all’Asia. Preparata in antecedenza e formalmente decisa dal Capitolo del 1987 essa ebbe inizio nel gennaio 1988 con l’ invio di quattro missionari appartenenti a quattro nazionalità diverse. Nel desiderare e programmare tale presenza, l’Istituto aveva in mente i ricorrenti aspetti missionari che qualificano l’Asia.

Raccoglie i 2/3 dell’umanità, ha una piccola percentuale di cristiani, è il continente delle grandi religioni e culture con le quali cercare il dialogo, e ha zone di immensa povertà.

Guardando a questa realtà l’Istituto pensava a uno stile nuovo e complementare di fare missione. Ai pochi missionari parve evidente una sola certezza: la Corea, e per estensione l’Asia, richiedeva atteggiamenti missionari totalmente nuovi rispetto a quelli ritenuti da tempo tradizionali nell’opera dell’Istituto.

Nella sua relazione al Capitolo Generale del 1993, il Superiore Generale padre Giuseppe Inverardi, che terminava il suo secondo mandato,

presentava in questo modo gli aspetti importanti della realtà a cui l’Istituto era proteso: “Prima di poter operare delle scelte è importante conoscere il momento storico e i mutamenti in atto e prevedibili. Non è sapiente ignorare le interrelazioni tra aree geografiche diverse e tra le dimensioni del complesso tessuto della società. L’istituto vive e opera in un contesto che deve conoscere...”, padre Inverardi voleva spronare l’Istituto a cogliere i fermenti presenti nelle varie Chiese locali per rinnovare il cuore e lo zelo dei missionari stessi.

A loro riveniva il compito di una presenza missionaria sfrondata dalle strutture di un tempo ma chiaramente capace di donare speranza, propugnatrice di valori umani, morali e spirituali e solidale con i poveri. Si voleva soprattutto invitare ogni missionario a comprendere che era chiamato ad una profonda trasformazione.

Lo esigeva la realtà esterna indicata; lo evidenziavano le statistiche interne. La desiderabile proporzione numerica tra i continenti non si era mantenuta negli ultimi anni, né era ipotizzabile per l’immediato futuro. Mentre l’Africa sosteneva l’Istituto con un numero crescente di missionari, si erano impoverite l’Europa e il Nord America, incerta era divenuta l’America Latina e la Corea appariva ancora imponderabile.

La provenienza dei missionari non si prospettava senza conseguenze per il futuro: infatti la nuova geografia vocazionale avrebbe condizionato scelte, posti, attività, opere, valori, mezzi e stile con cui continuare la missione dell’Istituto considerando un valore la diversità dei membri dell’Istituto e la crescita della missione. Si può onestamente affermare che la visione del p. Inverardi sia passata nella sua problematicità come nei suoi segni di speranza a tutto l’Istituto.

Oggi, la realtà della missione ad gentes sta cambiando, a noi risentire il gusto, il valore, il peso e la gioia di una missione “che è solo agli inizi” e che sta a noi continuare!

Conclusione: il superiore esperto nell’attenzione!

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“Succederà quel che successe con quell’uomo partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ordinato al portiere di vigilare ”(Mc 13,34).

Si può pensare al superiore come il portiere del vangelo. La parabola fa la distinzione tra i personaggi: il padrone di casa, prima di assentarsi, ripartisce due tipi di responsabilità, secondo la categoria di coloro che rimangono in casa: ai “servi” affida a ciascuno un compito, mentre incaricherà il “portiere” di qualcosa di diverso: vigilare. Il portiere è al tempo stesso un uomo del “dentro” e del “fuori” e la sua missione è qualcosa di frontiera, di liminale.

Egli appartiene in un certo senso alla “casa” e, anche se non ne è il padrone, conosce bene le ricchezze che essa contiene ed ha la responsabilità di custodirle e difenderle. Mentre gli altri servi svolgono compiti all’interno, lui rimane in un posto che confina con l’esterno, con l’attenzione rivolta oltre le mura di casa, intensificando la sua attenzione per proteggerla e anche per riconoscere con la vista e l’udito il

ritorno atteso del padrone assente o le notizie che di lui possano portare altri.

Il suo signore gli ha affidato un compito di responsabilità delegandogli qualcosa di così importante come aprire o chiudere la porta, permettere o negare l’accesso alla casa: gli ha consegnato “il potere delle chiavi”. Non potremo sentirci come lui, proposti dalla comunità ad essere “uomini della porta”, collocati tra il dentro e il fuori e ai quali è stato affidato il compito di essere esperti nell’attenzione?

“Si esige una grande coerenza da parte di chi guida l’Istituto, le Circoscrizioni, le comunità. La persona chiamata ad esercitare l’autorità deve sapere che potrà farlo solo se essa per prima intraprende quel pellegrinaggio che conduce a cercare con intensità e rettitudine la volontà di Dio.

Vale per essa il consiglio che sant’Ignazio di Antiochia rivolgeva ad un suo confratello vescovo: « Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio ». L’autorità deve agire in modo che i fratelli o

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le sorelle possano percepire che essa, quando comanda, lo fa unicamente per obbedire a Dio. La venerazione per la volontà di Dio mantiene l’autorità in uno stato di umile ricerca, per far sì che il suo agire sia il più possibile conforme a quella santa volontà.

Sant’Agostino ricorda che colui che obbedisce compie sempre la volontà di Dio, non perché il comando dell’autorità sia necessariamente conforme alla volontà divina, ma perché è volontà di Dio che si obbedisca a chi presiede.

Ma l’autorità, per parte sua, deve ricercare assiduamente, con l’aiuto della preghiera, della riflessione e del consiglio altrui, ciò che veramente Dio vuole. In caso contrario il superiore, invece di rappresentare Dio, rischiano di mettersi temerariamente al suo posto.”

“Ogni autorità nella comunità cristiana non è un qualunque servizio di potere, è un modo di attuare la sequela di Colui che ha dichiarato di essere venuto: “ non per essere servito, ma per servire.” ( Mt. 20, 28 ) (Dal documento “Il servizio dell’autorità e l’obbedienza” n.9-12)

Siamo coscienti che il luogo privilegiato per formarci alla santità è la vita quotidiana della nostra missione, fatta di gioie e speranze, di limiti e debolezze, nelle sue varie forme ed espressioni. Si tratta di viverla a imitazione del Signore che “fece bene ogni cosa” (Mc. 7:37) con la convinzione che il “bene bisogna farlo bene e senza rumore” (VS 128 – 129). La Santità del nostro Istituto dipende dall’impegno di ogni missionario, sempre e ovunque.

Come il Beato Giuseppe Allamano ciascuno missionario è chiamato a diventare una sentinella di santità che scruta i segni del passaggio di Dio nella storia, li anticipa nella sua testimonianza, solidale con le attese e le preoccupazioni della gente. Come lui, il missionario abita lo spazio della speranza nell’umiltà e nella marginalità tra i poveri, dove la certezza dell’aurora è più trasparente.

Affidiamo il nostro impegno e iniziative a Maria, nostra Madre, la Consolata, modello di Santità alla sequela di suo Figlio Gesù, affinché la consolazione diventi annuncio della Buona Novella ai poveri, mirando alla promozione

umana, al benessere e alla felicità delle persone, liberandole da ogni schiavitù e sofferenza, dalla paura e dall’oppressione.

Immaginiamo che il portiere della parabola potrebbe dirci: “Vivete svegli e in attesa, non lasciate che la vostra attenzione venga meno: solo in essa si rivela l’immenso e silenzioso lavoro di Dio nel vostro stesso cuore e nel mondo. Lasciate la porta socchiusa perché entrino coloro che che la provvidenza vi ha affidato e coloro che vivono alle intemperie: il Signore che aspettate verrà a voi nascosto tra questi!”.

Coraggio e avanti in Domino!

Fatima, Consulta 2014

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UN BREvE MESSAGGIO DELLA MIA vISITA AL CONGOP. Rinaldo Cogliati, IMC

Breve storia del Congo

La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è un Paese ricchissimo dal punto di vista delle risorse del sottosuolo, ma decenni di conflitti devastanti e la cattiva gestione delle risorse da parte delle oligarchie al potere lo hanno reso uno dei Paesi più poveri e meno sviluppati al mondo. La maggioranza della popolazione lotta per la sopravvivenza sia nelle aree rurali del Paese, prive di infrastrutture, sia nelle periferie della megalopoli di Kinshasa, caratterizzate da degrado, miseria e AIDS.

Con una superficie pari a 2.345.410 chilometri quadrati, la Repubblica Democratica del Congo (RDC) è tra i più vasti paesi dell’Africa (il terzo dopo Sudan e Algeria), otto volte circa l’Italia e trentatré volte il Belgio, di cui è stato colonia. Attraversata dalla linea dell’Equatore, la RDC confina ad ovest con la Repubblica del Congo, a nord con la Repubblica Centrafricana e il Sudan, a est con l’Uganda, il Rwanda, il Burundi e la Tanzania e a sud con lo Zambia e l’Angola. Il clima, tipicamente tropicale, prevede due stagioni, quella delle piogge e quella secca. La popolazione, di oltre 62 milioni di abitanti, è prevalentemente bantu e conta oltre 300 gruppi etnici differenti. Le lingue nazionali, oltre al francese, sono lo swahili, il lingala, il kikongo e lo tshiluba. Le risorse del sottosuolo sono estremamente varie e presenti in grande quantità: coltan, cobalto, rame, niobio, tantalio, petrolio, diamanti, oro, argento, zinco, manganese, stagno, uranio, carbone e altri fanno della RD Congo uno dei Paesi potenzialmente più ricchi al mondo e, anche per questo, il Paese è da sempre scosso da conflitti devastanti culminati nelle guerre del 1997-2003.

Colonia belga dal 1908 (ma già prima considerato proprietà personale del Re Leopoldo II del Belgio), il Paese ottiene l’indipendenza nel 1960, ma a questa seguono anni di scontri armati e guerra civile, fino a quando, nel 1968, prende il potere Mobutu Sese Seko che ribattezza il paese Zaire e istituisce un trentennale regime

presidenziale, dove il MRP (Mouvement Populaire de la Rèvolution) è partito unico.

A questo regime, nel 1996, si oppone un’armata ribelle capitanata dal leader congolese Laurent Desiré Kabila e sostenuta dagli eserciti di Uganda e Rwanda, che invade il paese e che nel 1997 costringe Mobutu a fuggire: L.D. Kabila si proclama presidente e ricostituisce la “Repubblica Democratica del Congo”. Ma, una volta al potere, Kabila cerca di liberarsi degli alleati che gli hanno consentito la conquista del Paese. Questi quindi riprendono le armi, questa volta contro di lui e i suoi nuovi sostenitori, tra cui Zimbabwe, Angola, Chad e Namibia, e il Paese si spacca così in due: la parte ovest controllata dal governo di Kinshasa, appoggiato da Zimbabwe, Angola, Chad e Namibia, e la parte est controllata da un governo ribelle, con sede a Goma, appoggiato da Rwanda e Uganda.

La guerra che ne scaturisce viene paragonata da molti storici ad una guerra mondiale per il numero di Stati coinvolti e per il numero di vittime, oltre cinque milioni, ma soprattutto, aggrava ulteriormente la situazione di deterioramento delle infrastrutture e di povertà generale del Paese, già duramente provata dai trent'anni di Mobutismo che l'hanno resa una nazione allo sbando con i tassi di povertà tra i più alti del globo. L.D. Kabila viene assassinato, in circostanze mai del tutto chiarite, nel gennaio del 2001 e gli succede il figlio ventinovenne Joseph che guida un governo di transizione

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fino al 2006, durante il quale, grazie anche all’intervento delle forze della MONUC (la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite per la RDC), si riesce a permettere il rientro di grandi masse di sfollati nelle proprie zone di origine, a riallineare le numerose bande armate al potere politico locale e a raggiungere ed assistere con interventi umanitari tutte quelle popolazioni rimaste prigioniere di zone divenute impenetrabili a causa della guerra.

Nel 2006 si tengono quindi le prime elezioni democratiche nella storia della RD Congo dopo quelle del 1960, che confermano J. Kabila alla Presidenza, ma il Paese non riesce a raggiungere una piena stabilità. Infatti, nel Novembre del 2008, i disordini riprendono con particolare virulenza nella parte orientale del Paese (Kivu e Maniema): questo nuovo conflitto ha costretto migliaia di persone ad abbandonare i propri villaggi e si stima che i rifugiati in fuga dai massacri di novembre 2008 siano 250 mila. La forza di pace internazionale, presente in Congo con il più nutrito contingente ONU al mondo (17 mila unità tra peacekeepers e personale amministrativo) nulla ha potuto contro le forze ribelli e ha dovuto affrontare l'ostilità della popolazione esasperata e inferocita per i continui massacri a cui va soggetta. A questi disordini vanno sommati, nel nord del paese, le continue incursioni dell'ugandese Lord Resistance Army, a causa delle quali centinaia di congolesi stanno cercando rifugio a Isiro e altre città della Provincia Orientale.

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Presenza dei Missionari della Consolata

L'Istituto Missioni Consolata è attivo in queste realtà da anni, con un lavoro intenso di evangelizzazione e promozione umana. Dal 1972, ci troviamo nelle zone di Doruma e Wamba e dal 1974 siamo a Isiro. Questo appartiene alla zona nord del Congo. Stiamo lavorando con il centro nutrizionale di Gajen, l'ospedale di Neisu e tra i pigmei di Bayenga.

Nella zona sud del Congo, a patire dal 1984 siamo presenti a Kinshasa nella parrocchia di Mater Dei e st. Hilarie.

La chiesa del Congo, sebbene è una chiesa giovane per il tempo di evangelizzazione che ha avuto, ha già i suoi martiri, e il primo dicembre a Isiro abbiamo celebrato il cinquantesimo anniversario del martirio di suor ANUALITE Clementina (congolese) che fu uccisa proprio a Isiro.

In quest'occasione quasi tutti i vescovi del Congo sono venuti qui a Isiro per commemorare questa martire beatificata nel 1985 da papa San Giovanni Paolo II. Questa suora è morta nel 1964, a causa di una ribellione che ha fatto migliaia di morti tra i quali più di una cinquantina di missionari stranieri.

La gente che ho incontrato in questo mio viaggio, mi ha meravigliato per la loro voglia di conoscere sempre meglio la parola di Dio. Ricordo un vecchietto che era preoccupato, perché aveva la Bibbia, però non riusciva più a leggerla e mi ha chiesto il favore di trovargli degli occhiali che gli permettessero di nuovo la lettura. Con il missionario del posto siamo riusciti a rimediargli degli occhiali, e lui ben contento si era rimesso a leggere la Bibbia non solo per lui, ma anche per tutti gli altri della famiglia. Mi diceva: “ Sa padre, per me leggere la Bibbia è come respirare. Trovo in questo bel libro di Dio sempre un messaggio che mi da luce, pace e speranza. In casa, ho sempre avuto un tempo per riunire tutti gli altri della famiglia e leggergli a loro un brano. Adesso ero molto triste perché la vista non mi aiutava più, pero grazie agli occhiali che mi avete dato, riprenderò questo spazio per leggere con gli altri la Parola di Dio”.

Non vi nascondo la meraviglia e la gioia che ho provato al sentire questo anziano, che con le sue parole molto semplici mi ha rivelato la grandezza di Dio.

Pensando anche al mistero cristiano, dove vediamo che la Parola accettata con fede e amore si trasforma in vita, spero e prego il buon Dio che dia alla gente di questo popolo la forza di risollevarsi per vivere nella autentica dignità dei figli di Dio.

Purtroppo la Vita che viene da Dio è perseguitata ( ricordiamo la strage degli innocenti), e uno vede come anche qui molti innocenti cadono vittime degli egoismi del potere, pero siamo certi che il Signore interverrà a salvarci. Personalmente sono rimasto stupito e colpito anche dai missionari e laici ( alcuni anche italiani) che stanno donando la vita senza tante propagande e con l'unico desiderio di permettere a tutti una veda degna di essere chiamata tale.

Auguro a tutti voi di poter fare della Bibbia il vostro tesoro che vi permetta di ispirare la vostra Vera vita al confronto con Dio, dove la parola abbia ancora un senso e una responsabilità, e dove la fede vi stimoli a una coerenza.

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casa generaliziaGENNAIO 2015

P. Renzo Marcolongo, IMC

Riprendiamo la consueta relazione della vita vissuta in Casa Generalizia, e la iniziamo riportando la festa che abbiamo celebrato il 18 dicembre per i 50 anni di sacerdozio del padre Gaetano Mazzoleni a Bravetta. Alla sera praticamente tutta la comunità nostra si è unita a quella del seminario per ringraziare il Signore di tanti anni di servizio che padre Gaetano ha vissuto e celebrato. La cena condivisa è stata caratterizzata anche dalla distribuzione dei doni natalizi a tutti i presenti. Auguri Gaetano per tanti anni ancora nel ministero sacerdotale e nel servizio al Regno di Dio.

Il 19 dicembre, a sera, alcuni di noi partecipano in Piazza S. Pietro all’accensione delle luci dell’albero di Natale, alla inaugurazione del presepe e della nuova illuminazione della basilica di S. Pietro. L’albero, un abete bianco di 25 metri, è stato donato al Papa dalla provincia di Catanzaro, in Calabria.

Il presepe viene da Verona e propone l’allestimento scenico dell’opera lirica L’Elisir d’Amore di Gaetano Donizetti, usato all’Arena di Verona.

Con un suggestivo volo di drone è stata poi illuminata la Basilica di San Pietro. A permetterla è stato l’uso di una tecnologia tra le più avanzate, che coniuga risparmio di spesa e rispetto per l’ambiente. Il Gruppo Acea ha posizionato 340 lampade a “led” di dimensioni ridotte e ad alta efficienza, per la Cupola, il Tamburo, la Lanterna, le Cupole minori, la facciata, le finestre dell’Aula della Benedizioni, la Gloria dell’Altare Maggiore e il Baldacchino di San Pietro all’interno della Basilica, avvalendosi della professionalità di esperti rocciatori. Entro il 2015, le nuove luci saranno estese anche ad altre Basiliche, monumenti romani e, gradualmente, a tutta la città di Roma.

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Prima del giorno di Natale -preparato con la novena- molti di noi sono partiti per varie destinazioni: chi in parrocchie, chi nelle nostre case e chi a trovare amici e familiari.

Per questo la comunità si è ridotta all’osso e il giorno di Natale eravamo in 12 attorno alla tavola, con un buon clima di festa e con la presenza del superiore e amministratore generali che arrivarono il giorno stesso di Natale. Alcuni di noi hanno partecipato all’Angelus del Papa mescolati alle migliaia di persone che gremivano la piazza di san Pietro.

Dopo Natale c’è stata la calma: abbiamo continuato a servire le comunità delle suore; abbiamo accolto padri di passaggio (p. Juan José Olivares procedente dal Kenya e diretto in Argentina; p. Miano che urgentemente viaggiò in Kenya a visitare sua madre gravemente ammalata; il padre Pietro Plona in vacanza dal Brasile; p. Diamantino dal Mozambico) e il vescovo di Acqui Mons. Micchiardi con il suo vicario Generale.

La casa degli ospiti si riempie di amici e parenti dei missionari che vogliono trascorrere alcuni giorni a Roma.

L’anno nuovo ci vede impegnati a celebrare l’eucarestia nelle comunità di religiose. La notte di San Silvestro la celebriamo in refettorio fin verso le 10, poi ognuno per suo conto: chi a celebrare l’eucarestia della mezzanotte, chi a vedere i fuochi d’artificio e chi semplicemente a dormire. Il 2015 arriva comunque!

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Per l’Epifania la comunità è quasi al completo, mancano solo i giovani che sono andati a conoscere le nostre comunità in Piemonte. Per la domenica del Battesimo del Signore siamo tutti di ritorno, beh non proprio visto che padre Marini è partito per il Kenya il 10 gennaio e padre Stefano la domenica stessa, mentre padre Rinaldo si trova a Londra.

Vogliamo augurare a tutti un BUON 2015, che il Signore ci conceda quello che il nostro cuore desidera.

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vita nelle circoscrizioni

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Moz

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PROFISSãO DOS NOvIçOES DE LAULANE – MAPUTO

P. Diamantino Guapo Antunes, IMC

Esta manhã, dia 26 de Dezembro, na igreja da Comunidade de Nossa Senhora do Rosário de Laulane, os 14 noviços do noviciado IMC de São Paulo emitiram a profissão religiosa: 3 moçambicanos, 2 etíopes, 3 tanzanianos, 3 quenianos e 3 congoleses. A Eucaristia foi presidida pelo Superior Regional e concelebrada por quase todos os missionários da Consolata do Maputo. A cerimónia foi animada pelas religiosas de vários institutos religiosos e leigos das comunidades onde os noviços faziam serviço pastoral.

Se o ambiente vivido era de alegria pela consagração deste numeroso grupo de jovens a Jesus Cristo e ao seu Reino através da Profissão no Instituto Missionário da Consolata; por outro lado, era nítida uma sensação de tristeza por ser o último ano do funcionamento do noviciado de Laulane.

Duas décadas formando missionários

Inaugurado em 26 de Junho de 1994, a Casa de Laulane acolheu nesse dia os primeiros 11 noviços da Consolata que, em regime de provisoriedade, estavam a residir até então no Seminário Filosófico da Matola. A pouco e pouco, a nova casa foi tomando forma e beleza. Mas, à volta da casa, havia uma outra realidade que não deixou os missionários e noviços indiferentes. Um enorme bairro a rebentar pelas costuras em gente, problemas e projectos.

Decidiram então lançar-se á descoberta do bairro de Laulane. Conhecer onde e com quem se ia viver para uma inserção activa e dinâmica. Com os anos surgiram iniciativas apostólicas e sociais no bairro que fizeram da comunidade de

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Mozam

bicoLaulane um lugar de formação, espiritualidade e evangelização.

Em 20 anos de funcionamento, passaram por Laulane 202 jovens noviços de Moçambique, Congo, Quénia, Uganda, África do Sul, Tanzânia e Etiópia. Destes, cerca de metade são hoje missionários da Consolata e trabalham em África, América, Europa e Ásia. Um dos primeiros noviços, Inácio Saúre, depois de ter sido Mestre do noviciado recebeu a plenitude do sacerdote e hoje é Bispo de Tete. Três, já sacerdotes, partiram para a Casa do pai: P. Valentim Eduardo Camale, P. Jacinto António Omar e P. Bruno Amerikani. Foram mestres do Noviciado: P. Norberto Louro (1994-1998), P. João Nascimento (1999-2008), P. Rogélio Alarcon (2004), P. Inácio Saúre (2009-2012) e P. Fredrick Agalo (2012-2014). A formação e o ambiente do noviciado foi sempre considerado dentro e fora do Instituto como de grande qualidade.

Laulane uma história com futuro: O Centro de Espiritualidade e Missão

Encerrado o noviciado, o que fazer com a estruturas existentes, sobretudo como valorizar o rico património missionário consolatino adquirido nestes anos. Nasce a ideia de criar um Centro de Espiritualidade e Missão com o objectivo de prestar um serviço qualificado à Igreja local, sobretudo às paróquias e congregações religiosas. Esta iniciativa, amadurecida nestes meses, teria os seguintes objectivos:

1. Valorizar e dar continuidade a uma presença dos Missionários da Consolata com características de acolhimento, espiritualidade e evangelização;

2. Oferecer espaços e tempos de silêncio para dias de retiro, reflexão, formação e oração para religiosos/as numa linha missionária, endereçados a grupos ou indivíduos.

3. Organizar cursos de

formação permanente e inserção missionária.

4. Ajudar os jovens e os adultos das paróquias da arquidiocese do Maputo a aprofundar a sua fé numa perspectiva missionária.

5. Acolher também outros grupos organizados (congregações, movimentos, paróquias) para períodos de reflexão orientados por eles mesmos.

6. Apresentar algumas iniciativas de espiritualidade missionária dirigidas a todos os públicos, jovens e adultos.

7. Serviço pastoral na comunidade de Nossa Senhora do Rosário: criada a paróquia, os Missionários da Consolata poderia assumir a sua cura pastoral.

Neste momento estamos a constituir a equipa missionária que irá dinamizar o Centro de Espiritualidade e Missão e em diálogo com a arquidiocese de Maputo em vista da oficialização e reconhecimento do Centro.

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Cor

eaORDINAZIONE SACERDOTALE

DI IM SANG HUN MARCOS

Dal giorno 6 di gennaio la Delegazione Corea dei Missionari della Consolata ha un nuovo sacerdote missionario.

P. Marcos ,il sesto missionario coreano ad essere ordinato sacerdote, è naturale di Busan una città a sudest del Paese da dove son venuti famiglia e amici, dopo cinque ore di viaggio.

La celebrazione si è realizzata nel Namdong Gymnasium nella diocesi di Incheon dove siamo presenti con la nostra sede della Delegazione. Con lui sono stati ordinati 7 sacerdoti e 13 diaconi, per l’imposizione delle mani del vescovo Boniface Choi Ki-San e del suo ausiliare John Baptist Jung Shin-chul. Erano presenti più di 7000 cristiani delle varie

parrocchie della diocesi e anche molti dei nostri collaboratori e amici.

Dopo la celebrazione abbiamo continuato la festa nella nostra sede di Delegazione a Yeokgok assieme ai nostri amici, collaboratori e familiari del neo-presbitero.

In questa prossima domenica 11 di gennaio abbiamo la continuazione di questa grande festa con la realizzazione della sua prima messa nella sua parrocchia di appartenenza in Busan.

Ringraziamo al Signore per questo Suo dono al nostro Istituto e auguriamo al novello sacerdote una buona e fruttuosa missione in Argentina, dove è stato destinato.

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Kenya

vISITA CANONICA ALLA REGIONE KENyA-UGANDA P. Marco Marini, IMC

Dal 12 Gennaio al 28 Febbraio 2015 avrà luogo la visita canonica da parte della Direzione Generale nella regione Kenya-Uganda. Il Superiore Generale coadiuvato dal Vice Superiore Generale, P. Dietrich Pendawazima e P. Marco Marini, Consigliere Generale per L’Africa, visiteranno le comunità di quella che è la più grande circoscrizione IMC nel continente Africano.

Le nostre Costituzioni a riguardo della visita canonica dicono che “è occasione di incontro, revisione, esame dei problemi, momento di riflessione e di rinnovamento” (121). La visita canonica da’ la possibilità a tutti missionari di incontrare la Direzione Generale ed in particolare il Superiore Generale; è un momento di Grazia e di incontro tra fratelli, che rinnova e rinsalda il vincolo di comunione e il sentire come famiglia, voluto dal Beato Giuseppe Allamano per i suoi missionari. Normalmente la visita canonica avviene una volta sola in ogni circoscrizione nel sessennio della Direzione Generale. La Direzione Generale presente, consapevole dell’importanza dell’incontro con i missionari, ha voluto, ad experimentum, “estendere la visita canonica” ad ogni incontro che i membri della Direzione Generale hanno con i missionari per “avere più tempo per far dialogare le comunità con la Direzione Generale; creare incontri basati

su relazioni vere e non solo “ufficiali e formali”; trovare altre strade di comunicazione e dialogo, pur nel rispetto del valore giuridico della visita canonica”(Passare all’altra riva).

Chi conosce la geografia, sa che il territorio è vasto, e tanti saranno i chilometri se si dovranno percorrere, in auto ed in aereo, per raggiungere le varie comunità sparse nel territorio. Alcune di queste sono nuove, aperte di recente in zone dove non eravamo presenti in precedenza: Bukaya, vicino la città di Mumias, nella Diocesi di Kakamega, Kenya; Malindi town, nella costa a Nord di Mombasa, nella omonima Diocesi di Malindi.

La regione ha una presenza considerevole di studenti in formazione, più di 120 studenti nell’intero arco della formazione di base, è ciò richiederà tempo ed attenzione. Assieme ai giovani si incontreranno i missionari anziani, 38 sono i missionari con più di 70 anni, tutti Europei. I missionari professi perpetui della regione sono circa 130, di questi 80 (61%) sono nativi della regione Kenya-Uganda, ed è un numero che continuerà a crescere nel futuro.

Il Kenya e l’Uganda sono tra quegli stati Africani che hanno innescato un processo di sviluppo economico che sta cambiando sostanzialmente i due paesi. Certamente questo promette bene

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Ken

yaper il futuro dei due paesi, se questa rinnovata ricchezza arriverà a tutti e non solo ad alcuni settori della società. Il Kenya confina con la Somalia, e noi tutti siamo al corrente dei difficili rapporti tra questi due paesi, della presenza dell’esercito Keniano in zone della Somalia anteriormente controllate da “Al-Shabaab” e dell’estremismo islamico che di tanto in tanto alza la testa e fa stragi di innocenti, colpevoli solo di non appartenere all’Islam.

Il Kenya è dove il sogno di missione dell’Allamano si è concretizzato, dove i primi missionari hanno iniziato ad evangelizzare, ed è il luogo dove la prima missionaria della Consolata verrà beatificata, Sr. Irene Stefani, nel Maggio del 2015. Circa 110 anni fà veniva celebrata la prima conferenza di Muranga che ha segnato le scelte e lo stile di missione dei missionari in questo paese. La storia dei missionari e missionarie della Consolata in Kenya è ricca di eventi di grazia, di fede, di donazione e fedeltà alla missione, così come voleva l’Allamano. L’augurio è che questa visita canonica sia di aiuto nel continuare a percorrere il solco tracciato dai nostri primi missionari alla luce del rinnovamento e riqualificazione che ci sono richiesti dalle sfide di un mondo che sta cambiando, e da Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium.

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Colom

bia COLOMBIA, TERRA AMATA!

P. Angelo Casadei, IMC

Sono rientrato in Colombia il 30 novembre, all’inizio dell’Avvento.

Come sono arrivato non ho avuto il tempo neanche di disfare le valige che subito sono partito per visitare le varie comunità.

Il primo è stato il padre Antonio Marini di 87 anni, malato di cancro ai polmoni.

Sono andato fino a Florencia al sud della Colombia, e ho trascorso con lui due giorni molto forti.

Un uomo che ha dato 62 anni della sua vita alla missione e in Colombia in un territorio di prima linea. Uomo di preghiera di saldi valori evangelici con un’attenzione particolare agli ultimi: in modo particolare ai bambini abbandonati e bisognosi, costruendo e dirigendo per 40 anni un Centro di Formazione ed Educazione “Hogar del niño”.

Prima di salutare questo grande missionario ho chiesto la sua benedizione e, senza tante parole

ha alzato la sua mano con autorità e tirando fuori tutta la voce che aveva mi ha benedetto con il nome della Santissima Trinità.

Quella benedizione è entrata nel profondo del mio essere, ricevuta da un uomo di Dio che in tutta la sua vita non ha fatto altro che benedire; lì ho trovato la sintesi di tutta la sua vita: annunciare al mondo un Dio misericordioso che vuole che tutti si salvino, partendo dai più piccoli, dai più indifesi: i bambini abbandonati.

Il padre Antonio Marini muore qualche giorno dopo lasciando una grande testimonianza nel clero locale, nelle tante persone che ha conosciuto e soprattutto in quei bambini che ha cresciuto nell’ “Hogar del niño” che, oggi adulti, lo ringraziano soprattutto per l’aiuto umano e spirituale che hanno ricevuto.

“A los 87 años de vida, 53 de los cuales entregó al Caquetá, dio su paso a la casa celestial el P. Antonio Marini, otro de los misioneros de la Consolata que quiso donar su última dosis de fuerzas a la misión en este territorio. Ni siquiera la enfermedad que lo agobió durante los últimos años logro motivarlo para partir a su tierra natal como se lo habían pedido sus Superiores.

Tenía su corazón puesto en el servicio a los niños víctimas de la violencia, en quienes veía el rostro de Cristo que pedía ayuda mientras que la sociedad indolente hacía oídos sordos a su clamor.

Por eso creó el Hogar del Niño en el que no sólo les brindaban alimento, vestido, techo y amor sino que les enseñaba los valores fundamentales para la persona humana, las virtudes cristianas y la pasión por el trabajo. No en vano cultivaba con ellos la huerta donde aprendían técnicas agrícolas y obtenían productos para su sustento.

Llegó al Caquetá a comienzos de los años sesenta, aun con recuerdos de la segunda guerra mundial vivida en Europa, y se encontró

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Col

ombi

a

con oleadas de colonos que presionados por la violencia del interior del país, venían buscando en estas tierras un refugio de paz. Y como ellos se enamoró de esta región y sus gentes y se entregó a su misión evangelizadora.

Luego de una corta estadía en Florencia, fue a la misión al Orteguaza Medio, en la región de Milàn. Allí estuvo durante varios años en La Rastra, internado para hijos de los Colonos. Posteriormente pasó a Santuario, Caquetá, donde fue párroco y director fundador del Hogar del Niño.

Hace algunos años recibió el Coreguaje de Oro, galardón del gobierno departamental a quienes trabajan por el desarrollo regional. Pero más que honores lo que él siempre buscaba era el compromiso de las autoridades y ciudadanía en general con su obra en favor de los niños huérfanos de la violencia » (Diocesis de Florencia).

Dopo tanto viaggiare sono rientrato a Bogotá alla vigilia di Natale e ho passato per la prima volta le festività natalizie in questa immensa città che offre ogni tipo di situazione sia bella che a volte triste.

La notte dell’ultimo dell’anno andando a piedi a celebrare la Santa Messa in un anzianato vicino a casa nostra, non sapendo dove si trovava di preciso, chiedevo informazioni alle persone che incontravo nel cammino.

Ad un certo punto un signore dall’altra parte della strada in bicicletta mi grida:

“Chi sei?”

Gli dico: “Un sacerdote”

“Da che paese vieni?”

“Dall’Italia”

“Dove vai”?

“A celebrare la Santa Messa”

“Dove”?

“Nella casa di riposo gestito dalle suore”

“Ti accompagno”

Prima di arrivare a destinazione, in un angolo della strada si mette in ginocchio e mi dice:

“Mi confessi” e, dopo aver confessato i peccati, stendo la mano per dagli l’assoluzione.

Lui appoggia la sua mano ruvida sulla mia e con l’altra, ad una certa distanza, continua a sostenere la sua sigaretta ancora accesa.

Poi si alza in piedi, mi chiede la benedizione e mi dice:

“Mi chiamo Manuel, preghi per me nella Messa”, e se ne va con la bicicletta fumandosi la sua sigaretta.

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Questa è una delle tante scene “curiose” che s’incontrano nel nostro ministero sacerdotale per le strade di questo bel paese colombiano ricco di contraddizioni, dove la violenza è presente in ogni angolo del paese, però allo stesso tempo la gente e’ cordialissima, allegra e generosa.

Da domani continuerò il mio cammino per le

strade di Colombia visitando le nostre comunità missionarie come incaricato di coordinare la Regione Colombia – Ecuador dei missionari della Consolata presenti in questo territorio dal 1947, che nella misura in cui termina la nostra missione in una zona ci spostiamo verso un altra più dimenticata e bisognosa.

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a“¿POR QUÉ NO ENTRAR TAMBIÉN NOSOTROS

EN ESE RIO DE LA ALEGRÍA?” EG 5P. Oscar Javier Medina, IMC.

Un grupo de 44 misioneros de la Consolata nos hemos reunido en Bucaramanga los días 19-23 de enero para compartir en el Espíritu. La invitación de la Dirección Regional para estos retiros espirituales 2015 ha sido un éxito ya desde la respuesta de los misioneros con deseos de encontrarse, compartir y orar juntos como familia Colombia-Ecuador. El predicador, p. Javier Alexis Gil Henao, joven sacerdote diocesano y secretario de las OMP perteneciente al clero de la diócesis de Garzón y ya alumno en la Urbaniana del p. Trevisiol e hijo espiritual del p. Marconcini en el Collegio San Paolo, ha querido orientarnos con la exhortación apostólica Evangelii Gaudium de una manera orante, reflexiva y participativa.

El p. Alexis desde el primer momento ha enfatizado que con “Jesucristo siempre nace y renace la alegría” (EG 1) y que ésta “alegría no se vive del mismo modo en todas las etapas y circunstancias de la vida, a veces muy duras, sino que ésta se adapta y se transforma, y siempre permanece al menos como un brote de luz que nace de la certeza personal de ser infinitamente amado más allá de todo” (EG 6). De esta manera el hilo conductor del retiro fue la alegría del Evangelio, de creer y seguir a Jesucristo como inspiración para la renovación y la reparación. El día miércoles fue dedicado a celebrar el perdón. De hecho el predicador nos invitó a vivir un momento penitencial

en el cenit de la jornada recordándonos que “Dios no se cansa nunca de perdonar, somos nosotros los que nos cansamos de acudir a su misericordia […] y que “nadie podrá quitarnos la dignidad que nos otorga este amor infinito e inquebrantable” (EG 3).

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Este encuentro fraterno acompañado por un clima muy agradable en la Ciudad Bonita fue transcurriendo enmarcado por otros acontecimientos como la celebración de los 50 años de sacerdocio, jubileo, del p. Ezio María Guadalupe Roattino y los 25 años de profesión religiosa de los padres Javier Velasquez, Alonso Alvarez, Ricardo Bocanegra, Benjamín Martinez y Carlos Zuluaga. Esta dicha fue solemnizada con la santa misa en la parroquia de la Consolata con un templo lleno del fervor que inspira la misión y el amor a nuestra familia misionera. Otro momento significativo fue la celebración del cumpleaños de los padres Carlos Zuluaga, Claudio Brualdi y Fiorenzo Seveso, además, de la presentación de los nuevos padres llegados a la Región, Walter y John.

El último día de los retiros el predicador nos invitó a compartir el fruto de nuestra oración-reflexión espiritual. Una gran parte de misioneros tomó la palabra y compartió aquello que el Espíritu le había suscitado durante estos días de encuentro con él y en él. Luego de esto, al final de la sesión la dirección regional nos comunicó algunas de

la últimas novedades regionales y al ritmo de “nos envías por el mundo a anunciar la Buena Nueva”, concluyendo con la santa misa, nos dimos cita a la asamblea sobre la formación que tendremos en Bogotá la segunda semana de Pascua.

Un gracias a todos los misioneros por su participación y a la comunidad IMC Bucaramanga por la acogida afectuosa y efectiva. Otro gracias a la dirección regional por la organización de estos retiros espirituales y congregar comunidad. María, nuestra madre Consolata que “sabe transformar una cueva de animales en la casa de Jesús, con unos pobres pañales y una montaña de ternura […] Ella, la misionera que se acerca a nosotros para acompañarnos por la vida, abriendo los corazones a la fe con su cariño materno” (EG 286) interceda por nosotros.

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iaCOMUNICAZIONE N° 5 – 2015

P. Michelangelo Piovano, IMC

Celebrando oggi la memoria della nascita del Beato Allamano, siamo stati a Castelnuovo per una celebrazione eucaristica nella sua casa natale. Abbiamo ringraziato il Signore per il dono del nostro fondatore nato in quel luogo 164 anni fa. Erano anche presenti alcune missionarie della Consolata ed un gruppo di fedeli del paese con il loro parroco. Lo abbiamo pregato per i nostri Istituti in questo anno che, assieme a Sr. Irene, è ancora stato scelto come patrono speciale. Padre Pavese nella sua omelia ha ricordato alcuni pensieri e riflessioni che l’Allamano condivideva quando celebravano il suo compleanno.

Ci prepariamo inoltre a celebrare, venerdì 23 gennaio, il “secolo” di Padre Bartolomeo Malaspina, nato nel 1915 a Sezzadio (AL). Ringraziamo con lui il Signore per il dono dei suoi 100 anni. La sua lunga esistenza e vita missionaria, come cappellano militare, prigioniero di guerra, insegnante e formatore di generazioni di confratelli. A partire dagli anni Sessanta ha lavorato al Museo Etnografico e di Scienze naturali dell’Istituto

facendone la sua vita, la sua missione e la sua grande realizzazione. Per trent’anni ha raccolto reperti culturali provenienti da ogni parte del mondo, classificandoli con metodo e passione e mettendoli a disposizione del pubblico. Fin che le forze glielo hanno permesso ha prestato il suo servizio in portineria e, per tenere la mente e la memoria attive, si è dedicato allo studio della lingua araba. Ora, a ritmo ridotto, si dedica ancora alla lettura mantenendosi aggiornato su vari argomenti, soprattutto di carattere teologico e spirituale.

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ItaliaI giorni 13 e 14 gennaio 2015 abbiamo avuto la riunione del Consiglio della quale vi comunico alcuni aspetti degli argomenti considerati.

Formazione di Base.

Ammissione. E’ stata accolta la richiesta di ammissione al postulandato di Ludovico Tenore che risiede presso la comunità formativa di Vittorio Veneto, accompagnato nella formazione da padre Ermanno Savarino. Con il mese di febbraio inizierà ufficialmente la tappa del postulandato.

Seminario Teologico di Bravetta. Nella visita fatta al Seminario in occasione del conferimento dei ministeri del lettorato ed accolitato, il 5 gennaio 2015, si è anche fatto un incontro con l’equipe formativa che dall’inizio di gennaio conta anche con la presenza dei pp. Joseph Caesar Walusimbi e Joseph Omollo. Si è vista la suddivisione dei compiti e servizi che ognuno svolge insieme a P. Paul Maina, P. Gaetano Mazzoleni e P. Giulio Crippa.

Personale e destinazioni

Durante i mesi di novembre, dicembre e gennaio sono state visitate le comunità di Gambettola, Vittorio Veneto, Rovereto, Bedizzole, Bravetta, Porto San Giorgio, Fossano, Alpignano, Cavi di Lavagna, Castelnuovo e Milano. Ringraziamo il Signore per la vita ad attività che ogni comunità svolge anche in mezzo a difficoltà di salute o ai limiti dell’età.

Attività della Direzione – formazione permanente: La Direzione Regionale al completo martedì 13 gennaio ha incontrato la comunità di Casa Madre per comunicare alcuni aspetti del cammino della regione, delle nostre comunità ed il discernimento che sta facendo circa le nostre presenze in Italia che al momento conta con 21 comunità.

Per l’anno della Vita consacrata verrà preparato un foglietto mensile da inviare alle nostre comunità come sussidio di riflessione o preghiera.

A fine gennaio e in febbraio avremo a Torino due incontri regionali per i quali invitiamo caldamente le persone interessate a parteciparvi:

Incontro con i Superiori ed Economi locali e Incontro per gli Evangelizzatori ed Animatori

Il 13 dicembre 2014 a Torino si è fatto l’Incontro dei Media/Siti/Comunicazione. E’ stata buona la partecipazione di laici che sono preparati per questo servizio. Il gruppo si è dato un piano di lavoro ed alcune scadenze per proseguire nel lavoro.

Esercizi Spirituali per l’anno 2015: per coloro che fanno fatica a spostarsi abbiamo pensato di aggiungere un corso di Esercizi in più in Casa Madre nel tempo di quaresima. Altri 2 in Certosa, nei mesi di giugno e settembre.

Progetto CIMI per i Migranti in Sicilia. Da più di un anno gli Istituti Missionari in Italia (CIMI) si stanno chiedendo quale risposta e contributo possono dare alla realtà dei migranti che approdano nel nostro paese. Dopo vari incontri e una visita in Sicilia ai vescovi interessati si sta pensando alla costituzione di una comunità inter-congregazionale in Sicilia che si metta al servizio dei Migranti. Come Istituto stiamo valutando in che modo possiamo contribuire a questo progetto missionario anche con una nostra eventuale presenza.

Ad Assisi dal 30 aprile al 3 maggio 2015 vi sarà il Co Mi Gi (Convegno Missionario Giovani) organizzato da Missio Giovani al quale potranno partecipare alcuni dei nostri giovani.

Amministrazione: P. Aldo Zanni ha presentato al Consiglio un breve aggiornamento della situazione della Regione e delle comunità dando anche alcune indicazioni che si faranno presenti all’incontro degli economi.

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iaA partire dal 29 gennaio 2015 assume ufficialmente il suo incarico come amministratore regionale Padre Pietro Villa. Ringraziamo Padre Aldo per il servizio svolto nella regione in questi anni con molta dedizione, esperienza e oculatezza.

P. Giuseppe Quattrocchio ho presentato al Consiglio una relazione di tutto il lavoro svolto nel Museo lungo l’anno 2014 e in quelli passati. Sta ora preparando un testo esplicativo con album fotografico delle varie vetrine e degli oggetti che sono esposti.

E’ stato preparato il Calendario murale degli incontri e attività della regione fino a settembre 2015. Lo distribuiremo ad ogni comunità nel prossimo incontro dei superiori.

Alcune date ravvicinate di questo periodo, 29 gennaio, anniversario della fondazione dell’Istituto e 16 febbraio, festa del Beato Allamano, ci riportano a colui che ci è padre e che oggi abbiamo ricordato. Chiediamo anche per noi ciò che lui diceva un giorno nella celebrazione di un suo compleanno: “Di questo sono certo: che ho sempre cercato di fare la volontà di Dio”.

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Brasile

PEREGRINAçãO AO SANTUáRIO DE APARECIDA MARCA ANO DO FUNDADOR DA FAMÍLIA CONSOLATA

P. Jaime Patias, IMC

Os missionários e missionárias da Consolata celebram um ano especial dedicado à memória do Bem-aventurado José Allamano. A iniciativa tem como principal finalidade tornar mais conhecido o carisma e a espiritualidade das duas congregações por ele fundadas, hoje presentes em 26 países.

Como parte das celebrações do Ano do Allamano acontece neste domingo, 24 de janeiro, no Santuário Nacional de Nossa Senhora Aparecida (SP), uma programação especial com a participação de mais de mil peregrinos de várias partes do Brasil. Haverá missa no Santuário, às 9h00, presidida por dom Giovanni Crippa, IMC, bispo de Estância (SE), celebração transmitida pela TV Aparecida. Em seguida, acontecerá um grande encontro dos peregrinos no auditório do Santuário.

Allamano “é um ser humano que deu certo. Por isso sempre encanta pela sua simplicidade, pela sua humanidade e santidade. Os grupos de romeiros e romeiras que partem de vários estados deste imenso Brasil rumo a Aparecida é um sinal concreto desta adesão, admiração e compromisso missionário do jeito do Allamano”, afirma Irmã Melânia Lessa, MC, uma das coordenadoras da Romaria.

Além dos dois institutos, masculino e feminino, fundados em Turim, norte da Itália em 1901 e 1910, respectivamente, a Família religiosa congrega Leigos e Jovens Missionários. A Revista Missões, um veículo de informação e formação missionária da Igreja no Brasil, editada pelos institutos, publica um encarte mensal com ensinamentos e testemunhos sobre Allamano.(www.revistamissoes.org.br)

Entre as atividades já realizadas ao longo do Ano, o ícone do Bem-aventurado Allamano peregrinou pelas comunidades, grupos e famílias onde há presença da família religiosa com a distribuição de santinhos, folders e rosários. Também foram realizados encontros

de formação sobre a pedagogia e metodologia Allamaniana, retiros e uma Missão Jovem em cinco paróquias de São Paulo, além de encontros de Amigos da Consolata.

O Ano do Allamano teve início no dia 16 de fevereiro de 2014 e encerra no mesmo dia e mês em 2015, quando é lembrada a morte do Bem-aventurado. O ato conclusivo será em São Manuel (SP), cidade que em 1937 recebeu os primeiros missionários da Consolata no Brasil. Foi o início de uma história que continua nas obras, seminários e paróquias.

José Allamano nasceu no dia 21 de janeiro de 1851, em Castelnuovo D’Asti, ao norte da Itália, foi ordenado padre em 1873 e dedicou a maior parte de sua vida, 46 anos, ao Santuário de Nossa Senhora da Consolata, em Turim, também na Itália. De sua profunda devoção e amor à Consolata, Allamano nomeou os institutos que fundou para a Missão ad gentes, em sua homenagem.

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vita nelle comunitÀ

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A DIOS ROGANDO y CON EL MAZO DANDOP. Ramon Esnaola, IMC

Uno de los frutos de este 2014 y que tendrá su continuidad en 2015, es la historia de Issa Yéo, un niño marfileño senufó, originario de Sirikikaha, a unos 35 km de pista de Marandallah, en el centro oeste marfileño.

Aquí le tenéis. Hace un par de años se cayó de un árbol de mangos y se rompió la tibia. Sus padres le llevaron a dos hospitales de Korhogo y Ferkesedugu. Se gastaron más de 600 €, que eso es toda una fortuna para un agricultor que se dedica sólo al algodón, pero ya veis cómo se quedó la pierna.

Hace un año y medio, un grupo de amigos portugueses vinieron a Marandallah a compartir la misión durante el mes de agosto de 2013. Entre ellos estaba, Maria Joao, una médica que se quedó impactada por el estado de Issa pero también por los esfuerzos vanos de sus padres. Por supuesto, ninguno de ellos hablaba francés, sólo su lengua materna. Así que habló con nosotros para ver qué se podía hacer.

Nosotros le comentamos que había un hospital en Bonua, a unos 40 km al oeste de Abiyán, es decir, a unos 550 km de la aldea de Issa (unas ocho horas de viaje en un coche todo terrreno) que lo llevaban

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Marandallah

los Orionistas y que estaba especializado en traumatología, operaciones y prótesis. Sólo que era muy caro. Pero ella dijo que hablaría con los misioneros de la Consolata en Portugal y que se pondrían en movimiento para buscar fondos.

Y así fue, y yo me encargué de llevar a Issa a Buaké (a unos 160 km de Sirikikaha) para que los médicos le vieran, hacer nuevas radiografías... El médico me dijo que igual serían necesarias hasta tres operaciones y que dependía de nuestra disponibilidad económica.

Maria Joao y los misioneros de la Consolata se pusieron en movimiento y me dijeron de concertar la cita para la primera operación, que había gente que estaba contribuyendo. Así

que llamé al hospital de Bonua y me dijeron que tenían todo ocupado hasta dentro de un año. Me puse pesado al teléfono y finalmente accedieron a darme cita a mediados de julio de este año.

Justo cuando tenía que llevar a Issa me pillaba en plenos ejercicios espirituales, así que hablé con unas hermanas que viven a unos 100 km de Sirikikaha para que acompañaran a Issa ya que tenían que hacer un viaje a Abiyán.

A partir de ahí, cada dos meses más o menos iba al hospital para ver cómo estaba Issa. Su cara se iluminaba cada vez que me veía. Allá estuvo internado más de cinco meses.

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MATRIMONIO PIGMEOP: Andrés García Fernández, IMC

Aquí os presento otra danza, otra ceremonia, que se está perdiendo, pero que cuentan y reviven con orgullo y alegría. Es la danza que “bendice” el “matrimonio por intercambio”.

Hace unos días encontré a Bomao algo triste. Al preguntarle me dijo:

- Un chico ha “raptado” a una de mis sobrinas.

- ¿Qué quiere decir esto?

- Que quieren estar juntos, hacer una familia.

- ¿Por qué la rapta entonces?

- Porque la mamá de Msima (así se llama la chica) quería que terminase la escuela primaria antes de formar una familia.

- Ya entiendo, entonces se han puesto de acuerdo y se han ido a escondidas. ¿A dónde?

- Cuando esto sucede, el chico lleva a la chica

a su campamento, donde su familia esperará la llegada de la familia de la chica para hablar y darse condiciones. Aunque a menudo la chica se queda con el chico, puede darse también el caso de que la familia de la chica no acepte para nada la unión (alianza) con la familia del chico, y entonces se vuelven al campamento con la chica y se acaba el rapto y el proyecto de familia.

- ¿Siempre sucede así?¿a través del rapto?

- No, antes la familia del chico, después de haber visto una chica simpática, guapa, amable, iba a encontrar la familia de la chica y le decían: “Nos gusta tu hija para nuestro hijo”.

Entonces se ponían de acuerdo y la familia del chico buscaba en el seno de su propio campamento una chica que sería ofrecida como mujer a otro chico del campamento de la novia; así “remplazarían” la chica que vendría.

(Con mayor o menor conciencia, los campamentos pigmeos que conozco intentan conservar su número a través de estos intercambios y otros un poco más complicados que explicaremos más adelante).

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- ¿Todo sucede en un solo día?

- No. Una vez que los jóvenes han sido interpelados y han aceptado el intercambio, se procede a las ceremonias, porque son dos. Primero la familia de la primera chica solicitada la acompaña al campamento del chico en la fecha determinada por las dos familias.

Una vez allí, la chica permanece en una choza con otras chicas y mujeres del campamento del chico, hasta el día de la ceremonia.

Durante este tiempo, ella permanece como escondida, se hace una celosía de bambú ante la puerta de la choza, para evitar las miradas; el chico puede entrar y hablar con la chica, pero siempre en presencia de otras mujeres del campamento.

Las mujeres que acompañan a la chica los días previos a la ceremonia la aconsejan sobre el chico, sobre la vida en el campamento, sobre la vida de pareja,...

También le enseñan cómo danzar el día de la ceremonia.

Mientras tanto, los pigmeos de los campamentos cercanos y lejanos que han escuchado la noticia del intercambio, van llegando poco a poco al campamento. La fiesta, la ceremonia propiamente dicha comienza el día en que el jefe del campamento ve que se puede celebrar: la gente ya ha llegado, tienen bastante comida y bebida,...

Normalmente la gente se va agrupando por campamentos a medida que van llegando a la fiesta. Si pasan varios días de espera, pueden hacer su kembelendu (choza de hojas y ramas en forma de iglú) o un hangar con ramos de palma, para protegerse del sol y de la humedad de la noche.

Pasan los días de espera cantando, danzando, buscando algo de comida y bebida para la ceremonia,...

El día indicado, todos danzan. No se coloca el típico bastón de la danza en medio, porque no se busca formar otras parejas, sino celebrar la unión de los dos “elegidos”.

Cuando la danza ha caldeado el ambiente (durante la jornada, no durante la noche) sale la novia de la casa ataviada con plumas de gallina en la cabeza, vestida con dos pequeñas piezas de tela escondiendo su sexo, una delante y otra detrás y por encima de ellas, sobre todo cubriendo sus caderas, tiras de hojas de banana; todo ello atado en torno a una cintura hecha también en fibra vegetal. Lleva el torso desnudo y un pañuelo grande colocado como una bandolera (hay quien dice que representa la maternidad, pues llevamos muchas veces así al bebé). Durante la danza, la novia mueve rítmicamente la cabeza en medio del grupo. Entonces el chico se va acercando a ella también danzando. Bailan así durante un buen tiempo, hasta que se cansan y se sientan en la paillotte juntos, viendo la danza de los demás, que vienen a bailar ante ellos trayéndoles también pequeños presentes..

Después la gente come y bebe y se van dispersando poco a poco. La fiesta termina.

Después de unas semanas de descanso, el campamento del novio acompañará a su hermana o su prima hasta el campamento de origen de su mujer, donde la ceremonia se repetirá paso a paso, como ya he explicado.

Todo sucede en un ambiente de alegría, aunque a veces la chica llora porque cuesta separarse de la familia y de la vida del campamento.

- Pero luego puede seguir viéndose con su familia, ¿no?

- Sí, se visitan y pueden pasar incluso largas temporadas en los campamentos de origen, pero ya sabes que tu campamento es el de tu marido.

Si el marido muere, su familia intentará convencer a su mujer y el hermano menor del difunto para que formen pareja. Darán la mujer al hermano menor del difunto. Pero si uno de los dos no acepta, la viuda puede volver a su campamento de origen o quedarse en el campamento del marido cuidando a sus hijos.

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suNOUvELLES DE NEISU

P. Richard Larose, IMC

Le temps passe vite. Et puis j’ai dépassé le cap des 70 ans cette année!

Je vous viens avec mes souhaits et quelques nouvelles de la République Démocratique du Congo.

Le premier décembre à Isiro nous avons célébré le cinquantième anniversaire du martyr de soeur ANUATIE Clémentine (congolaise) qui a été tuée à Isiro. Pour l’occasion presque tous les évêques du Congo sont venus à Isiro commémorer cette martyre qui a été béatifiée en 1985. En 1964, une rébellion a fait des milliers de morts dont plus de cinquante missionnaires étrangers dans notre Région. Malheureusement le Congo a connu depuis son indépendance plusieurs guerres; même aujourd’hui il y a encore des massacres spécialement dans l’est du pays à environ 600km de chez nous. Vu que les routes sont impraticables nous nous sentons quand même en sécurité dans notre coin de pays. (Vous pouvez suivre certaines nouvelles de la RDC sur le site de MISNA.)

Depuis quelques mois la fréquentation de l’hôpital n’est pas très élevée et c’est tant mieux pour la population. Par contre le nombre des malades du Sida ne diminuent pas. Depuis le début du programme de prise en charge des malades, nous avons suivi 1065 malades dont plusieurs bien entendu sont décédés. Actuellement 550 malades sont sous traitement dont 9 enfants. La plupart vit dans leur village et vient régulièrement à l’hôpital prendre les médicaments et suivre l’accompagnement psychologique. Nos docteurs ont été formés pour apporter cette assistance et un infirmier est presque à temps plein pour l’accompagnement. Si la maladie est prise en temps les chances de survie sont bonnes ainsi que la qualité de vie.

Je veux exprimer ma reconnaissance à vous tous qui appuyez notre hôpital. Vous nous êtes d’un grand secours. La situation économique des gens ne permet toujours pas de s’autofinancer. Et puis se procurer les médicaments nécessaires reste une préoccupation de tous les jours.

Cette année nous payons les frais scolaires de 24 orphelins, leur uniforme et leur matériel scolaire. C’est notre secrétaire Elysée qui suit tous ces enfants qui ont entre 6 et 18 ans. Peut-être parce que j’ai atteint l’âge de la pension j’ai aussi ajouté depuis quelques années dans notre liste d’aide plus de 30 vieillards (presque toutes des femmes). Nous donnons 2 fois par mois : haricots, huile, bananes plantains, sel, savon, etc. Vos dons servent aussi à cette aide.

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ToribioCARTA AL NIñO DIOS

P. Oscar Medina, IMC

Ayer al llegar a una casa en lo alto de la montaña, una señora muy sonriente me dijo: “Padrecito que bueno que usted haya venido visitar esta india patirrajada”. Mi reacción no pudo ser otra sino la de aquél, que después de haber subido la cuesta casi sin aliento, saca aire para soltar una carcajada. Esta Navidad 2014 por los caminos del Cauca (Resguardo de San Francisco – Toribío) ha sido llena del encanto de aquellos que percibieron y experimentaron la consolación en una visita sencilla anunciando la inminente llegada del Dios-con-nosotros.

En esta tierra martiriada por la violencia y el asistencialismo muchos han querido escribir en sus cartas al Niño Dios el regalo de la paz, la armonía con el creado y una pastoral integral. Una paz que no sea sólo mediática sino enraizada en cada familia; que no venga con fecha de vencimiento sino con la certeza de su construcción comunitaria a tiempo indefinido. Una paz plasmada en la justicia, el perdón, la reconciliación y con alternativas educativas y sociales.

Estas comunidades circundadas por el verde de sus bosques andinos y tropicales claman una armonía con el creado fundamentada en una estabilidad y un equilibrio en el trato de los recursos naturales, que la Madre Tierra les ha donado a lo largo de estos siglos de continua re-creación. En esta carta al Niño de Belén, pobre entre los pobres, se le pide oportunidades para saber aprovechar estos dones armonizados entre siembras de coca y marihuana, entre el café y el fique, entre el plátano y la yuca. Una riqueza que pide continuar a ser irrigada por sus innumerables quebradas y manantiales y no por la sangre de sus hijos.

Al Niño del Pesebre estos pueblos le piden además, siendo testigo su imponente relieve, una actitud pastoril donde el mensajero de la paz recorra sus senderos enseñando a hacer y a ser. A ser comunidades católicas creyentes vivas y colaboradoras apropiándose también de su organización parroquial. Un mensajero que forme

líderes que acompañen desinteresadamente a su pastor y no marionetas de un quehacer asistencialista y paternalista frustrante. En fin, una pastoral que una manos para el trabajo en equipo y no una pastoral que extienda manos como las del “limosnero”.

En esta Navidad y para este nuevo año 2015 te pedimos Dios-con-nosotros que vengas a visitarnos y atendiendo nuestra carta-plegaria te quedes entre nosotros así seamos “indios patirrajados”, ¡obra tuya! Al mismo tiempo que estos sean los mejores deseos para nuestra comunidad parroquial y toda la familia Consolata en este nuevo año que empezamos.

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joPRIGIONIERI DELLA SPERANZA

P. Paolo Angheben, IMC

Papa Francesco nel suo discorso al parlamento europeo, con la visuale di chi viene dal «sud» del mondo e il coraggio impastato di vangelo, ha parlato di una « Europa stanca, invecchiata, smarrita: nonna opulenta, non più fertile e vivace ». Più di uno ha arricciato il naso e fatto un sorriso ironico e saccente. Ma questo, d’altra parte, lo facevano già i farisei con Gesù!

Su un altro fronte, guardando al cammino della chiesa nel mondo di oggi, viene da pensare al “drago rosso fuoco” dell’Apocalisse (12,3ss) che dichiara guerra al popolo di Dio; difatti, quante persecuzioni, uccisioni indiscriminate, crimini contro l’uomo; e soprattutto, il “mostro che dice parole arroganti e insulta Dio” (Apocalisse 13, 5).

Capisco bene le parole del Papa e le condivido: dicono la verità di un periodo della nostra storia, come pure sento mie le sofferenze e persecuzioni di tutti i tipi scatenate dal maligno. E pure in tutto questo vedo nascere la speranza di un futuro che sarà luminoso, ... a patto che ...

E’ stato leggendo il profeta Zaccaria (9, 12) che mi si è illuminato il cuore, là dove dice: “Per la mia alleanza con voi, io vi libererò dalla vostra prigione, l’esilio, che è simile a un pozzo senz’acqua: voi prigionieri della speranza”. La via di uscita è quindi la speranza!

Ma però «dobbiamo bruciare molta fede per ottenere una fiammella di speranza» diceva Charles Péguy. E’ vero che la fede del prigioniero riesce ad abbattere i muri della prigione, perché la fede sa guardare oltre il presente. Ma la speranza ne allarga i confini all’orizzonte infinito: essa non è edificata sui nostri numeri e sulle nostre forze ma sulla promessa di Dio. E’ Dio l’orizzonte della speranza.

Proprio di questi giorni è la situazione di alcuni miei giovani che danno testimonianza di una speranza che non muore perché c’è Dio all’orizzonte. Sono quattro quadretti quotidiani di speranza indomabile.

SABA: 23 anni, ha assaggiato l’amarezza del lavoro nei paesi arabi, lo sfruttamento e la prigione, dove, prima del rimpatrio forzato è stata stipata con centinaia di altri giovani, dopati, onde evitare qualsiasi protesta. E’ tornata psicologicamente e spiritualmente distrutta. Ora con fatica e pazienza ha ricuperato la strada della speranza: lavora part time nella missione e frequenta la scuola di segretaria di azienda. La settimana scorsa è venuta in un pianto dirotto e incontrollato. Alla fine sono riuscito a capire: il fratello maggiore («matto», alcolizzato e ora anche drogato), le ha rubato il piccolo conto che teneva nascosto e che le serviva per mantenere la vecchia mamma. Quattro mesi di salario se li è bevuti con gli amici in 3 giorni! “Ma Dio, - continuava a singhiozzare piena di rabbia - non guarda in giù? Mi ha forse dimenticata?” Dopo lungo colloquio è ripartita, ancora con il dolore, ma a testa alta: la speranza ritrovata!

ESHETU: un ragazzo dei primi tempi, di Minne. Era un bravo ragazzo e viveva con me in missione. Da allora molte cose sono accadute: è stato ingiustamente imprigionato; e dopo che si è sposato e la nascita di 5 figli, la morte della moglie lo coglie di improvviso: morta di HIV e lui, sei mesi fa, si scopre positivo al virus, così come l’ultimo bambino nato. E’ passato qui lunedì scorso: rifiuta di iniziare la cura perché è tutto ribellione e disperazione. Più che vedere, intuisco i lineamenti del giovane che conoscevo 30 anni fa, “Aiutami - mi dice - a dare da mangiare

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ai miei bambini”. Due giorni fa mi telefona: ha deciso di iniziare la cura: la speranza fa rivivere.

ALMAZ: ha dato tutta la sua vita, fino a diventare anoressica, per aiutare la famiglia e i fratelli (orfani di papà) a studiare: due di essi li ha portati all’università e alla laurea. Ora ha in cuore tanta delusione e amarezza per essere, di fatto, stata trattata come uno straccio: ha fatto il suo lavoro e ora è buttato via, inutile. Niente riconoscenza! Difatti nell’ultimo anno ha perso tutto e dovuto chiudere il suo negozietto. L’abbiamo raccolta dalla ... strada. Vive tutto il tempo in missione; ora ha fatto il corso di parrucchiera e appena possibile aprirà una nuova piccola attività. La speranza apre cammini nuovi.

TEDY: orfano, non ha mai conosciuto i genitori. Da bambino è cresciuto in missione qui da noi. Dopo lungo travaglio negli studi, ora è approdato all’università di Addis Abeba dove frequenta la facoltà di Arte e Pittura. Ha talento, e come tutti gli artisti vive in un suo mondo particolare. Siamo andati a trovarlo nel suo tugurio che ha preso in affitto vicino all’Università. Di povertà ne ho visto tanta in Etiopia. Ma non ho mai visto una cosa del genere! La stanzetta dove abita e dorme è il vecchio gabinetto della casa: praticamente vive all’aria aperta, nel freddo intenso di Addis Abeba; neppure un pentolino per bollire l’acqua. La signora che ha affittato il tugurio ci spedisce fuori con arroganza. “E’ il suo carattere, ma in fondo è buona- la scusa Tedy, e continua –ancora un anno e finisco l’università”. Tedy è un giovane che sa scrutare l’orizzonte e sa vedere quella “piccola nube, non più grande della palma di un mano, che sta salendo dal mare” e che porterà la pioggia ( 1 Re 18,41). La speranza è futuro.

Quattro giovani, quattro inni alla speranza, perché “ciò che ci porta alla sventura non sono tanto i nostri peccati quanto la disperazione” (S. Giovanni Crisostomo). Non ci rendiamo conto che non arriviamo mai da nessuna parte perché non ci lasciamo mai alle spalle un bel niente. La speranza lascia la prigione e cammina verso il futuro di Dio dove incontra anche l’uomo nuovo.

Natale: Gesù, nostra speranza! (Cf 1 Pietro 3,15). Per questo possiamo gridare: “Se tu squarciassi i cieli e discendessi! (Isaia 63,19). A Natale nasce

l’uomo nuovo perché è speranza di libertà, di futuro. Senza di esso rimaniamo prigionieri del nostro passato, “stanchi, invecchiati, smarriti, non più fertili e vivaci”. Forse è per questo che facciamo fatica a celebrare il Natale, quello vero, quello di Dio che squarcia la nostra storia, entra nella nostra vita e apre cammini di speranza!

Neanche in Etiopia è tutto oro quel che luccica sotto il cocente sole africano, ma l’orizzonte si estende all’infinito, è di un azzurro brillante e il cammino che si apre verso il punto di incontro tra cielo e terra è fatto nella gioia, cantando, sicuri della méta!

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aden

iSIAMO COME FRAMMENTI DELLA STELLA

DELL’EvANGELIZZAZIONE, OGGI

P. Rocco Marra, IMC

I piedi dei messaggeri di lieti annunzi e di pace continuano a percorrere le strade del mondo: noi missionari della Consolata in Sud Africa abbiamo avuto la gioia di celebrare l’ordinazione diaconale di due confratelli: Kirimi Jasper Njuki, originario dal Kenya e Sunda Kumbu Didier, del Congo R.D. I due missionari hanno studiato Teologia nel nostro seminario di Merrivale, poi Jaspar ha svolto l’anno di servizio a Daveyton, Arcidiocesi di Johannesburg, mentre Didier è stato a Madadeni e Osizweni, Diocesi di Dundee.

Quest’anno le celebrazioni si sono svolte a Osizweni e a Madadeni.

Per preparare la celebrazione dei voti perpetui a Osizweni e dell’ordinazione a Madadeni, la gente si è data da fare per almeno tre mesi. Per quanto mi riguarda più da vicino, a Madadeni, si sono formati dei comitati per la liturgia, per l’animazione missionaria zonale e per la cucina e posateria. La cosa più bella, a Madadeni, è che pur essendo tre parrocchie con altrettante piccole comunità, gli agenti pastorali hanno lavorato insieme come se fossero di una sola comunità. Lo spirito che li unisce è dovuto alla presenza apostolica dei missionari della Consolata, che sono nella zona dal 1991.

Per l’occasione sono convenuti parenti, amici, religiosi, sacerdoti e S.E. José Luis Ponce de Leon, missionario della Consolata, vescovo di Manzini (Swaziland) che ha presieduto le due celebrazioni e ha ordinato diaconi i due confratelli.

La Chiesa Catholica a Madadeni sta per compiere 50 anni, considerando i

registri di battesimo, ma è la prima volta che si celebrano le ordinazioni diaconali nella chiesa più antica dedicata a Cristo Re.

La celebrazione dell’ordinazione a Madadeni è stata preceduta da due settimane di animazione missionaria nei “quartieri” della township, dove lo studente, l’unico missionario della Consolata sudafricano che abbiamo, nato a Madadeni, Mandla Makhanya, ha svolto un ruolo determinante.

Alla celebrazione dell’ordinazione dei due diaconi eravamo presenti tutti i “parroci” missionari della Consolata della nostra storia a Madadeni: PP. Giorgio Massa, Ves. José Luis, Joseph Mang’ongo, Anthony Kazibwe e il sottoscritto, mancava P. José Martins Fernandes, che attualmente svolge il suo servizio missionario in Canada.

Per me la celebrazione dell’ordinazione dei due diaconi a Madadeni è stata di ringraziamento per il ministero svolto nella township e per la vocazione missionaria di Mandla, che speriamo poterlo vedere al più presto diacono e sacerdote.

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Gam

boGAMBO GENERAL RURAL HOSPITAL

Chiara Giovetti

L’Arsi e il villaggio di Gambo

La regione di Oromia si estende per 353,632 chilometri quadrati (50 mila in più della superficie italiana), è la più popolosa dell’Etiopia e conta poco meno di 27 milioni di abitanti, dei quali solo l’11 per cento vive in città. La capitale etiope, Addis Ababa, si trova all’interno del territorio dell’Oromia e ne è un’enclave.

Il gruppo etnico maggioritario è quello degli Oromo, che rappresentano l’85% della popolazione regionale (censimento del 1994, dati della Central Statistical Agency etiope). Il secondo gruppo più numeroso è quello degli Amhara (9%). La lingua più diffusa è l’Oromo, che è scritto con caratteri latini, mentre la lingua nazionale, l’amarico, è scritto con i caratteri dell’alfabeto Ge’ez. Le attività principali della Regione sono l’agricoltura – l’Oromia produce circa il 50% del caffè etiope – e l’allevamento, con circa 17 milioni di capi di bestiame (il 44% del totale nazionale).

Il villaggio di Gambo si trova su un altopiano nella Provincia dell’Arsi, a 2.200 metri sul livello del mare. È circondato da boschi ed è caratterizzato dal clima afro-alpino, con escursioni termiche più significative tra la notte e il giorno rispetto a quelle registrate nei cambi

di stagione. Si raggiunge attraverso una strada sterrata di diciotto chilometri che diventa difficilmente agibile durante la stagione delle grandi piogge.

La popolazione residente a Gambo è di circa 2.000 abitanti, mentre la sua zona d’influenza conta circa cinquecentomila abitanti. È diffusa la religione musulmana (il 70% della popolazione), mentre gruppi minoritari di cristiani di rito copto ortodosso rappresentano il 30% circa; i cattolici sono meno dello 1%.

Come in molti comuni rurali della regione, la popolazione è suddivisa per clan di affini guidati dall’autorità degli anziani. Accanto agli Oromo, anche qui gruppo etnico maggioritario e prevalentemente dedito all’allevamento del bestiame, si registra la presenza dei Kambata, popolazione con una propria lingua diversa dall’oromo e composta per lo più di piccoli agricoltori. Nel complesso, quindi, l’attività principale della zona è l’allevamento di bovini, equini e ovini, mentre l’agricoltura va estendendosi molto lentamente con la produzione di cereali e ortaggi.

L’Ospedale di Gambo

I pazienti e i loro familiari insieme a un medico

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Gam

bonel giardino dell’ospedale

Il primo insediamento da cui ebbe origine l’Ospedale fu un villaggio fatto di capanne costruite secondo l’uso locale con paglia e fango dove alcune centinaia di lebbrosi trovarono rifugio. Per assisterli furono chiamate le “Medical Missionaries of Mary”, suore irlandesi che prestarono un ottimo servizio fino al 1977. Nel 1965 iniziò la costruzione di un lebbrosario in muratura che fu completato nel 1969. Dal 1972 sono presenti i Missionari della Consolata nella cura della Missione. Nel 1980, su richiesta delle Autorità Governative, si iniziò ad adibire una parte del lebbrosario ad Ospedale Generale, il numero dei posti letto fu portato da poche decine a novanta con particolare attenzione ai casi di tubercolosi molto numerosi nella regione.

A poco a poco l’Ospedale venne organizzato in tre sezioni: Lebbrosario, Medicina Generale, TBC. Attualmente esso dispone di centocinquanta letti e comprende i seguenti reparti: TBC, lebbrosario, pediatria, medicina, maternità, chirurgia, sala operatoria,

ambulatorio con servizio di: laboratorio analisi, ecografia, radiologia. Al servizio accedono circa duecentocinquanta persone al giorno. Sebbene in linea teorica il bacino di utenza dell’ospedale sia di centomila persone, di fatto la zona di provenienza dei pazienti è molto più ampia e suggerisce che il bacino d’utenza potenziale possa essere molto più esteso.

L’organigramma è composto da un direttore sanitario (medico e fratello missionario della Consolata), un medico eritreo, un medico donna e una chirurga etiopi, cinque capo sala, quattro tecnici di laboratorio, un tecnico di radiologia, un assistente di sala operatoria, una tecnica di farmacia etiopi. Il rimanente personale, tutto locale, è distribuito tra infermieri, segretari, personale per la sanificazione e l’igiene e guardiani per un totale di centoventi persone.

Oltre alle cure mediche, ai malati che accedono all’Ospedale viene praticata medicina preventiva tramite la sorveglianza prenatale, cura ai bambini malnutriti e denutriti per un territorio composto da 23 villaggi.

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Cuam

baCHUvA DESTRóI E DESALOjA EM CUAMBA

P. Diamantino Guapo Antunes, IMC

As chuvas torrenciais que atingiram duramente Moçambique nestes últimos dias provocaram mortes e avultados prejuízos na zona centro e norte do país. Algumas pessoas morreram na tentativa de atravessar rios, na província de Zambezia e na Província do Niassa. As inundações prejudicaram a principal estrada nacional N 1 que liga o norte e o sul do país, isolando a região norte do resto de Moçambique. A circulação rodoviária continua interrompida assim como o fornecimento de energia electrica. Gado, colheitas e casas foram levados pelas águas, e várias habitações ficaram completamente submersas.

Contrariamente aos outros anos, o Niassa, no norte de Moçambique, também reportou situações de cheias na bacia do rio Lúrio e seu afluente, o Muanda, que atravessa a vila-sede de Cuamba e o distrito vizinho de Mecanhelas. A cidade de Cuamba esteve sitiada desde o início da manhã de terça-feira passada, devido a subida dos caudais dos rios Muanda e Namutitima, com as águas a inundarem os bairros e a provocarem mortes e desabamento de casas.

Além de provocarem mortes e destruições nas casas, as águas criaram cortes nas principais

entradas daquela cidade, particularmente na estrada de acesso à cidade de Lichinga e às províncias vizinhas de Nampula e Zambézia.

Na ponte sobre o rio Muanda as águas quase que atingiram a ponte e inundaram várias casas. Para além do desabamento de paredes de residências em número ainda não quantificado, alguns moradores pernoitaram nas copas das árvores a espera de socorro.

Para atender a situação gerada pelas chuvas na região foram abertos centros de acomodação em Cuamba. Todavia, a maioria dos desalojados estão albergados nas escolas e outros espaços públicos.

Neste momento a prioridade é a assistência mínima em termos de alimentos e água bem como em termos de abrigo temporário. A situacao continua caotica e a ajuda é quase nula. A energia electrica só será restabelecida daqui a 20 dias e a reposição da linha ferrea para Nampula demorará mais de um mês. Tudo isto faz que Cuamba continue isolada, mas prontos nos estamos bem.

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Som

erse

tUSA, MISSIONARI DELLA CONSOLATA

NEL «SUPERMERCATO DELLE RELIGIONI»Luciano Zanardini

Un americano (Paul), un ugandese (Peter), un kenyano (Timothy) e un italiano (Paolo). È questa la comunità missionaria della Consolata di stanza nel New Jersey a un’ora da Manhattan. Padre Fedrigoni è arrivato negli States nell’agosto del 2013, in una nazione dove tutto corre veloce e coltivare la spiritualità può essere un compito arduo. «Qui come altrove nel mondo occidentale è difficile. Tuttavia le abbazie benedettine o cistercensi sono – spiega padre Paolo Fedrigoni – dei punti di riferimento per molte persone in cerca di momenti e spazi di interiorità».

La spiritualità è legata molto alle letture di Thomas Merton. «Vicino a noi, a Newark, i Benedettini gestiscono una scuola secondaria famosa, situata in un’area sociale molto complessa. La Chiesa statunitense continua a puntare molto sulle scuole per offrire valori diversi e opportunità non solo accademiche ma anche educative». La globalizzazione ha accentuato il proliferare delle religioni e ha favorito matrimoni misti e interreligiosi. «Come non esiste un “piatto americano”, cosi non c’è una “religione americana”; alcuni parlano di “supermercato delle religioni”. La diversità e i cambiamenti sono all’ordine del giorno con la conseguenza talvolta di chiusure e intolleranze da parte di alcuni, ma anche di aperture alle novità da parte di altri».

Il tutto in un contesto di forte crisi economica che ha acuito le distanze tra chi ha e chi non ha... «A Buffalo, ad esempio, il 50% dei giovani sotto i 18 anni vive nella fascia di povertà. Le riforme sia in favore di una copertura sanitaria più estesa che a protezione dei milioni dei lavoratori immigrati faticano a trovare un’approvazione. La Chiesa cattolica in molti settori sta facendo del proprio meglio affinché “le valli vengano colmate e le colline abbassate”. Nella nostra comunità, il programma di preparazione alla cresima prevede obbligatoriamente che i candidati, guidati dai loro catechisti, trascorrano una settimana a distribuire pasti ai poveri.

Vorremmo aprire una presenza tra coloro che negli Stati Uniti hanno più bisogno e che la Chiesa fatica a raggiungere; stiamo pensando, per esempio, agli indigeni d’America».

Sullo sfondo una Chiesa «aperta al mondo: alla Chiesa cattolica stanno a cuore le necessità degli altri popoli e degli immigrati. È una Chiesa moderata, non estrema, non fondamentalista, aperta all’ecumenismo e al dialogo con le altre religioni. Nei momenti di tensione e di pericolo di derive anti-islamiche, la Chiesa cattolica si presenta come esempio di moderazione e di tolleranza, senza rinunciare alla solidarietà piena con le vittime innocenti».

Gli scandali del passato sono solo un retaggio? «La frequenza ai sacramenti è diminuita, ma i più fedeli sono rimasti. Credo sia stato un momento di dolorosa purificazione. Un mito si è infranto e agli occhi della società ha perso un certo grado di credibilità, ma appaiono anche evidenti le misure molto serie intraprese in questi ultimi anni soprattutto nel campo della prevenzione e della risoluzione di eventuali problemi sia nelle parrocchie che nelle scuole. Di scandali simili sono state oggetto anche molte Chiese della riforma protestante». La Chiesa riveste, comunque, un ruolo sociale importante, perché è «attenta ai poveri. Nei momenti di difficoltà si distingue per gli aiuti che presta ai cittadini. Ha fedeli di tante culture

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Somerset

ed etnie. Il primo compito che può esercitare è “inclusivo, cioè far sentire tutti a casa; ha, inoltre, un ruolo di mediazione sociale tra le diverse fasce economiche che compongono la società». E i Missionari della Consolata cercano proprio di ravvivare la coscienza missionaria presentando la vita, le attività e le necessità di altre Chiese».

Con una rivista, Consolata Missionaries, provano a far conoscere la loro opera nel mondo, per dare la «possibilità agli americani di partecipare con il sostegno umano, spirituale ed economico: gli statunitensi sono, infatti, molto sensibili alle necessità delle altre persone e molto generosi». Anche quest’anno, infatti, l’albero di Natale allestito all’entrata della parrocchia era colmo di doni: ognuno liberamente sceglieva la richiesta di aiuto appesa all’albero dai membri della comunità, staccava il biglietto e in modo anonimo si attivava per acquistare il regalo.

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Cub

aCABAñAS

STD Yoslan A. Rivera Iglesias

Son las 4:00 pm del domingo 21 de diciembre de 2014 y pareciese un domingo común en el poblado de Cabañas, donde se erige el Santuario Nacional de la Virgen de Guadalupe, perteneciente a la Diócesis de Pinar del Río. en el occidente de la isla de Cuba. Para las personas que no frecuentan el templo pasará como un domingo más, pero para los fieles católicos, sera un día que quedará en la historia, pues será entronizada la imagen de la Virgen de la Consolata, que ademas según se sabe es la primera imagen de esta advocación mariana que se venerara en la Mayor de las Antillas.

La Eucaristía comenzó con una procesión presidida por la imagen, luego tres señoras que llevaban cada una un cirio, los acólitos, el diacono y el sacerdote, mientras entraban en el templo el coro entonaba el himno a Jose Allamano. La celebración eucarística tuvo un tinte muy misionero. En la homilía de este cuarto domingo de adviento donde se nos invitaba a estar siempre alegres, se mostró esa alegría de una manera especial a través de los misioneros de la Consolata y su presencia en cuatro de los continentes, ademas se explico el signo que se utilizo con las señoras que llevaban los cirios, pues a cada una de ellas ademas de ser muy mayores, y sufrir la persecución religiosa por parte de la naciente revolución en la década del 60, las unía algo màs, cada una de ellas al menos ya ha perdido un hijo, y fue mediante este gesto que se mostró como Maria no solo viene a dar consolación sino también a ser consolada.. Después de la oración pos comunión, se dio una explicación sobre la historia de esta advocación mariana y lo que significaba su presencia en el pueblo cubano de manera especial en Cabañas, en estos tiempos de cambios para el país. Se da la bendición final y la imagen es retira del altar mayor para ser colocada en un pedestal en la entrada del templo. Mientras es trasladada la imagen se canta el Himno a la Consolata. Ya depositada la imagen donde permanecerá para ser venera, el sacerdote acompañado por el el diacono realiza la bendición de la imagen.

Como algo curioso, en la base del pedestal donde descansa la imagen de la Virgen, se encuentra incrustada una reliquia del Beato Jose Allamano.

Maria esta vez llega a Cuba para quedarse, también aquí quiere continuar dando ese SOL que esta ella: María Consolata.

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Kapalanga - V

iana NOSSO PRIMEIRO NATAL EM TERRAS ANGOLANAS

Com os votos de um feliz e prospero ano 2015, nos vos saudamos desde o Kapalanga, Viana, o lugar da nossa primeira experiecia missionaria em Angola. São poucos meses após de termos cá chegado no dia 01 de Agosto e sermos acolhidos pelo Pe. Pendawasima o nosso Vise superior Geral e pelo Pe. Hernan Zapata, superior dos Missionários Xaverianos de Yarumal, comunidade que nos hospedou durante os nossos primeiros passos na diocese de Viana; é pouco o tempo mas rica a experiencia e abundante o trabalho realizado. Esta tem sido o primeiro natal celebrado nesta comunidade paroquial, a nós confiada, e o primeiro ano novo recebido, o primeiro esperando que não seja o último.

É justamente neste tempo, que convida-nos para a reflexão e avaliação que quisera olhar mais uma vez para o caminho já rilhado procurando pistas para seguir avançando nos nossos propósitos como comunidade IMC em Angola.

o dia seguinte a nossa chegada, dia sábado, fomos convidados a participar á primeira profissão religiosa de uma irmã franciscana em presencia de Dom Joaquim Ferreira Lopes, franciscano capuchinho de nacionalidade Portuguesa, bispo da diocese de Viana. Podemos dizer que Dom Joaquim é o primeiro Bispo desta diocese criada no dia 06 Junho de 2007. Viana é uma cidade satélite de Luanda, a capital de Angola. Dom Joaquim é uma pessoa muito simpática

e acolhedora, com gestos muito paternais e carinhosos para com todos muito espacialmente para com os seus sacerdotes. No domingo 03 celebramos a missa com os padres Penda e Hernan no centro S. Agostinho pertencente á Paróquia Stma. Trindade, uma extensa paróquia assistida pelos MXY, foi este o nosso primeiro contacto com a comunidade que seria a nós confiada. Nessa semana estivemos de maneira muito particular acompanhado e assistidos pelo Pe. Penda, quem nos animara e dissera as primaras dicas para afrontar e realizar o nosso trabalho momentos de graça muito significativos para nos. Foi também a ocasião de conhecer alguns lugares e encontrar algumas pessoas importantes para nos: a Nunciatura apostólica e o núncio Monsenhor Novatus Rugambwa assim que o secretario da Nunciatura Monsenhor Marini.

Na terça-feira 05 de Agosto tivemos o primeiro encontro com dom Joaquim e o Vigário geral da Diocese, o Vigário para a pastoral e o Vigário para a evangelização e catequese, acompanhados por Pe. Hernan quem tinha marcado o encontro para nos. Neste encontro fomos acolhidos oficialmente por dom Joaquim na Diocese, e foi a ocasião para dom Joaquim nos manifestar os seus sentimentos e as suas expectativas com a nossa presença. No dialogo, interessante foram algumas palavras que manifestavam a sua surpresa por termos escolhido a diocese de Viana como lugar de

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Kap

alan

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Via

nainicio da nossa presença em Angola, visto que num dialogo tido durante a visita que o Pe. Francisco Lerma realizou para estudar a realidade Angolana e apresentar propostas para a nova abertura missionaria, este manifestara que uma presença IMC em Luanda não estava contemplada, outra surpresa para ele, o número de missionários para realizar esta primeira entrada em Angola, 3, quando outras congregações o fazem com menos, ate com um só missionário que prepara o terreno, isto tendo em conta o facto de não termos uma casa e de não termos transporte entre outras coisas; interessante foi também um acto de sinceridade ao nos dizer que ele não tinha pedido a nossa presença mas nos abria as portas da diocese para podermos realizar o nosso serviço missionário a Igreja. Estas palavras mesmo se estranham no contexto, logo, em encontros mais pessoais encontraram sentido, elas brotavam da sua preocupação pala nossa boa integração no ambiente da Diocese, vistos algumas dificuldades sentidas com o clero local, e a sua preocupação pelo número crescente de padres diocesanos.

No Domingo 17 de Agosto, após a partida do Pe. Penda, Dom Joaquim presidiu a celebração eucarística na qual fomos apresentados oficialmente como os novos responsáveis pela comunidade que, passaria assim a ser quase paroquia S. Agostinho; isto foi só o anúncio porque a erecção canónica seria depois. A partir deste momento começo um processo de aproximação e conhecimento da comunidade e da sua realidade com visitas e encontros informais que aos poucos enriqueceram a nossa percepção da gente que a conformam;

a comunidade da quase paróquia se encontra distribuída em oito comunidades: a comunidade sede S. agostinho, S. João Baptista, S. Pedro, S. Mateus, NS. De Fátima, S. Lourenço, Bom Pastor e S. Paulo. Momento especialíssimo foi a celebração da festa do padroeiro no dia 28 de Agosto, celebração sóbria pela sua proximidade com a visita de Dom Joaquim.

Para nós como equipa foi importante ter partilhado as nossas impressões e sentimentos surgidos durante as visitas e encontros realizados, permitindo-nos a elaboração de um rascunho do plano a seguir enriquecido e/o modificado pela realidade que a cada passo dado nos aportava algo novo. Logo passamos a ter encontros um pouco mais restritos com as lideranças das comunidades para nos conhecermos e abrirmos mais ao diálogo, o que nos ajudo par fazer propostas de organização, as quais foram acolhidas sim muita dificuldade pela comunidade: um programa para a celebração das missas e acompanhamento das comunidades. Para isto foi grande motivação o desejo da comunidade de poder celebrar regularmente a Eucaristia e escutar a Palavra de Deus, assim que sentir a presença dos padres, isto muitas vezes traduzido com a expressão «temos sede». Para melhor acompanharmos os processos da comunidade fizemos a proposta de dividir a paróquia em três áreas pastorais acompanhadas, cada uma por um dos Padres.

Ao realizarmos todo este processo, uma dificuldade manifestou-se: a distancia que tínhamos de recorrer a cada vez que tínhamos de realizar um programa ou encontro com as comunidades da Quase paroquia; dificuldade

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que foi sentida alem de nos, pela comunidade. Junto com ela procuramos uma solução. A mais evidente era a de alugar uma casa perto do território da comunidade paroquial; rapidamente algumas lideranças puseram-se a procura desta. Entre todas as opções finalmente encontrou-se uma que oferecia todas as condições par nos albergar no enquanto, feitos os contactos com os donos da casa decidiu-se alugar a casa por 40000 AKZ ao mês, o contrato assinou-se por um tempo inicial de seis meses. Esperamos dar uma solução duradoura enquanto as condições o permitam, já temos uma grande esperança na doação que uma família fará de um terreno muito perto do quintalão da paróquia e que seria destinado á construção da casa paroquial. A nossa entrada em casa efectuou-se no dia 15 de Outubro, dia em que celebrávamos o aniversário de nascimento de Pe. Dani. A comunidade mostrou-se muito atenta, não só com a procura da casa, mas também com a sua dotação. Assim só estivemos em casa Xaveriana dois meses e meio, estamos muito gratos com a acolhida dos Missionários de Yarumal e pelo seu constante apoio. Grande simpatia a gerado entre os paroquianos o nosso estilo amável e próximo, atencioso de todos. A casa e constantemente visitada pelos fieis que se preocupam pelo nosso bem-estar; entre eles é costume já dizer que «entrar na casa dos Padres é fácil, o difícil é de lá sair».

Este tempo de advento 2014 foi momento grato para nos porque nos permitiu entrar em contacto com as comunidades acompanhando-as e animando-as espiritualmente para a celebração do natal; este tempo foi vivido como peregrinação já que as pessoas se deslocaram das suas próprias comunidades para ir ao encontro dos outros irmãos acrescentando a comunhão paroquial. A noite de Natal foi vivida com muita alegria e criatividade; esta alegria acrescentou-se com a visita, nos dias precedentes (21/12), de dom Joaquim que visitou a comunidade para fazer a erecção canónica da Quase Paróquia Santo Agostinho, lendo o respectivo decreto e as provisões para o pároco e os vigários.

Depois das festas de natal e fim do ano, iniciamos com muita confiança o ano novo. Continuar o trabalho de estruturação da comunidade, concluir a construção do salão paroquial, ajudar as

diferentes comunidades a concluir os trabalhos que já tinham começado são alguns dos nossos projectos. Acho que foi um bom começo o facto de todo se realizar com o esforço da comunidade local, sem esperar dinheiros que venham de fora. Duas preocupações temos nós como comunidade IMC: cada vez mais sentimos a necessidade de uma viatura para facilitar a deslocação entre as comunidades e para as diversas necessidades que se apresentam; uma solução paliativa foi dada por um dos nossos cristãos que nos emprestou uma carrinha, a qual ajuda muito mas é um modelo antigo e não sabemos quanto vai durar. Do outro lado nos inquieta a questão do nosso futuro como IMC Angola, pode ser que seja ainda sedo mas sentimos que dadas as circunstâncias actuais do país seria preciso pensar a adquirir algum terreno no qual, no futuro, se posa construir estruturas básicas de acolhida dos missionários que cá chegarão. Isto porque Angola e um país em constante reconstrução e modernização, fazendo que o valor da terra em pouco tempo suba exponencialmente. Isto já se viveu na área onde estamos, ate há pouco tempo o valor de terra para a construção era bem baixo, mas hoje tornou-se difícil encontrar lugar e se encontrar é preciso pagar um alto preço. Entre tanto há áreas que estão sendo preparadas para a urbanização, acompanhadas pelo governo e onde adquirir um espaço resulta bastante barato; isto seria uma inversão feita hoje para o futuro; para isto será preciso um diálogo com a Direcção Geral.

Assim continuamos a sonhar com o dia em que a nossa presença não se limitara a Viana e que nossa presença será significativa também para outras comunidades. Este foi o nosso primeiro natal em Angola Esperamos não seja o último. Longa vida par o IMC Angola.

Kapalanga - V

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da Casa MadreMensile dell’Istituto Missioni Consolata

Redazione: Segretariato Generale per la MissioneViale delle Mura Aurelie, 11-13 00165 ROMA - Tel. 06/393821

C/C postale 39573001 - Email: [email protected]

Som

mar

ioGiuseppe Fioroni,

Carnevale a Perugia, Galleria Artemisia

Sommario

L’EUROPA E I SUOI SANTI PROTETTORI ........................... 2

CONFIDENZA, FAMILIARITÀ, DOLCEZZA, FIDUCIA IL SERvIZIO DELL’AUTORITÀ ................................. 8

A DIECI MIGLIA CIRCA DA TORINO.. CASTELNUOvO E LA CASA PATERNA DEL FONDATORE .................. 13

PORTARE FRUTTO IN TEMPI DIFFICILI! ........................... 16

TRATTI DESCRITTIvI DELLE GUIDE DEL NOSTRO ISTITUTO DOPO L ‘ALLAMANO ............................ 20

UN BREvE MESSAGGIO DELLA MIA vISITA AL CONGO ......................................... 26GENNAIO 2015 .................................. 29

PROFISSãO DOS NOvIçOES DE LAULANE – MAPUTO ....................... 32

ORDINAZIONE SACERDOTALE DI IM SANG HUN MARCOS ................... 34

vISITA CANONICA ALLA REGIONE KENyA-UGANDA ................................ 35

COLOMBIA, TERRA AMATA! .................. 37

“¿POR QUÉ NO ENTRAR TAMBIÉN NOSOTROS EN ESE RIO DE LA ALEGRÍA?” EG 5....... 40

COMUNICAZIONE N° 5 – 2015 ............. 42

PEREGRINAçãO AO SANTUáRIO DE APA-RECIDA MARCA ANO DO FUNDADOR DA FAMÍLIA CONSOLATA .......................... 45

A DIOS ROGANDO y CON EL MAZO DANDO 46

MATRIMONIO PIGMEO ......................... 48

NOUvELLES DE NEISU ........................ 50

CARTA AL NIñO DIOS ......................... 51

PRIGIONIERI DELLA SPERANZA ............ 52

SIAMO COME FRAMMENTI DELLA STELLA DELL’EvANGELIZZAZIONE, OGGI ................................................ 54

GAMBO GENERAL RURAL HOSPITAL ............................... 55

CHUvA DESTRóI E DESALOjA EM CUAMBA ....................... 57

USA, MISSIONARI DELLA CONSOLATA NEL «SUPERMERCATO DELLE RELIGIONI» ............................. 58

CABAñAS .......................................... 60

NOSSO PRIMEIRO NATAL EM TERRAS ANGOLANAS ..................... 61

GIUSEPPE FIORONI, CARNEvALE A PERUGIA, GALLERIA ARTEMISIA ........................ 64