tesi magistrale in architettura
DESCRIPTION
riflessione sulle condizioni attuali e sulle prospettive future dello slum di Dharavi a Mumbai. proposta progettuale per un centro comunitario informale nel nagar di New Transit Camp, DharaviTRANSCRIPT
New Transit Camp Social Club
Po l i te c n i co d i To r i n ote s i d i l a u re a m a gi s t ra l e a rc h i te t t u ra ( co s t r u z i o n e )
s t u d e n te :Fra n ce s co S t ro cc h i o
re l ato re : M i c h e l e B o n i n o
co r re l ato r i :M at i a s E c h a n oveS u b h a s h M u k e r j e eR a h u l S r i va s t ava
Un processo di progettazione informale a Dharavi, Mumbai
Why is it useful that Western architects work on places like Dharavi? Architecture is not unlike the idea of a just world.Just as a just world can be divided but has to be observed universally, so is architecture. If we can not provide for the super poor we will not be able to provide for the less poor.Most people live in the ignorance of the interdependence of one group on another. The relative wealth of Milano and Boston is closely related to the relative poverty in Mumbai and Lagos. If we could help set up a model of conduct in Mumbai, much else every where would effected.There is a world wide reciprocity which if we will ignore, it will be to our peril.
Yehuda Safran
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L’idea di progettare dentro Dharavi è forse una delle scommesse più stimolanti che potessero esserci proposte. Nel momento in cui siamo partiti dall’Italia l’idea di dover sviluppare un masterplan appariva come una sfida ardua, ma allo stesso tempo come il rischio di una proposta effimera che sarebbe sfociata in un progetto accademico distante delle dinamiche informali.La proposta avanzata da Matias Echanove e Rahul Srivastava, membri fondanti di URBZ, è stata invece di lavorare su un progetto reale, con un committente ed un budget reali su un piccolo lotto all’interno di New Transit Camp.Il porsi davanti ad un progetto di piccola scala, drasticamente costretto e limitato dalle condizioni al contorno, ci ha catapultati in un’ ottica di lavoro completamente differente. Come spesso accade per molti progetti di architettura, la difficoltà di essere posti di fronte a problemi che necessitano di output chiari e rapidi è divenuta per noi un vantaggio che ci ha tolti dalla situazione di empasse, non così voluta, di proporre un nuovo sviluppo per Dharavi.Ipotizzare soluzioni semplici e low cost, tenendo conto dei ragionamenti ereditati dall’installazione alla Biennale di Rotterdam, è divenuto un problema reale al quale era necessario dare risposte rapidamente.Progettare dentro Dharavi si è così rivelata un’esperienza completamente differente rispetto al farlo in qualsiasi altra parte del mondo (almeno
se per mondo si intende quello costruito formalmente). L’essere all’interno di una parte di città in cui praticamente nessuno degli edifici che ti circondano è stato progettato su carta pone interrogativi interessanti su quale debba essere il ruolo dell’architetto.La narrazione del processo è in realtà la parte ai nostri occhi più interessante di questo lavoro, più interessante anche dell’output progettuale in sè. Questo è infatti criticabile a livello formale e potrebbe forse essere stato risolto in maniera più brillante in alcune scelte tecnologiche, ma è in realtà solo una delle infinite soluzioni che l’architettura può proporre, non necessariamente giuste o sbagliate a priori, ma figlie dei processi e dell’ambiente in cui queste nascono.Restano quindi almeno due eredità importanti come risultato di questo lavoro accademico: da una parte la documentazione di un processo informale che è diametralmente opposto a quello per cui siamo stati preparati in questi anni di studio, che non bada ai regolamenti edilizi e che è profondamente radicato alle necessità della committenza in senso allargato. Inoltre resta l’idea di un differente approccio dell’architetto di fronte al tema della riqualificazione degli slum.
fe b b ra i o 2 0 1 0
POLITECNICO DI TORINO
I Facoltà di Architetturacorso di laurea in Architettura (costruzione)
studente:Francesco Strocchio
relatore: Michele Bonino
correlatori:Matias EchanoveSubhash MukerjeeRahul Srivastava
febbraio 2010
Tesi di laurea specialistica
New Transit Camp Social ClubUn processo di progettazione informale a Dharavi, Mumbai
Tesi di Laurea SpecialisticaNew Transit Camp Social Club. Un processo di progettazione informale a Dharavi, Mumbai
1. Un progetto di tesi in tre fasi
1.1 La partecipazione alla IV International Architecture Biennale di Rotterdam 11
1.2 L’esperienza di “vivere” a Dharavi 13
1.3 La conclusione del progetto dall’Italia 15
2. Mumbai e Dharavi: le premesse all’attività progettuale
2.1 Mumbai: 19
2.1.1 Cenni storici, Mumbai Oggi
2.1. 2 Origine e diffusione degli slums nella città di Mumbai
2.1.3 I meccanismi politici di intervento per lo “sviluppo” degli slums
2.2 Dharavi: 37
2.2.1 Cenni storici
2.2.2 Le politiche applicate per il risanamento di Dharavi
2.2.3 The Opportunity of the Millenium: il Dharavi Redevelopment Plan
2.2.4 The Opportunity for the Millenium (?)
3. IV International Architecture Biennale_Rotterdam: Coesistenza come sopravvivenza
3.1 IV International Architecture Biennale_Rotterdam 51
3.1.1 The open city
3.1.1 Designing coexistance: Squat
3.2 Lo studio delle dinamiche urbane di Dharavi attraverso un modello in sezione 55
3.2.1 Densità e sviluppo demografico nel corso degli anni
3.2.2 Il profilo sociale di Dharavi (rivedere capi-comunità)
3.2.3 Attività economiche, impiego e produzione all’interno di Dharavi
3.2.4 Utilizzo del suolo e analisi delle tipologie abitative
3.2.5 Ecologia dello slum”
3.3 Considerazioni conclusive 79
indice
4. New Transit Camp Social Club: Temi e riflessioni di un progetto informale
4.1 La cooperazione con le organizzazioni locali 83
4.2 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE I 87
4.2.1 Committenza e tema progettuale
4.2.2 New Transit Camp e il lotto di progetto
4.2.3 Finanziamento e proposta del metodo costruttivo
4.2.4 Proposta progettuale I
4.3 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE II 103
4.3.1 La revisione del programma
4.3.2 Proposta progettuale II
I sistemi parete
Il sistema di copertura
Il piano terreno
4.4 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE III 121
4.4.1 Dharavi cresce senza bisogno degli architetti
4.4.2 Il coinvolgimento dei residenti all’interno delle scelte: un’esperienza di partecipazione
4.4.3. Il nuovo programma
4.4.4. Proposta progettuale III
4.4.5. Prospettive future
4.5 Riflessioni per un progetto a Dharavi 131
4.5.1 La tool-house come forma vincente di sviluppo urbano “dal basso”
4.5.2 Il futuro di Dharavi: Tokyo come riferimento
5. Considerazioni sul significato di un’esperienza progettuale a Dharavi 139
_Bibliografia 144
_Ringraziamenti 147
_Appendici
Testi:
I. The tool house 151
Articolo pubblicato in MR ‘08 a cura di Matias Echanove e Rahul Srivastava
II. The Tokyo Model of Urban Development. 155
Lettera all’attenzione della SRA di Matias Echanove
III. Learning from Dharavi 159
Post pubblicato su airoots.net a cura di URBZ.
Biennale di Rotterdam:
IV. IV International Architecture Biennale_sezione Parallel Cases 165
Il layout dell’installazione
V. Il materiale esposto alla IV International Architecture Biennale_Rotterdam 167
Coexistance as survival. Enhancing informal synergies in the communities of Dharavi, Mumbai
_Tavole
FASE II*:
1. Planimetria
2. Piano terra e accessi 1:100
3. Piano primo 1:50
4. Piano secondo 1:50
5. Piano terrazza 1:50
6. Sezione AA’ 1:50 + dettagli 1:20
6A. Ingrandimento sezione AA’
7. Sezione BB’ + dettagli 1:20
7A. Ingrandimento sezione BB’
8. Sezione CC’ + dettagli 1:20
8A. Ingrandimento sezione CC’
9. Sezione DD’ scala 1:50
9A. Ingrandimento sezione DD’
* I testi riportati in appendice sono stati molto importanti per la comprensione della realtà informale di Dharavi e hanno contribuito alla filosofia e all’approccio progettuali durante tutto il suo svolgimento.** Il materiale riportato è stato esposto alla Biennale di Rotterdam tra il 26 gennaio e il 12 dicembre 2009.*** Vengono riportate le tavole della FASE II poiché la fase successiva non è ancora conclusa e poiché le maggiori scelte tecnologiche sono avvenute in questo momento
testi:
MR ‘06: Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘06, UDRI, 2007, Mumbai.
MR ‘07: Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘07, UDRI, 2008, Mumbai.
MR ‘08: Urban Design Research Institute (a cura di), Mumbai Reader ‘08, UDRI, 2009, Mumbai.
RUM: Janina Gosseye (a cura di), Reclaiming (the urbanism of) Mumbai. Kelly Shannon, Uitgeverij Sun
Academia, 2009, Amsterdam.
glossario:
SRA: Slum Redevelopment Autority
SRS: Slum Rehabilitation Scheme
SRD: Slum Redevelopment Scheme
DRP: Dharavi Redevelopment Project
MHADA: Maharashtra Housing and Area Development Authority
MMRDA: Mumbai Metropolitan Region Development Authority
TDR: Transferable Development Rights
NSDF: National Slum Dwellers Federation
SPARC: Society for the Promotion of Area Resource Centers
CEPT: Ahmedabad’s Center for Environmental Planning & Technology
KRIA: Kamla Raheja Vidyanidhi Institute of Architecture di Varanasi
UDRI: Urban Design Research Insitute, Mumbai
abbreviazioni
Il lavoro di ricerca che segue è strutturato in quattro
parti che conducono la riflessione attraverso
un’esperienza che si inserisce tra la ricerca e la
progettazione.
Un capitolo introduttivo riporta i temi e le finalità del
lavoro svolto presentando i successivi contenuti e le
tappe attraverso cui è stato strutturato il lavoro.
Due capitoli documentativi che seguono
costituiscono il lavoro preparatorio nell’ottica di
una successiva esperienza progettuale all’interno
dell’insediamento informale di Dharavi, a Mumbai.
Il secondo capitolo, in particolare, riporta alcuni
dati introduttivi sulla città di Mumbai, sull’origine
e la diffusione degli slums all’interno di questa ed
alcune informazioni circa le politiche applicate dalla
municipalità nel corso degli anni per affrontare il
problema degli insediamenti informali.
Nella parte conclusiva l’attenzione su rivolge allo
slum di Dharavi, documentandone brevemente la
storia ed analizzando i piani di sviluppo passati e
futuri che hanno coinvolto e che coinvolgeranno lo
slum negli anni a venire.
Il capitolo tre riporta invece i contenuti
dell’installazione “Coexistance as survival.
Enhancing the existing synergies in the communities
of Dharavi” presentata alla IV International
Architecture Biennale di Rotterdam (dal settembre
2009 al dicembre 2009). Il tentativo qui è stato quello
di raccontare la filosofia e gli obiettivi dell’indagine
che sono alla base dell’installazione.
La ricerca di dati statistici sottolinea un approccio
indiretto al tema e, attraverso cinque layer tematici
(density, landuse, social, economy_activities,
ecology), tenta di leggere l’intricata realtà di Dharavi
offrendo una visione tendezialmente neutra ed il
più possibile oggettiva.
La natura informale che caratterizza lo slum, tende a
sfuggire a questo meccanismo di catalogazione ed,
a posteriori, ci si rende conto che forse la semplice
analisi statistica non è sufficiente per descrivere
un mondo caotico e complesso come quello di
Dharavi.
Le riflessioni finali sono riferite ai dubbi che sorgono
pensando all’ipotesi di un piano di sviluppo che
coinvolgerebbe l’intera area.
Il quarto capitolo si sofferma sulle differenti fasi
in cui è avvenuto il processo di progettazione,
riportando anche i concetti assimilati durante
il periodo di permanenza a Mumbai che hanno
costituito il background dell’intervento.
Il lavoro presentato all’interno di questo capitolo
è stato sviluppato in collaborazione con
l’organizzazione no-profit URBZ grazie alla quale è
stato individuato il tema di progetto: il New Transit
Camp Social Club, un centro comunitario per le
persone anziane ed i bambini residenti nel nagar.
Il racconto di un progetto ad oggi ancora in
corso diviene in realtà lo spunto per riportare la
complessità delle dinamiche all’interno di Dharavi e
per riflettere su quanto siano distanti il mondo della
progettazione secondo gli statuti e le esperienze
occidentali e quello dello sviluppo-incremento del
costruito informale.
Le conclusioni di questo lavoro di ricerca, raccolte
nell’ultimo capitolo, si soffermano quindi più sul
processo di progettazione e sul ruolo dell’architetto
all’interno di una realtà informale che sul progetto
stesso.
Il lavoro di ricerca permette di leggere l’eterogeneità
e la ricchezza di un contesto progettuale
completamente estraneo a quello europeo e
diametralmente opposto alla realtà formale
e regolamentata in cui noi, come laureandi, ci
apprestiamo ad entrare.
1. Un progetto di tesi in tre fasi
IV International Architecture Biennale Rotterdam
L’esperienza di “vivere” a Dharavi
La conclusione del progetto dall’Italia
intro
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1 1
1.1 La partecipazione alla IV International Architecture Biennale di Rotterdam
Il progetto di tesi nasce dalla partecipazione del
Politecnico di Torino, tra settembre a dicembre
2009, alla IV International Architecture Biennale di
Rotterdam, nella sezione Parallel Cases, dedicata
ad ospitare le installazioni preparate da alcune
università internazionali.
La selezione dell’università è avvenuta in
continuità con due esperienze progettuali
passate:
- la riflessione Cutting Edge Bombay 1 presentata
alla Biennale di Venezia del 2006
- la partecipazione al workshop Urban Typhoon 2
a Dharavi nel 2008 da parte di alcuni studenti.
Le esperienze “indiane” sono state oggi
raggruppate all’interno di HINDUSTRY Urban
Research Group 3, costituito nel 2009.
Il lavoro di questo gruppo di ricerca, costituito
da studenti, ricercatori e docenti del Politecnico
di Torino, ma anche da professionisti esterni al
mondo dell’università, tende a riflettere su alcuni
temi urbani legati alla realtà indiana.
1. Il modello in esposizione alla IV International Architecture Biennale di Rotterdam all’interno della sezione Parallel Cases. Foto: Francesco Strocchio
Ad oggi le riflessioni hanno coinvolto
principalmente la città di Mumbai, con
una specifica attenzione al problema degli
insediamenti informali ed al rapporto con
l’acqua.
Questo “contenitore” si presenta come un spazio
di riflessione aperto in risposta ai piani urbani
proposti dalla municipalità negli ultimi anni
ipotizzando forme di sviluppo urbano “dal basso”
attraverso un’attenzione pronunciata verso le
comunità e le istanze locali.
La riflessione presentata a Rotterdam costituisce
il proseguimento naturale del lavoro di ricerca
su Dharavi avviato in seguito all’Urban Typhoon
Workshop.
L’analisi presentata vuole essere il primo passo
di un percorso, anche progettuale, per la
costituzione di nuove strategie che possano
ridiscutere il Dharavi Redevelopment Plan avviato
dalla municipalità nel 2004.
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1 3
Il lavoro di ricerca presentato all’interno della
tesi è arricchito da un periodo di permanenza,
della durata di venti giorni, all’interno dello
slum di Dharavi che ha seguito la presentazione
dell’installazione alla Biennale di Rotterdam.
Questo è stato l’occasione per conoscere in situ
la realtà dello slum e per accorgersi che quanto
presentato nel modello di Rotterdam fosse
sostanzialmente reale: definire Dharavi come
uno slum ci è apparso molto riduttivo. Questo
termine tende infatti a nascondere l’infinità di
meccanismi, anche molto complessi, che nel
corso degli anni sono stati sviluppati dai residenti
per ovviare alle mancanze del governo centrale e
che avevamo tentato di evidenziare attraverso la
nostra installazione.
Vivere all’interno di Dharavi ha significato
comprendere che questa è una parte di città
solo in apparenza molto differente dal resto del
tessuto urbano, ma allo stesso tempo fortemente
integrata nell’economia e nella società di
2. Fotomontaggio di orientamento per il percorso che conduce da Sion Station allo studio di URBZ all’interno dell’insediamento informale di Dharavi. Foto: Alberto Bottero
Mumbai. Lo slum non appare come un ghetto,
anche se così è definito nella maggior parte delle
pubblicazioni, le persone che vi abitano non se ne
vergognano né tantomeno aspirano a lasciarlo, o
almeno la differenza è più sottile rispetto a come
questa viene presentata.
Dharavi rappresenta in realtà una parte di città
in cui la municipalità ha deciso di rinunciare al
proprio ruolo di pianificatore e di costruzione
delle infrastrutture necessarie. Se questo non
fosse avvenuto probabilmente Dharavi non
sarebbe oggi così diversa dal quartiere di Sion
che sorge a pochi passi.
Vivere all’interno di Dharavi significa essere
circondati da una massa di persone costantemente
in movimento ed inserite in qualche processo
di produzione o riciclaggio. Allo stesso tempo
significa essere in grado di trovare ogni tipo di
prodotto commerciale reperibile in qualsiasi
altra parte di Mumbai. Per i residenti di Dharavi,
lo slum rappresenta la possibilità di mantenere
1.2 L’esperienza di “vivere” a Dharavi
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1 4
3. Il sito di progetto del New Transit Camp Social Club all’interno di Dharavi. Foto: Alberto Bottero
legami comunitari e familiari ancora molto forti e
utili per affrontare insieme le difficoltà oggettive
del vivere a Mumbai.
Nel nostro scoprire Dharavi siamo stati affiancati
da URBZ, un’organizzazione locale che tenta di
coinvolgere i residenti dello slum nello sviluppo
di un’alternativa ai piani urbani calati dall’alto.
Oggi su Dharavi pesa come una condanna
definitiva il progetto del Dharavi Redevelopment
Plan. La nostra idea, in linea con quella di URBZ,
è che Dharavi non debba essere “sviluppato”, ma
più semplicemente “incrementato”, “aiutato a
crescere” attraverso la fornitura di infrastrutture,
consolidato e messo in sicurezza nelle sue parti
più degradate.
L’approccio utilizzato dall’attuale piano di
risanamento, e dalla maggior parte di quelli
passati, tende a leggere Dharavi come una tabula
rasa impoverendo la discussione ed il confronto
su ogni possibile proposta progettuale
Il piccolo progetto all’interno del nagar di New
Transit Camp acquisisce dunque significato in
quest’ottica. Non un grande intervento di sviluppo
urbano con la presunzione di risolvere ognuno dei
problemi di Dharavi, ma un incremento “naturale”
del costruito, l’aggiunta di un tassello che possa
acquisire anche un valore architettonico e sociale
partendo da ciò che esiste e che oggi, a modo
suo, sembra poter funzionare.
La possibilità di costruire un Social Club
per persone anziane e bambini di strada
all’interno del terreno ereditato da Paul Raphael,
nostro committente, diventa così l’occasione
di dimostrare come Dharavi possa essere
incoraggiato e potenziato “dal basso”.
La possibilità di risiedere per un periodo
all’interno dello slum ci ha inoltre aiutato a
comprendere come le dinamiche informali siano
straordinariamente differenti rispetto a quelle
per cui siamo stati preparati durante il nostro
percorso di architetti. Anche le risposte che
l’architetto deve dare a questo processo dovranno
perciò ricollocarsi e riposizionarsi costantemente,
in un’ottica di continuo contatto con il contesto
reale.
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Durante il nostro periodo di permanenza, il
processo progettuale è in realtà arrivato solo ad
una prima fase di concept, anche a causa delle
molte difficoltà incontrate nel lavoro sul lotto.
La realtà complessa dello slum di Dharavi è
emersa prepotentemente nei mesi successivi
con cambiamenti di programma funzionale e di
possibilità di intervento sul sito.
Il lavoro di tesi ha tentato di riportare
dettagliatamente le diverse fasi di progetto
ad oggi sviluppate, consapevole che queste
aumenteranno prima della conclusione del
processo.
Il lavoro di progettazione prodotto dall’Italia è
stato costantemente aggiornato e guidato grazie
alla mantenimento della collaborazione con URBZ
che ha indirizzato e accettato le nostre proposte
progettuali, monitorando le possibilità reali di
costruzione in situ.
Un costante scambio di e-mails è stato alla base
degli sviluppi progettuali proposti e risulterebbe
essere il report più fedele delle difficoltà presenti
4. La collaborazione con Stefano Boeri nata in seguito ad un incontro a Dharavi. Foto: Matias Echanove
5. La costruzione del Social Club in progress durante lo sviluppo del progetto in Italia. Foto: Matias Echanove
in un processo di progettazione informale.
Durante lo sviluppo dell’idea progettuale, il
lavoro è stato inoltre presentato al Politecnico
di Milano4, grazie alla disponibilità di Stefano
Boeri, incontrato durante il nostro soggiorno a
Mumbai.
Il tentativo è stato quello di portare avanti un
progetto su più piani. Uno per quanto possibile
reale e costruito ed uno di riflessione teorica sulla
realtà di Dharavi e sulle possibilità di intervento.
Il progetto diventa così un meccanismo per
dimostrare come sia possibile incrementare
Dharavi in modo differente, attraverso processi di
progettazione inclusivi e puntuali.
Nel momento in cui venivano sviluppate idee
progettuali dall’Italia, cambiavano le condizioni
al contorno del progetto, rendendolo via via più
complesso e rappresentativo della realtà dello
slum.
La riflessione che emerge come capitolo
conclusivo è quindi sul nuovo ruolo acquisito
nel corso del periodo di progettazione, sempre
1.3 La conclusione del progetto dall’Italia
intr
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1 6
più inserito e guidato, anche se a distanza, dalla
realtà locale.
Sebbene la proposta su cui stiamo lavorando
oggi abbia una metratura molto ridotta rispetto a
Note 1.Un progetto di tesi in tre fasi1. L’8 novembre 2006 un gruppo di studenti della I Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino è stato premiato con il Premio Speciale della Giuria alla 10. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, con il progetto Cutting Edge Bombay, nell’ambito del workshop internazionale “Learning from cities”. Il gruppo ha avuto come tutor Michele Bonino e Subhash Mukerjee di MARC ed ha lavorato sotto il coordinamento di Pierre-Alain Croset.
2.Il workshop Urban Typhoon si è svolto a Dharavi Koliwada tra il 16 ed il 22 marzo 2008 ed è stato coordinato ed organizzato da PUKAR insieme con ricercatori ed attivisti sociali indipendenti. Ha visto la partecipazione di architetti, artisti, docenti accademici e attivisti sociali provenienti da tutto che, uniti ai residenti di Koliwada, hanno prodotto idee, immagini , piani e prospettive per il futuro di Dharavi. La conclusione del workshop ha visto anche la nascita del sito web dharavi.org.Il Politecnico di Torino ha partecipato con una delegazione di studenti coordinati da Subhash Mukerjee (team leader).3. Attraverso gli strumenti di progettazione urbana, Hindustry studia le megalopoli indiane, con una particolare attenzione al rapporto tra aspetti sociali e architettonici. Hindustry nasce dalla partecipazione a tre eventi: - IABR Biennale Internazionale di Architettura di Rotterdam, 2009, sezione Parallel Cases, “Coexistance as Survival. Enhancing informal synergies in Dharavi communities, Mumbai. - Koliwada, Mumbai, 2008. Workshop “Urban Typhoon”, progetto Koalition- Biennale di Venezia, 2006. Workshop “Learning from cities”, progetto Cutting Edge Bombay. Vincitore del Premio Speciale per le Scuole di Architettura.4. La lezione a cui abbiamo partecipato è stata inserita nel programma corso Urban Design coordinato da Stefano Boeri presso il Politecnico di Milano. Alla lezione ha partecipato anche Yehuda Safran, riportando la propria posizione relativamente alla situazione attuale di Dharavi ed all’utilità dell’impegno di architetti occidentali nello studio di aree urbane iper-degradate.
quella delle fasi precedenti, questa ha sembrato
assecondare al meglio le condizioni locali e pare
avere più possibilità di essere costruita nei mesi
a venire.
2. Mumbai e Dharavi: le premesse all’attività
progettuale
Mumbai:
_Cenni storici, Mumbai Oggi
_Origine e diffusione degli slums nella città di Mumbai
_I meccanismi politici di intervento per lo “sviluppo” degli slums
Dharavi:
_Cenni storici
_Le politiche applicate per il risanamento di Dharavi
_The Opportunity of the Millenium I: il Dharavi Development Plan
_The Opportunity for the Millenium (?) II
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2.1.1 Cenni storici, Mumbai oggi
L’arcipelago, la dominazione portoghese, la
British East India Company
Bombay 1 ebbe origine da un arcipelago di sette
isole (Mumbadevi, Colaba, Isola Old Woman’s,
Mahim, Parel, Worli e Mazgaon), abitate un tempo
da contadini e dai kolis (pescatori) e coperte da
un’estesa macchia di foreste.
Il lungo braccio di mare tra le isole ed il continente
formavano un porto con acque profonde e l’isola
di Colaba fungeva da approdo naturale per i
naviganti.
Alla fine del secolo XV secolo, i portoghesi
presero il controllo delle isole e governarono,
senza opposizione, per poco più di un secolo.
Nel 1661 il territorio fu ceduto all’Inghilterra che
successivamente ne delegò il controllo alla British
East India Company. Nel 1681 questa decise di
trasferire la propria sede di controllo da Surat a
Bombay. L’urbanizzazione della città si è confinata
in questo periodo sull’isola di Mumbadevi (a sud
dell’attuale Mumbai).
Hornby Vellard, la “Manchester d’oriente”, la
Bombay coloniale
Tra il 1772 ed il 1838 ebbe luogo il primo piano
ingegneristico su vasta scala per la città, avviato
da William Hornby (Governatore di Bombay
1771-1787) contro la volontà della British East
India Company. Grazie agli interventi previsti da
questo venne colmata la parte di mare estesa tra
isole e venne costruita una via di collegamento
rialzata che portò alla formazione di un unico
porto naturale noto come “Hornby Vellard” (dal
portoghese vallado, terrapieno).
Nel 1853 venne inaugurata la prima linea
2.1 Mumbai
1. Carta storica del XVII secolo raffigurante Salsette island. Fonte: MR ‘06, p. 262
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ferroviaria indiana, lunga 35 km tra Bombay e
Thana e un anno più tardi, nel 1854, il primo
stabilimento per la lavorazione del cotone venne
fondato a Bombay.
Dalla metà del 1850, Bombay sarà una delle più
grandi ed importanti città coloniali dell’Asia, grazie
ai magazzini tessili ed al connesso commercio del
cotone, guadagnandosi anche l’appellativo di
“Manchester d’Oriente”. L’immigrazione su larga
scala dei lavoratori Marathi 2 verso la città iniziò a
crescere e Bombay acquisì una forma sempre più
vicina a quella odierna.
Dal momento in cui l’industria del cotone iniziò
ad espandersi, prima che la città avesse una rete
di trasporti adeguata, i proprietari industriali
decisero di alloggiare i migranti il più vicino
possibile agli opifici. Vennero così costruiti, in
prossimità dei luoghi di lavoro, i chawls, edifici
ad alta densità di 4-5 piani fuori terra, in cui una
stanza di 20 mq diveniva l’unico spazio abitativo
per una famiglia ed i servizi erano installati in
comune per ogni piano.
Dopo la prima guerra d’indipendenza nel 1857,
la British East India Company venne accusata di
cattiva gestione della città e Bombay tornò sotto
il controllo della corona britannica.
In seguito allo scoppio della Guerra civile
Americana nel 1861 l’economia di Bombay trasse
numerosi benefici per il commercio di cotone
con l’Inghilterra e, grazie anche all’apertura del
Canale di Suez nel 1869, divenne il porto indiano
più vicino all’Europa. L’economia cittadina venne
così trasformata da agraria in quella di una città
coloniale di fiorente produzione manifatturiera.
Come sottolineato in Reclaiming (The Urbanism
of) Mumbai, dal 1860 l’isola di Bombay ha
subito numerose opere di modificazione. Dalla
demolizione delle mura, alla bonifica progressiva
di numerose aree per la residenza e per
l’ampliamento delle aree portuali, la natura è stata
violata per garantire il successo economico del
paesaggio artificiale. La necessità di recuperare
terreno abitabile ha così caratterizzato l’intera
storia della città.
Tra il 1870 e il 1950 il boom economico ha portato
Bombay a crescere molto velocemente, senza che
fosse stato previsto alcun piano per lo sviluppo
urbano, ma proseguendo le grandi opere di
bonifica dei terreni paludosi presenti ancora nella
città.
La Back Bay Reclamation Company nacque negli
anni Sessanta dell’Ottocento con la volontà di
bonificare tutti i terreni estesi tra le attuali Malabar
Hill e Colaba, anche se le ultime opere di bonifica
datano 1970, ad opera del Bombay Development
Department.
Durante tutto il Novecento la città di Bombay
ha visto costantemente aumentare il numero
dei propri abitanti e si è sviluppata sottraendo
terreno al mare ed espandendosi verso le regioni
più a Nord.
Questa strategia funzionò fino al periodo alla metà
2. “Bombay with its harbour and country adjacent”. Carta storica del 1855 in cui emerge l’importanza del porto di Bombay. Fonte: RUM, p.14
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del Novecento. Al momento dell’indipendenza,
nel 1947, Bombay contava infatti una popolazione
che era ancora al di sotto del milione e mezzo di
persone.
Dopo l’Indipendenza e gli anni della Navi
Mumbai
Negli anni Sessanta, Bombay divenne la capitale
dello stato del Maharashtra ed il flusso migratorio
da questa e dalle altre regioni dell’India aumentò
notevolmente. Alla fine degli anni Sessanta la città
si trovava ad ospitare tra i cinque e i sei milioni di
persone.
Nel 1964 la municipalità di propose un piano di
massima per lo sviluppo cittadino in cui, per una
città che ospitava già quattro milioni e mezzo di
abitanti e per cui si prospettava un raddoppio
della popolazione nelle due decadi successive,
non vennero previste alternative allo sviluppo
urbano degli anni precedenti. La naturale
espansione verso nord che la città aveva avuto
negli anni passati, sarebbe stata sufficiente anche
per contenere gli abitanti futuri.
Un gruppo di architetti formato da Charles Correa,
Pravina Mehta, Shirish Patel propose quindi un
piano alternativo: la costruzione di una città
satellite progettata per due milioni di persone:
Navi Bombay. La “nuova Bombay” avrebbe
dovuto fungere da contro-magnete per fermare
l’immigrazione verso la città e per collocare nuove
abitazioni per gli abitanti più poveri degli slums.
Secondo quanto descritto da Charles Correa,
il progetto si basava su tre semplici principi: un
nuovo sviluppo pianificato, la costruzione di
adeguate infrastrutture grazie ai proventi ricavati
dalla vendita dei terreni e la volontà di deviare la
3. Trasformazioni geologiche della Salsette Island. Fonte: RUM, p. 11
1670: le sette isole originarie, principalmente coperte da foreste, abitate da pescatori e contadini.
1812: le prime opera di bonifica ad opera della corona britannica.
1864: si notano tre bande per le differenti composizioni geologiche dei terreni (roccia vulcanica, depositi alluvionali e roccia sedimentaria stratificata).
1933: la topografia dell’isola è notevolmente modificata con l’acceleramento delle opere di bonifica.
1969: le opere di bonifica maggiori sono state concluse e l’isola ha raggiunto la propria massima capacità.
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pressione della crescita verso la nuova città.
Il piano venne adottato nel 1969 dal Bombay
Metropolitan Regional Planning Board.
Navi Bombay nasceva come un insieme di piccole
città adatte ad ospitare ognuna tra i 100,000 e i
300,000 abitanti su un terreno di 500-800 ettari
con aree dedicate alla produzione industriale
e distretti finanziari. Le nuove polarità vennero
studiate come entità urbane autonome, collegate
tra loro da un imponente sistema infrastrutturale
e separate da spazi verdi.
Venne inoltre ipotizzato un nuovo porto,
opposto a quello della antica Bombay, nell’ottica
di muovere alcune attività commerciali ed
industriali.
In realtà Navi Bombay non si è rivelata essere
un magnete sufficientemente attrattivo per gli
immigrati e per le classi più povere.
La popolazione della vecchia Bombay ha
continuato ad aumentare nel corso di tutti i
decenni successivi raggiungendo gli odierni
quindici milioni di abitanti.
Mumbai oggi
Mumbai è oggi la più grande e più densamente
popolata delle città indiane, una megalopoli
che sta vivendo una fase di rinnovamento e
che rappresenta per molti indiani la speranza di
migliorare le proprie condizioni di vita e, prima
ancora, quelle delle generazioni future.
Il disagio è un investimento per migliorare il
futuro e le opportunità della propria famiglia.
La diffusione dei film di Bollywood, ha fatto
4. La nuova centralità di Navi Bombay e collegamenti navali con l’antico porto. Fonte: Charles Correa, Housing and Urbanization: Building Solutions for People and Cities, Thames & Hudson, London, 1997 p.116
5. I 22,000 ettari di terreno destinati alla costruzione della Navi Bombay. Fonte: Charles Correa, Housing and Urbanization: Building Solutions for People and Cities, Thames & Hudson, London, 1997 p.116
6. La crescita della popolazione di Bombay tra il 1901 ed il 2001. Fonte: Charles Correa, Housing and Urbanization: Building Solutions for People and Cities, Thames & Hudson, London, 1997 p.116 (ridisegnata)1901 11 21 31 41 51 61 71 81 91 01
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divenire Mumbai un sogno di massa per gli altri
abitanti del paese; il fatto che la casta qui non
abbia più lo stesso valore che ancora conserva nei
villaggi offre nuove possibilità anche agli abitanti
un tempo appartenenti alle caste più basse.
La popolazione della Mumbai (considerando
l’area della Greater Mumbai 3) oggi varia tra i 13 e
i 16 milioni, con una prospettiva di crescita pari al
14% nella prossima decade.
Una percentuale variabile tra il 40% ed il 60% di
questa oggi vive però in insediamenti informali.
Il prodotto medio lordo di ciascuno dei suoi
abitanti si aggira intorno alle 55,000 Rs pro-capite
(circa 1000 USD) contro un costo annuale medio
della vita di 22,000 Rs (circa 500 USD).
Il PIL cittadino costituisce il 2,4% del PIL nazionale
anche se il 72% della popolazione è impegnato in
settori informali dell’economia.
Suketu Mehta definisce Mumbai una Maximum
City, una città degli eccessi dove tutto sembra
espandersi in maniera esponenziale: dai call
center, all’industria cinematografica, allo status
di capitale finanziaria dell’India, ma anche agli
slums, al degrado delle infrastrutture e delle
condizioni ambientali.
Tra il 1998 e il 2002 la crescita annuale si è
attestata al 2.4%, contro il 7% rilevato tra il 1994
ed il 1998.
Anche la qualità della vita con notevoli problemi
di accesso all’acqua, di congestione del traffico e
di conseguente inquinamento, non è migliorata
ed il numero degli abitanti degli insediamenti
informali è in progressivamente aumentato.
Gli urbanisti oggi guardano al modello di Shanghai,
come guida per la città ed il Maharashtra State
Government ha appena approvato un documento
intitolato ‘Vision Mumbai’ 3, che mira a trasformare
Mumbai in una world-class city entro il 2013
anche se, come sostiene l’architetto Charles
Correa, ‘There’s very little vision. They’re more like
hallucinations.”
Secondo quanto riportato nel Mc-Kinsey report,
per consolidare nei prossimi anni il proprio
ruolo di metropoli finanziaria e commerciale,
7. Veduta della città di Mumbai dal nord della Salsette island. Fonte: Jehangir Sorabbjee in MMR ‘06, p. 246-247
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Mumbai dovrebbe continuare la propria crescita
economica ed incrementare il livello di qualità
della vita.
Il potenziamento del trasporto pubblico, la
costruzione di abitazioni per residenti a basso
reddito, il miglioramento delle condizioni
ambientali e di inquinamento dell’aria si
presentano quindi oggi come temi imprescindibili
per la costruzione della città che verrà.
I problemi di Mumbai non potranno comunque
essere risolti lavorando solo sulla città stessa, ma
sarà necessario migliorare anche le condizioni
delle aree limitrofe, dei villaggi del Maharashtra
e, più in generale, delle altre regioni dell’India.
Il problema principale che sarà necessario
affrontare resta comunque quello dell’accesso
alla casa per metà della popolazione. Come
raccontato nei paragrafi precedenti, la “mancanza
di terra” ha portato i prezzi degli appartamenti
della zona centrale a livelli inaccessibili per la
maggior parte degli attuali abitanti di Mumbai.
Spostare gli uffici centrali del Maharashtra
State Government a Navi Mumbai e dislocare le
numerose attività portuali dal sud della città al
di fuori delle Salsette island, sarebbero entrambi
processi che permetterebbero di liberare nuovi
terreni per infrastrutture e servizi.
La scelta di utilizzare l’area dismessa dei cotton
mills -2,43 kmq nella parte centro-occidentale
della città- per la costruzione di alloggi di lusso
e centri commerciali anziché per migliorare i
servizi di scuole, aree verdi e spazi pubblici, getta
in realtà alcune ombre su quello che possa essere
il futuro sviluppo della città.
In questo senso anche l’atteggiamento che la
municipalità sta tenendo durante lo studio del
Dharavi Redevelopment Plan, in uno degli slum
storici della città i cui terreni hanno acquisito
oggi enorme valore fondiario, sembra muoversi
nella direzione di un’occasione persa per la
concertazione tra abitanti degli slums ed il resto
della città.
8. Vision Mumbai , Bombay First-Mc Kinsey. Fonte: MMR ‘06
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9. Alcuni dei grafici inseriti all’interno di Vision Mumbai: in ordine- crescita economica e qualità della vita, le principali sfide per la Mumbai del futuro.- le iniziative prioritarie che aiuteranno Mumbai a raggiungere la qualità della vita prospettata Fonte: Vision Mumbai , Bombay First-Mc Kinsey, p. 4, 14
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2.1.2 Origine e diffusione degli slums nella città
di Mumbai
La contestualizzazione del fenomeno: alcuni
dati di città indiane a confronto
La questione degli slums si pone oggi come un
tema di fondamentale importanza per la città
indiana: in città come Kolkota, Delhi, Chennai
e la stessa Mumbai una buona parte della
popolazione vive all’interno di quelli che vengono
definiti come insediamenti informali. In generale,
oggi più di un quarto della popolazione cittadina
indiana vive oggi negli slum. A Delhi sono quasi
due milioni gli abitanti degli slums, a Kolkota
sono circa un milione e mezzo, mentre a Chennai
raggiungono le ottocentomila unità.
Osservando i rapporti percentuali tra popolazione
e abitanti degli slums, sono in realtà anche
città più piccole che emergono per dati che
si avvicinano a quelli di Mumbai. In città quali
Meerut e Faridabad circa il 45% della popolazione
vive in insediamenti informali, mentre a Nagpur
la percentuale supera la soglia del 30%.
Nella regione di Mumbai, il Maharashtra, si
stimano oggi più di undici milioni di persone,
circa il 33% della popolazione totale, allocate
negli slums.
Mumbai “Slumbay”
Il problema è particolarmente accentuato
all’interno di Mumbai, dove vivono oggi il 15%
degli abitanti totali degli slums indiani.
Tra il 1950 e il 1968 il numero delle baraccopoli
è aumentato del 18%, fino ad arrivare, nel 1980,
alla soglia limite del 50% della popolazione.
Oggi sei milioni e mezzo di persone su quindici
(mentre alcuni dati parlano addirittura di nove
milioni e mezzo su sedici milioni di abitanti)
10. La diffusione degli slums in alcune città indiane. Fonte: London School of Economics (a cura di), Urban India: understanding the maximum city, Urban Age, London, p. 36
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vivono all’interno di insediamenti informali
con limitato accesso alle infrastrutture ed ai
servizi e costituiscono tra il 40% ed il 60% della
popolazione della Greater Mumbai.
Nonostante i tentativi effettuati in passato
per risolvere il problema, il numero di persone
residenti negli slums è oggi ancora in crescita. Il
tasso di crescita è in realtà superiore al tasso di
crescita urbana della città formale e Mumbai ha
guadagnato, in molte pubblicazioni, il titolo di
“Slumbay”.
Tipologia e distribuzione degli slums a
Mumbai
E ‘importante riconoscere che gli slums di Mumbai
sono altamente differenziati per tipologia,
dimensione e posizione ed occupano terreni
appartenenti al Governo Centrale, allo stato del
Maharashtra, alla municipalità 5, ma anche terreni
privati. E’ valutato che circa il 43% dei terreni su
cui oggi sorgono gli slums è infatti di proprietà
privata.
Molti sono inoltre gli abitanti che non vivono
in veri e propri slums, ma che alloggiano ogni
giorno, anche per periodi lunghi, sui marciapiedi
della città per non allontanarsi troppo dal posto
di lavoro.
Come accennato in precedenza non tutti gli slums
hanno al proprio interno la stessa condizione
ambientale relativamente alla qualità delle
costruzioni e di accesso ai servizi.
Alcuni slums storici, come quello di Dharavi,
hanno avuto nel tempo la possibilità di restare fissi
in un luogo e hanno saputo, in maniera informale
e spesso al di fuori dei limiti di legge, migliorare
le proprie condizioni. Sono state costruite
abitazioni con materiali più duraturi, si è provvisto
all’allacciamento idrico ed a quello elettrico e
sono state costruite alcune infrastrutture per la
mobilità interna grazie ai piani di risanamento.
Facendo riferimento alla figura 12, se nelle zone
F e G riportate nella mappa il 61% degli abitanti
degli slums gode di un allacciamento all’acqua,
nelle zone R e P solo il 19% di questi ha accesso a
questo servizio.
Gli slums che si trovano oggi sui terreni
comunali hanno acquisito lo status di “ufficialità”
accordatogli dalla Bombay Metropolitan Autority
(BMA) ai sensi dello Slum and Central Urban
Land Act del 1976. Questo significa che la zona
è ufficialmente riconosciuta come “non idonea
all’abitazione umana” e la BMA avrà il compito di
provvedere al più presto alla fornitura dell’accesso
alle infrastrutture ed ai servizi necessari.
Prima del 1950 gli slums sono sorti principalmente
intorno alla zona dei cotton mills, nella parte
centro-occidentale dell’isola, nel quartiere
denominato Byculla. Questi erano per lo più
abitazioni di una stanza, in cui i lavoratori del
settore tessile abitavano con le proprie famiglie.
Negli anni successivi, con l’aumento della
popolazione, gli slums si sono allargati anche alle 11. The Times of India, articolo pubblicato nel 2006 sugli slums a Mumbai. Fonte: MR ‘06, p. 162-163
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zone limitrofe quali la Mahim Creek, Parel, Dadar
e Matunga.
Sebbene si possa considerare che il fenomeno
degli slums investa tutta la città di Mumbai,
va sottolineato che gli slums non sono
uniformemente diffusi: essi costituiscono il 79%
del costruito nella zona M e il 47% di quello delle
zone L, N e T. Queste due aree sono quelle in cui
è maggiore la diffusione del fenomeno, mentre
nelle zone A-E e P-R gli slums costituiscono
comunque una percentuale inferiore al 20%.
In ogni caso a Mumbai la popolazione che vive
oggi negli insediamenti informali può considerarsi
più inserita che in altre città indiane. Facendo
un raffronto con Delhi, per esempio, a Mumbai
più del 40% degli slums si trova oggi nelle zone
centrali della città (da A a K), mentre nella capitale
indiana questa percentuale è praticamente nulla
e gli slums si sviluppano sostanzialmente nelle
periferie.
La formazione degli slums di Mumbai: cause
ed origini
Sin dalla fine del XIX secolo la municipalità
di Mumbai ha tentato di impegnarsi, in modi
differenti e con investimenti altalenanti, nella
risoluzione del problema degli slums e delle aree
urbane iper-degradate. Una serie di politiche
amministrative, che nel corso degli anni Novanta
hanno teso a coinvolgere anche gli investimenti
privati, sono state applicate per risolvere i
problemi dell’housing per gli abitanti più poveri
e per quelli con redditi medio-bassi.
Il fenomeno dell’occupazione informale di terreni
vacanti sul territorio della Greater Mumbai
ha però origine ben prima dell’indipendenza
indiana e può essere associato, senza timore di
12. Suddivisione in settori della Greater Mumbai. Fonte: MR ‘06, p. 23
13. Greater Mumbai, la diffusione dei più di 3,000 insediamenti informali con almeno 1,000 residenti. Fonte: MR ‘06, p. 154-155
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semplificare eccessivamente, alla questione
dell’immigrazione verso la nascente capitale
finanziaria indiana.
Tra il 1941 ed il 1971 circa i due terzi della
popolazione di Mumbai erano costituiti da
migranti di prima generazione, arrivati in città
alla ricerca di un lavoro.
Se il dato sull’immigrazione ha continuato ad
aumentare nel corso degli anni, anche quello
relativo all’economia informale, che sottolinea
la presenza di una vita parallela a quella
della città formale, è divenuto sempre più
determinante rispetto all’economia cittadina:
se nel 1961 gli impiegati nel settore informale
costituivano circa il 50% di quelli totali, già
nel 1991 questa percentuale si avvicinava al
66%. Oggi, in Mumbai Visions, i dati parlano
addirittura del 72% della popolazione
impegnata nell’economia informale.
La maggior parte di questa aveva (ed ha) origine
all’interno degli slums, rendendoli luoghi di
produttività vitali per l’economia cittadina
piuttosto che aree di povertà e miseria come
dipinti nell’immaginario comune.
Anche se è difficile quantificare la ricchezza che
questi insediamenti producevano (e tuttora
producono), i prodotti a basso costo che questi
hanno sempre fornito al mercato formale sono
frutto di salari bassi e di un mercato affittuario
in grado di fornire abitazioni a prezzi molto
inferiori rispetto a quelli del mercato formale.
Il flusso migratorio ininterrotto verificatosi
lungo tutto il Novecento da ogni regione
dell’India verso Mumbai non è stato bloccato dai
progetti di decentramento del nucleo cittadino
attraverso la costruzione di città satellite quali
Navi Bombay. Poiché la rete infrastrutturale
14. Mumbai, la densità della popolazione nelle diverse parti della città. Si noti la densità a Dharavi, pari al valore massimo. Fonte: MR ‘06, p. 162
15. La differenza dei prezzi di mercato nelle diverse parti della città. Si noti il valore fondiario 10,000-15,000 Rs del Bandra Kurla Complex, accanto a Dharavi. Fonte: MR ‘06, p. 163
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dei trasporti non è migliorata a sufficienza nella
Mumbai Metropolitan Region 6, i migranti hanno
continuato a dirigersi verso le aree centrali della
città.
Anche se l’immigrazione è, come detto in
precedenza, una delle cause principali del
proliferare degli slums, va sottolineato che questa
non può essere considerata l’unica causa poiché
questa non è di molto superiore rispetto ad altre
città nei paesi in via di sviluppo.
Il problema dunque non è l’immigrazione in sé,
ma la pressione che questa produce su una città
che non ha più terra a disposizione per espandersi
ed in cui i terreni vacanti sono stimati tra i 3,000
e 20,000 ettari e si trovano per lo più in mano a
pochi privati.
Vi è una profonda differenza nella distribuzione
dei terreni all’interno della città: mentre sei milioni
di persone vivono oggi sul 5% del territorio
della Greater Mumbai, la parte più ricca della
popolazione occupa il restante 95% della città.
E’ chiaro inoltre che la fornitura di alloggi nel
suo complesso, ma soprattutto per le fasce della
popolazione più povere a Mumbai è stata negli
anni gravemente carente.
L’offerta di abitazioni formale è infatti coperta
prevalentemente dal settore privato che tra il
1984 e il 1991 ha contribuito alla costruzione
del 66% dell’edilizia nella Mumbai Metropolitan
Region. La domanda media annuale di abitazioni
è cresciuta da 46,000 negli anni Sessanta a 70,000
negli anni Settanta, a 66,000 negli anni Ottanta
ed a 85,000 durante gli anni Novanta. D’altra
parte però l’offerta fornita dal settore pubblico e
17. 6,000,000 di persone vivono oggi sul 5% del territorio della Greater Mumbai mentre la parte più ricca della popolazione occupa il restante 95% della città. 91 proprietari terrieri controllano quasi tutti i “terreni vuoti” mentre il 6% della popolazione controlla il 75% dei terreni della Greater Mumbai. Fonte: MR ‘06, p. 162-163
16.Vignetta ironica sulle condizioni di vita all’interno della densità estrema di Mumbai. Fonte: MR ‘07, p. 25
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privato insieme negli anni è stata sempre di molto
inferiore: 17,600 negli anni Sessanta, 20,000 negli
anni Settanta, 57,400 negli anni Ottanta e 65,000
negli anni Novanta. Questo gap presente nei dati
tra domanda e offerta è stato negli anni colmato
dagli insediamenti informali che oggi hanno
invaso la città.
Il prezzo di acquisto delle case è oggi un problema
fondamentale per le persone più povere: a
seconda della localizzazione, dei servizi e delle
infrastrutture poste nelle vicinanze il prezzo di
un’appartamento a Mumbai può variare tra le
1,700 Rs/sqfeet alle 16,000 Rs/sqfeet. Questi
18. Le contraddizioni dell’odierna Mumbai. Il proliferare degli slums a fianco dell città formale. Fonte: Jehangir Sorabbjee in MMR ‘06, p.232-233
prezzi sono notevolmente superiori rispetto ai
prezzi medi presenti nelle altre città indiane e
sono comparabili con i prezzi delle abitazioni nei
migliori quartieri di metropoli internazionali quali
Singapore, New York e Shanghai.
La persistente incapacità di fornire abitazioni
attraverso il mercato formale per incontrare la
domanda annuale ha determinato oggi nella
città di Mumbai questo profondo disequilibrio
che incentiva la speculazione edilizia, aumenta
i profitti dei costruttori privati e non consente a
molte persone una scelta alternativa a quella del
mercato “informale”.
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2.1.3 I meccanismi politici di intervento per lo
“sviluppo” degli slums
Già dal 1896, attraverso il Bombay Improvement
Trust Act 7 la città si è dotata degli strumenti
legislativi necessari per “liberare” il proprio
territorio dal problema delle baraccopoli.
La prassi adottata durante tutta la prima metà
del Novecento è stata quella dello “sradicamento”
degli slums dalle aree centrali della città,
rinnovandole attraverso nozioni di sviluppo e
lottizzazione occidentali.
La soluzione per la maggior parte dei residenti
informali era dunque muoversi in altre parti
della città, più periferiche, per tornare a vivere
nuovamente in uno slum.
Nel corso degli anni Settanta una crescente
opposizione è emersa nei confronti di questo tipo
di politica, applicato indistintamente prima dal
governo inglese, poi da quello indiano in seguito
all’indipendenza.
Il 1976 è sembrato essere, in un certo senso, l’anno
che ha segnato una mutata attenzione verso la
problematica dell’abitazione per i più poveri che
aveva ormai assunto dimensioni e proporzioni
decisamente ingombranti per l’intera città.
Il Maharashtra State Government Census
(1976)
Voluto dal Maharashtra State Government, il
primo censimento ufficiale risale al gennaio 1976
e ha rilevato la presenza, nella sola Bombay, di
902.015 costruzioni “informali” distribuite in 2335
aree urbane degradate di cui più del 50% nate su
territori posseduti da privati.
Grazie a questo primo tentativo di monitorare la
situazione relativa alle aree urbane iper-degradate
vennero distribuite carte d’identità ad ognuno
degli abitanti degli slums nati prima del 1976;
questi acquisirono di fatto l’ “eleggibilità”, cioè il
diritto ad ottenere un’abitazione in occasione di
eventuali piani di sviluppo e risanamento futuri.
Non venne però assicurata a nessuno degli
abitanti la “permanenza” futura dello slum.
Molti degli abitanti allocati lungo le linee
ferroviarie e lungo i marciapiedi non beneficiarono
di questo censimento continuando a rimare di
fatto cittadini “illegali”.
All’interno della stessa indagine vennero pubblicati
alcuni risultati interessanti per inquadrare il
fenomeno della città informale: gli insediamenti
nelle periferie di Mumbai ospitavano circa l’83%
degli abitanti degli slums e questi erano nati, nella
maggior parte dei casi, su aree non adatte per lo
sviluppo urbano quali terreni paludosi, collinari o
lungo linee ferroviarie.
Inoltre, furono rilevati alcuni dati relativi alle
condizioni lavorative: tra il 10% e il 15% degli
abitanti degli insediamenti informali lavorava
all’interno degli insediamenti stessi, mentre
questa percentuale si alzava di molto in
insediamenti più consolidati, quali Dharavi, dove
circa 350,000 persone vennero censite e dove le
industrie delle ceramiche, delle concerie, della
produzione di liquore e dei tessuti erano già
vivacemente avviate da alcuni decenni.
I dati raccolti relativamente alle condizioni
abitative parlano di abitazioni di circa 12.5 metri
quadri per ogni nucleo familiare; di queste solo
una minima parte era costruita con materiali
permanenti.
Inoltre, mentre all’interno degli slums il 48% della
popolazione era proprietario della propria casa,
mentre i restanti abitanti godevano di affitti molto
più bassi rispetto alla media di Bombay. Come
sottolineato già in precedenza, anche da questo
censimento emerse come il fenomeno degli slums
fosse strettamente connesso all’immigrazione
ed alla difficoltà di trovare casa nel mercato
formale: il 79% delle famiglie erano infatti arrivate
a Mumbai dopo il 1960 e circa il 50% dei migranti
era originario di altri stati dell’India.
Le strategie di potenziamento degli slums in
situ alla fine degli anni ‘70 ed inizio anni ‘80
Negli anni Ottanta circa il 50% della popolazione
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di Bombay, equivalente a 4.5 milioni di persone,
viveva all’interno degli slums ed il 70% di questa
risiedeva all’interno di insediamenti riconosciuti
e legittimati nel 1976.
Con oltre il 40% di questi che vivevano al di
sotto della soglia minima di povertà, il tema
dell’intervento statale sul mercato immobiliare
si prospettava come aiuto necessario ed
inderogabile. Tra la fine degli anni Settanta e
l’inizio degli anni Ottanta vennero adottate due
strategie successive e complementari: prima,
nel 1976 lo Slum Improvement Program (SIP) e
successivamente, dal 1983-84 lo Slum Upgradation
Program (SUP).
Queste strategie ebbero origine da un
“cambiamento di rotta” che si riscontrò anche a
livello internazionale sui metodi di intervento
dello stato nel risanamento delle aree urbane
iper-degradate: organizzazioni quali la World Bank
parlano in questi anni dell’importanza della tutela
delle condizioni ambientali e del miglioramento
degli insediamenti in situ .
I principi che vengono richiamati sono quelli
di “accessibilità” (adottando un approccio
realistico alla disponibilità economica degli
abitanti), “recupero dei costi” (legato al concetto
di accessibilità in quanto implicava che l’ utente
potesse pagare la nuova abitazione piuttosto che
usufruire di un “regalo”) e “replicabilità” (al fine
di creare progetti “trasferibili” nell’ottica di un
miglioramento complessivo degli alloggi).
Gli interventi attuati all’interno dei SIP cercarono
di aumentare le infrastrutture attraverso la
costruzione di una rete per la distribuzione
dell’acqua sanitaria e per la raccolta delle acque
reflue, l’inizio di un’opera di pavimentazione di
strade e marciapiedi, la fornitura di impianti di
illuminazione e di una rete di energia elettrica.
Nonostante il largo raggio d’intervento previsto
per questi piani (hanno interessato circa tre
milioni di abitanti degli slums fino al 1989), i
risultati ottenuti sono spesso stati inferiori alle
aspettative e la manutenzione dei nuovi impianti
installati si è rivelata difficile.
I SUP a Bombay saranno controllati principalmente
dalla World Bank attraverso meccanismi di
inclusione e partecipazione delle comunità locali.
Attraverso il consenso degli abitanti verranno
attivati meccanismi di utilizzo del denaro
pubblico per la costruzione di social housing per
gli abitanti degli slum. I primi edifici alti iniziarono
a sorgere all’interno degli slums anche se i costi di
mantenimento molto alti obbligarono molti dei
primi residenti a vendere l’alloggio che era stato
loro assegnato.
Il piano prevedeva il coinvolgimento di 100.000
famiglie ogni tre anni. Le difficoltà principali di
attuazione di questi piani si sono riscontrate nei
meccanismi di coinvolgimento delle comunità
e nei processi acquisizione dei terreni su cui
sorgevano gli slums.
Alla fine del 1989 questo processo aveva disatteso
la maggior parte delle aspettative e solo il 9%
degli abitanti dei nuovi edifici erano famiglie
appartenenti alle fasce di reddito più basse.
Nonostante i limiti riscontrabili nella riuscita degli
interventi di risanamento, l’approccio al problema
in questi anni sembra apparire più rispettoso delle
istanze locali se comparato con quello degli anni
passati. La considerazione riservata alle condizioni
ambientali e all’importanza delle comunità locali
ha portato a programmi politici in grado di
cogliere, anche se solo in parte, l’importanza del
rispetto del “diritto alla casa” anche per gli abitanti
delle aree urbane più degradate.
Prime Minister Grant Program (1985-1993)
Questo programma statale di investimento,
avviato dal Primo Ministro Rajiv Ghandi nel
1985 in seguito ad una sua visita a Dharavi, ha
investito un miliardo di rupie al fine di migliorare
le condizioni di vita negli slums di Bombay.
Di queste, seicento milioni sono in state destinate
allo slum di Dharavi che in quegli anni, con i sui
223 ettari di terreno occupati da 500.000 abitanti,
era conosciuto come il più grande slum dell’Asia.
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Oltre che alla costruzione di infrastrutture per
l’acqua e per le strade, il denaro era destinato
al finanziamento di 5,000 unità abitative
sovvenzionate.
Come successo anche nei piani precedenti, il
mantenimento di molti degli appartamenti
costruiti risultò però troppo costoso per gli
abitanti dello slum che furono costretti a vendere
a classi sociali economicamente più benestanti.
Il programma si concluse nel 1993, quando i fondi
investiti terminarono ed in seguito all’attuazione
di nuovi piani di intervento proposti dal
Maharashtra State Government.
Slum Redevelopment Scheme (SRD): la
privatizzazione nel risanamento degli slums
(1991-1995)
Gli anni Novanta segnarono una svolta
nell’approccio politico al tema del risanamento
delle aree urbane iper-degradate ed emerse un
nuovo modo di affrontare la questione.
Nel 1985, lo Shiv Sena (partito associato alla sfera
destra conservatrice) vinse le elezioni cittadine
per la prima volta.
Nel 1990, in occasione della presentazione del
proprio programma politico per le elezioni del
Maharashtra State Government, il suo leader
propose la realizzazione di un piano di “free-
housing” sovvenzionato in parte da promotori
immobiliari privati. Il tentativo era quello di
permettere agli imprenditori immobiliari di
costruire un numero maggiore di abitazioni
aumentando la densità massima di sviluppo
(Floor Space Index, FSI), qualora questi si fossero
impegnati nella realizzazione di housing
all’interno degli slums.
Nel 1990 lo Shiv Shena perse le elezioni ma il
Congress (partito antagonista riconducibile alla
sinistra) ha ugualmente ritenuto necessario
introdurre un programma simile per migliorare
l’offerta di abitazioni a basso costo.
Nel 1991 nacquero così gli Slum Redevelopment
Scheme (SRD), che prevedevano il coinvolgimento
dell’iniziativa privata nella costruzione di housing
all’interno degli slums: appartamenti da 17 a 21
metri quadri vennero costruiti da imprenditori
19. Grafico che rappresenta la differenza tra domanda e offerta di abitazioni a Mumbai dagli anni ‘70 ad oggi.Fonte: MR ‘06 p.158-159
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privati e venduti ad un prezzo di 15,000 Rs (circa
al 23% del costo medio di costruzione).
Il vantaggio per i privati risiedeva nel fatto che,
costruendo su queste aree era possibile innalzare
il FSI fino a 2.5 rispetto all’1.0 del resto della città,
avendo così una serie di alloggi liberi da vendere
al normale prezzo di mercato.
Alcune regolamentazioni limitarono però il
funzionamento di questi piani: la più ingombrante
fu il “tetto massimo” di guadagno complessivo
dell’intervento, posto al 25% del costo dell’intera
operazione. In base al concetto del guadagno
massimo era prevista anche la determinazione
del limite di FSI.
Queste restrizioni vennero valutate
negativamente da molti imprenditori che
ritennero non conveniente investire negli SRD.
Le problematiche legate all’assegnazione ed alla
scelta delle aree su cui applicare il programma,
le complicazioni nate dall’interazione con le
comunità e la lentezza burocratica delle istituzioni
furono soltanto alcuni dei deterrenti aggiuntivi
che bloccarono gli investimenti privati.
Nel 1995, da tutta la città, erano pervenute al
comune di Bombay soltanto 185 proposte di
adesione al programma.
Slum Rehabilitation Scheme (SRS): (1995-oggi)
Il 1995 segnerà il ritorno al potere al Maharashtra
State Government dello Shiv Shena.
Visti gli scarsi risultati raggiunti dall’SRD e la
crescita spropositata dei valori immobiliari, questo
deciderà di sostituire il programma esistente
(SRD) con un nuovo meccanismo di intervento:
gli Slum Rehabilitation Scheme (SRS).
Venne così istituito un comitato consultivo
composto da impiegati comunali, burocrati,
promotori immobiliari e rappresentanti della
società civile denominato Afzulpurkar Committee,
con il compito di analizzare le problematiche
dell’esperienza passata.
La principale modifica che questo intervento
portò fu la definizione chiara di coloro che
potessero essere definiti abitanti “eleggibili”: il
comitato propose che tutti coloro che potessero
dimostrare di vivere in uno slum di Mumbai dal
1 gennaio 1995 acquisissero l’eleggibilità futura.
Ad ogni famiglia di queste sarebbe spettato un
appartamento di 21 metri quadri nel caso in cui,
in futuro, si fosse deciso di procedere ad un piano
di risanamento. Per le abitazioni così assegnate
verranno inoltre ridotte le tasse di proprietà
comunale per i primi dieci anni, soggette poi ad un
progressivo aumento nel corso dei seguenti dieci
anni. I promotori immobiliari vennero in aggiunta
investiti della responsabilità di stanziare un fondo
di 20,000 Rs per coprire i costi di mantenimento
per ognuna delle famiglie re-insediate.
Il supporto agli investitori privati avvenne
attraverso la deregolamentazione del “tetto
massimo” di profitto e attraverso una valutazione
della possibilità di applicare il limite di 2.5 FSI in
modo proporzionale ai prezzi di vendita degli
alloggi nelle diverse parti di Mumbai.
20. I dati relativi all’applicazione degli SRS fino al 1998 (comprendono anche gli SRD). Fonte: Vinit Mukhija, Enabling Slum Redevelopment in Mumbai: Policy Paradox in Practice, 2001.
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L’ultima ma altrettanto importante innovazione
risiede nel concetto di trasferibilità dei diritti
di costruzione (Transfert Development Rights,
TDR): in caso di intervento nei quartieri in cui
non sarebbe stato possibile raggiungere, nelle
nuove costruzioni, il limite di 2.5 poiché già
eccessivamente densi, i diritti di costruzione
aggiuntivi acquisiti sarebbero potuti essere
utilizzati in altre parti Mumbai.
Il piano ha infine deciso di fornire un unico
intermediario responsabile dell’applicazione
degli SRS, la Slum Redevelopment Autority (SRA).
Questa introdusse già nel 1997 alcuni
abbassamenti negli standard richiesti ai
costruttori a partire dalla diminuzione delle
dimensioni minime di cucine e bagni fino
all’eliminazione delle norme anti-incendio.
La legge ha previsto anche la possibilità da parte
di agenzie pubbliche di proporsi come promotori
finanziari dei piani di risanamento, qualora queste
lo ritenessero una scelta utile e remunerativa.
I dati relativi agli interventi circoscrivibili al
programma degli SRS non sono però più
confortanti di quelli degli SRD: nel marzo 2000
solo 3,486 unità erano state costruite per
ospitare gli abitanti degli slums. Tuttavia, un
aspetto interessante di questa esperienza di
riqualificazione è che oltre 75.000 famiglie residenti
negli slums espressero interesse ad avere un piano
di risanamento per la loro baraccopoli. E‘ anche
importante riconoscere che l’applicazione di
questi interventi non è stata permessa in “luoghi
pericolosi” (quali pendici collinari) e lungo la costa,
dove lo sviluppo oggi è vietato e dove sorgono in
realtà molti degli slums di Mumbai.
D’altra parte, questo processo di delega del
problema ai costruttori privati, ha trascurato
le esigenze infrastrutturali e di servizi: non
prevedendo interventi di miglioramento
dell’accesso all’acqua ed all’elettricità, né la
costruzione di edifici pubblici per l’istruzione e
la sanità e tantomeno progetti per la viabilità,
le condizioni abitative in cui sorgevano i nuovi
edifici restavano inferiori agli standard cittadini.
La questione della “eleggibilità”
L’impressione iniziale data dagli SRS era quella che
le comunità diventassero finalmente promotrici
degli interventi di risanamento attraverso un
processo di mobilitazione della popolazione.
Il meccanismo legislativo proposto determinava
che, grazie al consenso del 70% degli abitanti
“eleggibili” (residenti installatisi prima del 1
gennaio 1995) sarebbe stato possibile creare
un CBO (Community Based Organization)8 che
avrebbe rappresentato l’interesse delle comunità
locali. A questo punto sarebbe stato sufficiente
individuare un promotore immobiliare privato
in grado di raccogliere i documenti necessari per
dimostrare l’eleggibilità e la volontà degli abitanti
di avviare le pratiche attraverso l’SRS.
Il processo descritto, in apparenza molto lineare,
ha trovato nella determinazione dell’eleggibilità
degli abitanti, e della conseguente inclusione
o esclusione all’interno del piano, il punto più
complicato della propria applicazione. In una
realtà informale, è in effetti difficile testimoniare
la propria residenza in un luogo attraverso
documenti scritti e validi.
Inoltre la ricerca di documenti necessari per
rientrare all’interno delle CBO ha creato un ampio
mercato di falsificazione e compravendita dei
documenti in cui le persone meno abbienti sono
state come sempre le più danneggiate.
Le strategie di riqualificazione dei quartieri poveri di Mumbai della fine degli anni Settanta e degli anni ‘80, gli interventi avviati con i fondi stanziati dal Primo Ministro nel 1985, i successivi piani di coinvolgimento del privato nel risanamento degli slums costituiscono sommariamente il quadro storico-legislativo di risposta della città di Mumbai al tema dello sviluppo delle aree urbane iper-degradate.Questo costituisce la base legislativa su cui nasce l’attuale Dharavi Development Plan che richiama alcuni concetti introdotti in passato e ne riutilizza le retoriche.
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2.2.1 Cenni storici
Nella mappa del Capitano Thomas Dickinson,
denominata Islands of Bombay e datata 1812-
1816 è riportata la presenza di un antico villaggio
di pescatori (Koliwada) che possiede già un
apparente forma costruita.
Come riporta il Gazetteer of Bombay City and
Islands, stampato per la prima volta nel 1909,
il nome di Dharavi si ritrova menzionato già
quando la città era ancora costituita da sette
isole separate dal torrente Mahim proveniente
dall’entroterra. Dharavi è descritto come uno
dei sei grandi koliwadas (villaggi di pescatori)
di Bombay: “Nel 1727, Bombay consisteva in due
città, Bombay e Mahim ed in 8 villaggi Mazagaon,
Varli, Parel, Vadala, Naigam, Matunga, Dharavi e
Colaba. Questa aveva inoltre sette frazioni: due al
di sotto di Vadala, due al di sotto di Dharavi e tre al
di sotto di Parel.“
Dharavi Koliwada, l’insediamento primario
attorno al quale si è sviluppato oggi lo slum, si
trova sul margine nord-ovest dell’odierna Dharavi
ed ha mantenuto una certa indipendenza rispetto
al restante del tessuto informale.
Lo sviluppo urbano della città di Bombay ebbe
un’accelerazione improvvisa nel corso del XIX
secolo ed in particolare dopo il 1858 quando la città
passò sotto il controllo inglese. Durante questi
anni, in modo progettato ed in modo naturale,
il mare tra le isole venne progressivamente
colmato fino a formare l’attuale Salsette Island.
Come riportato in City of Gold (Gillian Tindall),
Bombay può vantare l’eccentrica distinzione di
essere cresciuta su un terreno di pesce marcio e
foglie di palma da cocco.
A partire dall’inizio del XX secolo, da villaggio
2.2 Dharavi
22. Thomas Dickinson, Islands of Bombay, 1812-1816. Fonte: Dharavi Studio 2006-2007 KRVIA,
21. La collocazione di Dharavi, divenuta oggi centrale nello sviluppo urbano della Salsette Island.
ARABIAN SEA DHARAVI
MIRA-BHAYANDAR
THANE
NAVI MUMBAI
JAHARWAL NEHRUPORT TRUST (J.N.P.T.)
Vasai creek
Thane creek
central railway
western railway
harbour railway
ISLAND CITY
MUMBAI HARBOUR
SALSETTE ISLAND
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distante dalle periferie cittadine, Koliwada si
trovò sempre più a ridosso del territorio urbano
a causa del continuo incremento demografico.
Nonostante le importanti opere di bonifica che
hanno coinvolto tutta la città nel corso del XIX
e del XX secolo, il villaggio di Koliwada riuscì
a mantenere la propria economia basata sulla
pesca, fino alla fine degli anni Sessanta.
I primi abitanti che si mossero a Dharavi
incontrarono un terreno paludoso, ancora
assolutamente vergine da alcuni tipo di
infrastrutturazione e, diversamente da quanto
accadde in altre aree occupate della città, coloro
che si insediarono non dovettero successivamente
muoversi, poiché l’amministrazione cittadina
non ha mostrato interessi relativamente a questo
appezzamento di terreno.
Piccoli insediamenti informali iniziarono a sorgere
a partire dagli anni Venti, sino ad unirsi nell’unica
entità che oggi ha preso il nome di Dharavi.
La storia di Dharavi è indissolubilmente legata
alla storia dell’immigrazione di Bombay: così se
nella città i primi flussi migratori si riscontrarono
dal Maharashtra, in particolare dal Konkan ed
in parte dal Gujarat, anche per Dharavi la storia
non si discosta di molto. Queste comunità,
che si insediarono nel sud della città, vennero
generalmente “sradicate” dai propri insediamenti
informali e furono costrette a muoversi nelle aree
più periferiche. Attraverso questo meccanismo,
intere comunità furono spinte dal sud di Bombay
fino a Dharavi, a quel tempo limite nord della città.
Così i ceramisti di Saurashtra furono riallocati due
volte prima di essere spostati a Dharavi, tra il
1910 e il 1920. Anche alcune comunità originarie
del Tamil Nadu impegnate nel commercio del
cuoio vennero spostate durante gli stessi anni
dal sud di Bombay e si localizzarono a Dharavi,
approfittando della vicinanza del mattatoio
di Bandra. Il primo tempio di Ganesh Mandir
costruito a Dharavi data 1913, mentre la prima
scuola Tamil risale al 1924. Durante gli anni Trenta
si registrarono anche i primi flussi dall’Uttar
Pradesh con la conseguente nascita di un fiorente
mercato di tessuti ed indumenti.
Dalla Bombay Guide Map, datata 1969, si può
notare come in alcune parti di Dharavi si
riconoscano già zone ad alta densità di costruito.
Gli anni tra il 1971 ed il 1974 divengono in realtà
cruciali per comprendere la storia futura di
Dharavi: il Clearance and Redevelopment Act del
Maharashtra Slum Areas Improvement, definirà
infatti ufficialmente Dharavi come uno slum e
questa decisione incederà in maniera importante
sulla percezione da parte degli altri cittadini di
Mumbai e sul tipo di politiche adottate negli anni
a venire per questa parte di città.
Oggi Dharavi è nuovamente al centro
dell’attenzione cittadina. La sua posizione,
divenuta centrale in seguito all’espansione della
Greater Mumbai e al lato dell’efficiente complesso
finanziario di Bandra-Kurla 9, ha destato l’interesse
di molti imprenditori immobiliari e della stessa
amministrazione cittadina, intenzionata a
ridisegnare Mumbai come una world-class city.
La storia sembra perciò oggi ripresentarsi, con
la municipalità impegnata nel trovare il modo di
“spostare” il problema di Dharavi verso le periferie
più che nel tentare di risolvere e di migliorare le
condizioni abitative dei suoi abitanti.23. Bombay Guide Map, 1969. Fonte: Dharavi Studio
2006-2007 KRVIA,
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2.2.2 Le politiche applicate per il risanamento di
Dharavi
Il Clearance and Redevelopment Act del 1974
tenta di definire lo slum in termini di mancanza
di infrastrutture ed accesso ai servizi. In seguito
alla scelta di definire Dharavi come tale, lo Slum
Improvement Board avvierà un primo intervento
di risanamento. I primi sforzi saranno in direzione
dell’accesso all’acqua, ai servizi igienici ed della
costruzione di una rete elettrica più efficiente.
Questo sarà anche il periodo in cui verranno
costruite Sion-Mahim-Link Road, 60 Feet e 90 Feet
Road al di sotto delle quali vengono collocate le
reti fognarie e le tubazioni dell’acqua.
Alcuni transit camps verranno costruiti per allocare
le persone sfollate nell’ambito degli interventi di
costruzione delle nuove vie di attraversamento
principale. L’attuale nagar denominato New
Transit Camp deriva proprio dal ricollocamento di
una parte sostanziale della popolazione durante
questo periodo.
Nel 1976 la municipalità decise di condurre un
censimento sulle aree degradate di Mumbai. Le
persone che dimostrarono di essersi insediate in
una di queste aree prima del 1975 ebbero diritto
a un riconoscimento immediato dell’identità.
Gli slum nati dunque prima del 1975 vennero
riconosciuti e lo Stato si assunse l’onere di
garantire infrastrutture e servizi. In ogni caso non
venne garantita a nessuno slum la sicurezza che,
successivamente, non ci sarebbero stati interventi
di demolizione.
Durante il corso dello stesso anno l’Urban Ceiling
Regulation Act venne approvato permettendo di
confiscare i lotti di terreno inutilizzati all’interno
di ogni slum per dedicarli a funzioni di tipo
pubblico. In realtà non tutti i lotti di terra che
lo stato avrebbe potuto acquisire con la forza di
questo atto vennero utilizzati e solo una piccola
24. 90 Feet Road ed alcuni degli edifici alti costruiti grazie alle politiche di risanamento. Fonte: Alberto Bottero
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25. Il piano per Dharavi del1981 formulato attraverso i meccanismi degli Slum Improvement Program. Fonte: Dharavi Studio 2006-2007 KRVIA,
parte di infrastrutture e servizi vennero costruiti.
Il 1981 fu un anno tragico per molti slums di
Mumbai: una grande quantità di case venne
letteralmente rasa al suolo e migliaia di persone
furono lasciate senza casa e caricate a forza su bus
diretti fuori dalla città, con il consiglio di tornare
ognuno nelle regioni di origine.
In seguito all’apertura di un’inchiesta, la Supreme
Court nel 1985 dichiarò che “lo sfratto di una
persona da un marciapiede o da uno slum avrebbe
portato inevitabilmente alla privazione del
diritto alla vita”. Quindi, se le persone potevano
dimostrare di essere arrivate a Mumbai prima
del 1976 lo Stato aveva l’obbligo di garantire, in
caso di demolizione di uno slum, un’adeguata
alternativa per la risistemazione.
Nel 1981, attraverso il quadro legislativo impostato
dagli Slum Improvement Program, compare un
nuovo piano di sviluppo per Dharavi previsto
per una popolazione di 169,333 residenti. Qui
emergono alcuni degli interventi che saranno
parzialmente realizzati negli anni a venire.
I riferimenti sono fatti alla possibilità di costruire
servizi educativi e sanitari soprattutto nella
parte sud di Dharavi. Compaiono all’interno
di questo piano per esempio il progetto per la
scuola all’interno di Social Nagar (che oggi ospita
circa 6,000 bambini) e il progetto per il Dharavi
Hospital, lungo Sulochana Shetty Road. A sud di
questa sono anche individuate la maggior parte
delle aree per gli interventi di Municipal Housing
futuri. Alcune aree sparse in Dharavi sono inoltre
state previste come spazio per il gioco ed il tempo
libero nella parte sud dello slum.
Nel 1985 il Primo Ministro indiano Rajiv Ghandi
decise di stanziare un miliardo di Rupie (venti
milioni di USD) all’interno dei Prime Minister
Grant Project in favore dei piani di sviluppo e
risanamento per la città di Mumbai. Di questi,
quasi nove milioni di USD furono destinati ad
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interventi per il risanamento a Dharavi.
In quel momento i dati statali indicavano che
Dharavi era abitato da 300,000 persone che
avevano accesso a soli 162 rubinetti e 842 bagni.
Ogni anno inoltre Dharavi era allagata durante
il periodo monsonico e le acque meteoriche si
mischiavano con le acque di scarico degli impianti
sanitari.
Le ragioni di questo importante stanziamento
divennero chiare di lì a poco. Sulla sponda
opposta del Mithi River, un’altra area paludosa
era stata richiesta per la costruzione di un nuovo
distretto commerciale: il Bandra Kurla Complex.
Ciò significava che Dharavi, un’area in prossimità
di un nuovo polmone finanziario della città,
doveva essere risanata.
Il Maharashtra State Government creò un comitato,
guidato da Charles Correa, nel 1986 con lo
scopo di creare un nuovo piano di massima per
Dharavi.
Tra i punti fondamentali che questo propose,
vennero segnalate la necessità di un nuovo
censimento e di un approccio politico che
ponesse al centro le comunità.
Vennero inoltre suggeriti il movimento di tutte le
concerie di cuoio a Deonar, a nord, la necessità di
una risistemazione delle altre attività produttive
e commerciali esistenti, l’aumento dei terreni
destinati ad uso pubblico e la revisione dei
percorsi di alcune strade previste dal Dharavi
Development Plan del 1981. Venne proposto anche
il ricollocamento di alcune famiglie nell’area di
Bandra-Kurla.
Basandosi sui suggerimenti del comitato
presieduto da Correa, il Maharashtra State
Government delegò la Maharashtra Housing
and Area Development Autority (MHADA)10
quale Special Planning Autority per lo sviluppo
ed il risanamento di Dharavi. Questa visione
centralizzata venne proposta per eliminare gli
eccessivi problemi burocratici che nel corso degli
anni avevano ritardato l’applicazione dei piani
precedenti.
La proposta di questo piano fu inoltre quella di
proporre uno sviluppo di Dharavi attraverso il
potenziamento di infrastrutture e la costruzione
di edifici a cinque piani fuori terra e con
abitazioni che variassero dai 15 ai 40 metri quadri
(tenendo conto delle dimensioni della proprietà
precedente).
Attraverso un sistema di cooperative formate
dagli abitanti e con l’utilizzo dei fondi del Prime
Minister Grant Project ed alcuni fondi privati dei
residenti si ipotizzava il ricollocamento di 35.000
delle 57.000 famiglie stimante dalla precedente
indagine. Il fatto che 20.000 famiglie dovessero
essere ricollocate altrove e che le prospettive
proposte dall’ambiente politico fossero quelle di
uno sviluppo high-rise creò preoccupazione nella
popolazione.
Il punto di vista di alcuni degli abitanti di Dharavi,
come riporta Rediscovering Dharavi di Kalpana
Sharma, fu la visione che i poveri venissero
26. Edificio costruito attraverso gli SRS in Matunga Labour Camp. Foto: Alberto Bottero
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utilizzati come bulldozer per risanare le parti
paludose e renderle abitabili e che, non appena
questo fosse avvenuto, questi venivano spinti
verso nuove aree della città non abitabili.
Due ONG si unirono per proporre un piano di
sviluppo differente: la SPARC11, Society for the
Promotion of Area Resource Centers e la NSDF 12,
National Slum Dwellers Federation, che avevano
già avviato proposte per il riconoscimento degli
abitanti di strada di Mumbai tra il 1974 ed il 1984,
decisero di avviare un’indagine attraverso cui
stimavano un numero di famiglie residente in
Dharavi pari a 100.000.
La proposta di queste fu un piano di risanamento
low-rise, con edifici di uno o due piani fuori terra
con abitazioni uniformi di 26 metri quadri che
potevano essere auto-costruite dagli abitanti
locali con la produzione dei materiali edilizi in situ.
In una di queste ricerche emerse che solo il 10%
degli abitanti di Dharavi erano senza occupazione
e che i lavori svolti dalla popolazione all’interno di
Dharavi erano ormai divenuti indispensabili per
l’economia dell’intera Mumbai. Questo poneva
agli occhi della municipalità un nuovo punto di
vista: non più lo slum come “città dei poveri”, ma
come grande motore dell’economia di Mumbai.
In realtà, il volto di Dharavi cambiò drasticamente
tra il 1989 ed il 1999 in seguito alla costruzione
dei primi edifici fuori terra ed all’introduzione, nel
1991, del meccanismo degli Slum Redevelopment
Scheme, successivamente sostituiti dagli Slum
Rehabilitation Schemes.
Grazie alla creazione della Slum Rehabilitation
Autority (SRA), che dal 3 gennaio del 1997 diverrà
principale responsabile dei piani di intervento per
tutti gli slums di Mumbai, il piano ha permesso il
ricollocamento di circa 60.000 famiglie e 350.000
abitanti degli slums in tutta Mumbai.
Fu grazie a questi meccanismi di commistione
tra pubblico e privato che vennero realizzati 72
edifici di sette piani all’interno di Dharavi negli
ultimi anni. Questi si svilupparono per la maggior
parte lungo i confini dello slum, penetrando solo
raramente all’interno del tessuto urbano più
consolidato. L’occasione per costruire questi fu
anche l’acquisizione di spazio libero in seguito
allo spostamento di numerose concerie di cuoio a
Deonar, come proposto dal comitato presieduto
da Correa nel 1986..
Il problema principale di questi meccanismi fu che
l’impresa costruttrice divenne responsabile solo
per la costruzione degli edifici e non si dovette
impegnare della costruzione delle infrastrutture
civili quali il drenaggio e la distribuzione
dell’acqua né tantomeno della costruzione dei
servizi igienici pubblici.
A molte persone vennero così assegnati alloggi
in aree dello slum non servite da mezzi pubblici
e in edifici a sette piani fuori terra spesso non
coperti da un adeguato approvvigionamento di
acqua. Molte di queste furono inoltre costrette
a vendere le proprie abitazioni per problemi
economici di mantenimento degli edifici. La
maggior parte degli edifici alti presenti a Dharavi
si trovano già oggi in pessime condizioni a causa
dell’impossibilità economica delle famiglie di
contribuire alle opere per il mantenimento e la
ristrutturazione.
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2.2.3 “The Opportunity of the Millenium”: il Dharavi
Redevelopment Plan
La prima versione del Dharavi Redevelopment Plan
è stata elaborata un decennio fa dall’architetto e
consulente governativo Mukesh Mehta ed è stata
approvata dal Maharashtra State Government nel
2004. Gli sviluppi odierni sono ora sotto il controllo
della Slum Rehabilitation Authority (SRA)13.
Il piano è stato dipinto come una possibilità
di miglioramento grazie a cui gli abitanti delle
baraccopoli potranno finalmente ricevere
abitazioni sicure e servizi, mentre gli abitanti delle
classi medie potranno beneficiare di nuovi spazi
residenziali e commerciali. Inoltre i promotori
immobiliari e il governo potranno realizzare
profitti e rimuovere un’imbarazzante tasca di
povertà dal centro di Mumbai.
È stato il valore del terreno sul quale si trova oggi
Dharavi che ha determinato in realtà la crescente
attenzione di cui questo oggi gode.
La sua collocazione ormai divenuta centrale nello
scacchiere della città di Mumbai, situata a pochi
passi dal futuristico Bandra Kurla Complex, emerso
come il principale fulcro di attività finanziaria
a Mumbai, ha ormai attirato l’attenzione di
molti promotori immobiliari e determinato un
significativo aumento dei valori dei terreni su cui
sorge lo slum. Questo terreno appartiene per il
77% alla Municipal Corporation of Greater Mumbai
che avrebbe in questo modo la possibilità di
guadagnare molto dalla vendita.
27. Dharavi Development Plan, articolo pubblicato nel Times of India, 2007. Fonte: MR ‘07, p. 233-234
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Il 26 luglio del 2005 la mancanza di lungimiranza
nella pianificazione BKC divenne evidente quando
l’intera area finì alluvionata come molte altre parti
della città di Mumbai. Nel corso dello sviluppo
di questo quartiere degli affari, il fiume Mithi è
infatti stato deviato con un impatto fortemente
negativo sulla drenaggio naturale della zona.
D’altra parte Dharavi, che è stato gradualmente
bonificato dei propri abitanti, è uscito indenne
dalle inondazioni.
Questo ha aumentato (se possibile) l’attrattiva
Dharavi e il suo valore immobiliare.
Idealmente alcuni promotori immobiliari
vorrebbero radere al suolo le strutture dello slum
e proporre un piano per residenze di lusso come
avvenuto per l’area dei mills14. Politicamente
questo è impossibile. Quindi il compromesso
sarà quello di trovare un modo per accogliere
coloro che vivono oggi a Dharavi nel corso della
conversione dell’intero quartiere.
Il piano prevede la suddivisione di Dharavi in
cinque settori da 45 ettari ognuno, assegnati
a differenti firme dell’architettura nazionali ed
internazionali in seguito al bando di un concorso
denominato “The opportunity of the Millenium”.
Il Dharavi Redevelopment Project prevede che i
promotori immobiliari possano trarre vantaggio
dall’assegnazione di extra Floor Space Index
(FSI) al fine di costruire torri residenziali e spazi
commerciali in cambio della costruzione di
appartamenti gratuiti e piccoli spazi commerciali
per gli abitanti attuali di Dharavi. Ogni zona
sarebbe costituita da un mix tra case per gli attuali
abitanti dello slum e abitazioni destinate alla
vendita a normali prezzi di mercato. I promotori
immobiliari si impegneranno inoltre a costruire le
necessarie infrastrutture senza costi aggiunti per
il governo centrale.
Il progetto, il cui investimento previsto era di
Rs 6,380 crore (1,3 miliardi di USD) nel 2004,
aumentato fino a Rs 9,250 crore (quasi due miliardi
di USD) nel 2006, è arrivato oggi al preventivo di
Rs 15.000 crore (2,9 miliardi di USD) ed è stato più
volte modificato nel corso degli anni. E’ difficile
indicare i vari passaggi con cui questo si sia
modificato anche se da un punto di vista logistico
la una divisione in 12 settori da cui è partito si è
ridotta fino a prevedere l’identificazione oggi
di cinque settori indipendenti, ognuno con la
propria scuola elementare e scuola secondaria,
aree verdi ed ufficio postale. Sono anche previsti
mercati e istituti di istruzione superiore.
L’ottica in cui è stato disegnato il piano prevede
un massiccio intervento infrastrutturale sull’area
che porti Dharavi in linea con gli standard dei
migliori quartieri della città.
Durante questi anni, Mukesh Mehta, il consulente
incaricato di seguire il progetto dal Maharashtra
State Government, sostiene che la sfida non sia nel
fornire i servizi, ma nell’integrare la popolazione
emarginata dello slum. Questo significherebbe
anche far emergere il loro talento e garantire
ad ognuno pari opportunità. Sempre secondo
il pensiero di Mukesh Mehta, ogni quartiere
dovrebbe idealmente avere un carattere proprio
per evitare la monotonia dei consueti piani di
sviluppo.
Il dialogo con le ONG locali è stato difficile sin
dall’inizio e solo dal 2007 sembra che gli enti
governativi abbiano preso in considerazione
la possibilità di modificare il piano in base alle
richieste della popolazione.
Nell’ottobre 2008 sono infatti state inserite nelle
linee guida per la revisione del piano alcune
proposte fatte dai gruppi consultivi coordinati
dalle ONG e dalle comunità.
Il cambiamento più grande accettato è stato
relativo alle altezze degli edifici: nessuno dovrà
superare gli otto piani fuori terra (dieci in casi
eccezionali in cui l’edificio confini con uno spazio
aperto di almeno 25 m di larghezza) al posto dei
20 e 30 piani ipotizzati in partenza. Le altezze
più basse saranno in grado di consentire una
migliore ventilazione ed ingresso della luce, oltre
che comportare una notevole riduzione dei costi
di costruzione.
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ai e
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Un’altra importante mediazione raggiunta è
relativa agli usi: l’80% delle strutture che saranno
messe liberamente sul mercato dovranno essere
destinate ad uso commerciale e prevalentemente
allocate sui limiti di Dharavi e vicino ai nodi
di movimento. Questo permetterà un miglior
funzionamento degli esercizi commerciali ed allo
stesso tempo una minor congestione del traffico
nel cuore più residenziale.
Inoltre le comunità locali hanno richiesto
che venga destinato un 6% dell’area totale
costruita a spazi comuni a disposizione di quelle
attività manifatturiere “home-based” che oggi
costituiscono il tessuto produttivo di Dharavi.
Inoltre le strade, inizialmente previste di una
larghezza di sei metri dovranno essere allargate
fino a dodici metri, con marciapiedi di 2,5 m e
uno spazio per le corsie di 7 metri.
E’ anche stata aumentata la dimensione degli
alloggi: dagli iniziali 225 sq feet a 300 sq feet (27,5
mq) prevedendo che gli abitanti che dimostrino di
possedere oggi una metratura superiore possano
acquistare fino a 100 sq feet aggiuntivi al prezzo
di costruzione. Anche coloro che oggi possiedono
almeno 225 sq feet di superficie commerciale
possono beneficiare dei questo vantaggio.
Sempre durante il 2008 il villaggio di Koliwada
ha ottenuto l’assicurazione che questa parte di
slum non verrà coinvolta all’interno del piano di
sviluppo.
Il processo di negoziazione oggi in atto tra le
diverse parti coinvolte sembra condurre ad un’
inevitabile partenza dei lavori nei prossimi anni,
anche se non è veramente stimabile una data di
inizio. Sono ormai comunque irreali le prospettive
ipotizzate prima nel 2005 di una conclusione dei
lavori nel corso del 2010 e quelle fatte nel 2006
per una conclusione dei lavori nel 2013.
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2.2.4 “The Opportunity of the Millenium”?
Molti sono gli interessi e le contraddizioni che il
ancora oggi il piano contiene al proprio interno.
La più grande tra queste sta nei numeri: nessuno
può dire con certezza quante persone vivano
oggi a Dharavi.
Nel 1985, durante i Prime Minister Grant Project,
i censimenti avevano stimato un numero di
350,000 abitanti. Nel 2007 un’attenta indagine
condotta porta a porta dalla NSDF documentò
che il numero dei residenti in Dharavi era
perlomeno doppio. Inspiegabilmente il DRP, dal
2004 e fino ad oggi, ha continuato a lavorare su
dati vicini a quelli del 1985, tenendo conto solo
delle persone residenti ai piani terra (proprietari)
ed escludendo tutti gli abitanti presenti ai piani
superiori (affittuari) arrivati dopo il 1985.
Ad oggi, una nuova indagine è stata commissionata
e questa sarà determinante per comprendere se
la proiezione di 57,000 famiglie che necessitano
una risistemazione sia realistica oppure no. Se
questo numero non dovesse essere rispettato il
piano dovrà essere drasticamente rivisto.
Altre discussioni stanno nascendo oggi a Dharavi
circa l’eleggibilità degli abitanti e l’eventuale
assegnazione dei futuri appartamenti.
Il principio legislativo per cui solo i residenti che
possono dimostrare di risiedere a Dharavi dal 1
gennaio 1995 avranno diritto ad un’abitazione
mette molti degli attuali abitanti di Dharavi in una
condizione complicatissima e nell’impossibilità
di documentare la propria legittimità
all’assegnazione di una residenza.
In ogni caso, se è ormai chiaro che buona parte
della popolazione sarà esclusa dall’assegnazione
di un’abitazione nella nuova Dharavi, non è ancora
stato specificato cosa succederà alle persone che
non saranno ricollocate su quest’area.
Altre critiche al progetto arrivano dal settore
produttivo informale fiorente oggi a Dharavi: i
dubbi legittimi su come la nuova organizzazione
possa accogliere l’attuale economia fatta di
piccole unità manifatturiere “home-based” stanno
di fatto creando una forte opposizione al piano.
In questo senso, il 6% di spazio “comunitario”
destinato a queste attività non sembra soddisfare
le richieste degli “imprenditori informali”, che
sostengono la necessità di spazi eventualmente
più grandi e diversificati per le lavorazioni.
Altri dubbi nascono sul possibile coinvolgimento
delle comunità nei futuri processi inclusivi nelle
politiche decisionali. Ad oggi, infatti, alcune delle
proposte avanzate dagli abitanti di Dharavi sono
state recepite, ma non sono ancora divenute
linee-guida ufficiali all’interno del regolamento
per il DRP.
Molte delle perplessità nascono infine dalle
posizioni differenti delle singole comunità. Se
Koliwada ha in realtà ottenuto l’assicurazione di
essere esclusa dal DRP, in quanto entità estranea
allo slum, lo stesso non è ancora avvenuto per
Kumbharwada che, analogamente, vorrebbe
mantenere il proprio tessuto urbano e con questo
la propria identità e la propria economia.
28. Immagine ironica di protesta verso il Dharavi Redevelopment Plan. Fonte: MR ‘07, p.238
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Note 2. Mumbai e Dharavi: le premesse all’attività progettuale1. Il 4 maggio 1995, il governo del Maharashtra approvò la ridenominazione della città in “Mumbai”, dopo molti anni di pressioni politiche a questo riguardo. Il vecchio nome è talvolta utilizzato in India su base informale e appare ancora nei nomi di alcune istituzioni ufficiali e organismi privati. In questa trattazione la città verrà indicata con il nome di Bombay per il periodo precedente al 1995, Mumbai sarà invece utilizzato per i riferimenti successivi.
2. Il termine indica le popolazioni provenienti dalla regione del Maharashtra
3. Greater Mumbai è una parte di Mumbai, che raggruppa aree quali Bandra, Andheri, Borivalli, Juhu beach, Marve beach, Malad and Ekshr, ed è governata dalla Municipal Corporation of Greater Mumbai che controlla anche il sistema infrastrutturale di tutta Mumbai. Può essere utilizzato per indicare Mumbai e questa
4. “Vision Mumbai. Trasforming Mumbai into a world-class city by 2013” è un report a cura di Bombay First e Mc Kinsey & C. che ha svolto un ruolo importante nell’influenzare le scelte politiche sia a livello cittadino che a livello dello Stato centrale in relazione alle necessità immediate di rinnovamento urbano. Il governo del Maharashtra ha istituito un Empowered Commitee. Le raccomandazioni formulate in Vision Mumbai sono anche servite da una base utile per cercare un finanziamento di oltre 1 miliardo di dollari dal governo indiano per la trasformazione di Mumbai nell’ambito della Jawaharlal Nehru National Urban Renewal Mission.
5. Municipal Corporation of Greater Mumbai or the Brihanmumbai Municipal Corporation (BMC) è l’organismo civico che governa la città di Mumbai. E’ l’organismo comunale più ricco dell’India e il suo bilancio annuale è più alto di alcuni piccoli Stati d’India. Istituito nell’ambito del Bombay Municipal Corporation Act del 1888, è responsabile per le infrastrutture civili e l’amministrazione della città e di alcuni sobborghi di Mumbai.6. La Mumbai Metropolitan Area/Mumbai Metropolitan Region (MMR) è l’area metropolitana che consiste della metropoli di Mumbai e le sue città satellite. In via di sviluppo in un periodo di circa 20 anni, si compone di sette società comunali e quindici piccoli consigli comunali. L’intera zona è controllata dalla Mumbai Metropolitan Region Development Authority (MMRDA), un organismo di governo dello stato del Maharashtra responsabile dell’urbanistica, dello sviluppo, dei trasporti e delle abitazioni nella regione.
7. Il Bombay City Improvement Trust (CIT) venne creato il 9 dicembre 1898, in risposta ad un’epidemia di peste scoppiata nel 1896. La Municipal Corporation, attraverso un atto parlamentare, consegnò a questo ente tutti i terreni vacanti cittadini. Il CIT ha intrapreso una serie di misure sanitarie e per migliorare le condizioni di vita nella città quali l’allargamento di alcune strade nella parte centrale affollata della città. Una nuova strada di attraversamento est-ovest, la Princess Street, venne costruita per incanalare l’aria proveniente dalla costa verso le parti centrali residenziali. L’attraversamento nord-sud di Sydenham Road (oggi Mohammedali Road) venne anche costruito con questa finalità.Questo avviò anche l’ampliamento dell’area suburbana Dadar-Matunga-Wadala-Sion nel 1899 con il preciso proposito di alleggerire il congestionamento della parte meridionale. Completato nel 1900, venne regolato dalla nuova Mohammedali Road.
8. Nel corso degli ultimi decenni, in Asia, le CBO sono emerse in Asia come agenti chiave per lo sviluppo urbano. Famiglie e comunità povere queste per passare da una situazione di isolamento e impotenza ad una forza collettiva ed organizzata. Oltre a fornire un mezzo di scambio di idee e sostegno, le CBO hanno tentato di creare, per i redditi più bassi, canali di comunicazione con gli enti governativi locali e nazionali, impegnandosi in progetti di sviluppo in materia di housing, proprietà dei terreni, infrastrutture e mezzi di sussistenza.
9. Il Bandra-Kurla Complex (BKC) è un complesso commerciale costruito sui terreni circostanti alla Mahim creek, a poche centinaia di metri in linea d’aria da Dharavi. Il complesso è il primo di una serie di “centri di crescita”, creati per arrestare un’ulteriore concentrazione di uffici e attività commerciali nel sud di Mumbai. Attualmente, il BKC ospita una serie di edifici commerciali, compresa la IL & FS, Asian Heart Institute, Dow Chemicals, ICICI Bank, Bharat Diamond Bourse, Dhirubhai Ambani International School, American School of Bombay, Fortune500.
10. Istituito nel 1977, al di sotto del Housing Department Government of Maharashtra, integra le attività e le funzioni svolte da organi convenzionali per costituire un approccio coordinato ed esaustivo ai problemi dell’housing. Attualmente il MHADA coordina e controlla le attività di sette sezioni regionali a Mumbai, Konkan, Pune, Nashik, Nagpur, Amravati, Aurangabad e due sezioni speciali, il Mumbai Building Repairs and Reconstruction Board and Mumbai Slum Improvement Board.
11. E’ una delle principali ONG indiane che lavorano per l’edilizia abitativa e le questioni delle infrastrutture per i poveri urbani. Nel 1984, quando SPARC venne formato, iniziò a lavorare con i più vulnerabili e invisibili poveri di Mumbai, gli abitanti marciapiede. Dal 1986, SPARC ha lavorato in collaborazione con due organizzazioni, Slum Dwellers Federation e Mahila Milan. Insieme, essi sono noti come Alliance. Oggi, Alliance opera in circa 70 città indiane e ha reti in circa 20 paesi a livello internazionale.
12. E’ stata fondata a metà degli anni Settanta ed è un organizzazione nazionale dei gruppi dirigenti e della comunità che vivono negli insediamenti informali in tutta l’India. Il suo obiettivo principale è quello di mobilitare la popolazione urbana a venire insieme articolando le loro preoccupazioni e trovando soluzioni ai problemi che devono affrontare. Oggi NSDF lavora con circa mezzo milione di famiglie del paese.
13. E’ stata istituita il 15 dicembre 1995, per fungere da autorità di riferimento per la pianificazione e la riabilitazione delle aree degradate di Mumbai. Le responsabilità della SRA sono di indagine sulla situazione esistente in materia di aree degradate a Mumbai e la formulazione di programmi per la riabilitazione di aree degradate.
14. L’area dei mills è collocata nella parte centro meridionale di Mumbai, nel quartiere denominato Giranganon o “Village of Mills”. Questa ospitava un tempo le industrie impegnate nel fiorente settore manifatturiero del cotone. Oggi, a causa di una scarsa imposizione del governo centrale l’occasione di ripensare a queste aree come spazi a servizio di tutti i cittadini sembra essere andata perduta in favore di uno sviluppo incontrollato fatto di centri commerciali e settori residenziali e commerciali a portata solo delle classi più ricche della città.
3. IV International Architecture Biennale_Rotterdam:
Coesistenza come sopravvivenza
IV International Architecture Biennale_Rotterdam
_The open city
_Designing coexistance: Squat
Lo studio di Dharavi attraverso un modello in sezione
_Densità e sviluppo demografico nel corso degli anni
_Il profilo sociale di Dharavi (rivedere capi-comunità)
_Attività economiche, impiego e produzione all’interno di Dharavi
_Utilizzo del suolo e analisi delle tipologie abitative
_Ecologia dello slum”
Considerazioni conclusive
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5 1
La partecipazione alla IV International Architecture
Biennale di Rotterdam rientra all’interno della
sezione Parallel Cases, una parte dell’esposizione
riservata alle università internazionali, per la
quale il Politecnico di Torino è stato selezionato
nel maggio del 2009.
La scelta di creare inoltre il gruppo di ricerca
HINDUSTRY, affiancato al Politecnico di Torino,
e costituito da studenti, docenti e ricercatori,
ha permesso di arricchire il lavoro con approcci
differenti e complementari.
Il tema di riflessione affrontato dalla Biennale è
quello dell’Open City, declinato attraverso cinque
differenti categorie: refuge, community, reciprocity,
squat e collective.
L’installazione presentata dal nostro gruppo,
denominata Coexistance as survival. Enhancing
informal synergies in the communities of Dharavi1,ha
tentato di riportare all’interno dell’esposizione
una lettura della realtà degli insediamenti
informali che si sganciasse dalla visione “esoticista”
dello slum letto semplicemente come luogo di
indifferenziata povertà e disperazione.
La categoria all’interno della quale questa si
inserisce è quella dello squat, l’occupazione
illegale dei terreni vacanti pubblici e privati.
3.1 IV International Architecture Biennale_Rotterdam
1. Il padiglione centrale della IV International Architecture Biennale di Rotterdam. Fonte: Francesco Strocchio
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3.1.1 The open city
La “città aperta”, secondo il punto di vista degli
organizzatori, è la transizione spaziale di una
società aperta e multiculturale in cui l’accesso
alle nuove tecnologie ed il mix culturale pone alla
figura dell’architetto nuove domande su quale
possa essere il futuro dello sviluppo urbano nelle
megalopoli internazionali.
La mostra intende riflettere sulle potenzialità di
un vasto spazio in cui la società attuale si può
sviluppare con trasparenza e tolleranza, senza
motivi di separazione fisici e mentali.
La situazione odierna delle megalopoli, non
sembra rispecchiare l’idea di democrazia ed
apertura auspicate nei decenni precedenti e
riscontrate in modelli di studio della città non
sempre sufficientemente approfonditi.
Le diverse identità sociali non convivono oggi in un
“caos multicolore”, ma piuttosto paiono rafforzarsi
modelli di convivenza tra comunità-ghetto che
accendono l’attenzione sulle particolarità e sulle
differenti identità. La città odierna sembra dunque
assumere più le sembianze di un patchwork
di identità, costituito di immagini e comunità
separate. In contrapposizione alla metafora della
“città aperta”, contaminata da culture differenti
mescolate tra loro e messe in relazione con
ogni parte del mondo grazie alle tecnologie,
emerge oggi l’importanza del singolare, della
riconoscibilità di ogni sua parte.
Questa condizione appare allo stesso tempo
come una minaccia ricca di problematiche e come
una possibile fonte di arricchimento culturale.
La minaccia si può leggere nei fenomeni di
segregazione sociale e spaziale che conducono
a comunità chiuse in se stesse, private della
possibilità di scambi culturali e di innovazione.
La ricchezza si rispecchia chiaramente nella
possibilità di interazione tra le differenti comunità,
tra le differenti parti della città aperta.
In megalopoli quali Istanbul, Jakarta, San Paolo e
Mumbai, in cui la pianificazione e l’assetto futuro e
presente della città sembra essere, più che altrove,
2. Locandina della Biennale di Rotterdam. Fonte: www.aibr.nl
3. Locandina della Biennale di Rotterdam, sezione: Parallel cases. Fonte: www.aibr.nl
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5 3
determinato strutture politiche complesse e non
trasparenti, le differenze sociali sono chiaramente
riflesse anche nello sviluppo urbano. In assenza
di una pianificazione pubblica forte la città si
sviluppa in modo autonomo e spesso informale.
Ogni parte della città, ogni classe sociale, ogni
comunità sviluppa la propria città: a fianco di
quartieri lussuosi, non necessariamente centrali
nella città, si sviluppano così le baraccopoli, gli
slum e le favelas.
Il suggerimento proposto dunque dai curatori
della mostra è quello che la città aperta non
vada intesa semplicemente come un insieme di
quartieri connessi da una fitta rete di strade in cui
sia possibile muoversi liberamente, un’attenta
distribuzione ed un indispensabile mescolamento
delle funzioni urbane. (Jane Jacobs in The dead
and the life of the Great American cities).
La città aperta può funzionare come un complesso
sistema in cui la vita cittadina può mescolarsi
ed abbracciarsi. Un complesso network di spazi
pubblici, fisici e virtuali, dove lo scambio di idee
e culture tra le persone possa effettivamente
prendere posto.
La città aperta presentata alla IV International
Architecture Biennale di Rotterdam non è dunque
un’utopia né una realtà chiaramente definita,
bensì una riflessione ed un bilancio tra “aperto” e
“chiuso”, tra integrazione e integrazione mancata,
tra controllo e “lasseiz faire” all’interno di alcune
delle megalopoli contemporanee.
4. L’installazione della sezione: Parallel cases. Le alcove delle 44 università internazionali partecipanti. Fonte: Francesco Strocchio
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5 4
3.1.2 Designing Coexistance: Squats
La sezione all’interno della quale è stata inserita
la nostra l’installazione è quella denominata
squats. In questa parte della mostra l’attenzione è
concentrata su quegli insediamenti informali che
negli ultimi cinquant’anni sono diventati parte
sempre più consistente di molte megalopoli
odierne creando un fenomeno di interesse a
livello internazionale.
La letteratura ha in realtà iniziato ad interessarsi in
maniera consistente al fenomeno solo negli ultimi
dieci anni producendo un boom esponenziale di
saggi ed analisi.
La realtà di Dharavi, uno dei più grandi slums di
tutta l’Asia, a Mumbai, si inserisce perfettamente
in questo contesto e costituisce un esempio
rilevante di “città informale”.
Dharavi, nata attorno a Koliwada, uno dei
villaggio di pescatori esistenti nell’area in cui si
è sviluppata Mumbai, è una parte di città che è
oggi divenuta centrale nelle dinamiche politiche,
economiche ed urbane della città. Il terreno su cui
sorge lo slum è in realtà un’area rimasta paludosa
per molti anni e bonificata informalmente dagli
abitanti stessi.
I flussi migratori nel corso degli anni hanno portato
ad uno sviluppo demografico impensabile nei
decenni precedenti e lo slum ospita oggi tra
500,000 e un 1,000,000 di abitanti.
Gli spazi abitativi all’interno di Dharavi sono per la
maggior parte auto-costruiti e solo alcuni palazzi
multipiano sono stati realizzati in seguito a
tentativi dell’amministrazione cittadina di avviare
piani di sviluppo e risanamento mai veramente
collegati in un progetto più ampio di città.
Il tema dell’occupazione del suolo libero
all’interno di un’area un tempo periferica e oggi
divenuta di centrale interesse per lo sviluppo
della città, pone oggi interrogativi complessi sulla
proprietà dei terreni su cui oggi sorge lo slum.
5.La hall d’ingresso Biennale di Rotterdam. Fonte: Francesco Strocchio
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5 5
L’installazione proposta per l’esibizione
comprende un modello in sezione di Dharavi,
sei differenti layer interpretativi esposti su una
tavola all’interno dello spazio espositivo riservato
al nostro gruppo di ricerca e su una tela, appesa
nello spazio centrale di accoglienza. Un pannello
riporta inoltre un breve testo esplicativo sul
significato della nostra installazione2.
Il modello, che occupa in realtà la maggior parte
dello spazio espositivo, diviene il vero metodo
di apprendimento interattivo. Nasce dalla scelta
di lavorare su una sezione spaziale chiara sin
dall’inizio del lavoro di ricerca. In scala 1:72,
questa ridisegna una superficie reale in pianta di
13 metri in profondità e di 130 metri in lunghezza,
ricreando così una stretta banda di spazio urbano
all’interno di Dharavi.
3.2 Lo studio delle dinamiche urbane di Dharavi attraverso un modello in sezione
Il costruito riportato nel modello non è ritrovabile
effettuando una sezione in una parte precisa
dello slum: è piuttosto un collage di differenti
tipologie abitative, delle diverse funzioni e dei
molteplici usi dello spazio che si riscontrano nel
tessuto abitativo.
La volontà di lavorare su un modello in sezione
così stretto nasce dalla consapevolezza della
ricchezza dell’area studiata. La densità estrema,
la povertà impressionante e il caos apparente
che emergono da una lettura superficiale di
Dharavi, nascondono in realtà la precisione dei
meccanismi che si sono consolidati e sviluppati
nel corso dei decenni. Questi hanno permesso a
Dharavi di continuare la sua esistenza muovendo
sul terreno paludoso della Mahim Bay3 un numero
sempre crescente di abitanti.
6. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”. Fonte: Francesco Strocchio
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5 6
Il modello di una sezione “immaginaria” dello
slum è stato utilizzato per mostrare come anche
la più piccola “fetta” del costruito all’interno di
Dharavi ospiti un numero impressionante di
attività e funzioni, inestricabilmente sovrapposti
e fortemente complementari.
La complessità e la ricchezza riscontrabili
all’interno di Dharavi, quella descritta dagli occhi
occidentali come indifferenziata povertà, stupisce
ed offre notevoli spunti di riflessione e permette di
gettare le basi per una comprensione necessaria
ed indispensabile nell’ottica di una qualsiasi
proposta per un intervento progettuale.
Spesso in modo informale, a volte anche
illegalmente, Dharavi è stata in grado di creare la
propria economia efficiente, una propria specifica
“ecologia”, una sorta di turbolenta ma organizzata
società. Il caos apparente è in realtà una complessa
ed efficientissima forma di organizzazione,
migliorata e perfezionata con il passare del
tempo, impossibile da comprendere dagli occhi
esterni. Questo è probabilmente il motivo per cui
ogni piano di sviluppo per quest’area ha sempre
preferito evitare il confronto con questa realtà,
trattando Dharavi come una tabula rasa su cui
la semplice possibilità di sviluppare la densità in
altezza era fornita come unica soluzione.
L’osservazione di questi meccanismi è impossibile
se non si trova un modo di guardare più in
profondità. Per il nostro gruppo di lavoro,
comprendere Dharavi è significato cercare di
acquisire gli occhi neutrali, abbandonando
l’inevitabile aspirazione all’affascinante sguardo
esoticista suscitata dagli incredibili “estremi” del
luogo.
La nostra analisi ha tentato di costruire quegli
occhi neutrali, in grado di indagare e di “svelare”
la logica nascosta dietro all’apparente caos dello
slum.
Una serie di “maschere” tematiche divengono
7-8-9. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: schema di montaggio e funzionamento, prospetto e pianta dell’installazione.
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5 7
il mezzo di lettura di una sezione diversamente
“muta”: potendo scorrere queste di fronte al
modello, si oscurano alcune parti di Dharavi
mettendo a fuoco specifiche attività, intersecati
meccanismi e affascinanti storie nascoste
nell’intensità del nucleo urbano.
Improvvisamente isolate, queste storie possono
essere osservate nella loro forza sinergica, se ne
può comprendere il significato e l’importanza
per la sopravvivenza di Dharavi e dei suoi
abitanti. La complessità del tutto emerge così
dalla comprensione delle singole azioni e dei
movimenti puntali, collegati gli uni agli altri come
in un inestricabile “castello di carte” in cui ogni
tassello è indispensabile perché Dharavi continui
a funzionare.
Questi tasselli sono per noi il punto di partenza
per qualsiasi ragionevole piano di sviluppo
urbano o risanamento.
Abbiamo individuato sei differenti chiavi di lettura,
che in realtà non restano mai completamente
separate e che si intrecciano ed integrano. Dalla
densità all’economia, dal profilo sociale all’utilizzo
del suolo, dall’ “ecologia” alla storia questi sei
layer interpretativi divengono un metodo
per riordinare e leggere lo slum volutamente
distaccato e ricercatamente neutro.
Va sottolineato che questo processo è avvenuto
soprattutto grazie all’utilizzo di riferimenti
indiretti: studi passati, libri, saggi ed analisi che nel
corso degli ultimi anni hanno tentato di descrivere
Dharavi sono infatti il punto di partenza di uno
studio “a distanza”.
10. Il modello dell’installazione senza le mascherine di lettura. Fonte: Francesco Strocchio
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3.2.1 Densità e sviluppo demografico negli anni
La densità abitativa, lo sviluppo demografico e la
densità del costruito sono in realtà difficilmente
rilevabili da statistiche e documentazioni
odierne.
La natura informale di Dharavi implica
l’impossibilità di ridurre l’analisi di queste a numeri
certi e verificabili. Le indagini demografiche e le
enumerazioni non possono leggere realmente il
numero di persone che entrano ed escono, vivono,
lavorano, affittano, subaffittano ed occupano lo
spazio costruito dentro Dharavi. E’ così che i dati
che abbiamo consultato ci consegnano numeri
completamente differenti relativamente alla
popolazione attualmente insediata.
Dharavi, che occupa una superficie di circa 223
ettari delimitata dalle stazioni ferroviarie di Sion,
Mahim e Matunga e dalle arterie a scorrimento
veloce Sion e Mahim Link -che collegano la parte
orientale e occidentale della città-, è oggi la casa
di un numero di persone che può variare dal
mezzo milione e al milione di persone.
Un censimento del 1986 della National Slum
Dwellers Federation (NSDF) contava 530.225
persone, di cui 106.045 proprietarie di un totale
di 80.518 strutture abitative. I numeri da allora
sono certamente cresciuti, anche se è difficile
stimarne l’entità.
Come è evidente nelle popolari immagini
aeree dei tetti contigui dello slum, Dharavi è un
ambiente estremamente denso. Il camminare
attraverso i chawl stretti dei differenti nagars,
affollati ad ogni ora del giorno, rende l’idea di
quanto alta sia la densità al suo interno.
Una recente indagine condotta dal Kamla Raheja
Vidyanidhi Institute of Architecture (KRVIA)4
ha stabilito che in un triangolo al centro di
Dharavi (nel nagar di Chamra Bazaar, un’area
che rappresenta circa un decimo della totalità
di Dharavi), la densità si alza sino a 336.643
persone per chilometro quadrato. Assumendo
una popolazione di 700.000 abitanti (un dato
verosimile e non certo azzardato) la densità
all’interno dello slum sarebbe di circa 315.000
abitanti per chilometro quadrato.
Questo significa trovarsi di fronte ad una parte di
città circa undici volte più densa di Mumbai nel
suo complesso, una delle città più densamente
popolate al mondo con 29,500 persone per
11. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura density.
densit y
resident ia l densit y :4 ,5 inhab/m2(18.000 inhab/acre)
average dwel l ing unitsur face: 32 ,18 m2
averange fami ly :4 ,66 persons Dharavi inhabitants
800.000(of f ic ia l ly 376.000)
s lum bui l tdensit y : 2 ,04 m2/m2
Dharavi sur face:216 ha (216.160.000 m2)
Land area ofDharavi i s 4 ,5% oftotal Mumbai area sanitar y fac i l i t ies :
1/6 fami l ies
demografy :1961: 102.8411971: 175.5231981: 169.3331991: 278.6362005: 321.0352007: 376.000tenements : 74 .045
10% out oftotal populat ion ofs lums inGreater Mumbail ives in Dharavi
open publ icground is of tentak en forpr ivate needsand squads
year
inh
ab
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Dharavi sur face:216 ha (216.160.000 m2)
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chilometro quadrato. Un’idea ancora più lampante
di quanto sia densa Dharavi si ha paragonando la
sua densità con quella giornaliera di Manhattan.
Quest’ultima è stimata in circa 50,000 persone
per chilometro quadrato: Dharavi ha una densità
circa 6 volte maggiore.
Il terreno su cui sorge lo slum costituisce circa
il 4,5% della superficie totale della Greater
Mumbai ed ospita al suo interno circa il 10% della
popolazione che vive in tutti gli slums cittadini
ed il 5,7% della popolazione totale di Mumbai.
Altre statistiche incontrate riportano una densità
all’interno di Dharavi pari a 143.200 persone
per chilometro quadrato (Census del 2001) e
di 279.000 abitanti per chilometro quadrato
(indagine della Society for Promotion of the Area
Resource Centers -SPARC- del 2006).
Facendo riferimento però sempre all’indagine
condotta dal KRIA alcuni dati interessanti
emergono su cosa significhi vivere in una parte
di città così densa: la famiglia media (anche se
la realtà della famiglia coinvolge solo una parte
della popolazione) è costituita da 4-5 persone
che vivono normalmente in una superficie di
appartamento pari a 32 metri quadri. 12. Uno dei vicoli di Dharavi. Fonte: Alberto Bottero
coe
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as
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6 0
13. La densità raggiunta all’interno di Dharavi grazie ad abitazioni low-rise e agli edifici alti costruito grazie ai piani di risanamento. Fonte: RUM, p. 99
La densità del costruito, approssimatamente
calcolata attraverso i dati di cui siamo venuti in
possesso durante la nostra ricerca, dovrebbe
aggirarsi intorno ai 2 metri quadri per ogni metro
di superficie.
Se circa 57,000 famiglie vivono all’interno
di Dharavi (dato considerato dal Dharavi
Redevelopment Plan DRP nelle stime preliminari),
molto alto è anche il fenomeno dell’immigrazione
di persone singole dalle zone rurali. Questa forma
di immigrazione ha dato luogo al fenomeno
delle pongal houses che, come racconta Kalpana
Sharma in Rediscovering Dharavi5, sono luoghi
coperti di “rifugio”, in cui tra le trenta e le cento
persone, a seconda della dimensione della
struttura, possono alloggiare.
Un’indagine avviata nel 1986 ha identificato
l’esistenza di almeno 62 pongal houses all’interno
di Dharavi. Per un prezzo contenuto all’interno
di queste strutture le persone dispongono in
genere di un luogo chiuso e protetto in cui
collocare i propri materassi ed usufruire di due
pasti completi al giorno, uno a base di riso e l’altro
accompagnato dai chapati.
Inoltre, molte persone sono allocate in subaffitto
e non risultano residenti in Dharavi. Queste sono
generalmente persone arrivate più tardi nello
slum e che ancora non hanno avuto l’opportunità
di comprare una casa propria.
La possibilità di alloggiare in questi modi è solo
una delle infinite che Dharavi offre agli immigrati
che hanno necessità di risparmiare denaro
da inviare alle famiglie rimaste nelle regioni
d’origine.
Come documentano queste situazioni informali,
condurre una ricerca sui valori di densità esistenti
all’interno di Dharavi è realisticamente molto
difficile. La Slum Redevelopment Autority, che
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xistance
as survival
6 1
14. Una delle strade secondarie di Dharavi. Si noti la presenza degli sbalzi di ognuno dei secondi piani degli edifici nell’ottica di una massimizzazione dello spazio. Fonte: Alberto Bottero.
ha condotto le indagini in previsione del piano
di sviluppo di Mukesh Mehta, ha tenuto conto
solo delle persone alloggiate nei piani terra degli
edifici e regolarmente registrate, considerando
la popolazione di Dharavi pari appunto a 57,000
famiglie.
Questo dato, secondi molti esperti del settore
poco credibile, sarà rivisto in seguito a un indagine
commissionata alla fine del 2008 alla SPARC.
Il tema per descrivere al meglio la densità
all’interno di Dharavi resta comunque l’assoluta
assenza di spazio pubblico e di lotti liberi. Ogni
luogo ha in almeno una funzione assegnata ed
ogni pezzo di terra lasciato libero è occupato nel
giro di pochi giorni non sempre dal proprietario.
L’occupazione illegale del terreno vacante, sia
esso di proprietà privata o statale, è stato il motore
attraverso cui Dharavi si è sviluppata negli anni e
questo fattore risulta tuttora determinante nella
sua crescita.
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6 2
3.2.2 Utilizzo del suolo ed analisi delle tipologie
abitative
“Lavoro a domicilio, se si può permetterselo. Se poi
questo non è possibile, vivere sul posto di lavoro.
In entrambi i casi nessuno spazio può avere solo
una funzione, a meno che non sia lo spazio sacro.
Dei e spiriti bisogno di una certa privacy. “ 6
La frase riportata in uno dei post del blog
Airoots7 di Matias Echanove e Rahul Srivastava
è forse il modo più diretto e chiaro di descrivere
il fenomeno dell’utilizzo del suolo all’interno di
Dharavi. Ognuna delle costruzioni ha almeno un
doppio utilizzo. Vita e lavoro sono profondamente
intrecciati e gli spazi residenziali si mescolano
con quelli commerciali, industriali, manifatturieri
ed artigianali.
La tipologia residenziale pura è riscontrabile
quasi solamente all’interno degli edifici alti
costruiti durante gli anni Ottanta e Novanta come
tentativi di risanamento dello slum e che oggi
coprono circa l’8% del tessuto di Dharavi. Questi
sono principalmente disposti lungo il percorso
di 90 feet Road e di 60 feet Road ed emergono
come giganti dal tessuto caratteristico di due o
tre piani fuori terra del resto dello slum.
La tipologia residenziale pura sembra coprire,
facendo ancora riferimento alle statistiche
raccolte dal Kamla Raheja Vidyanidhi Institute of
Architecture, solo il 33% della restante parte: da
queste emerge anche che l’utilizzo puramente
residenziale è principalmente concentrato nei
nagar di New Transit Camp, Mukund Nagar e
Chamra Bazaar.
Gli spazi puramente destinati al commercio
costituiscono in realtà solo il 2.2% del tessuto
di Dharavi, ma questi salgono sino all’8.5% se
si considerano anche gli spazi utilizzati per il
commercio e la residenza allo stesso tempo.
Questi sono distribuiti lungo gli attraversamenti
principali come la Dharavi main road, in Koliwada,
dove l’economia è oggi divenuta principalmente
terziaria.
Un ragionamento analogo può in realtà essere
condotto anche per gli spazi relativi all’industria,
all’artigianato ed alla produzione manifatturiera.
Se i luoghi della produzione formalmente
riconosciuti costituiscono circa l’8.5% del costruito
e sono principalmente disposti all’interno di 13th
15. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura landuse.
commercia l + res identia l
res ident ia l+ manifac ture
res ident ia l+ manifac ture
res ident ia l+ manifac ture
commercia l+ res ident ia l
commercia l+ res ident ia l
manifac ture+ res ident ia l
manifac ture+ res ident ia l
Indu temple Chr ist ian church
organic c lusterKol iwada s lum
cour t yard c lusterKol iwada f ishmark et
l inear c lusterKol iwada main road
open “c luster ”Kol iwada open spacedatas re lat ive to the whole Dharavi
res ident ia l (SRA) : 163.000 m2 (7 ,55%)res ident ia l (SLUMS) : 711.630 m2 (32 ,95%)commercia l : 48 .000 m2 (2 ,22%)res ident ia l+Commercia l : 133.000 m2 (6 ,16%)industr ia l : 185.370 m2 (8 ,58%)res ident ia l+Industr ia l : 321.050 m2 (14 ,86%)commercia l+Industr ia l : 23 .000 m2 (1 ,06%)
roads: 300.000 m2 (13 ,89%) pr ivate Open: 120.086 m2 (5 .56%) cementer y : 33 .045 m2 (1 .53%) re l ig ious : 12 .095 m2 (0 .56%) open Space: 41 .036 m2 (1 .90%) amenit ies : 53 .996 m2 (2 .50%)
landuse
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commercia l + res identia l
res ident ia l+ manifac ture
res ident ia l+ manifac ture
res ident ia l+ manifac ture
commercia l+ res ident ia l
commercia l+ res ident ia l
manifac ture+ res ident ia l
manifac ture+ res ident ia l
Indu temple Chr ist ian church
organic c lusterKol iwada s lum
cour t yard c lusterKol iwada f ishmark et
l inear c lusterKol iwada main road
open “c luster ”Kol iwada open spacedatas re lat ive to the whole Dharavi
res ident ia l (SRA) : 163.000 m2 (7 ,55%)res ident ia l (SLUMS) : 711.630 m2 (32 ,95%)commercia l : 48 .000 m2 (2 ,22%)res ident ia l+Commercia l : 133.000 m2 (6 ,16%)industr ia l : 185.370 m2 (8 ,58%)res ident ia l+Industr ia l : 321.050 m2 (14 ,86%)commercia l+Industr ia l : 23 .000 m2 (1 ,06%)
roads: 300.000 m2 (13 ,89%) pr ivate Open: 120.086 m2 (5 .56%) cementer y : 33 .045 m2 (1 .53%) re l ig ious : 12 .095 m2 (0 .56%) open Space: 41 .036 m2 (1 .90%) amenit ies : 53 .996 m2 (2 .50%)
landuse
Compound (sud-ovest di Dharavi), salgono al
22.5% se si considerano gli spazi misti industriale-
abitativo sviluppatisi soprattutto all’interno di
Social Nagar e di Kumbharwada (lato est di
Dharavi, lungo la linea ferroviaria centrale).
Interessanti sono inoltre i dati relativi agli spazi
urbani aperti, privati e pubblici, e agli spazi
riservati ad edifici istituzionali.
Gli spazi aperti coprono solamente il 7.5% della
superficie di Dharavi ed il dato risulta ancora più
sorprendente se si pensa che solo l’1,90% del
suolo non costruito di Dharavi è pubblico. Buona
parte dello spazio aperto è allocato nel nagar
di Parsi Chawl, a nord di Dharavi, e in Matunga
Labour Camp, nella parte sud ovest.
Il resto del tessuto urbano è in realtà molto denso e
gli spazi aperti sono rari ed emergono in occasione
del cortile di una scuola come all’interno di New
Transit Camp, in uno spazio comune a servizio del
villaggio di Koliwada o ancora in uno spazio per
l’essicamento delle ceramiche a Kumbharwada.
Un caso particolare è inoltre il cimitero, diviso
in una parte Indù ed una Musulmana, situato
tra New Transit Camp e Kumbharwada. Questo
costituisce l’1.5% del suolo di Dharavi e ha
anch’esso un utilizzo duplice. Camminargli a
fianco dà l’impressione di essere al lato di un
“polmone verde” dove i bambini si incontrano
per giocare a cricket.
Lo spazio relativo ai servizi copre appena il 2.5%
dell’area totale dello slum ed è quasi interamente
riservato al deposito degli autobus BEST, a nord
della stazione ferroviaria di Sion. Lo spazio
istituzionale si aggira intorno allo 0.7%, costituito
per la maggior parte dalla già citata scuola di Social
Nagar che ospita oggi più di 6000 studenti.
La dimensione religiosa costituisce all’interno
di Dharavi, come d’altronde nel resto dell’India,
ancora una parte importante della vita quotidiana
e le costruzioni sono uniformemente diffuse in
tutto lo slum. Passeggiando in mezzo a Dharavi
non è in realtà difficile incrociare un tempio
indù, una tettoia adattata a chiesa o una stanza a
piccola moschea.
Un’urbanizzazione “organica”, fitta e densa, è
attraversata da vicoli e stradine la cui ampiezza
arriva generalmente a poco più di un metro e
fiancheggiati da un’infinità di scalette a pioli che
conducono ai piani superiori. I cosiddetti chowk8
costituiscono la maggior parte del tessuto dello
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6 4
slum e alcune tipologie abitative caratterizzanti
sono emerse occasionalmente in alcuni nagars
in risposta alle necessità poste dai processi
produttivi.
E’ questo è il caso di Kumbharwada in cui una
tipologia, che si può definire “a stecca”, è divenuta
caratterizzante e facilmente riconoscibile
per facilitare tutti i passaggi del processo di
produzione delle ceramiche.
Differente ancora è il caso di New Transit Camp
in cui il ricollocamento temporaneo di numerose
famiglie espropriate della propria casa per la
16. Glia attraversamenti all’interno di Dharavi, gli edifici dei piani di risanamento ed il tessuto denso dello slum. Fonte: RUM, p. 87
costruzione di 90 feet e 60 feet Roads ha portato
alla creazione di un tessuto a maglia ortogonale
fortemente riconoscibile nella mappa di Dharavi.
All’interno del tessuto di Dharavi, infine,
solamente il 13% dell’area è coperta da strade
e collegamenti e va considerato che questa
percentuale è stata raggiunta in seguito
agli interventi dei passati piani di sviluppo,
principalmente grazie alla costruzione di 90 feet
e 60 feet road prima e di Mahatma Ghandi road
successivamente.
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17. Il tessuto dell’economia informale (industriale e commerciale), quello religioso. Fonte: RUM, p. 87
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6 6
2.2.3 Il profilo sociale di Dharavi
La maggior parte di Dharavi comprende luoghi
in cui vi è una miscela di indù, musulmani e altri
gruppi religiosi, e persone provenienti dal nord
o dal sud dell’India, anche se alcuni nagars sono
abitati prevalentemente da persone di origine
comune. Esistono zone franche interamente
Tamil, altre in cui si incontrano solo persone
dall’Uttar Pradesh e altre ancora dove solo i Kolis
vivono.
Come effettivamente riconoscono anche i suoi
abitanti, e come racconta Kalpana Sharma in
Rediscovering Dharavi, Dharavi è comunque uno
slum composto da persone provenienti da più
di cinquanta altri villaggi ed è letteralmente un
mini-India. Il Dharavi-mix, se così si può chiamare,
sottolinea un aspetto centrale del rapporto tra
questa parte di città e Mumbai nel suo complesso,
cioè quello dell’immigrazione.
Sino dall’inizio dell’Ottocento è stata la possibilità di
occupazione ad attirare i migranti dalle zone rurali
verso Bombay: dal Maharashtra, in particolare dal
Konkan, per lavorare nelle fabbriche tessili, si sono
rilevati i primi flussi migratori. Prima della metà
del XIX secolo il fenomeno dell’immigrazione era
già iniziato anche dal nord e dal sud dell’India al
fine di inserirsi nelle attività lavorative di comunità
impegnate in specifici mestieri.
A Dharavi, nonostante l’ambiente insalubre,
le persone sono migrate, nel corso degli anni,
poiché hanno avuto la possibilità di iniziare un
lavoro. Così, i migranti sono arrivati presto dal
Tamil Nadu e dall’Uttar Pradesh, prevalentemente
uomini che cercavano impiego nelle concerie
e i Kumbhars dal Gujarat, venuti ad a unirsi ai
vasai che già erano stati ricollocati in questo
limite nord della città. Le ondate successive
di immigrazione hanno portato persone che
lavoravano nell’industria dei prodotti in pelle e
nella produzione di indumenti.
Un sondaggio su Dharavi condotto nel 1986
(SPARC) ha rivelato che le popolazioni provenienti
dal Tamil Nadu costituivano un terzo della
popolazione, alla pari con persone provenienti
da Maharashtra. Altri stati rappresentati erano
Uttar Pradesh, Karnataka, Andhra Pradesh,
Gujarat, Kerala, Rajasthan e Bihar. Queste cifre
sarebbero modificate solo marginalmente negli
ultimi vent’anni, con un incremento di migranti
provenienti dal nord, specialmente dal Bihar,
ma non vi sono dati più recenti, per stabilire con
18. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura social.
householders tenants householders
fami ly l inks
fami ly l inks
fami ly l inks
family l inks
family l inks
fami ly l inks
tenants tenantshouseholders
datas re lat ive to the whole Dharavi
Dharavi is composed of over 85 Nagars (neighbourhood) , which are fur ther div ided into housing societ ies, chawl societ ies etc.
Households are 1/6 out of the total populat ionRental pr ice : 185 rps/month (4 $/month)
80% People work ing in Dharavi l ives in Dharavi
socia l
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householders tenants householders
fami ly l inks
fami ly l inks
fami ly l inks
family l inks
family l inks
fami ly l inks
tenants tenantshouseholders
datas re lat ive to the whole Dharavi
Dharavi is composed of over 85 Nagars (neighbourhood) , which are fur ther div ided into housing societ ies, chawl societ ies etc.
Households are 1/6 out of the total populat ionRental pr ice : 185 rps/month (4 $/month)
80% People work ing in Dharavi l ives in Dharavi
socia l
precisione quanto il profilo della popolazione sia
cambiato in questi anni.
Il profilo delle caste di Dharavi (nonostante
queste siano state ufficialmente abolite in seguito
all’indipendenza) è legato alla natura dei lavori
che si sono sviluppati all’interno dello slum. Va
sottolineato comunque che molti degli abitanti
di Dharavi appartengono ai dhalit, gli “intoccabili”,
fuggiti dai loro centri rurali per approdare in una
megalopoli in cui il giogo stretto delle caste
appare meno opprimente.
Così Dharavi è oggi costituita da 85 differenti
nagars a loro volta suddivisi in più piccole
comunità, nuclei familiari o produttivi allargati.
Dharavi può essere definita come un collage
di quartieri, ognuno con le proprie specificità,
dialetti, attività, feste e riti, ognuno con le proprie
aspirazioni, ognuno con una propria logica
organizzativa. Parlare dunque di Dharavi come
una realtà unica non è forse il modo più adatto di
leggere la complessità sociale del luogo.
Tra le molte comunità presenti, alcune di queste
meritano di essere citati brevemente in quanto
più storiche o più produttive, o semplicemente
più grandi e riconoscibili di altre. Molte di
queste ritornano anche successivamente nella
trattazione in quando nuclei fortemente identitari
ed utili per raccontare cosa sia Dharavi a chi lo
immagina come una semplice spazializzazione
della povertà.
I due nagars sicuramente più rappresentativi
sono Koliwada e Kumbharwada che insieme al
Matunga Labour Camp costituiscono anche i
primi insediamenti sviluppatisi.
- Koliwada è collocato sul limite nord-ovest, dove
termina la Dharavi main road. E’ in realtà il villaggio
di pescatori già esistente prima del rapido sviluppo
impresso alla città dal dominio inglese.
La sua economia, basata sulla pesca ancora fino
al 1964, è radicalmente cambiata negli ultimi
cinquant’anni, prima in favore della produzione
e del commercio di liquori, per poi stabilizzarsi
principalmente sui guadagni provenienti dagli
affitti e dalle attività commerciali lungo la Dharavi
Main Road.
La forte identità di questo nagar, retto ancora oggi
da un gaonpatil (capo-comunità), lo rende piuttosto
chiuso rispetto alle comunità circostanti.
La natura di piccolo villaggio che di fatto gli
appartiene è ancora leggibile nonostante
l’esplosione urbana di Dharavi.
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Matunga Labour Camp
13th Compound
Muslim Nagar
Kumbharwada
Koliwada
Social Nagar
New Transit Camp
Chambra Bazaar
- Kumbharwada è il nagar nato in seguito
all’allontanamento dei Kumbhars, una popolazione
proveniente dal Gujarat e dedita alla lavorazione
delle ceramiche, dal sud della città durante gli anni
Venti del Novecento.
Anche questa, come detto, è una tra le prime
comunità installatesi in Dharavi lungo il limite sud-
est, nei pressi della stazione di Matunga.
Il quartiere resta uno dei più affascinanti dell’intero
tessuto urbano di Dharavi: ampi spazi sono
dedicati all’essiccamento delle ceramiche, creando
improvvisi spazi aperti in cui sfociano i gli stretti
vicoli provenienti dal tessuto urbano. Analizzando
le mappe del costruito dall’alto è possibile notare la
caratteristica tipologia a stecca nata per ottimizzare
il processo di lavorazione della ceramica
Altri nagar caratterizzati da una forte identità e
riconoscibilità sono:
- 13th Compound, i cui proventi principali derivano
dal riciclaggio di rifiuti di Dharavi, ma anche di quelli
provenienti dall’intera Mumbai. E’ uno dei nagars
più insalubri a causa dell’attività svolta nella quasi
totalità delle abitazioni e della sua collocazione a
lato dei terreni paludosi del Mithi river;
- Social Nagar, attraversato dall’ampia Mahatma
Ghandi Road, sede della scuola più grande di
Dharavi, è divenuto il quartiere simbolo delle
opportunità e delle difficoltà di integrazione tra
musulmani ed Indù in seguito alle riots del 1992 che
hanno coinvolto l’intera Bombay.
19. Alcuni dei più caratterizzanti nagars di Dharavi citati nel testo. Fonte: www.favelization.com (ridisegnata)
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as survival
6 9
- Chamra Bazar, centrale nella sua collocazione,
è prevalentemente di religione musulmana ed è
la sede di piccoli laboratori per la lavorazione di
pelli e interiora di animali per la produzione di fili
chirurgici connessi a laboratori e centri di ricerca
internazionali, quali quelli della Johnson&Johnson;
20. Uno dei tempi indù costruiti all’interno di Chamra Bazaar. Foto: Francesco Strocchio
- New Transit Camp è uno dei nagar più accessibili
di tutta Dharavi grazie alla maglia ortogonale
di strade su cui è stato costruito. Le costruzioni
presenti al suo interno vennero edificate per
ospitare temporaneamente le persone sfollate per
la costruzione di 90 feet e 60 feet Roads alla fine
degli anni Settanta.
L’integrazione Religiosa
Dharavi resta oggi uno degli esempi di più
grande integrazione religiosa e culturale presenti
in tutta l’India. Attorno ad una popolazione
prevalentemente Indù tutte le confessioni religiose
trovano il loro spazio ed i loro luoghi di culto.
L’integrazione tra religione Indù e musulmana, in
particolare, stupisce per la sua tranquillità.
L’unico fenomeno di rilevante conflitto si è avuto
durante le Bombay Riots9 seguite alla distruzione
della Masjid Babri, tra il dicembre 1992 ed il gennaio
1993, in cui ufficialmente morirono oltre 900
persone in tutta Bombay.
Oggi, dopo un lungo lavoro delle associazioni
governative e non, le culture si sono in parte
ravvicinate e sono tornate a convivere anche se
ancora con maggior diffidenza rispetto al passato.
In eredità da quegli anni restano infatti alcune
barriere, più mentali che fisiche, come all’interno
di Social Nagar, uno dei luoghi dove la lotta è
stata più violenta, in cui oggi le comunità indù e
musulmane vivono ciascuna su un lato differente
della Mahatma Ghandi Road.
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7 0
3.2.4 Attività economiche, impiego e produzione
all’interno di Dharavi
Come già accennato nelle pagine precedenti della
trattazione Dharavi deve il proprio sviluppo e
l’aumento della propria densità, fino alle estreme
condizioni attuali, soprattutto alla possibilità
di trovare lavoro e fonti di sostentamento al
suo interno. Attività commerciali e imprese
manifatturiere danno lavoro a una larga fetta della
popolazione e, secondo le stime più recenti, circa
l’85% della popolazione attiva ha un impiego. Di
questa, la maggior parte svolge le proprie attività
all’interno di Dharavi, mentre alcune persone
residenti nei quartieri circostanti trovano lavoro
proprio nelle attività informali dello slum.
E’ questa in realtà la principale differenza tra
Dharavi e gli altri slums di Mumbai: le persone che
decidono di vivere qui hanno facilità di accesso
nel mondo lavorativo e sono molte le storie di
persone che, dopo aver iniziato come semplici
lavoratori, sono poi divenute proprietarie di una
piccola attività. In questo senso Dharavi garantisce
anche un alto livello di mobilità sociale.
Le attività produttive comprendono le industrie
per il riciclaggio dei rifiuti, le concerie di cuoio,
la lavorazione dei metalli pesanti, la lavorazione
del legno e la finitura di prodotti quali indumenti,
scarpe, valigie e gioielli. Molto sviluppati sono
anche il settore alimentare in generale e quello
della ristorazione.
Le attività manifatturiere servono, in generale,
tutti i settori industriali di Mumbai e molti prodotti
sono distribuiti anche nei mercati internazionali.
La produttività di Dharavi è radicata in un processo
di produzione decentrata che si basa su una vasta
rete di piccole unità di produzione. Facendo
riferimento ad uno studio dell’ Ahmedabad’s
Center for Environmental Planning & Technology
(CEPT)10, si può dichiarare che all’interno di
Dharavi esistono circa 5,000 unità industriali e
manifatturiere che creano un fitto network di
produzione informale.
Questo dato, inoltre, non include i servizi come
la costruzione, l’istruzione e l’assistenza sanitaria,
né comprende il settore molto sviluppato del
commercio al dettaglio e la vasta gamma delle
attività produttive casalinghe minori che possono
essere trovate in Dharavi. Queste sono stimate in
oltre 15,000 unità manifatturiere, sviluppatesi in
ambienti costituiti da un’unica stanza. Ne deriva
che circa il 23% della popolazione impiegata
21. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura economy_activities.
baker y var iet y of
food i tems
plast ic process ing and rec ycl ing
tex t i le units(shoes, c lothings, bags. . . )
leather manufac tur ing
jewelr y manufac tur ing
smal lsca le retai lrestaurant
potter y manufac tur ing
KOLIWADA ONLY OPEN SPACE
MUMBAIMUMBAI(waste)
KOLIWADA MAIN
STREET
KOLIWADA FISHMARKET
economy_ac t iv i t iesdatas re lat ive to the whole Dharavi :
Approx. 15 .000 s ingle room manufactur ing Approx. 4 .902 industr ia l units
Year ly value of produced goods 300-800 mln USD
85 % i s employed23 % i s employed in smal l scale industr ies .12,6% i s se l f -employed
coe
xistance
as survival
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baker y var iet y of
food i tems
plast ic process ing and rec ycl ing
tex t i le units(shoes, c lothings, bags. . . )
leather manufac tur ing
jewelr y manufac tur ing
smal lsca le retai lrestaurant
potter y manufac tur ing
KOLIWADA ONLY OPEN SPACE
MUMBAIMUMBAI(waste)
KOLIWADA MAIN
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KOLIWADA FISHMARKET
economy_ac t iv i t iesdatas re lat ive to the whole Dharavi :
Approx. 15 .000 s ingle room manufactur ing Approx. 4 .902 industr ia l units
Year ly value of produced goods 300-800 mln USD
85 % i s employed23 % i s employed in smal l scale industr ies .12,6% i s se l f -employed
svolge le proprie mansioni all’interno dell’industria
manifatturiera “home-based”, mentre il 16% ha
sviluppato un’ attività produttiva in proprio.
Una stima conservativa datata 27/1/2005 e
pubblicata sul The Economist nell’articolo “Inside
Slums” pone il valore annuo delle merci prodotte
in Dharavi attorno ai 500 milioni di USD. Sebbene
vada sottolineato come questo dato non sia
facilmente verificabile attraverso dichiarazioni
contabili, esso è in grado di dare un’idea della
capacità di produrre ricchezza, impiego e beni di
cui l’intera città di Mumbai beneficia.
Sempre seguendo le statistiche fornite dal The
Economist il guadagno giornaliero supera solo
per pochi le 100 e 200 Rupie (2-4 USD). Seppur
questo possa apparire molto basso agli occhi
di chi non ha vissuto all’interno di Dharavi,
ognuno degli abitanti dello slum è orgoglioso
di sostenere che “nessuno qui muore di fame”
(Kalpana Sharma, Rediscovering Dharavi). Si è
sviluppato infatti un complesso sistema di affitti
in grado di provvedere case a prezzi accessibili
come nessun ente governativo e nessuna ONG
sarebbe in grado di fare in qualsiasi altra parte di
Mumbai.
Secondo i dati dello studio del CEPT la famiglia
media di Dharavi ha un introito economico di
circa 9,000 Rs mensili (195 USD) e può permettersi
un affitto di una stanza che varia dai 15 ai 30
metri quadri con circa 3,000 Rs mensili (64 USD).
Ne deriva che circa il 68% della popolazione
di Dharavi è in affitto, mentre il 32% possiede
almeno una proprietà all’interno dello slum.
L’industria tessile
Con oltre 1000 unità manifatturiere l’industria
tessile è probabilmente l’attività più fiorente a
Dharavi. La lavorazione tessile comprende tutti i
livelli di lavorazione ed i prodotti vengono venduti
a Dharavi ma soprattutto su scala internazionale
ed in particolare sul mercato di Dubai. La maggior
parte della lavorazione avviene nelle case private in
cui le donne cuciono indumenti e tessuti.
Molti degli impiegati in questo settore provengono
dall’Uttar Pradesh anche se il realtà l’industria tessile
è diffusa in tutto lo slum di Dharavi.
L’industria delle ceramiche
L’industria delle ceramiche è una delle più antiche
sviluppatesi all’interno dello slum. A differenza
della lavorazione del cuoio, la produzione di
ceramiche è tutt’oggi presente e questa caratterizza
coe
xist
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7 2
uno dei nagar storici di cui abbiamo già parlato.
Kumbharwada, nato in seguito al ricollocamento
di lavoratori del Gujarat dalle area più meridionali
di Mumbai, ha oggi assunto una forte identità,
mantenendo caratteri fortemente distintivi dal
resto del tessuto urbano. La già citata tipologia
“ a stecca” caratterizza il costruito e permette la
successione di ognuna delle fasi di produzione sino
all’essiccamento.
L’industria delle ceramiche non si ritrova
praticamente in nessun altra parte di Dharavi e
solo in Kumbharwada conta quasi mille laboratori
artigianali che danno impiego e sostegno
economico a circa duemila famiglie.
Il grande inquinamento causato dai forni per la
lavorazione dell’argilla resta forse il quesito più
difficile da affrontare per una produzione che,
comunque, è troppo radicata ed importante
per questa comunità per essere semplicemente
bloccata.
La lavorazione del cuoio
La produzione di cuoio è stata una delle prime
industrie ad insediarsi a Dharavi. Tutte le forme di
lavorazione della pelle e il trattamento di questa
sono realizzati dalla casta inferiore o da gruppi non-
indù. I conciatori musulmani di Dharavi migrati
dal Tamil Nadu a Bombay a metà dell’Ottocento
si stabilirono in quella che all’epoca era la periferia
di Bombay. Ben presto la città è cresciuta intorno
a loro e questi sono stati costretti a muoversi a
Dharavi. La prima conceria stabilitasi qui data
1887. Qui il terreno paludoso della baia di Mahim si
è rivelato il più adatto per la possibilità di utilizzare
grandi quantitativi di acqua e per la presenza del
mattatoio a quei tempi allocato in Bandra.
Dal momento che l’industria conciaria non ha
regolato l’emissione di sostanze inquinanti, queste
hanno provocato notevoli problemi alla fauna ittica
del Mithi River diminuendo le possibilità di pesca
della comunità di Koliwada.
22. Gli spazi per l’essicamento delle ceramiche a Kumbharwada. Fonte: Alberto Bottero.
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as survival
7 3
Nel 1980 le autorità hanno vietato ogni tipo
di concia all’interno Dharavi, spostando la
produzione al centro di Deonar, a nord della
regione di Mumbai. Le manifatture di Dharavi,
oggi, comprano pelli conciate e lavorate a
Deonar per produrre merci di tutti i tipi: grazie
a un vasto campionario di merci che va dalle
borse alle cinture, dalle giacche ai sandali ed alle
scarpe, nelle botteghe lungo la Sion Link-Road
si incontrano clienti provenienti da ogni parte
di Mumbai. La maggior parte delle imprese che
lavorano il cuoio a Dharavi sono formalmente
registrate ed alcune hanno anche attività sul
mercato globale. Anche se la società è formale,
la produzione e i meccanismi produttivi spesso
non lo sono. L’industria del cuoio offre comunque
lavoro a circa 20,000 persone.
Il riciclaggio di rifiuti
Come dichiara Naushad Khan, presidente degli
imprenditori Dharavi’s Welfare Association,
in una intervista datata 18/04/2008 alla BBC,
la maggior parte delle attività di riciclaggio
si concentra attorno alle materie plastiche. In
quantità minore, vengono anche riciclati carta e
cartone e pressoché ogni altro tipo di materiale.
Il settore del riciclaggio impegna circa 200,000
persone all’interno di Dharavi. Parte di queste
lavorano nella raccolta di materiale diretta nelle
strade di Mumbai, ma buona parte del materiale
deriva anche dalla raccolta domestica e dai rifiuti
raccolti dalle cameriere durante il loro servizio nei
vari edifici commerciali esterni a Dharavi.
La plastica, che si trova in tutte le sue forme,
comprese bottiglie, scatole e penne, viene
ordinata in base al colore e alla qualità.
Successivamente, viene frantumata e venduta
a un produttore di granuli. In ogni fabbrica i
granuli di plastica verranno poi lavati, asciugati,
fusi, spremuti in fili e poi tagliati in pellet.
Il nagar più coinvolto nel settore del riciclaggio è
quello di 13th Compound situato nella parte sud
dello slum dove molte delle abitazioni ospitano
sul tetto grandi quantità di borse di rifiuti, pronte ad
essere selezionati e riciclati.
Questo tipo di attività è senz’altro, insieme a
quella dei forni di Kumbharwada, una delle più
problematiche a livello ecologico per l’area.
Industrie per la stampa
Il settore della stampa è molto variegato all’interno
di Dharavi. Ogni tipo di stampa può essere effettuata
qui. Graphic designer, art directors, editors e
printers hanno clienti nazionali e internazionali.
Dalle tecniche di stampa storica alla serigrafia fino
alle stampanti digitali di ultima generazione, il
settore della stampa si sviluppa su varie scale: dai
piccoli laboratori attrezzati nelle case fino locali
più ampi. All’interno di Dharavi grandi imprese
commissionano stampe di manifesti di Bollywood e
annunci pubblicitari. Altre imprese associate, come
fornitori di carta e fustellatrici, sono nate in zona e
collaborano con questo settore.
23.Alcuni degli spazi coinvolti nel settore del riciclaggio all’interno di 13th Compound. Fonte: The Royal University College of Fine Arts, Dharavi. Documenting informalities, Falt and Hassler, 2008, Varnamo (Sweden), p.156
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7 4
2.2.5 Ecologia dello slum
Mutuando il termine utilizzato da Mike Davis
in Planets of Slums11, il tentativo è stato di
raggruppare in un unico layer, che potesse
essere rappresentato ed esplicitato sul modello
in mostra, ognuna delle tematiche relative all’
“ecologia degli slums”: rientrano all’interno di
questo capitolo le condizioni di vita intese come
rischi naturali ed idrogeologici che gravano sullo
slum, l’accesso ai servizi, alle infrastrutture e ai
trasporti.
I dati seguenti fanno riferimento, se non
diversamente indicato, agli studi, già altre volte
citati durante la trattazione, condotti da due
università indiane:
- Ahmedabad’s Center for Environmental Planning
& Technology (CEPT)
- Kamla Raheja Vidyanidhi Institute of Architecture
di Varanasi (KRIA)
Il riferimento agli standard legislativi è fatto
utilizzando l’Urban Development Plan Formulation
and Implementation (UDPFI) redatto dal Governo
Indiano nel 1996.
I rischi naturali ed idrogeologici
I rischi dovuti a problematiche naturali sono
principalmente connessi alla presenza del Mithi
River e alla palude di mangrovie che si trovano a
nord ovest dello slum.
La zona su cui sorge Dharavi, infatti, è un’area
storicamente paludosa, resa abitabile da una
lunga opera di “bonifica informale” condotta
dagli abitanti stessi di Dharavi.
Facendo riferimento ai dati reperibili attraverso il
sito internet della Municipal Corporation of Greater
Mumbai le zone soggette a maggior rischio di
inondazione sono l’area est, dove sorgono oggi
New Transit Camp e Social Nagar, insieme alle
aree di Matunga Labour Camp e Muslim Nagar.
Aree di drenaggio e decorso dell’acqua si trovano
inoltre nei nagar collocati tra quelli citati, come
Kumbharwada e Subhash nagar, ma anche in
aree più a nord quali il nagar di Parsi Chawl ed a
sud come 13th Compound.
Infrastrutture, accessibilità, trasporti
Dharavi è collocata in un’area che oggi è divenuta
centrale per il futuro di Mumbai. Lo spostamento
del baricentro della città, in seguito all’aumento
demografico, ha portato alla formazione di grandi
24. Il modello dell’installazione “ Coexistance as survival”: mascherina di lettura ecology.
plast ic sheetsmetal sheetswood
pot marketsk in dyersrec ycl ing
sanitat ion exist ing1/15of required
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ecology
complessi direzionali di compagnie finanziarie
indiane ed internazionali nei quartieri di Dadar
e Bandra. In particolare il nuovo Bandra-Kurla
Complex, sorto a nord di Dharavi, al di là del Mithi
River, ha alzato notevolmente i valori fondiari dei
terreni sui cui nacque lo slum, producendo una
notevole pressione su di esso.
Il lotto di 223 ettari già ad oggi gode di un’ottima
comunicazione con il resto della città: tre stazioni
ferroviarie, Sion e Matunga sulla linea centrale
e Mahim sulla linea ovest, offrono la possibilità
di muoversi rapidamente verso ogni parte della
Greater Mumbai.
La presenza inoltre della Eastern Express Highway
che fiancheggia Dharavi sul suo lato est, unita
insieme con i raccordi di Mahim-Sion Linkroad
e di Sion-Bandra Linkroad, permette una buona
facilità di movimento anche con un mezzo
privato (compatibilmente con le problematiche
del traffico da cui è afflitta l’intera Mumbai).
Infine la costruzione della Bandra-Worli Linkroad,
il ponte che attraversa la baia di Mahim, ha
permesso di attraversare rapidamente i quartieri
a sud di Dharavi per muoversi verso la parte
storica della città.
I problemi di movimento per Dharavi si verificano
in realtà dal punto di vista dell’accessibilità
dall’esterno, della sua permeabilità e
dell’attraversamento.
Le strade, spesso molto strette, non permettono
l’ingresso dei mezzi pubblici e, dove questo
sarebbe possibile, come su 90 feet Road e sulla
Mahim-Sion Linkroad, la municipalità ha scelto
di non provvedere alcun servizio. Non ci sono
dunque linee di autobus che attraversano
Dharavi.
Ne deriva che oltre i 70% del movimento
all’interno di Dharavi avviene con auto private,
mentre il restante 30% è coperto da altri mezzi
di movimento (taxi e risciò principalmente). Le
parti centrali, che ospitano circa la metà della
popolazione dello slum, si trovano infatti a più
di due chilometri di distanza dalla prima fermata
dell’autobus.
Relativamente all’attraversamento interno, alcuni
problemi sono stati moderatamente risolti grazie
alla costruzione di tre strade più ampie disegnate
durante la fine degli anni Settanta e i primi anni
Ottanta: il tessuto ad estrema densità è oggi
attraversato da nord a sud dalla 90 feet road, dalla
Mahatma Ghandi Road. L’unico attraversamento
importante est-ovest è la Sulochana Shetty Road
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(60 feet road) collocata nella parte meridionale
dello slum.
La storica Dharavi Main Road, un tempo
attraversamento principale dello slum, è divenuta
oggi più una via principalmente commerciale.
L’accesso all’acqua potabile e all’elettricità
La municipalità fornisce sul territorio di Dharavi
un accesso alla linea elettrica che è di ventiquattro
ore giornaliere, mentre l’accesso all’acqua
potabile varia dalle 2 alle 4 ore giornaliere.
E’ difficile documentare in quante case arrivino
effettivamente acqua ed elettricità. La realtà
dello slum è fatta generalmente di allacciamenti
illegali alle reti di distribuzione pubblica. Così se
la statistiche parlano di un solo accesso all’acqua
(rubinetto) ogni 332 abitanti, dieci volte meno
di quelli previsti dai limiti di legge, è veritiero
credere che questi siano più di quelli dichiarati.
Ogni abitante di Dharavi consuma infatti una
media di 45 litri d’acqua giornalieri.
L’accesso ai servizi igienici è un tema
analogamente complesso: esistono bagni
pubblici, generalmente costruiti durante i piani di
risanamento. Le statistiche parlano solamente di
842 servizi igienici, uno ogni 660 abitanti, tredici
volte meno di quelli previsti per gli standard di
legge minimi. Anche in questo caso è realistico
credere che i bagni esistenti siano un numero
decisamente maggiore di quelli documentati.
L’accesso all’acqua potabile resta comunque
una delle problematiche maggiori all’interno
di Dharavi ed è anche una delle maggiori cause
della diffusione di malattie ed infezioni.
L’accesso alle strutture sanitarie ed agli istituti
educativi
L’unico ospedale di medie dimensioni presente
in Dharavi è il Dharavi Hospital, sulla Sulochana
Shetty Road, a sud. Un numero esiguo di studi
medici ed infermieristici privati è sorto comunque
all’interno di Dharavi.
Sion
Matunga
BANDRA KURLA COMPLEX
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25. Mappa schematica di Dharavi in cui vengono riportati gli attraversamenti principali interni ed i collegamenti con i quartieri esterni circostanti di Sion, Bandra e Mahim.Si noti la vicinanza con tre stazioni ferroviaria, lungo la linea centrale e quella ovest e la vicinanza della Eastern Express Highway sulla destra.
attraversamenti interni
collegamenti esterni
autostrada cittadina
linea ferroviaria
stazione ferroviaria
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26. Servizi igienici costruiti attraverso i piani di risanamento in New Transit Camp. Fonte: Alberto Bottero
Il Sion Hospital, situato lungo il limite est di
Dharavi resta la struttura di riferimento maggiore
per la popolazione. Le strutture sanitarie
occupano solamente 2,07 ettari determinando
gravi mancanze nei servizi sanitari offerti dalla
municipalità.
L’accesso alle strutture educative è anche
insufficiente: circa 6,000 bambini frequentano il
più grande istituto scolastico di Dharavi, allocato
in Social Nagar. Scuole e spazi educativi di ridotte
dimensioni sorgono anche all’interno di Koliwada,
Parsi Chowl e Chamra Bazar.
In totale all’interno di Dharavi esistono cinque
istituti di istruzione primaria, tre di istruzione
secondaria e un college. Anche in questo caso
la superficie coperta dalle strutture educativa
si avvicina solamente ai 2 ettari contro i 31
richiesti dagli standard minimi. Significa che lo
spazio educativo provveduto dalla municipalità
è circa venti volte inferiore agli standard minimi
richiesti.
Problematiche connesse all’inquinamento e
alla raccolta dei rifiuti
Le problematiche connesse al sistema di raccolta
dei rifiuti sono dovute principalmente alla
mancanza di punti di raccolta e alla difficoltà di
accesso dei mezzi pubblici.
La quantità di rifiuti pro-capite prodotta all’interno
di Mumbai e di Dharavi è pressoché uguale: per la
raccolta di questa all’interno dello slum vengono
in realtà utilizzati 42 mezzi pubblici e sono stati
identificati solamente 120 punti di raccolta, circa
4.5 volte meno di quelli previsti dagli standard
minimi.
Altre problematiche relative all’ecologia ed
all’inquinamento sono connesse alle particolari
attività industriali svolte all’interno di Dharavi.
Se sono ormai praticamente state rimosse tutte le
concerie per la lavorazione del cuoio che hanno
influito negativamente sull’ecosistema del Mithi
river, i fumi che fuoriescono ancora dai forni
dei laboratori di ceramiche di Kumbharwada
costituiscono oggi un problema per la salute
degli abitanti circostanti.
Anche la raccolta differenziata per il riciclaggio,
impostata prevalentemente in 13th Compound,
porta con sé problematiche connesse alle
condizioni sanitarie del luogo.
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7 9
Il lavoro presentato alla Biennale di Rotterdam
è stato caratterizzato da un approccio indiretto:
attraverso la lettura di libri, saggi, ricerche ed
articoli di giornale il tentativo è stato quello di
muoversi all’interno di un tema molto complesso
oggetto spesso di un’interpretazione unilaterale.
La parola slum ha descritto, per molti anni, un’area
fatiscente di città, caratterizzata da costruzioni
sotto il livello standard, squallore e mancanza
di infrastrutture e di sicurezza (UN-HABITAT)12,
raccogliendo molte aree urbane completamente
distinte e incomparabili sotto un’unica grande
categoria.
Alla luce di questo lavoro la parola slum sembra
però perdere il suo significato, sembra svuotarsi di
senso per la sua stessa volontà di generalizzazione.
Questa tende ad appiattire realtà completamente
differenti, rendendo impossibile ogni discorso
che tenti di comprendere più a fondo le ragioni
storiche e sociali di ognuno di questi “slums”.
E’ proprio la complessità a bloccare spesso il
lavoro di chi si trova per la prima volta a studiare
Dharavi. E’ più semplice considerarlo uno
“spazio della povertà, della disperazione e della
criminalità”, come farebbe forse Mike Davis, e
dimenticarsi degli aspetti sociali ed economici che
determinano il caos apparente di questa realtà. Il
caos che abbiamo incontrato attraverso la nostra
analisi è in realtà un ordine complesso, differente
da quello classico a cui siamo abituati studiando
le stratificazioni delle città storiche occidentali e
per questo in apparenza non comprensibile.
Questa stessa complessità che abbiamo tentato
di districare, attraverso un metodo di lettura
“volutamente neutro”, consente di guardare
a Dharavi con “occhi nuovi” e liberati dai
preconcetti che caratterizzano molti degli studi
3.3 Considerazioni conclusive
sulle aree urbane iper-degradate dei Paesi in via
di sviluppo.
L’analisi del contesto attraverso differenti layers
che intersecano ogni volta tematiche distinte ha
permesso di offrire una panoramica su quella che
è la condizione reale di Dharavi.
Il fatto che ci trovassimo a studiare un
insediamento informale ha reso difficile il
reperimento di dati e statistiche, di mappe e
di studi relativi al tema. La letteratura ha infatti
scritto molto negli anni in relazione al tema più
ampio della diffusione degli slums, ma sono
poche le ricerche scientifiche sullo slum di Dharavi
e soprattutto non è sempre semplice credere ai
dati cui ci si trova di fronte.
E’ infatti l’informalità stessa dell’insediamento a
determinare la difficoltà di leggerlo attraverso
i numeri delle statistiche. La riflessione, anche
alla luce dei capitoli successivi della trattazione,
è che per comprendere Dharavi sia necessario
attraversarlo e viverlo, anche se, come è successo
a noi, per un breve periodo di tempo. Il report qui
presentato ha comunque la qualità di mettere
in luce molte delle tematiche centrali e di aprire
nuovi orizzonti e prospettive utili per lo studio di
un qualsiasi piano di futuro sviluppo.
La scelta di inserire come ultima mascherina quella
sull’ecologia dello slum non è casuale: molte volte
questo è il primo (ed unico) aspetto attraverso
cui vengono analizzati gli slums, considerando il
numero della statistica (che determina le carenze
rispetto agli standards delle città formali) come
riferimento inattaccabile.
La nostra volontà era quella di porre l’attenzione
prima su altri aspetti ugualmente importanti
(sociali, economici, di integrazione...) che
determinano una nuova lettura di un contesto
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8 0
come Dharavi.
Alla luce di quest’analisi diventa difficile porsi
di fronte a Dharavi come ad una tabula rasa che
non offre occasioni di spunto per un lavoro di
progettazione. La determinazione, come unico
output possibile del lavoro di design, di un
masterplan costituito di edifici alti ed adeguati
a soddisfare determinati standards, non sembra
essere la soluzione migliore per conservare
l’identità di questo luogo e per permettere la
sopravvivenza delle persone che oggi lo abitano.
Dharavi è infatti una città che, con tutti i suoi
limiti e le sue mancanze, sembra poter funzionare
e sopravvivere, nonostante la mancanza di
interventi significativi per la costruzione delle
infrastrutture da parte dello stato.
E’ impossibile infatti negare la ricchezza della
società che si è venuta a creare all’interno del
contesto che abbiamo affrontato. E’ impossibile
pensare che questa possa essere cancellata
con un colpo di spugna in favore di un modello
occidentale di città.
Il ”caos organizzato” di Dharavi deve farci riflettere
su che cosa significhi leggere in profondità un
luogo di progetto, immergersi in una realtà per
comprenderne le istanze e le potenzialità.
Il modello urbano che si è stratificato e nel corso
degli anni in questa parte di Mumbai deve
dunque interrogarci circa la possibilità di pensare
a modelli nuovi, o semplicemente differenti da
quelli occidentali, di costruzione della città.
Note 3. IV International Architecture Biennale_Rotterdam: Coesistenza come sopravvivenza1. I Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino + Hindustry Urban Research Group; tutors: Michele Bonino, Pierre-Alain Croset, Subhash Mukerjee, Tomà Berlanda; studenti: Marco Boella, Alberto Bottero, Manuela Martorelli, Francesco Stassi, Francesco Strocchio.
2. Il materiale esposto all’interno dell’installazione è raccolto in Appendici V. Il materiale esposto alla IV International Rotterdam Biennale
3. Mahim Bay è una parte del Mar Arabico di fronte a Mumbai. All’estremità meridionale si situa il quartiere di Worli, all’estremità settentrionale vi è Bandra. La baia è stata nata dopo l’unione delle isole di Mahim e Salsette all’inizio del XIX secolo. Il fiume Mithi sfocia nella Mahim Creek che conduce alla Mahim Bay.
4. Il Kamla Raheja Vidyanidhi Institute for Architecture and Environmental Studies è stato istituito nel 1992 da Upanagar Mandal Shikshan con una borsa della Kamla Raheja Foundation. Un gruppo di professionisti e artisti furono coinvolti nell’ottica di una revisione delle modalità convenzionali di istruzione, di ricerca e di pratica in ambito architettonico. Il KRVIA è da sempre profondamente coinvolto in questioni urbane, diventando una sorta di laboratorio che coinvolge e interagisce con i cambiamenti della città. Attraverso la sua ricerca e suoi progetti di consulenza, ed entro i corsi di laurea curricolari ed extra-curriculari, il KRVIA ha fornito una piattaforma importante per il dibattito e la discussione. Tra il 2006-2007 ha condotto un design studio all’interno di Dharavi, i cui risultati, anche progettuali, sono raccolti nel documento Creating a New Masterplan for Dharavi.
5. Rediscovering Dharavi di Kalpana Sharma (2000) è divenuto in questi anni una delle fonti principali di informazione su Dharavi. Non tutti le persone che vivono all’interno dello slum vedono di buon occhio e sottoscrivono cosa riportato nella pubblicazione, ma questa resta comunque una base importante per il reperimento di alcuni dati chiave e per un primo approccio alla comprensione della realtà di Dharavi.
6. Il testo integrale da cui è tratto questo incipit è riportato nella sezione Appendici III. Learning from Dharavi ed è divenuto una sorta di manifesto attraverso il quale i membri fondanti di URBZ, Matias Echanove e Rahul Srivastava, propongono una lettura della realtà di Dharavi.
7. www.airoots.org è un blog curato da Matias Echanove e Rahul Srivastava in cui vengono riportate riflessioni su tematiche che vanno dall’ambito urbano a quello pedagogico.
8. Con chowk si intende in hindi “incrocio di strade o vicoli”
9. I disordini iniziarono dopo la demolizione della Babri Masjid nella città di Ayodhya il 6 dicembre 1992. Si crede comunemente che i disordini siano avvenuti in due fasi. La prima è stata principalmente una reazione musulmana in seguito alla demolizione della moschea. La seconda fase è stata una reazione indù a seguito degli omicidi dell’ Hindu Mathadi Kamgar in Dongri (una zona di South Bombay). Questa ha avuto luogo nel mese di gennaio 1993.Si ritiene che circa 650 musulmani e 200 indù siano morti negli scontri. Le aree di Jogeshwari, Pydhonie, Dongri, Agripada, Gamdevi, VP Road, Byculla, Bhoiwada, Nagpada, Kherwadi, Nehru Nagar, Dharavi, Ghatkopar, Kurla, Deonar, Trombay, Bandra e Vakola sono state le più colpite dai disordini.
10. E’ un istituto universitario con sede ad Ahmenabad che offre programmi post-laurea in materia di ambiente naturale e costruito e discipline connesse. Nel 2006 ha presentato uno studio su Dharavi (Strategies for Dharavi Redevelopment) ipotizzando tra l’altro tre possibili scenari futuri per il risanamento dello slum.
11. Planet of slums, di Mike Davis, pubblicato nel 2006, è divenuto immediatamente uno dei libri base di riflessione sulla tematica degli slums, sulle problematiche a queste connessi. Il capitolo a cui si fa riferimento è “Ecology of slums”
12. La definizione riportata compare all’interno del Millenium Development Goals report del 2007 a cura di UN-Habitat: “a slum is a run-down area of a city characterized by sub-standard housing and squalor and lacking in tenure security”
4. New Transit Camp Social Club: Temi e riflessioni di un
progetto informale
La cooperazione con le organizzazioni locali
Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE I
_Committenza e tema progettuale
_New Transit Camp e il lotto di progetto
_Finanziamento e proposta del metodo costruttivo
_Proposta progettuale I
Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE II
_ La complessificazione del programma
_Proposta progettuale II
Sistemi parete
Il sistema di copertura
Il piano terreno
Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi FASE III
_Il coinvolgimento dei residenti: un’esperienza di partecipazione
_Dharavi cresce senza bisogno degli architetti: il cambiamento del programma
_Proposta progettuale III
_Prospettive future
Riflessioni per un progetto a Dharavi
_La tool-house come forma vincente di sviluppo urbano “dal basso”
_Il futuro di Dharavi: Tokyo come riferimento
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8 3
Il lavoro impostato dall’Italia per la partecipazione
alla Biennale di Rotterdam ha avuto il supporto di
due organizzazioni locali: URBZ e PUKAR.
Entrambe le collaborazioni, già avviate prima
del lavoro sull’installazione e riallacciate grazie
a questa occasione, sono state utili per il
reperimento di alcuni materiali per la preparazione
dell’installazione.
Durante il periodo di permanenza in India e nel
corso dello sviluppo del progetto, la collaborazione
con URBZ è divenuta più stretta e molto proficua,
fornendo un supporto continuo per l’integrazione
e la comprensione della realtà locale. A Mumbai
sono anche stati organizzati incontri con L’ Urban
Design Research Institute (UDRI) e con lo stesso
PUKAR. Questi sono divenuti uno strumento utile
per riflettere, anche attraverso una critica esterna
costituita da persone con un’alta conoscenza
della realtà locale, sulle possibilità e sugli sviluppi
futuri del progetto.
URBZ
I contatti iniziati tra il Politecnico di Torino e
l’organizzazione, in seguito alla partecipazione
di alcuni studenti al Urban Typhoon Workshop nel
marzo del 2008 a Koliwada, sono stati riallacciati
in occasione della partecipazione del Politecnico
4.1 La cooperazione con le organizzazioni locali
di Torino alla IV International Architecture Biennale
di Rotterdam.
La collaborazione con questa organizzazione
è stata la più continua ed è proseguita anche
dopo il ritorno in Italia, attraverso lo scambio di
suggerimenti ed idee per il completamento della
proposta progettuale.
URBZ è un’organizzazione attualmente molto
attiva sul territorio di Mumbai, impegnata
principalmente nel coinvolgimento delle
comunità locali nella formulazione di proposte
progettuali per la città, nell’ottica di un approccio
partecipativo. URBZ ritiene che la conoscenza più
profonda sulle città esista tra i suoi abitanti e nelle
sue comunità e che, per le persone che lavorano
nell’ambito della pianificazione urbana, questo
sia il miglior modo per aumentare la qualità e
l’impatto del proprio lavoro.
L’attività di URBZ comprende l’organizzazione
di workshops, progetti di ricerca, esercizi
pedagogici, l’utilizzo del proprio sito web come
strumento di informazione e altre iniziative
condotte con un approccio internazionale in
cooperazione con studenti, università e ricercatori
provenienti da ogni parte del mondo.
Il web-site è lo strumento principe attraverso il
quale l’organizzazione svolge la propria opera di
1. Il logo della home page di URBZ. Fonte: www.urbz.net
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8 4
ricerca e diffusione di materiale sulle principali
problematiche della città di Mumbai. Il sito è
una pagina web aperta, in cui ogni persona
interessata può aggiungere i propri materiali e le
proprie riflessioni per arricchire la conoscenza su
tematiche urbane centrali nello sviluppo odierno
della città.
La posizione di URBZ si pone anche come quella
di un piccolo studio di progettazione a servizio
della comunità in un’ottica paritaria, nel rispetto
dei coerenti meccanismi di mercato e non con
un approccio “caritatevole”. Ancora nessuno dei
progetti architettonici avviati da URBZ è stato
costruito. La possibilità in cui siamo stati coinvolti,
quella cioè di lavorare su un tema progettuale
reale, insieme ad una committenza reale ed a un
finanziatore esistente, ha permesso alla proposta
progettuale finale di acquisire spunti di riflessione
inusuali all’interno dell’ambito accademico.
La collaborazione con URBZ ci ha dato la possibilità
di comprendere le istanze locali attraverso un
meccanismo di inclusione nella vita comunitaria.
Inoltre, la possibilità di lavorare all’interno dello
studio di URBZ, costruito pochi mesi fa all’interno
di Dharavi in New Transit Camp, ci ha permesso di
immergerci nella realtà dello slum e di iniziare a
guardarlo con occhi diversi nonostante le poche
settimane a disposizione.
Grazie al confronto con Rahul Srivastava e Matias
Echanove, membri fondanti dell’organizzazione
e compagni di viaggio durante la nostra
permanenza, sono state raccolte nel capitolo
Riflessioni per un progetto a Dharavi alcuni spunti
su Dharavi, sulle sue comunità e sulle opportunità
per il suo futuro.
Anche se non direttamente riscontrabili in ognuna
delle linee tracciate per il progetto, queste sono
state utili chiavi di interpretazione del contesto e
importanti appigli teorici per il riposizionamento
del nostro modo di sviluppare il progetto.
2. Interno dello studio di URBZ a Dharavi. Fonte: Francesco Strocchio
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8 5
3. Il logo del PUKAR. Fonte: www.pukar.org
PUKAR
La collaborazione con PUKAR è stata importante
per il reperimento di alcuni dati su Dharavi, per la
consultazione di alcune pubblicazioni specifiche
e per il contributo in termini di alcune critiche
iniziali al progetto1.
PUKAR è un’organizzazione che tenta di arricchire
le riflessioni sui temi dell’urbanizzazione e della
globalizzazione utilizzando la città di Mumbai
come base concettuale per i propri progetti, studi
e ricerche.
Attraverso l’organizzazione di workshops,
incontri e seminari, PUKAR tende a creare uno
spazio di dibattito critico al fine di contribuire alla
creazione di nuove conoscenze in ambito urbano
e incoraggiando la massima partecipazione dei
cittadini di Mumbai in questo processo.
Pukar mira a democraticizzare l’ambito della
ricerca al fine di creare uno spazio dal quale la
conoscenza degli esperti e quella nata da forme
non tradizionali possano contribuire al dibattito
locale e globale, circa il futuro della città.
Urban Design Research Institute (UDRI)
E’ un forum che supporta l’interazione tra gli
architetti, i progettisti urbani e professionisti
provenienti da settori correlati, come l’economia
urbana, la sociologia, la pianificazione, la
conservazione e la storia.
L’associazione dell’UDRI è stata creata nel 1984 a
Mumbai e oggi è impegnata in alcuni progetti di
ricerca, studio e documentazione sulla città.
La collaborazione con l’UDRI è stata impostata in
due fasi.
In un primo incontro abbiamo avuto la possibilità
di accedere alle pubblicazioni dell’associazione ed
in particolare ai Mumbai Reader, testi in cui sono
contenuti articoli raccolti durante un anno solare
dalle pubblicazioni nazionali ed internazionali
che riflettono su alcuni temi centrali per il futuro
di Mumbai.
Nel corso di un secondo incontro è invece stato
possibile scambiare opinioni sull’impostazione
del progetto che avevamo iniziato a sviluppare a
Dharavi2.
4. Il logo dell’UDRI. Fonte: www.udri.org
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L’idea di poter progettare dentro Dharavi è
forse una delle scommesse più stimolanti ed
interessanti che potessero esserci proposte
dall’organizzazione con cui abbiamo collaborato.
Nel momento in cui siamo partiti dall’Italia
l’idea di dover sviluppare un masterplan che
comprendesse tutta l’area e che provasse a
ridisegnarla in maniera rispettosa e comprensiva
delle istanze locali appariva come una sfida
ardua ed utile, ma allo stesso tempo come una
proposta effimera che sarebbe sfociata in un
progetto accademico che, seppur interessante,
sarebbe comunque rimasto distante dalla realtà
delle dinamiche informali.
La possibilità di “sognare” uno sviluppo dello
slum che prevedesse il mantenimento del tessuto
locale era certamente uno dei principi guida
che ci eravamo posti come chiave di lettura del
contesto in seguito a quanto rilevato grazie al
lavoro di analisi di Rotterdam.
Il rischio era però quello che una nostra proposta,
disegnata da architetti occidentali in viaggio per
un mese in una terra semi-sconosciuta, non
incontrasse realmente le necessità locali e che
comunque fosse praticamente poco percorribile
agli occhi degli enti locali.
La proposta che ci è stata fatta da Matias Echanove
e Rahul Srivastava, i membri fondanti di URBZ, è
stato quindi qualcosa di differente: avremmo
avuto la possibilità di lavorare su un progetto
reale, con un committente ed un budget reali (e
ancora in parte da trovare), su un piccolo lotto
all’interno del nagar di New Transit Camp, lo
stesso nel quale sorgeva lo studio di URBZ ed in
cui, in questi mesi, sta nascendo la Dharavi School
of Urbanology.
Il porsi davanti ad un progetto di piccola scala,
4.2 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi
FASE I
drasticamente costretto e limitato dalle
condizioni esistenti, ci ha catapultati in un ottica
di lavoro completamente differente. Come spesso
accade in molti progetti di architettura, la difficoltà
di essere posti di fronte a problemi concreti, che
necessitano pertanto di output chiari e rapidi,
è divenuto per noi un vantaggio che ci ha tolti
dalla situazione di empasse, e forse non così
voluta, di proporre una nuova forma di sviluppo
per Dharavi (un approccio da pianificatori esterni
che in realtà non condividiamo).
Lo sviluppare idee progettuali semplici e low-
cost, tenendo conto dei ragionamenti che ci
portavamo dietro dal lavoro svolto nei mesi
passati, è divenuto un problema reale al quale era
necessario dare risposte rapidamente..
Progettare dentro Dharavi si è così rivelata
un’esperienza completamente differente rispetto
al trovarsi in una qualsiasi altra parte del mondo
(perlomeno se per mondo si intende quello
costruito formalmente).
L’essere all’interno di una parte di città in cui
praticamente nessuno degli edifici che ti
circondano è stato progettato su carta pone
interrogativi interessanti su quale debba essere il
ruolo dell’architetto all’interno di un processo di
costruzione qui sviluppato.
Fondamentalmente nessuna delle costruzioni
informali dello slum è stata mai progettata
da un architetto e gli abitanti stessi insieme
alle manovalanze locali conoscono meglio di
chiunque altro quali siano i materiali facilmente
reperibili, a basso costo e che possono portare ad
una migliore soluzione qualità-prezzo in tempi
rapidissimi. In pochi giorni vengono edificate e
rese abitabili costruzioni su ogni lotto di terreno
disponibile e tutto senza bisogno dei maledetti
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architetti.
Il nostro apporto, quindi, non poteva ignorare
la ricchezza di approcci nati dalla conoscenza
pratica del luogo e dei materiali, nè le condizioni
politiche ed economiche della realtà in cui ci
inserivamo, ma allo stesso tempo doveva provare
a dare risposta a problemi tuttora esistenti nel
costruito di Dharavi.
Il processo descritto all’interno di questo capitolo
è in realtà la parte ai nostri occhi più interessante,
più interessante anche dell’output progettuale in
sè. A quest’ultimo non verrà perciò dedicato un
capitolo a parte, ma sarà sostanzialmente posto
come conclusione del processo in cui siamo stati
coinvolti.
La difficoltà di muoversi all’interno di una
realtà informale così intricata, complessa ed
allo stesso tempo stimolante e propositiva, è
stato il meccanismo che ci ha portato all’output
progettuale. Questo è probabilmente criticabile a
livello formale e potrebbe forse essere stato risolto
in maniera più brillante nelle scelte costruttive,
ma è in realtà una delle infinite soluzioni che
l’architettura può proporre, non necessariamente
giuste o sbagliate a priori, ma figlie dei processi e
dell’ambiente in cui queste nascono.
Non c’è dubbio dunque sulla ricchezza che un
contesto come quello di Dharavi abbia aggiunto
al progetto in ogni sua fase. E’ stata questa nostra
costrizione, questo obbligo di rispettare la realtà
a produrre un progetto che sarà utile per la
costruzione di un edificio all’interno dello slum.
Restano inoltre almeno due altre eredità
importanti, come risultato di questo lavoro
accademico: da una parte la documentazione
di un processo informale che è diametralmente
opposto a quello per cui siamo stati preparati
in questi anni di studio, che non bada ai
regolamenti edilizi e che è profondamente
radicato nelle necessità della committenza in
senso allargato. Inoltre resta l’idea di un differente
approccio dell’architetto di fronte al tema della
riqualificazione degli slum.
Il nostro progetto è in realtà uno dei tasselli che
contribuiranno alla continuazione di quel Dharavi-
mix di cui parla Kalpana Sharma in Rediscovering
Dharavi. Ci consegna l’idea che anche all’interno
di Dharavi sia possibile fare architettura e che
non necessariamente questa debba rinunciare ai
principi che la muovono nella città formale.
Dharavi non è dunque una tabula rasa, ma
un luogo in cui l’approvvigionamento di
infrastrutture ad un livello comparabile con quello
del resto di Mumbai, potrebbe portare ad una
forma di sviluppo urbano dal basso fortemente
caratterizzante oltre a bloccare il meccanismo
perverso di sradicamento e ricollocamento degli
slums.
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4.2.1 Committenza e tema progettuale
Il lotto assegnatoci all’interno di Dharavi è un
piccolo terreno posto a poco più di 30 metri in
linea d’aria dallo studio di URBZ, nel nagar di New
Transit Camp, consegnato al nostro committente
in seguito ad un’eredità.
Paul Raphael oltre ad essere proprietario del
lotto è anche una persona con un ruolo rilevante
all’interno della comunità in quanto membro
fondante del movimento Communal Harmony
che, dopo le Mumbai riots del 1992-93, ha
cercato di riavvicinare indù e muslim all’interno
di Dharavi. E’ stato lui, inoltre, a conseguire
uno spazio all’interno dello slum per installare
la sede di URBZ. L’assegnazione dell’incarico
all’organizzazione di Matias Echanove e Rahul
Srivastava è avvenuta attraverso un normale
processo di mercato. La richiesta di Paul Raphael
è stata quella di aiutarlo nella progettazione di
uno spazio comune per persone anziane e per
ragazzi di strada. A Dharavi, infatti è consuetudine
destinare agli utilizzi comunitari i terreni ricevuti
in eredità da persone con cui non si abbiano
legami familiari stretti.
La prima richiesta è stata quella di costruire
qualcosa rapidamente per evitare che altri abitanti
dello slum occupassero il lotto per fini privati.
Questo è il primo punto chiave del processo. Nel
momento in cui siamo partiti dall’Italia il lotto
che ci era stato presentato era completamente
libero da costruzioni e solo occupato dalle rovine
delle costruzioni precedenti. Nel corso di una
settimana, mentre cioè abbiamo organizzato gli
ultimi preparativi per il viaggio e siamo arrivati in
India, a Dharavi il lotto era stato già occupato da
una costruzione già curata in molte sue finiture.
Ci siamo così trovati di fronte alla prima
complicazione di un progetto informale. In uno
spazio in cui ogni appezzamento di terreno ha un
valore estremamente elevato a causa dell’altissima
densità del costruito, la prima risposta data dal
nostro committente è stata quella di contattare
alcune maestranze locali per costruire un primo
fabbricato. Questa costruzione avrebbe protetto
il terreno dall’arrivo di altre persone.
La realtà informale non ha gli stessi tempi di
quella formale. Il fenomeno dell’occupazione del
terreno, nostro tema di riflessione all’interno della
IV International Architecture Biennale a Rotterdam,
era stato portato agli estremi proprio sul lotto in
cui noi ci apprestavamo a progettare.
Un’altra caratteristica propria della realtà
informale in cui ha luogo il progetto è stata la
difficoltà di incontrare Paul Raphael. Il suo ruolo
di persona di riferimento all’interno del nagar è
divenuto infatti un impedimento nel momento
delle elezioni3, svoltesi il 13 ottobre, e Paul ha
preferito allontanarsi da Dharavi per evitare il
crescere di tensioni attorno al lotto in un periodo
già caldo per motivi politici. La volontà di Paul di
utilizzare lo spazio per lo svolgimento di attività
comunitarie è stata infatti messa in dubbio da
alcune fazione politiche interne a New Transit
Camp e per noi è stato praticamente impossibile
avviare un processo di progettazione partecipata
nei tempi che avevamo a disposizione. Era infatti
impossibile parlare del nostro progetto alla
comunità locale poiché questo avrebbe creato
tensioni e preoccupazioni maggiori. Solo alcune
persone, quali attivisti sociali impegnati sul
luogo o persone appartenenti ad organizzazioni
quali PUKAR e UDRI, sono stati consultati durante
il periodo di permanenza. La comprensione
delle volontà del committente è avvenuta così
attraverso le discussioni con URBZ, unico ente in
contatto con Paul ed il primo vero committente
con cui ci siamo confrontati è stato in realtà
Freeman Murray, uno dei possibili finanziatori.
Il progetto di uno spazio per anziani e bambini
di strada doveva infatti essere in grado di attirare
investimenti esterni per la costruzione. Il tentativo
iniziale è stato anche quello di ipotizzare un
programma che permettesse il mantenimento
del complesso nel tempo grazie ai ricavi derivati
dagli affitti dei locali.
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4.2.2 New Transit Camp e Il lotto di progetto
Il sito di progetto è, come accennato, un piccolo
lotto all’interno del nagar di New Transit Camp,
una parte di Dharavi nata negli anni Settanta,
durante i piani di risanamento che prevedevano
la costruzione di 90 feet e 60 feet road. Alcune
persone vennero ricollocate temporaneamente in
questa zona, ma le costruzioni dei nagar divennero
permanenti durante gli anni successivi.
New Transit Camp è oggi una delle parti più
accessibili di Dharavi grazie alla maglia ortogonale
che semplifica le intricate dinamiche dello slum,
alla presenza di strade minori leggermente più
grandi di quelle che si incontrano normalmente
nel tessuto informale e grazie ad un ponte di
accesso che scavalca la linea ferroviaria centrale e
lo mette in diretta comunicazione con Sion.
Il nagar ospita oggi principalmente persone
appartenenti alla religione musulmana e a quella
indù, ma anche confessioni cristiane e buddiste.
La popolazione proveniente per la maggior parte
9. Il lotto all’interno del contesto di New Transit Camp
8. Collocazione di New Transit Camp all’interno di Dharavi. A= sito di progetto B=Mahatma Ghandi Road C=il ponte di acceso a Dharavi dal quartiere di Sion
New Transit Camp
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dal Karnataka, dal Tamil Nadu e dal Maharashtra.
Il lotto si trova su Mahatma Ghandi Road, strada
di attraversamento principale del nagar, anche
se l’affaccio su questa è limitato da una struttura
esistente che non rientra nella proprietà del lotto.
L’accesso dalla via principale è quindi delimitato
da uno spazio largo circa 3,5 metri è profondo 5,5
metri. Questo ambiente costituisce un filtro tra la
strada e il lotto, rendendone difficile l’utilizzo per
fini commerciali lungo la strada principale.
Dietro questo primo spazio il lotto si sviluppa con
forma pressoché rettangolare molto allungata per
una lunghezza di 21 metri, mentre la larghezza
varia tra i 7,5 m e gli 8,0 m. Il lato retrostante ha
un affaccio cieco mentre i lati lunghi si affacciano
su due vicoli che conducono a 90 feet Road.
Le costruzioni che sono nate in questa parte di
Dharavi sono generalmente in laterizio, con solai
misti e caratterizzate da una copertura in eternit
che, oltre alle problematiche relative alla salute,
causa un forte surriscaldamento dell’ultimo
piano degli edifici. Gli edifici costruiti all’interno
di Dharavi, inoltre, non sono quasi mai protetti
da chiusure trasparenti e gli spazi dedicati alle
finestre sono semplicemente chiusi da grate in
ferro per proteggere la proprietà.
Altro elemento caratteristico delle costruzioni di
Dharavi è il tentativo di ottimizzare la superficie
calpestabile interna attraverso alcuni escamotage
quali la sistemazione all’esterno delle scale e
la costruzione di sbalzi al di sopra dei vicoli in
ognuna delle case che li costeggia. Le prime
permettono infatti di non perdere spazio per
inserire un blocco ingombrante come quello
della distribuzione verticale, mentre lo sbalzo
permette di recuperare metri quadrati ai piani
superiori sovrapponendosi ai percorsi cittadini.
E’ così che muoversi all’interno delle vie minori
dei nagar significa trovarsi all’interno di piccoli
tunnel in cui entra a difficoltà la luce, fiancheggiati
da scalette verticali e protetti dall’alto dalle
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m
12.3
m
7.8 m
1.35 m
1.78 m
1.58 m1.86 m
5.43
m
3.45 m
8.9 m
9.1 m
6.4 m
6.2 m
6.4 m9.
1 m e x i s t i n g b u i l d i n g
f r e e p l o t
f r e e p l o texisting building
al
le
y
al
le
y
existing building : 59,6 mfree plot : 133,4 m
total area : 193 m10. La pianta del sito di progetto per il New Transit Camp Social Club
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costruzioni adiacenti.
Come accennato in precedenza, la decisione di
costruire uno spazio funzionale alle dinamiche
interne di Dharavi su una parte del lotto è stato
il primo modo per occupare un terreno, per
demarcarne la proprietà ed evitare che questo
venisse occupato per altri fini.
Ciò che appare comunque interessante è la
rapidità e la meccanicità con cui questo processo
è stato avviato. Liberato metà del terreno dalle
macerie della costruzione precedente, è stato
edificato un piccolo spazio nel corso di una
settimana e, durante i nostri primi giorni di
permanenza, sono state completate le finiture
dei pavimenti, delle finestre e la copertura.
Durante i colloqui con Matias e Rahul, ci è
stata proposta più volte la possibilità di non
mantenere il costruito in un’ipotesi progettuale
futura in quanto questo non era stato pensato
come permanente. Anche Paul, durante l’unico
incontro avuto con noi non è sembrato molto
interessato al mantenimento di questa.
12. La parte retrostante del lotto ancora libera da costruzioni. Foto: Alberto Bottero
11. Ingresso dalla piazzetta di fronte al sito di progetto lungo Mahatma Ghandi Road. Foto: Alberto Bottero
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14. L’interno della nuova costruzione sul lotto, durante i lavori di ultimazione delle finiture. Foto: Alberto Bottero
13. L’ingresso al sito di progetto e l’accesso alla nuova costruzione. Si noti il vicolo laterale di attraversamento al di fuori del lotto di progettazione. Foto: Alberto Bottero
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4.2.3 Finanziamento e proposta del metodo
costruttivo
La volontà di Paul Raphael di trovare un
finanziamento esterno ci ha incentivati a ricercare
persone che fossero interessate a sovvenzionare
un progetto all’interno di Dharavi.
L’impresa non si è rivelata così semplice e l’unica
risposta positiva è parsa arrivare da Freeman
Murray4, un ragazzo statunitense oggi residente
a Bangalore e impegnato nella diffusione e nella
pubblicizzazione di imprese sul web.
L’unica condizione posta da questi per finanziare
una parte del progetto è stata quella di dover
ipotizzare una struttura costruita in pallet racks.
Freeman Murray è infatti attratto dalla costruzione
di “spazi abitabili” con questo tipo di materiale,
rapidamente componibile e convenzionalmente
utilizzato per lo stoccaggio di merci.
L’esempio di partenza al quale abbiamo fatto
riferimento è il JAAGA Creative Ground5, costruito
alla fine dell’estate a Bangalore dallo stesso
Freeman Murray e oggetto di una nostra visita
durante il periodo di permanenza in India.
Questa struttura in pallet racks, assemblata in
una settimana, è oggi un piccolo spazio culturale
per la città, occupa un piccolo lotto in un’area
relativamente centrale ed è interamente rivestita
con teli di camion riciclati. Piccoli spazi di lavoro
(3*4m, 4*4m), sono ricavati all’interno di un’unica
grande scatola, alta 7 metri.
Il viaggio a Bangalore per visitare la struttura è
stata un’occasione di riflessione sulle possibilità di
impiego di questo materiale anche per il progetto
del New Transit Camp Social Club.
La prima mossa progettuale è avvenuta dunque
ancora prima che si ipotizzasse un’idea chiara
sulla forma dell’edificio ed è stata relativa al
15. Il Jaaga Creative Common Ground a Bangalore. Foto: Alberto Bottero
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1
2
3
4
5
1_base di sostegno2_spalla3_aggancio trave-spalla4_trave5_travetto
16. Schema di montaggio a secco della struttura prefabbricata in pallet racks.
sistema costruttivo da utilizzare.
Pallet racks
I pallet racks vengono comunemente utilizzati
per la scaffalatura dei bancali all’interno di
magazzini nell’ambito industriale. Esistono
moltissimi tipi di scaffalature normate a livello
internazionale e prodotte attraverso pezzi e
dimensioni standardizzati. Caratteristica comune
ad ognuno dei sistemi di pallet racks è comunque
la loro maggiore efficienza, dal punto di vista
economico e strutturale, con l’aumento della
densità di immagazzinamento.
Esistono due tipologie convenzionali di
scaffalature: i pallet racks ad incastro e quelli
strutturali.
I primi, quelli proposti da noi per la costruzione
del New Transit Camp Social Club, vengono
montati attraverso un sistema di bloccaggio clip-
in (ad aggancio) tra trave e spalla. Gli structural
pallet racks invece utilizzano bulloni per rafforzare
questa connessione. La parte seguente della
trattazione farà sempre riferimento ai pallet racks
dotati del sistema clip in.
Le spalle sono costituite da due montanti a C
laterali connessi da controventi, anche questi a C
orizzontali o inclinati a 45°.
La connessione ad incastro, attraverso
l’inserimento degli uncini delle travi scatolari
nei fori dei montanti a C, permette di costruire
una struttura molto flessibile e rapidamente
montabile/smontabile. Al di sopra delle travi
vengono appoggiati i travetti su cui si dispone la
pavimentazione.
La possibilità di montaggio a secco è una delle
qualità che permetterebbe di costruire a Dharavi
una struttura temporanea. Nel caso infatti venisse
attuato il Dharavi Redevelopment Plan questo
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17. Schema del montaggio manuale a secco della struttura in pallet racks.
sistema costruttivo permetterebbe di smontare
l’edificio e di costruirlo velocemente altrove.
Questo sistema permette inoltre la costruzione
di una struttura certificata e sicura, cosa non
convenzionale all’interno di un universo
informale.
Il trattamento superficiale di ognuno dei pezzi
che compongono i pallet racks è previsto
attraverso una zincatura e una verniciatura che
permettono di proteggere il materiale dall’acqua
e dalla corrosione atmosferica.
I costi di costruzione, previsti in questa fase
per la costruzione di una struttura portante
collaudata in pallet racks, sono molto variabili
in funzione dell’altezza e della compattezza
dell’edificio. Restano comunque in linea con i
costi di costruzione all’interno di Dharavi, se non
addirittura al di sotto di questi.
Le dimensioni standard attraverso le quali
abbiamo progettato, ipotizzando l’utilizzo dei
pezzi presenti sul mercato, sono:
- 7,62 m -300’’ altezza spalle
- 1,02 m - 40’’ distanza tra i due montanti verticali
delle spalle Le spalle possono essere disposte
a una distanza di un metro, lasciando libero il
passaggio tra queste
- 4,01 m - 158’’ lunghezza travi di collegamento.
Al di sopra delle travi i travetti possono essere:
- 1,02 m - 40’’ (nella campata dove viene
posizionata la spalla)
- 1,22 m - 48’’ (nella campata libera).
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18. Schema tridimensionale della struttura preventivata
IPOTESI COSTO STRUTTURA PALLET RACKS:
In generale, il preventivo utilizzato per stimare i
costi di costruzione della struttura in pallet racks
opportunamente trattata (zincata e verniciata) è
stata fatta con i seguenti prezzi reperiti:
- spalle altezza 7,62 m: 200 USD
- travi lunghezza 4,01m: 60 USD
- travetti 1,02 m/1,22 m: 7-10 USD
Nell’ipotesi di costo non vengono inseriti i costi
di montaggio (praticamente trascurabili) e
quelli relativi al trasporto. Il trasporto non viene
considerato poiché si ipotizza gratuito per un
acquisto di materiale superiore ai 5,000 USD.
Freeman Murray ha proposto un finanziamento tra
i 10,000 e i 15,000 USD per l’acquisto del materiale
strutturale. Se questo venisse utilizzato per
l’acquisto del materiale non sarebbe necessario
prevedere spese aggiuntive di trasporto.
Va sottolineato che il costo al metro quadro potrà
essere ulteriormente ridotto con l’aumento della
superficie calpestabile e l’utilizzo ottimizzato
delle spalle (in questo esempio sono ipotizzate le
spalle di bordo, ma ad ognuna si può appoggiare
un numero doppio di travi).
Considerando le finiture, in un mercato formale,
si potrebbe preventivare di raddoppiare i costi.
In realtà all’interno di Dharavi i costi di questa
parte del processo saranno drasticamente ridotti
grazie al coinvolgimento delle industrie informali
e all’utilizzo di materiali di recupero. Il processo di
coinvolgimento delle maestranze locali porterà
inoltre beneficio all’economia locale.
I dati relativi al preventivo sono riferiti ad un’azienda
produttrice di Delhi (ACME engineers)6.
Al fine di ottimizzare il processo, e anche in
un’ottica di una riduzione dei costi ambientali,
sarebbe opportuno acquistare il materiale da
un’azienda di Mumbai.
L’ipotesi di costo verificata insieme
all’organizzazione URBZ è sembrata essere
vantaggiosa rispetto agli standard consueti di
costruzione all’interno di Dharavi7.
totale metri quadri: 60 (+ 20 terrazza)
elementi costruttivi e rispettivi costi:
- 6 spalle 7,60 m: 1,200 USD
- 24 travi 4,00 m: 1,440 USD
- 60 travetti 1,00 m: 420 USD
- 24 travetti 1,20 m: 240 USD
totale: 3,300 USD
totale mq calcolati senza terrazze: 60 mq
costo al mq: 55 USD/mq
totale mq calcolati con terrazze pari alla metà
dell’area: 60 mq
costo al mq: 50 USD/mq
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4.3.4 Proposta progettuale I
La prima proposta progettuale nasce durante il
periodo di permanenza a Dharavi ed in seguito
ad i primi sopralluoghi sul sito accompagnati dai
collaboratori di URBZ.
E’ necessario sottolineare che durante questo
primo periodo progettuale è stato molto difficile
incontrare Paul Raphael, nostro committente, e
che quindi gli elaborati sono stati prodotti per
favorire il possibile finanziamento di Freeman
Murray. La scelta di utilizzare i pallet racks
coinvolge principalmente la torre, mentre per la
parte in sopraelevazione non è ancora ipotizzato
chiaramente un materiale. Le due possibilità
sarebbero una sopraelevazione in mattoni o una
struttura che appoggi direttamente sul terreno in
pallet racks.
In questa fase è stato previsto un sostanziale
rispetto del programma propostoci nel momento
in cui ancora non eravamo arrivati a Mumbai,
con la difficoltà aggiuntiva di confrontarsi con il
nuovo edificio esistente.
La scelta caratterizzante questa fase è stata
19. Il programma funzionale interno FASE I
quindi la volontà di mantenere la costruzione in
muratura costruita dal nostro committente.
Ipotizzando di valutare in seguito le possibilità
di utilizzo dei pallet racks per questa parte del
progetto, abbiamo previsto la sopraelevazione
dell’edificio esistente, prevedendo l’utilizzo
del piano terra per attività dedicate a persone
anziane e il primo piano per i bambini. Per
quest’ultimo, riprendendo l’inclinazione del tetto
della struttura esistente, si sono ipotizzati spazi di
gioco su differenti livelli.
Il patio ed una scala collocata al suo interno
fungono da zona di collegamento in aggiunta a
quella principale presente nella torre.
Emergono in questo passaggio tre temi importanti
per la definizione finale del progetto che saranno
presenti e riproposti nelle fasi successive come
capisaldi dell’idea progettuale:
- il tentativo di creare un landmark all’interno del
paesaggio di New Transit Camp,
- la volontà di costruire uno spazio aperto
privato,
- il mantenimento dei percorsi laterali adiacenti al
lotto di progetto.
watching terrace
terrace
FASE I
children
elderly people
openair patiofree plot
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20. Gli elementi caratterizzanti la prima fase del progetto
to 90 feet road
to Kumbharwada
Mahatma Ghandi road
landmark
terrace
patio
to 90 feet road
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La torre wireless
La costruzione di una torre, che funge da blocco
per la distribuzione verticale, diviene allo
stesso tempo l’occasione di creare un landmark
riconoscibile all’interno del nagar e offre la
possibilità installare un ripetitore wireless per
diffondere l’accesso a internet da Dharavi.
Nonostante possa sembrare paradossale internet
non è infatti uno strumento così distante dalla
realtà dello slum e viene utilizzato abitualmente
da molti residenti.
L’accesso a internet faciliterebbe allo stesso tempo
la diffusione del sito aperto dharavi.org8, nato nel
2008 in seguito all’Urban Typhoon Workshop, e
“contenitore” di storie, racconti, informazioni e
attività che riguardano la realtà di Dharavi.
L’idea è che la torre possa raggiungere un’altezza
di circa dieci metri, attraverso la sovrapposizione
di due spalle del sistema pallet racks e rivestite
con una griglia metallica.
22. Vista dello spazio terrazza al di sopra del Social Club
21.New Transit Camp Social Club: fronte lungo Mahatma Ghandi Road
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Lo spazio aperto privato
Il secondo tema importante, come detto, è la
costruzione di uno spazio aperto privato. In un
contesto come quello di Dharavi caratterizzato
da una densità del costruito estrema la scelta
di destinare una parte del suolo a spazio aperto
potrebbe in realtà apparire utopica. Questa
è consapevolmente ardua da attuare poiché
significa costruire un numero inferiore di metri
quadrati abitabili, compromesso difficilmente
accettabile a Dharavi.
Tuttavia ci è sembrato possibile insistere nel corso
del progetto sulla necessità di questo spazio che
è successivamente stata accettata dal nostro
committente. Da questo è nata la volontà di
prevedere due spazi aperti differenziati: uno più
piccolo a livello del piano di campagna, diviene
un patio aperto a servizio della struttura, mentre
al di sopra della costruzione è stato pensato uno
spazio terrazza più grande.
23. Vista dall’ufficio di URBZ della nuova torre landmark
Il mantenimento dei percorsi laterali
Un’ultima scelta importante nasce dalla volontà
di mantenere i due percorsi di attraversamento
paralleli al lotto che da Mahatma Ghandi Road
conducono a 90 feet Road, non rinunciando
comunque a parte della cubatura ricavabile su
questo spazio.
E’ questo il motivo per cui, sul lato nord, secondo
una prassi riscontrabile in tutti gli edifici di
Dharavi, è stata inserita una parte a sbalzo (in
pianta 1*9 m) al di sopra del percorso pedonale.
Questa scelta nasce da un’attenta osservazione
delle costruzioni di Dharavi, nell’ottica di
immergersi nelle dinamiche che hanno guidato
lo sviluppo dello slum.
L’idea di utilizzare una parte dell’ edificio a
sbalzo consente così di aumentare la superficie
calpestabile al primo ed al secondo piano della
nuova costruzione, oltre ad ingrandire lo spazio
terrazza previsto sulla copertura.
25. Piante interne della prima idea progettuale:a destra: planimetria con inserimento urbano in alto: pianta del piano terreno: spazio per persone anziane pianta del piano primo: spazio per bambini di strada
24. Sezione AA’: emerge la volontà di mantenere la struttura in muratura esistente e sopraelevarla, creando uno spazio con differenti livelli per i bambini.Si noti il mantenimento dei due vicoli laterali e lo sbalzo ipotizzato a nord al di sopra di questo per guadagnare cubatura, secondo una prassi tipica di Dharavi.
dh
ara
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1 0 3
4.3.1 La complessificazione del programma
La divisione del progetto in fasi coincide con la
presenza di variate condizioni sul sito, all’interno
di un processo di progettazione informale che si
è rilevato molto complesso.
In questo senso la determinazione di una
fase II è coincisa con il nostro ritorno in Italia e
con il ripensamento al programma interno.
La volontà di creare una struttura che potesse
essere organizzata, gestita e manutenuta da un
organizzazione no profit (con la collaborazione
di URBZ anche in una fase successiva alla
costruttiva), ha introdotto all’interno del progetto
ragionamenti di tipo economico.
La presenza di una persona, Freeman Murray,
che si era dimostrata molto interessata al
finanziamento a patto che questo comprendesse
la sperimentazione della tecnologia costruttiva dei
pallet racks ha mosso decisamente il nostro lavoro
e le nostre scelte ancorandole definitivamente a
questo metodo costruttivo. I ragionamenti mossi
in questa fase sono dunque tutti nella direzione
di una fattibilità economica e di una ricerca delle
possibilità tecnologiche di utilizzo dei pallet
racks. In quest’ottica è stato cambiato anche il
programma interno dell’edificio, in accordo con
Paul Raphael.
L’idea è che le funzioni pensate per lo spazio
interno potessero essere in qualche modo
remunerative e portare introiti economici il più
possibile costanti anche negli anni futuri.
Un aumento drastico dei metri quadri progettati
ha portato all’allocazione all’interno del lotto di
spazi commerciali. Seguendo inoltre le analisi e le
riflessioni portate avanti questi anni da URBZ si è
pensato di inserire all’interno del progetto anche
4.3 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi
FASE II
il sistema di una tool-house9. Questa tipologia
costituisce la maggior parte del tessuto edificato
di Dharavi, e sarebbe allo stesso tempo una
buona fonte di guadagno dal punto di vista degli
affitti comprendendo anche una parte destinata
alle abitazioni-laboratorio.
La volontà di costruire una tool-house prevede
inoltre di utilizzare un meccanismo collaudato
all’interno dello slum, ipotizzando spazi con una
destinazione d’uso mista e allo stesso tempo
facilmente negoziabili nel contesto in cui si
sviluppa il progetto. Richiamare la tool-house
all’interno del progetto ha inoltre un valore
concettuale importante: significa ipotizzare una
forma di incremento urbano diametralmente
opposta a quella del Dharavi Redevelopment Plan
e produrre un prototipo di housing che potrebbe
anche diffondersi come tipologia a basso costo in
altre parti dello slum. In questo senso riemerge
anche il valore economico dell’investimento
su questo progetto, aprendo nuove strade
ad un ampio utilizzo di questa metodologia
costruttiva. Infine, un ultimo spazio comune per
la celebrazione delle cerimonie, di incontri e di
momenti di vita comunitari è stato aggiunto a
quelli previsti per le persone anziane e i bambini.
Questo spazio sarebbe inoltre importante per
garantire un’ulteriore possibilità di guadagno
economico attraverso l’affitto.
Rimane la volontà di costruire una torre
landmark, con la possibilità che questa fornisca
la connessione wireless ad un’ampia parte
di Dharavi e dalla cui terrazza panoramica il
crescente numero di turisti accorsi negli ultimi
anni all’interno dello slum possa avere una visione
complessiva del costruito dello slum.
dh
ara
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ess
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1 0 4
watching terrace
housing
commercial retail
wedding/meeting hall
children
elderly people
openair patio
inner atrium
ground elevation
FASE II
4.3.2 Proposta progettuale II
I disegni e le tavole relativi alla fase II sono inseriti
in allegato e sono quelli relativi alla fase di progetto
più approfondita che ha determinato la maggior
parte delle scelte tecnologiche sull’edificio. Queste
sono applicabili anche alle fasi future ipotizzate nel
caso di un nuovo cambiamento del programma e
delle condizioni in situ.
Questa seconda fase di progetto è stata
caratterizzata, come descritto, da un ampio
cambio del programma previsto e da un
determinante aumento della cubatura proposta.
La scelta, dettata principalmente dalla volontà
di convincere Freeman Murray a finanziare un
progetto costruito interamente in pallet racks,
è stata quella di muoversi in direzione di una
demolizione della preesistenza costruita poche
settimane prima sul lotto.
Infatti, l’impossibilità costruttiva di intervenire con
una sopraelevazione della struttura esistente con
questo materiale, ha portato il gruppo di progetto
ad ipotizzare un intervento che prevedesse la
26. Il programma funzionale interno FASE II
demolizione del fabbricato inizialmente costruito
per “proteggere” il lotto. Il mantenimento di
questo non sarebbe infatti stato possibile se si
fosse scelto di costruire il resto della struttura
in pallet racks. Le misure standard infatti non si
inserivano all’interno del volume precedente e
sarebbe stato necessario demolire buone parti
della muratura perimetrale.
Il programma implementato ha trovato luogo
in una struttura costituita essenzialmente da tre
parti.
Un primo fabbricato a tre piani fuori terra ospita
al piano terreno uno spazio dedicato alle persone
anziane (72 mq), al primo piano un ambiente per
i bambini (76 mq) ed al secondo piano una stanza
per la celebrazione delle cerimonie (76 mq).
Ognuno di questi spazi è stato pensato come
un open space, caratterizzato da movimenti in
altezza del piano di calpestio grazie alla possibilità
delle travi ad agganciarsi a differenti altezze delle
spalle.
Il secondo volume, distanziato di quattro metri
da quello precedente in direzione perpendicolare
alla Mahatma Ghandi Road permette di utilizzare
dh
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1 0 5
27. Temi progettuali della seconda fase di progetto
to 90 feet road
to Kumbharwada
Mahatma Ghandi road
landmark
terrace
internal patioroof ventilation
tool house
to 90 feet road
patio
pvc sheet
polycarbonate movable panels
metal grid
pvc sheet
ground �oor elevation
pvc movable wall
dh
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1 0 6
28. Schema prospettico del progetto della fase II
il lotto nella sua interezza. Gli ambienti al piano
terra sono stati pensati come possibili spazi
commerciali, mentre quelli presenti ai piani
superiori divengono spazi abitativi affittabili.
Questo volume ha in pianta un’area di 6*4 m,
completamente calpestabile, mentre ai piani
superiori, grazie ad uno sbalzo di un metro a
nord, ha un’area calpestabile di 28 mq. Queste
dimensioni sono comparabili (e leggermente
superiori) alle dimensioni proposte per gli alloggi
forniti attraverso i differenti piani di risanamento.
Lo spazio all’interno degli alloggi è facilmente
divisibile in relazione agli usi e alle necessità della
famiglia. Il sistema di tool-house così costituito
rende il fabbricato decisamente appetibile sul
mercato, poiché simile alle tipologie normalmente
adottate a Dharavi.
Il terzo spazio ricavato tra questi due volumi è il
Mahatma Ghandi Road
wireless tower
Paul’s plot
tool house
open air terracechildren playgroundelderly people open air patio
dh
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1 0 7
Mahatma Ghandi Road
wireless tower
Paul’s plot
tool house
open air terracechildren playgroundelderly people open air patio
patio esterno, leggermente spostato rispetto alla
sua posizione precedente, che ospita all’interno
anche un secondo blocco scale per l’accesso al
Social Club e alla tool-house.
Rimane inoltre all’interno del progetto l’idea della
torre wireless con terrazza panoramica (di 15 m di
altezza) lungo Mahatma Ghandi Road, all’interno
della quale è ospitato il vano scale principale.
Ognuna delle coperture dei differenti blocchi
dell’edificio è prevista come calpestabile e a
riguardo sono state ipotizzate tre soluzioni
differenti e complementari (tetto verde, doppio
tetto con vano per la circolazione dell’aria e
sistema di raccolta delle acque piovane)10.
Come nella fase I è stata preservata l’idea di
mantenere i due vicoli laterali adiacenti al lotto
che consentono un attraversamento verso 90
feet Road. In questa fase non è stata prevista la
disposizione dei sanitari, anche se in realtà è stata
ipotizzata la possibilità di utilizzare bagni chimici.
E’ stato approfondito lo studio dei dettagli
tecnologici relativi alle possibilità di rivestimento
utilizzabili per la struttura in pallet in racks.
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1 0 8
30. Vista aerea del complesso del Social Club. La torre emerge dal resto del costruito di Dharavi e permette una vista generale sull’insediamento informale.
29. La spazialità interna del Social club
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33. Vista complessiva del Social club e della tool-house.
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1 1 0
32. Vista dell’ingresso principale lungo Mahatma Ghandi Road dalla piccola piazzetta di fronte al lotto.
33. La terrazza del Social club con la vista sul nagar di New Transit Camp
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1 1 1
34. Il recupero dei teli in PVC dai cassoni dei camion e dalle insegne stradali.
I sistemi parete
Lo studio dei sistemi di parete ha comportato lo
studio di soluzioni tecnologiche nell’ottica di una
fattibilità economica e costruttiva reale all’interno
del contesto di Dharavi.
I principi che hanno guidato il disegno delle
pareti sono dunque stati:
- semplicità costruttiva
- modularità dei componenti
- smontabilità della struttura
- contenimento dei costi
- possibilità di reperire i materiali in sito
- volontà di utilizzare, almeno in parte, materiali
riciclati
- attinenza alle condizioni climatiche del sito.
Le proposte comprendono al loro interno, quindi,
la scelta di utilizzare il pvc utilizzato per rivestire
i cassoni dei camion e quello per le insegne
stradali11.
Ipotizzando di recuperare la maggior parte
del rivestimento da questo materiale riciclato,
reperibile a bassissimo costo, si preventiva un
notevole abbattimento dei costi per la costruzione
delle pareti.
L’utilizzo di questo materiale, generalmente
abbondantemente disegnato e pubblicizzato
potrebbe eventualmente attrarre alcune industrie
interessate anche al finanziamento di una parte
dell’edificio.
Inoltre il collage creato dalla differenza dei disegni
della tela movimenta la facciata diventando
motivo decorativo interessante e caratterizzante.
Sono così stati proposti differenti sistemi di parete
in riferimento al Social Club, tendenzialmente
tesi a creare uno spazio che potesse essere
sempre aperto, ma chiudibile durante le piogge
nel periodo monsonico, e per la tool-house,
per cui sono stati studiati dei pannelli rigidi e
semitrasparenti, anche questi apribili.
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external pvc sheetpallet racks uprights
wooden panels
railing
double layered roof
35. Pareti laterali del Social Club: “stratigrafia” dei “muri” apribili sulla campata di 4,00 m tra le spalle
La parete apribile del Social Club12
All’interno del Social Club è stata prevista una parete apribile che offre la possibilità di lasciare aperta
la struttura per la maggior parte del tempo, evitando i problemi di surriscaldamento caratteristici della
maggior parte delle abitazioni di Dharavi.
Le pareti laterali rinunciano così alla ricerca della solidità, mantenendo comunque tutte le caratteristiche
necessarie per lo svolgimento delle attività all’interno.
Partendo dall’interno:
- una ringhiera è ancorata alle spalle dei pallet racks, ( due profili a C imbullonati e una trave del sistema
pallet racks utilizzata come corrimano);
- pannelli in legno opportunamente trattati e resi impermeabili (eventualmente rivestiti con la tela in PVC)
sono ancorati alle spalle sovrapponendosi alla ringhiera, impedendo il passaggio dell’acqua nelle fessure
tra i teli;
- un sistema di guide superiori ed inferiori permette l’apertura della tela in PVC ad esse ancorata.
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36. Il montaggio ed il funzionamento del sistema a tenda delle pareti apribili
Il tipo di parete così studiata consente di fornire al Social Club un rivestimento che verrà chiuso durante
le piogge del periodo monsonico ma che permetterà di vedere quello che succede all’interno durante i
periodi non piovosi. Questo garantisce alla struttura la qualità della trasparenza, importante per un luogo
pubblico comune in cui si incontrano soprattutto i bambini.
L’idea è quella di stampare, sulla parte interna della tela in PVC immagini delle persone di Dharavi e del
nagar di New Transit Camp, cioè i fruitori stessi dell’intervento.
L’utilizzo di questo meccanismo low-tech garantisce anche un rapido montaggio ed una facile
smontabilità.
steel hanging bar with rings
steel hanging bar with rings
wooden panel
wooden slabs
pallet rack beam
pallet rack upright
railing
PVC openable sheet
C steel pro�le
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37. Pareti laterali del Social Club e tool-house: “stratigrafia” della parete fissa sul lato delle spalle
La parete fissa del Social Club e della tool-house13
Relativamente al lato chiuso dalle spalle dei pallet racks, sia per il Social Club che per la tool-house, è stato
pensato un sistema di parete fisso composto da diversi strati.
All’esterno una tela PVC il più possibile continua e grazie alle cuciture tra i teli di partenza rende
impermeabile la struttura e “dialoga” con le pareti mobili ipotizzate per il Social Club. All’interno i pannelli in
legno contribuiscono a creare una parete solida utile, soprattutto all’interno della tool house, come punto
di appoggio per l’arredamento e per ricreare le caratteristiche delle pareti convenzionali. L’intercapedine
presente tra telo e pannello potrebbe inoltre essere utilizzata per il passaggio degli eventuali impianti.
Pannelli aggiuntivi con cerniere possono essere facilmente aggiunti in occasione di porte ed ingressi.
Anche questo sistema di parete è modulare e può essere prodotto a bassissimo costo, praticamente
assimilabile a quello di acquisto dei pannelli in legno.
external pvc sheet
pallet racks uprights
internal �oors
wooden panels
double layered roof
dh
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38. Pareti laterali del Social Club e tool-house: schema di montaggio
vista esterna
upper �oor
wooden panel
wooden slabs
pallet rack beam
pallet rack upright
railing
PVC sheet
PVC sheet hanging rope
pierced L steel pro�le
All’esterno delle spalle è applicato un telo in pvc di recupero che viene agganciato alla copertura. Il telo che
scende lungo tutta la parete verticale sarà inoltre fissato ai montanti creando solidarietà nella struttura.
Il meccanismo di montaggio è costituito da una corda che attraversa i fori di un profilo a L collocato sulla
copertura e le asole del telo stesso.
Il lato interno è invece costituito da pannelli maschio-femmina che vengono imbullonati alle spalle dei
pallet racks. Nelle parti laterali i pannelli divengono alternativamente solo maschio o solo femmina o
eventualmente semplici rettangoli (come nel caso dell’ultima campata contigua all’ingresso delle scale).
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39. Pareti laterali della tool-house
La parete apribile della tool-house14
Per la parte di edificio destinata alla tool-house si sono studiati dei pannelli molto semplici che consentono
allo stesso tempo l’ingresso della luce e la creazione di aperture.
I pannelli sono mobili e costituiti da un telaio in acciaio a supporto di due lastre in policarbonato che
creano una sistema simile a un doppio vetro. Questi sono fissati alla struttura ed apribili verso l’esterno
attraverso un sistema a cerniera.
La scelta di utilizzo del policarbonato è stata dettata dalla difficoltà di reperire vetro all’interno di Dharavi
(la maggior parte delle abitazioni ne è infatti sprovvista a causa dell’elevato costo).
L’utilizzo di pannelli per la parete della tool house permette di creare pareti più solide e comparabili a
quelle convenzionali delle case di Dharavi.
external polycarbonate panels with steel frame
pallet racks uprights
steel upright
railing
double layered roof
dh
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steel upright with anchor bolt
wooden slabs
pallet rack beam
pallet rack upright
railing
steel plate for hanging
movable polycarbonate panels with steel frame
40. Il montaggio ed il funzionamento della parete in pannelli di policarbonato
Anche la parete apribile e semitrasparente della tool house è strutturata a strati:
- una ringhiera sorretta da due montanti indipendenti protegge dalla caduta nel momento in cui i pannelli
sono aperti;
- tre montanti in acciaio ancorati alle travi attraverso un sistema di sei piastre e bulloni autoavvitanti;
- i pannelli in policarbonato, costituiti da una doppia lastra e da un telaio in legno sorretti ai montanti in
acciaio. La chiusura è consentita da una maniglia rudimentale costituita da una piastra in acciaio che
ruota attorno ad un bullone agganciato ad ognuno dei pannelli apribili.
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Il sistema di copertura
Lavorando sul sistema di copertura l’idea era
quella di utilizzarla per limitare il surriscaldamento
dell’edificio. Le condizioni climatiche, infatti,
prevedono una temperatura che resta costante
durante tutto il corso dell’anno, attestandosi
intorno ai 30 °C15.
La scelta è stata dunque quella di creare una
copertura dotata di un’intercapedine intermedia.
Questo sistema è facilmente costruibile grazie
alla struttura in pallet racks disponendo le travi
che costituiscono il soffitto dell’ultimo piano e il
piano di calpestio della terrazza ad una distanza
variabile, che nel nostro caso è stata prevista di
30-40 cm.
Il sistema non richiede particolari studi e finiture
ed è molto facilitato dalla presenza dei buchi
sui montanti delle spalle, posti a piccolissime
internal patio ventilation
double roof gap water tanks
distribution system
distribution system
bamboo open structure
soil tanks
curtain walls
curtain walls
curtain walls
double roof compatible options
green roof
vegetable cultivation
rainwater recovery
toilet water
internal patio
vent
ilatio
n
p a t i o
monsoon season
distanze gli uni dagli altri e che consentono
grande flessibilità nella scelta delle dimensioni
dell’intercapedine.
In questo modo le stanze interne all’ultimo piano,
che avevamo notato essere molto calde nella
struttura del JAAGA Creative Common Ground
a Bangalore, non ricevono la luce diretta dei
raggi solari. La presenza di una sovrastruttura
(eventualmente in bamboo) per il piano terrazza
migliorerebbe ulteriormente le condizioni
climatiche interne.
Sono inoltre state previste tre soluzioni differenti
per l’utilizzo della copertura:
- copertura verde, (con la possibilità di coltivare
ortaggi al di sopra della struttura);
- copertura con sistema di recupero delle acque
meteoriche. La collocazione di taniche di acqua
all’interno dell’intercapedine, oltre a mantenere
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internal patio ventilation
double roof gap water tanks
distribution system
distribution system
bamboo open structure
soil tanks
curtain walls
curtain walls
curtain walls
double roof compatible options
green roof
vegetable cultivation
rainwater recovery
toilet water
internal patio
vent
ilatio
n
p a t i o
monsoon season
42. Alcune proposte per la copertura tra loro compatibili e complementari. Lo sviluppo del progetto ha previsto lo studio solo del sistema integrato di patio e ventilazione del tetto.
41. Il dettaglio dell’apertura che permette la ventilazione del tetto
più stabile la struttura grazie al peso proprio,
permetterebbe di risolvere almeno durante
la stagione monsonica il problema relativo
all’accesso all’acqua. Questa potrebbe essere
utilizzata per gli scarichi dei servizi e per il lavaggio
degli indumenti, utilizzando il patio come luogo
pubblico per quest’attività;
- copertura ventilata associata ad un patio a tutta
altezza interno che favorisce la ventilazione dell’
edificio attraverso un effetto camino. L’utilizzo di
pareti che possano essere aperte per la maggior
parte della giornata favorirebbe inoltre una
ventilazione costante che potrebbe innescare un
ricambio d’aria favorevole.
Questa soluzione è stata quella che si è esplorata
anche nella parte progettuale e che si è deciso di
adottare per la proposta della fase II.
Le tre proposte avanzate sono in realtà
utilizzabili in contemporanea e possono essere
complementari tra loro.
Nell’ottica di complementarità, per esempio,
l’acqua meteorica potrebbe essere utilizzata
anche per l’irrigazione di una parte di copertura
verde e le intercapedini tra i depositi d’acqua
favorirebbero la ventilazione..
connection to beams connection to pillar
connection to wooden panel
plastic sheet
steel pro�le
natural air circulation
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1 2 0
Il piano terreno
La presenza di piogge copiose durante il periodo
monsonico ci ha suggerito di studiare un piano
terra che fosse rialzato rispetto al piano di
calpestio.
L’idea di rialzare dunque il livello del piano terreno
del nostro edificio di 20-30 cm dal piano di
campagna permetterebbe un libero scorrimento
delle acque meteoriche e sarebbe realizzata
attraverso pezzi standard, costruendo un solaio
attraverso una metodologia analoga a quella
utilizzata per ognuno degli altri piani.
I costi aggiuntivi preventivati sono dunque
limitati e il tempo di montaggio aggiuntivo è
ridotto. In compenso il vantaggio di avere un
piano terreno che non rischia di essere allagato
durante il periodo monsonico è un’innovazione
interessante ed utile all’interno di Dharavi.
L’altezza rispetto al piano di calpestio può inoltre
essere facilmente modificata in relazione alle
reali necessità attraverso l’incastro della trave ad
un’altezza superiore o eventualmente inferiore.
Il dislivello naturale rispetto al terreno costituisce
inoltre una barriera naturale di sicurezza che
impedisce un semplice accesso dall’esterno.
ground �oor elevation monsoon season
water safety level
43. Ipotesi di elevazione del piano di calpestio interno dell’edificio rispetto al piano di campagna. Permette il naturale deflusso delle acque meteoriche durante il periodo monsonico.
dh
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1 2 1
4.4 Dinamiche informali: progettare dentro Dharavi
FASE III
4.4.1 Il coinvolgimento dei residenti all’interno
delle scelte: un’esperienza di partecipazione
Nell’ottica di un coinvolgimento della popolazione
locale all’interno del progetto è stata contattata
Dipti Hingorani16, un’architetto residente
Mumbai, che ha iniziato a recarsi giornalmente
sul sito di progetto. Il tentativo è stato quello
di recepire dalla popolazione quali fossero le
reali necessità per il luogo e come avrebbero
immaginato i residenti stessi il futuro Social Club.
Quest’attività è in realtà solo all’inizio, mentre il
nostro committente Paul Raphael è interessato
a costruire velocemente sul lotto e forse non
ci sarà tempo a sufficienza per approfondire
i ragionamenti. Il primo risultato di quest’
idea, da noi sollecitata più volte durante la
nostra permanenza e condivisa al momento
dell’attuazione, è stata l’organizzazione di una
sessione di disegno per i bambini del nagar.
Coordinata da Dipti Hingorani, la sessione ha
avuto luogo all’inizio del mese di dicembre ed ha
avuto grande successo grazie al coinvolgimento
di una quarantina di bambini nella prima attività
ufficiale del Social Club.
Ciò che è emerso dai disegni è sicuramente la
volontà di spazi aperti e verdi per il gioco che
hanno rafforzato la nostra idea della necessità di
mantenere libera una parte del lotto per l’utilizzo
comunitario. Questa prima attività all’interno
dell’edificio, secondo quanto riportato dai nostri
colleghi sul luogo, è stata in realtà molto utile
per dichiarare l’utilizzo del lotto e scansare ogni
equivoco emerso durante questi mesi circa
l’utilizzo dello spazio. Ad oggi le sessioni di disegno
si sono ripetute più volte e paiono coinvolgere un
numero sempre crescente di bambini.
44. Le prime due sessioni di disegno all’interno del Social Club hanno riscosso grande successo e attirato un numero crescente di bambini che hanno esposto i loro disegni alla fine delle due giornate Foto: www.flickr.com, utente: URBZOO
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4.4.2 Dharavi cresce senza bisogno degli archi-
tetti: il cambiamento del programma
Nel momento in cui abbiamo iniziato un progetto
all’interno di Dharavi, sapevamo che il contesto e
le condizioni al contorno del progetto avrebbero
fortemente influenzato il design finale e che
l’essere inseriti per la prima volta all’interno di un
processo costruttivo reale avrebbe determinato
in maniera importante il risultato finale.
Il giorno in cui abbiamo ricevuto le foto proposte
qui a fianco ci siamo però resi conto di quanto
difficile fosse muoversi in un contesto informale.
A distanza di poco meno di due mesi dall’inizio
del progetto, infatti, le condizioni del sito erano
nuovamente cambiate.
Il ritorno di Paul Raphael all’interno di Dharavi
aveva infatti determinato un’improvvisa
accelerazione dei lavori in corso: l’edificio
esistente, costruito in maniera illegale prima
del nostro arrivo a Mumbai era ormai stato
regolarizzato, seguendo i processi imposti dalla
polizia locale.
La cosa più sorprendente però è stata vedere come
Dharavi continuasse a crescere senza il bisogno
degli architetti. Buona parte del lotto nella parte
confinante con Mahatma Ghandi Road era infatti
stata pavimentata e un piccolo muro divisorio era
stato costruito per limitare l’accesso al lotto.
Allo stesso tempo, sempre lungo il fronte di
Mahatma Ghandi Road è stata costruita una
piccola struttura commerciale in cui vengono
serviti tè e dolci.
Il significato di queste costruzioni è legato alle
dinamiche che si sono sviluppate attorno al lotto
durante gli ultimi mesi: le pressioni da parte
degli altri abitati e la necessità di utilizzarlo in
qualche modo si erano fatti via via più forti e Paul
non aveva potuto aspettare le nostre proposte.
Nonostante queste gli fossero state presentate
più volte, infatti, la sua scelta è stata quella di
optare per una costruzione più convenzionale.
La nuova proposta del nostro committente è
45. Dall’alto in basso:- il nuovo chiosco già in funzione costruito lungo Mahatma Ghandi Road- il muro a protezione del lotto e la nuova pavimentazione- la parte del sito prevista per la costruzione del progetto in FASE IIIFoto: www.flickr.com, utente: URBZOO
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1 2 3
46. Mappa del sito di progetto: si noti la costruzione
del nuovo tea shop nella parte inferiore e l’area ridotta
destinata alla costruzione del nuovo programma
8.9
m
12.3
m
7.8 m
1.35 m
1.78 m
1.58 m1.86 m
5.43
m
3.45 m
8.9 m
9.1 m
6.4 m
6.2 m
9.1
m e x i s t i n g b u i l d i n g
a v a l a i b l e a r e a
8 m * 5 m
f r e e p l o t
t e a s h o p
existing building
al
le
y
al
le
y
stata quella di provare a pensare ad uno spazio
aggiuntivo, nella parte retrostante dell’edificio
ad oggi costruito ed utilizzato da URBZ e Dipti
Hingorani per le sessioni di disegno con i bambini
di New Transit Camp.
La scelta di Paul ci ha trovati in realtà d’accordo
e ci è sembrato più utile provare a ipotizzare
una forma di incremento del costruito esistente
(che ormai costituiva una parte rilevante del
lotto) piuttosto che continuare a prevedere una
demolizione della costruzione in situ.
Con la scelta di conservare lo spazio già costruito
per ospitare alternativamente persone anziane
e bambini, è cambiato anche il programma
propostoci per la nuova parte costruita.
All’interno di uno spazio in pianta di 5*8
m avremmo ora dovuto pensare a spazi
completamente differenti; le nuove funzioni
previste erano infatti quelle di una piccola sala
letteraria/biblioteca all’interno della quale
potessero essere inseriti volumi riferiti alla storia
di Mumbai e di Dharavi, ma anche più in generale
testi di pedagogia, filosofia e attinenti alle scienze
sociali in genere.
Inoltre avremmo dovuto prevedere una piccola
caffetteria da annettere alla sala lettura. Questo
sarebbe stato un luogo importante di riferimento
per le persone che si recavano a Dharavi per
studiarlo o semplicemente per visitarlo. Sarebbe
stato un ponte tra la città esterna e lo slum.
L’ultima richiesta è stata quella di ipotizzare degli
spazi terrazza privati.
In questo frangente la richiesta è stata anche
quella di ipotizzare una struttura che potesse
essere costruita sia in pallet racks che in mattoni:
la diminuita cubatura del progetto infatti sembra
allontanare le possibilità di finanziamento di
Freeman Murray e della struttura in pallet racks
da lui incentivata.
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4.4.3 Proposta progettuale III
Il cambio di programma descritto e le nuove
attività organizzate nel corso di questo
periodo all’interno del Social Club ci hanno
obbligato a ripensare alla nostra proposta
progettuale, nell’ottica di renderla più adatta allo
stravolgimento del contesto intorno al progetto.
La prima scelta fondamentale in questa fase
è stata, come accennato, quella di tornare a
proporre la possibilità di mantenere lo spazio già
costruito inizialmente da Paul Raphael.
Questo, effettivamente sembra funzionare
all’interno del nagar e molte persone paiono aver
apprezzato gli sforzi del nostro committente.
Ci è parso dunque sbagliato ipotizzare la sua
demolizione, anche nella logica della necessità di
un incremento di Dharavi dal basso.
La scelta della fase II era infatti stata mossa non
senza riserve e principalmente dettata dalle
costrizioni economiche e dalla volontà di URBZ
di trovare un accordo con Freeman Murray. Il
vedere come la struttura stesse divenendo un
luogo di incontro e vita comunitaria non ha fatto
altro che smuovere i dubbi presenti già nella fase
precedente.
La scelta è stata dunque quella di ipotizzare uno
elderly people+ children
library/reading room
open air roof terrace
open air roof terrace
tea shopFASE III
cafè
openair patio
47. Il programma funzionale interno FASE III
spazio che in qualche modo potesse ospitare il
nuovo programma propostoci e che, allo stesso
tempo, creasse un complesso comunitario
facilmente riconoscibile.
E’ stata così pensata una piccola struttura al lato
dell’edificio esistente, di due piani fuori terra,
ipotizzando che potesse essere costruita sia in
pallet racks che in muratura.
Gli spazi per la piccola biblioteca sono così stati
previsti al piano terreno, rialzato rispetto al piano
di campagna secondo quanto studiato nella fase
II, mentre quelli per la piccola caffetteria sono
collocati al piano superiore.
Entrambi questi spazi sono in comunicazione
diretta con la sala dedicata alle attività svolte dalla
comunità. E’ stata inoltre proposta la possibilità di
utilizzare il tetto dell’attuale parte costruita come
terrazza.
Uno spazio con terrazza panoramica è stato
ipotizzato anche al di sopra della nuova parte
costruita. La terrazza si trova dunque ad un livello
decisamente più basso di quella ipotizzata per la
torre nella fase II, ma l’eventuale utilizzo dei pallet
racks garantirebbe la possibilità di sopraelevare
in futuro questa parte dell’edificio.
In questa fase ci è stato proposto di produrre
anche delle immagini dello stesso edificio
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to 90 feet road
to Kumbharwada
Mahatma Ghandi road
terrace
terrace
roof ventilation
to 90 feet road
pvc movable wall
roof access
tea shop + access
social club
patio
pvc panels
ground �oor elevation
48. Temi progettuali della terza fase di progetto
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50. Il bookshop e il cafè progettati nella fase III costruito in pallet racks
costruito in mattoni per tastare le reali intenzioni
di Paul Raphael circa l’investimento..
In effetti, il diminuire della metratura proposta
sembra aver raffreddato gli interessi di Freeman
Murray nel finanziare una struttura così piccola
in pallet racks. La convenienza economica di
questo materiale infatti emerge nel momento in
cui si costruiscono metrature piuttosto grandi e
compatte.
L’occasione non è comunque del tutto persa
ed oggi URBZ si sta impegnando su due fronti,
quello di provare a convincere Freeman Murray
a finanziare la struttura e quello, eventuale, di
trovare nuovi investitori per la costruzione di una
nuova parte edificata in pallet racks17.49.La proposta progettuale della fase III in mattoni. Queste immagini sono state prodotte per verificare la possibilità di costruzione della struttura in pallet racks
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52. Lo spazio cafè al secondo piano nella fase III: interni a confronto
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51. Tabella di confronto discussa con Paul Raphael dei vantaggi e degli svantaggi dell’utilizzo dei pallet racks e del sistema convenzionale di costruzione in mattoni.
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Mahatma Ghandi Road
tea shop
Paul’s plot
open air terracecafèlibrary reading room
open air terracespace for children and elderly people open air patio
4.4.4 Prospettive future
Il lavoro di progettazione ad oggi si è in parte
bloccato, per la necessità di concludere la tesi e
per la contemporanea mancanza di finanziamenti
per il progetto.
Parallelamente però la parte della struttura
per bambini e persone anziane ha già iniziato
a funzionare, ospitando ogni domenica una
sessione di disegno con oltre sessanta ragazzi.
Inoltre il team di URBZ presente sul sito ha iniziato
a strutturare attività anche con le persone più
anziane del nagar, anche se queste per il momento
si limitano a colloqui e raccolta di pareri sulle
possibilità di utilizzo dello spazio comune.
La ricerca del finanziamento sta continuando
via internet attraverso un tentativo di raccolta
di fondi tramite donazioni pubblicata sul sito
ufficiale dell’organizzazione, oltre che ad una
ricerca tra eventuali finanziatori locali.
Le prospettive future che coinvolgono il progetto
sono molteplici ed allo stesso tempo imprevedibili.
Senz’altro la prima parte costruita sembra
rispondere pienamente alle aspettative: oltre ad
aver rapidamente acquisito ogni autorizzazione
legale dalla polizia locale, ha raccolto il consenso
di molte persone all’interno del nagar.
La nuova parte, quella ipotizzata per la caffetteria
e la libreria potrebbe divenire un punto di
riferimento importante per coloro che visiteranno
Mumbai negli anni a venire e decideranno di
entrare anche a Dharavi.
La struttura potrebbe così divenire un ponte tra
gli abitanti di Dharavi e quelli esterni e potrebbe
essere un aggancio con la restante città formale
tendendo ad abbattere quella linea di confine
53. Sezione prospettica del progetto della fase III
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Mahatma Ghandi Road
tea shop
Paul’s plot
open air terracecafèlibrary reading room
open air terracespace for children and elderly people open air patio
54. Il nuovo ingresso del Dharavi Shelter dipinto dai bambini in queste settimane. Foto: www.flickr.com, utente: URBZOO
immateriale che, più dei tracciati ferroviari e
dei limiti costruiti, dividono Dharavi dal resto di
Mumbai.
Il nostro lavoro di design in questa fase si muove
in realtà nella direzione di un approfondimento
delle soluzioni costruttive studiate per la fase II,
ma è in realtà in attesa di nuove linee guida in
relazione alle possibilità di finanziamento locali,
nella speranza di poter ipotizzare liberamente
quale debba essere il metodo costruttivo
utilizzato.
Questa scelta sarà in effetti determinante prima
di ogni mossa futura ed al momento ha bloccato
lo sviluppo del progetto.
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4.5 Riflessioni per un progetto a Dharavi
4.5.1 La tool-house come una forma vincente di
sviluppo urbano “dal basso” 18
Prima della rivoluzione industriale i processi di
produzione hanno avuto luogo principalmente
nell’ambiente rurale, mentre le città svolgevano
il ruolo di grandi centri commerciali.
La città moderna è emersa attraverso una
divisione del vivere nello spazio e nel tempo. Con
la rivoluzione industriale case e spazi di lavoro
sono stati radicalmente separati gli uni dagli altri.
Il tempo del lavoro e della vivere hanno iniziato
ad essere irregimentati lungo linee temporali
precise.
Attraverso il XX secolo, la fantasia modernista
è rimasta saldamente legata a quella di una
società industriale, anche se, nell’esperienza
reale, i processi di vita e di produzione sono
spesso rimasti connessi. Pratiche economiche
formali e informali hanno convissuto in diversi
modi. Eppure, la visione idealizzata di questa
età ha sempre sostenuto che l’interazione tra
produzione economica e ambienti di vita fosse
superflua.
La realtà è assolutamente contraria. Il motivo per
cui i paesaggi urbani informali, che costituiscono
l’habitat del 50% dell’umanità, sono così
problematici per gli urbanisti è che questi rendono
esplicito il rapporto tra produzione e spazi di vita
non riconducendoli ad una frattura netta.
Non essere in grado di vedere questa dimensione
negli slums rivela una terribile mancanza di
immaginazione e interrompe l’evoluzione
complessa ed organica delle forme urbane.
Oggi, in un’era post-industriale ed iper-
urbanizzata la produzione può essere incontrata
anche in ogni parte della città formale: in un loft
di artisti, nella casa di un web-designer, in una
bottega artigianale, in un ristorante nascosto in
un ghetto di immigrazione.
Eppure la struttura che sarebbe l’esempio
classico di tale uso, la tool-house, non ha ottenuto
la legittimità che meriterebbe. E’ considerato
un modello di urbanizzazione obsoleto o una
forma urbana non praticabile a causa dei principi
rigorosi di zonizzazione.
Gli insediamenti informali in tutto il mondo sono
le migliori espressioni della presenza permanente
della tool-house. La ragione della sua resistenza è
la sua forza economica.
In un contesto in cui oltre il 40% delle persone
sono lavoratori autonomi e lo sviluppo urbano ha
fatto lievitare i prezzi delle abitazioni, la casa ha
bisogno di raddoppiarsi come un sito produttivo.
Nei quartieri informali, non è raro trovare una
tool-house parzialmente affittata come negozio
nella parte anteriore e come laboratorio nella
parte posteriore, oltre a servire come rifugio per
una famiglia allargata.
In realtà i tool-house landscape indicano la
necessità di una forte ristrutturazione del
modo in cui lavoro e produzione sono inseriti
nella città post-industriale. Questo ci può
aiutare a visualizzare concretamente un futuro
in cui la dicotomia del formale e informale,
dell’organizzazione della produzione e dei servizi
I due testi inseriti nel seguente capitolo tentano di riassumere l’approccio teorico e la filosofia condivisa
con URBZ a proposito delle possibilità di intervento nel contesto di Dharavi. Il riportare questi concetti, a
cui siamo stati avvicinati dall’organizzazione con cui abbiamo lavorato, ha il significato di porre questo
tipo approccio, da noi condiviso e discusso, come lettura delle scelte progettuali presentate.
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5. Schema esemplificativo del funzionamento di una tool-house. Fonte: www.dharavi.org
è trascesa. In cui il nuovo ordine, sia spaziale
che temporale, e la complessa dialettica tra
l’artigianale e la produzione industriale sono
riconosciuti.
Le città del futuro può essere riorganizzata in
modi meno prevedibili seguendo le aspirazioni
e le esigenze localizzate. Dove lo sviluppo
urbano è lasciato agli attori locali si osserva il
riemergere di spazi di vita-lavoro che sono in
realtà meno disumanizzanti che molti dei blocchi
residenziali e delle torri per uffici che vengono
sistematicamente promossi da coloro che
ragionano sulla città -dagli investitori immobiliari
alle ONG, passando per gli enti governativi- come
l’unico modo accettabile verso la modernità.
Potrebbe essere il momento di riconoscere che,
a causa della mancanza di infrastrutture e delle
problematiche del sovraffollamento, alcuni
insediamenti informali hanno sviluppato una
tendenza che può essere ben integrata in un
paesaggio post-industriale. Questi insediamenti
emergeranno così non più come baraccopoli
con una terribile necessità di riqualificazione, ma
come un modello di sviluppo dal basso, con la
tool-house posta al centro di questo sistema.
L’ultimo disegno del DRP finge di rispettare la
vita e le condizioni di lavoro degli attuali abitanti
di Dharavi, in realtà rafforza la separazione
sovrapponendo funzioni economiche e
residenziali contenute in layer distinti.
La logica della tool-house è intimamente
legata al più ampio contesto economico di
informalità: la produzione decentrata diminuisce
i costi utilizzando lo spazio in modo complesso
e stratificato. Questo strumento vivibile è
organicamente collegato all’unità della famiglia,
della comunità e la persistenza della forma
villaggio nella metropoli moderna. Ignorando
queste complessità, il tentativo di trasformare gli
insediamenti informali di Mumbai semplicemente
non può funzionare.
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4.5.2 Il futuro di Dharavi: Tokyo come riferimento 19
L’analisi del tessuto di Dharavi e delle sue
possibilità di “sviluppo” differente da quello
proposto dal DRP è alla base del percorso di
ricerca condotto da URBZ in questi anni.
Il modello di Dharavi, come possibile forma
urbana alternativa a quella della città europea
ottocentesca, piuttosto che alla Broadacre city
americana di Wright o alle idee di uno sviluppo in
verticale delle grandi megalopoli internazionali,
offre un nuovo possibile output su quella che
possa divenire la città post-industriale.
Partendo dal modello di Tokyo come riferimento,
URBZ ipotizza un intervento della municipalità
che si focalizzi sull’approvvigionamento delle
infrastrutture primarie (soprattutto luce, acqua e
trasporti) lasciando alla popolazione il compito di
dare alla città la forma costruita.
Tokyo viene presa come riferimento in quanto
modello prettamente asiatico di urbanizzazione
che ha dimostrato di poter funzionare. Alla fine
della prima guerra mondiale, buona parte della
città era distrutta: l’impossibilità di pianificare
velocemente ampie parti di questa, unita alla
necessità di una rapida ricostruzione, hanno
determinato una politica nuova da parte
dell’amministrazione. Questa si è concentrata sulla
costruzione delle reti di distribuzione dell’acqua
e dell’elettricità, occupandosi anche del sistema
di mobilità pubblica, mentre lo sviluppo urbano
costruito delle parti periferiche della città è stato
delegato agli attori locali.
E’ stato così che la maggior parte delle periferie
di Tokyo, negli anni Sessanta, hanno acquisito
un’immagine simile a quella dell’odierna Dharavi.
Un pattern costituito da una maggioranza di
strade di difficile accesso per le automobili è
divenuto l’elemento unificante di intere parti di
città, più simili a piccoli villaggi che a quartieri di
una nascente metropoli. Piccole strade, spesso
di uso specifico dei residenti, conducevano a
nuclei residenziali low-rise ad alta densità. Il
tessuto è diventato ad utilizzo misto, con molte
abitazioni destinate a spazio abitativo e a luogo
di produzione. Oggi queste parti periferiche di
Tokyo, come il quartiere di Shimokitazawa, sono
divenute fortemente caratterizzanti della città
che nessuno catalogherebbe come slums.
La presenza di una forma urbana differente,
la difficoltà di descriverla, comprenderla e
catalogarla, oltre che di muoversi e percorrerla,
hanno spesso portato gli urbanisti occidentali a
definire molti quartieri della città asiatica come
caotici e privi di organizzazione.
L’organizzazione che in realtà si nasconde dietro
queste parti città e l’alto grado di efficienza dei
meccanismi che permettono il funzionamento
di aree ad altissima densità sono però fenomeni
che andrebbero letti e compresi. Il trattare questi
quartieri come una tabula rasa in attesa di sviluppo
denota scarsa flessibilità, oltre che una pessima
attenzione alla ricchezza culturale ed economica
6. Sviluppo organico fatto di percorsi principali pubblici che si ramificano via via in vicoli sempre più privati per raggiungere i nuclei abitativi interni. Questo schema urbano viene rilevato da URBZ sia all’interno di Dharavi che nel quartiere di Shimokitazawa. Fonte: www.airoots.net
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che questi meccanismi hanno prodotto.
Se la municipalità focalizzasse il proprio
intervento sull’approvvigionamento delle
infrastrutture primarie, Dharavi potrebbe seguire,
a qualche anno di distanza, quello che è stato il
percorso di molte aree periferiche di Tokyo. Per
molti anni, infatti, il riconoscere Dharavi come
uno slum ha permesso alla municipalità di fornire
una copertura delle infrastrutture decisamente
inferiore ad altre parti di città.
Il proporre un piano infrastrutturale di supporto
alla forma urbana esistente per permetterne lo
sviluppo sarebbe un approccio estremamente
diverso da quello perseguito in questi anni. La
necessità di lasciare alle comunità la possibilità
di autocostruirsi e di migliorare la qualità delle
proprie abitazioni manterrà inalterato il pattern
organico informale e conserverà la capacità
di creare ricchezza, economica e culturale,
permettendo allo slum di trasformarsi in uno dei
quartieri a più forte identità di tutta Mumbai.
Va sottolineato a inoltre che ogni possibile piano
per Dharavi, non sarà mai in grado di raggiungere
il grado di densità oggi presente in questa parte di
città: l’unico risultato di un piano di risanamento
high-rise sarebbe la mobilitazione di grandi
masse di persone verso nuove aree della città, con
l’unica prospettiva della nascita di nuovi slums.
Un piano di sviluppo che non partisse dal pattern
attuale avrebbe dunque come unico output la
creazione di nuovi slums. Nuovamente, come
successo altre volte nel corso della storia, gli slums
verrebbero solamente spostati e non aiutati a
crescere.
Il scegliere lo sviluppo di Tokyo come riferimento
per il futuro di Dharavi significa quindi
sottolineare la necessità di un potenziamento in
situ (già ipotizzata nel corso degli anni Ottanta
dalla municipalità, ma mai veramente percorso)
e vuole affermare il ruolo delle comunità locali
nel miglioramento delle proprie condizioni
abitative.
7. Fotomontaggio urbano, a destra Dharavi, a sinistra Shimokitazawa. Fonte: www.airoots.net
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Note 4.New Transit Camp Social Club: temi e riflessioni di un progetto informale1. Le revisioni sul progetto avvenute con PUKAR hanno avuto come interlocutrice la dott.ssa Anita Patil-Deshmukh, Executive director di Pukar. Laureata in Medicina, Anita Patil-Deshmukh ha concluso un Master in Public Health presso la Harvard University e ha lavorato come un neonatologa in un istituto di insegnamento a Chicago per 20 anni. Nel 2005 è tornata in India per contribuire allo sviluppo del settore ed è anche Senior Adviser per India China Institute (The New School, NY).
2. Le revisioni con il progetto avvenute con l’ UDRI hanno avuto come interlocutore Pankaj Joshi, Executive Director dell’UDRI. E’ architetto che ha fatto parte del Mumbai Heritage Conservation Committee, ed è stato visiting professor presso l’Architecture Academy e il Rizvi College of Architecture a Mumbai . Inoltre è consulente perla Heritage Conservation Society della Mumbai Metropolitan Region Development Authority (MMRDA).
3. Le elezioni per la presidenza dello stato del Maharashtra si sono tenute il13 ottobre 2009. Il momento risulta creare grandi tensioni all’interno di uno slum come Dharavi in cui fazioni politiche contrapposte tentano in ogni modo di acquisire i voti delle frange più povere e più deboli della popolazione votante. Molti degli articoli pubblicati durante questi giorni a sui quotidiani di Mumbai riportavano che i voti raccolti dentro Dharavi sarebbero stati determinanti per il risultato finale.
4. Freeman Murray ha lavorato con la tecnologia start-up in India e negli Stati Uniti negli ultimi 15 anni. Ha studiato informatica alla University of California a Santa Cruz e successivamente si è unito al gruppo Java di Sun Microsystems per il progetto Java Server. Nel 1998 fonda con il collega Pavni Diwanji Kendara, una società di plugin per il browser. Hanno guadagnato 7 milioni di dollari come finanziamento per il rischio da Red Point e MDV e in 2 anni hanno venduto l’azienda al più grande fornitore di Internet a banda larga in quel momento, Excite@Home. Negli ultimi quattro anni ha vissuto a Pune, dove ha gestito il lavoro di outsourcing per la propria società di investimento e ha lavorato con Mixercast.com come Chief Scientist.
5. Jaaga Creative Common Ground è un esperimento a cavallo tra l’arte e l’architettura. E’ uno spazio comunitario creato per servire le arti, la tecnologia e i cambiamenti sociali a Bangalore. Esso comprende spazi di lavoro con accesso a internet, un caffè e una grande spazio pubblico multi piano per proiezioni, workshop, conferenze e spettacoli. La struttura finanziata da Freeman Murray e costruita in una settimana attraverso i pallet racks sembra attrarre moltissimi residenti e ospita settimanalmente eventi e spettacoli.
6. Il marchio di riferimento per i pallet racks è in realtà MINI FABRICATION, di proprietà della ACME ENGINEERS, con sede a Delhi.
7. Il costo standard di Dharavi, in base a quanto riportato da URBZ è stato ipotizzato come variabile tra 80-100 USD al metro quadro.
8. www.dharavi.org è un sito web wiki progettato per raccogliere informazioni, immagini e idee su Dharavi a Mumbai. Dharavi è uno dei più grande insediamento informale nel mondo e dharavi.org offre uno spazio per discutere il Dharavi Redevelopment Project e possibili alternative. Chiunque può accedere e creare le proprie pagine. I contributi possono essere in lingua inglese, hindi e marathi. Il sito è nato in seguito l’esperienza dell’Urban Typhoon Workshop a Koliwada nel 2008.
9. Il concetto di tool-house è approfondito nel capitolo 4.5 Riflessioni per un progetto a Dharavi e nel teso in Appendici I. The tool house.
10. Per un approfondimento vedere il paragrafo I sistemi di copertura.
11. L’idea di utilizzare il pvc è stata ripresa dal JAAGA Creative Common Ground a Bangalore con il tentativo di ottimizzarla e renderla più funzionale alle esigenze di Dharavi.
12. Disegni tecnici tavola 7-7A
13. Disegni tecnici tavola 9-9A
14. Disegni tecnici tavola 8-8A
15. I dati climatici utilizzati fanno riferimento al World Weather Information Service (WMO)
16. Dipti Hingorani è un architetta di Mumbai che collabora con URBZ da alcuni e che ha preso in mano il processo di coinvolgimento delle persone di New Transit Camp all’interno della struttura già costruita da Paul Raphael.
17. E’ stato ad oggi aperto un contocorrente sul quale è possibile versare fondi per la costruzione del New Transit Camp Social Club attraverso una donazione tramite il sito di URBZ.
18.approfondimento in Appendici I. The tool house
19. Approfondimento in Appendici II. The Tokyo Model of Urban Development
5. Considerazioni sul significato di un’esperienza progettuale
a Dharavi
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Le riflessioni che emergeno alla conclusione
di questo lavoro sono relative al significato di
un’esperienza di un processo di progettazione in
una realtà informale, al ruolo che un architetto
può acquisire quando si trova inserito in questa
realtà e all’ereditità che questa stessa esprienza
lascia per la formazione di un’etica professionale.
L’output progettuale, seppur importante, appare
forse un aspetto secondario, anche discutibile
e contestabile, come per ogni progetto di
architettura, ma resta l’importanza della
documentazione di un processo differente da
quelli a cui siamo stati abituati e per cui siamo
stati preparati in questi anni. Resta inoltre la
consapevolezza acquisita nell’affrontare un
processo così complesso nelle relazioni con la
committenza e con i possibili finanziatori (che
nel nostro caso erano rappresentati da due figure
distinte) e che potrà essere utile in futuro percorso
lavorativo.
Infine resta un’attenzione ai legami tra la
progettazione e i costi ad essa connessi, nell’ottica
di soluzioni a basso costo che presentino le
necessarie qualità architettoniche e che siano
dunque accessibili ad ogni ceto sociale. Questo
è senza dubbio uno stimolo importante che
abbiamo avuto la fortuna di recepire e che ci
ha aiutato a capire in quale direzione si debba
muovere l’etica di una professione come quella
dell’architetto.
Ci è parso utile analizzare in questo capitolo
conclusivo i passaggi in cui il nostro apporto ci è
parso più importante, sulla base dei quali si possa
ripensare al ruolo dell’architetto in un contesto
informale, ma anche in un contesto formale.
Mentre la soluzione conclusiva del progetto
oggi appare ancora distante dalla realizzazione,
abbiamo provato a raggruppare il nostro operato
in quattro ambiti con i quali ci siamo dovuti
confrontare e che sono la principale eredità di
questo lavoro:
- l’attenzione al rapporto con la committenza e
alle dinamiche in situ;
- il lavoro sulle scelte costruttive e la ricerca di
soluzioni a basso costo;
- l’attenzione alla partecipazione dei residenti
nella definizione del progetto;
- la proposta di uno sviluppo incrementale dal
basso all’interno dello slum.
Questi punti appaiono alla conclusione del
nostro percorso come quattro fili conduttori che
ci aiutano a rileggere l’esperienza e che possono
aiutare a definire il ruolo di un architetto a
Dharavi e contribuire alla formazione di un’etica
professionale che acquisisce sostanza anche da
quest’esperienza.
La capacità di ricollocare le proprie scelte e
“l’indipendenza” del committente
Progettare dentro Dharavi ha significato
confrontarsi con una realtà in continuo
cambiamento, in cui gli interessi e le costrizioni
temporali hanno influito sul succedersi delle
scelte progettuali.
La linearità del tempo, che in un normale
processo di progettazione prevede una fase di
programmazione e una progettuale precedenti
a quelle di costruzione e di utilizzo dell’edificio,
non può essere mantenuta all’interno di una
realtà informale.
Ci siamo così trovati di fronte a un processo in cui
queste quattro fasi si sono sovrapposte rendendo
difficoltose le nostre scelte.
Contemporaneamente alla definizione del primo
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programma dell’edificio, è infatti iniziata la
costruzione su una parte del lotto. In seguito,
a distanza di un mese dall’inizio del progetto, il
programma è stato completamente rivisto ed
ampliato. Nel momento in cui abbiamo tentato
di riportare il disegno progettuale in linea con
il nuovo programma, mantenendo gli elementi
caratterizzanti che avevamo ipotizzato nella prima
fase progettuale, una nuova fase di costruzione
è iniziata, portandoci a rivedere alcune scelte,
modificando nuovamente il programma e
portandoci ad ipotizzare una nuova proposta.
La fase di costruzione si è accavallata, nel corso
del processo con quella di progettazione ed la
fruizione della struttura è iniziata addirittura a
progetto non ancora concluso.
Progettare a Dharavi ha quindi significato provare
a migliore la capacità di rivedere le nostre posizioni
e i nostri spunti progettuali in relazione alla realtà
locale, intesa come modifica del costruito sul
lotto e aspettative della committenza.
E’ proprio stato l’aspetto temporale a risultare
completamente modificato rispetto ad un
consueto processo di progettazione. La realtà
dello slum imprime al progetto una necessaria
rapidità di riflessione ed allo stesso tempo stimola
una necessità di riadattarsi continuamente ai
cambiamenti in situ.
Allo stesso tempo il rapporto tra committenza
e progettista è inconsueto: come accennato in
precedenza, in una realtà informale, nessuno
degli edifici è stato progettato da architetti e,
come sottolinea Yehuda Safran, è necessario
anche abituare il committente ad essere cliente.
Il ruolo dell’architetto è comunque quello
di attenersi alle richieste della committenza,
in modo fortemente vincolante rispetto a
quanto questo possa avvenire in un processo
progettuale consueto. La capacità di auto-
organizzarsi dimostrata dal cliente rafforza infatti
la sua “indipendenza dal ruolo dell’architetto”,
obbligando quest’ultimo ad adattarsi alle
lotto di progetto
c_15 dicembre 2009
Mahatma Ghandi Road
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lotto di progetto lotto di progetto
a_1 ottobre 2009
Mahatma Ghandi RoadKumbharwada Kumbharwada Kumbharwada
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90 feetroad
90 feetroad
lotto di progetto
b_10 ottobre 2009
Mahatma Ghandi Road
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1. Il cambiamento delle condizioni del lotto durante il processo progettuale
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richieste funzionali del proprio committente.
Lo sviluppo del progetto sarà dunque vincolato ai
cambiamenti futuri della volontà di Paul Raphael
ed allo stesso tempo alle possibilità economiche
che si presenteranno nel corso dei prossimi mesi.
Alla luce di queste considerazioni non spaventa
comunque la riduzione della superficie ipotizzata
per il progetto, poichè pare più importante il
mantenimento di una prospettiva realistica
piuttosto che la ricerca di una soluzione formale
ottimale che risulterebbe un risultato puramente
accademico.
La necessità di un’attenzione all’aspetto
economico delle scelte costruttive
L’apporto di conoscenze per lo sviluppo di alcune
soluzioni costruttive, applicate ad una tecnologia
mai utilizzata all’interno dello slum, è senz’altro
quello che emerge più chiaramente dalla
presentazione di questo elaborato.
Il proporre un metodo costruttivo completamente
distinto, ma allo stesso tempo fortemente legato
al contesto (in termini economici e possibilità di
finanziamento), è una delle chiavi di lettura più
significative. La ricerca di soluzioni costruttive
“non banali” (nel nostro caso principalmente per
la copertura e per i sistemi parete) è stato una
parte importante del nostro operato.
In queste dinamiche il ruolo che ci siamo ritagliati è
stato quello di studiare soluzioni tecnologiche che
provassero a dare risposte ad alcuni dei problemi
di comfort interno dell’edificio, immaginando
che queste potessero essere applicate, anche in
modo differente, per gli altri edifici di Dharavi.
La scelta di proporre pareti mobili, un patio
interno ed una copertura ventilata grazie ad
un’intercapedine sono nate proprio in questo
senso. La necessità di proporre soluzioni
realisticamente attuabili con il budget a nostra
disposizione ci ha allontanati dalla ricerca di
soluzioni ad alto contenuto tecnologico e ci
ha suggerito di lavorare sulle scelte costruttive
ottobre novembre dicembre gennaiode�nizione programma
costruzionefasi progettuali
svolgimento attivitàinterventi esterni
Maharastra election day
Freeman Murray
Paul back in Dharavi
police registration
police registration
drawing session
tea shop
fase II+costruzione
fase I
elezioni Maharastra
incontroFreeman
Murray
Paul in Dharavi
permesso di costruzione a posteriori
sessione di disegno
aperturatea shop
costruzione costruzione costruzione
permesso di costruzione a
posteriori
programma programma programma
programma programma programma
fase III
programma programma programma
evol
uzio
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roge
tto
tempo
2. L’evoluzione del processo progettuale
co
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lusi
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in modo più “concettuale”, ipotizzando che
queste potessero essere costruite con i mezzi e le
conoscenze reperibili a Dharavi.
La scelta di ipotizzare pareti mobili, che non
impediscono il surriscaldamento interno, è
diametralmente opposta a quello che avremmo
potuto proporre in un contesto più vicino a
quello italiano. Il non lavorare su pareti ad alta
inerzia termica, ma sulla possibilità di avere una
ventilazione costante dell’edificio che portasse
un maggiore comfort interno, è chiaramente una
scelta dettata dalle limitate possibilità economiche
e tecnologiche.
In un contesto come Dharavi era inoltre
improponibile disegnare dettagli di ognuno dei
componenti che avrebbero costituito la struttura
modulare del Social Club.
In questo senso, ci è sembrato molto più utile
proporre soluzioni più concettuali mosse in
direzione di principi generali di progettazione. Le
rudimentali proposte per il tetto, che ipotizzano
una raccolta dell’acqua piovana o la possibilità di
costruire una copertura verde, vanno in questa
direzione.
La scelta di concentrarsi sulle possibili soluzioni
tecnologiche, senza però approfondirle sino al
dettaglio costruttivo è una chiara risposta alle
richieste del contesto.
Non avrebbe probabilmente avuto senso specificare
ognuno dei pezzi che compongono il sistema
parete poiché, in un contesto come Dharavi, non
sarebbe realistico immaginare che queste vengano
costruite nel modo in cui sono state disegnate. La
logica del riciclo, della rapidità e della reperibilità
sarebbero infatti state più forti di qualsiasi nostro
disegno. E’ stato quindi l’input a lavorare su alcune
soluzioni facilmente realizzabili, che ci è sembrato
potesse essere un apporto utile e realistico per lo
sviluppo progettuale.
La necessità della partecipazione all’interno del
processo di progettazione informale
Il terzo aspetto su cui è sembrato possa esprimersi
un architetto a Dharavi è quello del coinvolgimento
della popolazione all’interno di processi
partecipativi.
Molte volte utilizzata come pura retorica, almeno
nel mondo occidentale, la partecipazione diviene
mezzo fondamentale a Dharavi per produrre
progetti realistici e rispettosi delle istanze locali.
Condurre un progetto partecipato è stato forse
l’unico modo per permettere a questo progetto di
fare il suo corso.
L’ “immersione” diviene quindi un’arma importante
ed una risorsa fondamentale per qualsiasi approccio
progettuale. Trovarsi a progettare in un contesto in
cui la maggior parte delle persone ha costruito la
propria casa senza l’aiuto di nessun architetto fa
riflettere su quanto sia possibile imparare per un
architetto dagli abitanti locali.
La partecipazione emerge così nella scelta del
programma dell’edificio, ma anche nella ricerca
delle soluzioni costruttive stesse.
L’attenzione al singolo tassello in risposta ai
masterplan su una tabula rasa
L’ultimo aspetto che è possibile sottilineare
all’interno del nostro lavoro va oltre al processo
progettuale in sè.
Il lavorare su un progetto così piccolo all’interno
di Dharavi significa credere (ed allo stesso tempo
incentivare) in una forma di sviluppo e di incremento
che nasce dalla popolazione. Significa, in un certo
senso, rispettare un meccanismo sviluppatosi
nel corso di molti decenni e che oggi permette di
vivere a milioni di persone a Mumbai ed a miliardi
di persone in molti dei paesi in via di sviluppo.
L’attenzione al singolo tassello sposta
completamente il tema della discussione: non
più la necessità di un masterplan per risanare
un’area fortemente degradata, ma la proposta di
incrementare e migliorare una situazione esistente
che, con tutti i limiti elencati, sembra poter
funzionare.
Con la speranza che il governo centrale del
Maharashtra e la municipalità di Mumbai inizino a
co
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lusio
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fornire finalmente le infrastrutture adatte a questa
parte di città, lo sviluppo di Dharavi lungo le linee
tracciate sino ad oggi non appare infatti così
improbabile.
Il tessuto urbano che si è venuto a creare a Dharavi
offre qualità difficilmente riscontrabili all’interno
della città formale: la vicinanza dei legami familiari,
la creazione di nagars con un forte senso di
comunità, la possibilità di trovare lavoro all’interno
dei sistemi di produzioni locali, l’apparente facilità
con cui convivono persone di religioni differenti,
sono tutti aspetti che non vanno dimenticati in
un’analisi attenta della situazione dello slum.
L’approccio a tabula rasa, che forse consegnerebbe
a Mumbai un nuovo quartiere residenziale per la
classe media, cancellerebbe prima di tutto questi
meccanismi oltre che un tessuto storico non così
distante dai centri storici medioevali delle città
europee.
Inoltre non risolverebbe il problema della diffusione
degli slums a Mumbai. Infatti, la percentuale di
persone attualmente residenti a Dharavi che
potrebbero permettersi di vivere in futuro in uno
degli edifici proposti dai piani di risanamento
sarebbe molto bassa. Gli esclusi probabilmente si
muoverebbero in un’altro terreno vacante della
città tornando a creare nuove sacche di povertà e
nuovi slums.
Il fatto che gli architetti provino ad intervenire
dunque sul tessuto esistente anche con piccoli
interventi inseriti nel contesto, e non attraverso
masterplan azzardati, tiene viva l’attenzione sulla
ricerca di una forma urbana differente da quella
delle torri residenziali che hanno invaso Mumbai
negli ultimi anni.
Non si tratta di una contrapposizione tra high-rise e
low-rise, con un rifiuto a priori degli edifici alti, ma
della necessità di ipotizzare un futuro per quest’area
che possa comprendere anche i suoi residenti
attuali, tenendo conto delle loro aspettative e delle
loro possibilità/necessità economiche.
E’ forse questo l’insegnamento più importante che
un architetto possa ricevere lavorando a Dharavi e
allo stesso tempo l’apporto più grande per garantire
la sopravvivenza di questo meccanismo.
Il fatto che ognuna delle linee disegnate coinvolga e
si inserisca in una società già fortemente strutturata
e caratterizzata da un altissimo livello di complessità
non può essere ignorato o, peggio, disconociuto.
Lo sviluppo di un piccolo progetto su un lotto
di poche decine di metri quadrati all’interno di
New Transit Camp serve dunque anche questo: a
promuovere una strada differente rispetto a quella
ad oggi tracciata dal Dharavi Redevelopment Plan.
1 4 4
La suddivisione della bibliografia in macrotemi, riportati nell’ordine in cui compaiono nell’elaborato, è stata pensata per facilitare un’eventuale ricerca successiva su contenuti che risultano essere di base alla trattazione e per facilitare il lettore nell’eventuale approfondimento di alcuni di questi.
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1 4 7
ringraziamenti
Un grazie a Matias e Rahul, collaboratori appassionati che con la qualità del loro approccio mi hanno
aiutato a capire che cosa si nascondesse dietro la parola slum appiccicata a Dharavi.
Grazie a Bhau, per le chiacchierate sul futuro di Dharavi e per le continue critiche al nostro operato.
Grazie ad Alberto, per l’esperienza condivisa ed il lavoro svolto insieme.
Grazie a tutti gli amici e le persone che ho incontrato durante questi anni di università e che, insieme agli
amici “storici”, hanno reso questo periodo davvero indimenticabile.
Un grazie particolare alla mia famiglia, per avermi permesso di concludere gli studi in tranquillità e per
l’incitamento che non mi ha mai fatto mancare durante questi anni.
Appendici
Testi:
I. The tool houseArticolo pubblicato in MR ‘08 a cura di Matias Echanove e Rahul Srivastava
II. The Tokyo Model of Urban Development. Lettera all’attenzione della SRA di Matias Echanove
III. Learning from DharaviPost pubblicato su airoots.net a cura di URBZ.
Biennale di Rotterdam:
I. Exhibition Design IV International Rotterdam Biennale_sezione Parallel CasesIl layout dell’installazione
II. Il materiale esposto alla IV International Architecture Biennale RotterdamCoexistance as survival. Enhancing informal synergies in the communities of Dharavi, Mumbai
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One of the most enduring artifacts of pre-industrial society in contemporary times is the tool-house;
the habitat of the artisan where work and residence co-exist amicably. Conceptually located between
Le Corbusier’s machine for living and Ivan Illich’s convivial tool, the tool-house is an apparatus fulfilling
economic and sheltering purposes.
In the past, production practices took place mostly in the artisanal homes of rural areas, while cities
were political and trading centers. Today, in a post-industrial hyper-urbanized era, versions of the
tool house can be found in an artists loft, a web-designers den, a hidden restaurant in an immigrant
enclave or in an up-market artisanal shopfront behind which an old family continues to perform a
traditional occupation.
Tool-houses can be found across cultures and socio-economic backgrounds. Middle-class homes in
housing colonies often double up as clothes stores over the weekend while their kitchens service
huge clienteles. Parisian hôtels particuliers are conceived to provide a range of professional services
for their owners and guests, acting as semi-private salons and gentleman’s clubs.
Yet, as a structure epitomizing such dual use, the tool-house, does not have the legitimacy it deserves.
In fact in many places it is considered outdated, or worse, an invalid urban form, thanks to strict
zoning laws and rigid conceptions of urban order. With the universalizing principles of the industrial
revolution becoming mainstream, homes and workspaces have been decisively cut off from each
other.
The modern city emerged through an atomic division of functions which had for long cohabitated in
space and time. As working and living became spatially segregated, they also started being regimented
along temporal lines. When the self-employed artisan became a factory worker he splintered his
workshop-home and his days. He would have to commute to a separate place and compartmentalize
his time in strict schedules demarcating work and leisure time. Ever since, the practice of separating
The tool houseArticolo pubblicato in MR ‘08 a cura di Matias Echanove e Rahul Srivastava I.
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residences from places of manufacture has shaped much of the way we think of cities, work, and
time. In particular, the organizing of space according to these principles became the main purpose of
urban planning.
In practice however, several parts of the urban world are littered by sprawling collections of built-
forms that do not reflect this neat divide. In fact informal settlements around the world are the
best expressions of the enduring presence of the tool-house. The reason for its resilience is basic
economics. In a context where more than 40% of people are self-employed, and urban development
keeps pushing up the price of space, the home needs to double up as a productive site. In low income
neighbourhoods, it is not uncommon to find a small tool-house partially rented as storage space,
used as a shop in the front and as a workshop space in the back in addition to serving as a shelter
for an extended family. Interestingly, several economic commentaries these days talk of the return
of the home-based workspace (in the US this is supposed to be a good anti-dote to outsourcing)
and the re-emergence of the post-industrial artisan. The contemporary world is proving to be a live
exhibition space for different eras and epochs to be displayed, with regard to the world of industry
and commerce.
With a little bit of imagination, a walk through any Mumbai slum also becomes a trip through a
moment in the dawn of the industrial revolution. When the economic regime had still not drawn the
rules of how we should live, work and sleep. Several of Mumbai’s informal settlements are shaped
by the contours of the tool-house. You can see every wall, nook and corner becoming an extension
of the tools of the trade of its inhabitants, where the furnace and the cooking hearth exchange roles
and sleeping competes with warehouse space, with eventually a cluster of tool-houses making for a
thriving workshop-neighbourhood.
Unfortunately, in spite of the way things actually unfolded, perceptions about industrial society were
often limited. The movement from the home to the factory was mostly described as representing
progress for humanity, and measured in terms of output increase. The discourse looked at the village
as a counterpoint to the city, and as being culturally and economically backward. Not surprisingly,
over the last century, it is agriculture more than any other economic activity that has been scaled up
to fit the requirements of the industrial age.
Voices such as Gandhi’s were a few of the critical ones that questioned such narratives. His vision of
rural India was essentially an artisanal one – with the tool of the charkha becoming a potent symbol,
linked to narratives of economic self-sufficiency in a colonial age dominated by the frenzy of industrial
production. However, rather than isolating the space of the artisan, Gandhi’s vision encapsulated a
totalizing notion of rural self-sufficiency and located the village exclusively within this landscape.
A look at the living conditions of contemporary rural India reveals that Gandhi’s vision is desperately
lost. Yet, if we turn our eye to our much decried dirty and messy cities, we actually see post-industrial
versions of the village form flourishing in all kinds of ways. It would not be too much of a stretch to say
that if the Gandhian village was the soul of his India, the tool-house was actually its heart. If we detach
the village from its exclusive rural setting and accept it as a valid urban form, we soon realize that one
of its most persistence features, the artisanal home, deserves much greater attention.
Through the twentieth century, the modernist urban imagination was firmly tied to the industrial
age, even though in actual experience, processes of living, production of goods and the evolution of
structures were discontinuous and fragmentary. Formal and informal economic practices have co-
existed in several ways. Manual energy has supported mechanical energy and vice versa. Yet, the
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idealized vision of this age was always one that saw human scale economic operations as redundant,
or on the verge of disappearance. The reality is absolutely to the contrary. A lot more production
takes place in informal settlements with a combination of manual and mechanical energy than we
would like to acknowledge. Cheap human labour is what energizes and subsidizes such a gigantic
economy as India. A substantial amount of that energy is located in informal settlements, slums and
urban villages, and a million tool-houses where massive and decentralized production processes take
place.
The reason why urban landscapes formed by tool-houses are so crucial for urbanists is that it makes
explicit the relationship between production, livelihood and spaces that expresses the lives of more
than half of humanity. Not to be able to see this dimension in slums reveals a terrible lack of imagination
and aborts the complex and organic evolution of urban forms.
In reality – tool-house landscapes indicate a need for a sharp restructuring of the way in which labour,
work, and capital are understood in the post-industrial city. They can help us to concretely visualize
a future in which the dated dichotomy of the formal and the informal organization of production
and services is transcended. Where the new spatial-temporal order that internet-based and mobile
communication technologies have introduced in our lives are acknowledged, and the complex
dialectic between the artisanal/organic, decentralized and industrial mass-based product in the
contemporary economy is recognized.
Cities of the future can keep being formed by the empty development and one-dimensional growth
of real-estate development or they can rearrange themselves in less predicable ways following our
aspirations and localized needs. Where urban development is left to local actors we observe the (re)
emergence of live-work spaces that are in fact less dehumanizing than the housing block and its twin
office tower that are being systematically promoted by urban developers all across the ideological
spectrum – from real estate investors to NGOs, passing by the government, as the only acceptable
way towards modernity.
It might be time to acknowledge that for all its lack of infrastructure and overcrowding, several
informal settlements reveal a trend that can be well integrated into a post-industrial landscape. They
will then emerge not as much slums in dire need for redevelopment but as a highly successful model
of bottom-up development, with the tool house being at the core of its system.
The Dharavi Redevelopment Project’s latest design produced by Mukesh Mehta – that accommodates
the recommendations of a panel of experts – pretends to respect the living and working conditions as
epitomized in the tool-house dominated landscape of the neighbourhood. Actually it only reinforces
a segregation by superimposing economic and residential functions onto each other, in distinct
layers.
The fact of the matter is that the logic of the tool-house is intimately linked to the larger economic
context of informality, decentralized production and the subsidizing of costs by using space in
complex and layered ways. It is organically connected to the unit of the family, the community and
the persistence of the village form in the modern metropolis. By ignoring these complexities, the
attempts at making over Mumbai’s informal settlements will simply not hold water.
1 5 5
The Tokyo model of urban developmentLettera all’attenzione della SRA a cura di Matias Echanove II.
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1 6 1
1. Can’t Picture it: Demographic surveys and enumerations lie. They cannot possibly tell the truth
about the number of people coming, going, living, working, renting, subletting and encroaching.
Dharavi can only be effectively grasped on the ground and in real-time.
2. Many Dharavis: Dharavi is a collection neighbourhoods, each with their own specialities, languag-
es, activities, festivals, rituals and aspirations. Each follow its own organizational logic.
3. Dharavi is not Poor: Dharavi is an Indian success story. It is full of opportunities. It doesn’t matter
how small one starts, as long as one is allowed to fulfill one’s potential. That’s what Dharavi has meant
for hundreds of thousands of people.
4. Artisanal City: Dharavi strives on artisanal energy. A house is an object like any other. To build one
you need knowhow and materials. Dharavi is not an architect’s city by any means and yet architects
are fascinated by it for this very energy it exudes.
5. Do it Yourself or Die: Landing up in Dharavi means having a foot in the door to India’s wealthiest
city. Migrants either exploit it to the maximum (sometimes all the way to the top) or get their foot cut
off.
6. A Cluster of Tool-houses: In Dharavi virtually every home doubles up as a productive space. A
tool-house emerges when every wall, nook and corner becomes an extension of the tools of the trade
of its inhabitant. When the furnace and the cooking hearth exchange roles and when sleeping com-
petes with warehouse space.
III.Learning from DharaviPost pubblicato su airoots.net a cura di URBZ
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7. Reading Dharavi’s Palm: Dharavi’s history can be read through its streets, they are like the lines of
the hand. It reveals a history of incremental development configured through the biography of each
migrant, family, or community that ever moved in.
8. Dharavi is a Mangrove Forest: Architecture, social networks, and economic activity are irremedi-
ably enmeshed, like the roots and branches of a mangrove. Destroy one and you destroy the others.
Let one grow, and you develop everything.
9. Forest Economy: Like all jungles, Dharavi is full of resources for those who know how to hunt and
gather. Dharavi is a knowledge and skill based economy.
10. Density is Wealth: If there are enough people passing by, (and there always are) – you’ll always be able to sell something to someone. Density means opportunities and Dharavi is Super Dense.
11. Space = K: Space is capital, human energy is capital, relatives, neighbors and community mem-bers are capital. Capitalize and maximize whatever you’ve got – that is Dharavi’s byline.
12. Las Dharavegas: Dharavi follows the same
logic of hyper exploitation of space, people and
opportunities as Las Vegas. Aesthetically, how-
ever, it is vastly superior to Las Vegas. Humanly
even more so.
13. My Sweatshop: Dharavi is the libertarian
version of totalitarian Chinese sweatshop, pro-
ducing just as much with a decentralized web of
producers. Just as exploitative but allows more
individual mobility and initiative.
14. Live/Work or Leave Work: Work at home if
you can afford it. If you can’t then live at work. Ei-
ther way no space can have just one function, un-
less it is sacred space. Gods and spirits need some
privacy.
15. Intimate with Neighbours: Intimacy means
everyone knows about everyone’s life. You are in-
timate with your neighbors for better or worse.
16. Hell is the Other People: Hell is other people and Dharavi is loaded with other people from all
over India. The relations are conflictual but without violence (usually). At the end the bazaar keeps
the goodwill flowing.
17. Fractal Social Fractures: In Dharavi you find refuge in your community and family only to find out
that they are a fractal image of whatever lays outside them. Social networks are not smooth. Dealing
with them only means more creative and pragmatic solutions rather than the bourgeois sense of cor-
rected consensus.
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18. Mess is more: Neighbourhoods that looks messy and backward at first sight are often instead
complex, dynamic and resolutely contemporary. The karmic potential of Dharavi is realized in Tokyo’s
periphery. Dharavi shares its history of incremental development, its low-rise high-density typology
and labyrinthine street patterns with many of Tokyo’s neighbourhoods.
19. With Love From Dharavi: Some say it has the charm of European old towns. Yes, the very same
“romantic” old towns that we all love. Did they look as pretty back then when they had open sewage
systems?
20. The Village Inside: Dharavi is made of the same urban fabric that can be found in many artisan
villages and smalls town in India, just much more of it. Scratch the surface and you’ll see the village
emerge, almost intact.
21. Invisible Ties: Dharavi’s biggest strength in tangible terms is community/caste ties. Shrines and
sacred spaces abound in Dharavi indicating this connection. They evoke old cultural trajectories and
support systems.
22. Dharavi Development Project: Dharavi is already developed, it doesn’t need to be redeveloped.
It simply needs the same add-on civic infrastructure that is available in any other part of the city. The
Dharavi “Redevelopment” Project means stopping its on-going development and kicking hundreds
of thousands of people out in the streets of Mumbai and throwing them into a situation of penury.
They will move to another slum or start a fresh one, making Mumbai worse off.
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IV International Rotterdam Biennale_sezione Parallel CasesIl layout dell’installazione IV.
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New Transit Camp Social Club
Po l i te c n i co d i To r i n ote s i d i l a u re a m a gi s t ra l e a rc h i te t t u ra ( co s t r u z i o n e )
s t u d e n te :Fra n ce s co S t ro cc h i o
re l ato re : M i c h e l e B o n i n o
co r re l ato r i :M at i a s E c h a n oveS u b h a s h M u k e r j e eR a h u l S r i va s t ava
Un processo di progettazione informale a Dharavi, Mumbai
Why is it useful that Western architects work on places like Dharavi? Architecture is not unlike the idea of a just world.Just as a just world can be divided but has to be observed universally, so is architecture. If we can not provide for the super poor we will not be able to provide for the less poor.Most people live in the ignorance of the interdependence of one group on another. The relative wealth of Milano and Boston is closely related to the relative poverty in Mumbai and Lagos. If we could help set up a model of conduct in Mumbai, much else every where would effected.There is a world wide reciprocity which if we will ignore, it will be to our peril.
Yehuda Safran
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L’idea di progettare dentro Dharavi è forse una delle scommesse più stimolanti che potessero esserci proposte. Nel momento in cui siamo partiti dall’Italia l’idea di dover sviluppare un masterplan appariva come una sfida ardua, ma allo stesso tempo come il rischio di una proposta effimera che sarebbe sfociata in un progetto accademico distante delle dinamiche informali.La proposta avanzata da Matias Echanove e Rahul Srivastava, membri fondanti di URBZ, è stata invece di lavorare su un progetto reale, con un committente ed un budget reali su un piccolo lotto all’interno di New Transit Camp.Il porsi davanti ad un progetto di piccola scala, drasticamente costretto e limitato dalle condizioni al contorno, ci ha catapultati in un’ ottica di lavoro completamente differente. Come spesso accade per molti progetti di architettura, la difficoltà di essere posti di fronte a problemi che necessitano di output chiari e rapidi è divenuta per noi un vantaggio che ci ha tolti dalla situazione di empasse, non così voluta, di proporre un nuovo sviluppo per Dharavi.Ipotizzare soluzioni semplici e low cost, tenendo conto dei ragionamenti ereditati dall’installazione alla Biennale di Rotterdam, è divenuto un problema reale al quale era necessario dare risposte rapidamente.Progettare dentro Dharavi si è così rivelata un’esperienza completamente differente rispetto al farlo in qualsiasi altra parte del mondo (almeno
se per mondo si intende quello costruito formalmente). L’essere all’interno di una parte di città in cui praticamente nessuno degli edifici che ti circondano è stato progettato su carta pone interrogativi interessanti su quale debba essere il ruolo dell’architetto.La narrazione del processo è in realtà la parte ai nostri occhi più interessante di questo lavoro, più interessante anche dell’output progettuale in sè. Questo è infatti criticabile a livello formale e potrebbe forse essere stato risolto in maniera più brillante in alcune scelte tecnologiche, ma è in realtà solo una delle infinite soluzioni che l’architettura può proporre, non necessariamente giuste o sbagliate a priori, ma figlie dei processi e dell’ambiente in cui queste nascono.Restano quindi almeno due eredità importanti come risultato di questo lavoro accademico: da una parte la documentazione di un processo informale che è diametralmente opposto a quello per cui siamo stati preparati in questi anni di studio, che non bada ai regolamenti edilizi e che è profondamente radicato alle necessità della committenza in senso allargato. Inoltre resta l’idea di un differente approccio dell’architetto di fronte al tema della riqualificazione degli slum.
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