l' arte di combattere senza combattere

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 l’arte di combattere senza combattimento di Geoff Thompson disponibi le su http://www.tatamido.it  pag. 1 di 39 traduzione di Anne I-Shin L’ARTE DI COMBATTERE SENZA COMBATTIMENTO di Geoff Thompson

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5/12/2018 L' arte di combattere senza combattere - slidepdf.com

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

disponibile su http://www.tatamido.it pag. 1 di 39 traduzione di Anne I-Shin

L’ARTE DI COMBATTERE

SENZA COMBATTIMENTO 

di Geoff Thompson

5/12/2018 L' arte di combattere senza combattere - slidepdf.com

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

disponibile su http://www.tatamido.it pag. 2 di 39 traduzione di Anne I-Shin

Premessa

Questa traduzione in lingua italiana del libro “The art of fighting without fighting” (l’arte di

combattere senza combattimento) viene distribuita gratuitamente (nel formato elettronico) suautorizzazione e per gentile concessione dell’autore Geoff Thompson, il quale ne mantiene tutti idiritti in base alle leggi vigenti in materia di copyright.

All’estero ed in lingua inglese, continua ad essere venduto regolarmente.

Il libro è stato tradotto da Anne I-Shin ed è reso disponibile esclusivamente tramite il sito internet

http://www.tatamido.it , curato dalla stessa e dal sottoscritto.Per prelevare il libro e’ sufficiente compilare un brevissimo form.

Non e’ obbligatorio (si può prelevare lo stesso) ma consideratelo un modo per ringraziare l’autore ela traduttrice.

Poiché sia noi che l’autore non abbiamo nulla da guadagnare nella diffusione del libro, è davveroimportante ricevere un riscontro dell’interesse suscitato dall’iniziativa, sia per soddisfazionepersonale (I-Shin ha dedicato moltissimo tempo e fatica alla traduzione) che per poterne dare contoa Geoff.

Vi saremmo quindi grati se evitaste di distribuirlo per vie alternative al download dal nostro sito !Risultano invece graditi i link provenienti da altri siti web.

Qualora, nonostante ciò, entraste in possesso del libro per via diversa (posta elettronica, supportocartaceo, altri download non ufficiali), Vi saremo davvero riconoscenti se perderete un minuto delvostro tempo per visitare la pagina ufficiale e compilare il breve form di riscontro.

 Roberto Gen Jo

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

disponibile su http://www.tatamido.it pag. 3 di 39 traduzione di Anne I-Shin

L’ARTE DI COMBATTERE SENZA

COMBATTIMENTO 

di Geoff Thompson

Introduzione

C’era una volta un famoso Aikidoka inGiappone che passava gran parte della suavita a studiare la leggendaria arte di Ueshiba.Ma, pur dedicando la sua esistenza a tale arte,non aveva mai avuto la possibilità di metterlain pratica in una situazione reale, in unconfronto con un aggressore deciso a fargli

del male. L’Aikidoka aveva i suoi principi:egli sapeva che avrebbe creato del karmanegativo se fosse andato deliberatamente acercare una rissa al solo scopo di mettere allaprova le tecniche di Aikido. Pertanto dovevaattendere che l’opportunità si presentasse.Ingenuo come era, egli non desiderava altroche di essere aggredito. Così avrebbe potutodimostrare che la sua arte era potente non soloall’interno ma anche all’esterno dell’ambientesicuro del Dojo.

Più si allenava e più cresceva il suo bisognodi convalidare le conoscenze acquisite. Ungiorno, mentre tornava a casa in treno, sipresentò finalmente una situazione potenziale:un uomo ubriaco ed estremamente aggressivosalì sul treno e prese subito ad insultare glialtri passeggeri.

“Ci siamo”, si disse l’Aikidoka, “questo ilmomento di dimostrare l’efficacia della mia

arte”.

Egli rimase seduto in attesa che l’ubriaco siavvicinasse. L’incontro pareva inevitabileperché l’uomo, avanzando lungo il corridoio,stava gridando insulti in faccia ad ognipasseggero. Man mano che si avvicinavaurlava sempre più forte e diventava semprepiù offensivo. Nessuno dei passeggeri osavaneppure alzare la testa per il timore di esserepicchiato. Eppure il nostro bravo Aikidoka

non vedeva l’ora che toccasse a lui, di essereinsultato. Avrebbe fatto vedere a se stesso, e atutti, la validità dell’Aikido.L’ubriaco gli era quasi addosso: egli si

preparò ad un combattimento all’ultimosangue.

Ma proprio mentre l’Aikidoka si accingeva abalzare in piedi, il passeggero nel sediledavanti al suo si alzò improvvisamente esalutò l’ubriaco in modo amichevole. “Ehiamico, cosa c’è che non va? Hai bevuto tuttoil giorno al bar, vero? Sembri un uomo condei problemi – dai, siediti vicino a me eracconta. Qui nessuno vuole prendersi a

pugni”. L’Aikidoka guardava stupefattomentre il passeggero, con immenso tatto enon poca furbizia, convinceva l’ubriaco asedersi e a calmarsi. Entro pochi attimi questistava parlando di tutti i suoi guai, si sgravavail cuore, con le lacrime che gli scendevanolungo tutto il viso.

L’Aikidoka pensò “Questo è Aikido”. Capì inquel preciso istante che l’uomo con il braccioattorno alle spalle di quel disperato stavadimostrando l’Arte Marziale nella sua formapiù alta.

Perché ho scritto questo libro? Perché maiscrivere sull’arte di combattere senzacombattimento se il mio unico diritto allanotorietà deriva dal fatto che ho combattuto inoltre trecento risse per strada, nelle quali hoimpiegato la risposta fisica per neutralizzare il

nemico? Perché promuovere l’idea di evitareil combattimento visto che un confronto puòessere facilmente risolto con dei mezzi fisici eper di più rischierei di intaccare la miareputazione di realista, di cross-trainermarziale, di picchiatore?La ragione è semplice: la violenza non è lasoluzione.Essa è in grado di risolvere qualche problemaa breve termine, ma a lungo andare ne creapurtroppo molti altri. Lo so per esperienza

diretta.

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Ci sono voluti nove anni di violenza costante,e molti altri di ricerca interiore, perchécomprendessi questa verità. Dopo nove anni alavorare come buttafuori sulla porta di un

nightclub, ho cambiato opinione circa laviolenza. Durante la mia fase più brutale hoconvinto me stesso, i miei allievi e chiunquealtro potevo, che la violenza fosse giustificata.Ero persino pronto ad usare la violenzaverbale per sostenere la mia opinione. Mi eroperso fino a tal punto. Tuttavia non me nevergogno; la mia visione della vita eradistorta, sì, ma sincera. Non ero cattivo,piuttosto le mie convinzioni erano governateda conoscenze limitate e ciò faceva di me un

tipo alquanto primitivo.

A pari passo con l’accrescimento delle mieconoscenze, sono aumentate anche la miacomprensione e fiducia. Ciò mi ha permessodi sviluppare una diversa visione delle cose,una visione che continuerà ad evolvere fino aquando continuerò a crescere. Soltanto oravedo il mio posto nell’immenso schema dellecose. Vedo la futilità della violenza e il dolorenascosto dentro le persone violente. Vedo chele risse per strada non sono altro che guerre alivello di microcosmo e che le guerre, pergrandi o piccole che siano, distruggono ilnostro mondo.

Non pretendo di conoscere il segreto perscongiurare le guerre, ma so che malmenareun uomo non è la risposta, né nel breve né nellungo termine. Non sarà la violenza ad essere

utile alla sopravivenza della nostra speciebensì l’abilità di coesistere in pace. Ora il mioimpegno è di sviluppare delle soluzioni chepossano evitare la rissa sul nascere, o per lomeno tenere a bada l’antagonista fin quandonon si arriva ad una soluzione migliore delconflitto.

Ma, mi chiederete, che fare in presenza dicoloro che non ci permettono di evitarli, difuggire, di tenerli a bada, coloro che non

soltanto ci trascinano nell’arena dellaviolenza, ma che non demordono malgradotutti i nostri sforzi? Beh, qui il mio teoremadiventa un po’ contraddittorio: se ci troviamocostretti a combattere e non diamo unarisposta fisica, la nostra specie sarà belle chefinita.

Come molti, ho una famiglia da proteggere eche proteggerò con ogni mezzo, leale oscorretto che sia. Ma poiché sto tentando didiventare una persona migliore, di eliminareogni traccia di violenza dalla mia vita, mitrovo alle prese con un dilemma: dovròimpiegare la violenza qualche volta quandociò sarà inevitabile, ma essa rimane per mecomunque e assolutamente negativa. Ho postoquesto problema a Benny “The Jet” Urquidiz,con il quale stavo insegnando in America nel1997, ed egli rispose che a suo avviso laviolenza è sempre sbagliata, ma se qualcuno

non ti lascia altra scelta, allora si tratta del suodi karma ed è così che le cose dovevanoandare. Disse che quel qualcuno gli è statomandato perché bisognoso di una lezione, eche gliela avrebbe fatta imparare il piùgentilmente possibile.

Qualcuno, per riuscire a capire, ha bisognoche gli sferri un colpo, ad altri basta unasemplice segnalazione. Il più sta nell’avere lasaggezza di distinguere quando sferrare e

quando segnalare. Per certe persone la

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violenza è una lingua, un vero e propriomezzo di comunicazione, un modo - perquanto rozzo - per interloquire. Se non parlinella loro lingua non ti capiranno. Ed è qui

che nasce il dilemma.

Abbiamo dunque una contraddizione: a volte,quando è inevitabile, dobbiamo ricorrere allaviolenza nonostante essa sia assolutamentesbagliata. Mi rendo conto che i non-violentisaranno turbati, anzi, probabilmente stannogià scrivendo indignati alla nostra pagina per ilettori. Capisco ciò che provano perché nutrolo stesso sentimento nei confronti di questodilemma. Ma temo che loro non saranno mai

convinti dalle semplici parole e che la loroesperienza di vita non sia abbastanza ampiaper permettergli un’altra prospettiva. La loroverità, quella di un mondo totalmente privo diviolenza, è condizionata dalla loro prospettivalimitata. Esattamente come lo era la mia,sebbene pro-violenza, quando lavoravo comebuttafuori in un nightclub. Dovevo primaconoscere la speranza della non-violenza perpoterne apprezzare il potenziale; i sostenitoridella non-violenza forse dovranno trovarsicon una bottiglia rotta puntata alla gola primadi poter comprendere la necessità dellaviolenza come antidoto laddove il livelloevolutivo della specie umana sia molto basso.

Ho un background variegato per quantoriguarda la violenza. L’ho sperimentata, primadi diventare un buttafuori, come ungiovanotto impaurito che non poteva farealtro se non di soffrire in silenzio. L’ho poi

sperimentata nei panni di un uomo che, conassoluta fiducia in se stesso, potevacontrastarla con violenza ancora maggiore.Ora l’affronto come un uomo esperto nell’usodella violenza ma che sceglie di nonapplicarla perché la considera sbagliata. Lamaggior parte delle persone hanno formato leloro opinioni dopo aver vissuto una sola diqueste prospettive.

Quale buttafuori in un nightclub per ben nove

anni, ho visto scene di violenza rivoltanti e

comportamenti che mi hanno inorridito fino almidollo. Ma ciò che mi nauseava ancor piùdel sangue e dei denti spaccatidell’avversario, era l’assoluta ipocrisia di

questa nostra incostante società. L’averfronteggiato le avversità mi ha senz’altromostrato la bellezza dell’amicizia, ma ci sonovoluti tempo, molti furiosi combattimenti etanto auto-apprendimento prima di riuscire atrascinare me stesso - mio malgrado - verso lasoglia di un’esistenza migliore. Ma ancheallora, di fronte alla minaccia di un imminenteattacco, non riuscivo a trovare una soluzionemigliore di un contrattacco. Mi rendo controche lo Stato definirebbe criminali le mie

azioni, ma come riesce lo Stato arazionalizzare i propri atti di violenza?Definendoli legge? Io insegno numerosestrategie per eludere l’attacco: come evitarlo(“avoidance”), come sfuggirlo (“escaping ”),la dissuasione verbale (“verbal dissuasion”),l’offrire all’aggressore una scappatoia(“loopholing”) e l’atteggiarsi (“posturing”).Ma cosa succede quando il proprio bagagliodi strategie è stato esaurito e il tuo aggressoreè ancora lì, se ne frega della legge e vuoletrucidarti? Succede di dover scegliere tradiventare il martello oppure l’incudine, ferireo essere ferito, uccidere o essere ucciso. Ciòvi sembra brutale? Sono le parole di un bruttoceffo da locali notturni? Come affronterestetale situazione? Come farebbero i vostriamici, parenti o colleghi trovandosi nellamedesima circostanza? Cosa farebbero coloroche stanno al governo, che detengono ilpotere?

Senza addentrarsi nella politica o sviscerare lagiustizia e le malfatte nel mondo, vorreiproferire un esempio di come i potenti delmondo libero e gli intellettuali dell’umanitàgestiscono le situazioni potenzialmentepericolose che non si risolvono per contoproprio. Negli ultimi anni è sorta la minacciadi un leader nazionale senza scrupoli checostituiva una minaccia potenziale anche peril mondo intero. Il sistema immunitario del

mondo, ossia le Nazioni Unite, cercò di

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ovviare ad un conflitto violento attraverso lamediazione. Tentò la strada delcompromesso: fece un loophole offrendo aldittatore, cioè alla   fonte della minaccia, un

onorevole alternativa alla guerra; poi provò il posturing facendo sfrecciare i propri aerei daguerra nei cieli territoriali del dittatore.Quando fallì ogni tentativo di mediazione, checosa fece l’ONU? Che cosa consideravanogiustificabile, sebbene increscioso, e su checosa si sono messi d’accordo le menti miglioridel mondo libero una volta terminate le lorotecniche di avoidance? Ecco che cosa: laguerra! La più grande delle violenze possibili,quella che uccide e mutila migliaia di uomini,

donne e bambini. L’ONU fece chiaramentecapire al dittatore che benché fosse pronta aldialogo e preferiva evitare il conflitto armatodesiderando una soluzione alternativa allospargimento di sangue, non avrebbe esitato afargli la guerra, uccidendo lui e il suo popolo,qualora non si fosse messo in riga.Il sistema immunitario riconosce le cellulecancerogene: sa che una sola cellulaimpazzita, se non viene distrutta, è in grado diuccidere il corpo intero. Pertanto invia lecellule-T incaricate ad uccidere la cellula cherappresenta la minaccia. Increscioso, manecessario, se si vuole salvare il corpo e farsopravivere la specie.

Come me la sono cavata in mezzo allaviolenza? Beh, fisicamente il prezzo erasostenibile anche se un tantino ripugnante: unnaso rotto in tre punti (non tornerò mai più inquei bar!), cicatrici da pugnalate in testa,

nocche e dite rotte e un orecchio a pezzi.Alcuni dei miei amici, però, non furono cosìfortunati: tre di loro hanno perso la vita, duela loro salute mentale e un altro ancora lavista in un occhio grazie ad uno psicopaticocol vetro rotto in mano.

Psicologicamente però le mie ferite eranomeno leggere: la sovraesposizione allabrutalità umana mi lasciò temporaneamenteparanoico, cinico e spesso molto violento.

Alle dispute riuscivo a proferire soltanto delle

soluzioni fisiche. Risolvere una discussionecon i pugni fino a ridurre l’avversario in statodi incoscienza era, per me, una faccenda chemi lasciava del tutto indifferente. La mia

violenza non era mai gratuita (infatti odiavocombattere), si trattava di sopravivenza enient’altro. Nel mio mondo la violenza valevacome un chiave inglese ad un idraulico: unostrumento di lavoro, tutto lì. Agire con laviolenza era accettabile per coloro chepopolavano il mio stesso mondo, ma tra lagente più raffinata era considerato uncomportamento degno di un uomo dellecaverne. Pertanto quando dopo nove anni hofinalmente lasciato la porta del nightclub, ho

passato un periodo cercando di ricollocare mestesso in una società che è risultata poi moltocapricciosa, vale a dire, un buttafuori è unapersona gradita in caso di pericolo, ma è unapresenza imbarazzante quando non si ha piùbisogno di lui.

Sono stato frequentemente informato, dapersone che non sono mai state minacciate inuna stradina buia, che la violenza non è larisposta. Questa frase ormai è talmentevociferata da essere diventata quasi unaccessorio indispensabile delle personeammodo. Ma se “la violenza non è larisposta”, che fare allora quando hai davantiun individuo imbestialito che intende pulire ilpavimento con la tua faccia? Quanti di noiesiterebbe a usare anche il più vile dei mezziper proteggere una persona amata? Mi ricordola giovane donna che mi ha quasi spaccato untimpano sul marciapiede fuori del nightclub,

urlandomi in faccia che “la violenza non servea nulla!”. Lei stessa non si sarebbe maicreduta capace di assalire fisicamente unavversario, ma non ha esitato a farlo perproteggere il suo caro amato fidanzato che ioavevo appena steso con un cross destro diroutine (egli, dopo essere stato invitato alasciare il nightclub perché disturbava iclienti, se l’era presa male e aveva tentato dicolpire la mia faccia con il vetro di unabottiglia rotta e io l’avevo fermato con l’unico

sistema che conoscevo). “Ah no?”, le dissi,

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fingendomi sorpreso, “allora ripeti questabella nozione al tuo amico quando si sveglia”.Questa mia risposta l’ha adirata a tal puntoche si è tolto un’elegante scarpa con tacco

appuntito e, con il viso contorto dall’odio, miha assalito ferocemente con la sua armaimprovvisata per dimostrarmi - con laviolenza - che la violenza non serve a nulla.

Sembra che il nascondersi dietro ad unamaschera sia la norma nella nostra società. Lamia stessa esperienza come buttafuori ebbeinizio come conseguenza della mia innatapaura della violenza. Ho indossato il frac epreso servizio sulla porta del nightclub nella

speranza di allentare le mie paure mediante ilconfronto diretto con esse. Speravo dicoltivare una maggiore comprensione del miostesso sistema nervoso simpatico, che eracostantemente in stato di allerta, e di ottenereun certo grado di desensibilizzazione. È statoun percorso movimentatissimo, se nonaddirittura sanguinoso, durato nove anni edurante il quale ho realizzato che le verità siscoprono soltanto in cima a montagneimpervie o nel bel mezzo di oceanitempestosi. Nulla viene da sé: lacomprensione deve essere inseguita e la siottiene attraverso la percezione diretta insituazioni reali. Ogni singola azione che sicompie avrà una conseguenza; se raccogliamoun bastone da un lato, raccoglieremoinevitabilmente anche l’altro lato. Arrivarealla comprensione mi è costato tanto, davverotantissimo: la mia iniziale ingenuità è statapresa a martellate, il mio matrimonio è finito

in un amaro divorzio e la mia fiducianell’umanità si era ridotta quasi a zero.

Credo che, fino quando la specie cosiddettaumana non si sarà evoluta un po’ di più, cisarà sempre bisogno di una certa quantità diviolenza (sfortunatamente non ho alcundubbio su questo) per poter proteggere lamaggioranza buona dalla minoranza cattiva eper mettere gli indifferenti al riparo da séstessi. Con ciò non intendo affermare che la

violenza sia “giusta”, piuttosto che è un male

necessario: a volte bisogna perdere un dito persalvare la mano. E non significa che tuttidebbono partecipare o ritenere necessaria laviolenza su larga scala per proteggere il

pianeta da coloro che lo minacciano. Molticredono che per essere corretta, una soluzionedebba essere anche gradevole, unaconvinzione assolutamente errata. La violenzacome modo per prevenire una violenza ancoramaggiore non sarà mai nient’altro che unaorrenda espressione di dominazione fisica, mapotrebbe mantenere viva l’umanità fino altrapasso di quest’ultima ad un dominiospirituale.

Quindi non tutti dovranno sporcarsi le mani.Ci saranno sempre i pochi individuiselezionati, come le cellule-T che pattuglianoil corpo umano e uccidono le cellule viraliintruse, che faranno il lavoro sporco in nomee per conto di coloro che non possono o nonvogliono farlo. Il sistema immunitarioprotegge il corpo in questa maniera ed èscritto che persino il buon Dio, nella suainfinita saggezza, teneva con sé in Paradisodegli angeli combattenti che si opponevano alMalefico.

Ma ritornando alla mia domanda originale:perché ho scritto questo libro? Perché insegnodelle tecniche di avoidance? Perché laviolenza è sbagliata: il rimedio migliore è diattaccare in maniera pro-attiva perché ciò cipermette di evitare lo scontro fisico e distroncare la violenza sul nascere. Credo cheliberare il mondo dalla violenza faccia parte

del nostro processo di evoluzione ed è perquesto che cerco di esplorare tutti i modiesistenti per evitare la violenza prima chediventi manifesta. Se creiamo un nostroproprio bagaglio di alternative alla violenza(come appunto le tecniche di avoidance,escaping, loopholing e  posturing), tenderemosempre di più a ricorrere a tali alternativepiuttosto che al solito “ti spacco la faccia” ecosì potremmo strategicamente econsapevolmente evitare l’uso della forza

assicurandoci comunque la vittoria.

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l’arte di combattere senza combattimento

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Come tutti i miei studi, questo libro è statoassemblato da uno studio empirico sul campo.Tutto ciò che affermo qui è frutto delle miepersonali esperienze dirette. Tutte le tecniche

descritte sono state da me messe in pratica, econ successo, contro degli avversari temibili.

Quando ho iniziato il mio percorso nelle artimarziali la mia filosofia era di batterel’avversario con la forza fisica. Ora che hocapito che dallo scontro fisico nessuno escevincitore, la mia filosofia oggi è di batterel’avversario mediante l’inganno piuttosto checon la forza. Lo scopo di questo libro è diincoraggiare altri ad adottare la medesima

filosofia.

Capitolo Uno

AVOIDANCE (l’arte di evitare)

 Avoidance è la prima di una lunga lista dimanovre tattiche volte a “non esserci” mentrel’attacco si sta svolgendo. È una tattica moltosemplice, persino ovvia, ma ho scoperto chesono le cose semplici che vengono sempretrascurate. Questa tattica non va letta e poisepolta nella memoria, piuttosto bisognapraticarla ripetutamente fino a quando nondiventi un’abitudine naturale, di tutti i giorni(come mettere la cintura di sicurezza dopoessere saliti in macchina - all’inizio sembravauna forzatura ma presto è diventato nient’altro

che abitudine). Avoidance significa essere consapevole,capire l’avversario, capire se stesso e capirel’ambiente circostante.

Se pratichi un’arte marziale, l’avoidance significherà capire tale arte e capire se essareggerà in uno scontro reale.Soprattutto avoidance significa avere ilcontrollo su se stessi, sul proprio ego, sulproprio orgoglio, saper resistere ai

condizionamenti sociali, in modo da

neutralizzare leproprie emozioninegative primache esse ci

trascinano in unasituazione chealtrimentiavrebbe potutoessere evitata.

Qualcuno combatte perché ha paura di quelloche gli altri penseranno di lui se dovessescappare: teme di fare la figura del codardo.Ma paradossalmente bisogna averemoltissima fiducia in sé stessi per girare sui

tacchi e semplicemente andarsene. Sono gliindividui insicuri che rispondono con violenzaad ogni provocazione perché gli mancano lerisorse necessarie per andare controcorrenteed essere indifferenti a ciò che “gli altripensano”. È il caso (senza offesa) anche deipraticanti di arti marziali, in particolare quellidi grado elevato, i quali, dall’alto del loropiedistallo (dove il più delle volte loro stessisi sono messi) ritengono opportunopartecipare alle risse, che potrebbe e/odovrebbe essere evitate, al solo scopo di nonfare una brutta figura davanti ai propri allievi.La rissa che ne consegue è interamente colpaloro, poiché non hanno saputo insegnare altroche un sistema corporale volto esclusivamentealla risposta fisica e il knock-outdell’opponente.

Comprendo questo sindrome: ne ero afflittoanch’io quando ero un giovane istruttore. Ma

oggi, da uomo che c’è già passato, i mieiideali sono cambiati e, mentre la rispostafisica fa ancora parte del mio programma diallenamento, non è più al primo posto eneppure il knock-out mi è rimasto come scopoultimo.   L’obiettivo ultimo dei miei

insegnamenti è di sconfiggere l’opponente

senza ricorrere allo scontro fisico.Mi rendo conto che solo nella teoria taleobiettivo è semplice e facilmente praticabile.In realtà, nella società agonistica come quella

moderna, è tutt’altro che facile esercitare

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l’arte di combattere senza combattimento

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sufficiente auto-controllo e sviluppareabbastanza fiducia in se stessi per poterrealizzare questo obiettivo. E questa è laragione predominante perché rendo difficile il

mio sistema personale di combattimento: perpoter sviluppare appunto la fiducia in se stessie l’autocontrollo.È altresì la ragione per cui ho adottato ilmotto “Per ardua et astra” (dalle impreseardue alle stelle).

Jeff Cooper, il leggendario istruttoreamericano di close combat  e shooting

(conosciuto nell’ambiente come il più degnosuccessore di Wyatt Earp), rispondendo alla

domanda su come riconoscere se la propriaarte è efficace nella difesa per strada enell’autodifesa, ha dato una risposta moltosemplice: se sei preoccupato di poter far delmale o persino causare la morte per via dellapotenza della tua tecnica, allora puoi essernecerto che la tua arte è roba vera.Voi vi sentite così? O piuttosto sietepreoccupati/dubbiosi che la vostra arte saràdavvero funzionale nell’arena reale? Serispondete di sì alla seconda domanda, viconsiglio di iniettare maggiore pressione neivostri allenamenti e di mettere alla prova levostre tecniche nell’ambiente controllato deldojo/palestra, rendendo - sotto supervisione -l’allenamento il più possibile simile ad unoscontro vero. Consiglio anche di guardaredelle videocassette di combattimenti estremiper poter conoscere le tecniche innovative.

La frase chiave nella protezione personale,

comunque, è “rendere difficile il bersaglio”.Se noi siamo dei bersagli difficili, avremominori possibilità di essere scelti comevittime da un potenziale aggressore.Tempo fa ho intervistato un gruppo di “topid’appartamento” chiedendo loro quale fosse ilrequisito primario nello scegliere una casa daderubare. La loro risposta fu: “Cerchiamosempre una casa non protetta”. Dissero che lecase con l’allarme, o con il cartello del caneda guardia, oppure con i fermi su porte e

finestre, vengono subito scartate dallo

scassinatore medio. “Perché perdere tempocon un’abitazione difficile quando ce ne sonotante, facilissime, che supplicano di esserederubate? I loro proprietari ci fanno morir dal

ridere: si lamentano dei ladri ma lascianopraticamente degli inviti sulla porta di casa!Ci facilitano il lavoro”.Molti scassinatori derubano la stessaabitazione più volte proprio perché iproprietari non fanno niente per fermarli. Laprotezione personale funziona allo stessomodo. Se fate in modo che la vostra personasia percepita come un bersaglio difficile,seguendo ad esempio delle regole diconsapevolezza, anche voi verrete scartate

come vittima prescelta. In caso contrario, senon sviluppate nulla di dissuasivo nel vostroatteggiamento, perché mai non dovresteessere scelti proprio voi come vittima?Magari anche più volte.

Il nemico contemporaneo preferisce lavorareattraverso il dialogo e l’inganno. Per poterevitare il suo attacco è essenziale imparare aconoscere il nemico e i suoi rituali. Troppepersone oggi si allenano alla difesa personalesenza però conoscere minimamente il nemicocontro il quale si stanno allenando, e senzaavere alcuna cognizione dell’ambiente nelquale potrebbero essere chiamate acombattere. Poi vengono ferite quando lasituazione degenera, e non capiscono comeciò sia potuto succedere. Molti mi chiedono“Ma in che cosa ho sbagliato?”. Amo moltogli essere umani e non mi va di vederpicchiato un innocente quando, se fosse stato

meglio informato, avrebbe potuto evitare loscontro fisico. Quindi, ecco alcune cose cheho imparato a proposito del nemico moderno.È importante sottolineare che ilcombattimento per strada raramenteassomiglia ad un incontro ad armi pari (match

 fighting). La maggior parte dei combattimentimoderni durano tre secondi: si tratta diattacchi preceduti da un dialogo atto a creareuna apertura per un devastante scontro fisico,scontro che di solito mette la vittima fuori

gioco ancor prima che capisca cosa stia

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l’arte di combattere senza combattimento

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accadendo.

Gli incontri ad armi pari, per quantoonorevoli, sono scomparsi da parecchio

tempo. Se mai vi trovaste in uno scenario delgenere scommetterei le mie braghe che ilcombattimento finirà a terra (ground fighting)entro pochi attimi, e la maggior parte dellepersone è spaventosamente mal preparata allalotta a terra. Se invece il “combattimento datre secondi” dovesse prolungarsi qualcheattimo in più, finirà quasi certamente in unmatch fight  e poi a terra. Se siete bravi nellalotta a terra, grande!, potrete spaccargli ilculo. In caso contrario, vi attende come

minimo un combattimento estenuante, forseanche una brutale sconfitta. Se il nemico nonè solo e se state affrontando due o piùavversari è probabile che finirete in ospedaleo al campo santo. Due miei amici sono statiaccoltellati da donne mentre combattevano aterra con uomini.

Esiste poi l’attacco da imboscata, e nove voltesu dieci accade quando la vittima designatanon è accesa (vedere Codici Colori).L’attacco da imboscata incomincia con unattacco fisico, senza preavviso, e sel’aggressore è uno che vale qualcosa il primocolpo che sferrerà sarà anche l’ultimo delcombattimento e c’è da sperare solo che allavittima piaccia il cibo da ospedale perché èciò che mangerà per un bel po’. Se invece si èaccesi nei confronti del nemico edell’ambiente circostante, si riuscirà adevitare praticamente qualsiasi attacco e

comunque ad essere in grado di controllarequelli inevitabili.

Le quattro “D”, in inglese, Dialogue(dialogo), Distraction (distrazione), Deception(inganno), Disarming (atteggiamentodisarmante), sono usate spesso dagliaggressori - soprattutto rapinatori e stupratori.Il Dialogo è lo strumento di preparazione, latecnica di inizio. In questo caso l’attacco nonincomincia con un pugno, l’accoltellata ecc.,

piuttosto l’aggressore vi parla e ciò che dice è

sempre o di natura aggressiva oppure moltoingannevole. Se gli date corda invece dicapire che si tratta di una strategia diaggressione, non avrete molte speranze di

uscirne indenni. Quasi ogni aggressione cheho documentato ha avuto inizio non conl’imboscata, ma con il Dialogo. L’aggressoreusa il Dialogo per fare breccia nella vostranaturale armatura, rendendovi una vittima piùfacile. La regola d’oro è: occhioall’interlocutore non interpellato. Se qualcunosi avvicina è assolutamente imperativo chevoi innalziate subito una scudo protettivo travoi e lui (vedete il capitolo “La Palizzata”).Quasi tutti gli attacchi per strada avvengono

dopo un’iniziale inganno; per l’aggressore distrada la tecnica dell’inganno è persino unaforma d’arte.

Poi c’è la Distrazione, che avvienesolitamente attraverso il predetto Dialogo.L’aggressore vi fa una domanda e quando lavostra mente è impegnata a cercare larisposta, vi attacca. La Distrazione, in questocaso sotto forma di una domanda, ha l’effettodi disattivare una qualsiasi vostra istintivarisposta fisica. Un uomo con persino ventianni di allenamento nelle arti marziali puòessere spogliato di ogni suo meccanismodifensivo con la semplice tattica dellaDistrazione.Ho conosciuto parecchi uomini, veri mostrinell’arena controllata dei ring, essere battutida tipi con molto meno della loro forza fisica.Come è accaduto? Tratti in inganno si sonolasciati distrarre un’attimo prima dell’attacco

vero e proprio. Rob, un buttafuoriespertissimo e durissimo nei combattimentiper strada, diceva sempre ai potenzialiaggressori prima di attaccarli che non volevacombattere. Quando poi riprendevano i sensidopo che Rob aveva finito con loro,invariabilmente qualcuno borbottava “sonosicuro che ha detto di non voler combattere!”.Se la Distrazione è di tipo sottomesso, comeper esempio “non voglio dei guai,parliamone?”, ciò porterà l’altro dal Codice

Rosso (stato di massima allerta) al Codice

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

disponibile su http://www.tatamido.it pag. 11 di 39 traduzione di Anne I-Shin

Bianco (stato di inconsapevolezza).L’apparente sottomissione calerà l’altro inuno stato di sollievo. Impegnare la mentealtrui mediante un Dialogo atto a disarmare

e/o distrarre, creerà nell’altro un attimo dicecità. Ed è proprio in quel attimo checolpisce. La tecnica della Distrazione vienealtresì utilizzata dall’aggressore esperto persmantellare lo scudo protettivo (vedete ilcapitolo “La Palizzata”) che la vittima presceltaavrà creato. Ricordate che lo scopo finale diquesta preparazione ( priming) è la distruzionedell’avversario. Poche sono le vittime chehanno potuto reggere il primo colpo fisicoperché molti aggressori da strada hanno

sviluppato uno o due tecniche fisiche chehanno provato, testato e perfezionato sunumerose vittime in passato.

Persino i più allenati praticanti di arti marzialivengono ingannati dalle quattro “D”semplicemente perché esse non facevanoparte del loro curriculum di addestramento.Perciò non comprendono il nemico che hannodi fronte e quindi non sono in grado ditradurre i segnali dell’inganno messo in attoper creare il necessario attimo didisorientamento. La comprensione dellequattro “D” vi darà maggiore consapevolezzae vi manterrà accesi: tutto ciò fa parte dellatecnica di target hardening (diventare unbersaglio difficile).

Se e quando una situazione diventa davveropericolosa, anche in questo caso saràimperativo conoscere esattamente ciò che

succede nel vostro corpo negli attimiimmediatamente precedenti allo scontro o allafuga. Sperimenterete una notevole iniezionedi adrenalina, e altri ormoni da stress, nelvostro sistema. L’adrenalina può darevelocità, potenza e insensibilità al dolore, mapoiché la maggior parte delle personeraramente viene esposta allo sindromedell’adrenalina, il loro processo diragionamento li induce a scambiarla perpaura! Di conseguenza, molte persone

rimangono semplicemente pietrificate sotto

l’influenza dell’adrenalina. Da qui lanecessità di comprendere la differenza tra lesensazioni indotte dall’adrenalina e quelledella paura vera e propria. Pensate: se non

avete il controllo dentro voi stessi comepotrete prendere controllo di una personaesterna (un aggressore)?

Jeff Cooper ha inventato un sistema di codicea colori per aiutare a riconoscere, valutare equindi evitare una potenziale minaccia. Icodici rappresentano un parametro concepitoper valutare la minaccia sul nascere e poiriuscire, nella maggior parte dei casi, adevitarla. Cooper ha creato questi codici per

permettere alla gente una totaleconsapevolezza dell’ambiente circostante. Ciòche vorrei aggiungere, con il massimo delrispetto a questo grande uomo, è unaconsapevolezza del rituale dell’attacco, dellarealtà fisica, e delle reazioni corporee alloscontro - dopo tutto, la consapevolezza è unacosa complessa!

Codice Bianco: denota il nostro stato mentalequando siamo “spenti”, vale a dire, quando lanostra attenzione non è focalizzata su ciò chesuccede attorno a noi, quando siamoinconsapevoli dell’ambiente circostante, dellepersone che sono intorno, dei rituali d’attacco.Questo stato mentale è facilmentericonoscibile da parte degli aggressori ed èproprio quello che cercano quando stannoscegliendo la loro vittima. Non hanno dacercare molto a lungo, purtroppo, visto che lastragrande maggioranza della gente

oggigiorno è perennemente immersa in questostato mentale.

Codice Giallo: denota il nostro stato mentalequando siamo “accesi”, ossia, consci dellapresenza di un potenziale pericolo. Questostato ci permette una consapevolezzaperiferica a 360 gradi della nostravulnerabilità rispetto all’ambiente circostante:il portone non ben visibile, la scala buia ecc.nonché i pericoli psicologici dell’artiglieria

fisica mai collaudata (tecniche di auto-difesa

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

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non testate sotto pressione), la sindromedell’adrenalina e i rituali dell’attacco.Inizialmente il Codice Giallo è una specie dicommentario nel quale descriviamo, mentre

camminiamo, tutto ciò che siamo in grado divedere attorno a noi. Con un po’ di praticaquesto commentario diventerà un’abitudinedel nostro subconscio: saremo sempre“accesi”, sempre accorti di quello che c’è e diciò che succede intorno a noi. Il Codice Gialloè lo stato mentale che adottiamo per poterattraversare una strada trafficata; non è unostato di paranoia ma di aumentata capacità diosservare.

Codice Arancio: denota il nostro statomentale di fronte ad un pericolo nascente. Cipermette di fare una rapida valutazione sul dafare se il pericolo dovesse crescere, peresempio, mentre stiamo camminando notiamodue uomini con aria sospetta dall’altra partedella strada. Notiamo che adesso si stannomuovendo, attraversano la strada, vengonodiritti verso di noi. A questo punto seriteniamo che il pericolo sia reale edimminente, avremo il tempo e i nervi pervalutare la situazione.

Codice Rosso: è lo stato mentale finale.Abbiamo valutato la situazione in CodiceArancione e appurato che il pericolo è reale.Ora ci prepariamo a difenderci oppure acorrere a gambe levate. Non restate mai acombattere se c’è la possibilità di fuggire. Seil pericolo dovesse rientrare, torniamo alCodice Arancione e poi al Codice Giallo.

Mai e poi mai sprofondare nel Codice Bianco:molte persone sono state attaccate perchéavevano perso il loro “zan-shin”(consapevolezza). Restate sempre accesi.

L’intero sistema dei codici funzioneràsoltanto se teniamo il Codice Giallo sempreacceso. È logico che non potreteassolutamente valutare una minaccia che nonavete notato mentre nasceva e si sviluppava, e

in mancanza della vostra valutazione non

sarete pronti né a combattere né a fuggire.Scossi improvvisamente dal vostro statomentale assopito in Codice Bianco, capirete laminaccia quando ormai è troppo tardi per

porvi rimedio. Lo stesso vale per le regole cheseguono: saranno applicabili soltanto dapersone “accese in codice”.

Non frequentate luoghi pericolosi. Non andatea prendere un panino in uno di quei chioschiaperti a tarda notte che attirano i tipi loschi.Evitate di andare in posti “duri” e se proprionon potete fare diversamente, siate sempre“accesi in codice”. Sempre.

Personalmente non ho problemi con il mioego. Non mi lascio trascinare in casi di rabbiaautomobilistica giusto perché qualche cretinomi ha tagliato la strada, mi ha fatto deigestacci, mi ha fatto i fari, mi sta superandocon aria da spaccone, ecc. Mia mamma dicevasempre (e deve essere vero perché le mammenon mentono mai!) che al cimitero ci siarriverà comunque quindi non occorreaffrettarsi. Quindi se un pirla vuole il pezzo diasfalto che sto occupando, io glielo lascio,tranquillamente. So già dove tali situazioniportano. Lo so perché ci sono già passato e,mi dovete credere, non ci sono vincitori.

Casi come questi possono cambiare il corsodella vostra vita se voi lo permettete. È fintroppo facile uccidere qualcunoinavvertitamente in un caso di rabbiaautomobilistica. Troppo tardi poi pensare allabimba che aspetta papà a casa, alla donna chevi adora, potrete salutarle per una quindicinad’anni.

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Un mio amico stava tornando a casa inmacchina con la sua ragazza e una coppia,loro amici. Lui, in tutta legittimità e su unastrada tranquilla, stava superando un’altra

macchina. Il tizio che guidava l’altra auto si èoffeso e per pura cattiveria sterzòbruscamente verso la macchina che lo stavasuperando. Sono convinto che egli non avevaaltra intenzione se non di spaventare il mioamico, il quale però non ebbe altra scelta chedi sterzare a sua volta per evitare ciò che glisembrava una collisione inevitabile. L’autouscì di strada e finì in un fosso. La suaragazza fu catapultata dalla macchina e morìsul colpo. L’altra ragazza è volata attraverso

un finestrino procurandosi fratture multiple eperdendo un occhio. Entrambi i passeggerimaschi riportarono ferite serie. Tutto perchéun automobilista non gradiva essere superato.Quando Karen morì in quell’incidente, unaparte di tutti noi suoi amici, me compreso,morì con lei. L’uomo che ha causatol’incidente vivrà il resto dei suoi giorni con lamorte di Karen sulla coscienza.

Un altro mio amico ha appena commesso uncrimine dettato dalla rabbia. Un’azione cheegli avrebbe benissimo potuto evitare se nonfosse stato per il suo ego troppo gonfio. Dovràfare dieci anni di galera e se sopravivràall’esperienza in prigione, quando uscirà lasua amata figliola, ora adolescente, saràprobabilmente una donna sposata. Resta davedere se sua moglie si metterà con qualcunaltro (sono poche le donne disposte adaspettare). La sua azienda, alla quale aveva

dedicato la vita, sta già andando a rotoli.Provate a considerare, qui e ora, leconseguenze di pochi attimi di rabbia: pertanti lunghi anni non poter stare con chiamate, non poter più uscire a mangiare lapizza, non poter più fare assolutamente nulladi tutto ciò che vi sembra ora una partenormale, persino scontata, della vostra vitaquotidiana. Non vi spaventa questaprospettiva? Personalmente mi fa rabbrividireil solo pensiero.

Se devo essere coinvolto in una rissa, voglioperlomeno che sia per una ragione valida enon solo perché qualcuno mi ha guardatomale o offeso a parole, o per “difendere” il

mio spazio sull’asfalto. Voglio poter andar adormire la sera con la certezza che sì, hocombattuto, ma non avevo altra alternativa,proprio non ne avevo. Lo scotto da pagare peraver partecipato ad una rissa è pesante, e seper giunta avete moralmente torto il prezzo dapagare diventa spaventoso. Per questa ragioneinsisto nell’affermare che il vostro sistema didifesa deve essere autentico; se lo è, e l’avretecollaudato sotto pressione, esso vi darà unatale fiducia in voi stessi da poter lasciar

perdere le situazioni rischiose. Sarete fortiabbastanza da vincere il vostro stesso ego.

Una parte fondamentale della comprensionedel nemico è capire che egli non capisce sestesso molto bene. Quando ti fa il gestaccio inmacchina o ti fissa con sguardo minaccioso albar, non c’è nulla di personale in tutto ciò(almeno che non sia tu a farla diventare unaquestione personale). Egli non c’è l’ha con teperché se tu. Tu sei la manifestazione di ciòche, nella sua vita, lo fa incazzare: una moglierompiballe, un capo prepotente, i suoi figliadolescenti, o chissà che cos’altro ancora. Tudiventi la figura su cui convogliare quellaaggressività che non può utilizzare contro ciòche nella vita gli causa stress. Ed è soltantoperché noi c’e la prendiamo personalmentecon questi individui che ci troviamo poitrascinati in situazioni di contesa. A pensarcibene, questo comportamento appena descritto

è anche nostro a volte, basti pensare a come ciarrabbiamo con parenti, amici, colleghi per unnonnulla: stiamo semplicemente re-indirizzando la nostra aggressivitàinutilizzata.

A causa della nostra società competitiva edella crescente presenza nel nostro organismodi fattori neurologici da stress, si sviluppa innoi una aggressività repressa. Teniamo inserbo intere schiere di ormoni da stress che

possono esplodere in qualsiasi momento,

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l’arte di combattere senza combattimento

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scatenati da qualsiasi avvenimento grande opiccolo che sia: potrebbe essere untrascurabile tamponamento in auto, un cretinoche ti fissa con lo sguardo, o una cosa banale

come i bambini che versano succo di fruttasul tappeto in salotto. Una volta scatenata, lanostra aggressività, fino ad ora repressa, simanifesta in maniera incontrollata con delleconseguenze che possono cambiare, in peggioe per sempre, le nostre vite.

Comprendere il nemico significacomprendere che “non è una questionepersonale” e che, se la situazione dovessedegenerare in una rissa, non ci saranno

vincitori. Una volta capita la psiche degli altri,sarete capaci di comprenderli meglio di lorostessi. Impiegherete pochi istanti per vederechiaramente il filo della loro intera vita e cheessa, come tante, sta andando proprio male.È triste rendersi conto che qualcuno stasprecando la propria vita, ma la cosa ancorapiù triste è che egli stesso non se ne rendeconto, non sa dove sta sbagliando eprobabilmente non lo saprà mai. Quindiquando questi individui vi provocano, nonprendetela personalmente: le loro vite sonoabbastanza schifose di per sé senza che noi viaggiungiamo altro. Lasciate perdere.

Immagino quello che state pensando: chi sene frega se non è una questione personale,questi individui sono pericolosi lo stesso.Sono d’accordo, sono senz’altro dei killerpotenziali, ma in genere lo sono solo se voi vilasciate coinvolgere nel loro gioco. Il più

delle volte le situazioni con questi individuisono benigne fino a quando noi non licontrastiamo, sia a causa del nostro stessoego, sia perché fuorviati a tal punto da volerripulire il mondo dalla gente cattiva, oppureperché ci stiamo comportando (proprio comeloro) sotto l’influenza della nostraaggressività repressa. Immaginate due tizi,chiamiamoli Joe e Pete, che sono arrivati allemani per una stupidata. In realtà non stannocombattendo l’uno contro l’altro. Joe sta

pestando il suo capo prevaricatore e Pete sta

pestando la moglie dominante. Quando poi sitroveranno in Tribunale davanti al giudice,nessuno dei due sarà certo sul perché si sonopicchiati.

Considero la mia arte assai efficace. L’hotestata sotto pressione e fino in fondo e so percerto che funziona bene. Per questa ragioneriesco a lasciar perdere gli individui con lacresta alzata: li sto risparmiando. Non importase pensano di avermi fregato, che mi hannomesso paura, che sono più fighi di me. Nonmi importa ciò che pensano loro o chiunquealtro perché so io quale è la verità: seobbligato sono in grado di fargli parecchio

male.

Se avete davanti un individuo che staindirizzando su di voi la sua aggressivitàrepressa e non potete lasciar perdere e andarevia, se non potete evitare, fuggire, dissuadere,

 posture, loophole ecc., allora dovrete passareall’autodifesa. Si tratta in questo caso diesercitare il legittimo diritto di difendersi (ocome suggerì Benny “The Jet” Urquidiz:forse l’individuo vi è stato mandato perchébisognoso di una lezione!).

Capitolo Due

ESCAPE (l’arte di fuggire)

Tutti possono sbagliare, persino le scimmie

cadono dagli alberi, quindi ci saranno delleoccasioni in cui andrà persa l’opzione dievitare  (avoidance) e bisognerà passare allasuccessiva opzione: la  fuga. In teoria la fugasembra cosa facile. Basta alzare i tacchi eandare via, camminando o correndo a secondodella circostanza. Non è così! La gente diquesta generazione viene considerata codardase non resta ad affrontare “da uomo” i propriproblemi. Ironicamente però chi arriva allemani per sistemare una differenza di opinione

viene considerato un farabutto. La legge fa

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l’arte di combattere senza combattimento

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presto a rinchiuderti se fai troppo male aqualcuno, anche se a titolo di autodifesa. Perquesta ragione considero la legge comeNemico numero due. La differenza fra coloro

che combattono e quelli che scappano èspesso dovuta ad un solo fattore: l’ego.Questo muscolo controllante ha avuto moltainfluenza in questa nostra società capricciosaed è la maledizione del ventesimo secolo. Piùrisse e contese sono state causate dall’ego chenon da qualsiasi altro fattore. E questo ciporta indietro a ciò che ho detto prima, ossia,un corretto allenamento e il duro tirocinio delcombattimento corrodono l’ego e virestituiscono il controllo di voi stessi. Non

verrete più trascinati ciecamente dal vostroego; avrete una tale fiducia in voi stessi dapoter semplicemente girare sui tacchi e andarvia.

La fuga è spesso molto più facile di comeappare e non comporta per forza una piano ouna strategia tanto elaborata, il più delle voltebasta un po’ di buon senso. Un mio amico, 6°dan di Karate, mi chiamò al telefono perchiedermi di aiutarlo ad uscire da undilemma. Egli era un cliente abituale di uncerto pub ma da qualche tempo, ogni voltache si trovava in quel locale, un tizio lofissava con aria di sfida (conoscete già ilgenere di individuo: massiccio, nocchestriscianti per terra, quoziente d’intelligenzaappena sufficiente per far deambulare legambe).

Cosa dovrei fare?” mi chiese. “Vai a bere inqualche altro locale dove la clientela è un po’più intelligente”, gli risposi.

Infatti, la soluzione era semplice. Se in un

locale debbo essere squadrato malamente dauno sconosciuto semplicemente perché la miafaccia non gli piace, allora è un posto daschifo e sono io che scelgo di non andarci.

Soprattutto se si considera che non esiste zonache non abbia dozzine di bar, birrerie, pubecc. fra cui scegliere. Potrete argomentare cheavete il diritto di andare a bere dove vi pare enon volete cambiare locale, e in termini didiritti avrete assolutamente ragione. Ma tornoal mio discorso originale: perché dovreidifendere il mio posto al banco in un talelocale di merda? Io, personalmente, secompro un drink da due sterline in un bar epoi mi accorgo di attirare lo sguardo

aggressivo di qualche troglodita dall’altraparte del banco, lascio il mio drink e me nevado. Perdo le due sterline ma il prezzo èmodico per essermi risparmiato un sacco diguai: so che se rimango dove sono, il cretinoprima o poi mi si avvicinerà e voleranno glistracci. E poiché tutta la mia vita è dedicataall’allenamento è molto probabile che glifaccia assai male. Lui finirà in ospedale e ioin Questura con l’accusa di ferimentopremeditato (n.d.t. Sezione 18 dellagiurisprudenza britannica). La giuria, appresoche sono un marzialista allenato, mi vedràcome un esaltato e mi condannerà a cinqueanni di galera. Ma il mio diritto di occupareun posto al banco di quel locale era davverocosì importante da difendere ad ogni costo?Per me, no.

La fuga può essere possibile facendo il lievesforzo di ingoiare il proprio orgoglio o di

tenere a bada l’ego; prendere la vostra signorasottobraccio e avviarvi verso un locale dove lavostra compagnia è apprezzata. Preferite ilocali, magari un buon ristorante piuttosto deipub di pessima fama, dove potete godervi laserata senza dover curare se qualcuno vi staguardando male. In questo modo poteteevitare del tutto la potenziale situazionepericolosa. Se proprio non volete o non poteterinunciare a un dato locale e qualcuno vi stadando occhiate malefiche, alzate la mano e

salutatelo con gentilezza. È probabile che il

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l’arte di combattere senza combattimento

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gesto gli farà credere di conoscervi e si sentiràimbarazzato per avervi fissato - potrebbepersino ricambiare il saluto. Ma una volta chel’avete salutato con la mano spostate il vostro

sguardo altrove, perché il contatto visivo èspesso considerato come una sfidasubliminale. Se cozzate contro qualcuno persbaglio e l’individuo diventa un po’aggressivo, chiedetegli scusa. Ditelo confermezza, oltre che con gentilezza, in modoche possa percepire la fiducia che avete in voistessi. Se il tizio non si ritira, innalzate subitouno scudo protettivo (vedete il capitolo “LaPalizzata”) tra voi e lui a ritiratevi voi dicendoche non volete guai. Se l’individuo persegue

potrebbe diventare necessaria una vostrarisposta fisica, magari con il  posturing (vedeteil capitolo “Posturing) o addirittura attaccando.Se proprio dovete attaccare fate in modo chesiate voi a prendere l’iniziativa, perché levarie contromosse e parate funzionano solonei film.

Recentemente mi è capitato un caso mentremi trovavo al banco delle bevande ad unafesta privata. Stavo prendendo da bereassieme a Sharon quando vidi un bruttissimotizio che mi fissava con fare minaccioso. Mirivolsi a lui con gentilezza perché intuì chel’individuo era in cerca di guai.“Come va amico?” gli chiese cordialmente.“Sei una guardia del corpo?” replicò lui intono aggressivo.Eravamo ad una festa privata di una grossaazienda di sicurezza che affitta addetti allasecurity e guardie del corpo.

“Beh, no, non lo sono”, dissi con assolutaveridicità.“Schifoso bugiardo”, arrivò la rispostatutt’altro che amichevole.Ho quasi perso di vista i miei buoni propositiper via dell’estrema aggressività diquell’individuo, il quale cercava palesementeuna rissa. Automaticamente l’ho inquadratoper un rapido KO ma poi ricordai che stavotentando di fare pratica nell’arte di evitare lerisse, che ne avevo già fatte oltre trecento e

che ho visto abbastanza sangue da bastarmi

per le prossime dieci reincarnazioni. Gli dissi,con tono molto deciso e lievemente seccato:“No, non sono un bugiardo. Non sono unaguardia del corpo”.

“Che cazzo sei allora?”, sempre aggressivo.“Sono un ospite alla festa”, risposi.“Fottute guardie del corpo, una massa disegaioli”.Girai dall’altra parte e ritirai le bevandeordinate. “Lascia perdere, stavo sol cercandodi essere gentile con te”, gli dissi.Mentre mi allontanavo dal banco gli hosentito dire sprezzante “Fottute guardie delcorpo, nient’altro che segaioli”.Sharon si complimentò con me dicendo

“Bravo, c’e l’hai fatta!”. Sapeva che soltantodue anni prima un tizio così, l’avrei picchiatofino a fargli perdere i sensi assieme achiunque altro avesse provato ad aiutarlo. Maora stavo praticando un’arte diversa. (Per chifosse curioso di saperlo, il tizio ha poi provatoad attaccar briga con il mio amico Griff, ilquale gli ha spaccato il naso nelle toilette; ilmio amico non stava praticando l’arte dellapazienza).

Di solito è molto più facile evitare uncombattimento se avete una comprensione delrituale d’attacco. Come si è detto prima:dovrete comprendere l’avversario altrimenticombatterete nel buio. Se invece capite illuogo e il modo in cui un attacco potrebbeaccadere, è logico che tali conoscenze viaiuteranno ad uscire da circostanze comequelle appena descritte o ad essere preparatiad affrontarle.

Ci sono naturalmente molti tipi di aggressori eaggressioni. Alcuni individui scelgono dirubare, altri di stuprare, ed altri ancorapreferiscono istigare la violenza per il purogusto della cattiveria. Taluni hanno il sanguetalmente freddo da studiare l’attacco neiminimi particolari prima di metterlo in atto.Molti invece sono degli opportunisti checommetteranno un delitto soltanto se glicapita il colpo sicuro. Vengono attaccati ogni

giorno uomini, donne e bambini, senza

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

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discriminazione, anche in aree moltofrequentate dove i passanti impauriti eindifferenti si nascondono dietro il velo del“non sono affari miei” oppure “non voglio

immischiarmi”. Tale reticenza, però, se siconsidera il nostro sistema giuridico chesembra favorire l’aggressore più della vittima,non desta molta sorpresa.In genere l’aggressore di oggi è un individuosostanzialmente codardo che attacca dal podiodell’alcool/stupefacenti, oppure attacca allespalle con un’arma o con l’appoggio di uncomplice oppure entrambi. Ad eccezionedello stupratore, che tende a considerare sestesso fisicamente superiore alla sua vittima,

la maggior parte degli aggressori lavora conuno o più complici. Come già menzionato,cercano delle vittime, ossia coloro che vannoin giro in Codice Bianco oppure coloro chesono staccati dal branco. Se voi praticatetarget hardening  (rendere se stessi unbersaglio difficile), tali individui, proprio acausa della loro codardia, non incroceranno lavostra strada. Se per caso dovessero farlo evoi rispondete per le rime, cioè combattendolicon degli attacchi ben mirati, questi codardinella maggior parte dei casi abortiranno il lorotentativo. Devo subito reiterare, comunque,che considero la risposta fisica una tatticainferiore. Se decidete di impiegare delletecniche fisiche, siate ben sicuri di ciò chefate onde evitare di aggiungere rabbiaall’artiglieria dell’aggressore per aver osatocolpirlo. Quando colpite dovete essere sicuri

di ledere abbastanza da guadagnarvi il tempo

necessario alla fuga.

Gran parte degli attacchi sono preceduti dapedinamenti e da trappole camuffate dadialogo. Quasi sempre l’aggressore utilizza ildialogo come strategia iniziale. Trovo chemolti istruttori di autodifesa siano così presicon le tecniche da dimenticare quei preziosi evitali attimi che precedono l’attacco vero eproprio. Peccato, perché quanto piùefficacemente si riuscirà a gestire queimomenti e tante più possibilità si avranno di

uscir indenni dalla situazione. Infatti se

conoscete bene il rituale d’attacco, insommase siete “in codice”, probabilmente nonverrete neppure scelti come vittima. Nellesituazioni reali gli attimi subito precedenti

l’attacco costituiscono il fattore piùimportante in assoluto, eppure tale aspettoviene quasi sempre trascurato dai gurudell’autodifesa. Fanno parte del ritualed’attacco le quattro “D” descritte prima: esseriguardano il linguaggio del corpo oltre chedella parola. Il dialogo di cui sto parlandoviene anche definito “colloquio” e ne parleròfra poco. Se individuate il rituale potretestroncare l’attacco prima che avvenga.

La comprensione dell’avversario passaattraverso la decifrazione del linguaggio distrada. Gran parte del dialogo dell’aggressoreserve per impegnare la mente della vittimaprima dell’assalto. Una correttainterpretazione della parlantina svelerà i segnidi un attacco imminente, dandoviletteralmente il conto alla rovescia. Il ritualecambia a secondo della categoria dell’attacco,idem dicasi per il dialogo. Devo, a questopunto, sottolineare che nulla di ciò cheleggete in queste righe vi servirà se la vittimaè “spenta”, ossia in Codice Bianco. Il dialogoingannevole e le trappole furbe non sononecessari all’aggressore se la vittima presceltasta passeggiando in una stradina isolata o ungiardinetto deserto, da solo, di notte. In questicasi, che purtroppo si verificano molto spesso,l’assalto sarà fisico e violento e senzapreambolo. Il rituale è impiegato al soloscopo di ingannare la vittima prescelta per

renderla ancor più vulnerabile. Per accorgervidei rituali e degli inganni occorre essere “incodice”, con i sensi bene in allerta. In casocontrario farete la stessa fine di molti altriprima di voi.

Sia che si tratti di un tentativo di rapina che distupro, di solito il dialogo è disarmanteoppure apparentemente fortuito: “hai daaccendere?” o “scusi qual è il portone delmedico?” L’aggressore sta cercando di

smussare la innata diffidenza della sua vittima

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

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prima dell’attacco. Nel caso invecedell’aggressione gratuita, cioè fine a se stessa,il dialogo sarà di natura aggressiva: “Checazzo c’hai da guardarmi”. Ma in ogni caso, il

dialogo serve all’aggressore per attirarel’attenzione della vittima per poi distrarla.In genere, più è grave il crimine che si vuolecommettere e più grande sarà l’inganno. Dallato più basso della scala l’aggressore checerca violenza gratuita userà un linguaggiorozzo e violento; in cime alla scala troviamol’assassino e lo stupratore che cercano di“imbastire/predisporre” la vittima con ognimezzo – da una cortese richiesta diinformazione all’invio a domicilio di fiori e

champagne o inviti a cena (come nel caso diJohn Cannan che sceglieva le sue vittime perstrada o in qualche locale e le pedinava fino acasa). Quelli ancor più scaltri recitano un veroe proprio ruolo, perfetto nei minimi dettagli.

La violenza insensata, oggi di moda,normalmente ha inizio con il contatto visivo,il quale, in un ambiente volatile, può esserepreso per una sfida subliminale a combattere.Molti dei combattimenti che ho visto quandolavoravo come buttafuori in un nightclubebbero inizio proprio con il contatto visivo.Non c’è bisogno di aver fatto qualcosa dimale per essere aggredito da questo genere diindividuo, vi aggredirà per il solo fatto ditrovarvi lì. Non fate l’errore di cercare lalogica in questo tipo di attacco - non c’è ne -perché aumenteranno la vostra perplessità eindecisione e perderete attimi preziosi durantei quali sarete stati malmenati. Credetemi non

c’è logica di sorta in questo genere diviolenza.

A mio avviso queste violenze gratuite sono daimputare alla ”aggressività deviata”. Pur nonavendo la minima intenzione di farlo, potretescatenare tale violenza e divenirne l’obiettivo.In poche parole c’è qualcosa nelle misere vitedi questi individui che li fa incazzare,potrebbe essere un vicino di casa che nonrispetta qualche regola del condominio, un

capo ufficio sarcastico o chissà che cosa, non

ha importanza, voi diventerete l’obiettivo sulquale sfogare tutta la loro rabbia repressa.Troppe volte questo tipo di attacco è assaibrutale, persino fatale. Ma se siete in Codice

Giallo avrete modo di riconoscere e quindievitare queste situazioni nella loro faseiniziale.Potrete riconoscere l’aggressore gratuito neilocali e per strada perché avrà unatteggiamento inconfondibile: svaccato controil banco del bar o pattugliando la pista daballo con i gomiti ben sporgenti dai fianchi(come se stesse portando secchi d’acqua).Avrà il labbro superiore arricciato eprobabilmente sarà sgarbato con chiunque si

trova intorno a lui. Per strada camminerà conandatura che esprime troppa fiducia in sestesso. Se è in compagnia sarà moltochiassoso, fanfarone, con dei movimentierratici. Potrebbe avere un’aria cattiva elunatica con un’andatura (camminata) cheesprime aggressività. Anche per strada, comenei locali, sta cercando il contatto visivo.Ancora una volta, se siete in Codice Giallo vene accorgerete di questi segnali a cento metridi distanza.

Esistono due tipi di contatto visivo chepossono degenerare in violenza:

1. L’occhiata sommaria

Qualcuno vi incrocia lo sguardo per caso, ovoi quello altrui. L’occhiata diventa unosguardo fisso e poi uno scambio verbale.

Questo è il preludio della violenza. Durantequesto tipo di contatto visivo, appena diventachiaro che le due persone non si conoscono,scatta l’ego di entrambi. Il contatto visivo,inizialmente fortuito, diventa una vera epropria sfida visiva. Gli occhi, essendo degliorgani sensibili, lacrimano e bruciano se nonvengano sbattute le palpebre. Ma poichénessuno dei due vorrà sbattere le palpebre pernon dare l’idea di una ritirata, colui a cuibruceranno di più gli occhi lancerà la sfida

verbale, del tipo “Che cazzo hai da

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guardare!”, per nascondere il fatto che deveassolutamente sbattere le palpebre. Se sirisponde alla sfida verbale (“Si, sto guardandola tua faccia di merda!”) vuol dire che la rissa

è belle che iniziata.

Per evitare lo scenario della rissa è necessariocomprendere il personaggio che tira “occhiatesommarie”. Queste sono le sue fasi rituali:

a.  si incrociano gli sguardi;b.  il suo sguardo rimane fisso;c.  lui farà una domanda sgarbata (“Che

cazzo hai da guardare?”);d.  si avvicinerà fisicamente a voi;

e.  ripeterà la domanda (Ho detto, chicazzo credi di fissare?”);

f.  vi sfida al combattimento fisico e/o viattacca addirittura.

Ricordate nel punto f. che normalmentel’attacco arriva in concomitanza con la sfidaal combattimento.

g.  se non ha ancora attaccato, comepreludio alla violenza passerà a deimonosillabi che funzionanoda detonatore subliminaleall’aggressione. Espressioni come “Ahsi?” “Ma va!” di solito venganoimpiegate subito prima dell’attacco.L’uso dei monosillabi è un segnalesicuro che il colloquio si sta svolgendoal termine e che fra pochi istanti sipasserà alle mani.

Questo è il rituale completo ma a volte, asecondo delle risposte date dalla vittima,l’aggressore potrebbe anche saltare qualchepasso. Ad esempio potrebbe andaredirettamente dalla prima domanda allaviolenza fisica. Quindi una rapida uscita dallasituazione è sempre meglio, vi doveteconvincere che la risposta fisica da partevostra deve essere l’ultima risorsa.

Un giovane che cammina per strada da solo

non farà caso a dei buzzurri che stanno

facendo osservazioni pesanti ai passanti. Lostesso giovane però, trovandosi nellamedesima circostanza ma in compagnia dellasua ragazza, sarà pronto a combattere contro

il mondo intero pur di difendere la propriamascolinità - anche se la ragazza stessa lo stasupplicando di lasciar perdere. Questi insultinon hanno alcun valore e vanno ignorati.Come ho detto prima: non c’è nulla dipersonale. Amici, mettetevi in testa che leragazze non vi ammirano affatto quando vibuttate in una rissa che potevate evitare. Sonostato coinvolto in centinaia di risse e possoaffermare, categoricamente, che è l’uomoforte che prende e va via. Fatelo anche voi:

andate semplicemente via. Il momento percombattere è quando non vi è alcunaalternativa. Se devo proprio combatterevoglio che sia per una ragione migliore chenon “Mi stava guardando male”. Se devofinire in tribunale con l’accusa di delittopreterintenzionale non voglio sentirmi dire dalgiudice “Dunque, signor Thompson, ha uccisoquell’uomo perché egli Le ha sbadatamenteversato addosso della birra?”.

La violenza è un gioco serio, non entratecicon qualche idea romantica perché èun’esperienza che non cambia mai. È sempreuguale: brutta e spaventosa. Non mi sono maitrovato davanti un uomo che volevo davveropicchiare, non ci sono mai state le condizioniidonee, non ho mai pensato “OK sonopronto”. Ogni rissa per me è stata più unaquestione di “Come vorrei essere altrove, nonvoglio tutto questo, sarà questa la volta in cui

finisco ammazzato o in galera pertrent’anni?”.

Detto questo (e in tutta sincerità), se ilcombattimento dovrà avere luogo e non c’ènessuna possibilità di evitarlo, allora doveteattaccate voi per primi. Non esitate, non datemai a qualcuno l’opportunità di colpirvi perprimo. Se non potete, se assolutamente nonpotete andare via, allora attaccate per primi epoi andatevene. La polizia non vi darà mai un

consiglio come questo perché la linea tra

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sanzionare e incoraggiare la violenza è moltosottile (provate ad immaginare un sospettoomicida sulla prima pagina di un quotidianoche dichiara di aver fatto esattamente ciò che

il tenente tal di tale gli ha suggerito!).

Forse le forze dell’ordine temono leconseguenze dell’onestà credendo che lagente non è abbastanza intelligente da sapersidifendere legalmente. Un poliziotto mi hadetto (e l’ho sentito da più persone che hannofrequentato i corsi per i buttafuori organizzatidalla polizia) che per legge non si puòattaccare per primi e che occorre attendere diessere attaccati per poter contrattaccare e

soltanto con forza “ragionevole”. Questoconsiglio, badate bene, non è soltanto cattivoma è anche falso. La legge ammette sì uncomportamento preventivo purché siaconsono alle circostanze, ossia, eravatedavvero in procinto di essere aggrediti.

Nel caso delle “occhiate sommarie”, èconsigliabile non mantenere il contatto visivo.Se siete sicuri che si tratta appunto di un“occhiata sommaria” e non di un ovviosguardo di sfida, sorridete un istanteall’individuo, magari con un lieve cenno disaluto (con la mano oppure “ciao”) e poiinterrompete subito il contatto visivo. Ciò loconfonderà facendogli credere di avervi giàconosciuto da qualche parte, in questo modoil rituale viene troncato sul nascere. Se invecevi dovesse domandare che cosa stateguardando, chiedetegli scusa dicendo chepensavate di conoscerlo. Se vi chiede se state

cercando guai, rispondete “no”. Le rispostecome queste di solito mettono fine alconfronto e l’individuo, sentendosi vincitore,tornerà nella sua caverna.Tutto ciò vi risulterà difficile se siete maschicon un ego da alimentare, ma facile se sieteuomini che non hanno bisogno di ferire perdimostrare la propria mascolinità.Le donne raramente hanno difficoltà con lasottomissione. Solo se è cresciuta con unmodello maschile debole la donna potrebbe

sentire proprio il ruolo di protettore. In tal

caso, come contrappeso alle carenze nel suoambiente, potrebbe aver sviluppato alcunecaratteristiche maschili, una delle quali èl’ego. Se vi si avvicina con intenzioni ostili

innalzate uno scudo protettivo (vedete ilcapitolo “La Palizzata”) e preparatevi per loscontro fisico.

2. Lo sguardo di sfida

Come prima difesa dall’individuo che vi sfidacon lo sguardo, non appena avrete notato lapresenza di tipi troppo chiassosi, spacconi,camminate a testa alta con l’aria di essere

sicuri di voi stessi. Anche se taleatteggiamento non corrisponde a come visentite realmente, comportatevi in manieratranquilla e fiduciosa. Dopotutto gli altri nonpossono sapere come vi sentite dentro se nonattraverso il vostro comportamento esteriore.Coloro che mostrano una facciata calma edisinvolta raramente vengono scelti comevittime. Quando tira una brutta aria evitate diincrociare gli sguardi, se possibile, ma senza

mai abbassare il capo perché questo gestoviene interpretato come un segno di debolezzae come tale attira il predatore.Il rituale dello sguardo di sfida può esserefermato prima ancora che inizi semplicementeevitando lo sguardo stesso. Chi è ben accesoin Codice riuscirà ad individuare a distanzaquesto genere di individuo e quindi saràpronto e capace di evitarlo. Ciò potrebberichiedere una misura di autodisciplina perchéci viene naturale fissare: ci sentiamo attirati

verso ciò che sappiamo non deve essereguardato. Fate pratica rimanendo davanti altelevisore ma sforzandovi di non guardarloper due minuti interi. Scoprirete che non ècosì facile come sembra.Ricordate che evitare lo sguardo di sfidasignifica evitare la situazione di sfida.

Se invece gli sguardi si sono già incrociati,rompete immediatamente questo contatto emettete quanto più spazio possibile tra voi e

l’altro. Se anche questa strategia si

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dimostrasse inutile e ne segue uno scambioverbale sgarbato, non abboccate: giratetranquillamente ed andatevene via perché unarisposta verbale a questo punto potrebbe

fungere da catalizzatore. Se siete ancora lì(perché non potevate o non avevate laprontezza di andare via) e l’individuo vi siavvicina, questo è il momento di prepararvi oa combattere o a scappare. Ricordando, comesi è già detto, che il combattimento deveessere l’ultima, ma proprio l’ultima,possibilità che vi rimane.

Rispondere alla sfida verbale.

Controbattere una sfida verbale, per quantogiustificato, verrà visto dall’aggressore comeil vostro consenso allo scontro. Nella miaesperienza se non viene effettuata una veloceritirata subito dopo una sfida allo scontrofisico, soprattutto se c’è stata anche la rispostaverbale a tale sfida, seguiranno altre minaccee quasi sicuramente l’attacco fisico. Di solito,se la vittima designata sceglie di noncontrobattere e di effettuare una rapida uscitadi scena, l’aggressore abortisce il suo intentopoiché considera la mancanza di rispostacome una vittoria a suo credito. Pertanto noncontrobattete se vi viene lanciata una sfidaverbale.Se veniate avvicinati e non avete via discampo, dovrete prepararvi o allo scontro o ascappare. Se vi trovate in un pub e aveteintuito dei guai, il mio consiglio è di lasciarequel particolare locale e di trovarvi unambiente meno minaccioso (la prevenzione è

sempre meglio di qualsiasi rimedio).Ribadisco comunque che nel momento in cuisi sono incrociati gli sguardi avreste dovutoessere accesi in Codice Giallo; in tal modoavreste avuto sufficiente consapevolezza perdiscernere sia la potenziale situazione che ilrituale. In queste circostanze, la conoscenza vidà potere!

Esattamente come il tumore, il confronto variconosciuto e curato nella sua fase iniziale:

più viene trascurato e più grave diventerà.

Una singola cellula maligna può essere curatapiù facilmente di un tumore pienamentesviluppato. Se una sfida verbale viene lanciatadovrete salire subito in Codice Arancio, uno

stato di consapevolezza che vi permetterà divalutare correttamente la situazione. Se poivenite avvicinati dovrete salire in CodiceRosso, ossia, lo stato di allerta necessario alcombattimento o alla fuga. Potrete essereavvicinati in qualsiasi momento o luogo: dallato opposto del banco di un bar, camminandoper strada, in seguito ad un piccolo incidentestradale, le possibilità sono illimitate. Ma aquesto punto avrete già dovuto sceglierel’opzione “fuga” ed essere a cento metri di

distanza. Se la fuga non è possibile potreteavvantaggiarvi delle quattro “D” descritteprima, perché pur rappresentando una tecnicada aggressore esse funzioneranno anche pervoi. Come scrisse nel suo “Il Libro deiCinque Anelli” il leggendario strategagiapponese Miyamoto Musashi, “ciò che valeper uno vale per mille, e ciò che vale per millevale anche per diecimila”. Ovvero una tecnicache funziona contro di voi può funzionareanche per voi.

Ora ci occuperemo dell’aggressoreprofessionista, colui che lavora per profitto epreferisce la sottomissione da parte delle suevittime. Questo individuo non vuolecombattere. Per rendere più facile il suolavoro impiega l’astuzia piuttosto della forza.Come tutti i predatori egli cerca qualcuno cheè già in uno stato “da vittima”, ovvero, in

Codice Bianco. Questo individuo solitamenteha un aspetto molto diverso dall’aggressorearchetipo la cui immagine è fissa nella psichecollettiva. Questo tipo di predatore può esseremolto disarmante e dal suo aspetto fisicoraramente può essere riconosciuto per quelloche in realtà è: un potenziale aggressore.L’immagine del rapinatore conpassamontagna sulla testa, manganello inmano e sacco per la refurtiva in spalla èlontana anni luce dall’aspetto del delinquente

reale, il quale preferisce un elegante abito con

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tanto di cravatta come abbigliamento dalavoro.Anche l’aggressore professionista segue il suorituale che deve essere capito per poter evitare

la minaccia che nasconde. Ci sono quattro tipidi rapinatore:

1.  Lo scippatore che vi strappa laborsetta, valigetta ecc. dal braccio epoi si da alla fuga veloce, correndo apiedi oppure in moto;

2.  L’assalitore che appareimprovvisamente da unangolo/portone buio;

3.  Il ras insolente che non teme la legge enon ha rituale, attacca semplicementeperché voi avete inavvertitamentecalpestato il suo “territorio” e videruba per ripicca;

4.  Il rapinatore professionista cheprogramma i suoi attacchi e utilizzal’inganno come strategia.

Essere ben consapevoli dell’ambientecircostante è il modo migliore per evitare i

primi tre tipi, ma per difendervi dal quartooccorre una buona comprensione del ritualed’attacco. Riconoscere questo rituale nellostadio iniziale vi permetterà di evitarel’aggressione. Gli aggressori scelgono le lorovittime e quella ideale per loro è la persona inCodice Bianco: è assente con la mente e nonsi accorge di ciò che accade attorno, oppure èstaccata dal branco. L’attacco alla vittima daparte del delinquente avviene di solito inambienti poco popolati affinché all’attodell’aggressione ci sia il meno trambustopossibile. Il posto migliore per l’agguato saràdunque il tranquillo giardinetto, la stradinadeserta, il portone isolato. Ciò non significache si è al sicuro in ambienti popolati come icentri commerciali all’ora di punta o le stradebrulicanti che il rapinatore può sorvegliare perore e giorni interi alla ricerca della suavittima. Fatta la selezione, la vittima viene poipedinata in un posto sicuro per l’attacco,

come un posteggio d’auto. Si ritiene che

Stephanie Slater, assassinata da Cannan, siastata uccisa in questo modo. Cannan l’haindividuata in un centro commerciale e l’haseguita al posteggio (il suo “marchio” da

serial killer) assalendola mentre apriva la suaauto.Prima dell’attacco accade spesso che lavittima prescelta venga pedinata, un po’ comeil leopardo insegue l’antilope. Il pedinamentofa parte del  priming (preparazione). Se lavittima prescelta non sembra ancoraabbastanza vulnerabile agli occhi delrapinatore, può essere inseguita con lasperanza che la sua vulnerabilità aumenti alivello mentale (consapevolezza) oppure

ambientale (entra in un parco deserto). Ilpedinatore partito dal centro commerciale percolpire aspetterà che la vittima sia occupata amettere le borse nel bagagliaio dell’auto,oppure colpirà mentre è nell’atto di salire inauto, perché in tali momenti anche la personapiù vigile tende ad abbassare la guardia ediventa un facile bersaglio. Bastano pochiattimi di disattenzione per favorire ilrapinatore nel suo intento.Con le braccia cariche di borse e l’attenzionerivolta a far salire i bambini in auto o arispondere al cellulare, è probabile che non viaccorgerete di essere pedinati. È pazzescocome la maggior parte delle volte il rapinatoreriesca a pedinare la sua vittima attraverso tuttal’area del parcheggio senza essere notato.L’attacco che ne segue è così fulmineo cheneppure le altre persone intorno si accorgonodell’accaduto. Mentre state caricando ilbagagliaio o parlando al cellulare, state ben

allerta e inserite subito la chiusura centraleappena salite in auto (potete accendere ilmotore, sistemare gli occhiali, frugare nelcruscotto e fare tutte quelle cose dopo che visarete chiusi dentro al sicuro). Fate che tuttoquesto diventi una pratica normale.

Può anche succedere che al rapinatoreoccorrano ulteriori informazioni nei confrontidella vittima e che a tale scopo metterà in attoun avvicinamento esploratore unito ad un

dialogo disarmante. Questo avvicinamento gli

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serve anche per una seconda valutazione dellostato di consapevolezza della vittima (laprima l’ha fatta nel momento in cui ha sceltola vittima) perché vuole essere sicuro di poter

attaccare senza correre pericolo. A questopunto, o ad un qualsiasi punto dopo ilpedinamento, se la vittima mostra di essere inCodice Bianco (consapevolezza zero) ilrapinatore colpirà senza ulteriori indugi.Ma, a meno che non si tratti di un raffinatoesperto, questo tipo di rapinatore mostreràsegni di reazione adrenalinica, durantel’avvicinamento in esplorazione, che potreteintuire. Osservate. E ascoltate il vostro istinto.

Se il rapinatore ritiene che la vittima si èaccorta del suo intento e risulta negativa lasua seconda valutazione dello stato diconsapevolezza, quasi certamente abortiràtutta l’operazione e andrà in cerca di unavittima più vulnerabile. Se invece ritiene chela vittima è del tutto inconsapevole (in CodiceBianco) la potrebbe attaccare nel momento incui è occupata a rispondere alla domandadisarmante che le ha appena fatto - domandeinnocenti come chiedere l’ora, o dov’è la talestrada, o qual è il portone del medico e cosìvia. Queste cortesi ed apparentementeinnocenti domande possono distrarre persinole persone ben accese in Codice Giallo(figuriamoci poi quelle spente, in CodiceBianco). Anche il rapinatore con pocaesperienza sa usare questi trucchi per aprirsiun varco nelle difese della vittima prescelta.Il rapinatore professionista spesso preferiscederubare la vittima senza attaccarla. Si limita

a minacciare l’attacco. Trovo interessante chemolti dei rapinatori che ho intervistato miconfidavano che, per preparare la vittima,utilizzavano la minaccia piuttosto chel’attacco vero e proprio. Mi dicevano chepreferivano fare così perché nel caso dicattura la condanna sarebbe stata ben piùpesante se fossero risultati colpevoli anche diviolenza fisica. Per cui trovano più efficaceintimidire le vittime e ridurle allasottomissione invece di picchiarle e ridurle

alla supplica.

Il rapinatore può anche sottolineare laminaccia brandendo un arma o indicando lapresenza di un complice. Queste minacce nonsaranno mai all’acqua di rosa, saranno

estremamente aggressive e intimidatorie e diconseguenza la vittima avrà una iniezione diadrenalina in dosi che aumenterannorapidamente fino a diventare una sindrome dapietrificazione (negli umani il processo diragionamento sbaglia a interpretare l’effetto

dell’adrenalina scambiandolo per paura eriducendo la persona all’immobilità). Leminacce vengono ripetute con crescenteaggressività, causando nella vittima unrilascio multiplo di adrenalina e aumentando

la pietrificazione appena descritta.Naturalmente le minacce sono accompagnateda richieste di consegnare subito portafogli,carta di credito e quant’altro di valore.

E ancora, il rapinatore professionista minacciadi far del male alla vittima se non esegue larichiesta, oppure promette di non farle delmale in cambio della sua collaborazione.Qualche rapinatore usa l’attacco fisico perottenere la sottomissione attraversol’invalidamento, altri attaccano per invalidaree poi derubare. A volte l’attacco è leggero,serve solo ad aumentare la pietrificazione,altre volte è più pesante e frenetico. Ognitentativo di reagire, che non sia uncontrattacco eseguito con lo stesso o unmaggiore grado di ferocia, avrà scarseprobabilità di riuscita. Considero malsano ilconcetto di “bloccare” l’assalitore o di“liberarsi” dalla sua presa con qualche

ipotetica tecnica. Se la situazione è ormai aquesto punto la forza necessaria per uscirneindenne dovrà essere davvero tanta.

Ma se conoscete il modo in cui i cattivioperano potrete evitare di cadere nelle lorogrinfie. I rapinatori professionisti di normacontano sulla propria astuzia per ingannare lavittima e sulla inconsapevolezza della vittima

stessa che gli spiana la strada. Il loro lavorodiventa molto più difficoltoso se le vittime

designate sono al corrente dei loro trucchi e

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

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abbastanza svegli per evitarli.Dovete evitare ad ogni costo di essereprescelti come vittime, e ad ogni costo dovetefuggire non appena accorti che il rituale è in

atto. Se avrete perso queste due importantipossibilità, vi resta ancora la carta delladissuasione verbale.

Capitolo Tre

LA DISSUASIONE VERBALE

Sfumata la possibilità di evitare e chiusa lavia della fuga, vi resta l’arma delladissuasione verbale, ovvero la mediazione aparole della situazione. Non c’è molto da diresulla dissuasione verbale che non sia giàovvio a parte il fatto che non dovrete maiintraprendere la mediazione senza aver primainnalzato uno scudo protettivo,soprannominato “La palizzata”. La palizzata èuna materia in sé che andrebbe studiata afondo (ho scritto un libro e girato un videosull’argomento, entrambi intitolati appunto“The Fence”). Esporrò qui di seguito un breveprofilo al riguardo perché, lo ripeto, èpericoloso tentare di mediare senza unaprotezione e perché omettere tale argomentosarebbe una lacuna insensata.

Quando qualcuno vi si avvicina in unasituazione potenzialmente pericolosa,mettetevi subito in una posizione leggermente

a 45 gradi: con disinvoltura spostareall’indietro la vostra gamba destra (o quellasinistra) e simultaneamente spalancate levostre braccia (come se steste esclamando)mentre rispondete al dialogo. La mano madresarà piazzata tra voi e l’avversario e l’altra, lamano di supporto, sarà tenuta leggermenteindietro pronta a controllare o a colpire.Questa posizione costituisce la palizzata chevi permette di mantenere la distanza tra voi el’avversario e di stroncare un suo eventuale

tentativo di afferrarvi o di colpirvi. La

palizzata costituisce anche una barriera alivello del subconscio. Evitate di toccarel’avversario con le mani, a meno che non siateobbligati a farlo, perché il contatto fisico

potrebbe carburare il fuoco e indurlo adafferrare i vostri polsi. Se l’avversariocontinua a spingersi in avanti significa chesiete in pericolo e che l’attacco è imminente:prendete la vostra decisione senza fretta macon fermezza. Ricordate che l’indecisione è lamadre della sconfitta.

Per tutta la durata del dialogo è imperativomantenere la distanza di controllo fino aquando non sarete pronti per la fuga oppure

obbligati a colpire. Se siete obbligati a colpire- scelta questa che deve essere l’ultima risorsain assoluto - fatelo con forza e in un puntovulnerabile. Colpite con ogni fibra del vostroessere e poi correte a tutta velocità!!! Nondate retta ai tanti guru delle arti di difesapersonali che sostengono di finire l’avversariocon un secondo colpo. Sempre se vi è lapossibilità di scegliere, non restate in zonadopo aver colpito perché quei pochi attimiguadagnati colpendo per primo possonoessere facilmente persi. Ho appreso da piùpersone intervistate e da diversi casi a cui hoassistito, che il tentativo sciocco e peraltronon necessario di dare il colpo di grazia èfinito con la vittima acciuffata e poi sconfitta.Da tenere presente anche il pericolo che ilvostro avversario possa avere dei compliciche accorrono in suo aiuto. Pertanto, a menoche non sia indispensabile sferrare un secondocolpo, la regola è: approfittare del piccolo

vantaggio e darsela a gambe, subito.

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

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La distanza di una normale conversazionesolitamente non supera 20-30 centimetri tra leparti. Se gestita male durante una dissuasione

verbale, tale distanza degenera velocementein una distanza ravvicinata da grappling  verticale (afferrarsi in piedi) per poi diventarelotta a terra - situazione questa poco allettantese non si conosce l’arena o se l’avversario èpiù di uno. La maggior parte delle persone sisente più sicura lontano 1-1,5 metri, distanzache può essere mantenuta e che offre piùprotezione.

Se volete proteggere una fabbrica dagli intrusi

la cosa logica sarebbe di innalzare unapalizzata tutto attorno per far sì che diventi unbersaglio più difficile. Un potenziale intrusodovrà quindi superare quella palizzata primaancora di considerare come entrare nellafabbrica stessa. La palizzata non terrà fuoril’intruso in eterno ma renderà decisamentepiù difficile il suo compito. Pensate ad unpugile che dà una serie costante di buffetti infaccia all’opponente: anche se quei piccoli jabnon ledono, servono per tenerlo a bada per unpo’. Volendo sferrare un pugno da KOl’opponente dovrà prima trovare il modo daoltrepassare la serie di jab. In altre parolequella serie di jab costituisce la palizzataattorno alla fabbrica del pugile.

In pratica la palizzataattorno alla fabbrica ècostituita dalla vostramano madre, quella

piazzatanell’importantissimospazio tra voi e ilvostro avversario eche mantiene ladistanza di sicurezza.La mano madre nonterrà il vostroavversario a bada ineterno (vi darà solo iltempo necessario per la dissuasione verbale e

la fuga/l’attacco preventivo), ma vi darà il

controllo della situazione, che l’avversario losappia o meno.Se piazzate correttamente la mano madre nonsoltanto terrà salda la distanza di sicurezza ma

disattiverà pure l’armeria dell’avversario(pugni di destra o sinistra, colpi di testa e cosìvia). Anche se l’avversario non capirà tuttociò a livello conscio, saprà istintivamente alivello inconscio che le sue tecniche nonavranno effetto in presenza di quellapalizzata.

La mano madre deve essere tenuta in manieranon aggressiva e non dovrà mai toccarel’avversario, a meno che questi non faccia un

balzo in avanti per raggiungervi fisicamente.

La mano madre funge da antenna per captarele intenzioni dell’avversario: se l’avversarioviene avanti toccherà la vostra mano madre equesto per voi è un segnale d’allarme.Occorre quindi contrastare quel movimento inavanti per poter conservare la distanza disicurezza, e questo si fa con il palmo dellamano contro il petto dell’avversario. Nonmantenete questo il contatto perché verràpercepito dall’avversario come un’azione dicontrollo. In effetti lo è, ma a questo punto èmeglio che l’avversario non sappia che sietevoi ad avere il controllo perché entrerebbe ingioco la questione del potere che potrebbeindurlo a rompere la palizzata (sbattendo viala mano madre) ed afferrare i vostri polsiforse lanciandosi all’attacco prematuramente.Pertanto appena avrete contrastato quelmovimento in avanti mettete di nuovo la

mano madre tra voi e lui.Anche la vostra mano di supporto serve percapire la distanza di sicurezza, ma il suo ruoloprincipale è di rimanere leggermente indietroe di essere usata per colpire nel caso ladissuasione verbale dovesse venire meno el’attacco diventasse la vostra unica linea didifesa. Una volta innalzata la vostra palizzatapotrete poi tentare di dissuadere l’avversariodicendogli che non volete guai (dando un po’di fastidio al nostro caro vecchio ego, è vero,

ma sempre preferibilmente allo scontro

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disponibile su http://www.tatamido.it pag. 26 di 39 traduzione di Anne I-Shin

fisico). Ciò che direte dipenderà dal vostrotemperamento e dalla situazione: messaggiosottomesso, oppure, se pensate di poterlosostenere, fermezza e persino aggressività se

ritenuta opportuna.

Tenete d’occhio il linguaggio corporeo.L’individuo aggressivo che avanza pone unaminaccia maggiore dell’individuo aggressivoche tiene la distanza. La differenza sta nelfatto che colui che avanza sta toccando lapalizzata e solitamente si sta preparando adattaccare. Colui che mantiene la distanza stafacendo il  posturing e non vuole passare allemani.

Qui di seguito vengono elencati una serie disegnali fisici che rivelano l’intenzionedell’avversario. In concomitanza con il ritualed’attacco appaiono dei segnali che indicanoanche la reazione all’adrenalina. Tutti questisegnali, se sarete in grado di riconoscerli, viaiuteranno a capire il pericolo. Devopurtroppo aggiungere che alcuni aggressoriesperti sono ormai in grado di dissimularequesti segnali e, in questo caso, soltanto unocchio altrettanto esperto riuscirà a scorgerel’imminente aggressione.

Movimento oculare erratico (irregolare)

L’aggressore, o il suo complice, preoccupatodi essere colto sul fatto, controlleràincessantemente l’arrivo della polizia o ilcoinvolgimento del pubblico. Mentre vi parlai suoi occhi dardeggeranno in ogni direzione.

Quindi è un brutto segno se mentre parlacontinua a guardare intorno a voi e oltre levostre spalle.

Reazione all’adrenalina

L’aggressore, almeno che non si tratti di unindividuo stagionato, manifesterà la presenzadi adrenalina nel sangue. I segnali sono: visopallido, occhi spalancati causa visioneristretta a “tunnel”, espressione faccialesevera, sorriso assente, si dimena nel tentativo

di nascondere il leggero tremore da adrenalina

(simile a quello dovuto al freddo), vocetremolante.

Braccia spalancate Le braccia saranno

spalancate a mo’ di esclamazione. È un gestoinnato per farlo sembrare fisicamente piùgrande prima dell’attacco.

Cenno con le ditaSi tratta di quel inconfondibile e spavaldocenno delle dita che invita la vittima adavvicinarsi.

Annuire con il capoPotrebbe sporadicamente annuire con il capo.

Colpetti al colloDarà dei colpetti al proprio collo, di solito inconcomitanza con la sua sfida monosillabica eper proteggersi istintivamente la gola.

Occhi sporgentiA causa della visione a “tunnel” cheaccompagna l’adrenalina, gli occhi possonoessere spalancati con lo sguardo fisso.

Sopracciglia abbassateLe sopracciglia vengono abbassate appenaprima dell’attacco per proteggere gli occhi.

Guardia

Assumerà spesso la posizione dicombattimento girandosi di lato, proteggendoin tal modo i suoi organi vitali.

Chiusura della distanza

Con ogni istante che passa l’aggressore sisposterà sempre più vicino alla sua vittima; isuoi movimento diventeranno quanto piùerratici e aggressivi quanto più si avvicineràl’istante dell’attacco.

Mani nascoste

Nel caso di un aggressore armato, la manoche impugna l’arma potrebbe essere tenutanascosta in tasca o dietro la schiena. Se sononascoste le mani o anche una soltanto, fate

attenzione. Alcuni aggressori non nascondono

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le mani: si avvicinano tenendo il palmorivolto dalla parte opposta della vittima inmodo da tenere nascosta l’arma; oppure allostesso scopo tengono la mano offensiva col

palmo rivolto contro la propria coscia. Altritengono le mani ben in vista per poi estrarrel’arma dal nascondiglio mentre si avvicinano,oppure estraggono l’arma subito dopo d’averfatto la domanda per distrarre l’attenzionedella vittima.Un mio amico è stato ucciso in questo modo.Il suo assassino si è avvicinato a lui con ilpalmo della mano rivolto contro la propriacoscia in modo da tenere nascosto il coltello.Quando è stato vicinissimo al mio amico gli

ha fatto una domanda per distrarlo e senzaalcun preavviso ha sprofondato la lama nelcuore, uccidendolo con una sola pugnalata.Se non potete vedere le mani di un potenzialeaggressore, se sono nascoste dietro la schienao in tasca oppure se sono rivolte controqualche parte del suo corpo, domandateviperché. La risposta probabile è che stanascondendo un’arma. Cannan portavasempre con sé una vecchia sporta nella qualeteneva un assortimento di armi pericolose:mentre la sua vittima prescelta era impegnataa rispondere alla domanda che le aveva fattoper distrarla, egli aveva il tempo necessarioper estrarre dalla sporta l’arma che gliserviva.

Nel caso in cui più persone si stannoavvicinando alla vittima, di norma tuttimanifesteranno gli stessi segnali.

Manovra a tenagliaSe si tratta di più di un aggressore, la prassi èche uno di loro impegna la vittima con undialogo atto a distrarla mentre l’altro si spostadi lato alla vittima. Mentre l’attenzione dellavittima è concentrata sulla domanda esull’individuo che si trova di fronte, l’altroattacca. Questo era uno dei metodi d’attaccopiù comuni nel nightclub dove lavoravo comebuttafuori ed è lo stratagemma innato dellebande di rapinatori e degli stupratori. Tante

persone vengono accoltellate oppure colpite

col vetro rotto perché vengono attaccate nondall’individuo di fronte a loro ma da quello difianco, quello che la vittima proprio nonriesce a vedere perché la sua visione si è

ristretta a “tunnel” a causa dell’adrenalina.

Come si è già detto gran partedell’aggressività che si manifesta nella societàmoderna è generata da un suo sbagliatoincanalamento. Le aggressività rivolte controdi voi non sono niente di personale quindilasciate perdere. Non fatevi trascinare dalvostro ego. Quando si è in pericolo di vital’ego è di intralcio, cacciatelo. L’istinto degliessere umani è quello di correre, non di

combattere, almeno finché non si è con lespalle al muro e privi di qualsiasi altra scelta.Credete davvero che i nostri antenaticavernicoli si sarebbero fatti una questione diorgoglio invece di darsi a gambe di fronte aduna tigre con i denti a sciabola? Credete che sisarebbero preoccupati di ciò che potevanopensare i loro compagni se non fosserorimasti a difendere il proprio onore lottandocontro una tale belva? Secondo me la lorounica preoccupazione sarebbe stata dievacuare la zona in qualunque modo,preferibilmente quello più veloce. A dire ilvero, i loro sensi sarebbero stati cosìsviluppati ed affinati che avrebbero notato lapresenza della tigre con largo anticipo esarebbero scappati senza doverla affrontare.

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Tornando ai nostri tempi, è necessarioriacquistare la capacità di ascoltare il nostroinnato istinto di sopravivenza e di affinare inostri sensi attraverso la costante

osservazione e consapevolezza dell’ambientecircostante e la corretta interpretazione deisegnali che ci vengono trasmessi.Ma è altresì necessario liberarci daicondizionamenti imposti dalla societàcontemporanea (il timore di fare la figura deldebole, la difesa della propria mascolinità, ilsostenere i propri diritti ad oltranza,l’alimentare il proprio ego) perché ciimpediscono di ascoltare quel nostrosanissimo istinto di sopravivenza.

La struttura fisica e mentale dell’essereumano è stata disegnata con il meccanismo disopravivenza incorporato. Esso non tieneconto di ciò che è giusto o sbagliato agli occhidella società ma di ciò che è giusto o sbagliatoper la sopravivenza della specie. Questo valeper circa il 95% degli umani. Infatti almomento del pericolo il 95% delle persone(l’altra 5% è classificata “sociopatica”) sentel’istinto di fuggire onde proteggere la specie.Non sapranno a livello conscio che è laprotezione della specie che li spinge a volerfuggire, sapranno che lo devono fare e basta.Ed è proprio qui che si innesca una micidialespirale di dubbi, di abbattimento morale concrollo dell’autostima, frutto in parte deiprecitati condizionamenti e in parte delsistema di insegnamento delle arti marziali lequali offrono agli allievi sempre e soltanto larisposta fisica - colpevole anche il sistema dei

gradi che erge i “maestri” al rango di unadivinità.

I gradi avanzati (i Dan per intenderci) nellearti tradizionali sono riveriti, addiritturavenerati. Tale riverenza però non è utile perabbattere l’ego, compito questo delle artimarziali, ma lo gonfia a dismisura e coltivatutte quelle caratteristiche negative cheandrebbero cacciate come demoni. Ne risultaun marzialista di grado avanzato, molto

allenato e fisicamente preparato che è

talmente vittima del proprio ego, deicondizionamenti e dell’ignoranza, da nonriuscire a cedere il suo insignificante posto albanco di un bar.

Dovete essere capaci di fiutare il pericolo ecambiare rotta. Se non potete evitarlo dovetedare retta al vostro istinto di sopravivenza ecercare sempre di scappare oppure, se ormai ètroppo tardi per la fuga, di dissuadereverbalmente chi vi provoca.

Non è facilissimo parlare quando si è inpericolo perché una gran quantità di sangueviene dirottata dal cervello verso le areemuscolose deputate all’azione fisica. La

mancanza di sangue nel cervello può lasciarviincapace di parlare con frasi compiute o senzaparole del tutto - situazione non ottimale sedovete passare alla dissuasione verbale.Anche chi riesce a parlare spesso lo fa con unfilo di voce, tremolante, che non dàl’impressione di fermezza e sicurezza di sé.L’unico modo per superare questa difficoltà aparlare nei momenti di stress estremo è quellodi esercitarsi: ci si mette in situazioni paurosecreate appositamente in ambienti controllati e

ci si esercita a parlare sotto l’influenzadell’adrenalina, cioè, con i disagi appenadescritti.

Prima di poter partecipare alle sessioni di“animal day” (n.d.t. sessioni in cui si mettono allaprova, sotto pressione, le proprie tecniche) i mieiallievi dovevano conversare tra loro perimparare ad alzare la voce al di sopra deitremori vocali e per acquisire il controllo delleproprie voci. Funzionava sempre. Proprio

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come è vero che per abituarsi all’acquabisogna bagnarsi, è anche vero che ipotizzarein eterno non vi darà mai la sensazione dellecose, occorre toccarle col mano.

Loopholing

 Loopholing è l’arte di offrire al provocatoreuna scappatoia che gli permette di uscire daldiverbio mantenendo intatto il suo orgoglio(essendo il vostro ormai tenuto strettamentesotto controllo!).Se qualcuno vi si avvicina con aria aggressivaaccusandovi di averlo “fissato”, anche se nonè vero non esitate a chiedergli scusa se ciòpuò stroncare sul nascere una situazione di

violenza. Non occorre che le vostre scusesiano supplichevoli o sottomesse. Si può usareun tono di voce del tutto naturale e frasisemplici, come per esempio “Non me ne sonoaccorto che stavo fissando, scusami”. Finedella storia. Oppure se ritenete che lasituazione lo necessita, potete essereaggressivi per far capire che è non è il caso diinsistere (personalmente riesco a dire scusa aquesti tipi in modo da farli cagare sotto dallapaura); anche questo è loopholing in quantogli si offre la possibilità di tornare dai suoiamici raccontando la balla che vi ha obbligatoa chiedergli scusa. In passato, quandocapitavano queste situazioni, prendevo daparte il provocatore, lontano dai suoi amiconi,gli mettevo il braccio attorno alle spalle e glidicevo pacatamente che se non fosse andatosubito a fare in culo da qualche altra parteavrei diviso il suo cranio in quattro davanti atutti. Quando si staccava dal mio braccio per

allontanarsi gli davo un pacca amichevolesulle spalle in modo che il fessacchiottopotesse tornare dai suoi amici e raccontargliquello che voleva per salvarsi la faccia, epoiché non c’è stato segno di aggressività daparte mia loro l’avrebbero creduto.

Le Regola “Uno tra Dieci”Uno dei miei amici, un combattente da stradaveterano, seguiva una regola da luisoprannominata “uno tra dieci”. Secondo la

sua teoria, che peraltro applicava con

indiscutibile successo, se si riusciva aindividuare e a controllare il capo di unabanda di dieci uomini, si sarebbeautomaticamente riusciti a controllare anche

gli altri nove.Egli era un gestore di pub e ogni volta cheprendeva possesso di un nuovo locale,passava le prime settimane ad osservare chifosse il capo banda della zona, ossia colui cheprovocava per primo, che si faceva avantispudoratamente. Quando aveva individuato ilsuo uomo, attendeva il momento giusto e loseparava dagli altri con la scusa magari dimostrargli le cantine. Arrivati nelle cantineegli serrava la porta e offriva all’uomo un

combattimento a due, da uomo a uomo percosì dire, per stabilire chi fosse più forte. Taleera la reputazione del mio amico comecombattente temibile che invariabilmente ilcapo banda indietreggiava e accettava ilmonito del mio amico di non rompere più leballe in quel locale. Ma il mio amico sapevache il capo banda non poteva permettersi diperdere la faccia davanti ai suoi uomini percui, all’uscita della cantina e per tutta la stradaper tornare sopra, parlava amichevolmentecon lui, e non appena fossero tornati al bar glidava pacche sulle spalle e birra gratis dellaserie amici per la pelle. Significava che ilpiccolo gradasso poteva tornaretranquillamente dai suoi amici, i quali nonavrebbero mai saputo cosa era successorealmente laggiù in cantina. Lo sapevano sololui e il capo banda, ma al mio amico questobastava perché tramite uno si era procurato ilcontrollo su tutti. Un esempio classico,

insomma, di loopholing.Facevo uso anch’io del loopholing quandolavoravo come buttafuori al night. Se un tiziosembrava in cerca di guai, lo prendevo daparte e chiedevo “Ehi, ma non mi consideripiù? Credevo fossimo amici”.Rispondeva “Già. Ma è quel bastardo là,l’ammazzo….”“Senti,” continuavo io, “se mi consideri, nonfare risse qui da me, lo sai che lavoro qui e

quindi non dovresti scegliere questo posto per

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

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far casino. Fammi un favore amico, lasciastare”.Il risultato era che il cretino tornava dai suoicompagni dicendo che per fare un favore

personale al suo amico Geoff Thompsonaveva deciso di lasciar andare quell’altrobastardo invece di rompergli la faccia cosache poteva benissimo fare in qualsiasimomento ecc. ecc.Il loopholing sta proprio qui, nel dare aqualcuno una via di uscita. In questo caso nonvoleva davvero picchiarsi, ma ormai c’eradentro e aveva bisogno di qualcosa daraccontare per salvarsi la faccia davanti agliamici.

Quasi sempre la gente, nonostante si atteggiaggressiva ( posturing) e faccia la voce grossa,non vuole lo scontro fisico. Come si è giàdetto, il 95% delle persone non vuolecombattere e se gli viene offerta una scusa -soprattutto di tipo “salvafaccia” – se neapprofitterà al volo.

Capitolo Quattro

POSTURING (l’arte di atteggiarsi)

Posturing è l’arte, tutt’altro che superata, diatteggiarsi in modo da battere l’opponenteattraverso la psiche, vincendo con l’ingannopiuttosto che con la forza. Posturing permettedi combattere senza un combattimento. In

termini volgari significa intimidirel’opponente con un inganno tanto da fargliabbastanza paura da indurlo a rinunciare alloscontro fisico.Per ogni rissa che ho risolto con la rispostafisica ce ne erano altre tre che ho risolto condelle tecniche di  posturing. Nei miei primianni da buttafuori nel nightclub, a dire il verousavo spesso il  posturing ma di solito nonrisultava molto convincente. Poi, quando hocapito il potenziale di questa antica arte, l’ho

rispolverata e studiata, affinandola alle

esigenze odierne. In seguito, ogni volta che sipresentava nel nightclub una situazionepotenzialmente pericolosa, invece di stendereil provocatore con un pugno in testa, mettevo

prima in atto delle tecniche di  posturing ecercavo di vincere la contesa con dei mezzipsicologici. Il successo ottenuto con questosistema ha fatto sì che il  posturing diventasse- come lo è tutt’ora - il pilastro portante deimiei insegnamenti di autodifesa.

In genere passo al  posturing quando ladissuasione verbale non sta funzionando. Ilfallimento della dissuasione verbale diventaevidente quando l’opponente viene avanti e

continua a toccare la vostra palizzata. Lachiusura della distanza è uno degli ultimisegnali che precedono l’attacco fisico. Nonpermetto mai all’opponente di toccare la miapalizzata più di due volte: è semplicementetroppo pericoloso.

Ma prima vorrei spiegare perché il  posturing funziona e quali sono le premesse che hannogenerato la regola del 95%. Numeroseindagini fatte in tempo di guerra hannorivelato che nella maggior parte dei conflitti(eccetto la guerra del Vietnam, ne parlerò fraun po’) il 95% dei soldati, arrivato al punto didover uccidere un altro individuo, divenivaobiettore di coscienza anche davanti al rischiodi rimanere ucciso. Vale a dire, trovandosi adover uccidere un individuo della propriaspecie il 95% delle gente non riusciva a farlo.Sparavano le loro pallottole in terra o in aria onon sparavano affatto. Da cui la necessita del

sergente che dava loro calci in culo perobbligarli a uccidere. In pratica il 5% deisoldati ha effettuato il 95% delle uccisioni.Quel 5% è una categoria di individuiconosciuto come “sociopatico” (o anti-sociale), ovvero gente che non ha remore auccidere individui della propria specie. Quasicome le cellule T che vengano inviate dalsistema immunitario per distruggere le celluletumorali o i virus che attaccano il corpoumano. L’altro 95% delle cellule nel corpo

non è stato progettato per uccidere ma è

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

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deputato a sostenere la vita.

La regola del 95% indica che nei conflittiviolenti di natura autodifensiva (come nelle

risse per strada) il 95% della gente vorràevitare il combattimento. Come nei grandiconflitti tra due nazioni la regola trova la suaapplicazione anche in quelli piccoli tra duepersone o in qualsiasi situazione che ilcervello riconosce come contenziosa. Si trattadi guerra nel microcosmo. Quindi il 95% dinoi, trovandosi davanti allo scontro fisico,diventerà obiettore di coscienza e accetteràuna scusa per uscirne. Il sanissimo istinto dicorrere e non di combattere, è profondamente

radicato nei nostri geni e risale alle nostreorigini mammifere. Tale istinto in quei tempiirti di pericolo era affinato per la sopravivenzaad ogni costo, come scappare da belve ferocio troppo grosse e/o pericolose da combattere.Per fortuna (o sfortuna a secondo dei punti divista) tale istinto è ancora dentro di noisebbene abbiamo perso la nostra capacità dicomprenderlo.

 L’istinto di correre è profondamente radicato 

Pertanto il 95% di noi umani, guardando infaccia il pericolo proverà l’impellente bisognodi correre via. Questa sensazione non vienefacilmente scacciata, è talmente forte daindurci a fuggire prima ancora di aver capitocosa stiamo facendo. Succede perché quandosiamo nello stato di dover scegliere tra“combatto o scappo”, scatta il meccanismodefinito cervello intermedio, ovvero lo statoin cui assomigliamo quasi del tutto aglianimali.

Un amico mi raccontò di come fossedisgustato dal comportamento di alcuniindividui che ai suoi occhi mostrarono“codardia” durante un gioco di realtà virtuale

a Londra. Il gioco consisteva nell’esserechiusi in una stanza ed esposti ad unoscenario di guerra finto. Alcuni uomini eranonella stanza accompagnati dalle lororagazze/mogli e attendevano allegri l’iniziodel divertimento. Senza preavviso sispalancarono violentemente le porte epiombarono nella stanza alcuni soldati cheimpugnavano armi automatiche (tutto partedel gioco) e che presero a sparareall’impazzata. Quattro degli uomini, scattato

lo stato di cervello intermedio, si lanciaronoverso l’uscio in preda al panico e uno di loroha persino calpestato la sua ragazza nellafretta di andarsene. Avevano interpretato ilpericolo come vero, scatenando l’istintoradicato da migliaia di anni nei loro geni escappando il più velocemente possibile.Spiegai al mio amico inorridito che queiuomini non hanno fatto altro che di obbedireal loro istinto di sopravivenza. Nessuno più diquei quattro si sentirà abbattuto, giù di moralee un perfetto idiota, domandandosi come avràpotuto essere così vigliacco e codardo. Civuole comprensione e volontà perdisattendere a quel genere di istinto.

Durante la guerra del Vietnam i soldativenivano addestrati a sovrastare l’istintonaturale. Il risultato era che la regola del 95%fu invertito: il 95% dei soldati eseguiva leuccisioni. Tale inversione era frutto

dell’addestramento psicologico a cui i soldativenivano sottoposti. I soldati americanisubivano la sistematica desensibilizzazione edisumanizzazione. Guardavano filmati deiVietcong che uccidevano, torturavano estupravano donne e bambini fino a quandosmettevano di considerare il nemico un essereumano, un proprio simile. Quando poientravano in zona di guerra e sparavano aiVietcong, era come se stessero sparando in unmucchio di marciume, non alle persone.

Considero la disumanizzazione una cosa

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l’arte di combattere senza combattimento

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cattiva. L’ho menzionata qui soltanto a mo’ diesempio in un contesto più ampio.

Il nostro istinto atavico è antiquato e ha

difficoltà a gestire il sovraccarico di stimolineurologici indotti dalla società moderna.Azionato dai sensi, il nostro istinto discappare o di combattere scatena l’adrenalinae il cortisolo (ormone da stress) non appenapercepisce un pericolo imminente. In teoria vabene, in quanto ci prepara per le battaglie divita o di morte contro gli aggressoricontemporanei. In realtà non è così perché isensi sono costantemente raggiunti da stimoliche sembrano dei pericoli ma che il più delle

volte non lo sono. Persino l’improvvisosuonare di un clacson può innescare l’istintodi scappare o di combattere, pompando uncocktail di ormoni da stress nel nostro sangueper sostenere uno sfogo comportamentale(combattere o scappare, per l’appunto) chepoi non avviene. Lo stesso vale per tanti altristimoli, come cambiare lavoro, casa o partner,confrontarsi con il capo ecc.; situazioni questeche possono crearci abbastanzapreoccupazioni da farci credere che laminaccia intangibile sia la tigre con i denti asciabola, ed ecco che veniamo inondati condell’adrenalina che però non viene smaltitacon uno sfogo comportamentale. Talisituazioni non ci pongono in uno scenario divita o di morte ma i nostri sensi lepercepiscono in tale modo ed ecco che sorgel’istinto di scappare o di combattere - e poichégran parte dell’umanità non è disposta arischiare quando si tratta del proprio lavoro, la

famiglia, i sentimenti e così via, sono in moltia non realizzare mai i propri sogni. È la pauraa mantenere la gente mediocre. Gli essereumani, come specie, non si rendono conto delproprio potenziale perché la paura funge dabarriera tra loro e la realizzazione dei proprisogni. E inoltre gli rimane l’effetto altamentecorrosivo del cortisolo rimasto nel sanguedopo il mancato sfogo comportamentale.

Il cortisolo, uno delle principali sostanze

chimiche rilasciate nel sangue quando sorge

l’istinto di scappare o di combattere, ha uneffetto molto corrosivo sul tessuto muscolaremorbido come quello del cuore, polmoni eintestini, e si crede che giochi un ruolo nella

distruzione di cellule cerebrali. Quindi se ilnostro stato di “scappare o combattere” è dinatura psicologica (con rilascio degli ormonida stress) senza lo sfogo comportamentale diuna fuga o un combattimento (gli ormoni dastress non vengono utilizzati e restano nelsangue come uccisori di tessuto), saremo noiad uccidere noi stessi, lentamente, da dentro.Poiché il nostro corpo lo sa, cercherà unsurrogato di sfogo per liberarsi da questiormoni intrappolati nel sangue, e di solito

quello sfogo altro non è che rabbia trasposta.Come per esempio la rabbia automobilistica,le dispute coniugali, gli eccessi di collera, ilcomportamento irrazionale e persino laviolenza stessa. Tali sfoghi, sebbene liberinoil corpo dagli ormoni intrappolati, sono dinatura contenziosa e di conseguenzadeterminano un ulteriore rilascio di ormoni dastress, creando così un ciclo vizioso.Molto si potrebbe dire su questo argomentoma mi rendo conto che sto divagando dalcontesto di questo libro (altre informazioni alriguardo sono contenute nei miei libri “Fearthe friend of exceptional people” e “The otherside of fear”).

La palizzataTorniamo dunque alla trama originale. Se, perqualsiasi ragione, vi trovate di fronte unpotenziale aggressore il quale continua atoccare la vostra palizzata e a dare segni di

voler passare all’attacco, e voi non ve lasentite di fare un attacco preventivo, dovretecreare uno spazio (gap) tra voi e lui in modoche egli si renda conto, a livello conscio,dell’esistenza di quella palizzata. In unasituazione del genere è indispensabile che eglisi renda conto che siete voi ad avere preso ilcontrollo della situazione, in caso contrariocorrerete un grave rischio. L’aggressoreschiaccerà la vostra palizzata e diconseguenza voi verrete attaccati. È

importante che con quella palizzata si crei uno

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l’arte di combattere senza combattimento

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spazio tra voi e lui di circa 1 metro e mezzo.Si crea questo spazio facendo qualche passoindietro e simultaneamente utilizzando lamano madre per spintonare l’aggressore in

modo da far arretrare anche lui (oppuresemplicemente spintonare lui indietro se perqualche ragione siete impossibilitati amuovervi). È altrettanto efficace dargli unasberla oppure un calcio Thai e poiindietreggiare. Qualsiasi approccio andrà benepurché apriate quello spazio tra voi e luisubito dopo il contatto.

L’intenzione dello spintone (o schiaffo oquale che sia l’approccio scelto) è di scatenare

in lui un rilascio di adrenalina e, si spera, ilconseguente insorgere dell’istinto di scappare.È sufficiente questo breve contatto percausare un rilascio di adrenalina, e con essaentrerà in gioco anche la Regole del 95%.Quindi se la situazione è arrivata ad un puntodi stallo e vi sembra che stia per diventare unoscontro fisico, ma non volete (o non potete)attaccarlo per primo, con il palmo della manodategli un forte spintone nel petto perspingerlo indietro e fuori portata della vostrapersona. Sostenete lo spintone con unapalizzata verbale molto aggressiva “Stai lì,cazzo, non ti muovere” o qualcosa di simile.Utilizzate delle espressioni forti peraggiungere decisione e aggressivitàall’azione.L’uso di parolacce non è casuale e non è perfare sfoggio di volgarità. Ritengo necessarioimpiegare il linguaggio forte in questifrangenti perché è quello della strada: la frase

elegante e raffinata non farebbe lo stessoeffetto e probabilmente non verrebbe neppurecompresa.Oltre ad allontanare l’opponente dalla vostrapersona, lo spazio appena descritto serve percambiare il suo stato mentale da “combatto” a“scappo”. Lo spintone senza la creazionedello spazio tra voi, lo obbligherà alla rispostafisica (reazione automatica, in quanto durantelo stato mentale di “combatto/scappo” il suocomportamento è governato dal cosiddetto

cervello intermedio e quindi molto simile a

quello di un animale, cioè imperniato sullasopravivenza). Rimanendo a distanza di tiro,di fatto lo state obbligando a colpirvi perchélo state facendo sentire come un animale

intrappolato, spalle al muro e senza scampo.Spingendolo invece fuori tiro non si sentiràobbligato a colpire e subentrerà l’impulso discappare. Tutto ciò non accadrà a livelloconscio, sono migliaia di anni di istinto che lospingeranno a fuggire a gambe levate. Eanche se non dovesse scappare lontano marimanesse nei paraggi, comunque il suodesiderio di scappare creerà in lui confusionee dubbi, stimoli questi che causeranno ilrilascio di ulteriore adrenalina con

conseguente spirale verso il basso e verso la“resa”.

Con la creazione dello spazio e laconseguente confusione, l’opponente vienecostretto a cambiare dallo stato di “attacco” aquello di “scappo”. Per dominare questo forteimpulso, quello di scappare per l’appunto,dovrà coscientemente disattendere a tutti isuoi istinti naturali e spostarsi fisicamente inavanti, verso di voi. Azione tutt’altro chefacile questa, specie se si tratta diun’opponente poco esperto. Ma se lo facessene risulterebbe ciò che io chiamo la“sindrome dei piedi appiccicosi”.L’opponente (soggiogato com’è daicondizionamenti sociali che non glipermettono di scappare come vorrebbe il suoistinto) cerca di avanzare ma i suoi piedisembrano incollati a terra; il suo corpobarcolla in avanti come se stesse cercando di

muoversi, ma i piedi restano saldamenteappiccicati al pavimento (perché il suo istintonaturale gli sta intimando di scappare).

Dopo aver creato lo spazio per metterel’opponente fuori tiro, dovete voi diventare unbersaglio difficile comportandovi dapredatore: camminate a passi decisi da destraa sinistra senza mai togliere gli occhidall’opponente, allo stesso tempo gridandocomandi del tipo “Stai lontano da me! Non

muoverti! Rimani dove cazzo sei!” e

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l’arte di combattere senza combattimento

di Geoff Thompson

disponibile su http://www.tatamido.it pag. 34 di 39 traduzione di Anne I-Shin

puntandogli il dito (puntare il dito a lui servecome supporto secondario alla vostrapalizzata verbale).

È interessante notare come il comportamentopredatorio fa scaturire nell’opponente degliistinti innati che risalgono all’alba delle nostreorigini mammifere, quando l’essere umanonon si trovava in cima alla catena alimentareed era predato da animali più grandi di lui. Ilvostro opponente si sentirà letteralmentebraccato dal predatore e ciò accrescerà ancoradi più il suo bisogno di fuggire. Questatecnica predatoria (impiegata peraltro dallamaggior parte degli animali) la possiamo

usare come strumento per costringerel’opponente alla fuga o al congelamento.

L’atteggiamento predatorio va sostenuto con

una palizzata fisica di frasi gridate, come

“Stai lì!”, e puntandogli il dito. Questapalizzata deve risultare aggressiva, quindipotete spalancare pure le braccia (ciò vieneclassificato come  posturing). Posturing è

l’arte di atteggiarsi più grandi ed aggressivi diquanto non lo sia realmente: lo fanno quasitutti gli animali, soprattutto tra membri dellastessa specie onde evitare di uccidersi avicenda ed estinguersi. Osservate il gattocome gonfia la propria coda, raddrizza il pelo,inarca la schiena e sputa come un demonio,facendosi sembrare ferocissimo nel tentativodi innescare nell’opponente l’istinto diabbandonare la contesa. Noi possiamo farealtrettanto con il comportamento predatorio.

Vi consiglio vivamente di approfittare subitodella reazione del vostro opponente al vostro

 posturing e di andarvene via non appena lecircostanze ve lo permettono e comunque alpiù presto possibile. Se è alle prese con unrilascio di adrenalina (che il processo diragionamento scambia erroneamente per“paura”), l’opponente sarà in balia del suoistinto di rimanere immobile o di fuggire.Ambedue erano delle ottime difese nei tempipreistorici quando, immobilizzandosi, sipoteva scampare ad un animale feroce la cuivista non era abbastanza buona per scorgereun uomo immobile. Chi comprende lasindrome dell’adrenalina la può usare congrande beneficio, specie se l’opponente non laconosce. Comportandoci in modo da scaturireun rilascio di adrenalina nell’opponente,stiamo sfruttando l’istinto naturale dell’uomodi fuggire piuttosto che di combattere. Inoltre,

con l’insorgere della voglia di scappare,l’opponente verrà assalito da dubbi che loporteranno a capitolare. Ma nella vita ognicosa ha il suo opposto e così, l’effettodell’adrenalina potrebbe rivoltarsi contro dinoi. Se l’opponente dovesse superare il suobisogno di scappare, purtroppo il rilasciodell’adrenalina nel suo sangue lo renderàmolto più forte, molto più veloce e assaipericoloso. Quindi la regola rimane: ritiratevidalla zona della contesa appena potete.

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disponibile su http://www.tatamido.it pag. 35 di 39 traduzione di Anne I-Shin

Mi ricordo la storia di un sensei giapponese,Maestro Abbe, un maestro di arti marziali difama mondiale. Stava tornando a casa dopouna normale serata di insegnamento nel dojo,

e mentre camminava per strada notò lapresenza di quattro uomini appostati dall’altraparte della strada, non lontano da lui. I quattrosi avvicinarono al maestro, il quale era piùche pronto. “Dacci il portafogli o sarà peggioper te”, lo intimarono. Il sensei prese il suoportafogli dalla tasca e lo gettò sulmarciapiede tra se stesso e i quattro balordi,poi disse “Io sono pronto a morire per quelportafogli. E voi?”. I quattro esitarono.Guardarono il portafogli per terra, poi il

maestro, scambiarono occhiate tra di loro.Senza pronunciare un'altra parola alzarono itacchi tutti e quattro e corsero via. SenseiAbbe riprese il suo portafogli, lo rimise intasca e proseguì tranquillamente sulla stradadi casa.

Questo tipo di approccio, anch’esso posturing, l’ho usato io stesso con successo indecine di situazioni. L’unico pericolo è che sel’aggressore dovesse superare il suo naturalebisogno di scappare oppure di restarepietrificato, allora ci potrebbero essere deiguai seri. L’elemento sorpresa sarà andatoperso di sicuro. Se scegliete di lanciare unasfida all’aggressore, dovrete essereperfettamente pronti e capaci di sostenerlafino in fondo oppure in grado di pedalareall’indietro molto, ma molto velocemente. Ionon lancio mai una sfida se non sono dispostoad accettarne le conseguenze qualora dovesse

essere accettata. Sarebbe anche il caso diosservare che se voi non credete a ciò chestate dicendo non lo farà nemmeno il vostroaggressore. Se dovesse capire che statebluffando non ci cascherà di certo.Personalmente mi alleno in match fighting (combattimenti alla pari) per poter daresostanza alle parole che pronuncio. Moltiinvece sono privi di preparazione e non sannocome comportarsi quando viene accolta unaloro sfida. Si tratta di una circostanza, questa,

che creerà nello sfidante un’insorgenza di

adrenalina e quindi l’intero processo, fino aqui descritto, verrà invertito.

Insegno spesso un trucco che fa parte del

bagaglio di un attacco preventivo, ossia, fateuna domanda al vostro assalitore perimpegnare la sua mente. La domanda puòessere di tipo astratto oppure relativa allacircostanza: “Tuo padre si chiama John?”oppure “Come sta la tua famiglia/fratello?”.C’è anche la possibilità che l’aggressore, ilquale non capirà che state usando la domandacome stratagemma per distrarlo, penserà cheforse conoscete veramente la sua famiglia.Questo stratagemma si è dimostrato efficace

in molte occasioni quando l’aggressore, trattoin inganno, ha preferito lasciar perdere. Maanche qui esiste il rovescio della medaglia:questo stratagemma è consigliabile soltantonella fase iniziale del rituale d’attacco e solose l’ambiente è idoneo. Se siete stati separatidal vostro gruppo oppure siete stati rapiti, nonusate questa stratagemma perché moltiassalitori uccidono la vittima se credono diessere stati riconosciuti. La vostra intenzionedeve sempre essere quella di spaventarel’assalitore, spingendolo a fuggire.

Entrare nella mente dell’assalitore espegnere/accendere la sua reazione“combatto/scappo” in modo da ingannarlopiuttosto che usare la forza, è un metodoavanzato che richiede una notevolecomprensione dei fattori in gioco per risultareconvincente. Occorre esercitarsi di continuose volete che funzioni senza che faccia

l’effetto boomerang su di voi. Troveretemaggiori dettagli sull’argomento nei miei libriautobiografici: “Watch my back: a bouncer’sstory”, “Bouncer” e “On the door: furtherbouncer adventures”.

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Capitolo Cinque

RESTRAINT (costrizione fisica)

La costrizione fisica viene spesso discussa nelmondo delle arti marziali. Funzionerà? Nonfunzionerà? Molti ufficiali di polizia fannocarriera con l’insegnamento di tecniche dicostrizione fisica. Personalmente credo chel’unica costrizione efficace è quella di rendereinconscio l’avversario. Mettetelo KO e sì chesarà bloccato per bene. In ogni altra evenienzala costrizione fisica è, nel migliore delleipotesi, alquanto azzardata. Le uniche

occasioni in cui ho trovato efficace le tecnichedella costrizione fisica era quandol’opponente mi ha permesso di farlo (nellesessioni di allenamento delle accademie dipolizia) oppure quando l’opponente era assaipiù debole di me. All’infuori di talicircostanze ritengo che la costrizione fisicasia semplicemente troppo rischiosa. Unindividuo che vuole combattere non si lasceràbloccare nel modo più assoluto. Ma per quelleoccasioni in cui la costrizione fisica potrebbeessere una scelta fattibile possiamo esplorarequi un paio di tecniche: dopo tutto anche lacostrizione fisica è un modo di combatteresenza combattimento!

Per bloccarlo, usa il metodo che funziona PER TE 

Ruota e strozza

Ho utilizzato questa tecnica in diverseoccasioni ma solo quando ho intuito che il

pericolo non era poi così grande o quandoavevo l’elemento sorpresa dalla mia parte e inogni caso quando ero certo di poterla fare consuccesso. Non ho mai tentato di bloccare unavversario che ritenevo davvero pericoloso:scelgo l’opzione della costrizione fisica soloed esclusivamente quando la situazione è dibasso rischio e quando ritengo di poterciriuscire.

Le illustrazioni mostrano la tecnica di “Ruota

e strozza” meglio di quanto io possadescriverla a parole.In pratica, quandola situazione è aldi là delladissuasione e dellafuga, faccio unadomanda perimpegnare lamentedell’opponente epoi con forzaspingo indietro lasua spalla sinistracon la mia manodestra mentre tirocon altrettantoforza la sua spalla destra con la mia manosinistra.

In questo modo il suocorpo viene “ruotato” e

la sua schiena finisce contro il mio petto. Poi

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avvolgo il mio braccio destro attorno alla suagola e unisco le mani per strozzarlo. Da qui inpoi, a secondo di come reagisce alla tecnica,si ha l’opportunità di dissuaderlo verbalmente

usando una leva di strozzamento comepersuasione, oppure di strozzarlo se nondemorde. Se lavorate nell’ambito dellasecurity avrete anche la possibilità ditrascinarlo fuori dal locale usando lostrozzamento.

Se state tenendo un individuo con la tecnica“ruota e strozza” e vi si avvicina un altropotenziale assalitore, dovrete lasciare la presacon la vostra mano sinistra, afferrare il collare

della camicia con la vostra mano destra permantenere la presa, e usare la vostra manosinistra per costruire una palizzata tra voi e ilnuovo arrivato. Nel frattempo state attenti anon fare troppa leva sulla gola o l’individuoperderà conoscenza.Se il secondo assalitoreinsiste nel venire avanti,riallacciate le vostre maniattorno al collodell’individuo che statebloccando e giratelo inmodo che sia egli stesso afare da palizzata tra voi el’altro.Se il nuovo arrivato nondemorde e vi sembraimminente un attacco daparte sua (taluni diventano nervosi quando simettono le mani addosso ai loro amici)potrete essere

costretti adaumentare lostrozzamento alpunto di mettereKO l’individuo chestate bloccando.Appena avrà perso isensi sbattetelo giù,sulla schiena,svenuto, tra voi e ilsecondo assalitore.

Il suo corpo inerte farà da palizzata tra voi e il

nuovo pericolo e ciò vi darà tempo sufficienteper scappare.

Attenzione: la tecnica di “ruota e strozza” è

pericolosa e richiede grande cautela. Ci sonostati parecchi morti per strozzamento - disolito per sbaglio - per via di questa tecnica.Allenatevi nell’arena controllata fino aquando non avrete sufficiente padronanza dapoterla usare con la dovuta moderazione.

Afferrare la laringe

Anche questa tecnica è da applicare soltanto

se il pericolo è minimo. L’ho usata diversevolte ma soloquando il rischioera davvero basso.È una tecnica cheuso più che altro perspaventarel’assalitore espingerlo alla fugaperché il suo effettopuò far trasalire.Afferrare la laringeè particolarmenteefficace quandol’opponente è con laschiena rivolta al muro.Afferrate l’opponente per la gola, all’internodei muscoli del collo in modo da chiudere ledita intorno al retro della sua laringe. Strizzatecon forza e sostenete la presa con dei comandiverbali molto aggressivi. Risulta molto utile

afferrare il braccio dell’opponente con lavostra mano destra mentre strizzate la laringecon la mano sinistra.

Costrizione stile wrestling

Questa tecnica veniva usata da AwesomeAnderson molto spesso. Afferrate il polso e ilgomito dell’opponente e giratelo in modo dasbilanciarlo (fuori dal suo baricentro, come

nella foto). Trovo efficace questo bloccaggio

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in quanto all’occorrenza può anche esseretrasformato in strozzamento.

Bloccaggio a due polsi

Il bloccaggio a duepolsi è utile sel’opponente tienequalcosa in manocome vetro rotto ouna bottiglia.Afferrate entrambi isuoi polsi e tenetelistrettamente controi suoi fianchi.Prestate moltaattenzione a nonessere colpiti conun colpo di testa.

Se dovete attaccare, potete partire da questopunto con un colpo di testa oppureabbracciandolo forte a mo’ di orso,sollevandolo da terra e portandolo fuori dal

locale.

Questo è praticamente tutto per quantoriguarda il mio bagaglio di tecniche dicostrizione fisica. Perlomeno queste sono letecniche che credo abbiano una qualchepossibilità di riuscita. Ne conosco centinaia dialtre ma sono tutte inefficaci e quindi nonsprecherò né il mio né il vostro tempo adescriverle. Sono certo che qualcuno avràtrovato altre tecniche che ritiene efficaci: se

esse funzionano per voi, bene, usatele purema sempre con cautela. Il servizio carcerarioinsegna molte tecniche di costrizione fisicama tutte richiedono la partecipazione di due opiù uomini perché funzionino.

Aggiungo inoltre che, se state affrontando piùdi un’opponente, l’utilizzo di una qualsiasitecnica di costrizione fisica equivarrebbe alsuicidio. Non ha senso occupare le vostremani a tenere fermo un individuo mentre ilsuo amico vi sta sfondando il cranio a calci oaffondando un coltello nella schiena. Se èestremamente pericoloso affrontare più diun’opponente, cercare di farlo mentre tenetebloccato uno di loro sarebbe pura follia.

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Biografia dell’autore

Geoff Thompson ha lavorato come pulitore, operaio in una fabbrica chimica, pizzaiolo, manovale nei lavori

stradale, portatore di materiale edile, istruttore di arti marziali, muratore, venditore di quadri, fattorino, e infinecome buttafuori in un nightclub, prima di smettere il lavoro “serio” per dedicarsi alla carriera di scrittore atempo pieno.

Fu eletto autore numero uno nel mondo in materia di arti marziali dal “Black Belt Magazine USA” e detiene ilgrado di 6° Dan di Shotokan Karate e di 1° Dan di Kodokan Judo, nonché il grado di istruttore di molte altrearti marziali.

Oggi è autore di libri best-seller, è titolare di rubriche sulla stampa periodica, ed è autore di opere teatrali e diromanzi. Ha scritto la trama di diversi film, come “Bouncer”, che nel 2003 ha avuto la nomination per ilprestigioso premio cinematografico BAFTA (British Academy of Film and Television Arts).

Geoff Thompson vive in Inghilterra con sua moglie Sharon.

Ecco l’indrizzo del sito web di Geoff Thompson http://www.geoffthompson.com/  dove potretetrovare altre informazioni sull’autore e sulle sue numerose pubblicazioni.

Potete anche scrivergli all’indirizzo di posta eletttronica [email protected]