fascicolo 1 - anno 2011

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S OMMARIO S Commentary La tradizione Formativa di SIGENP in linea con le nuove tendenze grafiche ed editoriali di Claudio Romano Topic High Light Intervista a Stefano Guandalini Quale formazione in Gastroenterologia Pediatrica di Mariella Baldassarre Continuing Medical Education Activities Pancreatite cronica in età pediatrica di Vincenzina Lucidi Pediatric Hepatology Outside Box Il follow-up del bambino trapiantato di fegato di Michela Bravi e Lorenzo D’Antiga Training and Educational Corner Studio della massa ossea nel bambino: indicazioni e limiti delle metodiche più diffuse di Martina Fomasi, Cecilia Diceglie e Stefano Mora Recent Advance in Clinical Gastroenterology Le vaccinazioni nei pazienti immunocompromessi di Antonietta Giannattasio e Alfredo Guarino News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology Il danno gastrointestinale da farmaci: quali attenzioni per il pediatra di Marco Lazzaroni, Gabriele Bianchi Porro 3 4 17 20 14 10 6

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Page 1: Fascicolo 1 - Anno 2011

SommarioSCommentaryLa tradizione formativa di SIGENP in linea con le nuove tendenze grafiche ed editoriali di Claudio Romano

Topic High LightIntervista a Stefano Guandalini Quale formazione in Gastroenterologia Pediatrica di Mariella Baldassarre

Continuing Medical Education ActivitiesPancreatite cronica in età pediatrica di Vincenzina Lucidi

Pediatric Hepatology Outside BoxIl follow-up del bambino trapiantato di fegato di Michela Bravi e Lorenzo D’Antiga

Training and Educational CornerStudio della massa ossea nel bambino: indicazioni e limiti delle metodiche più diffuse di Martina Fomasi, Cecilia Diceglie e Stefano Mora

Recent Advance in Clinical GastroenterologyLe vaccinazioni nei pazienti immunocompromessi di Antonietta Giannattasio e Alfredo Guarino

News in Pediatric Gastroenterology PharmacologyIl danno gastrointestinale da farmaci: quali attenzioni per il pediatra di Marco Lazzaroni, Gabriele Bianchi Porro

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ommarioSSRecent Advance in Basic ScienceStress, chaperoni molecolari e malattie infiammatorie croniche dell’intesino di Francesco Cappello e Giovanni Tomasello Endoscopy Learning LibraryUn caso di adenocarcinoma intestinale in un paziente di 16 anni di Filippo Torroni, Erminia Romeo, Paola De Angelis, Francesca Foschia, Paola Francalanci, Tamara Caldaro, Giovanni Federici di Abriola, Alessandro Inserra e Luigi Dall’Oglio PedGl SnapshotsTerapia reidratante nel bambino con gastroenterite acuta di Margherita Di Costanzo e Roberto Berni Canani

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L’iscrizione alla SIGENP come socio è riservata a coloro che, essendo iscritti alla Società Italiana di Pediatria, dimostrano interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica. I candidati alla posizione di soci SIGENP devono compilare una apposita scheda con acclusa firma di 2 soci presentato-ri. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae che dimostra interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.In seguito ad accettazione della presente domanda da parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di ammissione ed indicazioni per regolarizzare il pagamento della quota associativa SIGENP. quota associativa annuale SIGENP: (anno solare) € 60.Specializzandi: iscrizione SIGENP (anno solare) € 30 previa presentazione di certificato di iscrizione alla scuola di spe-cialità.

Per chi è interessato la scheda di iscrizione è disponibile sul portale SIGENP

www.sigenp.org

Per eventuale corrispondenza o per l’iscrizione alla SIGENP contattare la Segreteria SIGENP:

Area qualità S.r.l. - Via Comelico, 3 - 20135 MilanoTel./Fax 02 55 12 322 - e-mail: [email protected]

Come si diventa soCi della

CONSIGLIO DIRETTIVO SIGENP

Presidente

Vice-Presidente

Segretario

Tesoriere

Consiglieri

Annamaria Staiano

Gian Luigi de’ Angelis

Valerio Nobili

Ruggiero Francavilla

Osvaldo Borrelli, Flavia Indrio, Sandra Brusa, Pietro Vajro

Redazione e Amministrazione: Area Qualità S.r.l. Via Comelico, 3 - 20135 Milano Tel./fax 025512322 e-mail: [email protected]

Stampa: Arti Grafiche Mario Bazzi Via Console flaminio, 1 - 20134 Milano

Gestione operativa spedizioni postali: Staff srl - 20090 Buccinasco MI

Periodico trimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n. 208 del 29/04/09.

Poste Italiane Spa - Sped in A.P.D.L. 353/03 (conv. in L. 27.02.04, n° 46) art. 1, c. 1 LO/MI

Volume III - N°1/2011 - Trimestrale Area Qualità S.r.l. - Via Comelico 3 - 20135 MI

La pubblicazione o ristampa degli articoli della rivista deve essere auto-rizzata per iscritto dall’Editore. Questa rivista è spedita in abbonamento: l’indirizzo in nostro possesso verrà utilizzato per l’invio di questa e altre pubblicazioni. Ai sensi della legge n. 196/03 è nel diritto del ricevente ri-chiedere la cessazione dell’invio e/o l’aggiornamento dei dati in nostro possesso.

DiRe t toRe ReSponSAbile Giovanna Clerici [email protected]

DiRe t toRe eDitoRiAle Claudio Romano [email protected]

ReDAt toRe C Apo Mariella Baldassarre [email protected]

ComitAto Di ReDA zione Salvatore Accomando [email protected] Graziano Barera [email protected] Barbara Bizzarri [email protected] francesco Cirillo [email protected] Giovanni Di Nardo [email protected]

Erasmo Miele [email protected] Silvia Salvatore [email protected] filippo Torroni [email protected]

francesca Vincenzi [email protected]

ASSiStenti Di ReDA zione Andrea Chiaro, Donatella Comito, Alessandra Grezzani

CooRDinAmento ReDA zionAle fiorenza Lombardi Borgia

Area Qualità S.r.l. Azienda certificata da I.M.Q.

in conformità alla norma ISO 9001:2008 con certificato

CSQ n° 9175. AREQ www.areaqualita.com

© 2011 Area Qualità S.r.l.

Con il contributo di eDitoRe

Questa rivista è stampata su carta proveniente da fonti gestite in maniera responsabile e con inchiostri vegetali senza uso di alcol isopropilico.

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ommentaryCC

3

La tradizione formativa di SiGenP in Linea Con Le nuove tendenze GrafiChe ed editoriaLi

Con questo numero prende il via una nuova stagione del Giornale organo ufficiale della SIGENP. Non abbia-mo modificato la linea editoriale, ma sono state apportate importanti e sostanziali modifiche. Innanzitutto ci abitueremo al nuovo acronimo GIGENP (Giornale di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica) che da quest’anno ritorna ad essere una rivista anche cartacea e non solo elettronica. Inoltre il nostro editore ha progettato una nuova veste grafica del nostro Giornale più moderna e in linea con la sobrietà dei nostri contenuti.Con l’avvento del Web, il mondo della comunicazione scientifica, ai primi degli anni ’90, aveva colto nuove opportunità fornite dalla standardizzazione e usabilità dei mezzi. I vantaggi della pubblicazione scientifica on line hanno consentito l’eliminazione dei costi tipografici e di distribuzione però, a differenza di quanto ottimi-sticamente previsto all’inizio della “digital devolution”, la rivista cartacea ha mantenuto un inalterato fascino ed una importante potenzialità didattica e formativa, come ci hanno segnalato i Soci. Tutto ciò ha indotto la Redazione, il CD SIGeNP e l’editore a proporre questo nuovo strumento di informazione scientifica in linea con i più moderni prodotti di comunicazione. Con un enorme sforzo della Redazione abbia-mo organizzato in maniera sistematica e con una struttura predeterminata (arrivo degli articoli, revisioni e ri-esami finali), l’intero processo editoriale ed il ciclo di pubblicazione degli articoli. È stato aggiunto un abstract in inglese per avvicinare i lettori via web di altre nazioni. L’ anno 2011 può rappresentare un anno di transizione sia per l’esigenza di acquisire dimestichezza con questa nuova veste editoriale, sia per la necessità di esaurire una programmazione già avviata lo scorso anno. In tal senso saranno graditi suggerimenti e proposte da parte dei soci e dei lettori che verranno considerati per la stesura del prossimo piano editoriale.

Infine sono doverosi alcuni ringraziamenti: al CD SIGeNP ed al nuovo Presidente Annamaria Staiano, per il so-stegno e la fiducia che hanno accordato a questa Redazione, all’editore Area Qualità prezioso, professionale ed insostituibile compagno di lavoro ed all’Azienda Malesci, il cui supporto è determinante per la realizzazione di questo progetto editoriale rivolto ai Soci SIGeNP.Attendiamo i Vostri commenti sul nostro nuovo Giornale alla nostra mail: [email protected].

Claudio Romano

Claudio Romano, Messina Direttore Editoriale

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a cura di

MariELLa BaLdaSSarrE

Topic High Light

ESPGHaN - NaSPGHaN IntervIsta a stefano GuandalInI Quale formazione in Gastroenterologia Pediatrica

Quali sono a suo parere gli “step” formativi essenziali per l’acquisizione

di abilità nell’ambito della Gastroenterologia Pediatrica?

La formazione dovrebbe sempre avvenire in un centro dove operino almeno 3-4 strut-turati con provata esperienza di Gastroenterologia Pediatrica. Il percorso formativo dovrebbe prevedere una graduale acquisizione di autonomia nell’approccio clinico al paziente, nella formulazione di diagnosi differenziali, di piani di accertamenti e terapie e nello svolgimento delle varie procedure che sono ormai parte integrante della nostra disciplina (endoscopie del tratto digestivo superiore e inferiore, biopsie epatiche...). La formazione andrebbe supervisionata continuativamente, valutata e corretta, ove ca-rente, in tempi brevissimi. Inoltre dovrebbe includere anche aspetti di gestione, per esempio capacità di comunicare con il paziente e le famiglie, rispetto verso i pazienti e i collaboratori, conoscenza delle realtà sanitarie disponibili.

Ha vissuto sia la realtà italiana che quella americana: quali sono le diffe-

renze nel percorso di formazione di un medico che vuole dedicarsi alla

Gastroenterologia Pediatrica?

Negli USA, dopo aver completato la specializzazione in pediatria che dura 3 anni, si può richiedere di entrare in un corso di specializzazione in Gastroenterologia Pediatrica (fellowship) che ha la durata di 3 anni. Vi sono circa 30 università (tra cui la nostra) che offrono tale fellowship e per ognuna solitamente vi sono 1-2 posti per anno. L’accesso avviene per selezione dei candidati da parte delle varie strutture e

si basa su una valutazione che tiene conto del curriculum precedente e di un processo di colloqui (interviews) al termine dei quali la scuola definisce la propria scala di priorità tra i candidati che ha deciso di intervistare. Dall’al-tro lato, anche il candidato che tipicamente va a fare colloqui in 4-5 sedi, alla fine redige la propria scala di priorità di sedi gradite. Queste classifiche vengono inviate all’organo di controllo nazionale (la ACGME - American College of Graduate Medical Education) che, con un sistema computeriz-zato, combina tutti i dati a disposizione e in uno specifico momento (oltre 1 anno prima dell’inizio della fellowship) dichiara pubblicamente i risultati del matching che sono mandatori sia per i candidati che per le sedi. Si noti che attualmente l’iscrizione è molto competitiva, perchè vi sono circa 20-30 concorrenti per ogni singolo posto disponibile. Il primo anno di fellowship è soltanto clinico, con intensa e laboriosa attività sui pazienti ricoverati e ambulatoriali, training in procedure endoscopiche, frequenti periodi di re-peribilità notturna e nei weekends (ma solo relativamente a pazienti con problematiche gastrointestinali); il secondo ed il terzo anno sono invece

MARIELLA BALDASSARRE - U.O. di Neonatologia e T.I.N. del Policlinico Universitario di Bari

È con immenso piacere che ospitiamo in queste

pagine l’intervista al Professor Stefano

Guandalini, nostro illustre connazionale, residente da molti anni a chicago

(uSa), che possiamo senz’altro considerare

uno dei Maestri a livello internazionale della Gastroenterologia

Pediatrica. in questa intervista abbiamo parlato con lui dei

percorsi formativi in Gastroenterologia

Pediatrica.

Stefano Guandalini

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caratterizzati per l’80% da attività di ricerca, più spesso di laboratorio ma anche clinica e col ri-manente 20% di attività clinica. Tutto il percor-so si realizza sempre sotto supervisione continua (reperibilità incluse) di uno strutturato già spe-cialista. L’ACGME peraltro specifica in modo dettagliatissimo i requirements di tutto il perio-do formativo, con obblighi precisi di valutazione continua bilaterale (specializzando verso super-visori e viceversa).

Ci sono percorsi simili in Europa, ugual-

mente così ben delineati?

Credo che in Gran Bretagna il percorso di acqui-sizione di abilità sia simile a quello americano, anche se non mi pare sia ugualmente così accu-ratamente formalizzato.

In Italia non si è mai concretizzato il rico-

noscimento delle subspecialità pediatri-

che e pertanto i percorsi di formazione

sono poco standardizzati. Ritiene che

questo sia un ostacolo per la formazione

di nuovi giovani?

Certamente! Questo è peraltro solo uno dei tanti aspetti che rendono il nostro sistema educativo universitario asfittico e superato. È fin troppo evidente che senza alcuna strutturazione ufficiale di un tale percorso, ci si trova in una giungla dove solo i più fortunati (che, ahimè, non sono sempre i più meritevoli....) riescono a costruirsi attraverso sforzi personali un proprio percorso di training.

Quanto conta nel percorso di formazione l’esperienza all’estero? Qual è

secondo lei il periodo minimo di permanenza in una struttura qualificata?

Conviene concentrarsi sull’acquisizione di una tecnica o piuttosto di un

metodo di lavoro?

Non si possono dare risposte valide per ogni circostanza; dipende dall’obiettivo del training: se è quello di creare uno specialista solido, in grado di affrontare con piena autonomia sia i problemi semplici che quelli complessi che si presentano nella nostra disciplina, includendo la capacità di eseguire con efficienza procedure endoscopiche (cosa che fa parte indispensabile del training in USA) e di organizzare un’attività di ricerca valida, allora senz’altro un periodo di 3 anni è necessario. Se invece si vuole soltanto focalizzarsi sull’acquisizione di una tecnica o degli elementi necessari ad avviare un’attività di ricerca, periodi inferiori possono bastare.

il professor Stefano Guandalini è direttore della Sezionedi Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica del dipartimento di Pediatria dell’università di chicago.

È il fondatore e il direttore Medico del centroper la malattia celiaca dell’università di chicago

(uccdc), uno dei più importanti in america.É stato presidente dell’ESPGHaN (European Society

for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition) fondatore e primo presidente dellla

FiSPGHaN (Federation of the international Societies for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition).

La sua attività di ricerca sulla malattia celiacaha condotto alla stesura delle linee-guida per la diagnosi

che sono attualmente seguite in tutto il mondo, siaper quanto riguarda i bambini che gli adulti.

Oltre alla malattia celiaca, gran parte della sua recente attività di ricerca è stata rivolta allo studio delle applicazioni

cliniche dei probiotici nelle patologie gastrointestinalidegli adulti e dei bambini, su cui ha pubblicato numerosi

editoriali ed articoli originali, compresa la più grande casistica mai pubblicata sull’efficacia di un probiotico

(Lactobacillus GG) nella diarrea acuta.il professor Guandalini è autore di oltre 150 pubblicazioni

(articoli originali, editoriali, invited review) su riviste con impact factor. È autore di quattro libri: tre testi

di Gastroenterologia Pediatrica ed uno recente sulla diagnosi e le novità terapeutiche nella diarrea acuta.

È stato relatore ad oltre 200 congressi nazionalied internazionali ed è stato organizzatore di più

di 10 meeting nazionali ed internazionali.

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a cura di

EraSMO MiELE

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continuing Medical

Education activities Pancreatite cronica in età pediatrica

INTRODUZIONELa Pancreatite Cronica (PC) è una infiammazione cronica del parenchima pancreatico caratte-rizzata da alterazioni morfologiche irreversibili (calcificazioni, modifiche delle caratte-ristiche duttali, ecc). La sua storia naturale può essere completamente asintomatica fino alla manifestazione di insufficienza secretiva enzimatica (stadio IV), può essere carat-terizzata clinicamente da episodi ricorrenti di Pancreatite Acuta (PA) senza segni di PC (stadio II) o da ulteriori episodi di infiammazione acuta con sicuri segni radiologici di danno d’organo (stadio III), [Tabella 1] (1).Pur essendo una malattia a bassissima incidenza (10 casi/100.000 persone per anno) è probabilmente sottostimata anche in età adulta ma soprattutto non si conosce la sua reale prevalenza in età pediatrica. Sappiamo da studi epidemiologici dell’adulto che la forma ereditaria che rappresenta il 20-25% delle PC, ha un esordio clinico nella maggior parte dei casi nelle prime due decadi di vita. La complessa classifica-zione di M-ANNHEIM, in grado di includere eziologia, stadiazione e severità della PC, elaborata per l’età adulta, testimonia la confusione e le difficoltà di diagnosi e inquadramento di questa patologia multifattoriale, complessa, in cui tra i diversi fat-tori di rischio sono elencati l’ereditarietà, le alterazioni anatomiche dei dotti, possi-bili cause immunologiche, ambientali (malnutrizione, alcool, nicotina) ma soprattut-to, malattie croniche e/o sistemiche [Figura 1, Tabella 2] (2). Quest’ultimo è un capitolo molto rilevante per l’età pediatrica perché coinvolge patologie che mostrano un in-cremento significativo della loro incidenza, come le malattie infiammatorie croniche intestinali, la colangite sclerosante primitiva, la cirrosi biliare primitiva e l’artrite reumatoide. Importante per l’età pediatrica è il possibile danno pancreatico da far-maci determinato da un significativo aumentato utilizzo di immunosoppressori (3) o la possibilità di sviluppo di una pancreatite autoimmune anche se la letteratura in-ternazionale relativa all’età pediatrica riporta solo segnalazioni aneddotiche (4).

Lo stesso algoritmo diagnostico della PC non sempre permette una diagnosi precoce perché si basa sull’evidenza del danno parenchimale della ghiandola (stadio già fibrotico di infiammazione cronica con sovvertimento della strut-tura ghiandolare) attraverso gli studi di imaging e non attraverso la biopsia pa-renchimale per via transcutanea, tecni-ca ancora complessa da effettuare, so-prattutto in età pediatrica.Dopo l’ecografia, che in età pediatrica ri-spetto all’adulto ha ancora un ruolo, la Risonanza Magnetica con Colangiopan-creatografia post secretina (CPRM) per-

Vincenzina LucidiUOC di Fibrosi Cistica Dipartimento di Medicina PediatricaOspedale Pediatrico Bambin Gesù IRCCS di Roma

Today the most important challenge for the

pediatrician is the early diagnosis of cP because technical difficulties to

perform histological exams. Surely the

endoscopic retrograde colangiopancreatography improved the cP diagnosis

correlated with the morphological alterations of the biliopancreatic duct system. On the other hand,

the study of the genes involved in the intracellular

protection mechanism, which prevents the early

activation of trypsinogen in trypsin, will promote

the development of etiopatogenetic knowledge

of cP. Knowledge of the underlying intracellular mechanism will promote the development of new

therapeutic approaches.

Fig. 1 Malattie infiammatorie del pancreas

Pancreatite cronica: processo di un disordine multifattoriale

Pancreatite acuta: evento (non progressivo)

ambiente

fattori strutturali

geneticaimmunità

Tripsinogeno Tripsina Infiammazione cronica Fibrosi

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mette nella maggior parte dei casi di diagnosticare le patologie biliopancreatiche su base malformativa, ri-servando alla Colangiopancreatografia Retrograda Endoscopica (CPRE) un ruolo più interventistico (papillotomia, rimozione calcoli, posizionamento di stent o drenaggio di pseudo cisti) (5-6).Nella attuale era post-genomica assistiamo comun-que ad una continua rivoluzione sulle conoscenze patogenetiche dell’infiammazione cronica pancrea-tica, con la possibilità di riscrivere in un futuro pros-simo l’eziopatogenesi della PC e delle così dette “pancreatiti acute ricorrenti idiopatiche”.C’è un crescendo di evidenze scientifiche a dimo-strazione del ruolo di alterazioni geniche nello svi-luppo della PC, cause possibili di una autoattivazio-ne precoce del tripsinogeno a tripsina nell’interno dell’acino pancreatico o di inattivazione dei mecca-nismi di controllo propri della cellula epiteliale dot-to-acinare. I geni oggi conosciuti sono il gene PRSS1 che codifica per il tripsinogeno cationico, il gene PRSS2 che codifica per il tripsinogeno anioni-co, lo SPINK1 che codifica per l’inibitore della trip-sina pancreatica secreta e il CTRC che codifica per un enzima che degrada tutte le isoforme umane di tripsina/tripsinogeno [Figura 2] (7-8). Non sono an-

Tab. 1 Stadiazione clinica M-ANNHEIM (modificata da Chari e Singer)

Pancreatite cronica asintomatica

0 pancreatite cronica subclinica

a fase asintomatica

b episodio singolo di pancreatite acuta (possibile esordio della pancreatite cronica)*

c pancreatite acuta con complicanze severe

Pancreatite cronica sintomatica

I pancreatite cronica senza insufficienza pancreatica

a pancreatite acuta ricorrente (assenza di dolore tra gli episodi di pancreatite)

b dolore addominale ricorrente o cronico (incluso dolore tra gli episodi di pancreatite acuta)

c I a/b con complicanze severe**

II pancreatite cronica con parziale insufficienza pancreatica

a insufficienza pancreatica isolata esocrina o endocrina senza dolore addominale

b insufficienza pancreatica isolata esocrina e endocrina con dolore addominale

c II a/b con complicanze severe**

III pancreatite cronica con insufficienza pancreatica completa

a insufficienza pancreatica endocrina e esocrina con dolore addominale

b III con complicanze severe**

IV pancreatite cronica senza dolore

a insufficienza pancreatica esocrina e endocrina senza complicanze severe**

b insufficienza pancreatica esocrina e endocrina con complicanze severe**

*Un paziente con un singolo episodio di pancreatite (senza altri sintomi di pancreatite cronica) e con fattori di rischio per pancreatite cronica dovrebbe essere classificato come “0 b” in assenza di un quadro morfologico o funzionale di pancreatite cronica. Al contrario un paziente dovrebbe essere classificato come “I a” in presenza di segni di pancreatite cronica (es: calcificazioni).

**Le complicanze severe sono classificate in reversibili e irreversibili. Le complicanze severe reversibili includono: ascite, sanguinamento, pseudoaneurismi, ostruzione o stenosi del coledoco, fistola pancreatica e stenosi duodenale. Le complicanze severe irreversibili includono: trombosi della vena porta o spleni-ca con o senza ipertensione portale e cancro pancreatico.

Tab. 2 Classificazione M-ANNHEIM dei fattori di rischio multiplo per la pancreatite cronica

M pancreatite da fattore di rischio Multipli

-

A assunzione di Alcool

N assunzione di Nicotina (tabagismo)

N fattori NutrizionaliNutrizione (es: dieta ad elevato contenuto lipidico e proteico) - Iperlipidemia

H Ereditarietà* - possibili mutazioni nei geni PRSS1, CFTR o SPINK1

Ealterazione dei dotti Efferenti - pancreas divisum – pancreas anulare o altre anomalie congenite-ostruzione dei dotti pancreatici (es: tumori, traumi) – disfunzione dello sfintere di Oddi

I fattori Immunologici - pancreatite in presenza di malattie autoimmuni (Es: MICI, sindrome di Sjogren, colangite sclerosante primitiva)

M Miscellanea - farmaci – ipercalcemia e iperparatiroidismo – insufficienza renale cronica

La classificazione M-ANNHEIM si basa sull’ipotesi che nella maggior parte dei pazienti la pancreatite cronica risulta dall’interazione di fattori di rischio multipli

*La pancreatite ereditaria e familiare è definita in accordo a Whitcomb. Per eredita-rietà si definisce un quadro di pancreatite il cui fenotipo viene ereditato con modalità autosomica dominante. Per familiare si definisce un quadro di pancreatite causa-to da qualunque condizione presente in una famiglia con un’incidenza superiore a quella che ci si aspetterebbe per un’associazione casuale. Di conseguenza la pancre-atite familiare può anche non essere causata da un difetto genico. La pancreatite idiopatica si riferisce ad un quadro di pancreatite isolato in ambito familiare e per la quale siano state escluse tutte le cause note di pancreatite.

Page 8: Fascicolo 1 - Anno 2011

Continuing Medical Education Activities

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cora chiare le conseguenze funzionali e fenotipiche del PRSS1 ma è nota la sua alta penetranza (80%). Fra gli altri, il gene CFTR, responsabile della malattia Fibrosi Cistica (FC) è sicuramente il gene maggiormente studiato nelle sue correlazioni con lo sviluppo di pancreatite cronica e nei modelli fisiopatologici che esprime. Con gli studi di sequenziamento dell’intero gene CFTR è stata dimostrata un’alta per-centuale di mutazioni CFTR in uno o entrambi gli alleli in pazienti con PC o acuta ri-corrente (43% una mutazione, 11% due mutazioni). È importante però sottolineare che non tutti i pazienti portatori di mutazioni CFTR sviluppano pancreatite così come non tutti i portatori di SPINK1 e/o PRSS1 (9). Nello studio di Bishop (9) il 20% dei bambini con pancreatite acuta ricorrente o cronica e positività per le mutazioni CFTR rientrava-no nei criteri diagnostici di una FC classica. Ciò sottolinea la necessità di escludere sem-pre in bambini e adolescenti con pancreatite e CFTR positivo la F. Cistica con il test del sudore e/o lo studio dei potenziali nasali, per le implicazioni terapeutiche e per la pre-venzione dell’insufficienza respiratoria e di altre possibili complicanze.Pur essendo il CFTR il gene apparentemente più coinvolto (PRSS1 e SPINK1 sono stati riscontrati solo nel 7% e 4% rispettivamente di PC), molti ancora sono i dubbi da chiarire sul suo ruolo. Infatti non si conoscono ancora le conseguenze funzionali di oltre il 40% delle 1.700 mutazioni CFTR oggi identificate; sappiamo che solo una piccola percentuale di mutazioni è riconosciuta responsabile della malattia classica FC (CF causing) e che altre sono responsabili di forme lievi di malattia con espressione iniziale di patologie mono-orga-no come l’infiammazione cronica pancreatica (CFTR-related disorder associated) (10). Il gene CFTR codifica per una proteina che costituisce il canale del cloro localizzato sulla membrana apicale delle cellule epiteliali secretorie ed assorbitive del pancreas, intestino, fegato, vie aeree, vasi deferenti e ghiandole sudoripare. Il suo malfunzionamento disidrata le macromolecole all’interno dei dotti pancreatici e riduce la secrezione di bicarbonati, complicanze responsabili di una attivazione intraparenchimale del tripsinogeno a tripsina.L’aspetto più innovativo emerge dallo studio di P. Durie (10) della scuola di Toron-to, pubblicato recentemente: è il primo studio sistematico in grado di dimostrare l’associazione tra un alto rischio di pancreatite con il genotipo CFTR mild (rischio aumentato del 71%, hR 2.4), rispetto al genotipo moderato-severo, suggerendo

Fig. 2 Pancreatite acuta recidivante e cronica e scoperte geneticheda Annu. Rev. Genomics Hum Genet 2009 (12)

Mappatura di un gene della pancreatite ereditaria sul cromosoma 7q35

Identificazione di una mutazione missensecon apparente acquisto di funzione nel gene del tripsinogeno cationico (PRSS1)

Si osserva che le mutazioni PRSS1con perdita di funzione proteggono dalla pancreatite cronica

Mutazionidel tripsinogeno anionico (PRSS2) proteggono dalla pancreatite cronica

tripsinogeno C (CTRC) degrada tripsinogeno tripsina

Identificazione del CTRC come nuovo genedella pancreatite

Pancreatite come disturbo autodigestivo (Chiari)

La pancreatite ereditariaè una malattia autosomica dominante

Correlazione mutazioni CFTR e pancreatite cronica idiopatica

Perdita di funzionedel gene dell’inibitore della tripsina pancreatica secretoria (SPINK1) predisponente pancreatite cronica

Scoperta del recettore calcium-sensing (CASR) come modificatore malattia pancreatica

Triplicazionedel trypsinogen locus causa pancreatite ereditaria per effettodel dosaggio del gene

Sequenziamento completodel tripsinogeno umano

1986 1992 1996 1998 2000 2003 2006 2007 2008

Page 9: Fascicolo 1 - Anno 2011

Pancreatite cronica in età pediatrica

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anche alcune influenze sul fenotipo da parte di geni modificatori (11). Lo studio, in collaborazione tra il Consorzio Canadese per gli studi genetici di FC ed il centro FC di Verona, dimostra l’alto rischio di pancreatite nei pazienti FC con sufficienza pancreatica (22.4%) e definisce alcune caratteristiche cliniche: la diagnosi di FC in pazienti con qua-dri iniziali di pancreatite generalmente è in età più avanzata (14,9 anni, range 9.5-27.7) e si associa a dosaggi di cloro al test del sudore più basso rispetto alle forme classiche. Il basso livello di cloro e la maggiore età alla diagnosi sono strettamente correlati con di-sfunzioni più lievi della proteina di membrana codificata dal gene CFTR ma anche le forme lievi dimostrano un elevato rischio di sviluppo di insufficienza esocrina a causa del progressivo danno parenchimale.Le conoscenze attuali portano ad ipotizzare un continuum nell’ampio spettro di una disfunzione del CFTR: pazienti con importante disfunzione del gene correlati allo sviluppo di FC classica secondo i criteri stabiliti a livello internazionale e pazienti CFTR positivi ma che non rientrano nei criteri della malattia conclamata ma poten-zialmente a rischio di danno mono-organo (pancreatite, bronchiectasie, azospermia, sinusite cronica, ecc.). Nell’estremo opposto portatori di mutazione che non espri-meranno alcuna malattia correlata al gene CFTR nel corso dell’intera vita. Quale ruolo abbiano in questi casi i fattori ambientali è ancora difficile da definire ma sicu-ramente assistiamo ad una progressiva riduzione delle percentuali di pancreatite si-ne causa anche in età pediatrica così pure nelle percentuali di pancreatite “correlata all’abuso di alcool” dell’età adulta (la presenza di mutazioni CFTR nella PC corre-lata all’alcool è due volte più alta dell’atteso). Sicuramente la patogenesi di una pancreatite è molto più complessa di quanto oggi scientificamente spiegabile attraverso la riduzione di flusso pancreatico causato dall’ispessimento delle secrezioni e formazioni di pluggs, conseguenti alla disfunzio-ne dei canali ionici delle cellule duttali ed ancora più difficile da prevedere, come queste conoscenze possano avere ricadute translazionali nella pratica clinica.È nostro compito, comunque, riconoscere precocemente i bambini affetti da questa complessa patologia infiammatoria e cercare di definire quando possibile la sua ezio-logia per poter applicare modelli di prevenzione anche attraverso l’informazione e la formazione dei genitori prima e del ragazzo, appena possibile, con l’obiettivo di mi-gliorare la qualità di vita dei pazienti.

BIBLIOGRAFIA

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Annu Rev Genomics Hum Genet 2009;10:3:1-3.25.

• è utile in età pediatrica

ricercare la causa

di iperamilasemia anche

se asintomatica

• Essenziale escludere cause

malformative di pancreatite

ricorrenti/croniche

• Nei bambini sintomi tipo

“gastroenterite” possono

essere espressione

di infiammazione pancreatica

acuta

• Le pancreatiti ereditarie sono

forse più comuni di quanto rite-

nuto in passato

• In particolari casi i test genetici

aiutano ad identificare pazienti

con Fibrosi Cistica atipica

Key Points

Page 10: Fascicolo 1 - Anno 2011

10

a cura di

FraNcEScO ciriLLO

Pediatric Hepatology

Outside Box

La sopravvivenza a lungo termine dei bambini trapiantati di fegato nei giorni nostri, po-nendosi tra l’80 ed il 90% a distanza di 10 anni, risulta ottima [Figura 1] ed in continuo mi-glioramento [Figura 2]. In Italia vi sono circa mille bambini epatotrapiantati, seguiti con un programma condiviso tra centri trapianti, ospedali provinciali e pediatri di libera scelta. Dopo aver visto migliorare rapidamente i risultati del trapianto sul breve termine, siamo oggi chiamati a guardare avanti per prevenire i possibili effetti che la malattia di base, la tossicità dei farmaci assunti ed il vissuto di malattia del paziente potranno avere durante la transizione all’età adulta e successivamente.

I CONTROLLI CLINICI DURANTE IL FOLLOW-UPIn questi pazienti il nuovo fegato si colloca più comunemente in epigastrio mentre l’ipocondrio destro alla palpazione appare più spesso disabitato [Figura 3]. Gli accer-tamenti necessari sono in particolare quelli riguardanti la funzione epatica, il livello dei farmaci immunosoppressori, i marcatori dell’autoimmunità e le infezioni da vi-rus quali il virus di Epstein-Barr (EBV) ed il Citomegalovirus (CMV) [Tabella 1]. Esi-ste una stretta correlazione tra livelli elevati di tacrolimus, infezione primaria da EBV e sviluppo di malattia linfoproliferativa. Per tale ragione è di fondamentale im-portanza assicurarsi che i livelli dei farmaci immunosoppressori siano nel range de-siderato, senza aver timore che si sviluppi un rigetto [Tabella 2].

I FARMACI IMMUNOSOPPRESSORII farmaci immunosoppressori usati più comunemente in questi pazienti sono gli inibito-ri delle calcineurine, e cioè il tacrolimus e la ciclosporina, il prednisone, alcuni farmaci antimetaboliti come il micofenolato mofetil ed un inibitore di m-TOR, il sirolimus. Gli

effetti collaterali più comuni del tacrolimus includono l’iper-potassiemia, l’ipertensione, il diabete e la nefrotossicità, mentre il micofenolato mofetil è stato associato a depressio-ne midollare e disturbi gastrointestinali, in primo luogo la diarrea. Il sirolimus può causare dislipidemia, pancitopenia, ulcere orali, polmonite interstiziale. Il cortisone è spesso so-speso al sesto mese dopo il trapianto ma studi eseguiti su larga scala suggeriscono che dosi molto basse ma continuati-ve di prednisone potrebbero migliorare la prognosi a lungo termine dell’organo trapiantato.

INTERAzIONE CON ALTRI FARMACII farmaci immunosoppressori, e in particolare il tacrolimus, hanno una finestra terapeutica molto stretta e influenzata dall’assunzione di cibo e di farmaci attivi sul citocromo P450 3A4. Il tacrolimus deve essere assunto due volte al

Il follow-up del bambino trapiantato di fegatoMichela Bravi e lorenzo D’antiga Unità di Gastroenterologia, Epatologia e Trapianti Pediatrici, Ospedali Riuniti di Bergamo

Liver transplantation (LT) is the standard therapeutic

approach for treatment of end-stage liver disease

in paediatric patients.although long-term

survivor after LT has been greatly improved

in past years, late graft dysfunction

and complications may occur during follow-up. improvement of quality

of life in trasplanted children could be obtained

through knowledge of late complications

and everlasting cooperation between

Transplant centres, local Hospitals and general

pediatricians.

Fig. 1 Sopravvivenza dopo trapiantodi fegato pediatrico a Bergamo

Sopr

avvi

venz

a cu

mul

ata

Mesi dal trapianto

0 12 24 36 48 60 72 84 96 108 120

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

Page 11: Fascicolo 1 - Anno 2011

11

giorno a distanza di 12 ore e almeno un’ora prima del pasto. I far-maci anticonvulsivanti come il fenobarbital, la difenilidantoina e la carbamazepina ne riducono il livello ematico con rischio di rigetto, mentre la gastroenterite, i farmaci antifungini imidazolici e i macro-lidi ne aumentano significativamente il livello ematico esponendo il paziente a grave tossicità. La sospetta infezione da mycoplasma pneumoniae nei bambini tra-piantati deve essere trattata preferibilmente con azitromicina, il ma-crolide che interferisce meno con i livelli di tacrolimus, o con la ci-profloxacina, generalmente attiva su tali infezioni. In caso di episodi influenzali il paracetamolo è sempre da preferire ai farmaci antin-fiammatori non steroidei come l’ibuprofene, i quali possono poten-ziare la tossicità renale del tacrolimus o favorire il sanguinamento gastrointestinale. Il succo di pompelmo è noto per interferire con il metabolismo di numerosi farmaci tra cui gli immunosoppressori di cui aumenta il livello ematico.

Fig. 3 La collocazione anatomica del fegato trapiantato utilizzandoil segmento laterale sinistro

Tab. 1 Accertamenti da eseguire periodicamente nel follow-up del bambino trapiantato di fegato

Esami ematochimici Esami strumentali Valutazioni cliniche Consulenze

ogni 3-4 mesi

Emocromo, reticolociti, PT e PTT Visita pediatrica

Elettroliti incluso magnesio Parametri vitali

Funzione renale Parametri auxologici

Funzione epatica Aderenza alla terapia

Livello farmaci immunosoppressori

Glicemia, colesterolo, trigliceridi

EBV-DNA carica virale

CMV-DNA carica virale

ogni 12 mesi

Autoanticorpi e immunoglobuline Ecografia addome Visita epatologo pediatra Dermatologia

Profilo proteico, ferritina

Sali biliari

in base all’età o insorgenza di problemi

Sierologie virali allargate Biopsia epatica Visita al centro trapiantiGinecol/OstetriciaNeuropsicologia

Fig. 2 Sopravvivenza dopo 2 annidal trapianto di fegato pediatrico

in ere diverse a Bergamo (480 trapianti)

Sopr

avvi

venz

a cu

mul

ata

Anni

0.0

0 1 2

0.2

0.4

0.6

0.8

0.7

0.5

0.3

0.1

1.0

0.9

1997-20022003-20082009-2010

Tab. 2 Livelli desiderati dei farmaci immunosoppressori nel bambino con buona funzione dell’organo trapiantato

Epoca post-trapianto Tacrolimus Ciclosporina Acido micofenolico

0-3 mesi 8-12 ng/ml 200-300 ng/ml 1-3 microgr/ml

3-6 mesi 5-8 ng/ml 150-200 ng/ml 1-3 microgr/ml

6-12 mesi 3-6 ng/ml 80-120 ng/ml 1-3 microgr/ml

Oltre i 12 mesi 2-4 ng/ml 30-60 ng/ml 1-3 microgr/ml

Livelli misurati su prelievo eseguito a 12 ore dall’assunzione dell’ultima dose

Page 12: Fascicolo 1 - Anno 2011

Pediatric Hepatology Outside Box

12

LE CAUSE DI ALTERATA FUNzIONE DELL’ORGANO TRAPIANTATOIl fegato trapiantato è soggetto a infezioni virali, come quelle da CMV ed EBV, a feno-meni di rigetto acuto tardivo (spesso causato da una scarsa aderenza alla terapia), a ri-getto cronico e a forme di epatite associate alla positività di anticorpi non organo-speci-

fici. Molti pazienti, a causa delle peculiarità anatomiche del segmento epatico laterale sinistro utilizzato nella maggior parte dei bambini trapian-tati [Figura 4], presentano una lieve colestasi cronica subclinica priva di segni evidenti di ostruzione a parte, talora, il lieve rialzo dei sali biliari ematici.

LA CRESCITA E I PROBLEMI ENDOCRINOLOGICILa crescita è spesso stentata nei bambini con epatopatie croniche; dopo il trapianto c’è un notevole recupero in altezza, però globalmente la statura finale dei bambini trapiantati è inferiore ai controlli sani, soprattutto se l’età al trapianto è più avanzata, se vi è una condizione di base che predispone alla bassa statura e se vi sono complicanze postoperatorie. Inoltre molti bambini giungono al trapianto con una ridotta densità ossea. La severità di questa condizione è collegata al grado di malassorbimento causato dalla colestasi, alle caratteristiche della malattia di base ma anche ad altri fattori

che entrano in campo nella cirrosi, pur in assenza di colestasi severa. L’osteodistrofia epatica nel bambino si risolve generalmente entro un anno dal trapianto.Il 20-30% di tutti i pazienti trapiantati sviluppa obesità. Ciò può essere in parte dovuto ai farmaci, ma è probabilmente legato più a un rinnovato senso di benessere nella famiglia nonché all’idea che l’iperfagia e l’incremento ponderale corrispondano ad un migliora-mento dello stato di salute. L’obesità va contrastata tramite un corretto consiglio alimenta-re che, pur senza proibire alcun tipo di cibo, regoli l’introito calorico e favorisca l’attività fisica e lo sport per i quali non ci sono controindicazioni assolute se non in casi selezionati.

LE VACCINAzIONIA parte i vaccini contenenti microorganismi vivi attenuati (MPR e Varicella, vaccino Sabin), tutti i vaccini inattivati possono e devono essere somministrati ai bambini tra-piantati [Tabella 3]. In questi pazienti è consigliata anche la vaccinazione contro l’influenza stagionale e contro l’in-fluenza A. Visto il rischio aumentato di neoplasie nei tra-piantati, incluso il carcinoma della cervice uterina, è di fondamentale importanza che le femmine in età prepube-re siano vaccinate contro il virus del papilloma umano (HPV). Nonostante la risposta umorale a tali vaccini possa essere debole, è dimostrato che le vaccinazioni comprese nel nostro calendario procurino comunque un vantaggio al paziente trapiantato di fronte alle epidemie.

LA SORVEGLIANzA DELLE NEOPLASIEVi è crescente evidenza che l’esposizione prolungata ai farmaci immunosoppressori, con effetto cumulativo, predisponga allo sviluppo di neoplasie con un’incidenza intorno a cento volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Mentre la malattia linfoprolife-rativa è più legata al primo periodo post-trapianto, le neoplasie più comuni nel lungo termine sono i tumori non melanocitici della cute (carcinoma spinocellulare e basocellu-lare), il sarcoma di Kaposi, il carcinoma della cervice uterina. È pertanto necessaria una

Fig. 4 La tecnica più comunementeusata per il trapianto di fegatopediatrico con segmento laterale sinistro

Tab. 3 Vaccinazioni nel bambino trapiantato di fegato

Vaccinazioni consigliate(microrganismi inattivati)

Vaccinazioni non consigliate(microrganismi attenuati)

Difterite, Tetano, Pertosse (DTP) Parotite, Morbillo, Rosolia (MPR)

Antipolio Salk, intramuscolare Antipolio Sabin, orale

Epatite B, Epatite A Varicella

Haemophilus Influenzae tipo B (HIB) Bacillo di Calmette-Guerin (BCG)

Virus del papilloma umano (HPV) Antitifica

Influenza stagionale Anti Rotavirus

Influenza A Anti Febbre Gialla

Antimeningococcica

Antipneumococcica

Dotto biliare

Vena porta

Arteria epatica

Anastomosiepatico-cavale

Superficiedi taglio

Page 13: Fascicolo 1 - Anno 2011

il follow-up del bambino trapiantato di fegato

13

valutazione dermatologica annuale, ed evitare l’esposizione diretta al sole. Le neoplasie precoci della cute potrebbero rappresentare la principale causa di morbidità e mortalità a lungo termine nei pazienti trapiantati in età pediatrica, specialmente nel nostro paese in cui il clima e la vasta superficie balneare spingono a prolungate esposizioni al sole.

LA FERTILITÀ E LA GRAVIDANzALa maggior parte di pazienti trapiantati in età pediatrica raggiunge una normale funzione sessuale e una normale fertilità. Sono state riportate sinora circa 300 gravidanze portate a termine in donne trapiantate di fegato. La mortalità materna in tali pazienti non è aumen-tata, ma sono più frequenti gli aborti spontanei e alcune complicanze ostetriche quali iper-tensione e alterazione della funzione renale. Circa il 70% delle gravidanze in donne tra-piantate è portata a termine con successo, senza particolari conseguenze per il feto se non un rischio maggiore di lieve prematurità e di peso neonatale lievemente più basso del nor-male. I farmaci inibitori delle calcineurine (tacrolimus, ciclosporina) si sono dimostrati privi di tossicità verso il feto mentre gli antimetaboliti (azatioprina, micofenolato mofetil) potreb-bero avere un basso rischio teratogeno. La condizione di trapiantata impone comunque una programmazione della gravidanza e uno stretto follow-up ostetrico e trapiantologico durante la gestazione. Per tale ragione tutte le adolescenti trapiantate dovrebbero ricevere dei consigli ostetrici/ginecologici relativi alla loro attività sessuale e fertilità.

GLI ASPETTI PSICOSOCIALI E LA QUALITÀ DELLA VITACirca il 20% dei bambini trapiantati ha difficoltà di apprendimento e richiede un’edu-cazione speciale. Durante l’adolescenza questi pazienti devono essere aiutati a supera-re dei problemi di scarsa autostima, ansia, difficoltà di relazione e di bassa performan-ce scolastica. L’incertezza sul futuro e il forte desiderio di normalità spingono spesso l’adolescente a smettere di assumere la terapia immunosoppressiva, evento che condu-ce a severi episodi di rigetto, perdita dell’organo e talora decesso del paziente. Tuttavia l’età precoce al trapianto, la lunga distanza dall’intervento e soprattutto l’atteggiamen-to positivo della famiglia inducono molti ragazzi trapiantati a condurre una vita nor-male e percepire un’ottima qualità di vita.

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after liver transplantation. Liver Transpl 2005;11:51-60.

• La sopravvivenza a lungo termine

dei bambini trapiantati di fegato

è ottima (80-90% a 10 anni)

• I farmaci immunosoppressori

usati più comunemente

in questi pazienti sono gli inibitori

delle calcineurine (tacrolimus,

ciclosporina), il prednisone,

alcuni farmaci antimetaboliti

come il micofenolato mofetil ed

un inibitore di m-TOR, il sirolimus

• I farmaci immunosoppressori,

e in particolare il tacrolimus,

hanno una finestra terapeutica

molto stretta e influenzata

dall’assunzione di cibo e

di farmaci attivi sul citocromo

P450 3A4. Esiste una stretta

correlazione tra livelli elevati

di tacrolimus, infezione

primaria da EBV e sviluppo

di malattia linfoproliferativa.

È di fondamentale importanza

assicurarsi che i livelli dei farmaci

immunosoppressori siano

nel range desiderato

• A parte i vaccini contenenti

microorganismi vivi attenuati

(MPR e Varicella, vaccino Sabin),

tutti i vaccini inattivati possono

e devono essere somministrati

ai bambini trapiantati

• Il 20-30% di tutti i pazienti

trapiantati sviluppa obesità.

L’obesità va contrastata tramite

un corretto consiglio alimentare

che, pur senza proibire alcun tipo

di cibo, regoli l’introito calorico

e favorisca l’attività fisica

e lo sport per i quali non ci sono

controindicazioni assolute

se non in casi selezionati

Key Points

Page 14: Fascicolo 1 - Anno 2011

14

a cura di

barbara bizzarri

e francesca vincenziTraining and

educational corner

Descrizione Delle metoDicheLa densitometria a raggi-X a doppia energia (dual-energy x-ray absorptiometry, DXA) è attualmente la metodica più utilizzata per la misurazione della densità mi-nerale ossea (BMD). Consente di misurare la BMD in diverse regioni scheletriche [tabella 1], e si basa sull’assorbimento di raggi-X da parte dei tessuti costituenti la re-gione sottoposta all’analisi. Sono utilizzati due livelli di energia al fine di ottimizzare la separazione tra la componente minerale e il tessuto molle (1,2). Il contenuto mi-nerale osseo (BMC) viene calcolato seguendo specifici algoritmi ed opportune cali-brazioni. I valori di BMC vengono poi divisi per l’area di proiezione della regione analizzata e convenzionalmente espressi come BMD (g/cm2).Negli ultimi anni un interesse sempre maggiore in pediatria è stato riscontrato per la ultrasonografia quantitativa (quantitative ultrasound, QUS). La QUS prevede la gene-razione di impulsi di ultrasuoni che vengono trasmessi (trasversalmente o longitudinal-mente) attraverso il tessuto osseo indagato. Si misurano la velocità di propagazione dell’onda sonora (speed of sound, SOS) o la sua attenuazione (broadband ultrasound attenuation, BUA). Entrambe presentano un’associazione con la densità minerale. Le misure con QUS sono effettuate in siti scheletrici periferici [tabella 1] (3).

inDicazioni all’inDagineNegli ultimi anni l’interesse per la valutazione della massa ossea in età pediatrica è notevolmente aumentato. Lo scheletro in crescita, infatti, è particolarmente suscetti-bile alle modificazioni metaboliche indotte da molte patologie croniche o alle altera-zioni strutturali indotte da alcune patologie congenite o genetiche [tabella 2]. In epoca pediatrica notevole interesse si è dimostrato nei confronti delle patologie ga-

strointestinali quali il malassor-bimento, la celiachia, la fibrosi cistica e la malattia infiamma-toria cronica intestinale (4). In particolare, tra i soggetti affetti da celiachia, numerosi studi hanno dimostrato una riduzio-ne importante della massa os-sea tra i soggetti non trattati e gli effetti benefici della dieta priva di glutine (5). Un aumen-tato rischio di malattia ossea è stato evidenziato anche in cor-so di malattia infiammatoria cronica intestinale ed in parti-colare di Morbo di Crohn (6).

Studio della massa osseanel bambino: indicazioni e limiti delle metodiche più diffuseMartina FoMasi1, CeCilia DiCeglie2 e steFano Mora2

1U.o. di Pediatria e neonatologia, istituto scientifico san raffaele di milano2laboratorio di endocrinologia Pediatrica e servizio di mineralometria ossea computerizzata Pediatrica, Bonetwork, istituto scientifico san raffaele di milano

The list of medical conditions that are

detrimental for a normal development of bone mass

is expanding, including several gastrointestinal disorders. dual-energy X-ray absorptiometry (dXa) and quantitative ultrasonography (Qus) are the most frequently

used techniques in pediatric patients.

each of them has limitations that must be considered for the

correct interpretation of the results in growing

individuals.

tab. 1 Caratteristiche delle principali tecniche utilizzate in pediatria per la misura della massa ossea

DXa QUs

siti di misurazione• Vertebre lombari• Scheletro intero• Avambraccio

Falangi della mano• Tibia• Radio• Calcagno•

componente ossea misurata • Corticale e trabecolare integrata • Corticale e trabecolare integrata

Parametri misurati• Contenuto minerale osseo (BMC, g)• Area ossea (cm2)• Densità minerale ossea (BMD, g/cm2)

• Velocità dell’ultrasuono (SOS)• Attenuazione dell’ultrasuono (BUA)• Tempo di trasmissione nell’osso (BTT)

tempo di scansione (minuti) 0.5 - 7 1 - 5

Precisione della misura (%) 0.7 - 2.6 0.4 - 7.0

Dose radiante effettiva (μsv) 0.02 - 1.0 Nessuna

Page 15: Fascicolo 1 - Anno 2011

15

interPretazione Dei risUltatiL’osteoporosi è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in base ad un va-lore di BMD del femore o della colonna verte-brale inferiore a -2,5 deviazioni standard (SD) rispetto al valore medio caratteristico di una popolazione giovane (T-score) (7). L’OMS non ha fissato dei valori diagnostici per l’età pedia-trica. Recentemente, la Società Internazionale di Densitometria Clinica (ISCD) ha stabilito delle linee guida per l’analisi della massa ossea nei bambini (8). I dati di massa ossea, espressi in SD dalla media per sesso ed età (Z-score), infe-riori a -2, sono da considerarsi patologici. La definizione di “osteoporosi” viene riservata esclusivamente ai casi in cui vi sia la presenza contemporanea di Z-score ≤ -2 e fratture. I dati normativi per la massa ossea sono stati ot-tenuti da soggetti sani, in cui lo sviluppo dello scheletro e l’età cronologica procedono in modo sincrono. Questo può non essere vero in bambini malati con bassa massa ossea. Da qui la racco-mandazione a valutare gli esami densitometrici secondo l’età scheletrica del paziente.

limitiI problemi più frequenti riscontrati in età pedia-trica sono riportati in tabella 3. Ogni metodica presenta delle peculiarità. L’esame per la valuta-zione della densità ossea effettuato mediante DXA presenta alcune limitazioni non ancora del tutto superate:• non permette di effettuare una misurazione

volumetrica della densità ossea, fornisce piut-tosto una misura “areale” (data dal rapporto tra BMC, espresso in g, e area di proiezione della regione analizzata, espressa in cm2) che non tiene conto della crescita tridimensionale dell’osso (1). É quin-di molto facile incorrere in sotto- o sovra-stime dei valo-ri di BMD, soprattutto considerata la grande varietà di dimensioni ossee nei pazienti pediatrici;

• la normalizzazione dei risultati ottenuti mediante DXA viene effettuata considerando una distribuzione omoge-nea del tessuto adiposo lungo la regione ossea analizzata, di fatto non corrispondente alla realtà. Questo errore può alterare i risultati fino al 10% del valore effettivo (9).

Anche considerando l’analisi di massa ossea effettuata mediante QUS, è opportuno riportare alcune caratteristi-che che possono inficiare il buon esito dell’esame (10):

tab. 2 Condizioni associate a riduzione della massa ossea o fratture in età pediatrica

Disordini del tessuto connettivo

Osteogenesis imperfecta

Omocistinuria

Sindrome di Ehlers-Danlos

Sindrome di Marfan

Displasia fibrosa

condizioni croniche

Immobilizzazione prolungata

Anoressia nervosa

Celiachia

Malattia infiammatoria cronica intestinale

Fibrosi cistica

Tumori

Malattia reumatica

Talassemia e anemia falciforme

Insufficienza renale

Infezione da HIV

endocrinopatie

Deficienza degli ormoni sessuali/ipogonadismo (acquisito o genetico)

Sindrome adrenogenitale

Deficienza dell’ormone della crescita

Iper ed ipotiroidismo

Iperprolattinemia

Disordini neurologiciParalisi cerebrale

Distrofia muscolare

Farmaci

Glucocorticoidi

Anticonvulsivanti

Ciclosporina

Eparina

Metotrexate

tab. 3 Limiti delle tecniche per la misura della massa ossea in soggetti pediatrici.

relativi alla metodica

• Misura bidimensionale della massa ossea (DXA)• Software differenti per le dimensioni del soggetto (QUS, DXA)• Uso di sonde ultrasonografiche di diverse dimensioni (QUS)• Modifiche della posizione della sonda ultrasonografica (QUS)• Interferenza della quantità di tessuti molli (QUS, DXA)

relative al soggetto

• Cambiamenti nella composizione corporea• Movimenti durante l’esecuzione dell’esame• Cambiamenti nelle dimensioni ossee (studi longitudinali)

Page 16: Fascicolo 1 - Anno 2011

Training and Educational Corner

16

• le sedi ossee più comunemente analizzate non sono quelle maggiormente predispo-ste al rischio di fratture. Risulta più complesso stabilire l’effettiva correlazione tra i valori misurati e l’eventuale rischio di osteoporosi;

• l’assenza di una standardizzazione per la calibrazione degli strumenti rende impossibi-le paragonare i risultati ottenuti da macchinari differenti e correggere eventuali errori;

• lo spessore del tessuto sottocutaneo può interferire con alcuni parametri dell’esame ultrasonometrico generando errori inevitabili.

BiBliograFia

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• ll valore di massa ossea

al termine dell’accrescimento,

è un fattore determinante

lo sviluppo di osteoporosi

in età adulta

• La lista di condizioni associate

ad una riduzione della massa

ossea in età pediatrica

è in costante espansione,

portando ad una crescente

richiesta di esami densitometrici

• Le metodiche più utilizzate

nel bambino e nell’adolescente

sono la densitometria a raggi-X

a doppia energia (DXA) e

l’ultrasonografia quantitativa

(QUS)

• Valori normativi sono disponibili

per entrambe le metodiche

• Le misure di massa ossea

sono influenzate da diversi

fattori, quali le dimensioni

delle ossa, lo sviluppo

puberale, l’età scheletrica,

la quantità di tessuti molli.

L’interpretazione dei dati deve

considerare queste variabili

Key Points

Page 17: Fascicolo 1 - Anno 2011

17

a cura di

silvia salvatorerecent advance

in clinical

Gastroenterology

Le vaccinazioni sono uno strumento fondamentale di promozione della salute e di econo-mia sanitaria e rientrano tra le priorità del Piano Sanitario Nazionale (1). Le raccoman-dazioni sulle pratiche vaccinali sono basate sulla valutazione delle evidenze scientifiche dei benefici e costi per ottenere livelli di protezione ottimali nei confronti di malattie infet-tive prevenibili con vaccino e, d’altra parte, degli eventuali rischi legati alla vaccinazione. La disponibilità di vaccini raccomandati solo per alcune categorie e di nuovi vaccini, l’anti-HPV e l’anti-rotavirus, da una parte fornisce importanti strumenti di prevenzione, dall’altra apre il dibattito sulle loro strategie di utilizzo e sulle modalità dell’offerta.

LE VACCINAZIONI NEI BAMBINI CON MALATTIA CRONICANelle strategie vaccinali è fondamentale garantire la protezione dei bambini con malattie croniche che espongono il paziente ad un aumentato rischio di malattie infettive che posso-no risultare particolarmente gravi e condizionare negativamente l’evoluzione della patolo-gia di base. Tuttavia, ci sono gravi problemi organizzativi e disparità di accesso ai servizi vaccinali nelle diverse realtà geografiche italiane (2,3). Dall’indagine conoscitiva Icona 2003 dell’ISS è emersa una copertura vaccinale insoddisfacente nei bambini a rischio (solo l’8% aveva ricevuto almeno una dose di vaccino antinfluenzale e il 6% di vaccino antipneu-mococcico) (2). Tali dati sono stati confermati nella più recente indagine Icona 2008, che ha anche documentato l’eterogeneità delle coperture vaccinali a livello regionale (3).In Italia, alcune vaccinazioni sono obbligatorie per legge; lo strumento legale, nonostante possa apparire anacronistico, ha tutelato il diritto alla salute ed alla prevenzione di ogni bambino sul territorio nazionale, ha garantito la copertura finanziaria delle spese di vacci-nazione ed ha permesso di raggiungere coperture vaccinali molto elevate. Tuttavia, sebbe-ne le evidenze scientifiche suggeriscano che le vaccinazioni obbligatorie ed integrative siano necessarie nei bambini a rischio, la copertura vaccinale in tale categoria resta modesta (4). Spesso i bambini con malattie croniche ricevono le vaccinazioni obbligatorie in ritardo ri-spetto alla schedula prevista o non ricevono affatto alcune vaccinazioni integrative.Alcune condizioni di rischio, quali l’infezione da HIV, talvolta diventano false controindi-cazioni all’effettuazione delle vaccinazioni finendo con il diventare un ostacolo ingiustifi-cato per la prevenzione delle malattie infettive. Indicazioni talora divergenti e dubbi con-cernenti sicurezza ed efficacia delle vaccinazioni possono contribuire a determinare tali incertezze operative. Le linee guida esistenti non sempre sono in grado di rispondere a tali dubbi o lo fanno in maniera eterogenea a seconda del contesto geografico-culturale. Le categorie a rischio che devono ricevere la vaccinazione antinfluenzale sono ben defini-te nei piani vaccinali, mentre meno standardizzate sono le indicazioni per altre vaccina-zioni, quali il tipo di vaccinazione antipneumococcica da somministrare in alcune fasce di età o le indicazioni alla vaccinazione antimeningococcica (1). Infine, le vaccinazioni integrative raccomandate sono differenti a seconda della categoria di rischio. In pratica “non tutti devono fare tutto!”.

Le vaccinazioni nei pazienti immunocompromessi AntoniettA GiAnnAttAsio e Alfredo GuArino Dipartimento di Pediatria, Università “Federico II” di Napoli

children with chronic medical conditions are

at increased risk of severe complications related

to vaccine-preventable infections.

although prevention is an important area

of at-risk children care, immunization rate in

this population appears still inadequate, being

influenced by many factors as the kind of immunization strategy adopted by health

authorities, being under treatment at a specialist

centre, the level of parents awareness about the importance of vaccinations.

Page 18: Fascicolo 1 - Anno 2011

Recent Advance in Clinical Gastroenterology

18

LE VACCINAZIONI RACCOMANDATE NEI BAMBINI CON IMMUNOSOPPRESSIONE: ALCUNI ESEMPIBambini con infezione da HIV Un eccesso di mortalità da polmonite o influenza durante la stagione influenzale è stato riportato in persone affette da HIV (5). Nella stessa popolazione, lo Pneumococco è cau-sa frequente di infezioni invasive e non invasive con rischio di insorgenza di resistenza antibiotica e necessità di trattamenti difficoltosi e costosi (6). In bambini HIV-positivi, il morbillo e la varicella possono dare manifestazioni cliniche più severe, una durata della malattia prolungata e rischio di complicanze più elevato rispetto ai bambini sani (7,8). Seppure la risposta immunologica alle vaccinazioni possa essere subottimale in tale catego-ria rispetto alla popolazione sana, soprattutto in presenza di linfociti T CD4+ bassi, le evi-denze scientifiche raccomandano l’esecuzione delle vaccinazioni obbligatorie e di quelle integrative nei bambini con HIV, con pochissime controindicazioni. L’unica controindica-zione, inerente i vaccini a virus vivi attenuati (MPR e anti-varicella) è l’immunosoppressione severa, cioè una conta dei linfociti T CD4+ <15%, per il rischio di severe complicanze con-seguenti alla vaccinazione in presenza comunque di una risposta immune al vaccino insod-disfacente (9). I bambini con infezione da HIV devono quindi ricevere, oltre le vaccinazioni obbligatorie, anche la vaccinazione antinfluenzale stagionale, quella antipneumococcica, l’MPR e l’antivaricella (se con linfociti T CD4+ ≥15%). Non ci sono studi che documentino un aumentato rischio di infezione da meningococco e l’efficacia del vaccino antimeningo-coccico in bambini HIV-infetti non è nota; tale condizione, tuttavia, non ne rappresenta una controindicazione (9). La vaccinazione è fortemente raccomandata in presenza di altre con-dizioni di rischio concomitanti, quali deficit di fattori del complemento o asplenia (9).

Bambini con malattia infiammatoria cronica intestinale (IBD) Negli ultimi anni la terapia delle IBD è drammaticamente migliorata. Essa prevede l’uso di corticosteroidi, immunomodulatori, biologici. Sebbene efficaci,tali terapie pon-gono il paziente con IBD a rischio di sviluppare infezioni, alcune delle quali sono po-tenzialmente prevenibili con le vaccinazioni. Nonostante l’aumentato rischio di infezio-ni, molti pazienti con IBD non sono vaccinati in modo adeguato (10). La convinzione che le vaccinazioni non possono essere somministrate in sicurezza ai pazienti con IBD rappresenta uno dei motivi di scarsa copertura vaccinale. La presenza di immunosop-pressione severa, indotta dal trattamento farmacologico, rappresenta l’unica controin-dicazione alla somministrazione di alcuni vaccini. I bambini con IBD dovrebbero rice-vere anche il vaccino MPR, a meno che non sia in programma di iniziare una terapia immunosoppressiva nelle successive 6 settimane (11). Tale vaccinazione può essere somministrata con sicurezza anche ai contatti familiari dei pazienti immunosoppressi (12). Le stesse indicazioni valgono per la vaccinazione antivaricella. I vaccini inattivati possono essere somministrati con sicurezza ai pazienti con IBD, anche se immunode-pressi, e ai loro contatti familiari. E’ importante immunizzare annualmente per l’in-fluenza tutti i pazienti con IBD poiché alcuni di loro possono avere una risposta anti-corpale adeguata, e, in ogni caso, risposte subottimali possono comunque conferire un certo grado di protezione (11). I pazienti con IBD devono ricevere anche la vaccinazio-ne antipneumococcica, e una dose booster dopo 5 anni se immunodepressi (11). Infine, il vaccino antimeningococco è raccomandato in presenza di concomitanti fattori di ri-schio.

CONCLUSIONINel campo delle vaccinazioni è possibile individuare tre funzioni principali rappresentate da:

1. Chi consiglia la vaccinazione2. Chi somministra il vaccino 3. Chi controlla che la vaccinazione sia stata effettuata.

Queste funzioni sono svolte, nel caso dei bambini con patologia cronica, da diverse figure professionali (pediatri di libera scelta, medici dei centri vaccinali, pediatri dei

Page 19: Fascicolo 1 - Anno 2011

Le vaccinazioni nei pazienti immunocompromessi

19

centri di riferimento) la cui funzione cambia a seconda del ruolo più o meno attivo delle ASL nelle campagne vaccinali, della patologia cronica e del tipo di vaccinazione. Ciò comporta ruoli spesso sovrapposti o, al contrario, deficitari tra le diverse figure pro-fessionali, con il risultato di un quadro generale eterogeneo e confuso (13, 14).Un’inefficace strategia vaccinale nei soggetti a rischio può essere dovuta a diverse situa-zioni, quali:• Mancata conoscenza da parte del medico della necessità e del beneficio di sommi-

nistrare vaccinazioni supplementari al bambino con patologia cronica. • Concentrazione sulla gestione della malattia di base tralasciando la prevenzione

delle malattie infettive.• Errata percezione della patologia cronica come possibile controindicazione per

l’esecuzione delle vaccinazioni.• Errata identificazione della figura professionale che deve occuparsi dell’esecuzione

delle vaccinazioni. • Informazione non adeguata alle famiglie dei pazienti con patologia cronica.Allo scopo di migliorare le coperture ed i percorsi vaccinali è, quindi, fondamentale defi-nire “chi deve essere vaccinato, per cosa e da chi”. La maggior parte delle raccomandazioni dispo-nibili a livello nazionale ed internazionale sono di scarsa qualità, essendo rappresentate principalmente da revisioni narrative o opinioni di esperti. Pochissime sono le linee guida evidence-based disponibili. Inoltre, considerato che non sarebbe etico effettuare studi ran-domizzati controllati sulle vaccinazioni, le indicazioni alla somministrazione dei vaccini sono spesso basate su dati indiretti o mutuati dagli adulti. La necessità che emerge è quella di avere un modello possibilmente unico a livello nazionale patologia-specifico, con una chiara identificazione dei ruoli a carico dei centri vaccinali, dei pediatri di famiglia e dei centri di riferimento che seguono pazienti a rischio. È necessario che chi è “in charge” di vaccinare i bambini risponda di quello che ha fatto (e/o non ha fatto).

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Proposta di progetto

In ambiente SIGENP vengono assisti-ti bambini a rischio tra cui epatotra-piantati, bambini con IBD, bambini in nutrizione clinica e quelli con fibrosi cistica. Con la modifica del titolo V della Costituzione le Società Scientifiche sono chiamate in un ruolo di coordinamento sul territorio nazionale. Sarebbe auspi-cabile che si attivasse in ambito SIGENP un gruppo di lavoro trasversale per valu-tare le coperture vaccinali e i percorsi di questi bambini nei diversi centri italiani. I risultati scientifici potrebbero essere comunicati agli assessorati regionali, alla conferenza stato/regione, e devono es-sere oggetto di un documento tecnico inserito nei LEA. Il progetto verrà prossi-mamente diffuso in ambito SIGENP.

Per suggerimenti e collaborazioni po-tete contattare i sottoscritti ai seguen-ti indirizzi:

Alfredo [email protected]

Antonietta [email protected]

• Le vaccinazioni rappresentano

una priorità del Piano Sanitario

Nazionale e rientrano nei livelli

essenziali di assistenza che le

aziende locali devono garantire.

• I bambini con patologie

croniche (quali quelli con

immunosoppressione) devono

ricevere tutte le vaccinazioni

obbligatorie e gran parte

di quelle integrative, con

pochissime controindicazioni.

• La copertura vaccinale,

soprattutto per le vaccinazioni

integrative, è bassa nella

maggior parte dei bambini

con patologia cronica.

• Allo scopo di migliorare le

coperture ed i percorsi vaccinali

è fondamentale definire “chi

deve essere vaccinato, per cosa

e da chi”.

Key Points

Page 20: Fascicolo 1 - Anno 2011

20

a cura di

Graziano Bareranews in Pediatric

Gastroenterology

Pharmacology

TraTTo gasTroenTerico superioreepidemiologiaSu scala mondiale, più di 30 milioni di persone consumano giornalmente farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), con una spesa medica diretta superiore a 2 miliardi di dollari. Si è stimato che almeno 14 milioni di americani consumano ogni giorno FANS acquisiti sia dopo prescrizioni mediche, sia come automedicazione. In particolare, nella popolazione con età maggiore di 65 anni si è osservato un consumo giornaliero di FANS con una frequenza del 30-35% ed un consumo settimanale in non meno del 70%. La situazione statunitense è emblematica della realtà di altri paesi occidentali (1,2).La prevalenza media della dispepsia nei consumatori di FANS è risultata essere del 25-30%, con un intervallo molto ampio, dall’8 al 61%; negli anziani, in particolare, si è osser-vato che la prevalenza di disturbi digestivi è superiore, con una prevalenza del 60% quando si utilizzino FANS diversi dall’aspirina (ASA) e dell’80% con ASA. Per quanto concerne le lesioni mucose, i FANS si associano ad una maggior incidenza di lesioni gastriche e duode-nali, con una variabilità che dipende dalla durata della terapia: dal 5% dopo 3 mesi al 25-30% dopo 12 mesi di trattamento e con un aumento di circa 46 volte del rischio per ulcera gastrica e di 8 volte per quella duodenale. Il rischio di complicanze severe (emorragia, per-forazione) aumenta di circa 4-5 volte (3), con una incidenza di 0.5-1/1000 pazienti-anno, significativamente più elevata negli anziani (3.2/1000 pazienti-anno) che nei giovani (0.4/1000 pazienti-anno) e con un maggior rischio di mortalità specifica.L’esperienza in età pediatrica è limitata ma suggestiva per un rischio di effetti in-desiderati da FANS a carico del canale gastroenterico so-vrapponibile a quel-lo dell’adulto; in una esperienza in una po-polazione di bambi-ni di età compresa tra 2 e 16 anni (4), si è documentato un maggior rischio rela-tivo medio di 8.2 con un rischio più basso per aspirina e più elevato per ibuprofe-ne [Figura 1].

Il danno gastrointestinale da farmaci: quali attenzioni per il pediatraMarco Lazzaroni, GabrieLe bianchi PorroDivisione di gastroenterologia, ospedale L. sacco, a. o. e polo universitario di Milano

The widespread use of the nonsteroidal anti-inflammatory drugs (nSaids) results in a

substantial overall number of patients who experience

gastrointestinal complications. dyspeptic

symptoms are estimated to occur in 10 to 60% of nSaid users, and gastroduodenal lesions was observed in 10

to 30% of nSaid takers. The selective coX-2 inhibitors are safer

than traditional nSaids, provided that co-teraphy with aspirin is excluded. nSaids may also cause

damage distal to the duodenum. Mucosal lesions

have been observed in 40 to 70% of long term nSaids users. cyclo-oxygenase-2

inhibitors appear to be safer to the small intestine than traditional nSaids.

odd ratio

0

2

4

6

8

10

Fig. 1 I FANS sono causa di emorragia digestiva anche nei bambini (2 mesi-16 anni). Rischio espresso come Odd Ratio, di emorragia digestiva superiore in giovani pazienti

in relazione al tipo di molecola antiinfiammatoria utilizzata. Modificato da bibliografia 4

12

7.3

8.2

10

Aspirina Tutti i FANS

Ibuprofene

Page 21: Fascicolo 1 - Anno 2011

21

Fattori di rischio La ben nota assenza di correlazione tra manifestazioni soggettive e lesioni mucose rende molto importante il tentativo di identificare i pazienti maggiormente esposti al rischio di complicanze (5). Fattori di rischio definiti sono: età avanzata, comorbidità, pregressa ulcera peptica, soprattutto se complicata, concomitante uso di aspirina, di altri FANS, di steroidi o di anticoagulanti; tipo di FANS utilizzato, dosaggio e durata del trattamento. L’Helicobacter pylori si è dimostrato un fattore di rischio soprattut-to nei pazienti che assumono aspirina, anche a basse dosi, ed in coloro che assumono FANS per la prima volta (6).

Trattamento e prevenzione delle lesioni mucose TrattamentoNei pazienti che possono sospendere l’agente offensivo, i farmaci H2 antagonisti (ranitidina e famotidina) e gli ini-bitori di pompa protonica (IPP) sono risultati sovrapponi-bili nella terapia della dispepsia e delle lesioni da FANS; nei casi in cui i pazienti sono costretti a continuare la tera-pia con antiinfiammatori, gli IPP si sono dimostrati signi-ficativamente più efficaci, sia nel controllo dei sintomi sog-gettivi, sia nella cicatrizzazione delle ulcere gastriche e duodenali (7).

ProfilassiL’approccio alla profilassi di pazienti in trattamento acuto o cronico con farmaci antiinfiammatori non steroidei de-ve considerare, in prima istanza, la possibilità di utilizzare trattamenti alternativi, farmacologici e non. Se l’impiego dei FANS è inevitabile, sono state suggerite linee guida che prevedono:

riconoscimento dei fattori di rischio per complicanze;• utilizzo di FANS in monoterapia ed alle dosi minime • utili;l’impiego di molecole meno gastrolesive, quali gli inibi-• tori preferenziali e selettivi della cicloossigenasi-2 (CO-XIB);l’associazione (co-terapia) di farmaci che riducono il ri-• schio di danno gastro-duodenale: antisecretivi o cito-protettori con FANS tradizionali o con i COXIB (8).

Gli inibitori di pompa si sono rivelati significativamente più efficaci degli H2 antagoni-sti (ranitidina e famotidina) nelle prevenzione dei disturbi dispeptici, delle ulcere gastri-che e duodenali e delle loro complicanze emorragiche; gli IPP sono risultati sovrappo-nibili a misoprostol nella prevenzione delle ulcere gastriche, ma rispetto a questo farmaco hanno evidenziato una significativa minor incidenza di effetti collaterali (do-lori addominali e diarrea, presenti in percentuali variabili, fino al 40% dei casi). L’associazione di IPP e FANS tradizionali si è dimostrata efficace come i COXIB soltan-to; l’associazione di IPP con un COX2 inibitore selettivo non ha fornito risultati migliori di quelli osservati con l’associazione con i FANS non selettivi. La Tabella 1 fornisce alcuni suggerimenti per ottimizzare l’impiego di FANS in età adulta e pediatrica.

Tab. 1 Prevenzione del danno gastrointestinale superiore da FANS: alcuni suggerimenti

prescrizione di Fans solo se necessari

prescrizione di analgesici, se possibile, ad es paracetamolo

riconoscimento dei soggetti ad alto rischio

impiego di Fans meno lesivi (coXiB)

co-prescrizione di Fans non selettivi ed:Inibitori di pompa protonica (IPP)Misoprostol

co-prescrizione di coXiB e ipp

La co-terapia con aspirina anche a basse dosi annulla l’efficacia protettiva di coXiB

Page 22: Fascicolo 1 - Anno 2011

News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology

22

piccoLo inTesTino e coLonL’aspirina, i FANS-non ASA non selettivi e, con minor frequenza anche i COXIB, possono indurre disturbi del piccolo e grosso intestino, la cui prevalenza, è stata a lun-go sottostimata (9). Con l’introduzione di metodiche diagnostiche affidabili e di più facile impiego clinico (videocapsula elettronica, enteroscopia, calprotectina fecale) si sono osservate lesioni intestinali in una percentuale variabile, fino al 70% dei consuma-tori di FANS non selettivi ed aspirina; si è inoltre osservata un’incidenza dell’1% all’an-no di complicanze severe, tali da giustificare ricovero ospedaliero. Percentuali significativamente inferiori, almeno del 50%, sono state osservate in espe-rienze più limitate con i COXIB (10). I farmaci antiinfiammatori possono indurre di-rettamente lesioni mucosali, variabili dalla semplice iperemia all’ulcera e alle stenosi o perforazioni, associate a manifestazioni cliniche diverse, dal dolore alle alterazioni dell’alvo, dal malassorbimento al sanguinamento occulto o manifesto; si ritiene inoltre che i FANS non selettivi e l’aspirina possano aumentare il rischio di complicanze di malattie preesistenti, quali la diverticolosi del colon e le malattie infiammatorie intesti-nali (morbo di Crohn e colite ulcerosa).

BiBLiograFia

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Per ridurre il rischio di effetti

indesiderati del tratto digestivo

superiore da FANS si suggerisce:

• Il riconoscimento dei fattori

di rischio, in particolare le

patologie cardiovascolari.

• L’utilizzo delle molecole meno

dannose e per il minor tempo

possibile.

• L’impiego di inibitori selettivi

della ciclo ossigenasi-2 da soli

od in associazione a IPP.

• La contemporanea

somministrazione di FANS non

selettivi e farmaci antisecretivi/

citoprotettori rappresenta

ancora l’opzione terapeutica

più affidabile in termini

di efficacia e sicurezza clinica.

• Gli inibitori degli H2-antagonisti

non dovrebbero essere più

utilizzati nella profilassi delle

lesioni gastroenteriche.

• Gli inibitori di pompa ed

il misoprostol sono in grado

di ridurre efficacemente il rischio

di lesioni gastriche e duodenali

e delle complicanze

emorragiche. I composti

antisecretivi sono, tuttavia,

meglio tollerati e si propongono

quindi come farmaci di scelta

nella prevenzione a breve

e lungo termine del danno

mucoso da FANS.

Key Points

Page 23: Fascicolo 1 - Anno 2011

23

a cura di

salvatore accomandorecent advance

in Basic science

IL SISTEMA DEGLI CHAPERONI MOLECOLARI E LE CHAPERONOPATIE

Nell’organismo umano è presente un sistema molecolare fisiologico, molto conservato durante l’evoluzione, costituito da diversi gruppi di proteine, gli chaperoni molecolari, che sono responsabili del mantenimento dell’omeostasi cellulare, in particolare per ciò che concerne la difesa delle cellule da vari tipi di stress (fisico, chimico, biologico, etc.) (1). Pertanto, questo sistema può essere visto come un antesignano del sistema immune, il quale nella scala filogenetica è presente solo negli eucarioti multicellulari. Non deve sorprende quindi che il sistema chaperonico e il sistema immune interagiscano tra loro a vari livelli (2). Molti chaperoni molecolari, ma non tutti, sono Heat Shock Proteins (HSP). Tuttavia nella letteratura scientifica internazionale questi due termini vengono frequentemente adoperati come sinonimi. Nelle ultime due decadi, è diventata sempre più evidente la partecipazione degli cha-peroni/HSP nella patogenesi di diverse malattie, tanto che si è sviluppata una nuova area della medicina - la chaperonologia - che oltre a definire il loro funzionamento in condizioni fisiologiche, ne studia le alterazioni strutturali o funzionali alla base dell’in-sorgenza di malattie, oggi definite chaperonopatie. Le chaperonopatie possono essere classificate, da un punto di vista eziologico, in genetiche o acquisite (2); invece, da un punto di vista patogenetico si classificano in da difetto, da eccesso e da errore o collaborazionismo; nell’ultimo caso, gli chaperoni sono presenti in normale con-centrazione ma agiscono favorendo lo sviluppo della malattia piuttosto che proteggendo l’organismo (3). La determinazione della presenza di mutazioni geniche o dei livelli sieri-ci di queste proteine può avere una utilità diagnostica e prognostica in diverse malattie come ad esempio i tumori (4). In questa breve review centreremo la nostra attenzione sull’Hsp60, uno chaperone molecolare di estrema importanza per la sopravvivenza delle cellule, coinvolto nella patogenesi di diverse malattie degenerative, autoimmuni e tumorali. In particolare, descriveremo gli studi principali che gli attribuiscono un ruolo nella patogenesi delle malattie infiammatorie croniche dell’intestino.

RUOLO DELL’HSP60 NELLA PATOGENESI DELLE MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE DELL’INTESTINO

L’Hsp60, anche chiamata chaperonina 60, è generalmente descritta come uno chape-rone intramitocondriale (4). Tuttavia, l’Hsp60 può accumularsi nel citosol a seguito sia del suo rilascio dal mitocondrio sia della iperespressione del gene. Entrambi gli eventi, non mutuamente esclusivi, si verificano come conseguenza di vari tipi di stress cellulare (4). Inoltre, la presenza dell’Hsp60 nella membrana cellulare, così come all’interno di vescicole, indica che questa chaperonina può essere secreta nello spazio extracellulare, da dove può raggiungere anche il torrente ematico (5). In par-ticolare, l’Hsp60 può essere secreta da sola o legata ad altre molecole e, all’esterno

Stress, chaperoni molecolari e malattie infiammatorie croniche dell’intestinoFrancesco cappello1 e Giovanni Tomasello2

1Dipartimento di Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze Cliniche, Sezione di Anatomia Umana “Emerico Luna”, Università degli Studi di Palermo2Dipartimento di Discipline Chirurgiche ed Oncologiche, Università degli Studi di Palermo

this brief article is focused on HsP 60, a very important

molecular chaperon for cell surviving, involved in

the pathogenesis of several degenerative, autoimmune, and neoplastic disorders.

recent reports confer unravelling role in iBd

pathogenesis.involvement of HsP 60 in cd

and uc development has been recently confirmed. in fact HsP 60 levels increase in mucosal epithelium and also in lamina propria of

affected subjects.

Page 24: Fascicolo 1 - Anno 2011

Recent Advance in Basic Science

della cellula, è in grado di svolgere funzioni complesse, quali ad esempio l’attivazione o la modulazione della risposta immune (2).L’Hsp60 può essere coinvolta nella patogenesi di numerose malattie autoimmuni e tumorali, nonché nell’invecchiamento cellulare (2,6). Ci limiteremo in questa sede a citare solo poche informazioni pertinenti il ruolo dell’Hsp60 nella patogenesi delle malattie infiammatorie croniche dell’intestino (IBD). Il coinvolgimento dell’Hsp60 nella patogenesi di entrambe le forme di IBD (malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa), sebbene fosse stato già postulato in passato, è stato confermato solo di recente (7). È noto come entrambe le forme di IBD rappresentino una condizione di elevato rischio per lo sviluppo del carcinoma colo-rettale (8,9).Analogamente a quanto osservato nelle lesioni pre-neoplastiche, anche nella mucosa dei soggetti con IBD i livelli di Hsp60 sono aumentati rispetto alla mucosa di sogget-ti normali (7). In particolare, i livelli di queste proteine erano incrementati sia nell’epitelio sia nella lamina propria e pertanto è stato possibile ipotizzare un ruolo dell’Hsp60 non solo nel mantenimento della flogosi autoimmune tipica delle fasi attive di malattia ma anche nel rimodellamento della mucosa che ne consegue. L’aumento dell’Hsp60 nella mucosa infiammata potrebbe essere dovuto a una reazione aspecifica della mucosa allo stress a cui è sottoposta a seguito dei fenomeni di ristruzione e rimodellamento che richiedono una maggiore sintesi proteica e, di conseguenza, una mag-giore quantità di proteine a cui conferire il corretto folding; in questo caso quindi l’Hsp60 svolgerebbe una normale funzione di chaperone molecolare e quindi avrebbe un ruolo ci-toprotettivo, piuttosto che promuovente la patologia. In virtù di questo ragionamento, po-trebbe essere utile monitorare i livelli di Hsp60 come indicatore di malattia e quindi questa chaperonina potrebbe avere un ruolo nel valutare la prognosi e la risposta al trattamento.Tuttavia, i livelli elevati di Hsp60 nella mucosa colica infiammata di soggetti con IBD po-trebbero essere una spia che questa chaperonina è parte di un complesso antigene-anticor-po formatosi in quanto essa è stata riconosciuta come non-self dal sistema immune.

Tab. 1 Principali cellule “target” dell’Hsp60 extracellulare. Per maggiori dettagli, vedasi (2)

Cellula/e Effetti Recettore/i Note

Macrofagi e cellule dendritiche

Produzione di IFN-alfa, a sua volta responsabile di rilascio di IFN-gammada parte di cellule T

Sconosciuto (indipendente dal TLR-4)

È stato inoltre dimostrato che l’Hsp60 non è in grado da sola di indurre la produzione di IFN-gamma

Macrofagi Produzione di TNF-alfa TRL-4L’Hsp60 autologa extracellulare può essere riconosciuta come antigene dal sistema immune innato

Granulociti neutrofili Aumenta il rilascio di specie reattive dell’ossigeno e il rilascio di enzimi dai granuli

SconosciutoL’Hsp60 rilasciata dai tessuti danneggiati può promuovere l’attivazione di una risposta immune innata contro germi patogeni che invadono gli stessi.

Monociti circolanti Produzione di TNF-alfa SconosciutoAnche in questo lavoro è stato suggerito che l’Hsp60 rilasciata dai tessuti danneggiati favorisca l’attivazione di una risposta immunitaria innata antibatterica.

Linfociti T Incremento dell’espressione di Tregs TRL-2 e/o TCRL’Hsp60 ha un ruolo immunoregolatorio sulla risposta immune adattativa attraverso l’iperespressione di Tregs

Linfociti T Proliferazione CD54 RA+ RO- I risultati di questo studio sono stati ritenuti di un certo rilievo per la comprensione della patogenesi dell’aterosclerosi

Linfociti TRiduzione dell’espressione di recettoriper chemochine (CXCR4 and CCR7)

TRL-2L’Hsp60 avrebbe un effetto immunoregolatorio durante l’infiammazione.

Linfociti T Secrezione di IL-10 CD30I risultati di questi studi sono stati ritenuti di un certo rilievo per il trattamento del diabete di tipo II o dell’artrite giovanile idiopatica.

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Stress, chaperoni molecolari e malattie infiammatorie croniche dell’intestino

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Quest’ultimo evento potrebbe essere dovuto sia a modifiche strutturali (ad esempio, post-traduzionali) della molecola umana, ma anche alla cross-reattività con gli ana-loghi batterici dell’Hsp60 (GroEL) prodotti da germi patogeni in grado di colonizza-re l’intestino come altri distretti del corpo umano (l’apparato respiratorio, le vie ge-nito-urinarie, la cute, etc) (6). In questo scenario, gli anticorpi prodotti contro GroEL, che differisce solo per pochi epitopi dall’Hsp60, non sarebbero in grado di discrimi-nare la proteina umana e reagirebbero contro di essa, incrementando lo stress nella mucosa e perpetuando l’infiammazione. In questo caso, l’Hsp60 non avrebbe un ruolo citoprotettivo ma un effetto patogenetico. Da un punto di vista pratico, anche in questo caso la misurazione dei livelli di Hsp60 potrebbe risultare un utile strumen-to diagnostico e prognostico ma, in aggiunta, questa molecola potrebbe diventare il bersaglio di una nuova strategia anti-infiammatoria.Infine, gli elevati livelli di Hsp60 nella mucosa potrebbero determinare anche un’atti-vazione del sistema immune innato. È noto infatti che specifici recettori in grado di riconoscere l’Hsp60 da sola o legata a lipopolisaccaridi batterici siano presenti su cel-lule di tipo monocito-macrofagico e che questo legame produca la produzione e il ri-lascio di citochine pro-infiammatorie [Tabella 1]. Un nostro recentissimo studio ha di-mostrato la presenza dell’Hsp60 nei macrofagi dei soggetti affetti da rettocolite ulcerosa (11); è probabile che questi macrofagi reagiscano alla stimolazione con Hsp60 producendo citochine pro-infiammatorie. Questo dato è comunque oggetto di ulterio-ri studi al momento. Infine, nello stesso lavoro abbiamo avuto modo di verificare che il trattamento combinato con mesalazina e probiotico (Acronelle, Bromatech) non solo è più efficace nel migliorare la sintomatologia del paziente affetto da rettocolite ulcero-sa ma riduce in maniera significativa anche i livelli di Hsp60 nella mucosa, rispetto al trattamento con sola mesalazina [Figura 1]. Questo dato si aggiunge agli altri indizi che portano ad ipotizzare un ruolo attivo di questa molecola nella patogenesi delle IBD.In conclusione, se questo ruolo patogenetico dovesse essere confermato, le IBD po-trebbero essere inquadrate come chaperonopatie e questo nuovo inquadramento nosografico potrebbe contribuire ad affinare non solo gli strumenti diagnostici e pro-gnostici ma anche le strategie terapeutiche.

BIBLIOGRAFIA1. Macario AJ, Conway de Macario E. Sick chaperones, cellular stress, and disease. N Engl J

Med. 2005 Oct 6;353(14):1489-501. Review.2. Macario AJ, Cappello F et al. Chaperonopathies of senescence and the scrambling of

interactions between the chaperoning and the immune systems. Ann NY Acad Sci 2010 Jun;1197:85-93. Review.

3. Macario AJL, Conway de Macario E. Chaperonopathies by defect, excess, or mistake. Ann N Y Acad Sci. 2007 Oct;1113:178-91. Epub 2007 May 4. Review.

4. Cappello F, Conway de Macario E et al. Hsp60 expression, new locations, functions and perspectives for cancer diagnosis and therapy. Cancer Biol Ther 2008 Jun;7(6):801-9. Epub 2008 May13. Review.

5. Merendino AM, Bucchieri F et al. Hsp60 is actively secreted by human tumor cells. PLoS One 2010 Feb 16;5(2):e9247.

6. Cappello F, Conway de Macario E et al. Chlamydia trachomatis infection and anti-Hsp60 immunity: the two sides of the coin. PLoS Pathog. 2009 Aug;5(8):e1000552. Epub 2009 Aug 28. Review.

7. Rodolico V, Tomasello Get al. Hsp60 and Hsp10 increase in colon mucosa of Crohn’s disease and ulcerative colitis. Cell Stress Chaperones 2010 Nov;15(6):877-84.

8. Cappello F, Bellafiore M et al. 60KDa chaperonin (HSP60) is over-expressed during colorectal carcinogenesis. Eur J Histochem 2003;47(2):105-110.

9. Cappello F, David S et al. The expression of HSP60 and HSP10 in large bowel carcinomas with lymph node metastase. BMC Cancer 2005 Oct28;5:139.

10. Cappello F, David S et al. Hsp60: molecular anatomy and role in colorectal cancer diagnosis and treatment. Front Biosci (Schol Ed) 2011 Jan 1;3:341-351.

11. Tomasello G, Rodolico V et al. Changes in immunohistochemical levels and subcellular localization after therapy and correlation and colocalization with CD68 suggest a pathogenetic role of Hsp60 in ulcerative colitis. Appl Immunohistochem Mol Morphol, in press, 2011 Mar 25.

• Gli chaperoni/HSP sono molecole

altamente conservate durante

la filogenesi ed essenziali

per la sopravvivenza cellulare

• Alcuni patogeni umani

producono chaperoni/

HSP in grado di innescare

autoimmunità per fenomeni

di molecular mimicry

• Gli chaperoni possono anche

essere secreti all’esterno

della cellula (chaperochine)

e stimolare o modulare le

risposte immuni

• Le patologie dovute ad alterate

funzioni degli chaperoni sono

dette chaperonopatie

C

B

A

Fig. 1 Indagine immunoistochimica per Hsp60 in biopsie di mucosa di pazienti affetti da rettocolite ulcerosa effettuate al momento della diagnosi (A), dopo sei mesi di terapia con mesalazina (B) o dopo sei mesi di terapia con mesalazina + probiotico (C). I livelli di Hsp60 in C sono significativamente ridotti. Vedi (11) per ulteriori dettagli

Key Points

Page 26: Fascicolo 1 - Anno 2011

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a cura di

FiLiPPO TOrrONi

E GiOVaNNi di N

ardOEndoscopy

Learning Library Un caso di adenocarcinoma intestinale in un paziente di 16 annifilippo Torroni, erminia romeo, paola De angelis, francesca foschia, paola francalanci1, Tamara calDaro, giovanni feDerici Di abriola, alessanDro inserra2 e luigi Dall’oglioSC di Chirurgia ed Endoscopia Digestiva; 1UO di Anatomia Patologica; 2SC di Chirurgia Generale e Toracica, Ospedale Pediatrico Bambin Gesù IRCCS di Roma

Riportiamo il caso di un adolescente condotto al pronto soccorso per grave anemizzazione e calo ponderale ricoverato per sospetta Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale (MICI) e sottoposto ad esami clinici, ematochimici e strumentali nel corso della degenza.

All’ingresso l’emocromo mostrava una Hb 7.5 con Indici di flogosi lievemente aumentati (PCR 2, VES 50); l’esame obiettivo generale metteva in evidenza un pannicolo adiposo scarsamente rappresentato, cute pallida, addome trattabile, fegato e milza non palpabili.

Ipotesi Diagnostica: MICI (Malattia di Crohn); sanguinamento dige-stivo oscuro (OGIB).

Nel corso della degenza sono state eseguite una scintigrafia con Tc, una gastroscopia ed una colonscopia con biopsie risultate tutte ne-gative; l’esame istologico non mostrava alterazioni istopatologiche di rilievo.

Nel sospetto di una patologia infiammatoria a localizzazione ileale è stata effettuata una videocapsula che mostrava delle lesioni macroscopica-mente suggestive per MICI tipo M. di Crohn a carico del digiuno-ileo.

Nell’intento di riuscire ad ottenere una diagnosi istologica mediante biopsie, il paziente è stato sottoposto ad enteroscopia monopallone:

Fig. 1 Videocapsula: area iperemicacon ulcerazioni a carico del digiuno

Fig. 2 Enteroscopia monopallone: massa aggettante nel lume digiunale

Small bowel tumors (SBT) are rare and represent 0.1-1.3% of all malignant SBT; we report a case of intestinal adenocarcinoma in adolescent boy with initial diagnosis of suspect of inflammatory bowel disease.

Wireless capsule endoscopy and enteroscopy balloon assisted were very important for the diagnosis;the complementary of two procedures increased the diagnostic yield of small bowel disease.

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1. Sook Hee H, Yoon Ho K, Sang Young R et al. Primary adenocarcinoma of small intestine: presentation, prognostic factors and clinical outcome. Jpn J Clin Oncol 2009;39(1)54-61.

2. Dabaja BS, Suki D, Pro B et al. Adenocarcinoma of small bowel presentation, prognostic factors and outcame of 217 patients. Cancer 2004; August 1, vol.101(3)518-526.

3. Trifan A, Singeap AM, Cojocariu C et al. Small Bowel tumors in patients Undergoing capsule

Endoscopy: a single Center Experience. J Gastrointestin Liver Dis 2010;19(1):21-25.

4. Sidhu R, Sanders DS, McAlindon ME, Thomson M. Capsule endoscopy and enteroscopy: modern modalities to investigate the small bowel in paediatrics. Arch Dis Chil 2008;93:154-159.

5. Bauer RL, Palmer ML, Bauer AM et al. Adenocarcinoma of the small intestine: 21 year review of diagnosis, treatment and prognosis. Annals of Surgical Oncology 1994;1(3):183-188.

BIBLIOGRAFIA

Fig. 4 Adenocarcinoma digiuno-ileale: pezzo operatorio ed istologico (A), Adenocarcinoma reperto istologico (B)

A

B

L’enteroscopia monopallone mostrava una lesione ulcerata, aggettante ed oc-cludente il lume digiunale; la presenza della capsula ritenuta confermava la ste-nosi serrata del viscere a questo livello.

Si è proceduto quindi all’effettuazione di biopsie multiple seriate e al recupero del-la capsula mediante retino.

L’esame istologico è risultato positivo per adenocarcinoma ileale.

Fig. 3 Enteroscopia monopallone: recupero della capsula con retino

• Anche se rari i tumori del piccolo intestino rappresentano lo 0.1-1.3%

di tutti i tumori maligni

• Il calo poderale rappresenta il segno clinico più suggestivo

per patologie infiammatorie croniche intestinali, ma non solo…

• La complementarietà delle due procedure enteroscopiche

(capsula e monopallone) aumenta la resa diagnostica

delle patologie del tenue (localizza le lesioni la prima, permette

di effettuare prelievi bioptici per lo studio istologico la seconda)

• L’enteroscopia monopallone prevede un training specifico

di apprendimento e pertanto rappresenta una procedura che

può essere eseguita esclusivamente in centri specialistici

Key Points

Il ragazzo è stato sottoposto, in urgenza, ad intervento chirurgico con resezione di 30 cm di ileo quindi a cicli di chemiote-rapia. I successivi controlli endoscopici ed istologici sono sempre risultati nella norma così come la TC total body.

Attualmente il paziente risulta in buone condizioni generali e nutrizionali e pro-segue il programma di follow-up seriato gastroenterologico ed oncologico. Fig. 5 Enteroscopia monopallone:

anastomosi chirurgica digiuno-ileale: mucosa normale

Per vedere i video accedere al portale www.sigenp.org, entrare nell’area editoria > gigenp 2011 > volume iii - n.1 aprile 2011

e cliccare “Visualizza il video” in sommario

Page 28: Fascicolo 1 - Anno 2011

1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. LUCEN 10 mg granulato gastroresistente per sospensione orale, in bustina. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni bustina contiene: 10 mg di esomeprazolo (come magnesio triidrato). Eccipienti: saccarosio 6,8 mg e glucosio 2,8 mg. Per l’elenco completo degli eccipienti vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. pallido. Possono essere visibili granuli bruni. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1. Indicazioni terapeutiche. Lucen sospensione orale è principalmente

Per la dose da 10 mg, svuotare il contenuto di una bustina da 10 mg in un bicchiere contenente 15 ml di acqua. Per la dose da 20 mg, svuotare il contenuto di due bustine da 10 mg in un bicchiere contenente 30 ml di acqua. Non usare acqua gasata.

essere masticati o frantumati. Sciacquare il bicchiere con 15 ml di acqua per assumere tutti i granuli. Per i pazienti con sondino nasogastrico o gastrico: vedere paragrafo 6.6 per la preparazione e le istruzioni per la somministrazione. Bambini da 1 a 11 anni di età con peso corporeo 10 kg

- Peso 10 - <20 kg: 10 mg una volta al giorno per 8 settimane. Peso 20 kg: 10 mg o 20 mg una volta al giorno per 8 settimane. - 10

Per la posologia

Lucen non deve essere impiegato nei bambini al di sotto dell’anno di vita o nei bambini con peso < 10 kg in quanto non sono disponibili dati.

epatica ridotta 12 anni con compromissione epatica grave non deve essere superata la dose massima di 20 mg di Lucen. Nei bambini di 1-11 anni con compromissione epatica grave non deve essere superata la dose massima di 10 mg (vedere paragrafo 5.2). 4.3. Controindicazioni.

(vedere paragrafo 4.5). peso non intenzionale, vomito ricorrente, disfagia, ematemesi o melena) e quando si sospetta o è confermata la presenza di un’ulcera gastrica, la natura maligna dell’ulcera deve essere esclusa in quanto la terapia con Lucen potrebbe alleviare i sintomi e ritardare la diagnosi. Pazienti trattati per un lungo periodo

indicato in questo gruppo di pazienti. Nei pazienti che seguono questo regime terapeutico devono essere tenute in considerazione le implicazioni dovute alle

sucrasi isomaltasi, non devono assumere questo medicinale. La co-somministrazione di esomeprazolo e atazanavir non è raccomandata (vedere paragrafo 4.5). Se l’associazione di atazanavir con un inibitore di pompa protonica è inevitabile, si raccomanda uno stretto monitoraggio clinico in associazione ad un

È stata osservata un’interazione tra clopidogrel e omeprazolo (vedere paragrafo 4.5). La rilevanza clinica di questa interazione è incerta. A titolo precauzionale, deve essere scoraggiato l’uso concomitante di esomeprazolo e clopidogrel.

il trattamento con esomeprazolo. Sono state segnalate interazioni tra omeprazolo e alcuni inibitori della proteasi. La rilevanza clinica e i meccanismi di tali

proteasi. Altri possibili meccanismi di interazione avvengono attraverso inibizione del CYP2C19. È stata segnalata una diminuzione dei livelli sierici di

atazanavir (una diminuzione di circa il 75% dell’AUC, Cmax e Cmin). Un aumento della dose di atazanavir a 400 mg non compensa l’impatto dell’omeprazolo

max e la Cmin max e la Cmin medi del

di lopinavir (in co-somministrazione con ritonavir). La co-somministrazione di esomeprazolo e atazanavir non è raccomandata e la co-somministrazione di

Farmaci metabolizzati dal CYP2C19 L’esomeprazolo inibisce il suo principale enzima metabolizzante, il CYP2C19. Quando l’esomeprazolo è associato ad altri farmaci metabolizzati attraverso il CYP2C19, come diazepam, citalopram, imipramina, clomipramina, fenitoina, ecc., le concentrazioni plasmatiche di questi farmaci potrebbero essere aumentate e potrebbe rendersi necessaria una riduzione delle dosi. Ciò va tenuto in particolare considerazione quando l’esomeprazolo viene prescritto al bisogno. La somministrazione concomitante di esomeprazolo 30 mg promuove una riduzione del 45% della clearance del diazepam, substrato del CYP2C19. La somministrazione concomitante di 40 mg di esomeprazolo promuove nei pazienti epilettici un innalzamento dei livelli plasmatici minimi della fenitoina del 13%. Si raccomanda di monitorare le concentrazioni plasmatiche della fenitoina quando si inizia o si sospende il trattamento

max e l’AUC del voriconazolo (substrato del CYP2C19) rispettivamente del 15% e del 41%. La somministrazione concomitante di 40 mg di esomeprazolo a pazienti in trattamento con warfarin ha evidenziato, in uno studio clinico, che i tempi di coagulazione

con esomeprazolo durante la terapia con warfarin o altri derivati cumarinici. Nei volontari sani, la somministrazione concomitante di esomeprazolo 40 mg e

eliminazione (t½dopo somministrazione della cisapride da sola non è ulteriormente allungato in seguito all’ associazione di cisapride ed esomeprazolo. È stato dimostrato che l’esomeprazolo non ha effetti clinici rilevanti sulla farmacocinetica di amoxicillina e chinidina. Non sono state evidenziate interazioni farmacocinetiche clinicamente rilevanti negli studi a breve termine in cui è stata valutata la somministrazione concomitante di esomeprazolo con naprossene o con rofecoxib.

RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO

rcp lucen 10mg.indd 1 19/04/11 16.02

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1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. LUCEN 10 mg granulato gastroresistente per sospensione orale, in bustina. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni bustina contiene: 10 mg di esomeprazolo (come magnesio triidrato). Eccipienti: saccarosio 6,8 mg e glucosio 2,8 mg. Per l’elenco completo degli eccipienti vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. pallido. Possono essere visibili granuli bruni. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1. Indicazioni terapeutiche. Lucen sospensione orale è principalmente

Per la dose da 10 mg, svuotare il contenuto di una bustina da 10 mg in un bicchiere contenente 15 ml di acqua. Per la dose da 20 mg, svuotare il contenuto di due bustine da 10 mg in un bicchiere contenente 30 ml di acqua. Non usare acqua gasata.

essere masticati o frantumati. Sciacquare il bicchiere con 15 ml di acqua per assumere tutti i granuli. Per i pazienti con sondino nasogastrico o gastrico: vedere paragrafo 6.6 per la preparazione e le istruzioni per la somministrazione. Bambini da 1 a 11 anni di età con peso corporeo 10 kg

- Peso 10 - <20 kg: 10 mg una volta al giorno per 8 settimane. Peso 20 kg: 10 mg o 20 mg una volta al giorno per 8 settimane. - 10

Per la posologia

Lucen non deve essere impiegato nei bambini al di sotto dell’anno di vita o nei bambini con peso < 10 kg in quanto non sono disponibili dati.

epatica ridotta 12 anni con compromissione epatica grave non deve essere superata la dose massima di 20 mg di Lucen. Nei bambini di 1-11 anni con compromissione epatica grave non deve essere superata la dose massima di 10 mg (vedere paragrafo 5.2). 4.3. Controindicazioni.

(vedere paragrafo 4.5). peso non intenzionale, vomito ricorrente, disfagia, ematemesi o melena) e quando si sospetta o è confermata la presenza di un’ulcera gastrica, la natura maligna dell’ulcera deve essere esclusa in quanto la terapia con Lucen potrebbe alleviare i sintomi e ritardare la diagnosi. Pazienti trattati per un lungo periodo

indicato in questo gruppo di pazienti. Nei pazienti che seguono questo regime terapeutico devono essere tenute in considerazione le implicazioni dovute alle

sucrasi isomaltasi, non devono assumere questo medicinale. La co-somministrazione di esomeprazolo e atazanavir non è raccomandata (vedere paragrafo 4.5). Se l’associazione di atazanavir con un inibitore di pompa protonica è inevitabile, si raccomanda uno stretto monitoraggio clinico in associazione ad un

È stata osservata un’interazione tra clopidogrel e omeprazolo (vedere paragrafo 4.5). La rilevanza clinica di questa interazione è incerta. A titolo precauzionale, deve essere scoraggiato l’uso concomitante di esomeprazolo e clopidogrel.

il trattamento con esomeprazolo. Sono state segnalate interazioni tra omeprazolo e alcuni inibitori della proteasi. La rilevanza clinica e i meccanismi di tali

proteasi. Altri possibili meccanismi di interazione avvengono attraverso inibizione del CYP2C19. È stata segnalata una diminuzione dei livelli sierici di

atazanavir (una diminuzione di circa il 75% dell’AUC, Cmax e Cmin). Un aumento della dose di atazanavir a 400 mg non compensa l’impatto dell’omeprazolo

max e la Cmin max e la Cmin medi del

di lopinavir (in co-somministrazione con ritonavir). La co-somministrazione di esomeprazolo e atazanavir non è raccomandata e la co-somministrazione di

Farmaci metabolizzati dal CYP2C19 L’esomeprazolo inibisce il suo principale enzima metabolizzante, il CYP2C19. Quando l’esomeprazolo è associato ad altri farmaci metabolizzati attraverso il CYP2C19, come diazepam, citalopram, imipramina, clomipramina, fenitoina, ecc., le concentrazioni plasmatiche di questi farmaci potrebbero essere aumentate e potrebbe rendersi necessaria una riduzione delle dosi. Ciò va tenuto in particolare considerazione quando l’esomeprazolo viene prescritto al bisogno. La somministrazione concomitante di esomeprazolo 30 mg promuove una riduzione del 45% della clearance del diazepam, substrato del CYP2C19. La somministrazione concomitante di 40 mg di esomeprazolo promuove nei pazienti epilettici un innalzamento dei livelli plasmatici minimi della fenitoina del 13%. Si raccomanda di monitorare le concentrazioni plasmatiche della fenitoina quando si inizia o si sospende il trattamento

max e l’AUC del voriconazolo (substrato del CYP2C19) rispettivamente del 15% e del 41%. La somministrazione concomitante di 40 mg di esomeprazolo a pazienti in trattamento con warfarin ha evidenziato, in uno studio clinico, che i tempi di coagulazione

con esomeprazolo durante la terapia con warfarin o altri derivati cumarinici. Nei volontari sani, la somministrazione concomitante di esomeprazolo 40 mg e

eliminazione (t½dopo somministrazione della cisapride da sola non è ulteriormente allungato in seguito all’ associazione di cisapride ed esomeprazolo. È stato dimostrato che l’esomeprazolo non ha effetti clinici rilevanti sulla farmacocinetica di amoxicillina e chinidina. Non sono state evidenziate interazioni farmacocinetiche clinicamente rilevanti negli studi a breve termine in cui è stata valutata la somministrazione concomitante di esomeprazolo con naprossene o con rofecoxib.

RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO

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(80 mg somministrati insieme a clopidogrel). L’esposizione al metabolita attivo di clopidogrel è diminuita del 46% (giorno 1) e del 42% (giorno 5) quando clopidogrel e omeprazolo sono stati co-somministrati. Quando clopidogrel e omeprazolo sono stati co-somministrati si è avuta una diminuzione del 47% (24

e omeprazolo in tempi differenti non previene la loro interazione, che sembra guidata dall’azione inibitrice dell’omeprazolo sul CYP2C19. Sono stati segnalati

eventi cardiovascolari maggiori. L’esomeprazolo è metabolizzato attraverso il CYP2C19

(AUC) all’esomeprazolo. La somministrazione concomitante di esomeprazolo ed un inibitore combinato del CYP2C19 e del CYP3A4 può portare ad dell’omeprazolo del 280%. Un

adattamento della dose di esomeprazolo non è regolarmente richiesto in entrambe le sopra menzionate situazioni, tuttavia, deve essere preso in considerazione

Per Lucen i dati clinici sull’esposizione in gravidanza

vasto numero di donne in gravidanza. Studi condotti negli animali con esomeprazolo non indicano effetti dannosi diretti o indiretti a carico dello sviluppo embriofetale. Studi condotti negli animali con la miscela racemica non indicano effetti dannosi diretti o indiretti sulla gravidanza, parto o sviluppo postnatale. La prescrizione del farmaco a donne in gravidanza deve avvenire con cautela. Non è noto se l’esomeprazolo venga escreto nel latte materno. Non sono stati condotti studi nelle donne che allattano, pertanto Lucen non deve essere usato durante l’allattamento. di macchinari. Non è stato osservato nessun effetto.

malessere, aumentata sudorazione. Comuni: cefalea. Non comuni: capogiri,

Non comuni:

preesistente.

ipomagnesiemia. renali e urinarie

della vista. Non comuni: vertigini. L’esperienza sul sovradosaggio intenzionale è attualmente

dializzabile. Come in tutti i casi di sovradosaggio, il trattamento deve essere sintomatico, adottando misure di supporto generiche. 5. PROPRIETÀ Categoria farmacoterapeutica: inibitori della pompa acida. Codice ATC: A02BC05. L’esomeprazolo

Sito e L’esomeprazolo è una base debole ed è concentrato e convertito nella forma attiva nell’ambiente fortemente acido dei canalicoli

intracellulari della cellula parietale, dove inibisce l’enzima H+K+-ATPasi - pompa acida promuovendo un’inibizione della secrezione acida basale e stimolata.

mg e 40 mg, il pH intragastrico viene mantenuto a valori superiori a 4 rispettivamente per un tempo medio di 13 e 17 ore su 24 nei pazienti con malattia da

rispettivamente pari al 76%, 54% e 24% per l’esomeprazolo da 20 mg, e pari al 97%, 92% e 56% per l’esomeprazolo da 40 mg. È stata dimostrata una correlazione tra l’esposizione al farmaco e l’inibizione della secrezione acida usando l’AUC come parametro surrogato della concentrazione plasmatica.

nel 93% dopo 8 settimane. livelli sierici di gastrina in risposta alla diminuita secrezione acida. Un aumento del numero delle cellule ECL, possibilmente correlato ad un aumento dei livelli

del paziente era il seguente: Peso < 20 kg: 5 mg o 10 mg di esomeprazolo una volta al giorno. Peso 20 kg: 10 mg o 20 mg di esomeprazolo una volta al

5.2. L’esomeprazolo è sensibile all’ambiente acido ed è somministrato per via orale in forma di

granuli gastroresistenti. In vivo,

all’89% dopo somministrazioni giornaliere ripetute. Per il dosaggio da 20 mg di esomeprazolo i valori corrispondenti sono pari rispettivamente al 50% e al 68%.

L’esomeprazolo è metabolizzato completamente dal sistema del citocromo P450

somministrazioni ripetute. L’emivita di eliminazione plasmatica dell’esomeprazolo è di circa 1,3 ore dopo somministrazioni giornaliere ripetute. La

somministrazione ripetuta di esomeprazolo. Questo aumento è dose dipendente e porta ad un aumento dell’AUC più che proporzionale alla dose dopo somministrazioni ripetute. Questa dose-dipendenza e tempo-dipendenza sono dovute alla diminuzione dell’effetto di primo passaggio metabolico e della

tempo tra le somministrazioni, l’esomeprazolo è completamente eliminato dal plasma e non ha tendenza all’accumulo quando somministrato una volta al

Popolazione di pazienti particolari Approssimativamente il 2,9±

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superata la dose massima di 20 mg. L’esomeprazolo e i suoi metaboliti principali non mostrano alcuna tendenza all’accumulo quando somministrati una volta

ridotta. Popolazione pediatrica Adolescenti dai 12 ai 18 anni di età: (AUC) ed il tempo di raggiungimento della massima concentrazione plasmatica del farmaco (tmax) negli adolescenti di 12-18 anni sono risultati simili a quelli osservati negli adulti. Bambini da 1 a 11 anni di età:

somministrazioni ripetute di 20 mg di esomeprazolo, l’esposizione totale (AUC) era più elevata nei bambini da 6 a 11 anni rispetto a quella osservata negli adolescenti e negli adulti trattati con la medesima dose. della riproduzione con somministrazioni ripetute non hanno evidenziato particolari rischi per l’uomo. Gli studi di cancerogenesi nei ratti trattati con la miscela

pronunciata ipergastrinemia secondaria all’inibizione acida e sono state osservate nel ratto dopo trattamenti protratti nel tempo con gli inibitori della secrezione

somministrazione di esomeprazolo per 3 mesi. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. Granuli di esomeprazolo: Glicerolo

80, Saccarosio sfere (saccarosio e amido di mais), Talco, Trietil citrato. Granuli inerti: Acido citrico anidro (per la regolazione del pH), Crospovidone, Glucosio, Non pertinente.

essere assunto entro 30 minuti dalla ricostituzione. Non ci sono istruzioni particolari per la conservazione. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Confezione da 28 bustine. Bustine (contenenti granuli) formate da 3 strati: polietilene tereftalato (PET), alluminio,

Per i pazienti con sondino nasogastrico o gastrico: 1) Per somministrare una dose di 10 mg, aggiungere il contenuto di una bustina da 10 mg a 15 ml di acqua. 2) Per

Agitare ed iniettare il contenuto rimasto dal sondino nasogastrico o gastrico nello stomaco. La sospensione non utilizzata deve essere scartata. 7. TITOLARE 8.

Lucen 10 mg granulato gastroresistente per sospensione orale, confezione da 28

CONFEZIONI PREZZO AL PUBBLICO CLASSE NOTA10 mg 28 bustine 18,42* A 48+1

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a cura di

salvatore accomando

PedGl snapshots Terapia reidratante nel bambino con gastroenterite acutaMARGHERITA DI COSTANZO E ROBERTO BERNI CANANI Dipartimento di Pediatria e Laboratorio Europeo per lo Studio delle Malattie Indotte da AlimentiUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

La valutazione clinica del grado di disidratazione è cruciale nella gestione del bambino con gastroenterite acuta (GA) per indirizzare il pediatra verso adeguate scelte terapeutiche. In base alla gravità clinica la disidratazione può essere classificata in lieve, moderata e grave. In letteratura sono attualmente disponibili molti schemi per una valutazione obiettiva del grado di disidratazione che prendono in considerazione parametri clinici con un’accuratezza dia-gnostica molto variabile. Tuttavia, i segni clinici più utili al fine di stabilire il grado di disidratazione sono: la valutazione dell’attività respiratoria, del tempo di retrazione delle pliche cutanee e del tempo di ritorno capillare. La soluzione reidratante orale (ORS), insieme con la rialimentazione precoce, costituisce un rimedio efficace praticamente in tutti i casi di diarrea acuta (1). È indicata la reidratazione orale in caso di disidratazione lieve, moderata o anche nel mantenimento dello stato di idratazione. Attualmente è rac-comandata la somministrazione di 30-50 ml/kg di una ORS ipotonica (sodio ≤ 60 mmol/l, osmolarità ≤ 250 mOsm/l) [Tabella 1] in 3-4 ore nei casi di disidratazione lieve; 50-100 ml/Kg di ORS in 3-4 ore nei casi di disidratazione moderata e successivamente 10 ml/Kg/die di ORS per la prevenzione della disidratazione fino al termine della sin-tomatologia. Al fine di ridurre il rischio di vomito, la ORS può essere somministrata “poco e spesso” con aliquote di 5 ml ogni 1-2 minuti. Nei pazienti che non tollerano la ORS è possibile prevedere la somministrazione della stessa mediante sondino naso-ga-strico. La reidratazione per via parenterale è riservata ai casi di vomito persistente, disidrata-zione grave, presenza di shock, insuccesso della terapia orale, impossibilità ad assumere liquidi per os [Tabella 2]. Non esiste alcuna giustificazione per l’utilizzo di comuni bibite dissetanti, suc-chi di frutta o altre bevande commerciali, che per la loro composizione (elevate concentrazioni di zuccheri, scarso contenuto di sodio, elevata osmolarità) possono determinare peggioramento dei sintomi. Allo stesso tempo non esistono giustificazioni per la sospensione dell’alimentazione

acute gastroenteritis is one of the most common

childhood diseases worldwide.

the therapeutic goal is to replace the fluid and

electrolytes losses resulting from diarrhea and vomiting.

clinical assessment of dehydration

and management of rehydration in the child with acute gastroenteritis

will be addressed to guide the pediatrician

toward appropriate treatment choices.

Tab. 1 Composizione delle più comuni soluzioni reidratanti orali in commercio in Italia paragonate alla composizione suggerita dall’European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN)

Glucosio mmol/L

Na+

mEq/LK+

mEq/LCl-

mEq/LHCO-

mEq/LCitrato mEq/L

Zn2+

mmol/LPrebiotico

g/LOsmolarità

mOsm/LCalorieKcal/L

Alhydrate* - 60 20 60 - 18 - - 250 330

Dicodral 104 30 20 41 10 - - - 205 80

Dicodral 60 90 60 20 37 - 14 - - 221 66

GES 60 110 60 20 50 30 - - - 270 80

Idravita 88 60 20 50 - 10 - - 230 80.1

Pedialyte 250 30 20 30 - 15 - - 366 180

Prereid 75 50 20 40 - 10 1FOS=0.35XOS=0.35

200 80

Reidrax 75 60 20 60 - 10 - - 225 57

Sodioral 88 60 20 30 - 16.7 - Inulina=9.0 225 73

Soluzione ESPGHAN 74-111 60 20 25-60 - 10 - - 200-250 52-80

FOS: frutto-oligosaccaridi; XOS: xilo-oligosaccaridi; * I carboidrati presenti in questa formulazione sono maltodestrine e saccarosio

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PedGl Snapshots

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prolungata o per altre restrizioni dietetiche. Al bambino può essere offerto cibo dopo sole 2-4 ore di reidratazio-ne ed in genere è utile offrire gli stessi alimenti che il piccolo riceve abitualmente. L’allattamento al seno può essere continuato al ritmo abituale. L’utilizzo di formule a basso contenuto di lattosio è generalmente non neces-sario. Il limite dell’ORS è costituito dal fatto che non riduce sostanzialmente gravità e durata dei sintomi. So-no state proposte modifiche della composizione dell’ORS, con l’aggiunta di sostanze (riso, cereali, gras-si amilasi resistenti, carboidrati non digeribili) capaci di aumentare l’assorbimento di elettroliti e acqua, ma nes-suna di queste ha raggiunto una sufficiente evidenza di efficacia tale da promuoverne la raccomandazione. Numerose evidenze cliniche dimostrano un effetto po-sitivo della somministrazione di zinco nel trattamento della GA.I meccanismi di tale effetto terapeutico sono molteplici: stimolazione del trofismo della mucosa (proliferazione e differenziazione dell’epitelio intestinale), effetto pro-assor-bitivo ed antisecretivo sul trasporto transepiteliale di fluidi attraverso una diretta interazione con i principali meccani-smi intracellulari di secrezione di ioni, effetto anti-microbi-co ed immunoregolatore (2,3) e in diversi paesi sono già in commercio formulazioni di ORS contenenti zinco. In un recente studio clinico multicentrico svolto nel nostro Paese, abbiamo dimostrato che l’utilizzo precoce (pri-me 24 ore) di una ORS contenente zinco (1 mmol/L) e prebiotici (frutto-oligosaccaridi 0.35g/L; xilo-oligosac-caridi 0.35 g/L) è in grado di ridurre significativamente la durata e la gravità dei sintomi oltre che il ricorso all’utilizzo di altri farmaci in bambini affetti da GA (4). Quest’esperienza apre la strada ad un nuovo modo di interpretare l’utilizzo della ORS: non solo come presi-

dio fondamentale per curare la disidratazione, ma anche come approccio terapeutico efficace sulla durata e gravità dei sintomi. In tal modo l’utilizzo della ORS potrebbe ridurre l’utilizzo di farmaci o altri presidi terapeutici spesso costosi, non sempre efficaci e/o privi di effetti col-laterali. È auspicabile che il pediatra, oltre a conoscere la corretta strategia per preservare lo stato di idratazione nel bambino con GA, abbia familiarità con queste nuove formulazioni di ORS per poter sempre meglio indirizzare le scelte delle famiglie di piccoli affetti da questo frequente disturbo.

BIBLIOGRAFIA

1. Khan AM, Sarker SA, Alam NH et al. Low osmolar oral rehydration salts solution in the treatment of acute watery diarrhoea in neonates and young infants: a randomized, controlled clinical trial. J Health Popul Nutr 2005;23:52-7.

2. Berni Canani R, Cirillo P, Buccigrossi V et al. Zinc inhibits cholera toxin-induced, but not Escherichia coli heat-stable enterotoxin- induced, ion secretion in human enterocytes. J Infect Dis 2005;191:1072-7.

3. Berni Canani R, Ruotolo S. The dawning of the “zinc era” in the treatment of pediatric acute gastroenteritis worldwide? J Pediatr Gastroenterol Nutr 2006;42:253-5.

4. Passariello A, Terrin G, De Marco G et al. Efficacy of a new hypotonic oral rehydration solution containing zinc and prebiotics in the treatment of childhood acute diarrhea: a randomized controlled trial. J Pediatr 2011;158(2):288-92.e1.

Lieve

Rialimentazione

*ORS fino al termine dei sintomi secondo le perdite

GraveModerata

Domicilio

ORS: 30-50 ml/kg in 4 ore #ORS: 50-100 ml/kg in 4 ore

Rivalutazione stato idratazione ogni 2 ore

Rivalutazione stato idratazione ogni ora

Rivalutazione stato idratazione dopo un’ora poi ogni 4-6 ore

Domicilio/ambulatorio Ospedale

§sol. fisiologica ev: 10-20 ml/kg in 30-60’

^ev in 24 ore: glucosata 5% + NaCl 20-40 mEq/L + K lattato 20-25 mEq/L < 10 Kg ⇒ 100 ml/Kg10-20 Kg ⇒ 1 lt + 50 ml/Kg > 10> 20 Kg ⇒ 1.5 lt + 20 ml/Kg > 20

Mantenimento

Reidratazione

Valutazione clinica

+ -

Valutazione stato di disidratazione

Shock

Tabella 2

# Somministrare con un sondino nasogastrico in caso di rifiuto per os.§ Se la prima infusione non è sufficiente a correggere lo shock, l’infusione può essere ripetuta. La mancata risoluzione della sintomatologia dopo la seconda infusione impone di riconsiderare la diagnosi (shock endotossico o cardiogeno) e quindi mettere in atto altre misure.^ Correzione del 50% delle perdite nelle prime 6 ore ed il 50% nelle successive 18 ore. In caso di disidratazione ipernatriemica la correzione deve avvenire con le seguenti modalità: 1/3 nelle prime 24 ore e 2/3 nelle successive 48 ore.* ORS per perdite aggiuntive: 10 ml/Kg di peso per ogni evacuazione di feci molli/liquide + 2 ml/Kg/peso per ogni episodio di vomito + 10 ml/Kg per ogni grado di temperatura >38°C.