cirpit 2-2011-omaggio a panikkar

129
CIRPIT REVIEW Rivista Internazionale On-line n. 2 - Marzo 2011 Atti del 1° Colloquium Internazionale Cirpit Napoli, 2-3 Dicembre 2010 “LA DIMORA DELLA SAGGEZZA: L’ECOSOFIA TRA FILOSOFIA INTERCULTURALE E PENSIERO DELLA COMPLESSITÀ” Omaggio a Raimon Panikkar Centro Interculturale dedicato a Raimon Panikkar www.cirpit.raimonpanikkar.it

Upload: lucas-cervino

Post on 12-Jan-2016

39 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

CIRPIT REVIEWRivista Internazionale On-line

n. 2 - Marzo 2011Atti del 1° Colloquium Internazionale Cirpit

Napoli, 2-3 Dicembre 2010

“LA DIMORA DELLA SAGGEZZA:L’ECOSOFIA TRA FILOSOFIA INTERCULTURALE

E PENSIERO DELLA COMPLESSITÀ”

Omaggio a Raimon Panikkar

Centro Interculturale dedicato a Raimon Panikkarwww.cirpit.raimonpanikkar.it

Page 2: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

CIRPIT REVIEW PUBBLICATION

Editorial Board

Editorial StaffAlessandro Calabrese, Intercultural PagePaolo Calabrò, Epistemological PageMarcello Ghilardi, Aesthetics PageVictorino Perez, Philosophical PageGianni Vacchelli, Literary Page

Editorial DirectorAnna Maria Natalini

Intercultural Center dedicated to Raimon PanikkarPresident: M. Roberta CappelliniVice President: Giuseppe [email protected]

Page 3: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

3

Indice / Index

3 Indice/Index

5 Editoriale

7 Editorial

9 M. Roberta CappelliniPRESENTAZIONEI°Colloquium Internazionale Cirpit - Omaggio a Raimon Panikkar“LA DIMORA DELLA SAGGEZZA: L’ECOSOFIA TRA FILOSOFIA INTERCULTURALEE PENSIERO DELLA COMPLESSITÀ”

14 Giuseppe CognettiINTRODUZIONE AI LAVORI DEL COLLOQUIUM

SESSIONE INTERCULTURA / INTERCULTURAL SESSION

16 Giuseppe CacciatoreCITTADINANZA INTERCULTURALE

27 Francis D’SaTHE SIGNIFICANCE OF PANIKKAR’S COSMOTHEANDRIC VISION

35 Achille RossiMITO CHE MUORE, MITO CHE NASCE

SESSIONE COMPLESSITÀ / COMPLEXITY SESSION

39 Piero BevilacquaNOVECENTO DIVISO: TRA RIDUZIONISMO TECNICO-SCIENTIFICO E SAPEREDELLE CONNESSIONI

45 Giuseppe GembilloPERCHÉ LA COMPLESSITÀ

52 Gabriele PianaBUDDISMO, SCIENZA E INTERDIPENDENZA

Page 4: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

4

Indice / Index

TAVOLA ROTONDA / ROUND TABLEPer un incontro tra Scienza, Religione e Filosofia

59 Paolo CalabròRAIMON PANIKKAR E LA SCIENZA MODERNA

65 Alessandro CalabreseLA FILOSOFIA TEORETICA TRA INTERCULTURALITA’ E COMPLESSITA’NEL PENSIERO DI RAIMON PANIKKAR

69 Marcello GhilardiAPPUNTI PER UN INTERVENTO IN CHIUSURA DELLA PRIMA GIORNATA DEL CONVEGNOIN ONORE DI RAIMON PANIKKAR

SESSIONE RAIMON PANIKKAR / RAIMON PANIKKAR SESSION

76 Fred DallmayrA SECULAR AGE? REFLECTIONS ON TAYLOR AND PANIKKAR

93 Fulvio C. ManaraLA FILOSOFIA “INTERCULTURALE”. NOTE E RIFLESSIONI

110 Michiko YusaECOSOPHY, RAIMON PANIKKAR, AND BASHŌ’S NATURE-AESTHETICS

122 Victorino Pérez PrietoTHE COSMOTHEANDRIC STRUCTURE OF REALITY: THE PART AND THE WHOLE. INVISIBLEHARMONY AND ECOSOPHY

Page 5: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

5

Editoriale

ATTI DEL 1°COLLOQUIUM CIRPIT

L’Associazione Cirpit desidera ringraziare l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici(IISF)e il Prof. Antonio Gargano, per il sostegno offerto al nostro progetto, il Dr. MarcoEmanuele e le Associazioni Napolitalia e Link Campus University e i Proff. AlbertoManco e Francesco Parisi dell’Università l’Orientale per le collaborazioni, le Universitàdi Napoli, Siena e Bergamo, il Comune di Napoli, la Commissione Nazionale Italiana perl’Unesco per i patrocinii, l’Editrice Jaca Book e il Dr. Sante Bagnoli per la collaborazione.Ed ancora la D.ssa Rammairone per il servizio traduzione e l’Agenzia Sant’Elia per ilsupporto tecnico. Infine tutti i relatori e gli amici che sono gentilmente intervenuti aNapoli in occasione del 1°Colloquium della nostra Associazione. Un particolareringraziamento va agli ospiti: ai Professori Vincenzo Scotti, Massimo Cacciari e GianniColzani. Ed ancora al Dr.Mario Cavani della Fondazione Culturale Responsabilità Eticaed alla D.ssa Milena Carrara Pavan curatrice dell'Opera Omnia (Edizioni Jaca Book),per il bellissimo video “La mia Opera”, (temi sviluppati e presentati dall’autore stesso)la cui proiezione ha suggellato il termine dei Lavori. Ed infine un ringraziamento ancheai Soci e collaboratori del Cirpit ed al pubblico presente. A tutti un grazie di cuore peraver permesso la realizzazione di questo Colloquium.

Editoriale

In questo secondo numero della Rivista, corredato di Supplemento, riportiamogli Atti del 1°Colloquium Cirpit di Napoli, insieme alle domande che sono state rivolteai relatori da parte del pubblico e degli amici presenti. Nel Supplemento abbiamoraccolto alcuni contributi postumi relativi alle riflessioni scaturite spontaneamente daiLavori insieme ad alcune recensioni. I Lavori del Colloquium hanno rappresentato nonsolo un momento accademico ma anche un’occasione di vera e propria condivisioneamicale e di convivialità, in quello spirito di “philìa” cui sempre invitava Panikkar. Egliera solito affermare infatti l’importanza della lingua parlata, della vitalità e diversitàdella parola orale rispetto a quella scritta, la sua sacralità, essendo irripetibile, inquanto portatrice della dimensione olistica della persona. Una parola pertanto“integra” nel suo senso pieno e nella sua valenza simbolica, a rappresentarel’incarnazione dell’esperienza di vita e di pensiero, dell’autenticità dell’essere umano

Page 6: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

6

Editoriale

“qui ed ora”. Una parola di vita, che emerge e ritorna nelle profondità del silenzio, dicui si nutre.

“In un certo senso la lingua parlata è una liturgia e ogni liturgia è unica e fine ase stessa. …In un Simposio si mangiano e si bevono le parole, non si leggono frasi.Poiché il valore e il merito di un Simposio consistono nella sua concelebrazione.”1

Nonostante la consapevolezza di tale irripetibilità e dei limiti di ogni possibileregistrazione, pensando di fare cosa gradita al pubblico dei lettori, abbiamo pensato diaggiungere alle pagine dedicate agli interventi dei relatori, qualche minuto divideoregistrazione delle loro “parole dal vivo”, ad accompagnarne la lettura.

Analogamente per quanto riguarda gli ospiti del Colloquium, non avendodisponibile il testo scritto, abbiamo ritenuto significativo offrire qualche minutovideoregistrato dei loro interventi.

LINKS: V. Scotti; G. Colzani; M. Emanuele; M. Cacciari

Desideriamo sottolineare che l’intento del Colloquium è comunque riferibile allimite d’orizzonte relativo al suo particolare contesto, rimandando per lacomprensione profonda delle tematiche proposte alle pubblicazioni dell’Autore.

Ci auguriamo inoltre che le riflessioni e le tematiche proposte in questi Attipossano continuare ad essere dibattute sul Forum delle nostre pagine web, che faseguito al Colloquium, invitando gli studiosi, i lettori e gli amici ad entrare in un“dialogo dialogale”in merito al dibattito avviato a Napoli.

Anna M. Natalini M. Roberta Cappellini

1 R.Panikkar, La sfida di scoprirsi monaco, Cittadella, Assisi, 1991, Introduzione, 7-9

Page 7: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

7

Editorial

Proceedings of the 1st Cirpit Colloquium

Cirpit Association wishes to thank the Italian Institute for Philosophical Studies(IISF) and Prof.Antonio Gargano, for the support given to our project, Dr. MarcoEmanuele of Napolitalia Association and Link Campus University, Prof. Alberto Mancoand Francesco Parisi of L’Orientale for their contributions, the Universities of Naples,Siena and Bergamo, the City of Naples, the Italian National Commission for UNESCO fortheir moral patronage. Furthermore Jaca Book Editors and Dr. Sante Bagnoli for theircooperation, Dr. Rammairone for the translation service and St. Elias Service for thetechnical support. Finally, all the speakers and friends who have kindly intervened inNaples on the occasion of the 1st Colloquium of our Association. Special thanks to theguests: Professors Vincenzo Scotti, Massimo Cacciari and Gianni Colzani. And still toDr.Mario Cavani of Fondazione Culturale Responsabilità Etica and to Dr. MilenaCarrara Pavan curator of the Opera Omnia (Jaca Book Editions) for the projection ofher beautiful video “La mia opera” (with themes presented and developed by theauthor himself) . And final thanks go to Cirpit staff and Members and to the public.Thanks to everybody for having allowed the realization of this Colloquium.

Editorial

The second issue of Cirpit Review is dedicated to the Proceedings of the 1stColloquium of Naples and is accompanied by a Supplement with some contributionsfollowing up the Conference, together with some book reviews. The questionsaddressed to the speakers by the public and friends have been added, together with thespeeches and reflections spontaneously arisen during the debate. The meeting hasrepresented not only an academic occasion but also a moment of conviviality, in thatspirit of "Philìa " which Panikkar always invited to. He used to underline the importanceof the spoken language, the vitality and strength of the oral word compared to thewritten one, its holiness and uniqueness, as bearer of the holistic dimension of theperson. A word so "integral " in its full meaning and its symbolic value, to represent theembodiment of “life experience and thought, the authenticity of the human being hereand now. " A word of life, emerging and returning to the depths of silence, to its origin.

Page 8: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

8

Editorial

"In a sense, the spoken language is a liturgy and each liturgy is unique and anend in itself. ... In a symposium words are eaten and drunk , sentences are read. Sincethe value and merits of a symposium lies in its con-celebration."

Despite the awareness of this uniqueness and of the limitations of every type ofrecording, a few minutes of video-taping of the speakers’ "live words" have been addedto the pages dedicated to their papers, for the pleasure of the public. The same hasbeen done as regards the guests of the Colloquium, where the written texts were notavailable.(see links here below)

Links: V. Scotti; G. Colzani; M. Emanuele; M. Cacciari

We wish to emphasize that the intent of the Colloquium addresses to thehorizon and limits of its particular context, referring to the author’s publications forfurther understanding of the issues here proposed

We also hope the discussions and topics raised by these papers will continue tobe debated on our Forum web pages, following the Colloquium, inviting scholars,readers and friends to join in a "dialogic dialogue" and in the debate started in Naples.

Anna M. Natalini M. Roberta Cappellini

Page 9: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

9

Maria Roberta Cappellini

Penso sia difficile o forse inutile presen-tare la figura di Raimon Panikkar perché credoche tutti i presenti in qualche modo, o di per-sona o sui libri abbiano conosciuto l’uomo e ilsuo pensiero. Scomparso il 26 agosto scorso,Panikkar è stato filosofo, teologo, mistico, po-eta, oppure più semplicemente uomo di con-fine tra i diversi mondi dell’oriente edell’occidente, avendo vissuto contempora-neamente in vari continenti. Antesignanodell’intercultura e del dialogo interreligioso(riferito in particolare a Cristianesimo, Bud-dhismo, Induismo e Secolarità) Panikkar è sta-to un esempio di saggio contemporaneo cheha saputo combinare l’aspetto intellettuale econtemplativo ad un profondo sentimentoumanitario, ad “una compassione globa-le”(Prabhu). In questo senso e soprattutto perchi ha avuto il privilegio di conoscerlo e fre-quentarlo Raimon Panikkar ha rappresentatoindubbiamente la figura di un Maestro.

“Una delle più grandi sintesi del ‘900” :così Edgar Morin lo definiva nel volume delMetodo dedicato all’Etica, nominandolo in-sieme ad altre personalità ed autorità intellet-tuali non occidentali (Gandhi, Mandela, ilDalai Lama ecc) le quali hanno aperto la con-temporaneità alla coscienza del problema

planetario e umanitario. Con eguale ammi-razione Panikkar si esprimeva nei riguardi diEdgar Morin stimando profondamente il suoilluminato Pensiero della Complessità. Questorappresenta uno dei motivi del titolo del no-stro Colloquium, pensato in senso intercultu-rale e transdisciplinare, sulla scia del dialogocontemporaneo tra scienza e tradizione, traFilosofia della Scienza, in particolare la com-plessità della scuola di Edgar Morin e Filosofiadella Tradizione, nello specifico l’Inter-culturalità di R. Panikkar.

Il soggetto dell’Ecosofia scelto cometema del Colloquium è stato un argomentoparticolarmente caro ai due filosofi, entrambisostenitori della necessità di una profondatrasformazione nella nostra epoca, al fine del-la stessa sopravvivenza planetaria. A tal ri-guardo Panikkar parlava di “metamorfosi”nell’accezione etimologica di mutazione radi-cale, utilizzando la metafora della crisalide cheabbandona il bozzolo per una nuova forma divita. Una trasformazione in profondità, che négli orienti né gli occidenti individualmente riu-scirebbero a realizzare, se non entrando in re-lazione di reciprocità e mutua fecondazione,attraverso il dialogo e la critica della moderni-tà.

I°Colloquium Internazionale Cirpit, 2-3 Dicembre 2010

“LA DIMORA DELLA SAGGEZZA: L’ECOSOFIA TRA FILOSOFIAINTERCULTURALE E PENSIERO DELLA COMPLESSITÀ”

Omaggio a Raimon PanikkarPresentazione di Maria Roberta Cappellini

Page 10: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

10

Maria Roberta Cappellini

In particolare davanti alla nsostro con-temporaneità Panikkar parlava di tre catastro-fi: quella ecologica incombente, quella psico-logica visibile e quella economica reale,comprendendole in un unico feno-meno: “lasindrome del villaggio globale” (comprensivadel mercato globale, del governo mondiale,della democrazia planetaria, della scienza uni-versale, monocultura, monoteismo ecc)1 . Eponendosi in senso critico davanti a tale pa-norama, osservava che se il fenomeno da unlato rivela un allargamento della conoscenzadei popoli e degli orizzonti fisici e psicologicied una diffusa tendenza generale versol’unità, dall’altro evidenzia un mito distruttivototalitario e colonialistico. Panikkar ne ritrae ilquadro: olocausti, guerre, impoverimento dif-fuso, una crescita senza omeostasi, in cui hapredominato l’accelerazione, alla quale ogniindividuo sottomette la vita e la natura, masoprattutto la separazione, la frammentazionedella dimensione umana e del sapere che èdiventato esclusivamente specialistico, percontro alienando l’uomo dalla vita. Ancor piùl’esperimento di divisione della realtà si èspinto fino al frazionamento dell’atomo e co-me inevitabile conseguenza, di noi stessi. Il ri-sultato è che non si riesce più a ricomporretutto quello che si è scoperto e nello stessotempo l’obiettivo di tale ricerca non ha pro-dotto alcuna pietra filosofale. L’ecologia hacostituito forse il risveglio di una certa consa-pevolezza, ma ha continuato a proporre solu-zioni tecnologiche proseguendo quindisecondo l’atteggiamento strumentale nei con-fronti della Natura. Su questo punto è neces-sario pertanto interrogarsi poichè per quanto

1 Raimon Panikkar, Ecosofia: la nuova saggezza. Peruna spiritualità della terra, Cittadella Editrice, Assisi,1993, p.39

concerne l’epoca“civilizzata”, secondo Panik-kar, non è cambiata la mentalità, che conti-nua ad essere separativa, dualistica, alienandoprogressivamente l’uomo dalla natura, dal co-smo e dal divino, dimenticando che il corpoumano è analogo alla terra: di entrambi infattisi sono perse la coscienza, la sacralità e i ritminaturali.

Ma la terra non è solamente luogo, pia-neta, in quanto essa è fondamentalmentesimbolo della realtà intera. Pertanto recupe-rare l’ordine naturale dell’universo nella suainterezza, non solo attraverso una coscienzadei diritti degli uomini e degli animali ma an-che attraverso una diversa coscienza dellaterra, da considerare non come corpo inerte,ma come organismo vivente, come soggetto,è quanto invita a fare il messaggio ecosoficodi Panikkar (collegandosi a chi coniò per primoil termine: Arne Naess). E’ necessario pertantorecuperarne le radici, quell’”humus” propriodello stato di contingenza, che avvicina para-dossalmente l’uomo al punto di tangenza conil divino. Per giungere ad un cambiamento dimentalità. Un cambiamento radicale che sap-pia far tesoro del logos senza assolutizzarlo,recuperando il mythos. Panikkar propone “u-na dimensione cosmoteandrica”, olistica, cheriapra l’uomo contemporaneamente alle treforme di conoscenza: quella empirica, quellaintellettuale e quella olistico-mistica, tre for-me che costitutivamente si co-appartengonoessendo in reciprocità di relazione, affinchèpossa riemergere nella sua struttura fonda-mentale di “polis”, ossia di tribù, di comunità.Comunità radicata, carnale, politica (non par-titica), comprensiva cioè di tutte le forme vi-venti (cose, animali, uomini e dèi), in cui tutto

Page 11: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

11

Maria Roberta Cappellini

è in relazione con tutto.2 L’approccio (non si-stema) olistico (non globale) non deve essereconfuso con l’ideale universalistico di assolu-tizzazione dei valori umani. Né l’Intero con ilTutto, in quanto il pensiero fa partedell’Intero/Realtà, la modifica, ma nonl’esaurisce. Panikkar suggerisce un ordine a-dualistico di intelligibilità, diverso dall’evi-denza razionale, assumendolo come intrinse-camente pluralistico. L’Intero non ha né no-me, né concetto, né cosa. Non si tratta dellasomma delle parti, ma di un orizzonte di intel-ligibilità. In tal senso esso dà luogo non ad unsistema, ma ad un’attitudine.

Ne segue che non si tratta di applicareriforme, distribuire ricchezze o di mettere apunto una tecnologia se prima non si effettuaun profondo cambiamento a monte: ciò chedeve cambiare profondamente, radicalmenteè in primo luogo l’atteggiamento dell’uomosulla terra. La situazione di emergenza lo ri-chiede. E’ necessario pertanto porci secondouna diversa visuale, più complessa e trans-disciplinare come afferma Morin seppur da unfronte diverso, ma in modo analogo a Panik-kar.

Come dichiarato nel Manifesto dellaTransdisciplinarietà, sottoscritto da Nicolescu,da Morin e dai più grandi uomini di Scienza edi pensiero, davanti alla minaccia della tecno-scienza seguace della logica univoca di produ-zione, davanti alle ingiustizie e povertà che af-fliggono differentemente i paesi del mondo, ènecessario accogliere la consapevolezza del ri-schio dell’auto-distruzione delle specie umanee riacquisire la conoscenza dei molteplici livelli

2 Raimon Panikkar, Ecosofìa. Para una espiritualidad dela tierra, Madrid, 1994, p.32, “La dimora della saggez-za”, Mondadori, Milano, 1991, p.73

di realtà dipendenti da differenti logiche, al fi-ne di sviluppare una più umana coscienza pla-netaria e cosmica aperta alle diverse disciplineed alla mutua interazione di ciò che possonocondividere nell’interesse comune.3 E’ infattiimpossibile investigare una parte della realtàsenza essere coinvolti con il tutto: siamo tenu-ti pertanto ad uscire dai recinti specialistici e aricomporre l’infranto attraverso una visioned’insieme, con apertura ai miti ed alle tradi-zioni, con rigore del pensiero e senso tolleran-te verso le diversità, non dimenticando chel’approccio olistico è di tipo diretto e richiedeuna rivalutazione della sensibilità,dell’intuizione e dell’immaginazione: del cuo-re oltre che della mente. I due si danno inse-parabilmente poiché appartenenti allamedesima sorgente. Panikkar parla di un ap-proccio di conoscenza/amore, privo di sintesidialettiche, quanto piuttosto aperto al dialogoche potrà forse sollecitare l’auspicata tra-sformazione.

E’ la storia del volo di Icaro e della suacaduta, nel quadro di Bruegel, come ricordaMorin metafora dell’intuizione audace che di-viene realtà, poiché a ben vedere è dopo ungran numero di Icari sempre più evoluti chel’uomo è giunto al primo aereo.4 Sarebbe per-tanto l’azzardo utopico di Icaro a farci usciredalla preistoria della mente umana, ad indica-re un pensiero più aperto ed una logica para-dossale (o a-dualistica in termini panikkariani),al fine di coniugare la visione delle parti (anali-tica, razionale, propria della scienza ) con la

3 Basarab Nicolescu, “Manifesto of Transdisciplinaity”,State University of New York Press, 20024 Edgar Morin, Introduzione al pensiero complesso,Sperling & Kupfer, Milano 1990, p.32, “L’identità uma-na”, Il Metodo, 5, RaffaelloCortinaEditore, Milano,2002, pp. 109-112

Page 12: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

12

Maria Roberta Cappellini

visione dell’intero (intuitiva, propria della Phi-losophia Tradizionale). E’ quanto auspica ildialogo interculturale e transdisciplinare che,senza nulla togliere alle rispettive diversità, in-tende collegarle in modo fecondo ed in sensouni-pluriversale, a salvaguardia della cono-scenza , dell’ambiente e delle relazioni etni-che e culturali, per un futuro sostenibile.

Su tutto questo si propone di riflettere ilColloquium , proponendo di aprire un dialogointra- inter e trans-disciplinare tra scienza e fi-losofia, confrontandosi autocriticamente conaltre diverse visioni della realtà, su un temacomune, partendo dal famoso distinguo pa-nikkariano : “La scienza sull’infinito non è laconoscenza dell’Infinito”.

BETWEEN INTERCULTURAL PHILOSOPHYAND COMPLEXITY: ECOSOPHY, THE WIS-DOM OF DWELLING.

Dedicated to Raimon Panikkar

I think it is difficult or perhaps unneces-sary to introduce Raimon Panikkar because Ibelieve that everyone here in some way, ei-ther in person or on books, have met the manand his thinking. Disappeared on August 26,Panikkar was philosopher, theologian, mystic,poet, or simply a “border man” between Eastand West, having lived on several continentssimultaneously. Forerunner of the intercultu-ral and interreligious dialogue (with particularreference to Christianity, Buddhism, Hinduismand secularism) Panikkar was an example ofcontemporary sage, able to combine the intel-lectual and contemplative aspects with a deephumanitarian feeling, with "a global compas-sion "(Prabhu). In this sense, especially for

those who have had the privilege to know andmeet him personally Raimon Panikkar hasundoubtedly represented the figure of aMaster.

“One of the greatest synthesis of thetwentieth century”: this is how Edgar Morindepicts Raimon Panikkar, in the volume E-thics, in his Method, naming him along withother non-western intellectual authorities(such as Gandhi, Mandela, the Dalai Lama,etc.) who opened the contemporary con-sciousness to the Earth concern and to a livelyinterest in humanity. With equal admirationPanikkar referred to Edgar Morin, estimatinghis enlightened thinking of Complexity.

To the philosopher who recently died, isdedicated the 1st International ColloquiumCIRPIT (Intercultural Center Dedicated to Rai-mon Panikkar). A meeting about Ecosophy be-tween Intercultural Philosophy and Thoughtof Complexity, between science and tradition.A subject particularly dear to Panikkar andMorin, both supporters, even if from differentsides, of the need for a profound transforma-tion in our times, aiming to the very survivalof man and planet. In that regard Panikkarspoke of "metamorphosis" in the etymologicalmeaning, using the metaphor of the chrysalis,which leaves the cocoon to a new form of life.

A transformation in depth, that neitherthe Easts nor the Wests would be able to a-chieve individually, without dialogue, mutualrelationship, and critique of modernity. Theman of "civilized" times has progressively a-lienated himself from nature, from cosmosand from divine, forgetting that his body issimilar to the earth and losing consciousnessof nature rhythms and sacredness. As a mat-ter of fact the earth is not only a place, a pla-

Page 13: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

13

Maria Roberta Cappellini

net, but chiefly a symbol of the whole realityas well. Man must therefore recover his roots,that' humus' characterizing his state of con-tingency, which, paradoxically constitutes thepoint of tangency with the divine. In order toachieve a change of mentality. Radical. In par-ticular it’s now necessary for him to go be-yond logos regaining mythos, as thoughtcannot get over itself.

Panikkar proposes "a cosmotheandriccosmology " that can re-open man to thethree forms of knowledge: empirical, intellec-tual and mystic-holistic, three forms that areconstitutively in mutual terms of relationship.What emerges from this vision is a man who isessentially "polis," tribe, community. A deep-rooted, carnal, political (not party politics)community, including all living forms (things,animals, human beings and gods), where e-verything is related to everything. The appro-ach (not system) proposed here is not globalbut holistic and cannot be confused with theabstract absolute ideal of universal human va-lues, but rather be applied to the differentconcrete human experiences.

Panikkar’s ecosophic message calls forthe reclamation of the natural order of theuniverse as a whole, not only through anawareness of the rights of men and animalsbut also through a different consciousness ofthe earth, to be considered not as a deadbody, but as a living organism, as a subject.We’re invited to keep open an inter-trans-disciplinary dialogue between science, philo-sophy and theology, as disciplines belongingto the same cosmological context, comparingourselves self-critically with other differentviews of reality, trying to emancipate oursel-ves from our exclusive conceptual thought

and calculating use of rationality, as: "Scienceabout Infinity is not knowledge of the Infini-te." (Panikkar)

Briefly, today we should try to gain amore complex and trans-disciplinary view(Morin). It’s the old story of Icarus’s flight andhis fall, as depicted in Bruegel famous picture,a metaphor of human daring intuition. In thissense, as Edgar Morin asserts, it’s up to Icarusto free ourselves from the prehistory of thehuman mind. Both Morin and Panikkar in avery similar way, even if through different ap-proaches, invite contemporary man to openhis mind, according to a paradoxical logic (or“a-dualistic”, as in Panikkar’s terms ) in orderto combine the analytical vision ( rational, ac-cording to science) with the vision of the who-le (intuitive, according to TraditionalPhilosophia). This is what the transdisciplinaryand intercultural dialogue suggests, in fullcompliance of their diversities, trying to con-nect them in a fruitful, uni-pluriversal way, toprotect knowledge, environment and culturaland ethnic relations, for a sustainable future.

Page 14: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

14

Giuseppe Cognetti

Desidero avviare i lavori del Colloquiumleggendo un testo, tratto da ColligiteFragmenta, che potrebbe valere come“manifesto” della prospettiva di R.Panikkar: “Ègiunto il momento di iniziare a raccogliere iframmenti sia della cultura moderna, cheeccelle nell’analisi e nella specializzazione, chedelle diverse civiltà del mondo. Non possiamoconsentire ad alcuna religione, cultura oframmento di realtà – anche se etichettatocome “rimasuglio” di una civiltà posteriore oun pezzo rotto da un più alto grado dicoscienza – di essere dimenticato, negletto otralasciato, se dobbiamo conquistare quellatotale ricostruzione della realtà che diventaimperativa oggi”. Queste parole, che,come gliaforismi di Nietzsche, andrebbero “ruminate”a lungo, hanno vaste e profonde implicazionialle quali qui non possiamo neancheaccennare.

Vale però forse la pena di sottolineare,riprendendo alcune lucide riflessioni di G.Pasqualotto, che il problema dell’intercultura,posto con vigore dal testo panikkarianosuccitato, oggi non può che essere pensato inun contesto dominato dal processo,ormaiirreversibile,della globalizzazione, che sembraandare proprio nella direzione oppostaall’auspicio di Panikkar.

Il dato più evidente che questo processo

mette in luce, e che sarebbe bene accet-tassero fino in fondo soprattutto coloro cheutilizzano strumenti di analisi della realtà diprovenienza marxiana, spesso invece ancorairretiti in un astratto utopismo, è che negliultimi due secoli della storia dell’Occidente siè venuta imponendo una colossale inversionedi tendenza per la quale la prevalenza delpotere politico su quello economico haprogressivamente ceduto ad una netta preva-lenza del potere economico (e tecnologico) suquello politico.

Non sembrano esserci più ostacolistrutturali all’avanzata della globalizzazione,che quindi procede sempre più velocementesia in profondità (uniformità crescente dipensiero e comportamento,che neutralizzaqualsiasi residua fiducia nell’antagonismodelle “moltitudini”) che in estensione (si pensialla Cina e all’India). Pasqualotto osservagiustamente che alla domanda posta alcunianni fa da Cacciari – “È concepibile che ilmondo venga ‘conquistato’ da un sistema dipoteri assolutamente deterritorializzato, dauna ‘super-società’ dominante le risorsefinanziarie ed i mezzi di informazione, e di cuile leadership politiche nazionali siano semprepiù o diretta espressione o variabiledipendente?”, si è oggi costretti a rispondereaffermativamente. Richiamandoci al grandeSchopenhauer, si potrebbe dire che il mondo

I°Colloquium Internazionale Cirpit, 2-3 Dicembre 2010

“LA DIMORA DELLA SAGGEZZA: L’ECOSOFIA TRA FILOSOFIAINTERCULTURALE E PENSIERO DELLA COMPLESSITÀ”

Omaggio a Raimon PanikkarIntroduzione ai Lavori di Giuseppe Cognetti

Page 15: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

15

Giuseppe Cognetti

attuale è la piena oggettivazione di quellacieca, irrazionale (perché non c’è nulla dirazionale nei miti sottesi ai processi diglobalizzazione) e insensata Volontà ch’egliponeva a fondamento della realtà.

Mi piace dire che la morte della Politicaè una sorta di seconda “morte di Dio”, cheNietszche faceva annunciare all’”uomo folle”nell’af.125 della Gaia Scienza.Per molti, chehanno creduto e ancora credono nellaPolitica, valgono le parole con cui Nietzschenel medesimo aforisma descriveva gli effettidevastanti dell’evento: “In che direzione cimuoviamo? Lontano da ogni sole? Nonprecipitiamo sempre più?…Non scendesempre più notte?”.Però sempre Nietzsche,nell’af.343, sottraendosi al rischio incombentedel pessimismo di debolezza, o nichilismodecadente, scriveva, versus un pessimismo diforza o nichilismo dionisiaco: “In effetti noifilosofi e ‘spiriti liberi’ ci sentiamo, alla notiziache il ‘vecchioDio è morto’, come sfiorati dauna nuova aurora…l’orizzonte ci sembra dinuovo libero…il mare aperto è di nuovo là, eforse non c’è mai stato un mare così ‘aperto’”.

È possibile rispondere con “più vita” ,con una nuova progettualità, ma consapevoledei suoi limiti, alle conseguenze spessomortifere della globalizzazione economica, e,per riprendere ancora Pasqualotto, declinarlain termini terapeutici, di ritrovamento sulpiano esistenziale di un senso, indirizzatasoprattutto alle vittime potenziali e attuali deiprocessi irreversibili, propriamente ‘satanici’,(Satana è l’”Avversario” per antonomasia),che stanno distruggendo ogni relazioneumana (comprese le relazioni fra culture)significativa?

Se siamo onestamente coscienti delcarattere marginale e testimoniale di qualsiasiprogetto interculturale, e non ci facciamo

illusioni, per es., sullo stato di salute delleculture “orientali” (le gandi case editriciindiane oggi stampano i testi tradizionali dellacultura e spiritualità hindu quasi esclusi-vamente per gli occidentali), possiamosforzarci di rimemorizzare in Occidente, e farlidialogare “dialogicamente” con le nostretradizioni religiose, di pensiero etc., aspetti diorizzonti di senso, di kosmologie e “miti”,direbbe Panikkar, che rischiano di inabissarsi ei cui valori sono oggettivamente sovversivirispetto ai modelli di vita veicolati dallaglobalizzazione, e sono molto in sintonia ,pertacer d’altro, con i momenti alti, per es., delpensiero femminile del Novecento (si pensi aMaria Zambrano e Simone Weil) e con ilpensiero della “complessità”.

La globalizzazione è molto potente, manon è onnipotente, e il divenire storico mostrail fallimento disastroso dei sogni generatidall’inflazione psichica di collettività oindividui. Non dovremmo dimenticare che igrandi processi di trasformazione edevoluzione e ampliamento della coscienza (eoggi è fondamentale il dispiegarsi di un’acce-lerazione evolutiva per uscire dalle secche incui siamo impantanati) hanno lunghissimiperiodi di gestazione nell’inconscio (dimen-sione con la quale occorrerebbe cominciareseriamente a familiarizzarci), e oggi simoltiplicano i segni di un insieme di “statiemergenti”, di sensibilità e consapevolezze (sipensi all’ampiezza e diffusione dei movimentiper la salvaguardia dell’ambiente, da unaprospettiva puramente “ecologica” all’oriz-zonte “ecosofico”, il tema di questo primoColloquium del Centro Panikkar) che possonoessere segni precursori (se la strutturapsicologica degli esseri umani sarà all’altezza,come osserva C.G.Jung nell’interessantissimosaggio del 1957 Presente e Futuro) di ungrande cambiamento.

Page 16: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

16

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

Giuseppe Cacciatore,Università degli Studi di Napoli “Federico II”

1. Il concetto di cittadinanza e la praticainterculturale

«Voler instaurare un “modo di pensareunico” o una civiltà unica è un peccato di lesaumanità che deriva dal fatto di avere confusoil pensiero con l’astrazione. Il concetto “uo-mo” non esaurisce ciò che è l’uomo.L’interculturalità è indispensabile per non ca-dere in una visione monolitica delle cose chepuò sfociare nel fanatismo»1. Inizio con questacitazione di Panikkar, non solo per rendereomaggio al filosofo, al teologo, al grande intel-lettuale al quale è dedicato questo convegno,ma per sottolineare ciò che egli da tempo a-veva ben capito e su cui aveva fecondamenteriflettuto: la centralità che sempre più ha as-sunto e assumerà il tema dell’interculturalità.Tema che io, in questo mio intervento, analiz-zerò nella sua relazione col concetto e la pras-si della cittadinanza.

1 Cfr. R. Panikkar, Pace e interculturalità. Una riflessio-ne filosofica, a cura di M. Carrara Pavan, Jaca Book, Mi-lano 2002, p. 12.

Credo che sia oggi necessario acquisireuna consapevolezza critica – che è anche in-formazione, conoscenza, capacità di giudiziostorico ed etico – del concetto di cittadinanza,il quale non deve diventare un magico passe-partout buono per ogni situazione e per ognilatitudine storico-culturale o uno slogan dasbandierare con innocente retorica o, peggioancora, con colpevole intenzione propagandi-stica. L’idea di cittadinanza deve passare dalpur importante livello del dibattito concettua-le e della chiarificazione teorica, ad una prati-ca di vita quotidiana, di educazionepermanente ai valori civili riconosciuti e con-divisi nel continuo intercambio tra il patto co-stituzionale fondativo e l’insieme delletradizioni e delle specificità umane e culturalidella comunità di appartenenza. Essa devetrasformarsi da passiva attribuzione di qualifi-cazioni giuridiche in attiva costruzione di mo-menti partecipativi al governo del territorio.Così come non basta aver letto e assimilatoMontesquieu e Toqueville per agire democra-

CITTADINANZA INTERCULTURALEGiuseppe Cacciatore

Giuseppe Cacciatore

(Video)

Page 17: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

17

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

ticamente e per testimoniare una pratica de-mocratica, allo stesso modo non basta averletto le analisi contemporanee di Marshall o diDahrendorf2 per ritenersi automaticamentecapaci di esprimere livelli di pratica della cit-tadinanza attiva. Per essere più concreti, conl’idea di cittadinanza attiva, si tratta – sia pursenza cadere in astratti schematismi – di co-struire nella determinatezza di situazioni sto-rico-sociali e culturali di ogni città e di ognidimensione urbana le occasioni di una praticaeffettività dell’insieme dei diritti dei quali è ti-tolare ogni appartenente alla comunità.

Che la città di oggi, la «città globale»,come l’ha definita Zygmunt Bauman, stia at-traversando una inedita fase storica che fa diessa l’asse focale delle trasformazioni cultura-li, psicologiche, sociali ed economiche del XXIsecolo, è ormai dato incontrovertibile. La cittàpostmoderna rappresenta il luogo di una con-traddizione strategica di fondo: quella dellaconcentrazione in essa delle funzioni più a-vanzate del capitalismo finanziario e telemati-co e della contemporanea presenza di unaspaccatura sempre più radicale tra la città del-la sicurezza3 e della ricchezza (dominata anchevisivamente dai simboli della difesa dalla pau-ra: guardie private, ronde di quartiere, sistemielettronici, esercito nelle strade, recinzioni einferriate) e la città invivibile dell’insicurezzaeconomica, del disagio, della violenza, dellenuove e vecchie povertà. Non solo, ma, comeosserva ancora Bauman4 «le città sono diven-

2 Mi riferisco all’ormai classico libro di T.H. Marshall,Cittadinanza e classe sociale (1950), Utet, Torino 1976.Si veda anche R. Dahrendorf, Al di là della crisi, Laterza,Roma-Bari 1984.3 Bauman parla dell’insicurezza come una delle più «in-fauste e dolorose tra le angustie contemporanee» (cfr.Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinel-li, Milano 2000, pp. 13 e ss.).4 Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, Bruno Monda-dori, Milano 2005, pp. 19 e ss.

tate delle discariche per i problemi causatidalla globalizzazione» (forse Baumann nonimmagina quanto corposa possa essere per gliabitanti di molte città italiane la sua metafo-ra). E, tuttavia, il riferimento a Bauman con-sente di individuare un ragionevole eplausibile modello, al tempo stesso teorico epratico, di politica e di nuovo diritto della cit-tadinanza . La sua applicabilità non è certo fa-cile (come non è facile ogni passaggiopossibile dalla paura alla fiducia), giacché sitratta dell’arduo compito di «trovare soluzionilocali alle contraddizioni globali».

Eppure, anche se ormai la politica localeappare “sovraccarica” di quei problemi che suessa riversa l’inadeguata politica di fronteg-giamento degli effetti della globalizzazione,non si può non ripartire dai “luoghi” della cit-tadinanza, dai luoghi in cui si può sperimenta-re la pratica interculturale, in cui si forma e siconsolida l’esperienza del vivere condiviso, incui questa esperienza viene elaborata e tra-sformata in norme comuni e sempre negozia-bili nell’interesse generale della collettività,dai luoghi infine dell’incontro con gli altri, coni diversi, con lo straniero immigrato, dai luoghidove finalmente prevalga la mixofilia sulla mi-xofobia.

2. La funzione di giuntura della terza ge-nerazione di diritti

Qui occorre un chiarimento. Spesso i di-ritti di cittadinanza sono stati individuati e de-finiti in una sorta di terza generazione deidiritti, che verrebbe dopo i diritti politici equelli sociali. Si fa cioè riferimento ai dirittiall’informazione, alla comunicazione, al tempolibero, all’ambiente, alla gestione del propriocorpo, del proprio patrimonio genetico e diquello di chi verrà dopo di noi. È indubbio chesi tratta di ambiti spesso inediti della vita e dei

Page 18: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

18

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

bisogni delle donne e degli uomini contempo-ranei. Ma guai a considerare, antistoricamen-te, la sequenza tra le tre generazioni di dirittiin una prospettiva evolutiva, dando cioè perscontata l’acquisizione erga omnes dei dirittipolitici e sociali. Basterebbe gettare unosguardo sul mondo, tanto globale quanto lo-cale, per rendersi conto di come possa sem-brare drammaticamente sarcastico invocarediritti di cittadinanza là dove si soffre la man-canza degli altri elementari diritti alla dignità ealla sopravvivenza. Si potrebbe tuttavia indi-viduare nella cittadinanza attiva e intercultu-rale l’elemento chiave di giuntura tra le variearticolazioni dei diritti, una volta però che la siintenda – come io la intendo e più avanti cer-cherò di argomentare – come reale riconqui-sta della partecipazione politica nel suo senso,però, più ampio e comprensivo, nel significa-to, cioè, originariamente aristotelico del go-verno della polis e non, dunque, come meroesercizio del diritto al voto.

In tal senso si può parlare di una trasfi-gurazione della nozione classica di cittadinan-za, di un suo ampliamento, un ampliamentopreparato dall’affermarsi di una teoria e diuna pratica dell’interculturalità. L’intercul-turalità non è soltanto la registrazione di livel-li, più o meno garantiti dalla legge, di coesi-stenza di plurali culture in un determinatoterritorio nazionale, ma è la ricerca di strate-gie che mettano in moto processi dinamici traidentità complesse che si relazionano nel con-fronto tra stili e condotte di vita diversi e sulterreno della partecipazione a istituzioni e aservizi degli Stati investiti dai fenomeni immi-gratori.

Come ha spiegato con esemplare chia-rezza Raimon Panikkar un discorso filosofica-mente ed eticamente convincente sull’inter-

culturalità deve evitare al massimo paradigmiolistici e parametri di uniformità astratta.L’interculturalità è innanzitutto riconoscimen-to e valorizzazione delle differenze, senza chequesto dia adito all’esaltazione dei conflitti edelle separatezze etnico-culturali. «Le diffe-renze tra culture – scrive il filosofo catalano –[…] sono anche differenze antropologiche»,ma è proprio il rispetto per l’uomo che esige ilrispetto di ogni cultura umana5.

Se questo è vero, anche la cittadinanza ei diritti che ad essa fanno riferimento (o i do-veri che la sua giuridicità prescrive) non pos-sono non misurarsi con il compito di una verae propria educazione e consapevolezza inter-culturali6. Questo significa che la trasforma-zione dell’idea di cittadinanza non dev’esserevalutata e compresa soltanto a partire dalproblema della sua applicabilità a un contestoche non è più quello del suo tradizionale luo-go di radicamento (lo Stato Nazione7), quanto,piuttosto, dalla presa d’atto della sua ritrascri-zione in termini, non solo politici ed economi-ci – segnati dalla globalizzazione –, ma ancheinterculturali, giacchè, grazie all’impatto stra-

5 Cfr. R. Panikkar, op.cit., pp. 12 e ss.6 Sul rapporto tra cittadinanza e interculturalità comeprocesso educativo cfr. M. Santerini, Educare alla citta-dinanza. La pedagogia e le sfide della globalizzazione,Carocci, Roma 2001.7 Si parla, nei dibattiti attuali sui diritti di cittadinanza,della prevalenza di un modello “postwestfaliano” (in ri-ferimento alla pace di Westfalia, 1648, che ridisegnò esanzionò i confini delle maggiori nazioni europee e co-stituì per così dire l’atto di nascita delle moderne so-vranità statali). Su questo punto e sulla relativabibliografia cfr. S. Benhabib, I diritti degli altri. Stranieri,residenti, cittadini, Cortina, Milano 2006, pp. 2 e ss. Ilproblema delle migrazioni impone che si ripensi radi-calmente l’idea di sovranità statale. «Da un punto di vi-sta filosofico – osserva la filosofa della Yale – lemigrazioni transnazionali portano alla ribalta il dilemmacostitutivo che sta al cuore delle democrazie liberali:quello tra le rivendicazioni del diritto sovranoall’autodeterminazione, da una parte, e l’adesione aiprincipi universali dei diritti umani, dall’altra».

Page 19: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

19

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

ordinario dei nuovi mezzi di comunicazione edella produzione e riproduzione delle imma-gini, si sono enormemente dilatate e moltipli-cate le occasioni di scambio di modelliantropologici, di esperienze artistico-letterariee religiose, di vere e proprie ibridazioni cultu-rali, fino a determinare tensioni, ora positive efeconde, ora negative e nocive, tre vecchie enuove appartenenze. L’idea stessa e il com-plesso di norme e di ordinamenti che sono afondamento della territorialità sono semprepiù diventati anacronistici e, tuttavia, le politi-che migratorie e i diritti di cittadinanza resta-no vincolati alla tradizionale titolarità stataledella sovranità. Si capisce, allora, come la de-finizione e la realizzazione di un «regime in-ternazionale dei diritti umani»8 non sia daconsiderare come un mero capitolo di filosofiapolitica o un aspetto di un generoso pro-gramma cosmopolitico, ma come il vero pun-to cruciale dell’agenda politica dei prossimianni. Si tratta, in sostanza, per usare una indi-cazione di Benhabib, di rivendicare e attuareun universale «diritto umano all’apparte-nenza»9 che non metta però in discussionel’altro fondamentale diritto all’emigrazione.Cosicché, l’accesso ai diritti di cittadinanza,nel modo in cui esso viene configurandosinell’era della comunicazione e della trasmi-grazione globale, si presenta come una moda-lità del diritto umano all’appartenenza, di un«aspetto del principio universale del diritto,cioè del riconoscimento dell’individuo qualetitolare di un diritto al rispetto morale e al ri-conoscimento della propria libertà comunica-tiva»10. Si profila, così, una chiara distinzionetra i diritti derivanti da norme di giustizia in-ternazionale e le norme di giustizia cosmopo-

8 Ivi, pp. 6 e ss.9 Ivi, pp. 107 e ss.10 Ivi, p. 113.

litica. Questi ultimi – come sostiene ancoraBenhabib, sviluppando alcune idee di HannahArendt – appaiono vincolanti non soltanto pergli Stati che sottoscrivono trattati e accordi,ma anche e soprattutto per gli «individui inquanto persone morali e giuridiche di una so-cietà civile globale»11.

3. Le ambivalenze della cittadinanza

La tematica dei diritti di cittadinanza, diuna cittadinanza che assume sempre più icontorni di una esperienza, al tempo stesso,globale e frammentata, tendenzialmente uni-versalistica e al contempo plurale e relativanell’articolarsi e nello stratificarsi delle appar-tenenze che si incrociano in una medesimapersona (all’appartenenza di base, etnica efamiliare, si aggiungono quelle, per così dire,culturali e sociali), diventa uno dei passaggicruciali della riflessione interculturale. Benha-bib suggerisce alcune sensate analisi delle“ambivalenze” che presenta oggi la frammen-tazione della cittadinanza12. Si tratta di un pro-

11 Cfr. S. Benhabib, Cittadini globali, il Mulino, Bologna2008. Il titolare dei diritti cosmopolitici non è più solo loStato e i suoi rappresentanti, ma i singoli individui, co-me mostra, osserva Benhabib, lo sviluppo e il consoli-darsi di un diritto penale internazionale. Viene in talmodo attuandosi un «passaggio definitivo da un model-lo di diritto internazionale basato sui trattati tra Stati aun diritto cosmopolitico inteso come diritto pubblicointernazionale che vincola e sottomette il volere degliStati sovrani» (ivi, p. 15). Il presupposto filosofico di ta-le impostazione è l’adesione esplicita di Benhabib aduna teoria critica del cosmopolitismo come variantedell’etica universalistica del discorso di origine haber-masiana.12 Anche e forse soprattutto i giuristi individuano nellacittadinanza una delle fondamentali fenomenologiedella democrazia contemporanea. Stefano Rodotà, adesempio, analizza le decisive trasformazioni della no-zione di cittadinanza e parla di un ormai avvenuto atte-starsi di una «cittadinanza a geometria variabile». S.Rodotà, Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari1992, pp. 45 e ss. Uno studioso di teoria generale deldiritto, Giuseppe Zaccaria, ha osservato come «il pro-cesso di allargamento della cittadinanza ha contribuitoal riconoscimento delle differenze individuali e delle in-

Page 20: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

20

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

blema che non solo tocca le forme possibilidel dialogo interculturale e dell’espansioneplanetaria dei diritti umani13, ma investe i mo-di in cui può essere ripensato l’insieme delleregole democratiche che non riguardano più

terdipendenze che strutturano l’individualità stessa,frantumando l’immagine di un individuo universale edastratto». G. Zaccaria, Questioni di interpretazione, Ce-dam, Padova 1996, pp. 36 e ss. Un recente contributoalla chiarificazione storico-concettuale della cittadinan-za e alla critica di alcuni suoi paradigmi è quello di R.Ciccarelli, La cittadinanza. Una prospettiva critica, A-racne, Roma 2005.Per la storia del concetto di cittadinanza cfr. P. Costa,Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, voll. I-IV, La-terza, Roma-Bari 1999 e cfr. infine S. Mezzadra, Dirittodi fuga. Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione, Om-bre Corte, Verona 2006.13 La bibliografia sui diritti umani è ovviamente stermi-nata. Mi limito qui a richiamare alcuni studi recenti e, inmodo particolare, quelli più attinenti alle problemati-che teorico-filosofiche qui affrontate. Cfr. H. Bielefeldt,Philosophie der Menschenrechte. Grundlagen einesweltweiten Freiheitsethos, Wissenschaftliche Buchge-sellschaft, Darmstadt 1998; Cfr. P. Barcellona. A. Carri-no (a cura di), I diritti umani tra politica filosofia estoria, Guida. Napoli 2003; F. Ciaramelli, I diritti umanie il problema della cittadinanza, ivi, vol. II, pp. 29-51; A.De Benoist, Universalité et non-universalité des droitsde l’homme, ivi, pp. 53-66; M. Kaufmann, Menschenre-chte und internationale Gerechtigkeit, ivi, pp.143-164;Id., Diritti Umani, Guida, Napoli 2009; B. Finelli, F. Fi-stetti, F.R. Recchia Luciani, P. Di Vittorio (a cura di),Globalizzazione e diritti futuri, Manifestolibri, Roma2004; F.S. Trincia, Diritti umani, coscienza, esistenza, i-vi, pp.191-212; M. Chemillier-Gendreau, A quali condi-zioni garantire i diritti umani nella globalizzazione?, ivi,pp. 215-227; Y.M. Boutang, Diritti dell’uomo, globaliz-zaiione e diritti umani futuri, ivi, pp. 241-269; I. Strazze-ri, Riconoscimento e diritti umani. Grammatica delconflitto nel processo di integrazione europea, Morlac-chi, Perugia 2007; J. Gardner, “Semplicemente in quan-to esseri umani”: titolari e giustificazioni dei dirittiumani, in «Ragion Pratica», 29, 2007, pp. 413-431; D.Miller, Diritti umani, bisogni fondamentali e scarsità, i-vi, pp. 433-447; J. Raz, Diritti umani senza fondamenti,ivi, pp. 449-468; R. Dworkin, Cosa sono i diritti umani?(2003), ivi, pp. 469-480. È ora disponibile una raccoltaantologica di interventi sui diritti umani (datati tra il1973 e il 1995) della filosofa svizzera J. Hersch, I dirittiumani da un punto di vista filosofico, a cura di F. DeVecchi e con una prefazione di R. De Monticelli, BrunoMondadori, Milano 2008. Si veda inoltre: V. Gessa Ku-rotschka, Diritti umani e vita, in F. Brezzi (a cura di), Pariopportunità e diritti umani, Equal Opportunities andHuman Rights, Tor Vergata University Press on-line,www.uptotorvergata-laterza.it, 2009.

esclusivamente il governo del locale e del ter-ritoriale. «Lo stato-nazione – così Benhabib –si sta sgretolando, e il confine tra diritti umanie diritti di cittadinanza tende a scomparire:emergono così nuove forme di cittadinanzadeterritorializzata […]. Le enclave multicultu-rali di tutte le grandi città del mondo esibisco-no i volti nuovi di una cittadinanza non piùfondata sull’adesione esclusiva a un territorioe a una tradizione»14.

La cittadinanza frammentata15 e demo-craticamente regolata diventa, se così si puòdire, la “condizione di possibilità” nella indivi-duazione e creazione di relazioni tra multiplee diverse articolazioni culturali, religiose, lin-guistiche, ma diventa anche l’auspicabile pon-te di passaggio dalla teoria alla praticadell’interculturalità, giacché soltanto parteci-pazioni attive e costruzioni di vere e proprieistituzioni interculturali (nella scuola, nella so-cietà, nel governo dei territori locali) possonodar vita ai nuovi diritti di una cittadinanza co-smopolitica16. Bisogna perciò uscire

14 S. Benhabib, Cittadini globali, cit., p. 139. Sul temadella necessaria relazione tra interculturalità, dirittiumani e cittadinanza come pratica democratica cfr A.Papisca, Cittadinanza e cittadinanze, ad omnes inclu-dendos: la via dei diritti umani, in M. Mascia (a cura di),Dialogo interculturale, diritti umani e cittadinanza plu-rale, Marsilio, Venezia 2007.15 «Siamo giunti – scrive Benhabib – ad una fasedell’evoluzione politica che segna la fine del modellounitario di cittadinanza, che intrecciava la residenza inun territorio delimitato con l’amministrazione di un po-polo percepito quale entità più o meno coesa.L’esaurimento di quel modello non implical’obsolescenza della sua presa sulla nostra immagina-zione politica o della sua forza normativa nel guidare leistituzioni vigenti. Significa piuttosto che dobbiamo es-sere pronti a immaginare forme di agency e soggettivi-tà politica capaci di anticipare nuove forme dellacittadinanza politica» (ivi, p. 143).16 Sulla necessità, per le società e le nazioni occidentalidi tradizione liberale e democratica, di passare dal mitodi un astratto universalismo democratico esportabilecon ogni mezzo (anche la guerra, purtroppo), ad unaconcreta ipotesi di “democrazia cosmopolitica”, cf. D.Archibugi, Cittadini del mondo: verso una democrazia

Page 21: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

21

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

dall’ambivalenza di una situazione in cui i di-ritti di emigrazione e di ospitalità vengano de-liberati escludendo dalla decisione coloro chedi quei diritti potrebbero divenire titolari. Lasoluzione che al dilemma dà Benhabib è con-vincente, anche perché essa non fa che elabo-rare una teoria che è già dentro la praticadelle norme e delle procedure di riforma e diemendamento delle principali costituzionidemocratiche contemporanee. Si tratta di un«processo continuo di autocreazione costitu-zionale», basato innanzitutto sulla capacitàautocorrettiva delle regole democratiche, suciò che Benhabib definisce iterazioni demo-cratiche, cioè sull’insieme dei momenti dipubblica discussione e di deliberazione daparte delle istituzioni giuridiche e politiche,ma anche da parte delle associazioni della so-cietà civile, «attraverso i quali le rivendicazionie i principi universalistici dei diritti vengonocontestati e contestualizzati, invocati e revo-cati, proposti e situati»17. Da questo plesso diproblemi non si può prescindere. Quale chesia la soluzione, non si può non ricollocare al

cosmopolitica, Il Saggiatore, Milano 2009. Il filo condut-tore della proposta di Archibugi è individuabile nellapercorribilità di un itinerario di ampliamento delle re-gole democratiche dalla territorialità nazionale al go-verno delle questioni globali. Tale proposta poggia sulconvincimento che sia non più differibile il compito di«dare ai cittadini del mondo la possibilità di parteciparedirettamente alle scelte globali tramite nuove istituzio-ni, parallele ed autonome rispetto a quelle già esistentiall’interno degli stati». In questo senso, la democraziacosmopolitica non si riduce a un pur generoso e vellei-tario neo-utopismo, ma esige la concreta formazione di«nuovi canali istituzionali che consentano di aumentarela partecipazione popolare e il controllo politico sullescelte globali. Solamente rendendo effettiva la condi-zione di cittadini del mondo sarà finalmente possibileraccogliere i frutti promessi da una democrazia cosmo-politica» (ivi, pp. 11 e ss.). La questione del cosmopoli-tismo è diventata oggi uno dei punti principali deldibattito etico. Un punto significativo di riferimento, inquesto dibattito, è costituito dalle riflessioni di K.A.,Appiah, Cosmopolitismo. L’etica in un mondo di estra-nei, Laterza, Bari-Roma 2007.17 S. Benhabib, Cittiadini globali, cit., p. 139 e s.

primo posto nell’agenda politica (e prima an-cora nella riflessione etica e filosofica) dellesocietà contemporanee il problema della ri-formulazione dei diritti di cittadinanza, alla lu-ce di una realtà sempre più multiculturale18 edella sua necessaria declinazione in chiave in-terculturale19. Non bisognerebbe mai dimenti-care – come ammonisce ancora la Benhabib –che «il trattamento riservato agli stranieri eagli altri fra noi costituisce un formidabile ter-reno di verifica della coscienza morale e dellariflessività politica delle democrazie liberali»20.

La necessità di pensare oggi ad un saldolegame tra diritti di cittadinanza e intercultu-ralità, è motivata dall’esigenza di non separa-re astrattamente la cittadinanza dall’apparte-nenza culturale, ma di trovare le modalità, an-che giuridiche e normative, di un «vivere in-sieme nel mondo della differenza»21. Questonaturalmente non significa assimilare la prati-ca e la teoria dell’interculturalità a forme piùo meno esplicite di relativismo culturale. È an-cora una volta Panikkar che ci ammonisce a

18 All’idea e alla chiarificazione teorica della cittadinan-za coniugata in senso multiculturale ha dato un fonda-mentale contributo W. Kymlika, La cittadinanzamulticulturale (1995), Il Mulino, Bologna 1999. Lo stu-dioso canadese collega significativamente il riconosci-mento e la garanzia di diritti fondamentali per leminoranze etniche e culturali all’ampliamento della sfe-ra dei diritti tradizionali individuali. La dimensione giu-ridica multiculturale non depotenzia, anzi ne fa unacondizione di possibilità, il diritto universaleall’appartenenza. Kymlika elabora una proposta in cui i«diritti polietnici» devono convivere con i diritti umaniuniversali, imponendo anche per essi i vincoli democra-tici della libertà individuale e della giustizia sociale:dunque rispetto delle differenze e delle minoranze et-niche e attuazione di principi e di scelte di uguaglianza.19 Ho, a più riprese, tematizzato la necessità del pas-saggio dal multiculturalismo all’interculturalità in moltimiei interventi. Per tutti rinvio a G. Cacciatore, Identitàe filosofia dell’interculturalità, in «Iride», 45, 2005, pp.235-244. A questo testo rinvio anche per le indicazionibibliografiche di massima sull’interculturalità.20 S. Benhabib, Cittadini globali, cit., p. 142.21 Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, cit., p.201.

Page 22: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

22

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

non pensare che una cultura vale un’altra, néche la natura umana possa essere artificiosa-mente frammentata. «Ogni cultura è culturaumana – anche se può degenerare. Detto piùfilosoficamente, ci sono invarianti umane, manon ci sono universali culturali»22. Diventa cosìfondamentale la distinzione tra relativismo erelatività. Se è vero che possiamo analizzare ecomparare un’altra cultura, tenendo presentequella a cui apparteniamo, è altresì vero chenon possiamo considerare unici ed assoluti inostri criteri di valutazione. «C’è una via me-dia – scrive Panikkar – fra l’assolutismo e il re-lativismo culturale: la relatività culturale. Lafilosofia interculturale cerca di seguire questavia di mezzo. Il suo metodo è il dialogo comeapertura all’altro»23. D’altro canto il diritto dicittadinanza reca con sé già nella sua stessagenesi terminologica il riferimento alla gene-rale sfera dei diritti della relazionalità e dellasociabilità. Per questo lo sforzo teorico e pra-tico di giuristi e filosofi, oggi, potrebbe essereindirizzato a riscrivere la tavola dei diritti dicittadinanza, dinanzi all’accelerato stato ditrasformazione sociale e antropologica dellacontemporaneità. Si tratta di individuare ifondamenti di una cittadinanza intercultura-le24 che si muova lungo il crinale del non facileequilibrio tra cittadinanza come appartenenzaad una determinata comunità e cittadinanzacome pieno e libero esercizio di un diritto ac-quisito di residenza (garantito da regole de-mocratiche costituzionali) e, al contempo, di

22 Cfr. Panikkar, cit., p.1323 Ivi, p. 37.24 Utili informazioni sul tema (anche se non sempre in-quadrate in un discorso coerentemente organico) sipossono trovare in M. Simeoni, La cittadinanza intercul-turale. Consenso e confronto, Armando Editore, Roma2005. Su un piano più specificamente pedagogico simuove M. Tarozzi, Cittadinanza interculturale. Espe-rienza educativa come agire politico, La Nuova Italia, Fi-renze 2005.

un diritto umano universale di circolazionedegli individui, delle persone, prima che deicittadini.25

4. La cittadinanza come spazio per la rea-lizzazione di una alleanza umanistica

In via di provvisoria conclusione, ritengoche l’uomo contemporaneo non possa più ac-contentarsi di quella plurisecolare forma dirassicurazione della dignità della vita affidataal convincimento aristotelico che la politicitàappartiene solo all’essere umano. Né possonopiù offrire elementi di rassicurazione etico-politica i modelli classici, liberali e democrati-ci, di cittadinanza (e non solo quelli storica-mente nati nel contesto dell’idea di Statonazionale o quelli riformulati in chiave comu-nitaristica, ma persino quelli ispirati al cosmo-politismo e all’ideale repubblicano). Se leteorie contemporanee della cittadinanza con-tinuano a fondarsi sulla esclusività di alcuneappartenenze (a un territorio determinato etendenzialmente chiuso alle migrazioni, a unsistema di diritti non sempre accessibili a tutti,a strutture produttive e mercantili che sonorestate e resteranno fonte di disuguaglianze),allora diventerà ben difficile ipotizzare e rea-lizzare un rapporto virtuoso e produttivo, sulpiano della pratica, tra cittadinanza e intercul-turalità. L’etica, la filosofia e la politica che siconfrontano con le questione interculturali ri-voluzionano il senso e la finalità stessa delconcetto di appartenenza, liberandolo dal si-gillo della ricchezza economica e della produt-tività lavorativa (che continuerebbe ad

25 Su queste ultime considerazioni cfr. L. Ferrajoli, Cit-tadinanza e diritti fondamentali, in «Teoria politica», 3,1995. Per una informazione critica sul complesso deitemi relativi al concetto di cittadinanza e alle sue tra-sformazioni in età contemporanea cfr. D. Zolo (a curadi), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, La-terza, Bari-Roma 1994.

Page 23: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

23

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

escludere dalla cittadinanza come diritto u-mano universale milioni di immigrati e di nuo-vi poveri delle nostre società in crisieconomica sempre più profonda).

Il modello di filosofia interculturale nonè peraltro da intendere come miracoloso toc-casana per guarire le contraddizioni ognoravistose tra il diritto universale umano alla cit-tadinanza e il diritto alla scelta delle nostre i-dentità26, senza che ciò si traduca in unaespulsione da essa per ragioni formalmentegiuridiche e sostanzialmente economiche. Sitratterebbe, se così fosse inteso, di una in-gannevole retorica che narra solo a se stessadei suoi successi immaginari. Vi è bisogno in-vece di costruire una nuova alleanza umanisti-ca che riconduca al massimo di unitàoperativa l’effettività delle norme di giustiziasociale (tentandone anche una coerente ap-plicazione, a livello di obbligazione politica egiuridica da riconoscere per i diritti sociali uni-versalizzabili nei trattati e nelle carte costitu-zionali sovranazionali) e la pratica quotidianadella relazione interculturale. Solo in questarelazione perdono astrattezza l’obbligazionepolitica e il bisogno di universalizzazione etica.Da un lato, la cittadinanza acquista nuovi con-tenuti giuridici e politici planetari27, dall’altro il

26 L’espressione è di A. Sen, Identità, povertà e dirittiumani, in P. Fassino, S. Maffettone, A. Sen., Giustiziaglobale, Il Saggiatore, Milano 2006, p. 32.27 «Ciò non significa – ha scritto Balibar – che esisteun'unica politica possibile, ma anzi che si impone unascelta tra politiche diverse, definite da diversi obiettivi,mezzi, condizioni, ostacoli, “soggetti” o “volontà”, ri-schi. L'alternativa è il campo della politica. Il problemadiventa allora: quali sono le alternative alle forme do-minanti? […] Parlare di una politica necessariamentemondiale non significa disinteressarsi alle condizioni eai problemi delle persone, lì dove vivono o dove la sto-ria le ha collocate. Significa anzi affermare che la citta-dinanza locale ha per condizione una cittadinanzamondiale attiva. Ogni scelta che orienta una politica lo-cale in materia economica, sociale, culturale, istituzio-nale implica una scelta “cosmopolitica” e viceversa» (E.

dialogo interculturale perde in genericità eambiguità. Non si tratta solo di narrare28 o diottenere reciproche informazioni sui proprimodelli di vita e le specifiche identità di ogniindividuo e di ogni cultura, ma di trasferire ilpatrimonio comune di conoscenze ed imma-ginazioni in un progetto29 altrettanto comune(nella scuola, nella sanità, nei luoghi dellaproduzione, nelle comunità locali) che abbiacome guida e come finalità la realizzazione deidiritti umani universali, civili, politici e sociali.Bisogna, in tal modo, non solo teorizzarel’incontro e gli spazi sia territoriali che cultura-li entro i quali si può realizzare il reciproco ri-conoscimento e la sempre maggioreuniversalizzazione dei diritti umani, ma far di-ventare il dialogo una tecnica che dal livellodella conversazione sappia passare a quellodella stipulazione, della creazione di una cit-

Balibar, È in Europa l’altro mondo possibile, in «Il Mani-festo», 28 marzo 2007). Lo studioso francese esprime ilconvincimento – peraltro lineare in un quadro ideologi-co di radicale trasformazione sociale – che le inegua-glianze sociali «costituiscono il più potente fattore diesclusione dalla pratica politica, e dunque dal “dirittoeguale” o dal pari diritto di accesso alla rappresentanzae alla decisione». Ma ciò è anche alla base delle moti-vazioni che caratterizzano «i movimenti di rivendica-zione e le resistenze collettive che hanno per oggetto ladifesa e la conquista dei diritti sociali». Sono proprioquesti movimenti che costituiscono «una delle formepiù efficaci di accesso dei cittadini all’espressione e alleresponsabilità politiche. La questione è perciò più attu-ale che mai ed è, in concreto, quella di stabilire se ecome i cittadini riusciranno ad adattarsi a condizionistoriche nuove e a uno spazio nuovo formulando riven-dicazioni di nuovi diritti fondamentali inerenti alla cit-tadinanza, e caratteristici del “momento costituente”attuale» (E. Balibar, Le radici culturali della Costituzioneeuropea, in «Lettera internazionale», n. 81, 2004).28 Il che non significa che il racconto e le storie degli al-tri non possano costituire materiali di analisi critica del-le politiche contemporanee nei confrontidell’immigrazione. In merito, cfr. F. Sossi, Migrare. Spa-zi di sconfinamento e strategie di esistenza, Il Saggiato-re, Milano 2007.29 Sull’interculturalismo come progetto cfr. P. Malizia,Interculturalismo. Studio sul vivere “individualmente-insieme-con-gli-altri”, Franco Angeli, Milano 2005, pp.40 e ss.

Page 24: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

24

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

tadinanza universale dei soggetti e delle cultu-re30. Da questo punto di vista la filosofiadell’intercultura può presentarsi come la mo-dalità critica e riflessiva all’altezza delle cosid-dette sfide della globalizzazione e dellatrasformazione antropologico-culturale indot-ta dalle migrazioni31, giacché uno dei suoicompiti fondamentali appare quello della ri-formulazione di categorie chiave come incon-tro, dialogo, diritti umani, solidarietà. Si trattadi livelli, tanto teorici che pratici, che si ri-chiamano l’un l’altro, giacché non è possibile

30 Utilizzo qui i convincenti parametri analitici elaboratida F. Cambi, Incontro e dialogo. Prospettive della peda-gogia interculturale, Carocci Editore, Roma 2006, pp. 8e ss. Più avanti si legge, a proposito del necessario pro-cesso di integrazione tra identità e differenza:«L’Europa soprattutto mediterranea […] sta faticosa-mente elaborando un altro modello: un modello squisi-tamente interculturale, fondato sulla costruzione di unreciproco riconoscimento e di una reciproca integrazio-ne e, al limite, un reciproco innesto tra culture, rivolto adar vita al métissage, a una “nuova cultura meticcia”che si guarda – sia pure nel futuro – comeun’occasione, come una risorsa, come un evento nonfatale, ma positivo, proprio in vista di quella Globalitàdel Mondo che nessuno potrà più arrestare» (ivi, p. 17).Sugli aspetti pedagogici e didattici connessi alle prati-che interculturali si veda F. Pinto Minerva,L’intercultura, Laterza, Roma-Bari 2002.31 Per una analisi dell’esser migranti come forma pre-ponderante dell’esser-uomo oggi, cfr. Cambi, op. cit.,pp. 40 e ss. «Infatti, la condizione di emigrazio-ne/migrazione è la condizione stessa attuale del sog-getto. […] Essere migranti è stare in una esperienza (inun fare-esperienza) che si caratterizza come avventura,come sfida, come ricerca, come incontro. Pertanto è[…] stare in una forma mentis plurale, dialettica, inte-grata e dismorfica ad un tempo, capace di leggere, in-sieme, e le identità e le differenze, ad ogni livello» (ivi,p. 41). Sulla soggettività nomade come passione politi-ca per la trasformazione e come riflessione su una ideapost-nazionale, multipla e flessibile di cittadinanza, cfr.R. Braidotti, Nuovi soggetti nomadi. Transizioni e iden-tità postnazionaliste, Luca Sossella Editore, Roma 2002.Cfr. inoltre A. Dal Lago, Non-persone. L’esclusione deimigranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 2004;M. Traversi, M. Ognisanti (a cura di), Letterature mi-granti e identità urbane. I centri interculturali e la pro-mozione di spazi pubblici di espressione, narrazione ericomposizione identitaria, Franco Angeli, Milano 2008;A. Arru, D. Caglioti, F. Ramella, Donne e uomini migran-ti. Storie e geografie tra breve e lunga distanza, Donzel-li, Roma 2008.

un dialogo che non sia favorito dall’incontro,né si può pensare di promuovere una solida-rietà fattiva e concreta se non si amplia e sirende effettiva la sfera dei diritti umani32. Unasfera che certamente è fatta, dovrà essersempre più fatta di dispositivi giuridici e diobbligazioni politico-istituzionali, ma che siconfigura anche e soprattutto come condizio-ne di possibilità per il confronto e per la po-stulazione di una sempre più ampia e comuneumanità. In tal senso il primo, inamovibile enecessario diritto per gli uomini e le donnedella società migrante ed interculturale èquello alla solidarietà. Una solidarietà che nonè solo generosa petizione di principi, ma co-struzione reale, da rendere operativa «e nellasocietà e nelle coscienze» e che costituisceuna «risorsa cognitiva, etica e politica»33, giac-ché favorisce nuove esperienze di conoscenzee incontri fra culture, ha l’impegnativo obiet-tivo di realizzare un’etica discorsiva e com-prensiva che trova poi il suo necessariopendant in una democrazia deliberativa. Ma ilvero cemento che tiene insieme tutto ciò è ilsenso dell’appartenenza ad una comune u-manità, la quale – come osserva giustamenteBaumann – deve essere intimamente relazio-nata ad un legame, ad un vincolo, che vengo-no ancor prima e che sono quelli dellasolidarietà e dell’assistenza reciproca. Raccon-ta Baumann di un suo vecchio professore diantropologia che spiegava l’origine della so-cietà umana partendo dal ritrovamento di unoscheletro di una creatura invalida con unagamba spezzata. Ma l’incidente come rivela-rono le analisi era avvenuto in età infantile.Significa che qualcuno si era preso cura di lui enon era stato abbandonato alle fiere. «La pre-

32 Su questi nessi cfr ancora F. Cambi, op. cit., pp. 45 ess.33 Ivi, pp. 47 e ss.

Page 25: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

25

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

occupazione odierna, per Bauman, è tutta qui:portare questa compassione e questa solleci-tudine sul piano planetario. So che le genera-zioni precedenti hanno affrontato questocompito, ma voi dovrete proseguire su questastrada, vi piaccia o no, cominciando dalla vo-stra casa, dalla vostra città, adesso. Non riescoa pensare a niente che sia più importante diquesto. È da qui che si deve cominciare»34.

Domande al Prof. Giuseppe Cacciatore

Domanda 1): Come si concilia questoriconoscimento auspicabile dei diritti per unnuovo cosmopolitismo, che non sia solo a-strattamente universalistico ma si concretizzinell’identità dei popoli e delle persone, con laresistenza dei poteri? Il respingimento, il rifiu-to dell’altro, (al di là di ogni considerazione disolidarietà, che è la condizione prospetticadella relazione) pongono degli ostacoli ogget-tivi all’affermazione dei principi di libertà con-nessi proprio alla condizione di estremobisogno che, ad esempio, è propria dei mi-granti. Questo problema dell’affermazionedella libertà rispetto alla resistenza tenace deipoteri in quanto tali è un ostacolo oggettivo.Si tira in ballo il cosmopolitismo, ma gli scena-ri reali sono poi quelli della barbarie (Prof.Giuseppe D’alessandro).

Domanda 2): Come si può pensare aduna città cosmopolita in questa nostra socie-tà, dal momento che una tale città non potràsomigliare né alla polis greca di Aristotele néad una città nel senso dello Stato liberale, del-lo Stato nazionale? (Prof. Fred Dallmayr).

34 Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, cit., p.79.

Domanda 3): La prospettiva intercul-turale in filosofia, rivela un elemento di strut-turale debolezza quando si traduce in unaserie di auspici, per così dire, che spesso nelmondo conflittuale attuale non trovano unarispondenza o almeno non trovano le condi-zioni per potersi realizzare. Provo a tradurre intermini filosofici questi auspici: si trattadell’eterno contrasto fra il dover essere el’essere. Come noi dovremmo essere per im-postare le condizioni della società intercultu-rale e come invece siamo in realtà?

Abbiamo sentito citare Seyla Benhabib aproposito dei diritti universali della libertà dicomunicazione e di espressione, e questo na-turalmente ci piace. Però noi sappiamo, perfare solo un esempio, che nelle società islami-che più rigoriste prioritaria non è la libertà,ma il senso di appartenenza alla comunità e lasottomissione alla legge divina; sicché giu-stapporre l’aggettivo “universale” a diritti dilibertà, di libertà d’espressione da parte dellaBenhabib può apparire una ingenuità pari aquella che spesso si è consumata nella tradi-zione filosofica occidentale ogni volta chepensatori di prima grandezza hanno affianca-to ingenuamente quell’aggettivo a concetti eli hanno considerati applicabili a tuttol’universo mondo. Bisogna evidentementetrovare nuove modalità di pensiero

Una categoria lei l’ha proposta: quella diuniversalizzante o universalizzabile. Ora, qualepotrebbe essere, per così dire, il volano diquel movimento di tendenziale universalizza-zione che caratterizza l’universalizzabile? Ame sembra che la categoria con cui possiamopensare l’estensione di un concetto “universa-lizzabile”, la “costruzione” di uno spazio di piùampia condivisione, sia proprio quella del ri-conoscimento, che da categoria etica sembra

Page 26: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

26

Intercultural Session – Giuseppe Cacciatore

trasfigurarsi in categoria logica (penso natu-ralmente ad una logica non astratta ma dialo-gante: una dia-logica). Dunque creare “ponti”attraverso il dialogo interculturale e il ricono-scimento reciproco, negoziale dei valori inter-ni alle diverse culture: questa potrebbe forseessere una via per articolare il concetto di u-niversalizzabile. Mi interessa la sua opinionesu questo punto. (Prof. Rosario Diana).

Risposta 1): Ho provocato io questa pro-secuzione.

Sarò brevissimo con Rosario Diana. Untema sul quale discutiamo da anni e sul qualeabbiamo – seppure con differenze di posizioni– un comune orientamento. Lui ha già datouna parziale risposta quando ha parlato delconcetto di universale non nel sensodell’assolutezza delle posizioni ma di ciò che èuniversalizzabile e universalizzante: come di-re, qualche cosa che si definisce, si autoco-struisce con una possibilità di universaliz-zazione mai definitiva e che in un modo onell’altro può incontrarsi con quella importan-te tematica, quella formulazione del ricono-scimento non inteso in maniera astratta. E quiaggiungerei al concetto di universalizzabile euniversalizzante il concetto di comune, nelmodo in cui – come molti di voi sanno – è sta-to teriorizzato non da un filosofo, non da unteologo, ma da un sinologo, François Jullien.Questo concetto di comune diventa parzial-mente analogo al concetto vichiano del sensocomune. In un modo o nell’altro entrambi le-gano situazioni diverse, differenze di culture,di storie, di religioni.

Risposta 2): Per quel che riguarda ladomanda del collega, qui si tratta di una cittàche abbia le stigmate, se possiamo dire così,del postmoderno e della globalizzazione. Ri-tengo importanti posizioni come quelle e-

spresse in un libro importante, un libro di Da-niele Archibugi: Cittadini del mondo. Verso lademocrazia cosmopolitica, dove si teorizza lapercorribilità di un ampliamento delle regoledemocratiche dei diritti di cittadinanza. Èquello che sia gli storici che i teorici della poli-tica chiamano: dimensione post-westfaliana,ovvero successiva all’età costruitasi a partiredal famosissimo trattato di Westfalia, che haposto l’inizio delle grandi nazioni europee.Siamo in una situazione post-nazionale, dove idiritti dei cittadini, di umanità e umanizzazio-ne, di tutti sono conquistabili e devono essereconquistabili nella realtà territoriale della cittàe non più nello Stato nazionale. Questo nonvuol dire creare un’anarchia di piccole cittàstato come nell’antica Grecia; significa ricon-durre una possibilità che va al di là della reto-rica dell’ingenuità, come sostiene la Benhabib,che parla di un passaggio ad un modello di di-ritto internazionale basato su trattati fra Statidi diritto cosmopolitico. Non è una situazioneimmaginaria e immaginata. Qui ha ragionePanikkar, che queste parole le diceva già diecio quindici anni fa: “se non si riconoscono que-ste prospettive, se non si attuano o comunquesi comincia a praticarle, il mondo è perduto,c’è poco da scherzare”. E questa secondo meè l’unica prospettiva, una prospettiva discomparsa del mondo e di noi… e allora altroche una prospettiva cosmoteandrica…

Page 27: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

27

Intercultural Session - Francis X. D’Sa

Francis X. D’Sa,Pontificium Athenaeum, Pune, India

0. Introduction

The Cosmotheandric Insight, I submit, isthe core of Raimon Panikkar’s inspiration.Anyone interested in understanding Panikkarwill first have to become familiar with thisinsight. This neologism is neither an-eyecatching label nor just an attractive soundingname. It is in fact one more intimation of thedawn of a new axial age that some of today’sSeers perceive. This might sound a bit toopresumptuous but bear with me as I clarifyand elucidate in what follows.

1.The Cosmotheandric Intuition

The Cosmotheandric Intuition is aninsight into what Reality is in us, around usand above us. This also means that we whoare speaking about Reality are really part ofthe Cosmotheandric Intuition. Though we arespeaking “about” Reality this is only aheuristic way of going about, since ourspeaking too is an integral aspect of Reality.That is why language employed here issymbolic, not descriptive.

The Cosmotheandric Intuition perceives

three centres in Reality: World, Man and God;or the Cosmic, the Human and the Divine, oragain material, mental, and spiritual are someof the ways of expressing it.1 Whateverexpressions one chooses, it is important tokeep in mind their threefold dynamics. Eachof these centres is important andindispensable. Each is unique and cannot bereduced to the other two. None is superior tothe others. But all of them are interdependentbecause none can exist without the othertwo. The three always and without exceptiongo together; they constitute the threefolddynamics of Reality. The other way round,when we say Reality we are in fact meaningits threefold dynamics. Panikkar’s summing upis profound: "God, Man and World are threeartificially substantivized forms of the threeprimordial adjectives which describe Reality."2

On this background it is important to

1 Raimon Panikkar, The Rhythm of Being. The GiffordLectures (Orbis, 2010), 183: "...the three human 'facul-ties' (sense, mind and consciousness) belong together;and the three referents of our awareness (World, Man,and God) are also inseparable. Reality is their relation-ship."2 Raimon Panikkar, “Philosophy as Life-Style”, in: A.Mercier/M. Vilar (Eds.), Philosophers on Their OwnWork IV (Bern/Frankfurt/Las Vegas,1978 [193-228]),206.

THE SIGNIFICANCE OFPANIKKAR’S COSMOTHEANDRIC VISIONFrancis X. D’Sa

Francis X. D’Sa(video)

Page 28: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

28

Intercultural Session - Francis X. D’Sa

note that our way of going about with Realityhas not only to take account of the threefolddynamics but it has also to respond to itpositively. Speaking hermeneutically we haveto follow the threefold dynamics in both thesenses of following: to understand and to goafter!

The cosmic dimension refers to theworld of things, the human dimension refersto the world of persons and the divinedimension refers to the inexhaustibility ofboth these two worlds. Here inexhaustibilityrefers to the fact that the cosmic dimensioncan be objectified without end; and that thehuman dimension too can objectify withoutever coming to an end. This endlessness, theinfinity, so to say of these two dimensionsconstitutes the depth- or divine dimension.The depth-dimension, by whatever name itmay be called, is constitutive of Reality.

Our usual way of thinking and speakingenumerates the three worlds of God, Worldand Man separately. Though we do not intendto separate them, we do separate them as amatter of fact when we speak and perhapswhen we think. The end-result is that ourunderstanding takes them to be separaterealms. It has been Panikkar’s merit to coin aneologism that mentions all three at once as itwere so that attention is drawn to the threetogether. The neologism is cosmotheandric(or genderwise more appropriately,theanthropocosmic). Reality is cosmo-theandric; each being is cosmotheandric,every human being is cosmotheandric.

Everything that exists, God, World andMan, everything is cosmotheandric. God iscosmotheandric but when we speak of Godwe focus more on the depth-dimension

without omitting the cosmic and humandimensions; when we speak of the World wefocus more on the cosmic dimension withoutomitting the human or the depth-dimensions;and when we speak of Man we focus on thehuman dimension without omitting thecosmic and the depth-dimensions. Theexpression “cosmotheandric” highlights notjust the three dimensions of Reality but moreespecially its threefold dynamics or itstrinitarian nature.

2. The Dynamics of the Cosmic Dimension

The world, namely the world ofperception, is our first centre, the basicaccess to Reality. It is the place of any andevery encounter as well as the address ofevery being. The world of perception is thecosmic dimension of Reality. It locates Reality,the Reality of every being. Without the cosmicdimension there is neither contact norrelationship. We are not speaking of thepragmatic aspect of the cosmic dimension; weare referring to its constitutive dimension.

The world of perception employsdescriptive language which is informative.Information has to be univocal and precise. Itis at home in the world of perception whereefficiency is of the essence. The more precisethe description the higher will be the degreeof performance and success. We speak ofsuccess here because at this level (and only atthis level) there is the possibility ofverification and falsification respectively.

Quantification and measurability, uni-que characteristics of the world of perception,are both essential and important factors in in-formation and in the information world. Mat-ter, the cosmic dimension, is rarely taken tohave its own importance and tends to be un-

Page 29: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

29

Intercultural Session - Francis X. D’Sa

derstood as an ancilla for the spirit. Panikkarsays, “If in the past centuries there was a pa-thos to see everything sub specie aeternitatis,there is now a similar pathos to see ever-ything sub specie quantitatis.”3 And again,„Here the contribution of modern science isparamount. Thanks to it we have come toknow matter in its own right and not as amere servant of the soul or the spirit.“4 (Myemphasis)

Hardly anyone speaks of „matter in itsown right and not as a mere servant of thesoul or the spirit“. This is uniquely significant.Panikkar’s ideas express and give rise to a newunderstanding of and a different approach tothe world of matter. To yield to thetemptation of punning on the word, matter inthe cosmotheandric vision matters.

But what is new about this? Why doesmatter matter? Let us begin by asking theother way round, why has matter notmattered all this time? Why has it beenalways instrumentalized?

Early in life Panikkar realized how ourage has concentrated on the objectification ofReality and begun building a civilization onthat faulty premise. Science has had animportant role to play in this process. Science,Panikkar says accusingly, has changed themeaning of words. For instance, the worldmeans for science the scientific cosmos. But inReality "The kosmos is not only the scientificcosmos; the mathematical method is not the

3 Raimon Panikkar, The Rhythm of Being. The GiffordLectures (Orbis, 2010), 389.4 Raimon Panikkar, The Rhythm of Being. The GiffordLectures (Orbis, 2010), 403.

only way to approach reality."5 The world soto say has become a collection of objects formodern Man. All our crises today have theirroots here. Our relationship to the world, tothe animals, to human beings and not least, tothe Divine, has changed dramatically. Ifmatter were only matter, then, of course itwould not matter.

Panikkar has been one of the firstpersons to view the secular perspective, theprocess of secularization positively. Theprocess of secularization cannot but bepositive for Panikkar and though he does notapprove of secularism as such he is convincedthat secularization has introduced a positiveview of the saeculum, that is, of time and theworld. For him matter is never matter alone.It is a dimension of Reality along with thehuman and the divine dimensions.

The cosmic dimension far from beingstatic has its own unique dynamics whichmake the world what it is, namely, aninterrelated, interdependent and organicbody. Our main response has to be to thisinterrelated, interdependent and organicbody. Because of his possessiveness Man hasreduced the world to a source of resources.The asian religions have all focused on Man’spossessiveness as the cause of his blindnessto the divine dimension. This is also thesource of his inability to experience the worldas interrelated, interdependent and organic. Itis time that our civilizations which also sharein this blindness discover that they too haveto be a part of a positive response to thedynamics of the cosmic dimension. Sadly our

5 Raimon Panikkar, The Rhythm of Being. The GiffordLectures (Orbis, 2010), 388.

Page 30: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

30

Intercultural Session - Francis X. D’Sa

present civilizations are anything but apositive response to the cosmic dimensionand we are surprised that we have anecological crisis of such unprecedenteddimensions.

Admittedly then, the historical responseto this interrelated, interdependent and orga-nic body has been diametrically opposed tothe dynamics of the cosmic dimension. Pos-sessiveness has deepened our blindness tothe real world and have constructed a worldwhere the only thing that matters is the worldof matter. We have to change gears and takethe dynamics of the cosmic dimension se-riously. Just planting trees is not the real solu-tion. Our thinking has to be so transformedthat we realize that we are really part andparcel of the world body, the world process,and not a Subject that treats it as a collectionof objects. Only a transformation of our thin-king will transform our being and our being-in-the-world. Our attitude to the world has tochange and become a be-attitude, not a have-attitude.

3. The Dynamics of the Human Dimension

The Human Dimension does not meanMan but refers to that dimension in Realitywhich focuses on Man without neglecting theother two dimensions. This dimension lightsup our being-in-the-world. Like the other twoit cannot be objectified though it also has anobjectifying aspect. It points to and locatesthe objective aspect of Reality. Like thecosmic dimension the human dimension toodoes not have a limit. It can go on objectifyingendlessly.

The uniqueness of the humandimension consists in the fact that it does notpermit Man to get lost in the „objective“

world and become one among many otherthings. Because of this he stands out (=exists)in the world of things without getting lost inthem.

Not surprisingly the dynamics of thehuman dimension are different from thedynamics of the cosmic dimension. Things arelocated in and by the cosmic dimension. It se-es to it that every being has a place as it werein the cosmos. But it is different with the hu-man dimension. It ensures that Man finds hisplace in the world.

The human dimension aims atpersonhood and does this best through thediscovery of the world of symbol and byexpressing it in metaphor. Symbols are notproduced by Man; they are discovered byMan in so far as he is open to the depth-dimension. Whereas a distortedconsciousness promotes individualism andreduces the world to mere objects, fidelity tothe dynamics of the human dimension helpsretrieve symbols if and when Man takes to thepath of personhood. These dynamics alsocollaborate in expressing the experience ofsymbols in metaphors. In the realm ofsymbols and metaphors Man discovers hisreal vocation as person to be a poet, aprophet and a pontifex. This is one of themost fitting ways in which Man can respondto the dynamics of the human dimension.

Man discovers his poetic vocation whenhe does not get lost in the world of objectsand things which he himself creates. Instead,if he lets himself be driven by hope (which isof the invisible) he goes beyond theperceptible/object dimension of Reality to thedepth-dimension. It is this kind of hope thatdrives the poet to experience the world of

Page 31: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

31

Intercultural Session - Francis X. D’Sa

symbols and express this in metaphor.

However Man’s vocation is not limitedto the poetic alone. He is also called to be aprophet. He is not just a neutral observer buta critical observer of whether Man in theworld has fallen a prey to his likes and dislikesor whether he is open to and capable ofresponding to the dynamics of the humandimension. A prophet does not jump on theband-wagon of popularity nor does he play tothe gallery. Listening to and guided by theSpirit he engages in the discernment of spirits.This he does not out of private devotion as itwere to enhance his spiritual life but as amember of the human family. He is fullycommitted to the welfare of all beings. Forthe prophet justice is an important priority.

Finally the dynamics of the humandimension goad Man on to play his role as thepontifex, the bridge-builder between theDivine Mystery or the depth-dimension andMan-in-the-World, on the one hand andbetween Man and World, on the other. Thehuman dimension expresses itself in theinterconnectedness of all things. But modernMan does not take this fact into considerationwhen building his world. Never before hasMan been fragmented on so many levels ashe is today. This fragmentation can berepaired by responding to the dynamics of thehuman dimension. The response consists inbuilding bridges at all the various levels wherefragmentation has taken place and is stilltaking place. The human dimensioncounteracts the human tendency towardsindividualism by strenthening the pathtowards personhood. Personhood, thecornerstone of a genuine community,flourishes in a world of symbol and metaphor.

Briefly, the dynamics of the humandimension focus on Man so that he does notget lost among beings but stands out (exists)as poet, prophet and pontifex. The danger forMan on the one extreme is individualism andon the other is neglect of his calling by lettinghimself be transported on the conveyor-beltof routine and pragmatism.

4. The Dynamics of the Depth-Dimension

Unlike the human and the cosmicdimensions the depth-dimension is of analtogether different kind. It acts through boththese dimensions lending them a sort ofendlessness. The cosmic dimension can beobjectified endlessly (without any limit) andthe human dimension can objectify endlessly(without any limit). This is a dimension thatMan can in no way master or manipulate. Hislife in the world of the senses, the mind andthe spirit is totally and inexorably dependenton this dimension. The drive towards “more”,“deeper”and “higher” derives from thisdimension. The right realization of this isacquired not by “doing” or “achieving”something but in and through silence, as weshall see a little later.

Man’s yearning for peace, joy,happiness, goodness, beauty, justice, etc., etc.is endless. He can never have enough of anyone of these. On the other hand, Man standshelpless in the face of inexplicable tragedyand sorrow. This dimension is related toMan’s meaning in life, of how he can face lifeand life’s vicissitudes. Only openness to thedepth-dimension can help one to face suchsituations.

The depth-dimension has to do withhope. Hope, as Panikkar reminded us

Page 32: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

32

Intercultural Session - Francis X. D’Sa

constantly, is of the invisible. The invisible atwork in the present is the focus of hope.Hope, Vaclaw Havel tells us, is not theoptimism that everything will be all right butthe convinction that everything has meaning.Recognizing that this dimension can in no waybe manipulated Man has to admit hislimitations, cultivate hope by letting oneselfbe led by the Mystery in which we live, moveand have our being. The dynamics of thedepth-dimension have to do with hope, notwith expectation.

This is not a dimension where humanwisdom can help or plan or produce hope. Atthe most human wisdom can produce expec-tation but not hope. Here nothing will helpexcept the realization that helplessness is thefirst step towards opening up to a realm whe-re the Mystery of Life speaks in silence. Oneimportant requisite of the dynamics of thedepth-dimension is familiarity with silence.The path of silence leads to self-discovery andhopefully to the source of all hope. Silence,not merely external silence but the silence ofthe mind and of the heart, is a word that isnot found in the dictionaries of our technolo-gical/technocratic age. Unfortunately veryfew, indeed very, very few persons seem tobe aware of the seriousness of this lacuna. Wehardly encounter any positive signs in thisdirection. Religions are all engaged in honingtheir doctrines and persuading people to jointheir ranks in order to achieve peace and pro-sperity. Panikkar would have diagnosed it asan overstress on the logos and a complete ne-glect of the mythos. Intelligibility ousting outinteriority. Words silencing silence!

To summarize: If the requisite of thecosmic dimension to counteract posses-siveness is detachment, and the requisite of

the human dimension to counteractindividualism is the pursuit of personhood,the requisite of the depth-dimension isfamiliarity with the world of silence. Bothdetachment and the pursuit of personhoodgrow and flourish in the soil of silence.

5. Implications of the CosmotheandricVision

The Cosmotheandric Vision grows out ofa phenomenological awareness, not from anymoralistic project/pressure. Our being-in-the-world makes us discover the three dimensionsof the Real: The cosmic or material dimension,the human or consciousness dimension andthe depth- or divine dimension. But we haveto remind ourselves that we do not find thesedimensions separately, though we speak ofthem separately. We experience somethingthat is perceived, and us as perceiving. At thesame time we experience that there is nolimit to the process of our perceiving andbeing perceived.

5.1 Reality as a Community of the Co-smic, the Human and the Divine Dimensions

The Cosmotheandric Vision is about thesolidarity of the three dimensions whichconstitute the Real. Our experience isdefinitely not of each of these dimensionsseparately. Our experience is cosmotheandric,that is, an experience of the cosmic, thehuman and the depth-dimensions but ourfocus is not on all three but now on one, nowon another. For heuristic purposes we speakseparately till we reach that stage ofawareness where we shall be equally aware ofall three. Panikkar has led us to the first stepin this direction by calling this experience ascosmotheandric. From now on the wordcosmotheandric will be a constant reminder

Page 33: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

33

Intercultural Session - Francis X. D’Sa

that the Real consists of the threefolddynamics. We are born and brought up –without our knowing it – in a world ofthreefold dynamics. We need to becomemore aware of our cosmic, human and divinerelationships. Reality is an interconnected andinterdependent community.

More significantly, we are members ofthis community. The more intensely we followand respond to Reality’s threefold dynamicsthe more authentic members we shall be ofthis community. We too have to cultivate ourcosmic relationship, our cosmic relatives, boththrough our body as well as through theworld-body. Here is our responsibility, moreprecisely, our response-ability towards theenvironment.

At the same time we have to becomemore familiar with the complexity of thehuman community, the human family, ruledas it is now by considerations of colour, casteand creed. Questions of economic, political,social, religious, racial/ethnic and genderjustice are part of this programme. Thehuman family is bedevilled by all these kindsof injustices and prejudices.

In our day religions have become part ofthe problem, not part of the solution.Religions are busy with power politics, notwith peace of mind and peace for theminorities and the marginalized. Increasinglywe are realizing that behind the façade ofreligious problems lurks the spectre of socio-economic problems. With that we return tothe ubiquitous problems of injustice.

The cosmotheandric community is aReality, not a romantic dream. Modern Manfinds himself alienated and needs to retrievehis cosmotheandric roots.

5.2 A Cosmotheandric Spirituality

The Cosmotheandric Intuition would beincomplete or seriously wanting if a cosmicspirituality were not part and parcel of thatintuition. This is not difficult to understand.The Cosmotheandric Intuition is not adescription of the Real. It is a symbolicexpression of the threefold dynamics of theReal. It is a metaphor for their threedimensional dance, perichoresis, of the Greektradition. A dance is not a dance if it is notdanced in much the same way that a song isnot a song that is not sung and a play is not aplay that is not played. The cosmic spiritualityis the three dimensional dance of the Cosmic,the Human and the Divine. We who believethat we are cosmotheandric in our being, willbe confirmed in our belief when our beingjoins the cosmotheandric dance!

Finally the Cosmotheandric Intuitiondoes not explain Reality. Reality remains amystery. The Cosmotheandric Intuition putsforward a relevant way of discovering ourconnection with Reality.

6. Emergence of a Common Horizon

All over the world there are intimationsin our times that a common concern (howeverminimal) as regards Man and World isemerging. Both world peace and theenvironment are part of these intimations. Itis not the magnitude of this concern that isstriking as the kind of concern-communitythat we are witnessing. Cutting across theboard we have movements from all kinds ofpolitical, social, religious, ethnic and culturalgroups showing awareness of the urgency forpeace and care of the environment. Acommon horizon is on the way. People maynot have heard of the Cosmotheandric

Page 34: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

34

Intercultural Session - Francis X. D’Sa

Intuition but they seem to hear and feel thethreefold dynamics of Reality and are actingon it. The emerging horizon is the result.

QUESTIONS TO Prof.D’SA

Q1): My question is about the relationbetween the critical consciousness of manand the symbolic dimension keeping the di-vine aspect into man’s horizon. Kant also spo-ke of this dimension, the divine man inus………..

Q2): Could you comment a little bit onthe reformulation of the Trinity in Panikkar ?Because the trinity in traditional theology is aTrinity among three persons in God. But inPanikkar it becomes a cosmic trinity. So howcan this be reformulated and still be called theTrinity? (Fred Dallmayr).

A1): I begin with your first question:when you stand under a certain mythos, acertain horizon, there’s no possibility for criti-cal reason to question that horizon, becausethat horizon means what makes sense to you.

Everyone has a horizon where certainthings make sense other things don’t. So forexample the Christian background: whenyou’re talking about polytheism in India this isnot part of your horizon. But a hindu won’t beable to give you reasons for all this, only somekind of external answers, but he won’t be ableto give critical reasons.

When there’s a symbolic experience,when a symbol is a living symbol, reason hasno place there, rightly or wrongly. It’s simplythe structure of your symbolic knowing that isnot able to make sense.

For example for a military person whatmakes sense are the most sophisticated war

weapons, for his understanding of peace. Butfor a non violent person who doesn’t believein this, it doesn’t make sense. Both of themhave to try to find where they can meet.

You see some thing makes sense to youin your kosmovision: outside that it doesn’t.The Buddhist experience makes sense in aBuddhist kosmovision. There’s no such thingas a universal horizon making sense. Todaythe peace horizon is becoming broader andbroader. But people who are for the militarysystem have little understanding of peace.They think the more sophisticated yourweapons, the more chance peace has. This iswhy more and more people are talking aboutpeace but differentry…

A2): Coming to the Trinity: it’s a certainChristian horizon where Father, Son and Spiritmake sense. But your question is more thanthat: then why do you bring in the cosmic-human-divine? I’ve always ascertained thatpeople who live in monocultural worlds willnever understand Panikkar. His horizon is nottheirs. The only possible thing is an attempt tobroaden our horizon. An intercultural effort tofind what Panikkar would have called: fun-ctional, homeomorphic equivalents. They arenot equivalents, but functional equivalents, li-ke Incarnation could be eventually the fun-ctional equivalent of Avatara. But Panikkardoesn’t say that Incarnation is Avatar. So herealso he would agree with me: that the cosmo-theandric vision is the functional equivalent ofthe Christian Trinity and vice versa.

Our effort is intercultural expansion,understanding intercultural expansion.

Page 35: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

35

Intercultural Session - Achille Rossi

Achille Rossi, direttore del mensile diinformazione, politica e cultura: L’Altrapagina,Città di Castello (Pg). www.altrapagina.it

MITO CHE MUORE, MITO CHE NASCEAchille Rossi

Il pensiero di Panikkar è come unaimmensa cattedrale: si può entrare dallaporta principale, l’intuizione cosmoteandrica,o da qualche ingresso laterale. Ne ho sceltouno legato all’attualità. Panikkar è convintoche un mito stia tramontando e uno nuovostia albeggiando al nostro orizzonte.

- Non c’è bisogno di ricordarel’importanza del mito nella sintesipanikkariana. Il mito è l’orizzonte che avvolgeil nostro pensiero e le nostre pratiche, comeun utero all’interno del quale galleggiamo,che determina i confini del reale e delpossibile e che non sentiamo necessità dimettere in discussione. Il mito ci libera dalpensiero. Nella gnoseologia panikkariana ilmito occupa il primo gradino, poi viene illogos e al livello superiore lo Spirito. Il nonpensato – il pensabile – l’impensabile.

- I miti si consumano e si logoranocome i vestiti per diverse ragioni: basta che sientri in contatto con nuove culture, che si

presentino nuove scoperte scientifiche, chevenga intaccato razionalmente. In tal caso ilmito muore e viene sostituito da un nuovomito. L’uomo è un essere mitopoietico.

A. Il mito che tramonta è quello della cosmo-logia scientifica e, insieme con esso, quellodelle antiche cosmologie e di un rigido mono-teismo.

Panikkar lo esprime così: «Anche se iltempo non è del tutto maturo per un nuovomito, noi abbiamo perso la nostra innocenzacon quelli vecchi e non possiamo credere inessi più a lungo. Il progresso, la scienza, latecnologia, la storia, la democrazia e altresimili narrazioni in cui molti dei nostripredecessori hanno creduto, e a cui molti deinostri contemporanei ancora si aggrappano,non sono ritenute vere da una moltitudine digente e dai pensatori responsabili dei piùdiversi percorsi di vita e persuasioni».

La cosmologia scientifica che statramontando non ci offre un mondo dove noipossiamo trovarci a casa, perché il Divino èassente, l’uomo perde la propria umanità, il

Achille Rossi(video)

Page 36: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

36

Intercultural Session - Achille Rossi

cosmo è ridotto semplicemente a unammasso di materia e di energia.

A.1. Prima di riprendere punto perpunto questa affermazione voglio esaminareil limite della cosmologia scientifica. Ilprincipale è legato al metodo scientifico e allasua assolutizzazione. La scienza pretende difornirci una visione completa del mondo,dimenticando che il suo metodo ci regala solouna descrizione degli aspetti quantitatividella realtà.

Quando cerchiamo di conoscerequalcosa dipendiamo dagli strumenti cheutilizziamo e dalla precomprensione dellanatura della cosa che stiamo tentando diraggiungere. Lo strumento per eccellenza delmetodo scientifico è la matematica, cheproietta sulla realtà la sua rete e ci faprendere coscienza di una certa struttura delreale, ma questo non equivale a conoscere ilmondo. In parole povere, il metodocondiziona ciò che possiamo conoscere.

A.1.1. Il metodo scientifico ha di mira ilcontrollo dei fenomeni, prevederli per poterlicontrollare, perciò s’interessa del comporta-mento delle cose, non del loro perché. Non habisogno di un approccio olistico né richiedeuna cosmologia. In questo modo il metodoacquista una importanza così centrale dadiventare il contenuto e i mezzi diventano ilfine. Poiché il metodo ci abilita a cercare laquantità in tutti i campi finiamo per trovarladappertutto e non vediamo altro. In unasimile cosmovisione l’astrazione e il pensierocalcolante prendono il sopravvento.

A.2. Panikkar fa ancora notare cheesiste uno stretto rapporto fra questa

cosmologia scientifica e il monoteismo,perché ambedue comprendono la realtà inbase a un unico principio: la ragione umananel caso della scienza, Dio nel caso delmonoteismo. Panikkar non è iconoclasta enon vuol buttare a mare né la scienza né ilDivino ma tenta di riposizionarli, liberando lascienza dal suo assolutismo, salvaguardandotutto il positivo che il mito monoteistaveicola. Il monoteismo c’insegna che la realtàha sempre una dimensione trascendente, ildeismo cerca di armonizzare Dio e ragione, ilpanteismo sottolinea che il Divino pervadetutto, il politeismo ci ricorda che il divino èirriducibile a qualsiasi singolarità, l’ateismo ilcarattere apofatico dell’Ultimo, l’agnosti-cismo che noi non siamo Dio, lo scetticismoche il fondamento delle nostre certezze puòessere solo Dio.

B. L’assenza del Divino:

Nella descrizione scientifica l’universo èconcepito come un ammasso di materia edenergia che si sviluppa nello spazio e neltempo fino all’uomo che osserva tutto ilprocesso. Dio è collocato alla fine comepunto Omega, ma in realtà non c’è bisogno dilui. La religione è un fatto privato; nell’ipotesimigliore Dio è l’insieme che contiene ilmondo come sottoinsieme. Il Dio vivente èperduto. D’altra parte il monoteismo tendecome china fatale a sostanzializzare, dunquea limitare Dio.

La perdita dell’umano:

L’uomo è assente nel mito scientificoperché è solo l’osservatore o, al massimo,colui che ha programmato le misurazioni, maè sentito quasi come un ostacolo alla purezza

Page 37: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

37

Intercultural Session - Achille Rossi

dei calcoli. Tutto l’umano è oggettivato el’uomo è ridotto alla terza persona. Lascienza non sa chi è l’uomo. L’apologodell’indù e dello scienziato: «abbiamomandato un uomo sulla luna». «Ma se nonsapete nemmeno chi è?». C’è una differenzafondamentale tra conoscenza scientifica econoscenza umana. La conoscenza scientificaci permette di cogliere i fenomeni cheappaiono al metodo scientifico, laconoscenza umana ci permette di diventarein un certo modo quello che conosciamo eimpegna l’attività di tutto il nostro essere eimplica anche l’amore. “Qui Deum cognoscit,Deus fit”.

L’oblio della dimensione cosmica:

Non c’è bisogno di un’analisi appro-fondita del sistema economico dominanteper rendersi conto che la natura è con-siderata una risorsa a costo zero di cui si puòfare ciò che si vuole “La natura è unameretrice…” (Bacone). Il linguaggio è illu-minante.

C. Il nuovo mito

È necessaria una svolta per superare ilconflitto di cosmologie in cui siamoimpantanati. La cosmologia scientifica, cheriposa sulla quantità e che tenta di eliminarecompletamente il fattore soggettivo, non puòprepararci un mondo umano. Dopotutto ilfattore soggettivo non può essere eliminatoperché noi apparteniamo al mondo. Ed èingenuo pensare che oggi per la prima voltaabbiamo una visione oggettiva dell’universo.L’osservatore dimentica se stesso e legge glioggetti “sub specie quantitatis”.

Neppure l’aspetto oggettivo, però, puòessere eliminato sposando una prospettivaidealistica. Il mondo non è né soggettivo néoggettivo.

D’altra parte nemmeno le cosmologietradizionali possono aiutarci perché le nostreattuali conoscenze non ci permettono di con-dividerle più. Non si tratta nemmeno diconiugare cosmologia scientifica e cosmo-logie tradizionali, ma di trasformarle entram-be e di entrare in un nuovo mito.

Descrizione: Il Divino esiste, non è unaproiezione dell’uomo, è qualcosa di più e didifferente, irriducibile all’uomo e al mondo.Viene espresso col linguaggio delle diverseculture. È una dimensione reale, né indi-pendente né separabile dall’Universo, chepervade ogni cosa, ma che non è afferrabiledirettamente come un corpo o intellegibilecome un’idea. Il Mistero divino non è né unEssere supremo né una sostanza separata.«Dio non è né un idolo, né una formula, néuna cosa, né un concetto».

L’uomo non può essere ridotto allaterza persona (esso) come fa la scienza,perché è il punto d’incontro dell’intera realtà.A questo alludono le tradizioni che lodefiniscono “icona di Dio”, o parlano di“atman-brahman”.

Il Cosmo è vivo, non può esserestaccato dalla dimensione divina e da quellaumana. Dio-uomo-mondo sono dimensioniinter-in-dipendenti e alla fine non sono néuno né tre.

Panikkar è consapevole di averdescritto un mito e ogni mito consentemolteplici interpretazioni. Riecco di nuovo il

Page 38: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

38

Intercultural Session - Achille Rossi

pluralismo. Queste intuizioni, aggiungePanikkar «non sono né dogmi né sempliciipotesi, ma filosofia, che è l’unica vera sofiaumana».

Osservazioni conclusive:

Dopo questa sommaria incursione inalcune tematiche panikkariane permettetemialcune osservazioni a mo’ di conclusione.

Il mondo che ci troviamo a vivere è unmondo impossibile sia dal punto di vista etico,che da quello ecologico, che spirituale.

L’etica c’impedisce di accettare unmondo dove (tre quarti dell’umanità vivonoin condizioni disagiate); la questioneclimatica ci spinge a un cambiamentourgente altrimenti è in pericolo lasopravvivenza dell’umanità, l’asfissia spiritua-le provocata dal nichilismo impedisce unavita veramente umana.

Panikkar è cosciente della necessità diun cambiamento radicale che dovrebbetoccare tutti gli aspetti della vita umana, dallaspiritualità all’economia, dalla politicaall’ecologia. Questo cambiamento saràpossibile solo attraverso un cambiamento dicultura altrettanto radicale, altrimenti tutti itentativi di mutamento ricadranno su sestessi.

La forza del pensiero di Panikkar staproprio nell’aver delineato questo nuovoorizzonte, il nuovo mito, e averlo fatto in unconfronto con le culture del mondo, al di fuoridi ogni provincialismo e senza la minimapaura di mettere in discussione il mitodominante. Eppure questo grande spiritualeha affrontato un compito così titanico con

grande delicatezza perché il mito chetramonta non sono solo macerie, ma anchetesori di inestimabile valore che meritano diessere integrati sotto una luce nuova nelmito che sta albeggiando.

Page 39: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

39

Complexity Session - Piero Bevilacqua

Intanto una premessa chiarificatrice suitermini utilizzati nel titolo di questacomunicazione. Perché uso la parola sapere,distinta da scienza? Non sto ricorrendo a unsinonimo per eliminare una cacofonia daripetizione. Nel mio vocabolario la scienza èun fenomeno storicamente determinatodell'età contemporanea: con la sua ricercaistituzionalizzata, divisa in discipline, con lesue procedure universalmente riconosciute, isuoi protocolli, le sue finalità eminentementetecniche, la sua dipendenza dai poteridominanti1, la sua incorporazione nellamacchina della produzione capitalistica. Aquest'ultimo proposito sappiamo, almeno daitempi di Marx, che «l'invenzione diventaun'attività economica e l'applicazione dellascienza nella produzione immediata un

1 Rimando al vasto affresco di F. Capra, Il punto di svol-ta. Scienza, società e cultura emergente (1982) Feltri-nelli Milano 2008, e al contributo - che solo a tratti haun'impostazione storica - di M.Cini, Un paradiso perdu-to. Dall'universo delle leggi naturali al mondo dei pro-cessi evolutivi.Feltrinelli Milano, 2004. Su saperi,scienzee conoscenza si veda il testo, a più voci, Manifesto sulfuturo dei sistemi di conoscenza.Sovranità della cono-scenza per un pianeta vitale, Press Service, Sesto Fio-rentino 2009

criterio determinante e sollecitante per laproduzione stessa.»2

I saperi, ovviamente, possono essereanche scienza, quanto a universalità di criteridi procedura e di validazione, ma essi sonocontaminati da conoscenze e finalità extra-scientifiche. Oggi i saperi che si occupanodella biodiversità, ad esempio, e che utilizzanoil patrimonio conoscitivo di disciplinetradizionali come la biologia o la zoologia,rappresentano forme di conoscenze cheosservano non solo i singoli fenomeni, ma leloro reciproche relazioni e lo spazio specificoin cui essi si svolgono. E non danno vitanecessariamente a tecnologie, a farmaci o aqualunque altro prodotto mercificabile. Essisono incomprensibili, al di fuori di un impulsodi carattere non scientifico, proveniente dallareazione morale e politica all'avanzare dellemonoculture agricole e alla riduzione delle

2 K.Marx,Lineamenti fondamentali della critica dell'e-conomia politica, Presentazione, traduzione e note diE.Grillo,La Nuova Italia, Firenze 1970, vol.I, p. 399

NOVECENTO DIVISO: TRA RIDUZIONISMO TECNICO-SCIENTIFICOE SAPERE DELLE CONNESSIONIPiero Bevilacqua

Piero Bevilacqua(video)

Piero Bevilacqua,Università La Sapienza, Roma

Page 40: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

40

Complexity Session - Piero Bevilacqua

specie viventi sulla Terra. Il testo di VandanaShiva, Monoculture della mente ne costituisceuna testimonianza significativa3

Resta da aggiungere che i saperi sonospesso esterni alle istituzioni dominanti,hanno talora a che fare con le sapienze localitramandate oralmente. E' questo il caso deicontadini. Essi hanno elaborato e tramandatoun sapere che per diecimila anni ha permessoall'umanità di nutrirsi e di sopravvivere. Unamassa di conoscenze empiriche e diconcezioni olistiche, su cui è sorta la scienzaagronomica nell' 800. Per il tratto più lungodella sua storia l'umanità si è retta sui saperi,e questi sopravvivono e hanno la loro larga espesso invisibile influenza, anche nella nostraepoca e nelle società dominate dalla scienza.Si pensi a quanto sapere orienta la nostra vitaquotidiana, il lavoro domestico femminile,ecc.

Dunque, scienza e saperi. Simili, madiversi. Una diversità che vogliamo marcareper ragioni non scientifiche, ma morali epolitiche. Sempre, è con nuove parole che ci sisepara da un passato che si vuol superare.Ora, il Novecento ormai concluso squadernaal nostro sguardo storico uno spettacolo digrande interesse. Esso mostra, ad esempio,come alcuni principi e caratteri fondativi dellascienza moderna pervengano alla loroestrema conclusione. Ma ci mostra, anche, altempo stesso, come dall'interno del corpodella scienza dominante si facciano stradasaperi che addirittura colpiscono alla radice ilsuo principio ed il suo fine originario.

Questo è senza dubbio il caso dellafisica. La Big science della prima parte del

3 V.Shiva, Monoculture della mente. Biodiversi-tà,biotecnologia e agricoltura “scientifica”, Bollati Bo-ringhieri, Torino 1995.

secolo. Questa disciplina che, com'è noto, conGalilei, fonda la scienza moderna, conosce nelNovecento l'esito più estremo del riduzio-nismo che ne segna l'atto di nascita. Ricordoper brevità quanto dice Edgar Morin a questoproposito, ne La natura della natura: «Lafisica occidentale non ha solamente disin-cantato l'universo, essa l'ha desolato», cioé leha sottratto la vita riducendola a rapportimatematici fra corpi. 4

Ebbene, esattamente questa scienza,che nel secolo scorso ha puntato a indagare lestrutture prime della materia, a smontare lacomplessità del vivente e a ridurlo nei suoielementi ultimi e costitutivi, è sfociata in unrisultato tecnico di gigantesca distruttività. Ifisici della prima metà del '900 hanno creatola bomba atomica. Hanno cioé finalizzato ilsapere della scienza per un compito totalitariodi morte. La bomba atomica, come ricordavaIvan Illich, non è un'arma qualsiasi da usarecontro un nemico in guerra: è un progetto digenocidio. 5

Al tempo stesso, la fisica, seguendoquesto sentiero riduzionistico della cono-scenza e di ulteriore dominio sulla natura, siconsegnava a poteri esterni, poteri illiberali edi guerra. Come ha ricordato Karl Jaspers, nelsuo saggio La bomba atomica e il destinodell'uomo, riferendosi a quanto accadde negliUSA negli anni '40, «quella che era unaorganizzazione, in un primo tempo libera, discienziati impegnati col massimo spirito disacrificio, per la libertà degli uomini, subitosempre più divenne una impresa militarmente

4 E.Morin, La méthode.Tome I, La Nature de la Nature,Edition Seuil, Paris 1977, p. 3655 I.Illich, Nello specchio del passato.Le radici storichedelle moderne ovvietà:pace,economia, sviluppo, lin-guaggio, salute, educazione, Red Como 1992, p. 28

Page 41: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

41

Complexity Session - Piero Bevilacqua

controllata.6» Crediamo di poter concludereche mai nella storia dell'umanità si era veri-ficato un così totale rovesciamento dei finidella conoscenza.

Eppure è stata questa stessa scienza, lafisica, nel corso del '900, a sfociare nellanegazione delle sue cadute riduzionistiche, ascavare un altro sentiero accanto a quellostrumentale e distruttivo, a porsi di fronte ilgrande mare della complessità. «La fisica,animata dall'ossessione mitologica dell'unitàprima - ha scritto ancora Morin ne La vitadella vita- scoprì in principio la molecole, poil'atomo, poi ancora la particella. Nella suaricerca dell'elementare, essa trovò di volta involta il combinato, il complicato, il complessoe, nella particella, la maggior complessitàlogica che si possa immaginare.» 7

Com'è noto, è stato, fra tanti, un fisicoeterodosso, Fritjof Capra a riflettere genial-mente su questa tarda evoluzione della fisicacontemporanea. Uno sviluppo che ha portatouna scienza eminentemente riduzionistica ascoprirsi profondamente affine al pensieromistico orientale: vale a dire a riconoscere «l'unità e l'interdipendenza di tutti i fenomeni ela natura intrinsecamente dinamica dell'uni-verso»8 «La meccanica quantistica rivela – hascritto Capra nel Tao della fisica – un'essen-ziale interconnessione dell'universo e ci facapire che non possiamo scomporre il mondoin unità elementari con esistenza indipen-dente. Quando studiamo la materia inprofondità, scopriamo che essa è composta daparticelle, ma queste non sono i “mattonifondamentali” nel senso di Democrito e di

6 K.Jaspers, La bomba atomica e il destino dell'uomo, ilSaggiatore Milano, 1960, p.2897 E. Morin, Il metodo. 2 La vita della vita, (1980) Raffa-ello Cortina Editore, Milano, p. 1168 F.Capra, Il Tao della fisica, (1975) Adelphi Milano2009, p.27

Newton. Sono soltanto idealizzazioni, utili daun punto di vista pratico, ma prive disignificato fondamentale.» 9

L'ecologia come sapere olistico.

Ma nel Novecento, soprattutto nellaseconda metà del secolo, fiorisce e potremmodire esplode una conquista sostanzialmentedimenticata del pieno Ottocento: l'ecologia.La «scienza delle relazioni – come scriveva ilsuo pioneristico fondatore, Ernst Haeckel, nel1866 - fra le cose viventi e il loro ambiente».10

E' questo elementare principio fondativo cheha rivoluzionato e sta rivoluzionando i saperidella nostra epoca.

Esso contraddice infatti alla radice ilprincipio su cui si è retta l'intera scienzamoderna: vale a dire la separazione el'isolamento dell'oggetto dal suo ambiente,per essere studiato nella sua intima e solitariastruttura. L'ecologia ha invece mostrato chetale separazione e isolamento portano aconoscenze parziali, riduttive, esemplificatrici.Esse finiscono con l'occultare i condiziona-menti, gli influssi, le determinazioni che iltutto interrelato ha sulle singole parti.

Certo, come mostra tanto la storia delsapere scientifico che la storia della societàindustriale, il riduzionismo della scienza, e lasua finalizzazione in tecnica, sono staticoronati da un enorme successo. Essi hannocostituito la stoffa stessa della nostra epoca,interamente fondata su un progetto didominio assoluto sulla natura. Ma è statoesattamente tale dominio e le alterazioniprodotte, le minacce che esso ha fatto

9 Ibidem, p. 15610 P. Bevilacqua, La terra è finita. Breve storia dell'am-biente, Laterza Roma-Bari, 2006, p.138; C. Modonesie G.Tamino ( a cura di ) Biodiversità e beni co-

Page 42: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

42

Complexity Session - Piero Bevilacqua

intravedere all'orizzonte, che hanno fattoemergere dal campo stesso della scienzadominante percorsi nuovi della ricerca e delpensiero.

L'osservatore della realtà esterna hadovuto accorgersi che egli era fatto dellastessa materia della realtà osservata, ildominatore ha dovuto constatare che ildominio gravava anche su di lui, frammentodella natura assoggettata. Il secondoNovecento ha potuto infatti assistere a unsotterraneo mutamento di paradigmascientifico, indotto dalla constatazione, perdirla ancora con parole di Morin, che«L'asservimento della natura da partedell'uomo ha trasformato la naturadell'asservimento»11 Perché «il controllodell'ecosistema sulle società umane aumentanella misura in cui aumenta il controllo cuiesso è soggetto (...) Più l'uomo possiede lanatura, e più la natura lo possiede »12

Gli uomini non potevano, dunque, e nonpossono sottrarsi né col pensiero né conl'agire pratico alle infinite e spesso ancoraignote relazioni che li legano al loro ambiente,che li imprigionano nella maglia invisibile,complessa e sfuggente della biosfera. Essiappaiono sempre più legati e condizionati almondo infinitamente piccolo dei virus e deibatteri, protagonisti, come ormai sappiamo,nella lunga vicenda della storia umana.13 Ecome abbiamo imparato a sperimentare negliultimi anni con le pandemie che dal mondoanimale si diffondono nelle società umane

muni. Introduzione di M.Capanna, Jaka Book,Milano 2009, p.2311 E. Morin, Il pensiero ecologico, Hopeful Monster,Firenze 1988, p.9412 Ibidem ,p. 9513 J.Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia delmondo negli ultimi tredicimila anni. Introduzione di L. eF. Cavalli Sforza, Einaudi Torino, 2006, p. 149 e ss.

globalizzate. Ma questa, per la verità, era unaconoscenza che la scienza medica avevacominciato a far propria almeno a partire daPasteur.

Ma non è solo questo. Non è certaquesta la novità che fa epoca. Con dram-matica sorpresa, solo negli ultimi decenni gliuomini si sono accorti di essere inscindi-bilmente legati all' infinitamente grande. Lascoperta che le attività umane, i nostri fumi escarichi, i nostri allevamenti alterano addirit-tura l'atmosfera, il cielo lontano che sta sopradi noi, provocando il riscaldamento del clima,illumina sinistra-mente l'esito potenzialmentecatastrofico del nostro dominio. Uno deimaggiori studiosi degli effetti economici delglobal warming, del riscaldamento globale,Nicholas Stern, ha definito il fenomeno «il piùgrave ed esteso caso di fallimento del mercatoche si sia mai verificato.»14 Ben detto. Ma nonè soltanto questo. Esso costituisce larivelazione drammatica dei limiti conoscitivisu cui la scienza moderna ha edificato lagigantesca macchina di dominio tecnico sulmondo vivente. E' una sorta di bilancio, unconto che la natura immaginata come lontanae infinita presenta ai manipolatori ignari emaldestri che l'hanno violata.

Nel Novecento, un altro ramo dellascienza – che negli ultimi decenni sembra aversostituito la fisica nel ruolo di Big science – labiologia, si è inoltrata nel sentiero dellascomposizione del vivente nei suoi costituentiprimi e fondamentali. Non senza grandisuccessi, sia conoscitivi che tecnici. E'sufficiente pensare alle scoperte dellagenetica, a partire dalla decodificazione delladoppia elica del DNA da parte di Krick e

14 N. Stern, Clima è vera emergenza. Il rapporto Stern:cambiare è possibile, introduzione di C.Carraro, BrioschiMilano , 2008, p.22

Page 43: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

43

Complexity Session - Piero Bevilacqua

Watson, nel 1953, o agli indubbi progressirealizzati in campo medico e biotecnologico.Negli ultimi decenni non pochi scienziatihanno addirittura creduto – seguendo lesirene di un meccanicismo che sopravvive adalmeno 4 secoli di storia della scienza - chetramite i geni si potessero definitivamentestabilire i caratteri degli organismi, predirel'evoluzione organica degli individui. Ma sisono dovuti rassegnare al fatto che gran partedei geni non sono invarianti, non replicano icaratteri dell'informazione ereditata, ma sonofenotipi, sono cioé soggetti all'alterazione emodificazione dell'ambiente, variano neltempo e dunque sono intimamente connessiagli andamenti imprevedibili della storiaindividuale.15 La stessa genetica, d'altro canto,progredendo nelle sue scoperte, ha mostratoche la materia possiede anch'essa una sua“soggettività”. Non solo gli uomini e glianimali, ma anche le piante si sviluppano edevolvono sulla base di codici informativicontenuti nei geni. Gli alberi vivono ecrescono per via di messaggi invisibili. Formeinsospettate di “sapere”, dunque, orientano lestrutture profonde della vita, anche quelle chea partire da Cartesio avevamo pensato erappresentato come res extensa, comeoggetto esterno e contrapposto alla nostrasoggettività.16

Ecco, dunque, un altro e clamoroso casoin cui il riduzionismo ha dovuto cedere alla

15 Cfr. B.Commoner, Replicazione del DNA: il talloned'Achille della genetica molecolare; E.Gagliasso Luoni,Riduzionismi:il metodo e i valori, in C.Modenesi,S.Masini, I.Verga, Il gene invadente.Riduzionismo, bre-vettabilità e governance dell'innovazione biotech. In-troduzione di M.Capanna, Baldini Castoldi Dalai, Milano2006, p. 51 e ss. e p.111 e ss.16 Si vedano in proposito le osservazioni di M. Alcaro,Coscienza e mondo. Un dialogo tra filosofia e scienza, inP.Bevilacqua ( a cura di) A che serve la storia? I saperiumanistici alla prova della modernità, Donzelli Roma,2011.

complessità, l'uno al molteplice, l'“astratto” alcontesto, l'isolato alle connessioni.L'infinitamente piccolo si è nuovamentemostrato indissolubilmente legato all'infinita-mente grande, lo condiziona e ne ècondizionato.

Ha ricordato Marcello Buiatti nel suosaggio sulla Biodiversità : «Quando parliamodi biodiversità (.... )parliamo della diversità framolecole all'interno di una cellula, fra cellulein un organismo, fra organismi che fannoparte di una popolazione (insieme diorganismi di una stessa specie), specie diverseappartenenti ad un ecosistema, ecosistemiche compongono la biosfera. La vita cioé è uninsieme di componenti tutti più o menocollegati fra di loro e quindi non indipendentima che inevitabilmente si influenzano l'unl'altro.»17

Una minacciosa involuzione

Lo scenario del Novecento mostratuttavia percorsi di rovesciamento delladirezione della ricerca anche in altri campi:vale a dire in ambiti poco sospettabili dicaduta nell' illusione riduzionistica che dasempre accompagna e spesso porta fuoristrada le ambizioni e i sentieri della ricerca. E'il caso di una scienza sociale nata in Europanel XVIII secolo e che ha celebrato i suoitrionfi e le sue perniciose illusioni nel XXsecolo.18 Mi riferisco all'economia, nata dauna costola della filosofia morale e diventata,alla fine del suo percorso, una tecnologia dellacrescita. Un sapere della complessità, dellerelazioni tra i fenomeni produttivi e le classisociali, tra la divisione del lavoro e i mercati,

17 M. Buiatti, La biodiversità, il Mulino 2007, p.818 Sul carattere per cosi dire inventato dell'economia,come disciplina scientifica, che si è ritagliata uno spa-zio autonomo tra i fenomeni sociali, S.Latouche, L'in-venzione dell'economia, Bollati Boringhieri, Torino 2010

Page 44: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

44

Complexity Session - Piero Bevilacqua

tra il centro e la periferia, tra la ricchezza e lapubblica felicità, si è ridotta a una sofisticatamacchina volta ad un unico fine: l'incrementodel Prodotto interno Lord, il sacro Graal dellanostra epoca. O per meglio dire, la crescita deibeni e servizi disponibili senza alcun riguardoper quel che accade alle connessioni chelegano la società, alle relazioni fra gli individui,al benessere delle persone, alla loro vitaintima e alla spiritualità collettiva. Enaturalmente senza riguardo – ma questo eraun peccato originale anche dell'economiapolitica sin dai suoi esordi settecenteschi19 –per la distruzione di risorse non rinnovabiliche produce, per gli effetti negativi che hasull'intero mondo vivente, per le alterazioni e idanni che genera dentro la placenta che tuttici contiene, cioé l'atmosfera.

L'involuzione grave che ha subito questadisciplina scientifica nella seconda metà delNovecento, mostra in maniera paradigmatica– non diversamente da quanto è accaduto allafisica con la creazione della bomba atomica -come essa possa trasformarsi in unostrumento di distruzione della biosfera. Messaal servizio di una macchina che divora immanirisorse e mette a sacco gli habitat dell'interopianeta, essa si è trasformata in un dispositivomeccanico di autoperpetuazione del proprioagente. La scienza economica sembra aversubito lo stesso destino della fisica messasi alservizio del potere militare, secondo larassegnata constatazione di Jaspers. Essa haperduto le sue caratteristiche di libera e“disinteressata” ricerca e si muove a testa

19 Per la rimozione della natura nel processo econo-mico già in Smith, Ricardo e in parte nello stesso Marx,cfr. H.Immler, Natur in der ökonomischen Theo-rie,Westdeuscher Verlag, Opladen,1985, p. 138. e ilcommento di chi scrive in P.Bevilacqua, Demetra eClio.Uomini e ambiente nella storia, Donzelli roma,2001, p 118 e ss.

china, al cappio dei poteri e delle ideologiedominanti

Ma la sua metamorfosi ha contagiatoaltri ambiti dell'umano pensare. Il suo statoattuale, la riduzione del sapere economico inuna tecnologia della crescita, coinvolge eimmiserisce oggi uno dei saperi più antichidell'umanità - non meno antico dell'eco-nomia- elaborato sin da quando gli uomini sisono uniti in società. Un sapere delleconnessioni, profondamente olistico, creatoper gestire la diversità e la complessità dellavita organizzata degli uomini: la politica.

La subordinazione della politica allatecnologia della crescita è responsabile inlarghissima parte dell'irrilevanza in cui oggiannaspa questo antico sapere. E costituisceforse uno dei nodi fondamentali che spieganogli equilibri fragili e precari in cui l'umanitàsembra precipitata negli ultimi decenni.Equilibri ambientali ed equilibri sociali altempo stesso. La politica è oggi sempre piùunilateralmente irretita, nelle sue formedominanti, dal delirio riduzionisticodell'economicismo: la peste ideologica dell'età contemporanea.20 E rischia di trascinarcinella rovina se non riusciamo a ridarleautonomia, a farla somigliare a quella cheMorin chiama, ricordando il nostroGianbattista Vico, la «prima scienza nuova»,vale a dire l'ecologia, un sapere delleconnessioni e delle interrelazioni che leganole infinite varietà del vivente in un tutto chemuta nel tempo.

20 Su questi aspetti rimandiamo, anche per la biblio-grafia specifica utilizzata, a P.Bevilacqua, Miseria dellosviluppo,Laterza, Bari Roma, 2008, p.. e Id. Il grandesaccheggio. L'età del capitalismo distruttivo, Laterza,Roma-Bari, 2011, p. 94 e ss.

Page 45: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

45

Complexity Session - Giuseppe Gembillo

La concezione della Complessità è lanuova visione della realtà che si propone co-me alternativa a quella tradizionale. Che sipropone, cioè, come alternativa al Riduzioni-smo. Ma il Riduzionismo ha una gloriosa tradi-zione teorica e ha conseguito grandissimisuccessi tecno-pratici. Inoltre, si fonda su unaconcezione che affonda le proprie radici sianel pensiero filosofico, da Talete a Cartesio;sia in quello scientifico, da Galilei a Einstein1.Tenuto conto di ciò, se la concezione dellacomplessità si vuole proporre come alternati-va al riduzionismo ha l’obbligo di presentareargomentazioni forti e ben fondate. Io prove-rò a farlo, cominciando col sottolineare il fattoche anche la concezione della Complessità sifonda su una gloriosa tradizione filosofica e suun’altrettanto gloriosa tradizione scientifica.La tradizione filosofica risale a Vico ed Hegel e

1 Cfr. G. Galilei, Le opere, voll. 20, ed. nazionale, a curadi A. Favaro, Firenze 1890-1909;Id., Il Saggiatore, a curadi L. Sosio, Feltrinelli Milano 1990;R. Cartesio, Opere fi-losofiche, trad. di E. Garin, G. Galli, M. Garin, Laterza,Roma-bari 1998; G. Gembillo, Neostoricismo comples-so, ESI, Napoli 1999.

passa per Croce, per Cassirer, per Dewey, perPerelmann; la tradizione scientifica risale aFourier e a Darwin, e passa per Mach, perPlanck, per von Bertalanffy, per Heisenberg,per Bohr, per Prigogine, per Maturana, perWiener, per Lovelock, per Mandelbrot2.

2 Cfr. G. Vico, la scienza nuova e altri scritti, a cura di N.Abbagnano, UTET, Torino 1976; G.W.F. Hegel, Fenome-nologia dello spirito, trad. di E. De Negri, La Nuova Ita-lia, Firenze 1995; Id., Scienza della logica, trad. di A.Moni, Laterza, Roma-Bari 1983; Id., Lezioni sulla storiadella filosofia, trad. di E. Codignola e G. Sanna, La Nuo-va Italia, Firenze 1972; B. Croce, Logica come scienzadel concetto puro, Laterza, Bari 1964; Indagini su Hegele schiarimenti filosofici, Laterza, Bari 1967; G. Gembillo,Filosofia e scienze nel pensiero di Croce, Giannini, Napo-li 1984; Id. Benedetto Croce filosofo della complessità,Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; E. Cassirer, Filosofiadelle forme simboliche. 1. Il linguaggio, Trad. di E. Ar-naud, La Nuova Italia, Firenze 1966; Id., Determinismo eindeterminismo nella fisica moderna, trad. di G. A. DeToni, La Nuova Italia, Firenze 1970; J. Dewey- A.F. Ben-tley, Conoscenza e transazione, trad. di E. Mistretta, LaNuova Italia, Firenze 1974; J. Dewey, Logica, teoriadell’indagine, trad. di A. Visalberghi, Einaudi, Torino1965; Ch. Perelman – L. Olbrechts-Tyteca, Trattatodell’argomentazione, trad. di M. Meyer, C. Schick, E.Barassi, Einaudi, Torino 1976; Ch. Perelman, Il campodell’argomentazione, trad. di E. Mattioli, Pratiche, Par-ma 1979. Riguardo all’ambito scientifico per il momen-to rimando a: L. von Bertalannfy, Teoria generale deisistemi. Fondameni, sviluppo, applicazioni, trad. di E.

PERCHÉ LA COMPLESSITÀGiuseppe Gembillo

Giuseppe Gembillo(video)

Giuseppe Gembillo,Centro della Complessità, Univ. Messina

Page 46: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

46

Complexity Session - Giuseppe Gembillo

Considerato ciò, mi propongo di mostra-re che la concezione della Complessità è il ri-sultato coerente di una serie di rivoluzioniavvenute nell’ambito della filosofia e delle va-rie scienze a partire dagli inizi dell’Ottocento etuttora in corso. L’aspetto più significativo ditutto questo è che tali rivoluzioni hanno modi-ficato radicalmente il nostro concetto di Natu-ra, di Realtà esterna, di Universo e hannocomportato innanziuttto: la fine della con-trapposizione tra Natura e Storia; la storicizza-zione del concetto di sistema; una radicaletrasformazione di tutti i principali concettiscientifici tradizionali, e, proprio come cose-guenza generale di ciò, hanno reso inevitabileil passaggio dal Riduzionismo alla Complessi-tà3.

Bellone, Mondadori, Milano 2004; H. Maturana – F. Va-rela, Macchine ed esseri viventi. L’autopoiesi el’organizzazione biologica, trad. di A. Orellana, Astrola-bio-Ubaldini, Roma 1992;Idd., L’albero della conoscen-za, trad. di G. Melone, Garzanti, Milano 1999; AA.VV.,Conoscere è fare. Omaggio a Humberto Maturana, acura di G. Gembillo e L. Nucara, Sicliano, Messina 2008;N. Wiener, Introduzione alla cibernetica, trad. di D. Per-siani, Bollati Boringhieri, Torino 1997;Id., La cibernetica.Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchi-na, trad. di G. Barosso, Mondadori, Milano 1968; J. Lo-velock, Gaia. Nuove idee sull’ecologia, trad. di V. BassanLanducci, Bollati Boringhieri, Torino 1996; Id., Le nuoveetà di Gaia, trad. di R. Valla, Bollati Boringhieri, Torino1991; G. Gembillo, Le polilogiche della complessità, LeLettere, Firenze 20083 La storia e le ragioni teoriche di tale trasformazione sitrovano perfettamente condensate nei sei volumi delMetodo di Edgar Morin: Il metodo 1. La natura dellanatura, trad. di G: Bocchi e A. Serra, Cortina, Milano2001; Il metodo 2. La vita della vita, trad. di G. Bocchi eA. Serra, Cortina, Milano 2004; Il Metodo 3. La cono-scenza della conoscenza, trad. di A. Serra, Cortina, Mi-lano 2007; Il metodo 4. Le idee: habitat, vita,organizzazione, usi e costumi, trad. di A. Serra, Cortina,Milano 2008; Il metodo 5. L’identità umana, trad. di S.Lazzari, Cortina, Milano 2002; Il metodo 6. Etica, trad.di S. Lazzari, Cortina, Milano 2005. Su ciò cfr. A. Ansel-mo, Edgar Morin e gli scienziati contemporanei, prefa-zione di Edgar Morin, Rubbettino, Soveria Mannelli,

Il Riduzionismo “messo a fuoco”

Da Talete ad Einstein abbiamo cercatodi semplificare il mondo esterno “complica-to”, cercando il principio unico di spiegazione.La via per conseguire questo risultato è passa-ta attraverso un approccio metodologico con-forme allo scopo: il complicato è statospiegato come aggregato di parti, riconducibi-le alle singole unità, senza difficoltà, anzi congrande e decisivo vantaggio, come ha mostra-to Cartesio proponendo un metodo che consi-steva nel ridurre ogni oggetto, identificato conun meccanismo facilmente scomponibile, allesue parti costituenti. Per via scientifica, loschema di questo aggregato è stato esteso al-la realtà nella sua interezza ed è stato ordina-to in sistema eterno, retto da leggiimmodificabili e caratterizzato da andamentoricorsivo e ripetitivo. La perfezione in tal sen-so, e dunque la meta definitiva, è stata rag-giunta, come proclamavano per vie diverseLaplace e Kant, col sistema solare delineato daNewton4.

Ma ecco il paradosso: un sistema, il si-stema del mondo di Newton, che ruota attor-no a un astro infuocato, presenta soloprocessi adiabatici, per i quali lo scambio dicalore non è preso in considerazione. In con-seguenza di questa scelta, l’universo newto-niano diventa freddo e statico.

A un certo punto, però, e imprevedibil-mente, qualcuno comincia ad affrontare sul

2005; G. Gembillo- A. Anselmo- G. Giordano, Comples-sità e formazione, ENEA, Roma 2008; G. Gembillo, DaEinstein a Mandelbrot, Le Lettere, Firenze 20094 Cfr. I. Prigogine – I. Stengers, La nuova alleanza, trad.di P. D. Napolitani, Einaudi, Torino 1993; G. Gembillo –G. Giordano- F. Stramandino, Ilya Prigogine scienziato efilosofo, Siciliano, Messina 2004; G. Giordano, La filoso-fia di Ilya Prigogine,Siciliano, Messina 2005

Page 47: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

47

Complexity Session - Giuseppe Gembillo

serio il problema del calore e scopre, con Fou-rier, che il calore è una forma di energia uni-versale come la forza gravitazionale ma deltutto opposta ad essa, perché esso trasforma icorpi, li degrada, ne determina un’evoluzionestorica nella direzione della progressiva disso-luzione.

Fourier, al seguito di Napoleone durantela campagna d’Egitto, contrasse, dopo avereattraversato 30 kilometri di deserto, una stra-na malattia: il suo corpo perdeva lentamentema progressivamente calore. Nessun medicodell’epoca riuscì a venire a capo del problema.Allora Fourier cominciò ad affrontare da sé ilproblema, estendendolo alla natura del calorein generale. I risultati furono sconvolgenti:ogni corpo possiede calore che prima o poi sidisperde, degradando il corpo. Esso, dunque,è strutturato temporalmente, è soggetto alloscorrere del tempo.5

Con questo atto di consapevolezza, iltempo e la storia entrano di prepotenza e de-finitivamente nella scienza. Scompare la diffe-renza tra Natura e Storia.

Queste conseguenze emergono ancheattraverso la trasformazione che via via subi-scono tutti i concetti fondamentali su cui sifondava la scienza classica. Primo fra tuttiquello di reversibilità che viene sostituito dalsuo opposto, quando ci si rende conto che nelmondo concreto, reale, gli eventi seguonosempre una direzione che va dalla loro genesifino alla loro dissoluzione, che si chiama mor-te per gli esseri viventi e si chiama dissipazio-ne per tutti gli altri corpi.

5 J. J. Fourier, Thèorie analytique de la chaleur, Gabay,Paris 1988

Il concetto di causa, a sua volta, si volati-lizza quando applicato ai fenomeni della tra-smissione del calore. In essi la causa dellatrasmissione è la differenza di temperaturatra i corpi che entrano in contatto. Ma, a fineprocesso, il calore si distribuisce i maniera uni-forme tra i corpi e la causa, cioè la differenza,scompare e non si ripristina in maniera natu-rale: dall’effetto non si risale alla causa nem-meno nel senso che a fine processo essirestino distinguibili perché per chi ha non haavuto modo di assistere al processo di diffu-sione è impossibile capire quale sia stato, inpartenza, il corpo a cedere calore.

Il tempo, poi, in fisica classica era consi-derato o uno dei parametri che consentono diinquadrare i fenomeni in maniera spazio-temporale (Cartesio); o un contenitore assolu-to, dentro il quale gli eventi scorro-no(Newton); oppure una delle forme puredella sensibilità (Kant); in ogni caso esso re-stava sempre esterno ai fenomeni. Con Fou-rier, invece, il tempo diventa una strutturaintrinseca ai vari fenomeni; ognuno di essi haun tempo proprio che ne determina i ritmievolutivi.

Chiarisco questo concetto servendomidi una situazione particolare immaginata daLudovico Ariosto nella sua Satira settima: unalbero di pero si sveglia dal letargo invernale esi trova coperto da una zucca. Indispettito, lechiede spiegazioni. La zucca lo prende in girofacendogli rilevare come mentre lui aveva im-piegato molti anni per crescere, lei in due me-si lo avesse sopravanzato. Al che il perorisponde. “è vero, tu sei cresciuta rapidamen-te, ma altrettando rapidamente morirai”.

La simpatica discussione rende benel’idea per la quale ogni esistente ha un “tem-po prorprio”, segue un ritmo temporale indi-

Page 48: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

48

Complexity Session - Giuseppe Gembillo

viduale, e non può dunque fare affidamentosu un tempo “isocrono”, uguale per tutti.

Analogo discorso va fatto per lo spaziointeso, anch’esso, tradizionalmente, come uncontenitore indifferente ai corpi che contiene.Con la termodinamica, invece, esso si è tra-sformato in ambiente con il quale qualunqueesistente interagisce in maniera attiva. Così lospazio non contiene indifferentemente ogget-ti, ma interagisce con entità che lo trasforma-no e che vengono a loro volta trasformati.

Tutto questo impone un’ulteriore svoltaa favore del disequilibrio e della diseguaglian-za. Nessun esistente è identico a qualcosa didiverso da se stesso; anzi, nessuno è identicoa se stesso perché cambia continuamente neltempo; tutto ciò che è, esiste in condizionilontane dall’equilibrio, che è stasi e morte6.

Allora, come dicevo prima, si consolidala svolta che porterà al superamento del ridu-zionismo e porrà l’esigenza del nuovo approc-cio complesso al reale: tutto diventa storia,non solo a livello di singoli oggetti, ma a anchea livello dell’Intero.

Un primo passo condapevole ed esplici-to in questa direzione è quello che coinvolgetutte le specie viventi le quali da fisse ed eter-ne, diventano, grazie a Darwin, in continuaevoluzione. Indipendentemente dalle tesi par-ticolari da lui elaborate, il solo fatto di mette-re in movimento ciò che era consideratostatico ha costituito una rivoluzione radicale.Da allora ogni essere vivente rivela una suastoria particolare; ogni essere vivente si evol-ve non solo nella sua fenomenologia di essere

6 Cfr. I. Prigogine- I. Stengers, La nuova alleanza, cit.,pp. 111 e ss.

singolo, ma anche nella sua essenza, nella sua“sostanza”7.

Coniugando questi risultati con il secon-do principio della termodinamica, Ernst Mach,a sua volta, è giunto a storicizzare la Meccani-ca, inserendo il tempo nel cuore della fisicaclassica e trasformando le teorie scientificheda rispecchiamenti oggettivi della realtà in e-laborazioni storiche dei singoli scienziati, e-spresse per fini economici e pratici e volti nonalla conoscenza della natura, ma alla sua ma-nipolazione8.

Come se non bastasse, indagandol’immensamente piccolo, una serie di fisici ri-voluziona l’immagine statica della natura mi-croscopica attribuendole una doppiaimmagine, quella corpuscolare-materiale equella ondulatorio-immateriale9. In questomodo subisce una radicale trasformazionenon solo il reale microscopico, ma la logicastessa con la quale possiamo in qualche modocoglierlo: alla logica della non contraddizionee della reciproca esclusione degli opposti su-

7 Cfr, Ch. Darwin, L’origine dell’uomo, trad. di F. Paparo,Ed. Riuniti, Roma 1983; Id., L’origine della specie, trad.di C. Balducci, Newton Compton, Roma 1981.8 Cfr. E. Mach, La meccanica esposta nel suo sviluppostorico-critico, Boringhieri, Torino 19779 Cfr. A. Einstein, Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bol-lati Boringhieri, Torino 1988; Id., Autobiografia scienti-fica, trad. di A. Gamba, Bollati Boringhieri, Torino 1979;G. Giordano, Da Einstein a Morin, Rubbettino, SoveriaMannelli 2006; M. Planck, La conoscenza del mondo fi-sico, trad. di E. Persico e A. Gamba, Boringhieri, Torino1993; Id. Scienza, filosofia e religione, trad. di F. Selvag-gi, Fabbri, Milano 1973; L. De Broglie, Fisica e microfisi-ca, trad. di G. Crescenzi, Einaudi, Torino 1950; Id., Iquanti e la fisica moderna, trad. di U. Richard, Einaudi,Torino 1938; E. Schroedinger, L’immagine del mondo,trad. di A. Verson, Boringhieri, Torino 1987; Id., Mèmoi-res sur la mècanique ondulatoire, trad. fr. di A. Proca,Gabay, Paris 1988;

Page 49: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

49

Complexity Session - Giuseppe Gembillo

bentra la logica della complementarità e dellagiustapposizione tra visioni del reale10.

Ma la “storia della storicizzazione” deivari livelli del reale non finisce qui. Nel 1912Wegener scopre che anche il pianeta terra hauna sua storia che si è dipanata attraverso laderiva dei continenti che la compongono. Acompletare il quadro nel giro di qualche de-cennio, dal 1912 (Slipher) al 1929 (Hubble)anche l’Universo intero viene “messo in mo-vimento” e gli astrofisici si mostrano in gradodi delinearne la storia evolutiva e di certificar-ne la continua espansione11.

La conclusione, a questo punto, diventaconseguente: il sistema universo è un sistemastorico. Il concetto che fino a quel momentoaveva contrassegnato la staticità ordinata, ilconcetto di “sistema”, si storicizza anch’esso.

2 . Tra Storicità e Complessità

Il sistema è storico sia visto nella sua in-terezza, sia indagato nelle sue articolazioni in-terne, nelle sue “parti”.

Queste ultime non appaiono più comefisse, rigide e come giustapposte l’una all’altra

10 Cfr. N. Bohr, Teoria dell’atomo e conoscenza umana,trad. di P. Gulmanelli, Boringhieri, Torino 1961; Id., Col-lected works, voll. 1-9, North-Holland, Amsterdam, O-xford, New York, Tokio 1972-1986; AA. VV., Niels Bohrscienziato e filosofo, a cura di G. Gembillo e G. Giorda-no, Siciliano, Messina 2004; W. Heisenberg, Indetermi-nazione e realtà, a cura di G. Gembillo e G. Gregorio,Guida, Napoli 2002; Id., Lo sfondo filosofico della fisicamoderna, a cura di G. Gembillo e E. Giannetto, Sellerio,Palermo 1999; AA.VV., Werner Heisenberg scienziato efilosofo, acura di G. Gembillo e C. Altavilla, Siciliano,Messina 2002.11 Cfr. AA.VV., La natura dell’universo fisico, a cura di D.Huff e O. Prewett, trad. di P. Radicati, Boringhieri, Tori-no 1981; W. Bonnor, Universo in espansione, trad. di F.Bedarida, Boringhieri, Torino 1967.

e dunque facilmente sostituibili. Ognuna diesse, interagendo con le altre, subisce tra-sformazioni più o meno sensibili e, soprattut-to, contribuisce a creare novità, o, comemeglio si dice, “emergenze”.

Per esempio, due gas infiammabili,l’idrogeno e l’ossigeno, unendosi secondo ilnoto rapporto, fanno emergere un nuovoprodotto che acquisisce la caratteristicadell’effetto bagnato, che serve a spegnere tut-to ciò che è infiammabile. Così, il “tutto” rap-presentato dall’acqua acquista caratteristichecompletamente diverse rispetto a quelle cheposseggono i suoi componenti, le singole par-ti.

Il sistema costituito non è, come primasi diceva, ordinato, ma è “organizzato”; anzi, èautorganizzato. Esso è più della somma dellesue parti, perché, come s’è visto, le parti chelo compongono creano novità e aggiungonoqualcosa in più rispetto a ciò che mostravanodi possedere singolarmente prese. C’è da ag-giungere, però, che esso, come tutto organiz-zato, è anche meno della somma delle sueparti perché esse, intrappolate in un determi-nato intero, sviluppano solo le potenzialitàfunzionali alla costituizione di detto intero,mentre latentizzano e bloccano tutte le al-tre12.

Comunque, le parti ineragenti si modifi-cano ed evolvono organizzandosi. Per ovviaestensione anche l’intero organizzato si svi-luppa storicamente crescendo su se stesso.Esso attraversa un percorso che dalla genesi

12 Cfr. E. Morin, Il metodo. 1. La natura della natura,cit.; E. Morin e altri, La metafora del circolo nella filoso-fia del novecento, Siciliano, Messina 2002; A. Anselmo,Edgar Morin dalla sociologia all’epistemologia, Guida,Napoli 2006.

Page 50: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

50

Complexity Session - Giuseppe Gembillo

lo porta al massimo del suo sviluppo e quindialla dissoluzione, alla dissipazione. In questomodo anche il tradizionale rapporto tra ordinee disordine non appare di reciproca esclusionema è segnato da una linea di demarcazioneche determina il passaggio dall’uno all’altrocon alternanza temporale.

L’alternanza è prodotta dal fatto cheogni organismo è caratterizzato da un conti-nuo scambio con ciò che costistuiscel’ambiente esterno rispetto a se stesso, dalsuo metabolismo. Grazie ad esso l’organismomantiene la propria organizzazione, restandoin omeostasi, in una condizione di equilibriomobile, sufficiente a garantirgli la sussistenza.Ma il metabolismo conduce ogni organismoverso un degrado irreversibile; lo sforzo permantenere l’omeostasi paga il prezzo di unospreco di energia sia dell’organismo chedell’ambiente circostante. Quando l’orga-nismo supera il limite del proprio “calore”consentito, si dissipa. Dunque il calore crea edistrugge; in ogni caso esso è l’energia checonsente la vita13.

A queste considerazioni si deve aggiun-gere che ogni organismo, anche quello non vi-vente, è formato da parti o organismi piùpiccoli. In questo senso tutti gli esistenti sonoipercomplessi. Essi si sviluppano organizzan-dosi e associandosi e, da qui, autosviluppan-dosi, come avviene in tutte le forme diassociazione, dalla società civile, alle leggi etc.

Da tutto ciò si deduce che tutti gli ogget-ti, essendo, come detto, strutture dissipativeche durano un certo tempo, non sono più“oggetti” immodificabili, ma eventi.

13 Cfr. E. Morin, Il metodo 2. La vita della vita, cit.

Gli eventi vengono generati a partire dainterazioni caotiche che si autoorganizzano insistemi storico-organici. In strutture che dura-no per un certo tempo e poi tornano a scopa-rire nel caos, per formare materia per unanuova organizzazione. Se è così, il passaggiodal caos al cosmo, all’ordine, non è avvenutouna volta per tutte, nella notte dei tempi, masi ripete continuamente a livello di singoli e-venti che non emergono per causa esterna,per causa efficiente, ma per cause interne, perspinte prodotte dalle interazioni tra le varieparti che entrano in contatto e che finirannoper formare un “nuovo intero”, un nuovo e-vento organizzato14.

Ma se tutto è frutto di organizzazione, èovvio che cercare il semplice nella Natura èinutile. Il semplice non ha esistenza e consi-stenza reale “oggettiva” esso è, come ha rile-vato tra gli altri Gaston Bachelard, frutto delnostro operare, per cui, non esiste il semplicema il “semplificato” dall’uomo. Allora tutto ciòche abbiamo creduto di individuare come en-tità semplice nella Natura non è altro che il ri-sultato di una nostra opera di divisione e diastrazione da un contesto. Siamo noi che se-pariamo e isoliamo ciò che “per natura” è,sempre e a tutti i livelli, concreto, articolato eorganizzato.

Alla luce di tutto ciò entra definitiva-mente in crisi uno dei concetti più antichi epiù rassicuranti: il concetto di sostanza, chegarantiva la stabilità, la certezza e l’eternitàdegli esistenti. Con esso entra in crisi il princi-

14 Cfr. I. Prigogine – G. Nicolis, Le strutture dissipative.Auto-organizzazione dei sistemi termodinamici in non-equilibrio, trad. di A. Tripiciano, Sansoni, Firenze 1982;G. Nicolis – I. Prigogine, La complessità. Esplorazioni neinuovi campi della scienza, trad. di M. Andreatta e di M.S. De Francesco, Einaudi, Torino 1991.

Page 51: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

51

Complexity Session - Giuseppe Gembillo

pio di identità che imponeva che ogni cosadebba essere sempre identica a se stessa. Ci sirende conto che ogni esistente, pur mante-nendo una sua fisionomia particolare, crescesu se stesso, “diviene altro da sé”, si trasformain funzione delle interazioni con l’esterno edelle sollecitazioni che riceve dall’ambientecircostante; assume una fisionomia particola-re in funzione di pluridentità che si intreccianoe si fecondano a vicenda nello stesso sogget-to: l’identità di genere, quella religiosa, quellalinguistica, quella politica, quella “globalmen-te” terrestre, e così via.

Tutto questo interagire, allargato a livel-lo planetario e all’Universo intero spinge a ri-conoscere che ogni cosa se è vero che èrivolta verso l’unità è anche orientata verso ladiversità è, cioè, universa e pluriversa nellostesso tempo.

Alla rivoluzione ontologica segue anchequella logica. Ci si rende conto che aveva ra-gione Aristotele e non i suoi seguaci “infede-li”: la logica della non contraddizione è unostrumento per comunicare in maniera nonambigua ma non rappresenta la via per cono-scere e rispecchiare la realtà. Quest’ultimanon risponde alla logica dell’ aut aut, ma a piùlogiche: a quella della contraddizione, a quelladella complementarità, a quella sfumata, aquella circolare, e così via. In questo mododall’illusione di poter applicare la logicadell’escusione al Reale si passa alla convinzio-ne che alla comprensione di esso ci si deveapprossimare con la stessa varietà di modi cheesso stesso presenta Dunque, un mondocomplesso richiede metodi, logiche e approccicomplessi e plurali15.

15 Cfr. G. Gembillo, Le polilogiche della complessità, cit.

La cosa più spoprendente è che comin-cia a cambiare anche il linguaggio formale del-la fisica: agli oggetti non ci si rivolge più con“gli occhi della mente”, cioè con l’intelletto,ma con gli occhi corporali: dal 1967 BenoitMandelbrot ci invita a guardare il libro dellanatura non nella sua essenza nascosta, che sipretende strutturata secondo la geometriaeuclidea, ma secondo “ciò che effettivamenteci appare”. Ci invita a esaminare sia con gli oc-chi che con l’intelletto la forma delle costeterrestri, quella delle nubi, quella degli alberi,quella del cavolfiore, cioè quella degli oggettireali, prima che essi vengano formalizzati e“rettificati” dalla geometria tradizionale.16

Insomma, anche in matematica irrom-pre l’approccio complesso.

Allora, le ragioni della complessità, an-che alla luce delle mie rapide e generiche con-siderazioni, si rivelano davvero legittime. Ilproblema a questo punto diventa quello di“regolare” i rapporti tra il vecchio metodo e ilnuovo e di individuare i reciproci ambiti dicompetenza. Ma, la necessità di utilizzarel’approccio complesso appare riconosciutauna volta per tutte.

Il “perché” riguardo la Complessità ap-pare giustificato e in qualche modo legittima-to.

16 Cfr. B. Mandelbrot, Gli oggetti frattali. Forma caso edimensione, trad. di R. Pignoni, Einaudi, Torino 1987;Id., How is Long the Coast of Britain?, a cura di G. Gem-billo, Siciliano, Messina 2007; Id., La geometria dellanatura. Sulla teoria dei frattali, a cura di A. Giordano ealtri, Theoria, Roma-Napoli 1989; Id., Nel mondo deifrattali, s.i.trad., Di Renzo, Roma 2002; G. Gembillo,Mandelbrot, la geometria frattale e la sua estensione,“Complessità”, 2, 2006.

Page 52: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

52

Complexity Session - Gabriele Piana

L'argomento 'buddismo, scienza einterdipendenza' è estremamente vasto, perlo meno dal punto di vista della storia delleidee. Quanto vorrei innanzi tutto fare è alloradelimitare il quadro del mio intervento,accennando molto rapidamente comunque -eper altro a tale scopo- all'ampio scenariostorico.

Il discorso su buddismo e scienza èiniziato a partire dalla seconda metà deldiciannovesimo secolo: è iniziato con iltentativo da parte buddista di difendersi dagliattacchi dei missionari cristiani e deisecolaristi moderni e spesso ha avuto unintento apologetico. In una prima fase ilbuddismo in questione è stato il buddismotheravada dello Sri Lanka e del sudest asiatico,poi in una fase successiva il buddismoesoterico della Teosofia e il buddismo eticodegli orientalisti, poi, nel periodo successivoalla seconda guerra mondiale, il buddismo zen(specialmente quello propugnato da Suzuki), e

infine, negli ultimi tre decenni il buddismotibetano. Nel discorso su buddismo e scienzaoccorre dunque tenere pure conto del fattoche sono in gioco vari buddismi. Anche lascienza con cui questi diversi buddismi si sonoconfrontati ha per altro assunto fisionomie esignificati diversi.1

Il rapporto storico tra buddismo escienza può poi essere anche indicatoricorrendo a diversi modelli, in particolare tre:conflitto/ambivalenza (piuttosto raro), com-patibilità/identità (tra i vari motivi di compa-tibilità indicati da diversi autori, a volte in unaprospettiva di contrapposizione alle altrereligioni, l'assenza di dogmi, il riferimento allalegge di causa ed effetto, il fare a meno di Dioe dell'anima) e complementarità (in quest'ulti-mo caso si sottolineano somiglianze di meto-do e differenze nell'oggetto di studio oppure

1 Per quanto riguarda la ricostruzione storica del rap-porto tra i diversi buddismi e la scienza si vedano ledettagliate analisi di Donald S. Lopez Jr., Buddhismo escienza. Storia di un amore, Ubaldini, Roma 2010.

BUDDISMO, SCIENZA E INTERDIPENDENZAGabriele Piana

Gabriele Piana(video)

Gabriele Piana, monaco buddista,Istituto Lama Tzong Khapa

Page 53: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

53

Complexity Session - Gabriele Piana

differenze metodologiche e somiglianze dicontenuto).2

Ora, quanto intendo prendere inconsiderazione è il rapporto tra buddismotibetano e scienza, così come si è delineatonella riflessione del maggiore e più notorappresentante attuale di tale buddismo, ilquattordicesimo Dalai Lama (il quale aderisceal modello della complementarità), e in unaserie di incontri tra il Dalai Lama e variimportanti scienziati noti come incontri odialoghi Mind and Life, dal nome dell'istitutoche li organizza. Andando all'essenziale:perché è importante il rapporto tra buddismoe scienza e, più in generale, tra religioni,spiritualità e scienza? Qual è la posta in giocodi tale rapporto? Sono queste le questioni chevorrei prendere in considerazione, tenendoconto anche, implicitamente per lo meno, dialcune idee espresse da Panikkar, e inparticolare soffermandomi infine sul concettobuddista d'interdipendenza.

Si può cominciare col ricordarel'interesse costante e profondo del quattordi-cesimo Dalai Lama per la scienza. Fin dabambino, in un ambiente in cui non eraprevisto un curriculum di studi scientifici dimatematica, fisica, chimica, biologia, ecc., eglisi è interessato al funzionamento di diversioggetti meccanici (un telescopio, un orologio,alcuni proiettori e alcune automobili)appartenuti al precedente Dalai Lama. Piùtardi, egli ha avuto modo di recuperarepienamente la mancata educazione scientificaattraverso un approfondito scambio intellet-tuale con due personaggi del calibro di Carl

2 José Ignacio Cabezon, Buddhism and science: on thenature of the dialogue, in AA. VV., Buddhism and sci-ence. Breaking new ground, a cura di A. Wallace, Co-lumbia University Press, New York 2003, pp. 35-68.

von Weizsäcker (fisico e filosofo tedesco che èstato negli anni trenta del novecentol'assistente di Werner Heisenberg) e DavidBohm. Nel 1987 ha avuto luogo il primoincontro di Mind and Life (istituto fondato dalnoto neurobiologo cileno Francisco Varela edall'uomo d'affari americano Adam Engle) trail Dalai Lama e diversi scienziati su temiprovenienti dalle scienze cognitive. Aproposito dell'importanza dell'incontro con ilbuddismo per la scienza moderna, Varela hascritto: “Il naturale terreno d'incontro tra lascienza e il buddismo è […] una delle frontierepiù attive della ricerca odierna. Si tratta diimparare a unire i dati provenienti dall'esameinteriore dell'esperienza umana con la baseempirica che la moderna neuroscienzacognitiva e affettiva può fornire. Questiresoconti in prima persona non sono soltantouna 'conferma' di ciò che la scienza puòcomunque scoprire. Sono un complementonecessario. Per esempio, a meno che negliattuali esperimenti che si servono di 'brainimaging' per studiare i sostrati neuronali delleemozioni o dell'attenzione non si tenga contodi raffinate descrizioni interiori, i dati empiricinon possono essere adeguatamente inter-pretati. […] Benché le scienze della vita equelle cognitive siano il luogo in cui ilbuddismo può intimamente toccare la scienzaa un livello di ricerca dettagliata, esso puòanche avere una grande importanza a unlivello più fondamentale o epistemologico. […]La fisica moderna è forse il luogo in cui questosecondo terreno d'incontro è maggiormentevisibile”.3 A questo primo incontro di Mindand Life sono in effetti seguiti numerosi altri

3F. J. Varela, The importance of the encounter withBuddhism for moderne science,www.mindandlife.org/about/hhdl-mli/buddhism-and-modern-science/.

Page 54: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

54

Complexity Session - Gabriele Piana

incontri sulle neuroscienze (1989), sulleemozioni e la salute (1990), sulla nuova fisicae la cosmologia (1997), sulle questioniepistemologiche nella fisica quantistica e nellescienze contemplative orientali (1998), sulleemozioni distruttive (2000), sulla neuro-plasticità (2004), sulle applicazioni clinichedella meditazione (2005) e sulla consape-volezza, la compassione e la cura delladepressione (2007), per citarne solo alcuni.Questi incontri tra il Dalai Lama e gli scienziatihanno ormai una cadenza annuale e sonoaccompagnati da numerose pubblicazioni.

In un libro sul rapporto tra buddismo escienza il Dalai Lama ha scritto: “la mia fiducianella scienza poggia sulla convinzione che siail buddismo sia il pensiero scientifico tentinodi comprendere la realtà attraverso un'analisicritica: se la ricerca scientifica dovessedimostrare senza ombra di dubbio che alcuneaffermazioni del buddismo sono errate,dovremmo accettare questo fatto eabbandonarle”.4 Questa è una considerazioneimportante nella misura in cui mette in luce ilpericolo del dogmatismo, del fanatismo, chepuò sempre incombere su una religione cherifiuti il confronto con le scienze, e quindi ilbeneficio che questa può ricavare da taleconfronto. Da tale confronto possono anchenascere nuove idee, spunti e riflessioniinteressanti. Come afferma il Dalai Lamaqualche pagina dopo: “la spiritualità deveessere arricchita dalla consapevolezza dellescoperte scientifiche. Se ignorassimo iprogressi della scienza, la nostra praticaspirituale ne soffrirebbe notevolmente epotremmo perfino diventare preda del

4 L'abbraccio del mondo. Quando scienza e spiritualitàsi incontrano, Sperling & Kupfer, Milano 2005, p. 3.

fondamentalismo”.5 Bisogna tra l'altroricordare che l'occasione in cui il buddismotibetano ha potuto confrontarsi con la scienzaè incredibilmente recente rispetto alconfronto tra cristianesimo e scienza (puòfacilmente venire in mente l'antica vicendadel contrasto tra Galilei e il cardinaleBellarmino e della condanna di Galilei). Non èallora un caso che il Dalai Lama si sia dato dafare perché venissero introdotti corsi sullafisica moderna nei collegi monastici tibetani.Il beneficio che il buddhismo può quindiricavare dal confronto con la scienza è quellodi evitare il dogmatismo, il fondamentalismo,e così è il beneficio di un arricchimentoconoscitivo.

Questo, però, non significa ovviamenteaccettare tutto ciò che la scienza propone: “sela ricerca scientifica dovesse dimostrare senzaombra di dubbio”. Qui è importante ricordareun principio metodologico della tradizionefilosofica del buddismo tibetano secondo cui“esiste una differenza basilare tra quello che'non è trovato' e quello che 'è trovato nonesistere'. Se cerchiamo qualcosa e nonriusciamo a trovarlo non significa certo chel'oggetto della nostra ricerca non esista. Nonvedere una cosa non è lo stesso che nonvederne l'esistenza”.6 Esiste quindi unadifferenza fondamentale tra il trovare chequalcosa non esiste e il non trovare chequalcosa esiste: occorre distinguere tra ciòche è negato tramite il metodo scientifico eciò che non è osservato tramite tale metodo.In tale prospettiva, occorre allora ricordare -èquanto fanno il Dalai Lama e anche unostudioso buddista come Alan Wallace chepropone un'alleanza tra scienza e spiritualità- i

5 Ivi, p. 12.6 Ivi, p. 35.

Page 55: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

55

Complexity Session - Gabriele Piana

limiti del materialismo scientifico radicale, ilsuo potenziale nichilismo e i suoi orizzontiristretti, la sua incapacità di rendere conto dise stesso e i suoi pregiudizi metafisici. Contale prospettiva si possono far convergerecerte critiche di Panikkar a una scienza nonconsapevole dei propri limiti e all'aspettoassolutamente oggettivante della scienzamoderna.

Da un lato vi sono dunque dei beneficiper il buddismo (e più in generale direi per laspiritualità) in un confronto con le scienze(evitare dogmatismi, fondamentalismi, quindiavere nuovi spunti conoscitivi). Dall'altro, visono vari benefici che la scienza stessa puòricavare dall'incontro con il buddismo. Nelcaso delle neuroscienze, ad esempio, ilbuddismo può offrire un approccio diretto, 'inprima persona', da integrare con quello 'interza persona', per avere così un quadrocompleto di come funziona la mente. Ilmetodo 'in terza persona' (quello che ricorrealla quantificazione, alle misure oggettive), dasolo, è inadeguato per spiegare la coscienzaed esso, quindi, dovrebbe essere integratocon una prospettiva 'in prima persona', ossiacon l'esperienza soggettiva di colui chemedita.7 Secondo il Dalai Lama la questioneche allora si pone è la seguente: si puòpensare a una metodologia scientifica per lostudio della coscienza dove il metodo 'inprima persona' sia integrabile con il metodooggettivo dello studio del cervello? In questoambito egli ritiene, insieme a diversi scienziati

7 Occorre tra l'altro ricordare che per la psicologia bud-dista la mente ha più livelli, grossolani (dipendentistrettamente dal fisico) e sottili (indipendenti dal fisi-co). La mente, nella sua natura convenzionale, è poi de-finita un chiaro conoscitore. La chiarezza e laconoscenza (l''apertura conoscitiva, l'esperire) sono e-videntemente qualcosa che sfugge alle maglie del me-todo 'in terza persona'.

che partecipano appunto alle iniziative diMind and Life, che “una stretta collaborazionetra le scienze moderne e le tradizionicontemplative, tra cui il buddismo, sarebbe digrande utilità”.8

Il Buddismo stesso del resto può essereconsiderato, per certi versi (è quanto fa, adesempio, Mathieu Ricard) una scienzacontemplativa, una scienza della mente.9 Inche senso può essere considerato una scienzase non ricorre ai cosiddetti strumentiscientifici, ai classici strumenti di misura?Esso può essere considerato una scienza dellamente nella misura in cui, ad esempio, leesperienze meditative sono in effettiverificabili, sia attraverso ripetute esperienzedi una persona sia attraverso l'esperienza dialtre persone. Attraverso una ripetutaesperienza meditativa si può verificare lavalidità di tale esperienza meditativa, che nonrimane un fatto contingente: si può verificareche certe qualità (concentrazione, amore,pazienza, compassione e così via) sorgonoripetutamente e poi stabilmente nella mente,e ciò sia a livello individuale sia a livellocollettivo. Occorre inoltre ricordare comediverse ricerche scientifiche abbiano non solotestato e confermato gli eccezionali effetti didiverse forme di meditazione buddista sullariduzione dello stress, sul metabolismo e sullaresistenza a condizioni fisiche difficili, maabbiano anche messo in risalto l'effetto delleesperienze meditative sull'addestrabilità deiprocessi affettivi e dell'attenzione: in taleottica è possibile che la letteratura e la pratica

8 L'abbraccio del mondo, cit., p. 138.9 M. Ricard e T. Xuan Thuan, Dal big bang all'illumina-zione, Amrita, Torino 2008, pp. 217-236. Cfr. pure A.Wallace e B. Hodel, Embracing mind. The commonground of science and spirituality, Shambala, Boston2008, pp. 180-201.

Page 56: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

56

Complexity Session - Gabriele Piana

dei meditanti buddisti influenzino le scienzecognitive, costringendole a rivedere alcuni deipropri modelli teorici.10

Accenniamo ora all'argomento dell'in-terdipendenza. Tra l'altro, il pensiero buddistadell'interdipendenza s'incontra, come è statoosservato da più parti, con diversi asserti dellafisica quantistica (in particolare con diversetesi della scuola di Copenaghen).11 Cosasignifica interdipendenza per il buddismo?Nulla esiste in modo indipendente, in sé e persé, e pensare che le cose esistano in modoindipendente (è questa l'ignoranza) è l'originedella sofferenza. Le cose sembrano essereindipendenti, ci appaiono a livello innato, inmodo spontaneo, come indipendenti tra loroe rispetto a noi stessi, ma questo non è il loromodo d'essere. Si può parlare di diversi livellidi dipendenza: dipendenza da cause econdizioni, dipendenza da parti, infine -ed èquesto il livello più sottile dell'interdipen-denza- dipendenza da designazione mentale.Le cose, dicevamo, sembrano esistere dal lorolato, oggettivamente, ma questa è unapercezione ingannevole dovuta alla nostraignoranza. Un esempio che ricorre in diversitesti buddisti è quello della corda e delserpente. Di notte, in una stanza buia, unacorda arrotolata può apparire a qualcunocome un serpente e suscitare una reazione dipaura, la quale può scomparire non appena si

10 Cfr. H. Benson, L'interazione mente/corpo e gli studitibetani, in AA. VV., La scienza della mente. Un dialogoOriente -Occidente, Chiara Luce, Pomaia 1993, pp. 57-70; cfr. AA. VV., Il Buddha in laboratorio: dialoghi fra ilDalai Lama e la scienza sulla natura della mente, Amri-ta, Torino 2008, pp. 254-255; cfr. A. Wallace e B. Hodel,Embracing mind, cit., pp. 164-179.11 Cfr. Ad esempio Dalai Lama, Nuove immagini dell'u-niverso. Dialoghi con fisici e cosmologi, Cortina, Milano2006; W. L. Ames, Emptiness and quantum theory, inAA. VV., Buddhism and science, cit., pp. 281-304; M. Ri-

accenda la luce e si riconosca che si trattavasolo di una designazione mentale comple-tamente erronea. A causa del buio, unserpente sembrava esistere dal suo lato,sembrava essere proprio lì, mentre invecec'era solo una corda -come base didesignazione- sulla quale era erroneamentesovrapposta l'immagine mentale del serpente.Allo stesso modo, a causa della nostraignoranza, percepiamo la nostra identitàpersonale e i fenomeni esteriori comeesistenti dal loro lato, oggettivamente,autonomamente, indipendentemente dacause e condizioni e da designazioni mentali,e così sviluppiamo tutta una serie di afflizionimentali, di emozioni negative, che produconoa loro volta azioni negative, fonte disofferenza. In tale prospettiva, mi considero,apprendo me stesso, come un'identitàindipendente, come un io esistenteintrinsecamente, e così pure considero gli altricome qualcosa d'indipendente, di separato.Inoltre, le cose che mi appaiono esistenti dalloro lato, proprio per questo loro modod'apparirmi mi appaiono anche comeassolutamente, intrinsecamente, oggettiva-mente piacevoli, desiderabili, oppure comeassolutamente, intrinsecamente, oggettiva-mente spiacevoli. La mente quindi reagisce ocon attaccamento rispetto al piacevole, con ilnon volersi separare da ciò che vieneconsiderato intrinsecamente piacevole, o conavversione, rabbia rispetto a quanto è vissutocome intrinsecamente spiacevole. Tutto ciòproduce inevitabilmente sofferenza. C'è la miaidentità che è vissuta come assolutamenteseparata dal resto, come esistente intrinseca-mente, e che è quindi qualcosa da gratificare

card e T. Xuan Thuan, Dal big bang all'illuminazione,cit., in particolare pp. 57-93.

Page 57: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

57

Complexity Session - Gabriele Piana

in modo privilegiato e pure da difendere adenti stretti, con tutto il contorno di tensione,di frustrazioni, insoddisfazioni, presunzione,risentimenti e avversioni che ciò comporta; cisono gli altri, che sono assolutamenteseparati, e che si trasformano in amici o innemici, a seconda che gratifichino o meno ilnostro io; ci sono poi gli oggetti i quali,essendo considerati come esistenti dal lorolato, indipendentemente, diventano assoluta-mente desiderabili o assolutamente non desi-derabili, dando così luogo ad attrazione oavversione e quindi alle diverse altre emozionidisturbanti, come invidia, gelosia, risenti-mento, paura, e così via.

Se invece si comprende la naturainterdipendente della realtà (la mancanza diesistenza intrinseca dell'io e dei fenomeni),tutte queste emozioni disturbanti nonsorgono, e diventa significativo sviluppareamore (il desiderio che tutti gli esseri senzientisiano felici) e compassione (il desiderio chetutti gli esseri senzienti siano liberi dallesofferenze create da tali emozioni e in primoluogo dall'ignoranza). La nostra felicitàdipende dagli altri, così come la felicità deglialtri dipende da noi. In tale prospettiva,diventa allora essenziale una collaborazionetra scienza e spiritualità. Non possiamolasciare separate scienza e spiritualità. Il DalaiLama ritiene ci sia “bisogno di una bussolamorale da usare tutti insieme senzaimpantanarci in divisioni dottrinali. Neces-sitiamo dunque di una prospettiva olistica, ingrado di riconoscere la natura profondamenteinterconnessa di tutti gli esseri viventi e delloro habitat. […] Tutto questo deve includereil riconoscimento della preziosità della vita, lacomprensione del bisogno di un equilibrio innatura, […] l'uso consapevole della compas-sione come motivazione fondamentale per

tutti i nostri comportamenti. Compassioneche deve essere integrata con la capacità divedere le conseguenze delle azioni anche nellungo periodo. […] Dal momento che il mondocontemporaneo è profondamente intercon-nesso, dobbiamo rapportarci a queste sfidecome se fossimo tutti membri della medesimafamiglia umana piuttosto che esponenti ditante differenti specificità (nazionali, etniche,religiose). In altre parole, è indispensabile unospirito unitario che ci faccia sentire tutti partedel genere umano”.12 Tocchiamo qui un puntofondamentale. Le differenze sono essenzialied è essenziale tenerne conto, ma occorreimpedire che tali differenze diventino identitàchiuse o separate che creano solo conflitto. E'quindi fondamentale rendersi conto chesiamo uguali nel voler essere felici e nel nondesiderare la sofferenza, e ciò a livello dipratica meditativa tramite la quale instaurareun'autentica e calorosa empatia con gli altri.Anche gli altri vogliono essere felici e nonsoffrire, proprio come me, e questa constata-zione va interiorizzata.

In tale prospettiva, occorre prendereatto “dei limiti della conoscenza scientifica.Solo così potremo veramente apprezzare ilbisogno di integrare la scienza con la totalitàdel sapere umano”. Anche qui si può rilevare,nonostante certe differenze, una convergenzacon Panikkar.13 In caso contrario, se non si

12 L'abbraccio del mondo, cit., pp. 203-204.13 In un'intervista che sintetizza bene la sua posizionesulla scienza, Panikkar afferma: “Non si tratta di elimi-nare la scienza. Non si tratta di decretare che essa èmaligna e di voltarle le spalle. Bisogna al contrario ope-rare perché sia reintegrata nell'unità del sapere -nelsenso di gnôsis- e riprenda il suo posto senza pretende-re quel tipo di dominio che dipende da una vera e pro-pria invasione cancerosa, e che vorrebbe far credereche la cosa più importante dia di specializzarsi” (R. Pa-nikkar, Tra Dio e il cosmo. Una visione non dualista del-

Page 58: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

58

Complexity Session - Gabriele Piana

riconoscono i limiti della scienza (che moltiscienziati, per altro, oggi tendono ormai ariconoscere), si va inevitabilmente incontro auna visione del mondo riduzionista, mate-rialista e nichilista. Per il Dalai Lama “si puòprendere sul serio la scienza e accettarne lescoperte senza però cadere nel materialismoscientifico”. E' allora necessario coniugare la“possibilità di una visione del mondo fondatasulla scienza” e la “validità anche di altrimodelli di conoscenza che non siano quelliscientifici”: “scienza e spiritualità, malgrado idifferenti approcci, condividono il medesimofine, vale a dire il miglioramento dell'umanità.[…] Oggi, nei primi anni del ventunesimosecolo, scienza e spiritualità hanno lapossibilità di essere più solidali che mai e dimettere in atto una fruttuosa collaborazionein grado di aiutare l'umanità a superarepositivamente le sfide che l'attendono.Dovremmo essere uniti. E ognuno di noi, inquanto membro della stessa famiglia umana,dovrebbe rispondere a questo importanteimpegno morale e rendere possibile lacollaborazione tra scienza e spiritualità”.14

Questa alleanza tra scienza e spiritualitàesige quindi una riflessione e un lavoro sullapropria motivazione: “Forse il punto princi-pale è assicurarsi che la scienza non sia maiseparata da un sentimento di solidarietà neiconfronti di tutti gli esseri viventi […] L'aspettopiù importante del problema è la motivazioneche sta alla base della scienza e dellatecnologia, in cui cuore e mente dovrebberolavorare all'unisono”.15 E' questo il punto incui il buddismo e la spiritualità in genere

la realtà. Dialogo con Gendoline jarczyk, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 214-215).14 L'abbraccio del mondo, cit., p. 209, pp. 209-210, p.211.15 Ivi, pp. 9-10.

possono dare il contributo più importante allascienza. Come è stato notato, non bisognafermarsi alla constatazione dell'interdipen-denza. Bisogna sforzarsi di trasformarla in unapratica di vita, bisogna cercare di introdurlanella quotidianità. Occorre quindi chiedersi inche modo si percepisce se stessi e la realtà erendersi conto che non si percepisce natu-ralmente, spontaneamente, l'interdipen-denza. Si tratta così di educare la mente acogliere l'interdipendenza e a sviluppare lequalità spirituali che sono a essa collegate.Nell'ambito del buddismo tibetano si parla dilojong, di addestramento mentale (nelletradizioni contemplative del cristianesimo,dell'ebraismo e delle altre religioni si usanotermini diversi, ma la sostanza non cambia):un addestramento in cui si cerca, tramite lameditazione, di familiarizzare la mente concerte qualità. Se è vero che il buon cuore nonbasta e che richiede, per dare buoni risultati,intelligenza, occorre però ricordare anche inumerosi effetti negativi di un'intelligenza chenon sia stabilmente e solidamente accompa-gnata da equanimità, amore e compassione.

Page 59: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

59

Complexity Session - Paolo Calabrò

Studiando con continuità il pensiero diRaimon Panikkar nel corso degli ultimi diecianni, mi sono spesso imbattuto inaffermazioni sorprendenti come: “la materia èlibera”, “la materia è viva”, “il pensieromodifica il pensato”. Mi sono chiesto se – equanto, e come – tali affermazioni potesserovenir conciliate con la visione del mondotipica della scienza moderna; d’altro cantoPanikkar non lasciava dubbi circa la suaposizione al riguardo: «la fisica non offre unavisione del mondo, ma ne fornisce il materialealla metafisica, così che una metafisica cheignori la fisica non sarebbe valida. Lametafisica deve “ascoltare” la fisica. [...] Nonc'è metafisica senza fisica»1.

Nessun dubbio, dunque: l’accordo trafisica e metafisica è necessario. TuttaviaPanikkar non spiega la compatibilità delle sueaffermazioni con quelle della fisica. Da qui ladomanda: e se la fisica non fosse d’accordo?Se la scienza reputasse incompatibile lametafisica cosmoteandrica di Panikkar –

1 R. PANIKKAR, La porta stretta della conoscenza, RCS,Milano 2005, pp. 178-182.

cornice di quelle affermazioni – con le proprieacquisizioni più recenti?

Mi sono messo quindi sulle tracce delpensiero di quegli uomini di scienza –soprattutto del secolo scorso – che si sonointerrogati circa i fondamenti filosofici dellaloro scienza: Heisenberg, Planck, Schrödinger,Bohr, Mach, Einstein e tanti altri. Per scoprire– con nuova sorpresa – che, rispetto alla lorostessa interpretazione della fisica, non solo lafilosofia di Panikkar non è incompatibile, mamostra addirittura una sensibilità comune,spesso un’affinità più spiccata diquell’ontologia dell’oggettività e della cosa insé maggiormente adatta a una visione delmondo prequantistica.

Ho cercato di illustrare e documentarequesta compatibilità nel libro Le cose sitoccano. Raimon Panikkar e le scienzemoderne, in corso di pubblicazione perl’editore Diabasis (la cui uscita è prevista peraprile 2011)2. A partire dalla “reticenza” del

2 Del quale sono stati pubblicati su queste pagine dueestratti: “La cosa in sé non esiste. Critica di RaimonPanikkar a due concetti filosofici applicati alla scienzamoderna” – n° 1, marzo 2010 – e “Il ruolo dellasoggettività nella scienza” – supplemento al n° 1,settembre 2010.

RAIMON PANIKKAR E LA SCIENZA MODERNAPaolo Calabrò

Paolo Calabrò

Paolo Calabrò, (CIRPIT)http://paolocalabro.blogspot.com

Page 60: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

60

Complexity Session - Paolo Calabrò

filosofo su tali questioni3 e dal fatto singolareche la letteratura secondaria sul pensiero diPanikkar ad oggi non si è occupata dellatematica scientifica, preferendole l’intercultu-ralità, la pace, la cristologia4.

Credo inoltre che il collegamento checerco di stabilire tra la scienza moderna e lafilosofia di Panikkar possa liberarequest’ultima da quell’impressione di esotismoche può dare in superficie la sua originalità,nella quale rischia di arenarsi. Il pensierooccidentale, abituato da millenni alla rigida emutuamente esclusiva alternativa tramonismo e dualismo, resta spiazzato dallaproposta cosmoteandrica (nonostante ilconfronto serrato che Panikkar tiene con lafilosofia occidentale): così il rischio è che essavenga presa come una sospetta commistionedi teologia cristiana e filosofia indiana, ePanikkar come un erudito dai modiorientaleggianti e dalle parole inclini almistico, che rifiuta la scienza e avversa latecnologia. È necessario andare oltre questascorza e scoprire che alcune delle convinzionipiù radicate nell’immagine ingenua che lascienza e la tecnologia offrono di sé nellapercezione dei non specialisti (come adesempio la presunta universalità della scienza)non sono né evidenti né scontate5. Senza

3 Pur essendosi occupato di “fare scienza” per parecchianni (com’egli stesso racconta nella conferenza“Ambiguità della scienza”), PANIKKAR ha dedicato allascienza moderna – oltre alla citata conferenza e agliinterventi più o meno ampi disseminati in quasi tutti isuoi libri – solo i testi Pensare la scienza, l’Altrapagina,Città di Castello (PG) 2004 (che tra l’altro è un testo apiù voci) e ID., La porta stretta della conoscenza, cit.L’Opera Omnia prevede un unico volume (inpreparazione) dedicato – parzialmente – al tema dellascienza.4 Fa eccezione l’ottimo testo di introduzione allafilosofia di Panikkar di A. ROSSI, Pluralismo e armonia,l’Altrapagina, Città di Castello (PG).5 Ai fini di una maggiore chiarezza all’interno delsingolo contesto, ho utilizzato talvolta il termine

alcuna pretesa di fondare scientificamente lafilosofia di Panikkar, né tanto meno digiustificarla in tal senso (ciò che il filosofo perprimo non ha mai inteso fare); semplicementecercando di rintracciare la consonanza tral’immagine del mondo offerta dalla suafilosofia e quella offerta dalle scienzeoccidentali moderne.

Lungo questo percorso, ho dato ampiospazio al pensiero degli uomini di scienza,limitando al massimo l’apporto dei filosofidella scienza. E questo non perché si possadire che «i maggiori filosofi del ’900 sono statiEinstein e Dirac»6 (che è un’esagerazione;anche se è vero che a volte «le migliori analisifilosofiche di un concetto o di un problemascientifico provengono proprio dascienziati»7); bensì perché ho preferito dareun peso maggiore alla filosofia della scienzanel senso del genitivo soggettivo, anzichéoggettivo. Nessun disconoscimento del ruoloe del peso della filosofia della scienza;piuttosto, la scelta fatta mi è sembrataadeguata allo scopo, che non è calare ilpensiero di Panikkar all’interno del dibattitofilosofico contemporaneo (della filosofia dellascienza, in particolare), ma mostrare che essoè tutt’altro che incompatibile con il pensieroscientifico.

Null’altro dunque che il tentativo dimostrare il sostanziale accordo tra la

“scienza”, talvolta il termine “fisica”. Sperando diessere riuscito ad evitare ogni confusione, sottolineoche le conclusioni possono essere applicate (salvo ovediversamente specificato) all’una come all’altra.6 Come sostiene E. BELLONE, introduzione a M. PLANCK,La conoscenza del mondo fisico, Bollati Boringhieri,Torino 1993 [ed. orig. Vorträge und Erinnerungen,Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 19495],p. 4.7 M. DORATO, Cosa c’entra l’anima con gli atomi?,Introduzione alla filosofia della scienza, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 14.

Page 61: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

61

Complexity Session - Paolo Calabrò

posizione di Panikkar e quella della scienzamoderna su argomenti comunemente ritenutiovvi e pertanto indiscutibili al pari di tabù:l’oggettività e l’universalità della scienza,l’esistenza della cosa in sé e della materia“inanimata”. Lo sforzo è stato quello dievidenziare come certe convinzioni siradichino in una visione scientificaprequantistica8, che la fisica ha già da temposuperato ma alla quale la percezione comuneè rimasta ancorata. Non tanto dunque una“dimostrazione” dell’accordo tra la filosofia diPanikkar e la scienza moderna9; piuttosto, lapresentazione del fatto che esiste un’ampiafascia della scienza moderna (intendo: discienziati, soprattutto fisici) che nontroverebbe né scandalosa né inverosimile laconcezione metafisica di Panikkar alla lucedelle attuali conoscenze scientifiche, e cheanzi la riterrebbe molto più adeguata ad essedi una metafisica fondata sul postulato della“cosa in sé”, che per una disciplina cosìfortemente basata sulla sperimentazione

8 Spesso ancora precedente, facente capo a Newton e aLaplace.9 Va da sé che non esiste una opinione ufficiale dellafisica moderna, né tanto meno la scienza può venirconsiderata come un monolite dall’opinione compattae recisa. All’interno del mondo scientifico (ma,scendendo man mano, all’interno della fisica e dellastessa meccanica quantistica) coesistono le posizionipiù disparate e le opinioni più distanti, talora perfinoopposte. Cfr. ad es. A. TONTINI, “La formula chimica distruttura: un problema per l’epistemologiapopperiana?”, «Isonomia», settembre 2008, visibileall’indirizzo internethttp://www.uniurb.it/Filosofia/isonomia/2008tontini.pdf (pagina visitata il 29 luglio 2009), p. 2: «chi sipropone di indagare con i mezzi della filosofia lastruttura e il significato della scienza dovrebbeinnanzitutto, a mio avviso, tenere in considerazione ladiversità delle dimensioni, della struttura e delcomportamento degli oggetti di studio di questa e,conseguentemente, dei linguaggi usati per descriveretali oggetti. Siamo capaci di indicare in manieraschematica il significato di termini come “botanica”,“immunologia”, “teoria della relatività”, eccetera.Rispondere alla domanda: “che cos’è la scienza?” èmolto più arduo».

rimane una terribile spina nel fianco.

Sulla libertà della materia

Di seguito riporto lo studio in tal senso –tratto dal libro citato – dell’affermazione diPanikkar per cui “la materia è libera”10:

la realtà è costante novità. [...] La naturaè meno bizzarra dell'uomo, ma supporreche essa sia solo “materia” inerte chesegue leggi deterministiche è un'ipotesiinfondata. Anche la materia ha i suoigradi di libertà11.

Dire che la materia è libera può farsubito pensare ad una pietra che,d’improvviso, si metta a levitare nel cielo.Siamo abituati a considerare la materia comequalcosa di inanimato, immobile, che se nesta lì fermo “fino a che non intervenga unaforza” (per dirla con il primo principio delladinamica). Panikkar ha spesso sottolineatoche la libertà della materia non è la stessalibertà dell’uomo. La materia e l’uomo però,in quanto inseriti nella stessa realtàcosmoteandrica, partecipano entrambi dellastessa dimensione di libertà. Il discorso diPanikkar è qualitativo, non quantitativo; inquesto senso gli è sufficiente affermare che lamateria abbia “un certo” margine di libertà.Egli non pretende di stabilire un marginemaggiore di quello che la fisica (quantistica, inparticolare) riconosce alla materia.

È vero che di rado gli uomini di scienza siesprimono utilizzando la parola “libertà” aproposito della materia, anche se nonmancano singole suggestioni, quali ad

10 Le considerazioni che seguono sono state da mesuccintamente esposte il 2 dicembre 2010 nel corso delI Colloquium CIRPIT, Napoli, Istituto Italiano per gliStudi Filosofici.11 R. PANIKKAR, La porta stretta della conoscenza, cit., p.148.

Page 62: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

62

Complexity Session - Paolo Calabrò

esempio quella di Prigogine, che parla di«creatività della natura»12 o di Feynman, chea sua volta parla di «immaginazione dellanatura»13, di Laughlin, per il quale la materiapuò avere «opinioni proprie», oltre alla«capacità di fare delle scelte»14, o di Charpake Omnés:

la libertà, o la moltitudine dei possibiliche ne rappresentano la forma radicale, èdunque profondamente inserita nelcuore stesso della meccanica quantisticae delle sue leggi. Dietro al caso assolutoc’è la libertà totale»15.

Tuttavia il termine “libertà” non èinadeguato alla situazione, ad esempio, delclassico esperimento quantistico delle duefenditure16, dove non è possibile prevedere dache parte andrà la singola particella, néstabilire la causa che l’ha indotta a scegliereun passaggio piuttosto che l’altro. (Ciò nonsignifica che le particelle si comportino inmaniera arbitraria: statisticamente essetenderanno sempre a distribuirsi in manieraomogenea, al 50%)17.

12 I. PRIGOGINE, Le leggi del caos, Laterza, Roma-Bari2003 (ciclo di lezioni svolto all’Università Statale diMilano, presso la cattedra di filosofia della scienza delprof. Giulio Giorello, nei giorni 12, 13 e 14 febbraio1992), p. 85.13 R. P. FEYNMAN, Il senso delle cose, Adelphi, Milano20044 [ed. orig. The Meaning of It All, MichelleFeynman e Carl Feynman, 1998], p. 20.14 R. LAUGHLIN, Un universo diverso. Reinventare la fisicada cima a fondo, Codice, Torino 2005 [ed. orig. ADifferent Universe. Reinventing Physics from theBottom Down, Basic Books, 2005], p. 53.15 G. CHARPAK-R. OMNÉS, Siate saggi, diventate profeti,Codice, Torino 2004 [ed. orig. Soyez savants, devenezprophétes, Odile Jacob, Paris 2004], p. 81. Che allastessa pagina rincarano, con tanto di puntoesclamativo: «la materia è libera!».16 Cfr. ad es. R. FEYNMAN, Sei pezzi facili, Adelphi,Milano, 2000 [ed. orig. Six easy pieces, CaliforniaInstitute of Technology, 1963], pp. 173 ss.17 Si presti attenzione al fatto che in fisica ildeterminismo, la causalità e la predicibilità sono treconcetti distinti. Per questa distinzione cfr. F. LAUDISA,

In definitiva, quella che a tutta primapuò sembrare un’affermazione discutibile (oprovocatoria, se non addirittura inconcepibile)da parte di Panikkar, circa la libertà dellamateria (che i profani concepiscono ancora àla Laplace, secondo un meccanicismo che lafisica ha abbandonato da più di un secolo), sirivela perfettamente compatibile con l’attualeassetto della fisica.

Il tutto è maggiore della somma delle parti

Un discorso simile può esser fatto perun’altra affermazione di Panikkar (e per tantealtre): «il tutto non è la somma delle parti»18.

Panikkar sostiene l’impossibilità diapplicare alla realtà il metodo cartesiano discomporre i problemi complessi insottoproblemi più facili da risolvere, ondericomporre l’intero successivamente, conl’intento di ottenere la soluzione complessivacome somma delle soluzioni parziali:«l’integrale delle conoscenze parziali non è larealtà. La realtà non è uguale alla somma dellesue parti»19.

In fisica le opinioni al riguardo sonocontrastanti e vedono i riduzionisti (cartesiani,per i quali ogni cosa può essere spiegata apartire dalle sue parti, e al limite ogni sistemamacroscopico può essere descritto a partiredal livello di descrizione più basso, quello

“La causalita in fisica”, in M. DORATO, V. ALLORI, F.LAUDISA, N. ZANGHÌ, La natura delle cose. Introduzione aifondamenti e alla filosofia della fisica, Carocci, 2005,pp. 395-428.18 La pienezza dell’uomo. Una cristofania, Jaca Book,Milano 20002, p. 38.19 «L'intégrale des connaissances partielles n'est pas laréalité. La réalité n'est pas la somme de ses parties»: R.PANIKKAR, “Deux personnages en quête de hauteur”,dialogo con Jordi Savall, visibile in internet all’indirizzohttp://classique.abeillemusique.com/dossiers/clasav.php?nomdossier=clasav&rg=5 (pagina visitata il 21gennaio 2011).

Page 63: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

63

Complexity Session - Paolo Calabrò

quantistico) opporsi agli emergentisti (per iquali ogni livello superiore di descrizionecontiene caratteristiche emergenti solo a quellivello irriducibili ad altre contenute nei livelliinferiori). Gli emergentisti sembrano averedalla loro l’evidenza: essi sfidano i riduzionistia effettuare previsioni su sistemi macroscopicibasandosi sulla meccanica quantistica (ciò cheè impossibile: anche il più elementare sistemamacroscopico è composto da miliardi diparticelle in interazione mutua). Per essi «lestrutture emergenti non sono aggregati, cioènon sono risultati prevedibili della “somma”delle proprietà delle parti»20. I riduzionisti, percontro, sembrano avere dalla loro il buonsenso: se ogni sistema macroscopico ècomposto da particelle, è impossibile che ilfunzionamento dell’intero sistema non vadaricondotto a quello delle particelle che locompongono; la meccanica quantistica potràessere incompleta (come lo è ogni teoriafisica, perennemente in itinere), ma in nessuncaso potrà esserci un “di più” che non siapresente in tutti i livelli di descrizione. Perloro, l’impossibilità di effettuare previsioni susistemi macroscopici a partire dal livelloquantistico è soltanto un limite tecnico, non diprincipio.

Panikkar non entra nel merito di questadisputa: la sua è una critica del metodocartesiano, volta al recupero di una visioneintegrale della realtà. Ma sono molti i fisici(tra cui spiccano diversi premi Nobel, comeLaughlin e Prigogine), convinti che oggi lavisione cartesiana della realtà non sia piùsostenibile (e non solo per il fenomeno

20 G. CASINI, “Spiegare la complessità”, in«Humana.Mente», Anno I, vol. 1, pp. 13-23, visibile ininternet all’indirizzohttp://www.humanamente.eu/PDF/giovanni.casini_paper2_numero1.pdf (pagina visitata il 21 gennaio 2011), p.15.

dell’entanglement quantistico, cui si è giàaccennato).

Per Margenau nessuna delle descrizioniparziali fornite dalla fisica (e le descrizionidella fisica sono tutte parziali, in quantofondate sull’isolamento di una parte dal restoal fine di studiarla) può aspirareall’onnicomprensività. Egli porta comeesempio il principio di esclusione di Pauli, ilquale – se ci si fosse limitati a studiare, perquanto esaustivamente, il comportamentodelle particelle singole – non avrebbe maipotuto essere previsto; anzi: «dal punto divista del problema del corpo singolo ilprincipio non ha significato, e non avrebbemai potuto essere previsto»21. Ed aggiungeche, a livelli di astrazione diversi, «i nuoviosservabili potrebbero essere privi disignificato, inutili o superflui per l’universofisico, dal quale non possiamo vederli»22.

Sugli scogli della meccanica quantisticanaufraga quindi, secondo alcuni, laconcezione cartesiana della realtà; così per ilcitato Nobel Robert Laughlin, «la scienza fisicaci dice che considerare l’intero essere comequalcosa di più della somma delle sue partinon è soltanto una teoria ma un fenomenofisico»23, per D’Espagnat, essa la confutaaddirittura:

21 H. MARGENAU, Dio, la scienza, la filosofia. L’incontrofra l’Oriente e l’Occidente, Armando, Roma 1987-2001[ed. orig. The miracle of existence, Ox Bow Press, 1984],p. 26.22 Ivi, p. 46. Nel corso del I Colloquium CIRPIT il prof.Gembillo, dell’Università di Messina, ha riportato uncelebre esempio, ancora più lampante, quellodell’idrogeno e dell’ossigeno. I quali elementi chimicipossiedono ciascuno la proprietà di essere infiammabili(e altamente); messi insieme, tuttavia, essi danno luogoall’acqua, elemento nuovo che ha la qualità non solo dinon essere infiammabile, ma addirittura di spegnere ilfuoco. Esito che in nessun modo è possibile dedurredallo studio isolato del singolo elemento.23 Un universo diverso, cit., p. XV.

Page 64: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

64

Complexity Session - Paolo Calabrò

[la fisica quantistica] confuta unaconcezione del mondo che ha funzionatoper secoli come orientamento generaleper gli scienziati. Ci riferiamo allaconcezione secondo cui un sistema fisicoesteso può – e dovrebbe – essere sempreanalizzato nelle sue parti. [...] Più inparticolare, si può dire che la regola diispirazione cartesiana, secondo cui unsistema fisico esteso può, e dovrebbe,essere diviso dal pensiero in elementi piùo meno localizzati (connessi da forze) èuna delle regole implicite mafondamentali dell’intera fisica classica24.

Ma la meccanica quantistica non èl’unico duro colpo inferto al metodo. La teoriadel caos ha mostrato che esistono probleminon scomponibili in sottoproblemi semplici (lacui interazione semplice sarebbe la causadell’apparente complessità del sistema dipartenza), la cui complessità è un fruttogenuino del comportamento dinamicointrinseco del sistema. Come ha spiegato congrande chiarezza Prigogine,

il fatto che taluni sistemi possanodivenire caotici non è una novità:l’esempio classico è rappresentato dallatransizione tra moto laminare eturbolento. Ma un liquido è un sistemacomplesso che corrisponde a un’enormepopolazione di particelle in interazione. Sitratta di un sistema talmente complessoche non possiamo sperare di descriverein termini di traiettorie individuali. Quindii fisici potevano pensare di doverprocedere per approssimazioni e ancorauna volta il caos e l’irreversibilitàpotevano risultare da queste. Ma la

24 Così B. D’ESPAGNAT, Veiled Reality, An Analysis ofPresent-day Quantum Mechanical Concepts, ReadingMass, Addison-Wesley, 1995, p. 111 (citato in F.LAUDISA, Le correlazioni pericolose. Tra storia e filosofiadella fisica contemporanea, Il Poligrafo, Padova 1998,pp. 105-106).

novità è che attualmente disponiamo disistemi caotici molto semplici e diconseguenza non possiamo piùnasconderci dietro lo schermo dellacomplessità. L’instabilità e l’irreversibilitàdiventano parte integrante delladescrizione già a livello fondamentale25.

Conclusioni

Il confronto tra la filosofia di Panikkar ela scienza moderna mette in luce che non ènecessario essere dei mistici o degli amantidel pensiero orientale per vedere la realtàcome un tutto. Il battito d’ali di una farfallapuò davvero, sul piano fisico come su quellofilosofico, provocare un tornado dall’altraparte del mondo. A volte si dipinge la scienzacome ottusa e ripiegata su se stessa(abusando del motto heideggeriano per ilquale “la scienza non pensa”); similmente, sipercepisce la filosofia di Panikkar come unamistica orientaleggiante e new age. A benvedere, tuttavia, i due saperi convergono sumolte cose.

Considerazione non secondaria: se èvero – come Panikkar sostiene – che ogginessuna cultura, nessun sapere, nessunaciviltà può ritenersi autosufficiente al puntoda possedere le soluzioni ai problemi globali(in primo luogo quello ambientale). Nel nostromondo “globalizzato”, in cui la relazione diognuno con tutti gli altri è ormai esperienzaquotidiana, c’è bisogno del contributo di tutti.Poter affermare che la filosofia di Panikkar èeffettivamente in grado di tenere insiemediversi frammenti (secondo quello che è statoda sempre l’orientamento fondamentale delpensatore catalano: colligite fragmenta), èmotivo di speranza.

25 I. PRIGOGINE, Le leggi del caos, cit., pp. 28-29.

Page 65: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

65

Complexity Session - Alessandro Calabrese

Vorrei proporre alcune riflessioni chemirano a indicare una forma di convergenzafra l’approccio interculturale alla filosofia e laprospettiva teoretica della complessità. In altritermini, vorrei parlare del modo in cui lamaniera di fare filosofia secondo un’aperturainterculturale contribuisca a chiarire iproblemi che caratterizzano la prospettivadella complessità e ad evidenziarnel’importanza nel momento in cui ci si pone aragionare sul reale e sull’uomo. Soprattuttoallo scopo generale di comprendere qualisiano le possibilità e i limiti cui andiamoincontro nel lavoro di interpretazione,descrizione, chiarificazione della realtà.

Queste brevi riflessioni prendono lemosse da una frase contenuta nella premessadell’opera che Raimon Panikkar ha dedicatoallo studio del buddhismo: in italiano, Ilsilenzio del Buddha1. Quest’opera èestremamente importante perché cerca diragionare a partire dalle questioni di natura

1 R. Panikkar, El silencio de Dios. Un mensaje delBuddha al mundo actual (1970), trad. it., Il silenzio delBuddha. Un a-teismo religioso, Milano, Mondadori,2006, p. 8.

intrinsecamente filosofiche che si agitanonell’insegnamento buddhista. Inoltreragionando su simili questioni essa interrogasulle stesse l’uomo contemporaneo. In altreparole, la riflessione su problemi filosoficitradizionali secondo la maniera delbuddhismo induce a porre in discussione ilmodo occidentale di fare filosofia, significaampliare l’orizzonte al quale attingere peroffrire un’interpretazione a tutti queiproblemi.

La frase in questione è la seguente:«pretendo solo di far posto all’incommensu-rabilità, dato che non vedo la necessità dimisurare tutto». Un simile enunciato haquantomeno la dote di essere a un temposintetico, chiaro e soprattutto evocativo di unintero mondo filosofico, di una maniera diintendere la filosofia e il suo compito neiconfronti della realtà. Inoltre, contiene quelvelo di ironia che nelle saggezze tradizionalispesso accompagna l’intuizione della vera

LA FILOSOFIA TEORETICA TRAINTERCULTURALITA’ E COMPLESSITA’NEL PENSIERO DI RAIMON PANIKKARAlessandro Calabrese

Alessandro Calabrese,CIRPIT

Alessandro Calabrese

Page 66: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

66

Complexity Session - Alessandro Calabrese

essenza, della natura delle cose. Inoltre, il suointerrogarsi sull’essenza è declinato in unachiave interculturale e sotto la provocazionedei problemi posti dalla prospettiva dellacomplessità.

Quali sono le caratteristiche di questomodo di fare filosofia?

In primo luogo esso ci presenta unaragione ‘disarmata’. Un approccio teoreticoche non punta alla vittoria, ma che si scopreaperto e trasformabile per via della suanaturale apertura. Non trova in tale apertural’indicatore della sua sconfitta, ma la cifradelle sue possibilità di comprendere il reale.Nell’apertura, infatti, tale approccio esercital’ermeneutica della realtà, l’integrazione fra ipunti di vista: conoscere e comprendere perinterpretare e costruire un orizzonte di senso,piuttosto che spiegare per oggettivare epossedere.

In secondo luogo, di fronte allacomplessità del reale il discorso filosoficoindicato dall’espressione di Panikkar pone inevidenza la non necessarietà assoluta dellascelta. Il pensiero procede attraverso l’ascoltoe il confronto, l’incontro e la trasformazionereciproca dei punti di vista, piuttosto cheattraverso la scelta e l’esclusione di un puntodi vista rispetto ad un altro, secondo unachiave di lettura strettamente dialettica.

Non è un caso che Panikkar, a talproposito, si rivolge all’esempio menodialettico e paradigmatico: il Buddha e il suosilenzio di fronte alle domande riguardanti lequestioni capitali sull’essere dell’uomo e delmondo2. Posto di fronte all’enunciazione di

2 Panikkar affronta la questione in sede di analisiermeneutica di alcuni testi della tradizione buddhistarelativi alla avyākr ̣tavestūni del Buddha, vale a dire il

proposizioni relative all’essere del mondo eall’essere dell’uomo, egli non le conferma néle nega, ma si limita ad affermare che essenon corrispondono alla sua opinione,sostenendo in questo modo l’idea chenessuna di esse contiene la verità. In altreparole, la verità non corrisponde alle pretesedi validità che ciascuna proposizione avanzasu di essa. Ciò perché la verità mal si adeguaal «gioco della mera dialettica», per il quale lasua definizione è formulata in sensoaffermativo o negativo, inclusivo o esclusivo.

L’ispirazione di Panikkar al silenzio delBuddha e il suo studio della natura di talesilenzio sono la via che egli sceglie perelaborare la sua critica al primatorazionalistico del principio di noncontraddizione. Aggiungendo immediata-mente il necessario corollario per cui taleprincipio non ha solo un valore gnoseologico,ma anche ontologico: esso è l’espressionedell’identità fra Pensare ed Essere.

Giungiamo in tal modo al terzo aspettodel modo di fare filosofia proposto nella frasedi Panikkar su cui abbiamo scelto di riflettere:esso afferma l’irriducibilità totale dell’Essereal Pensiero. Non si può affermare che ilPensiero dica tutto ciò che l’Essere è, né cheesaurisca l’Essere. Ed è da una simile visioneriduzionistica che bisogna liberare la filosofia.

In altre parole, ciò contro cui questavisione della filosofia si rivolge criticamente èl’idea – tutta occidentale – che il principio dinon contraddizione possa essere applicatoesaustivamente a tutta la realtà, in virtù del

suo rifiuto di rispondere a quattordici quesiti relativi aquattro problemi fondamentali: l’eternità del mondo,la finitezza del mondo, l’esistenza dopo la morte,l’identità tra anima e corpo. Cfr. R. Panikkar, Il silenziodel Buddha, cit., p. 123-137.

Page 67: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

67

Complexity Session - Alessandro Calabrese

suo essere espressione sul piano logicodell’identità affermata sul piano ontologicofra Pensiero ed Essere. Quindi il silenzio delBuddha è per Panikkar una delle vie possibiliper avanzare la critica al principiofondamentale su cui si basa la visionemetafisica dominante dell’Occidentemoderno: visione centrata sull’identità fraPensiero ed Essere.

Da qui parte una possibile ‘terza via’nella descrizione dell’Essere, quella via chePanikkar ha chiamato non duale.

Tutto ciò che è pensato ‘è’, ma nontutto ciò che è può essere pensato.Quest’intuizione apre la strada allaridefinizione del rapporto fra Pensiero edEssere in una chiave non duale. Non si puòparlare di identità fra Pensiero ed Essere,perché il primo non esaurisce il secondo. Ora,l’eccedenza dell’Essere rispetto al Pensiero èdescritta da Panikkar in termini di ‘libertà’.

Non è necessario che Pensiero ed Esserecoincidano; la realtà non è necessariamenteintelligibile. La «ragion d’essere» di ogni cosareale non è quella di essere razionale, bensìsemplicemente quella di essere reale. Taleassunto conferma l’idea volta aridimensionare le possibilità del Pensiero neiconfronti dell’Essere. Tutto ciò che è reale ‘è’,ma non è necessariamente razionale.Conseguentemente tutto ciò che è, non ènecessariamente oggetto delle categorie delpensiero logico razionale. Quindi la realtàeccede la razionalità così come l’Essere èeccedente rispetto al Pensiero. In ciò consistela libertà.3

3 Cfr. ivi, p. 37.

Bisogna liberare la filosofia dall’idea percui il suo unico punto di partenza sia la coppia‘Pensare ed Essere’. Se tale coppia è stata ilpunto di partenza di tutta la storia dellafilosofia occidentale, non è detto che esso sial’unico possibile punto dal quale può avereorigine il discorso filosofico. Esso corrispondea una concezione della filosofia, ma nelmomento in cui si sostenga una concezionediversa, allora emerge anche un percorsoteoretico differente attraverso cui tracciare ildiscorso filosofico.

Panikkar non pone in discussione l’ideache il Pensiero pensi l’Essere e che in qualchemodo anche lo dica. Ciò che egli discute ecerca di superare è l’idea secondo cui l’Esseresi riduce al Pensare: non si può affermare cheil Pensiero dica tutto ciò che l’Essere è né cheesaurisca l’Essere.

L’argomento principale utilizzato daPanikkar per sostenere la sua idea è semplicee tradizionale: «dire che il pensiero esauriscequello che l’essere è, equivale ad affermareche tutto l’essere è pensabile».4 Ora, il motivoper cui questo punto di vista non può esseresostenuto è principalmente logico. Infatti, lasola ipotesi del darsi di una porzioneimpensabile dell’Essere nega l’affermazionedella totale pensabilità dell’Essere stesso. Alcontrario Panikkar sostiene che il Pensieropuò dire qualcosa solo sul versante pensabiledell’Essere. Sulla possibilità di un essereimpensabile il Pensiero può solo tacere.Quindi, ciò che si può affermare senzacontraddizione è che solo l’essere che si pensaè pensabile. Ma è evidente che tutto ciò che

4 R. PANIKKAR, La torre di Babele. Pace e pluralismo, S.Domenico di Fiesole, Edizioni Cultura della Pace, 1990,p. 53.

Page 68: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

68

Complexity Session - Alessandro Calabrese

dell’Essere è impensabile o non ancorapensato rimane fuori dal dominio del Pensare.La via d’uscita da tale situazionecontraddittoria è nel «riconoscere almeno,una possibile libertà dell’essere rispetto alpensare».5 La possibilità di cui il Pensierodispone per dire l’Essere si limita alla realtàpensabile o al modo in cui l’Essere èpensabile. Al contrario, ogni singolo essere ‘è’,indipendentemente dalla capacità dispiegazione del Pensiero. Pertanto la libertàcostitutiva dell’Essere si manifesta nellapossibilità di ogni singolo ente di essere in unmodo proprio, indipendente dal Pensiero. «Inogni ente esiste un nucleo di libertà checoincide con il proprio essere».6

Nella prospettiva di Panikkar, ilriconoscimento della libertà dell’Essererispetto al pensiero rientra nella naturapropria della filosofia. È l’‘amore’ contenutonel suo nome e nella sua essenza adassegnare alla filosofia questo compito.L’amore è la disponibilità ad accoglierel’Essere nella sua immediatezza eimprevedibilità, nel suo essere impensabile edingiustificabile. L’amore è il riconoscimentoche «l’essere non ha ragione di seguiresempre il pensiero».

Infine l’irriducibilità dell’Essere alPensare emerge anche da una ulterioreconsiderazione. «Essere» è un verbo che sipuò ridurre a sostantivo solo tramite unaforzatura. Tutto ciò che è, è tale ‘essendo’,non in virtù di qualcosa che è posto al di fuorie che lo sostiene.

La pluralità e la polarità nel rapporto frale parti non devono essere necessariamente

5 Ibidem6 R. Panikkar, Il silenzio del Buddha, cit., p. 37.

eliminate o risolte. Devono essere, in primoluogo, riconosciute nella loro imprescindibilitàesistenziale e nel loro valore positivo. Lavisione non dualista si esprime nellacomprensione della realtà; muove dalla presadi coscienza che «la realtà non è una némolteplice, non è quantificabile e nemmenototalmente intelligibile, la polarità ècostitutiva e non va eliminata mariconosciuta».7 La diversità è riconosciuta edaccettata nel suo valore positivo. Dellapolarità fra i diversi aspetti o modid’interpretazione del reale è accolta lacostitutiva tensione esistenziale, rivolta versoil compimento piuttosto che verso il primatodi una delle parti. Al non-dualismo èimpossibile attribuire sia la «vittoria finale»,cui aspira il monismo, sia l’esasperazione delladialettica, caratteristica del dualismo. Esso,però, conserva il valore positivo insito inentrambi i punti di vista: dal monismo trael’aspirazione verso l’unità del reale, deldualismo conserva il movimento finalizzatoalla sintesi.8 In qualche modo, il non-dualismosegna una via alla comprensione del reale chesalva le differenze e sostiene la tendenzanaturale dell’uomo verso l’unità. Ma, se ilnon-dualismo segna una via per lacomprensione, ciò vuol dire che non centradel tutto il problema e non ne offre lasoluzione definitiva. Dev’essere riconosciuto eattraversato sul piano esistenziale e condottoa compimento concettualmente, perintrodurci a una nozione che Panikkar coglienel suo valore filosofico: l’armonia.

7 R. Panikkar, La torre di Babele, cit., p. 87.8 Ivi, p. 88: «È sensibile sia al diritto del potere che allasaggezza della tensione».

Page 69: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

69

Complexity Session - Marcello Ghilardi

La realtà cosmo-teandricaPer un incontro tra scienza, religione efilosofia

Le differenti tradizioni dell’Asiaorientale hanno fatto spesso ricorso adimmagini, metafore, analogie nel tentativo dispiegare gli aspetti più complessi degliinsegnamenti, aspetti che spesso sfuggono auna possibilità di trattazione puramenteconcettuale e formalizzata. Un’analogia chetenta di spiegare attraverso immagini fisichecosa si intenda con “interrelazione” o “mutuainclusività” è quella, ben nota nellaletteratura buddhista, dell’oceano e delleonde:

È come la metafora dell’acqua e delle onde: leforme, che sono alte o basse, sono le onde; l’umidità,che è identica, è l’acqua. Le onde sono onde e nonsono altro dall’acqua – le onde stesse manifestanol’acqua. L’acqua è acqua che non differisce dalle onde– è l’acqua a formare le onde. Le onde e l’acqua sonouna cosa sola, eppure questo non cela la lorodifferenza. L’acqua e le onde sono differenti, eppure

questo non cela la loro unità. In virtù della loromanifesta unità, essere l’acqua è essere nelle onde; invirtù della loro manifesta differenza, porre attenzionealle onde non è porre attenzione all’acqua. Come mai?Perché l’acqua e le onde sono differenti eppure nonsono differenti.

(Tu Shun, Cessation and Contemplation, inT.Cleary, Entry the Inconceivable, p. 58)

Le onde stanno a significare le formemolteplici, i fenomeni empirici che“accadono”, mutano, si danno allapercezione dei nostri sensi nella loroimpermanenza e varietà di modalitàespressive. Sono gli “oggetti” esperitinormalmente, che danno corpo alla“apparente concretezza” del mondo epermettono alle nostre azioni quotidiane dicompiersi facendo affidamento sullestrategie ermeneutiche convenzionali, inbase alle quali cogliamo tali azioni emanifestazioni come se fossero dotate diun’essenza propria, indipendente. Ma leonde non sono se non in virtù dell’acqua, dacui traggono la loro forma, da cui hannoorigine e verso cui ritornano: non esistono le

APPUNTI PER UN INTERVENTO IN CHIUSURA DELLA PRIMAGIORNATA DEL CONVEGNO IN ONORE DI RAIMON PANIKKARNapoli, 2-3 dicembre 2010

Marcello Ghilardi

Marcello Ghilardi

Marcello Ghilardi,Università di Padova

Page 70: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

70

Complexity Session - Marcello Ghilardi

onde se non all’interno dell’acqua, checostituisce il loro “orizzonte di possibilità”, laloro condizione d’essere. E non esistononemmeno in quanto singolarità, perchéun’onda è tale solo in relazione alle altreonde, che in base a quella si conformano, eche nelle stesso tempo quella stessa esseformano. Il nocciolo della riflessione sta tuttoqui: la dialettica dell’uscita dall’originariacondizione del Vuoto, dal regno “noumenico”in cui ciò che è, senza discriminazione, e delritorno ad essa attraverso la negazione e lamediazione nel mondo fenomenico, trova lasua soluzione nella comprensionedell’identità che è insita nella differenza,poiché tutto ciò che possiamo esperire opensare è solo in quanto è in relazione contutto ciò che ad esso è esterno, estraneo,diverso. Le onde non “sono” l’acqua, ma essesenza l’acqua non sarebbero; esserappresentano una particolaredeterminazione dell’acqua, che svela sestessa, si dimostra alle nostre capacitàpercettive, in quanto onde: e per questo èlecito dire che l’acqua non sarebbe senza leonde, poiché è solo per mezzo delle onde cheessa è in grado di manifestarsi, di agire. Dinuovo appare in tutta la sua forza e la suapregnanza di significato per il pensiero cinesepiù genuino, fin dalle sue origini, quell’idea dimovimento, di processualità, come unica edautentica condizione d’essere delle cose: perdarsi effettivamente, tanto un fenomenoquanto il principio che ne sta alla base deveessere in divenire, in “processo” appunto.

Il concetto di sistema

Un sistema è una relazione tra elementi.

In un sistema lo stato di un elementodetermina ed è determinato dallo stato di

tutti gli altri elementi: non serve a moltoconoscere il componente senza conoscere: a)le sue relazioni; b) il livello di integrazionedelle relazioni; c) la storia delle sue relazionipassate e possibili.

Il tutto, in un sistema, non si riduce maialla somma delle parti. Ogni elemento delsistema può essere considerato a sua voltaun sistema, di livello inferiore, e ogni sistemapuò essere considerato elemento di unsistema di livello superiore. Un sistema èsempre frutto di una scelta operatadall’osservatore, che ritaglia in un ambienteprocessi specifici, cioè un sistema con la suaorganizzazione e le sue possibili dinamiche, enel far ciò riduce a rumore di sfondo ognialtra relazione che pure interviene nellainterazione tra sistemi.

Emergentismo

Un comportamento emergente oproprietà emergente può comparire quandoun numero di entità semplici (agenti)operano in un ambiente, dando origine acomportamenti più complessi in quantocollettività. La proprietà stessa non èprevedibile e non ha precedenti, erappresenta un nuovo livello di evoluzionedel sistema. I comportamenti complessi nonsono proprietà delle singole entità e nonpossono essere facilmente riconosciuti odedotti dal comportamento di entità dellivello più basso.

La vita costituisce una inesauribileminiera di esempi da cui l’emergentismoattinge. Il caso più semplice di emergenza èrappresentato dalla relazione tra unorganismo vivente e le molecole di cui ècomposto a un dato momento. Seprendessimo tutte queste molecole, che sono

Page 71: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

71

Complexity Session - Marcello Ghilardi

tutto ciò che costituisce quell’organismo, ene cambiassimo drasticamente l’organiz-zazione esse non costituirebbero più unorganismo. Dunque, l’essere vivente emergedalle molecole.

Raimon Panikkar: la crisi del mondomoderno

In diverse opere Panikkar si è rivoltoalle questioni della scienza e del progresso,da un punto di vista religioso ed ecologico omeglio, come amava ripetere, ecosofico (è lasophia, più del logos, che può permetterci diprestare ascolto all’oikos, alla casa,all’ambiente nel quale viviamo e che cinutre). Qui di seguito si cerca di riassumerealcune delle sue idee in proposito, inparticolare in rapporto al suo testo La nuovainnocenza.

Anche alla luce delle considerazioniprecedenti, si vorrebbero dunque avanzarealcune proposte di trasformazione, di“conversione” dello sguardo, per modificarela attuale mentalità tecnologica in una piùadatta ad avvertire le esigenze dell’ambiente,nel quale siamo integrati – e non soggettiesterni che possono permettersisemplicemente di sfruttarne le risorse.Queste proposte si possono, almenoprovvisoriamente, riassumere nei seguentipunti

a) Perdita di centralità del soggettopsicologico;

b) Diversa collocazione dell’uomo nelcosmo;

c) Attenzione alla regolazione invece diun’ossessione per la predizione in vista di un“rendimento”;

d) Correlazione tra la dimensionemorale e quella fisica; rapporto tra scienza,politica e morale (tra cosmologia, politica eantropologia);

e) Integrazione (e non scissione) tra io emondo.

Le radici teologiche della crisi moderna

Si è riflettuto relativamente poco sulleradici teologiche della crisi spirituale emateriale che attanaglia l’uomo moderno,producendo infiniti conflitti di ogni genere efacendogli percepire in modo sempre piùcrescente di vivere in un universo alienanteed alienato. Queste radici rimandano,secondo Panikkar, ad epoche lontane, allostesso fondarsi di molte tradizioni culturalisul principio di proprietà, cioè sul dualismo,sulla contrapposizione. Lo stesso decalogopuò essere inteso come la sacralizzazione delprincipio di proprietà: ama il tuo Dio, ama latua donna, ecc. La distinzione più radicale,poi, è quella fra l’uomo e la natura: l’uomo èeccezione e padrone del creato. Non è uncaso che proprio in Occidente sia nata latecnologia, vero cancro del mondo moderno,cioè una concezione dualistica della realtà,dove ciò che conta è separare, isolare,oggettivare, per poter meglio quantificare e,quindi, manipolare delle “cose”. Latecnologia non è che l’ultimo risultato di unamentalità che aveva già portato il mondosemitico a “privatizzare” Dio, la religione, lacultura.

La scienza moderna

La crisi che l’uomo contemporaneo staattraversando è, per Panikkar, una crisi di“frantumazione” scaturita, in primo luogo, daquella frantumazione della conoscenza

Page 72: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

72

Complexity Session - Marcello Ghilardi

realizzatasi con la nascita della scienzamoderna. La scienza, nel mondo moderno,perde il suo valore salvifico e si riduce aconoscenza (presunta) oggettiva. Non è più,come nell'antichità, e ancor oggi nelleautentiche vie spirituali, comunione con larealtà e realizzazione di se stessi.Nell’antichità, progredire nella conoscenzadella realtà voleva dire progredire nellaconoscenza di se stessi; la “nuova scienza”nata con Galilei, invece, non ha più il fine dicapire, bensì solo di calcolare, prevedere edominare la realtà (cfr. F. Bacon, NovumOrganum 1, 70).

Tecnica e tecnologia

Non bisogna però confonderetecnologia e tecnica: la tecnica è un’arte(poietikê technê), nella quale l’intelligenzaumana si integra nella materia per produrreun artefatto (ceramica, musica, poesia, unedificio, ecc.) che migliori il benessere e labellezza della vita umana. Si deve essereispirati per produrre qualsiasi tipo di attivitàtecnica, è necessario il pneuma (spirito). Latecnologia sorge quando allo spirito sisostituisce la ratio, cioè il logos, nel suo sensopiù ristretto di razionalità discorsiva. Aquesto punto nella technê si introducel’aritmetica, cioè un ritmo (il risultato di unamens, mensura), e allora il risultato dellatecnica può essere riprodotto indefini-tamente quando se ne conosca la siglanumerica. Ogni artefatto ha il suo stile e, inun certo senso, è unico, anche quando se neproducano più esemplari. Però c’è unmomento in cui il cambiamento quantitativointroduce un mutamento qualitativo. Questomutamento avviene attraverso l’utilizzo dimacchine, cioè strumenti di secondo grado,che finiscono poi per imporre all’uomo le

proprie regole. La tecnologia, da strumento,giunge a trasformarsi in fine.

Il tecnocentrismo

La tecnologia non è universalizzabilecome se fosse un universale culturale, non èneutra. Può germinare soltanto in un terrenomoderno e può crescere solo in un climaoccidentalizzato. L’universalizzazione dellatecnologia implica l’occidentalizzazione delmondo e la distruzione delle altre culture,che si basano su visioni della realtàincompatibili con i moderni presupposti dellatecnologia. Il fatto che questa incompatibilitànon sia stata notata e che si sia pensato chela tecnologia potesse adattarsi allo stile divita di diverse culture, dimostra come non sisia realizzato un vero dialogo interculturale.Ha prevalso la credenza in una evoluzionelineare della specie umana.

La tecnocrazia: l’ontonomia impossibile

Secondo Panikkar, che in questoassume una posizione simile a quella diHeidegger, la tecnologia è autonoma, siadall’uomo sia dalla natura. Ma l’uomo si stasvegliando dal sogno di poter dominare ilsistema tecnologico, a tal punto che oramainon crede più possibile liberarsi da esso. Èquesto che detta lo stile di vita, i valoridominanti e i ritmi della collettività, e perfinouna gran parte delle forme di pensiero, pernon parlare della corsa agli armamenti, dellacrescita delle multinazionali e dellaproliferazione delle macchine, che nessunosembra poter fermare. La macchina disecondo grado ha le proprie regolarità, chenon dipendono né dalle leggi della natura néda quelle dell’uomo. È l’uomo che deveadattarsi alle leggi della macchina,

Page 73: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

73

Complexity Session - Marcello Ghilardi

diventando così prigioniero di un tempo e diuno spazio che sono pure astrazioniscientifiche. L’interdipendenza fra uomo ecosmo, l’equilibrio armonioso, “ontonomo”(il nomos dell’on – l’ordine intrinsecodell’essere), non è più possibile nell'epocadella tecnologia.

Omocentrismo e interventismo

La tecnologia presuppone che l’uomosia essenzialmente differente e superiore allanatura. Non è un caso che la tecnologia siasorta in un mondo governato dallaconcezione semitica dell'universo, dovel'uomo è padrone della natura, una eccezionenella creazione. Non è un caso che si usicomunemente il termine "sfruttamento":agricolo, minerario, ecc. Ciò rimanda ancheall'origine della scienza moderna, finalizzatanon al sapere, ma al potere, non allaconoscenza, ma al dominio della natura.

Il metodo proprio della tecnologia è lasperimentazione, l’intervento sulla realtà.L’esperimento consiste nel modificarealmeno una delle variabili di un sistemaosservato per poi accertare una variazionedell’intero sistema. L'esperimento rendepossibile il calcolo della variazione e dellevariabili e si basa nello stesso tempo suquesto calcolo. L’esperimento èprincipalmente una possibilità di dominio, dicalcolo, di previsione, ma non esprime moltosulla natura delle cose, sulla realtà, sullanostra propria natura. L’attività umana, non èconsiderata una collaborazione con i ritmidella natura per lo sviluppo personale e perl’armonia dell’universo, ma come un lavorovisto come una produzione, modificazione,dominazione.

L’oggettivismo

La tecnologia presuppone che la realtàsia oggettivabile e dunque sottoposta alpensiero. La tecnologia è la cristallizzazione el’oggettivazione dei concetti. I concettipossono essere fissati in macchine, le qualigarantiscono poi un funzionamento costantee preciso, come la macchina del nostrocervello. Questa oggettivazione rende larealtà immutabile e costante, in modo taleche la conoscenza scientifica sia sempre piùstabile. La scienza moderna è la guardianadell’essere, l’essere non può scappare. Così sipossono costruire macchine che funzionino el’uomo se ne può fidare.Che la scienza contemporanea abbiasuperato grossolani paradigmi di oggettivitànon dice niente sul piano della tecnologia.Sarebbe possibile la tecnologia se i processireali non seguissero le leggi della logica oaddirittura quelle della probabilità? Il criteriodi verità, o meglio di precisione, su cui si basala sperimentazione scientifica è la ripetibilitàe la ripetibilità presuppone un tempocostante e omogeneo. Senza di esso nessunamacchina potrebbe funzionare, nessunagrande città moderna potrebbe esistere. Lospazio ed il tempo nel quale si muovono lemacchine sono, a differenza di quelli umani,neutri e universali.

Quantificabilità, controllo e strumentaliz-zazione

Il regno della scienza moderna è ciò cheè quantificabile, essa agisce misurando, cioèdividendo. Non pretende nemmeno dispiegare il mondo, semplicemente misura deicomportamenti e, scoprendo alcune costanti,prevede vari avvenimenti. La tecnologia faqualcosa di più che calcolare: moltiplica. È il

Page 74: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

74

Complexity Session - Marcello Ghilardi

mondo della quantità e dell'accelerazione, ilmondo del più quantitativo. Senzaaccelerazione la tecnologia è impossibile. Iltempo è soltanto un fattore quantitativo cheè piegabile all’accelerazione. Quello che nonpuò essere misurato, che non può esserecontato, non “conta”.

La tecnologia è il mondo dei mezzi,degli strumenti. Essa produce incontinuazione strumenti, sempre nuovi,sempre migliori. Non importa a cosa servano,se siano realmente utili, l'importante è usarli.Noi stessi siamo strumenti.

La cultura moderna

La cultura moderna ha reso tuttomonetizzabile e dipendente dall’economia: iltempo, l’educazione, il matrimonio, ilnutrimento, la mia salute, le mie credenze, lamia felicità. Tutto ha un coefficienteeconomico, ossia, in altre parole,quantificabile. Ciò che accomuna tecnocraziaed economicismo estremo è la visionequantitativa della vita. Se gli si offrono i mezziper soddisfarli, l’uomo è felice. Questo tipo dimentalità e di cultura non è universale néuniversalizzabile. E non lo è né da un punto divista qualitativo, per i motivi sopra esposti,né da un punto di vista quantitativo: il 6%della popolazione mondiale consuma il 40%delle risorse disponibili e ne controlla il 60%.Le possibilità e le risorse del pianeta sonolimitate. Nella prima metà del secolo ilsistema economico mondiale erarelativamente aperto. Ora il sistema è chiusoe in un sistema chiuso ogni aumento in unaregione comporta una diminuzione inun'altra. Viviamo un aumento costante dientropia. Il nostro stile di vita non può esseremantenuto su scala mondiale. Nel complesso

tecnocratico ogni progresso implica unregresso in un altro ambito.

Alternative alla cultura moderna

Vi sono tre modi per affrontare ilproblema della modernità, secondo Panikkar:

1. Riforma

Consiste nel pensare che questa culturasi possa riformare, magari utilizzando unatecnologia più adeguata. Panikkar stessoaveva in un primo tempo aderito a questaprospettiva, coniando addirittura il terminetecnicultura. Ancora nel 1970, quandopubblicò Il Silenzio di Dio, era di questaopinione. Pensava che la macchina potesseessere coltivata, nel senso della cultura. Mala macchina di secondo grado haun’autonomia che l'uomo non è più in gradodi controllare e dirigere. Ci si dice: solomomentaneamente la tecnologia crea fame,sfrutta e distrugge le culture nonindustrializzate, fa numerose vittimedappertutto, ma ritroverà il suo equilibriouna volta che sarà più perfezionata. Nonesiste un’omeostasi tecnologica di questotipo e non è solo l’argomento morale che vi sipotrebbe opporre: gli uomini non sonosemplici elementi di una posta storica piùalta. Vi si oppone anche l’esistenza di altreculture che si rifiutano di avere una simileconcezione dell’uomo e della realtà.

2. Deformazione

Vuol dire fare una critica totale,anatemizzare, non salvare niente, distruggeretutto. Anche questo tipo di critica, come ilprecedente, rimane ancora all'interno dellamentalità moderna, tecnologica. Anchequesta è ragione armata, è violenza.

Page 75: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

75

Complexity Session - Marcello Ghilardi

3. Trasformazione

È una metamorfosi, una mutazioneradicale della forma (morphê). Non vuol direriformare un po’, cambiare questo o quello,ma realizzare un cambiamento radicale, unametànoia, una vera rivoluzione della mente,del cuore e dello spirito. Voler fare soltantoqualche aggiustamento e riformare il sistemasignifica solo prolungare l’agonia.Emanciparsi veramente dalla tecnologia vuoldire saltare al di là di questa cultura che l’hacreata. L’Occidente da solo non può faretutto questo, e l’Oriente nemmeno: c’èbisogno di un incontro di culture. È qui che sirende indispensabile il dialogo “intra-religioso” come condizione per la salvezzadell’umanità. La mutua fecondazione delleculture è l'unica cosa che ancora potràsalvarci. Non esiste infatti un’alternativaglobale, così come non esistono, né forsesarebbero desiderabili, una cultura globale,una prospettiva globale, una lingua ed unareligione universali, un unico ordine mondialeperfetto, politico o economico. Ci sonosolamente alternative provvisorie, secolari epluraliste.

L’intuizione cosmoteandrica

Il divino, l’umano e il terrestre sono letre dimensioni irriducibili che costituiscono ilreale, cioè qualsiasi realtà in quanto tale.Tutto ciò che esiste presenta questastruttura, triplice e unica, espressa in questetre dimensioni che si generano recipro-camente ma non sono riducibili l’una all’altra.Vi è un’unica relazione, benché intrinse-camente triplice, che esprime la costituzioneultima della realtà: è questa l’intuizionecosmoteandrica. Panikkar è consapevole diriformulare, in questi termini, un principio

ben noto alle varie tradizioni spirituali e cheegli stesso ritrova, ad esempio, nellaconcezione cristiana della Trinità o in quellabuddhista della pratityasamutpada. La realtàmostra questa triplice dimensione: unaspetto metafisico (trascendente oapofatico), un fattore noetico (o cosciente,pensante) e un elemento empirico (fisico omateriale). A livello umano, poi, questoprincipio si esplica nei tre fondamentali modidi percepire la realtà: l’esperienza sensibile(aisthêsis), l’esperienza intellettuale (noêsis)e l’esperienza sovraconoscitiva e globale chetrascende il pensiero (mystika). La visionecosmoteandrica o relazionale della realtàsupera sia il monismo sia il dualismo, tantoche potrebbe essere definita non-dualista, edè il frutto, in ultima analisi, di un’esperienzamistica, e come tale ineffabile, che rimandaad un dimensione contemplativa venutameno con la cultura moderna.

Page 76: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

76

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

At least in the Western context, our ageis commonly referred to as that of“modernity”—a term sometimes qualified as“late modernity” or “postmodernity.” Takenby itself, the term is nondescript; in its literalsense, it simply means a time of novelty orinnovation. Hence, something needs to beadded to capture the kind of novelty involved.To pinpoint this innovation, modernity is alsoreferred to as the “age of reason” or the ageof enlightenment and science—in order todemarcate the period from a prior agepresumably characterized by unreason,metaphysical speculation, and intellectualobscurantism or darkness. Seen in this light,modernity for a large number of people—including supporters of scientific and socialprogress—is a cause for rejoicing, celebration,and unrelenting promotion. As is well known,however, this chorus of support has for sometime been accompanied by discordant voicespointing to the dark underside of modernity,evident in what Max Weber called the“disenchantment” of the world and others(more dramatically) the “death of God” or the“flight of the gods.” More recently, discontent

has given rise to claims regarding an inherent“crisis” of modernity manifest in the slidetoward materialism, consumerism, irreligion,and a general “loss of meaning.”1

For present purposes I want to lift up forconsideration two highly nuanced andphilosophically challenging assessments of ourmodern condition: Charles Taylor’s A SecularAge (of 2007) and Raimon Panikkar’s TheRhythm of Being (of 2010). As it happens,both texts are strongly revised versions ofearlier Gifford Lectures (presentedrespectively in 1999 and 1989). Beforeproceeding, a word of caution: neither of thetwo thinkers belongs to one of the polarizedcamps—which means that neither is anuncritical “booster” or else a mindless

1. Concerning the “crisis of modernity” compare, e.g.,Oswald Spengler, The Decline of the West (1918; NewYork: Knopf, 1939); René Guénon, La crise du mondemoderne (1928), trans. M. Pallis and R. Nicholson, TheCrisis of the Modern World (London: Luzac, 1962); Ro-mano Guardini, Das Ende der Neuzeit (1950), trans. TheEnd of the Modern World (New York: Sheed & Ward,1956); and Leo Strauss, “The Crisis of Our Time,” in ThePredicament of Modern Politics, ed. Harold J. Spaeth(Detroit, MI: University of Destroit Press, 1964), pp. 41-54. Compare in this context the chapter “Global Mo-dernization: Toward Different Modernities,” in my Dia-logue Among Civilizations: Some Exemplary Voices(New York: Palgrave Macmillan, 2002), pp. 85-104.

A SECULAR AGE?REFLECTIONS ON TAYLOR AND PANIKKARFred Dallmayr

Fred Dallmayr(video)

Fred Dallmayr,Notre Dame University, USA

Page 77: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

77

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

“knocker” of the modern age.2 Both thinkersshare many things in common. Both complainabout certain glaring blemishes of themodern, especially the contemporary period;both deplore above all a certain deficit ofreligiosity or spirituality. The differencesbetween the two authors have to do mainlywith the details of their diagnosis andproposed remedies. In Taylor’s view, themodern age—styled as “secular age”—appears marked by a slide into worldlyagnosticism, into “exclusive humanism” andabove all into an “immanent fame” excludingor marginalizing theistic “transcendence.”Although sharing the concern about “loss ofmeaning,” Panikkar does not find its source inthe abandonment of (mono)theistictranscendence; nor does he locate this sourcein secularism or “secularity” per se—seeingthat, in view of its temporality, faith isnecessarily linked with a given age (or“saeculum”). Instead of stressing thedichotomy between immanence andtranscendence, Panikkar focuses on thepervasive “oblivion of being” in our time, anoblivion which can only be overcome througha renewed remembrance of the divine as aholistic happening in a “cosmotheandric”mode.

A Secular Age

At the very beginning of his massivestudy, Taylor distinguishes between threekinds of secularity or “the secular”:“secularity 1” involving the retreat of faithfrom public life; “secularity 2” denoting adiminution or vanishing of faith among certain

2. In one of his previous writings, Taylor had distingui-shed between the “boosters” and the “knockers” ofmodernity. See his The Ethics of Authenticity (Cambri-dge, MA: Harvard University Press, 1992), pp. 11, 22-23.

people; and “secularity 3” involving theerosion of the very conditions of possibility ofshared faith. While in the first type, publicspaces are assumed to be “emptied of God, orof any reference to ultimate reality,” andwhereas in the second type secularity consists“in the falling off of religious belief andpractice, in people turning away from God,”the third type involves a more pervasivechange: namely, “a move from a societywhere belief in God is unchallenged andindeed, unproblematic, to one in which it isunderstood to be one option among others,and frequently not the easiest to embrace.”Taken in the third sense, secularity meansmore than the evacuation of public life or elsethe loss of a personal willingness to believe;rather, it affects “the whole context ofunderstanding in which our moral, spiritual orreligious experience and search takes place.”Viewed on this level, an age or a societywould be secular or not “in virtue of theconditions of experience of and search for thespiritual.” As Taylor emphasizes, the focus ofhis study is on the last kind of secularity. Inhis words:

So I want to examine our society assecular in this third sense, which I couldperhaps encapsulate in this way: thechange I want to define and trace is onewhich takes us from a society in which itwas virtually impossible not to believe inGod, to one in which faith, even for thestaunchest believer, is one humanpossibility among others. . . . Belief inGod is no longer axiomatic.3

In seeking to flesh out the meaning ofsecularity as a mode of modern experience,

3. Charles Taylor, A Secular Age (Cambridge, MA: Har-vard University Press, 2007), pp. 2-3.

Page 78: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

78

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

Taylor’s text very quickly introduces thenotion of “exclusive humanism” or “self-sufficient humanism” characterized by aneglect of transcendence. An importantcriterion here is the notion of a “fullness oflife” and whether this fullness can be reachedby human resources alone or requires a step“beyond” or “outside.” “The big obviouscontrast here,” we read, “is that for believersthe account of the place of fullness requiresreference to God, that is, something beyondhuman life and/or nature; where forunbelievers this is not the case.” Typically, forbelievers fullness or completion is received asa gift whereas for unbelievers the source ofcompletion resides “within.” Appeal tointernal resources can take many forms. Inmodernity, the appeal is frequently to thepower of reason and rational knowledge.However, self-sufficiency can also bepredicated on a “rigorous naturalism.” In thatcase, the sources of fullness are nottranscendent, but are to be “found in Nature,or in our own inner depths, or in both.”Examples of such naturalism are provided by“the Romantic critique of disengaged reason,and most notably certain ecological ethics ofour day, particularly deep ecology.” Otherforms of self-sufficiency or internal self-reliance can be found in versions ofNietscheanism and existentialism which drawempowerment “from the sense of ourcourage and greatness in being able to facethe irremediable, and carry on nonetheless.”A further modality can be detected in recentmodes of post-modernism which, whiledismissive of claims of self-sufficient reason,yet “offer no outside source for the receptionof power.”4

4. Ibid., pp. 8-10. The comment on existentialism o-

In subsequent remarks the distinctionbetween inside and outside (“within-without”) is further sharpened by theinvocation of the binaries of imma-nence/transcendence and natural/supra-natural. “The shift in background, or betterthe disruption of the earlier background,”Taylor writes, “comes best to light when wefocus on certain distinctions we make today:for instance, that between the immanent andthe transcendent, the natural and the super-natural. . . . It is this shift in background, inthe whole context in which we experienceand search for fullness, that I am calling thecoming of a secular age, in my third sense . . .[and] that I want to describe, and perhapsalso (very partially) explain.” In general terms,modernity for Taylor assumes the character ofa “secular age” once priority is granted toimmanence over transcendence and to a self-sufficient humanism over divine interven-tions. “The great invention of the [modern]West,” he writes, “was that of an immanentorder of Nature whose working could besystematically understood and explained onits own terms.” This notion of immanenceinvolves denying, or at least questioning, “anyform of interpenetration between the thingsof Nature, on the one hand, and the‘supernatural,’ on the other.” Seen from thisangle, he adds, “defining religion in terms ofthe distinction immanent/transcendent is amore tailor-made for our culture.” From ahumanist perspective, the basic questionbecomes “whether people recognize

bviously is tailored to the writings of Albert Camus.Regarding deep ecology, the judgment is modified afew pages later (p. 19) where we read that “there areattempts to reconstruct a non-exclusive humanism on anon-religious basis, which one sees in various forms ofdeep ecology.

Page 79: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

79

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

something beyond or transcendent to theirlives.”5

At the core of the modern secularshift, for Taylor, is the issue of humanfulfillment or “flourishing,” that is, thequestion “what constitutes a fulfilled life?” Atthis point, an intriguing radicalism comes tothe fore: in the sense that not only the seculargoals of fulfillment are chastised, but the veryidea of human flourishing is called intoquestion. In earlier periods, he comments, itwas still possible to assume that the best lifeinvolved our seeking “a good which is beyond,in the sense of being independent of humanflourishing.” In that case, the highest, mostadequate human striving could include ouraiming “at something other than humanflourishing.” Under the aegis of an exclusiveor self-sufficient humanism, the possibility ofsuch higher striving has atrophied and evenvanished. Differently phrased: “secularity 3”in Taylor’s sense came along together withthe possibility and even probability ofexclusive humanism. In fact, he states, onecould offer this “one-line description” of thedifference between earlier times and thesecular age: “a secular age is one in which theeclipse of all goals beyond human flourishingbecomes conceivable.” Here is the crucial link“between secularity and a self-sufficinghumanism.” In traditional religion, especiallyin Christianity, a different path was offered:namely, “the possibility of transformation . . .which takes us beyond merely humanperfection.” To follow this path, it was needfulto rely on “a higher power, the transcendentGod.” Seen in this light, Christian faithrequires “that we see our life as going beyondthe bounds of its ‘natural’ scope between

5. Ibid., pp. 13-16.

birth and death; our lives extend beyond ‘thislife’.”6

It cannot be my ambition here torecapitulate Taylor’s complex and lengthytome; suffice it for present purposes to drawattention briefly to a central chapter dealingwith the noted binary tension: the chaptertitled “The Immanent Frame.” At this point,the notion of an exclusive humanism isreformulated in terms of a “buffered self.”According to Taylor, what modern secularitychiefly entails is “the replacement of a porousself by the buffered self,” a self that begins tofind “the idea of spirits, moral forces, causalpowers with a purposive bent, close toincomprehensible.” Buffering here involves“interiorization,” that is, a withdrawal into “aninner realm of thought and feeling to beexplored.” Examples of this inward turn aresaid to be Romanticism, the “ethic ofauthenticity,” and similar moves prompting usto “conceive ourselves as having innerdepths.” A corollary of this turn is “theatrophy of earlier ideas of cosmic order” andthe rise of individual self-reliance and self-development, especially of an “instrumentalindividualism” exploiting worldly resources toits own exclusive benefit. Aggregating thevarious changes or mutations occurring insecular modernity, Taylor arrives at thissuccinct formulation: “So, the bufferedidentity of the disciplined [self-reliant]individual moves in a constructed socialspace, where instrumental rationality is a keyvalue and time is pervasively secular [as clocktime]. All of this makes up what I want to call‘the immanent frame’.” There is oneimportant background feature which alsoneeds to be taken into account: namely, that

6. Ibid., pp. 16, 19-20.

Page 80: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

80

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

“this frame constitutes a ‘natural’ order, to becontrasted to a ‘supernatural’ one, an‘immanent’ world, over against a possible‘transcendent’ one.”7

As Taylor recognizes, the boundarybetween the two “worlds” is not alwayssharply demarcated. Although ready to“slough off the transcendent,” the immanentorder occasionally makes concessions to theformer. This happens in various forms of “civilregion,” and also in vaguely spiritualmovements or expressions like Pente-costalism or “Romantic forms of art.”However, such concessions are at best half-hearted, and do not basically challenge orimpede the “moral attraction” of immanence,of this-worldiness, of materialism andnaturalism. As Taylor remarks with regard tothe latter: “We can see in the naturalisticrejection of the transcendent . . . the ethicaloutlook which pushes to closure” inimmanence, especially when the rejection iscoupled with wholesale trust in modernnatural science and associated technologies.Undergirded by this trust, the entire growthof modern civilization can be seen “assynonymous with the laying out of a closedimmanent frame.” To be sure, the text insists,the “moral attraction” of immanence is notabsolutely compelling or pre-ordained; it onlyprevails as a dominant pull or possibility,leaving room for other recessed alternatives.Resisting the dominant frame, someindividuals find themselves placed in the

7. Ibid., pp. 539-542. In another succinct formulation hestates (p. 566): “Modern science, along with the manyother facets described—the buffered identity, with itsdisciplines, modern individualism, with its reliance oninstrumental reason and action in secular time—makeup the immanent frame. . . . Science, modern indivi-dualism, instrumental reason, secular time, all seemproofs of the truth of immanence.”

cauldron of competing pulls—a cauldrongiving rise sometimes to the striving for aradical exodus, accomplished through a stark(Kierkegaardian) “leap of faith.” However,this personal experience of cross-pressuresdoes not call into question the basic structureof secular modernity. What his study is tryingto bring to the fore, Taylor concludes, is the“constitution of [secular] modernity” in termsof the emphasis on “‘closed’ or ‘horizontal’worlds” which leave little or no place for “the‘vertical’ or ‘transcendent’.”8

Without doubt, Taylor’s A Secular Age isan intellectual tour de force as well as aspirited defense of religious faith (seen asopenness to a transcendent realm). In an agesubmerged in the maelstrom of materialism,consumerism, and mindless self-indulgence,his book has the quality of a wake-up call, of astirring plea for transformation and“metanoia.” Nevertheless, even whileappreciating the cogency of this plea, thereader cannot quite escape the impression ofa certain one-dimensionality. Despiterepeated rejections of a “subtraction story”(treating modernity simply as a culture minusfaith), the overall account presented in thebook is one of diminution or impoverishment:leading from a holistic framework hospitableto transcendence to an “immanent frame”hostile to it. Surely, this is not the only storythat can be told—and probably not the mostpersuasive one. In Taylor’s presentation,

8. Ibid., pp. 543, 547-549, 555-556. Taylor’s discussionof the different “frames” or “worlds” is often quite am-biguous—to the point of jeopardizing the distinction i-tself. Thus, with regard to naturalism we read at onepoint (p. 548): “Belonging to the earth, the sense ofour dark genesis, can also be part of Christian faith, butonly when it has broken with certain features of theimmanent frame, especially the distinction natu-re/supernature.”

Page 81: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

81

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

immanence and transcendence, this worldand the world “beyond,” seem to beimmutable binary categories exempt fromchange. Clearly, there is the possibility ofanother (more compelling) narrative: a storywhere immanence and transcendence, thehuman and the divine, encounter each otherin ever new ways, leading to profoundtransformations on both (or all) sides.Curiously, Taylor’s own earlier writings hadbeen leaning more in that direction. One ofhis best-known earlier works, Sources of theSelf, narrated the development of humanselfhood from antiquity to modernity in anuanced manner not reducible to a slide fromporousness to buffered closure. Very little ofthis story remains in A Secular Age. In asimilar manner, the “ethics of authenticity”(highlighted in one of his earlier books) nowseems the be just another synonym formodern buffering and self-sufficiency. Eventhe move toward personal religiosity—celebrated earlier in the case of WilliamJames—now seems to be relegated to amarginal gloss on the “immanent frame.”Hardly an echo seems to be left of the “thanksto Voltaric and others”—extended in his“Marianist Lecture”—for “allowing us to livethe gospel in a purer way,” free of the “oftenbloody forcing of conscience” markingprevious centuries.9

As it seems to me, one of the morecurious and troubling aspects of the book isthe determined privileging of the “vertical” or“transcendent” dimension over the lateral or

9. See Taylor, A Catholic Modernity?, ed. James L. Heft,S. M. (New York: Oxford University Press, 1999), pp.16-19. Compare also his Sources of the Self: The Ma-king of the Modern Identity (Cambridge, MA: HarvardUniversity Press, 1989), and The Ethics of Authenticity(Cambridge, MA: Harvard University Press, 1992).

“horizontal worlds.” Even if one were to grantthe atrophy of transcendence, modernitystyled as a “secular age” surely has witnessedimportant “horizontal,” social-politicaldevelopments by no means alien to a religiousregister: the demolition of ancient castestructures, the struggles against imperialism,the emancipation of slaves, the steadyprocess of democratization promising equaltreatment for people without regard forgender, race, and religion. Strangely, in a bookseeking to distill the essence of Westernmodernity, these and similar developmentsoccupy a minor or shadowy place, beingeclipsed by the accent on verticality (heavilyindebted to certain monotheistic creeds). Theaccent is all the more surprising in the contextof a largely Christian narrative, given thetraditional linkage of that faith withembodiment and “incarnation.”10 Thedowngrading or relative dismissal of thehorizontal has clear repercussions with regardto “humanism” and the divine-humanrelationship. The conception of an “exclusivehumanism” seems to leave ample room for amore open and non-exclusive type. Yet,despite an occasional acknowledgment of thepossibility of non-exclusiveness, the point isnot further developed or explored. Equallybypassed or sidelined is the possibility of asymbiosis of the divine, the human, and“nature”—a triadic structure requiringresolute openness on all sides. At one point,Taylor ponders the deleterious impact of a

10. At one point, Taylor complains that we have moved“from an era in which religious life was more ‘embo-died’, where the presence of the sacred could be enac-ted in ritual . . . into one which is more ‘in the mind’.”As a corollary of this move, “official Christianity has go-ne through what we can call an ‘excarnation’, a transferof embodied, ‘enfleshed’ forms of religious life, to tho-se which are more ‘in the head’.” See A Secular Age, p.554.

Page 82: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

82

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

certain “non-religious anti-humanism”(associated mainly with Nietzsche and hisfollowers). However, his own privileging ofverticality conjures up the specter of aradically religious anti-humanism—a specterbound to be disturbing in the context of thecurrent vague of fundamentalist rhetoric.11

The Rhythm of Being

To some extent, the precedingparagraph can serve as gateway to the workof Raimon Panikkar, the renowned Spanish-Indian philosopher and sage (who passedaway on August 26, 2010). Among manyother intellectual initiatives, Panikkar isknown for his endorsement of a triadicstructure of Being—the so-called“cosmotheandric” conception—in which God(or the divine), human beings, and nature (orcosmos) are linked in indissoluble correlationor symbiosis. Seen from the angle of thisconception, the radical separation oropposition between transcendence and an“immanent frame” seems far-fetched if notsimply unintelligible. It is fairly clear thatPanikkar could not or would not have writtena book titled A Secular Age with a focus onimmanentization. For one thing, the twoterms of the title for him are synonymous—seeing that “age” is equivalent to the Latin“saeculum.” More importantly, the divine (or

11. Ibid., p. 19. In his stress on verticality, Taylor seemsto have been influenced by a certain “transcendenta-list” strand in French postmodernism, manifest espe-cially in the writings of the later Jacques Derrida (underthe influence of Emmanuel Levinas and his notion ofthe radically “Other”). For a different, more “open”conception of humanism compare, e.g., Jacques Mari-tain, Integral Humanism: Temporal and Spiritual Pro-blems of a New Christendom, trans. Joseph W. Evans(Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press,1973); and Martin Heidegger, “Letter on Humanism,” inDavid F. Krell, ed., Martin Heidegger: Basic Writings(New York: Harper & Row, 1977), pp. 189-242.

transcendent) in Panikkar’s view cannot bedivorced from the temporal (or “secular”)without jeopardizing or destroying theintimate divine-human relation and therebythe mentioned triadic structure. Thedistinctive and unconventional meaning ofsecularism or secularity is manifest in anumber of his early writings which remainimportant in the present context. Thus, hisbook Worship and Secular Man (of 1973) putforward this provocative thesis: “Only worshipcan prevent secularization from becominginhuman, and only secularization can saveworship from being meaningless.” To whichhe added this equally startling comment:“Now, what is emerging in our days, and whatmay be a ‘hapax phenomenon’, a uniqueoccurrence in the history of humankind, is—paradoxically—not secularism, but the sacredquality of secularism.”12

Panikkar has never abandoned thisprovocative thesis; it still pervades powerfullyhis later writings, including The Rhythm ofBeing. As he notes in the Preface to that book(written on Pentecost 2009), the original titleof his Gifford Lectures was “The Dwelling ofthe Divine in the Contemporary World”—aphrase surely not far removed from thenotion of sacred secularity. Although forvarious reasons the original title was changed,the “leading thread” of the book—he adds—“continues to be the same.” Whatcharacterizes this “leading thread,” despitetextual revisions, is the idea of a radical“relationality” or “relativity” involving the

12. Raimon Panikkar, Worship and Secular Man (Mar-yknoll, NY: Orbis Books, 1973), pp. 1-2, 10-13. Compa-re also the chapter “Rethinking Secularism—WithRaimon Panikkar,” in my Dialogue Among Civilizations:Some Exemplary Voices (New York: Palgrave Macmillan2002), pp. 185-200.

Page 83: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

83

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

three basic dimensions of reality: cosmos(nature), human beings, and God (or thedivine)—where each of these dimensions isseen not as a static essence but as an activeand dynamic participant in the ongoingtransformation of reality or “Being.” AsPanikkar states, what he intends to convey inhis book is a new sense of “creatio continua”in which each one of us, in St. Bonaventure’sphrase, is a “co-creator.” A crucial feature ofthe intended relationality is the close linkagebetween the “temporal” and the “eternal,” orbetween time and Being. “Time,” we read, “isnot an accident to life, or to Being . . . Eachexistence is tempiternal . . . and with thisobservation we have already reached ourtopic of the ‘Rhythm of Being’, which is everold and ever new.” Instead of bogging downin irremediable ruptures and dichotomies, thisrhythm proceeds in the modility of mediation(utrum, both, as well as) and thus in “theadvaitic language.”13

Along with other ruptures anddichotomies, The Rhythm of Being alsorefuses to accept the split between the“vertical” and “horizontal” dimensions ofreality. In fact, despite its basicallyphilosophical and meditative character, thebook elaborates more explicitly on present-day social-political ills than does the Canadianpolitical thinker. For Panikkar, dealing withthe “rhythm of Being” cannot be a mode ofescapism but involves a struggle about “thevery meaning” of life and reality—a strugglewhich has to be attentive to all dimensions ofreality, even the least appealing. “In a worldof crisis, upheaval, and injustice,” he asks,“can we disdainfully distance ourselves from

13. Panikkar, The Rhythm of Being: The Gifford Lectures(Maryknoll, NY: Orbis Books 2010), pp. xxvi-xxx, xxxii.

the plight of the immense majority of thepeoples of the world and dedicate ourselvesto ‘speculative’ and/or ‘theoretical’ issues?Do we not thereby fall prey to the powers ofthe status quo?” In language which becomesever more urgent and pleading, he continues:

Can we really do “business as usual” in aworld in which half of our fellow-beingssuffer from man-made causes? Is ourtheory not already flawed by the praxisfrom which it proceeds? Are we notpuppets in the hands of an oppressivesystem, lackeys to the powers that be,hypocrites who succumb to the allureand flattery of money, prestige, andhonors? Is it not escapism to talk aboutthe Trinity while the world falls to piecesand its people suffer all around us? . . .Have we seen the constant terror underwhich the “natives” and the “poor” areforced to live? What do we really knowabout the hundreds of thousands killed,starved, tortured, and desapericidos, orabout the millions of displaced andhomeless people who have become thestatistical commonplace of the massmedia?14

For Panikkar, we cannot remainbystanders in the affairs of the world, buthave to become involved—without engagingin mindless or self-promoting activism. In adisjointed and disoriented world, what isneeded above all is a genuine search for thetruth of Being and the meaning of life—whichbasically involves a search for justice and the

14. Ibid., pp. 3-4. As he adds somberly (p. 4): “Today’spowers, though more anonymous and more diffused,are quite as cruel and terrible as the worst monsters ofhistory. What good is a merely intellectual denuncia-tion in countries where we can say anything we like be-cause it is bound to remain ineffectual. . . . There islittle risk in denouncing provided we do not move a fin-ger.”

Page 84: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

84

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

“good life” (or the goodness of life). “We areall co-responsible for the state of the world,”Panikkar affirms. In the case of intellectuals orphilosophers, this responsibility entails thatthey “ought to be incarnated in their owntimes and have an exemplary function,” whichin turn means the obligation “to search fortruth (something that has saving power) andnot to chase after irrelevant verities.”Genuine search truth or life, however,proceeds from a lack or a perceived needwhich provides the compelling motivation forthe quest: “Without this thirst for ‘livingwaters’,” Panikkar writes, “there is no humanlife, no dynamism, no change. Thirst comesfrom lack of water.” On this level, we are notdealing with epistemological, logical, or purelyacademic questions. Quest for life and itstruth derives ultimately from “our existentialthirst for the reign of justice,” not from apassing interest or curiosity: “We are dealingwith something that is more than an academicchallenge. It is a spiritual endeavor to live thelife that has been given us.”15

The quest for life and its meaning, inPanikkar’s presentation, is not simply ahuman initiative or an individual “project” (inSartre’s sense); nor is it an external destiny ora fate imposed from on high. The reason isthat, in the pursuit of the quest, the humanseeker is steadily transformed, just as the goalof the search is constantly reformulated orrefined. This is where Panikkar’s “holistic” ornon-dualistic approach comes into play, hisnotion of a constantly evolving and interacting

15. Ibid., pp. 4-5. In this context, Panikkar offers somevery instructive asides (p. 5): “Now the foremost wayto communicate life is to live it; but this life is neitheran exclusively public domain, nor merely private pro-perty. Neither withdrawing from the world nor su-bmerging ourselves in it is the responsible humanattitude.”

triadic structure. As he writes: “I would like tohelp awaken the dignity and responsibility ofthe individual by providing a holistic vision,”and this can only happen if, in addition to ourhuman freedom, we remain attentive to the“freedom of Being on which our human andcosmic dignity is grounded.” From a holisticangle, the different elements of reality are notisolated fragments but interrelated partnersin a symphony or symbiosis where they areneither identical nor divorced. “Each entity,”Panikkar states, “is not just a part, but animage or icon of the Whole, or minimal andimperfect as that image may be.” Holism thusstands opposed to the Cartesian dualistic(subject/object) epistemology, withoutsubscribing to a dialectical synthesis wheredifferences are “sublated” in a universal(Hegelian) system. Importantly, holism doesnot and cannot equal “totalism” or“totalitarianism” because no one can have agrasp or overview of the totality or the“Whole.” “No single person,” we read, “canreasonably claim to master a global point ofdeparture. No individual exhausts the totalityof possible approaches to the real.” ForPanikkar, the most adequate idiom in whichto articulate such holism is the Indianlanguage of Advaita Vedanta: “Advaita offersthe adequate approach . . . [because it] entailsa cordial order of intelligibility, of anintellectus that does not proceeddialectically.” Different from rationalisticdemonstration, the advaitic order is“intrinsically pluralistic.”16

16. Ibid., pp. 6-7, 17, 23-24. As he adds (p. 24): Onemust “constantly be on guard against one of the mostinsidious dangers that bedevils such endeavors: the to-talitarian temptation. My attempt is holistic, not glo-bal; I am no offering a system.”

Page 85: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

85

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

By overcoming Cartesian epistemology,advaitic holism inaugurates a close relationbetween human mind and reality, or (indifferent language) between “thinking” and“Being.” In this relation, thought not onlythinks about Being (as an external object), butBeing penetrates thinking as its animatingground. As Panikkar states pointedly: “Theunderlying problem is that of thinking andBeing.” What is conjured up by this problem isthe Vedantic conception of “atman-braham”or else the Thomistic formula “animaquodammodo omnia.” Another, more generalidiom is that of ontology. In Panikkar’s words:“The consecrated word for what we werepondering about the Whole is precisely‘Being”—and we shall not avoid this word anylonger.” At this point, the text offers apassage which is not only evocative of, butdirectly congruent with Heideggerianformulations. “Thinking ‘thinks Being’,” weread. “Being begets thinking; one might evenrisk saying: Being ‘beings thinking’” (in linewith Heidegger’s phrase that Being “callsforth” thinking). “Thinking is such only,” thepassage continues, “if it is permeated byBeing. Thinking is an activity of Being. Beingthinks; otherwise thinking would be nothing.”This does not mean, of course, that humanthinking can ever exhaust Being—whichwould result in “totalism” or totalization.Rather, thinking and Being are responsive toeach other in a rhythmic “complementarity”or a spirited embrace:

The vision of the concrete in the Wholeand the Whole in the concrete is, in fact,another way of saying that therelationship is rhythmic. Rhythm is not an‘eternal return’ in a static repetition . . .[but] rather the vital circle in the dancebetween the concrete and the Whole inwhich the concrete takes an era-new

form of the Whole.17

For human beings, participation in thisdance means not only light-heartedentertainment, but involvement in atransformative struggle to overcomeselfishness or possessive self-centeredness.Panikkar speaks in this context of a“purification of the heart” which is needed inorder to join the dance. He quotes at thispoint the words of Hugo of St. Victor: “Theway to ascend to God is to descend intooneself”; and also the parallel statement byRichard of St. Victor: “Let man ascend throughhimself above himself.” What is involved hereis not merely an epistemic principle, nor apurely deontological duty, but “an ontologicalrequirement.” As Panikkar stresses, the issuehere is not esoteric nor a private whim butsimply this: that we shall not discover our realsituation, collectively as well as individually,“if our hearts are not pure, if our lives are notin harmony within ourselves, with oursurroundings, and ultimately with theuniverse [Being] at large.” The text here addsa passage that can serve as the passkey toPanikkar’s entire vision: “Only when the heartis pure are we in harmony with the real, intune with reality, able to hear its voice, detectits dynamism, and truly ‘speak’ its truth,having become adequate to the movement ofBeing, the Rhythm of Being.” The passagerefers to the Chinese Chung Yung (in EzraPound’s translation) saying: “Only the most

17. Ibid., pp. 22, 32-33. As the text adds a bit later (p.51): “Being is not a thing. There is nothing ‘outside’Being. Hence, the Rhythm of Being can only expressthe rhythm that Being itself is.” For Heidegger’s formu-lations see his “Letter on Humanism,” in David F. Koell,ed., Martin Heidegger: Basic Writings (New York: Har-per & Row, 1977), esp. pp. 235-236; and What is CalledThinking? [rather: What Calls for Thinking?], trans.Fred D. Wieck and J. Gleen Gray (New York: Harper &Row, 1968).

Page 86: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

86

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

absolute sincerity under heaven can effectany change,” and adds: “The spiritual mastersof every age agree that only when the watersof our spirit are tranquil can they reflectreality without deforming it.”18

What becomes clear in this context isthat some of Panikkar’s key notions—like the“cosmotheandric” vision or “sacredsecularity”—are not simply neutral-descriptive devices but are imbued with adynamic, transformative potency. As oneshould note, however—and this is crucial—hisnotions do not reflect a bland optimism ortrust in a “better future,” but are based on“hope”: which is a hope “of the invisible,” ahope for a promised possibility. With regardto “sacred secularity,” this possibility is not anempty pipe dream but is supported by a novelphenomenon (a novum) in our time: “Thisnovum does not take refuge in the highest byneglecting the lowest; it does not make aseparation by favoring the spiritual andignoring the material; it does not search outeternity at the expense of temporality.”Differently phrased: the novum consists in agrowing attentiveness to holism in lieu of thecustomary polarities (of this world and theother world, the inner and the outer, thesecular and the divine). A still further way toexpress the novum is the growing awarenessof the “Rhythm of Being” and the growingwillingness to participate in that rhythm.What is becoming manifest, we read, is that“we all participate in Rhythm,” and that“Rhythm is another name for Being and Beingis Trinity.” The last formulation refers again tothe triadic or “cosmotheandric” structure ofreality. For, Panikkar states, “rhythm isintrinsically connected with any activity of the

18. Ibid., pp. 34-35.

gods, men, and nature.” In more traditionallanguage, one might say that rhythm is “thecosmotheandric order of the universe, theperichoresis (circuminsessio, mutual in-dwelling) of the radical Trinity.”19

As in the case of Taylor’s A Secular Age,it cannot be my aim here to submit Panikkar’sentire volume to reflective review andscrutiny. A few additional points must suffice.One point concerns the traditional conceptionof monotheism. The notion of“perichoresis”—coupled with the accent onthe “meta-transcendental” status of Being—does not seem to accord well withmonotheistic “transcendence.” In fact,Panikkar’s text subjects the conception tostrong critique. As he writes at one point: “Isuspect that the days of unqualified theismsare not going to be bright.” What troublesPanikkar, apart from philosophical consi-derations, is the implicit connection ofmonotheism with a heteronomous commandstructure (“God, King, President, Police”).“The titles of King and Lord,” we read, “fit themonotheistic God quite well, and conversely,the human king could easily be therepresentative of God, and his retinue a copyof the heavenly hierarchies.” This is the gist of“political theology” (so-called). To be sure,traditional hierarchies no longer prevail—despite recurrent attempts at constructing“theocracies.” What is required in the context

19. Ibid., pp. 10, 36, 38-39, 42. Somewhat later (p. 52)the text adds: “Rhythm is a meta-transcendental qua-lity—that is, a property that belongs to every being asBeing. Rhythm adds nothing to Being, but only expres-ses a property of Being qua Being. If truth is conside-red a transcendental because it expresses Being asintelligible, that is, in relation to the intellect, rhythmbelongs to Being considered not in relation to theintelligence or the will, but in relation to its totality [orWhole].” This view is said to be also in accord with“the advaitic vision of the Rhythm of Being.”

Page 87: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

87

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

of modern democracy is a radical rethinkingof the monotheistic command structure. InPanikkar’s words: “Regardless of certain formsof fundamentalism, both Christianity andJudaism clearly show that human freedomand love of neighbor belong to the kernel oftheir message.” This means that any“revealed” monotheism must ultimatelyacknowledge its intrinsic reference to its“human reception” (and hence to“circuminsessio”). Differently phrased: Divinerevelation “has to fall on human grounds inorder to be a belief for humans.” This belief is“a human experience, humanly interpreted,and humanly received into the collectiveconsciousness of a culture at a given time.”Summarizing his view, Panikkar writes:

My position . . . is neither naivelyiconoclastic nor satisfied with a reformedmonotheism. It recognizes the validinsight of belief in God, but at the sametime it acknowledges that God is not theonly symbol for that third dimension wecall the Divine, and it attempts to deepenthe human experience of the Divine byformulating it more convincingly for ourtimes.20

In a central chapter of the book, titled“The Dwelling of the Divine” (capturing theoriginally intended title of the GiffordLectures), Panikkar returns to the centralmeaning of the triadic structure understood

20. Ibid., pp. 110, 128, 133-135. In an intriguing aside headds (p. 135): “The hypothesis I would advance is thatWestern, mainly Christian and later Muslim mono-theism, is a blend of biblical monotheism and the Hel-lenic mind represented mainly by Plotinus . . . NeitherPlato nor Aristotle . . . was a strict monothist.” For acritique of (imperial-style) political theology see thechapter “The Secular and the Sacred: Whither PoliticalTheology?,” in my Integral Pluralism: Beyond CultureWars (Lexington, KY: University of Kentucky Press,2010) pp. 45-66.

as mutual in-dwelling. As he reaffirms, one-sided theisms “no longer seem to be able tosatisfy the most profound urges of thecontemporary sensibilities.” What is cominginto view instead is “perichoresis” seen asradical relationality where “everything ispermeated by everything else.” Seen fromthis angle, “man is ‘more’ than just anindividual being, the Divine ‘different’ from aSupreme Lord, and the world ‘other’ than rawmaterial to be plundered for utility or profit.”This view can be grasped neither in thelanguage of transcendence nor that ofimmanence, because “we cannot even think”one without the other. Thus, where does theDivine dwell? “I would say,” Panikkar states,“that the space of man is in God in much thesame way as the space of God is in man.”From this perspective, man and God are nottwo separable, independent substances:“There is no real two encompassing man andGod . . ., but they are not one either. Man andGod are neither one nor two.” This, again, isthe language of “adviatic intuition” (perhapsof Heideggerian “Unterschied”). Advaita, weare told here, does not simply mean“monism,” but rather “the overcoming ofdualistic dialectics by means of introducinglove [or wisdom] at the ultimate level ofreality.” Regarding the trinitarian structure,Panikkar takes pains to broaden theconception beyond traditional Christiantheology. Both “esoteric Judaism and esotericIslam,” he notes, are familiar with thethreefold structure of the Divine. Thus, Philoof Alexandria interpreted the vision ofAbraham and his three “visitors” in atrinitarian fashion. The Muslim mystic IbnArabi was even more explicit when he wrote:“My beloved is three/-three yet onlyone;/many things appear as three/which areno more than one.” And the Chinese Taoist

Page 88: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

88

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

Yang Hsuing explained the “great mystery” asconstituting simultaneously “the way ofHeaven, the way of Earth, and the way ofMan.”21

Toward the end of his book, Panikkarreturns to the relation of meditation andpraxis; of thinking and doing in atransformative process. As he writes: “Thetask of transforming the cosmos is notachieved by a merely passive attitude nor bysheer activism.” What is needed is a “synergy”in which human beings are seen neither asdesigning engineers nor as victims: “The worlddoes not ‘go’ independently from us. We arealso active factors in the destiny of thecosmos. Otherwise, discourse about thedignity of man, his ‘divinization’ or divinecharacter is an illusion.” Seen from an advaiticangle, “man” is a “microcosmos” and even a“microtheos.” Hence, human participation inthe rhythm of the cosmos means “a sharing inthe divine dimension” or what is sometimescalled “salvation history.” Participation in thisdynamism is indeed a striving for a “betterworld”—but a striving where the latter is“neither the dream of an earthly paradise nor[a retreat into] the inner self alone,” butrather a struggle for “a world with less hatredand more love, with less violence and morejustice.” Fro Panikkar, this struggle is urgentbecause the situation of our world today is“tragic” and “serious enough to call for radicalmeasures.” Ultimately, the struggle involves aquest for the “meaning of Life” which willnever be found through selfish exploits orviolent conquest, but only “in reaching thatfullness of Life to which [advaitic]contemplation is the way.” As Panikkar finally

21. The Rhythm of Being, pp. 171-172, 174, 179 216,230.

pleads: “Plenitude, happiness, creativity,freedom, well-being, achievement etc. shouldnot be given up but, on the contrary, shouldbe enhanced by this transformative passage”from man-made history to a triadicredemptive story.22

Concluding Comments

The passage just cited highlights animportant difference between Taylor andPanikkar. Basically, The Rhythm of Being is anaffirmation and celebration of “life” in itsdeeper advaitic meaning. Panikkar uses asequivalents the terms “plenitude, happiness,creativity, freedom, well-being”; anothercustomary term is “flourishing” (often used totranslate Aristotle’s endaimonia). At anotherpoint, he introduces the word “life” “at thelevel of Being, as a human experience of theWhole”; the term here means “not onlyanima, animal life, but physis, natura,prakriti” referring to “reality as a Whole.” Onthis issue, A Secular Age appears astonishingly(and unduly) dismissive. As Taylor notes in hisIntroduction, in modernity “we have movedfrom a world in which the place of fullnesswas understood as unproblemtically outsideor ‘beyond’ human life, to a conflicted age inwhich this construal is challenged by otherswhich place it . . . ‘within’ human life.” ForTaylor (as mentioned before), the basicquestion raised by the modern secular age is“whether people [still] recognize somethingbeyond or transcendent to their lives,” that is,whether their highest aim is “serving a goodwhich is beyond, in the sense of independent

22. Ibid., pp. 350-351, 359. As he asks dramatically (p.358): “Who or what will put a halt to the lethal courseof technocracy? More concretely: who will controlarmaments, polluting industries, cancerous consume-rism, and the like? Who will put an end to the unbri-dled tyranny of money?”

Page 89: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

89

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

of human flourishing” or involving “somethingother than human flourishing?” The trulybelieving or devout person is said to bemarked by readiness “to make a profoundinner break with the goals of flourishing intheir own case”; unwillingness to do so isclaimed to be the hallmark of “self-sufficienthumanism.” In sum: “A secular age is one inwhich the eclipse of all goals beyond humanflourish becomes conceivable.”23

Taylor’s comments here are puzzling—and also disturbing. They are disturbing in atime when many, presumably religious peopleare ready to throw away their lives in thehope of gaining quick access to the “beyond.”They are puzzling by jeopardizing the verymeaning of faith. For most believers, salvation(or “moksha”) signifies precisely the highestlevel of flourishing and the ultimatefulfillment of life. What, then, does it meanfor believers to seeks something “outside or‘beyond’ human life,” or something“transcendent to their lives”? Commonly, theantithesis of life is said to be death. Is God(the monotheistic God) then a God of deathor of the dead? Clearly, this cannot be thecase if we listen to Isaiah’s words: “The deadshall live, their bodies shall rise” (Isaiah26:19). It becomes even less plausible if werecall Jesus’s provocative saying: “Follow me,and leave the dead to bury their dead”(Matthew 8:22), or his admonition that “theFather raises the dead and gives them life”(John 5:21). As it happens, Taylor himselfwaivers on this point and has to resort toambivalent language. “There remains afundamental tension in Christianity,” hewrites. “Flourishing is good, neverthelessseeking it is not our ultimate goal. But even

23. Ibid., pp. 270-271; A Secular Age, pp. 15-17, 19.

when we renounce it, we re-affirm it.” And headds: “The injunction ‘Thy will be done’ is notequivalent to ‘Let humans flourish’, eventhough we know that God wills humanflourishing.”24

Rather than pursuing the contrastbetween the two thinkers, however, I want toemphasize here a commonality. Whilediffering in many ways, neither Taylor norPanikkar shows sympathy for theocracy or forany kind of religious triumphalism. Beingturned off by the megalomania and massivepower plays of our world, both thinkers aresensitive to new modes of religiosity—quiteoutside impressive spectacles and miraculousevents. As it seems to me, one of thedistinctive features of are age is not so muchthe “death of God” or the lack of faith, butrather the withdrawal and sheltering of thedivine in recessed, inconspicuous phenomenaof ordinary life. The Indian novelist ArundhatiRoy has caught this aspect in her book TheGod of Small Things. Inspired by the Indiantext, I tried to capture the sense of (what Icalled) “small wonder” in one of my earlierwritings. Here are some lines:

For too long, I fear, the divine has beenusurped and co-opted by powerful elitesfor there own purposes. . . . For too longin human history the divine has beennailed to the cross of worldly power.However, in recent times, there are signsthat the old alliance may be ending andthat religious faith may begin to liberateitself from the chains of worldlymanipulation. Exiting from the palacesand mansions of the powerful, faith—joined by philosophical wisdom—is

24. A Secular Age, pp. 17-18. In the same context, Ta-ylor makes some references to Buddhism—which, li-kewise, remain ambivalent and deeply contestable.

Page 90: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

90

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

beginning to take shelter ininconspicuous smallness, in thoserecesses of ordinary life unavailable toco-optation.25

The change in religious sensibility isvividly displayed in modern art, especially inmodern and contemporary painting. As weknow, in medieval art the presence of thedivine or the sacred was expressedsymbolically by a golden background and thehaloes surrounding sacred figures. Modern artcannot honestly, or without caricature,imitate or replicate this mode of expression.This does not mean that the sense ofsacredness has been lost or abandoned. As itseems to me, that sense resurfaces in lessobvious, more subdued ways: for example, inthe miniature paintings of Paul Klee or else ina still life by Paul Cezanne. Viewed from thisangle, modern secularism has a recessedmeaning which is actually the very reverse ofthe popular “secularization thesis” (meaningthe triumph of this-worldiness). he Frenchphilosopher Maurice Merleau-Ponty—astrong admirier of Cezanne—had a phrase forit: “the invisible of the visible.” Seen againstthis background, the relation between thetwo books reviewed here—A Secular Age andThe Rhythm of Being—acquires a newmeaning. Perhaps, one might conjecture, the“secular age,” as portrayed by Taylor,functioned and functions as wholesomeconduit, a clearing agent, to guide a moremature and sober humanity to theappreciation of the “rhythm of Being.” If thisis so (at least in approximation), then it maybe propitious to remember Hölderlin’s lines:

25. Fred Dallmayr, Small Wonder: Global Power and ItsDiscontents (Lanham, MD: Rowman & Littlefield,2005), p. 4. See also Arundhati Roy, The God of SmallThings (New York: Random House, 1997).

“But where there is danger, a saving gracealso grows.”26

QUESTIONS to Fred Dallmayr

Q1): Professor Dallmayr, could youplease tell me which is, in your opinion, thebest translation of the vedantic term“advaita”, which is at the basis of Panikkar’sphilosophy: “non-duality” or “a-duality”?Perhaps the meaning is the same?

Q2): Vorrei dare un piccolo contributoconsapevole che mi pongo nell’ottica del e/e ,come dire, un’altra finestra che si può aprirerispetto a quelle che stiamo ascoltando, ed èquesta: quando si parla dell’autonomia delsoggetto, questo soggetto occidentale chesembra nascere dal nulla e quando sisottolinea questo concetto dell’interdi-pendenza come condizione reale di tutti noi, ame sembra e questa è la mia finestra, che sipossa aggiungere un altro anello di questacatena e che è quello che ci riconduce allanegazione della nostra origine. Tutti nasciamoda madre, da corpo di madre. Questosoggetto occidentale che pretende invece dinascere dal nulla dimenticando la sua origineda corpo di madre e dunque comportandoconseguentemente questo “slegame” con lamadre terra, per cui la terra diventa unamacchina e non più un organismo che ci nutree ci consente te di vivere come un’ ennesima

26. This is a free translation of Hölderlin’s lines: “Woaber Gefahr ist, wächst das Rettende auch.” See Frie-drich Hölderlin, “Patmos,” in Poems and Fragments,trans. Michael Hamburger (Ann Arbor: University ofMichigan Press, 1966), pp. 462-463. Compare in thiscontext Maurice Merleau-Ponty, The Visible and the In-visible, Followed by Working Notes, ed. Claude Lefort,trans. Alphonso Lingis (Evanston, IL: NorthwesternUniversity Press, 1968); also his “Cezanne’s Doubt,” inSense and Non-Sense, trans. Hubert L. and Patricia A.Dreyfus (Evanston: IL: Northwestern University Press,1964), pp. 9-25.

Page 91: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

91

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

risorsa alla quale si è fatto riferimento fino adoggi in maniera indiscriminata, mi sembra chequesto contributo del pensiero femminile…(sono stata contenta di queste citazioni diun pensiero femminile che esiste e che èricchissimo ma che purtroppo sembracamminare su percorsi separati, anche questocredo volesse dire Panikkar quando richiamaall’importanza ed alla fecondità di unaintegrazione anche naturalmente nei luoghimaschili di questo pensiero e quindi andareanche fino in fondo… Quando si dice non èuno né due: ho pensato alla gravidanzaAll’esperienza della gravidanza in cui c’è unaltro essere che non è separato ma nemmenoè insieme, la stessa cosa della madre .Analizzare questa fenomenologia oppureancora analizzare quel rapporto che sappiamosolo definire con la parola dipendenza dellamadre che educa un bambino. Ma non è così ,perché una madre educa ad essere autonomie quindi una dipendenza che creaun’autonomia che dovrebbe crearerealizzazione di sé. Non esiste una parola initaliano che esprima quella particolare formadi dipendenza che non è solo dipendenza delbambino/a dalla madre. Poiché manca laparola significa che è un’impensabile dellanostra cultura, qualcosa che non si vuolevedere. (Maria Esther Mastrogiovanni)

Q3): Al Prof.Dallmayr chiederei ditornare sulla relazione Heidegger-Panikkar,che mi sembra molto interessante e chepotrebbe portare effettivamente anche adelle nuove piste da tracciare. In che senso,diceva prima, che non si può capire Panikkarin tutto o in parte, senza passare attraverso leesperienze di Heidegger? Questo è un temasecondo me molto importante perchéHeidegger è presente implicitamente oesplicitamente in molti grandi pensatori

contemporanei, morti da poco come Deriddao viventi come Nancy e che comunque hasegnato sia per i suoi detrattori che per i suoiestimatori un punto decisivo. (Prof. MarcelloGhilardi)

A1): I am not sure I can “answer” allyour questions. I just offer reflections onthem. Regarding “advaita”: It is very difficultto render the notion in a Western language.Sometimes it is translated as “non-duality”.The later Panikkar preferred “a-duality”. Non-duality might imply that there is no differenceat all. A-duality has the advantage of beingcloser to the Sanskrit “a-dvaita” which doesnot simply mean negation. But a-duality inEnglish also might suggest negation. Forexample, an a-theist is one who negatestheism. I have found it helpful to speak interms of “difference,” in the sense that“advaita” implies difference but notseparation or negation. “Difference” heresuggests a kind of relationship which is not aunity or synthesis, but also not a dichotomy orpolarity. Hence, neither unity nor duality.There are famous Indian schools ofphilosophy, all related to Vedanta (theinterpretation of the Vedas). There is AdvaitaVedanta associated with Shankara. But thereis also a Dvaita Vedanta associated withMadva Acharya; and there is a “modifiedAdvaita” associated with Ramanuja. Theseversions all deal with the relation betweenGod and humans, God and the world. So,“advaita” is hard to translate. One should justkeep in mind what it means: not sameness oridentity, but also not radical division. This iswhy I say it is similar to what Derrida called“différance”, or Heidegger “Unterschied.”

Just a few words also on “space”: thereis a misleading view that space means a

Page 92: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

92

Raimon Panikkar Session - Fred Dallmayr

“container”. Thus, one might think that weare in this room like in a container box. Thus,“space” might seem to be something outsideus or containing us. Here, it is good to comeback to Heidegger. When he says that humanDasein means “being-in-the-world”, he doesnot mean that we are in a container called“world”. Rather, world is constitutive of ourbeing as humans. Hence, in a sense, world isalso “inside” us. World here also means“space”. In the very first pages of Being andTime, there is a radical departure fromCartesian philosophy, the separation betweencogito and external world. This is also adeparture from the notion of “space” thatcontinues from Descartes to Kant. ForHeidegger, world and space are constitutiveof us. (Space in Sanskirt is akasha; Panikkaruses that term in the Heideggerian sense.)

A2): With regard to the question of the“mother”: I think the question of “mater” andthe “maternal” is crucial. And “maternal” isrelated to “material” and thus to “matter.”We know that Panikkar puts great emphasison “incarnation”, on the indwelling of spirit inmatter. In this sense, matter definitely“matters.” The maternal-material here is notsomething external or alien to us, butsomething that we are: we are also maternal.We are not only of paternal, but of maternalorigin. Clearly, this is a crucial feature of TheRhythm of Being: the maternal aspect. Beingis not a masculine concept. Panikkar links themasculine aspect to the idea of monotheismwhere the Father God dominates everything.In a provocative way, he compares theomnipotence of the Father God with the“leader”, the Duce, the “Führer” (maybeGeorge W. Bush etc.). So the maternalemphasis implies a rebellion against

machismo, against imperialism and globalhegemony.

A3): The question “Why Heidegger?” isquite appropriate. To be sure, one canapproach Panikkar in many different ways.You can approach him as a literary figure; youcan also approach him as a somewhat exoticreligious teacher, perhaps as a “guru”. But ifyou really want to understand him and graspwhat he says or writes, you have to follow histhought philosophically. And here, thephilosophy of Heidegger can serve as a goodgateway or entry wedge. One might perhapsalso use other thinkers, like Wittgenstein orPaul Tillich or Paul Ricoeur. But Panikkarhimself very often refers to Heidegger; ofcourse, he also reformulates, revises andrethinks the letter’s thought. A good exampleis the “rhythm of Being” which is evocative ofBeing and Time. Also the assertion that“Being thinks thinking” (or prompts thinkingto think). The statement sounds strange,perhaps even mystical. If one wishes, one canus it as a mantra or incantation. But if onereally wishes to understand it, the one mightwant to look at the place where Panikkarhimself looked. And this is one of Heidegger’stexts titled Was keisst Denken? The title isoften translated as “What is CalledThinking?”—a trite question. But actuallywhat the text wants to interrogate is this:What calls upon thinking? To what doesthinking respond? And this leads us toHeidegger’s suggestion that thinking respondsto Being which calls upon it to think. This issurely more than a mantra. (Unfortunatelytoday, many people shy away fromHeidegger’s work out of “politicalcorrectness”. In this respect, Panikkar wassurely not politically correct.

Page 93: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

93

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

Vi ringrazio prima di tutto per lapossibilità concessami di prendere parte aquesto evento, che l'Associazione Intercultu-rale ha saggiamente ed efficacementesollecitato e messo in opera, e poter cosìincontrare amici e continuare un dialogo cheha radici ormai lontane. Radici lontane —radici sulle quali ancora viviamo e poggiamo,per fortuna, nel senso che sono divenute unvissuto e una storia che abbiamo in partecondiviso.

In questo intervento1, dopo una brevepremessa, vorrei muovermi attorno a tredirettrici, che sono le seguenti: a) unaricomprensione esperienziale della filosofia;b) un oltrepassamento della idea dellafilosofia comparativa, nell'esercizio del“colligite fragmenta” e nel contempo nellascoperta del pluralismo della verità; c) la

* Raimon Panikkar, L'esperienza filosofica dell'India,Assisi, Cittadella, 2000, p. 21.1 Conservo qui il registro, e, con poche modifiche ealcune aggiunte e integrazioni, la struttura e la sequen-za dell'esposizione orale.

riscoperta della natura “interculturale” dialcune pratiche filosofiche (se non di tutte), eil richiamo alla pratica del dialogo dialogale,che ricomprendo e considero a partire dallapratica della “comunità di ricerca filosofica”.

Parlo ovviamente dando per acquisitauna lettura, se non un ascolto complesso ecritico dell'opera di Raimon Panikkar, che ci hadetto: «La filosofia interculturale appare comeuna epifania di speranza» 2.

Se così si può dire, affidiamoci a questaepifania, prendiamola sul serio, mettiamocianche in gioco nel cercare di comprendere diche opera si tratta e che cosa ci chiede, nontanto in termini di “fare”, e men che meno diquel fare che è semplice “teorizzare”, quantoin termini di un'opera, di una pratica,letteralmente, di una esperienza umanaintegrale, quindi nei termini di un essere, diun “esserci”.

2 Raimon Panikkar, Pace e interculturalità. Unariflessione filosofica, Milano, Jaca Book, 2001, p. 139.

LA FILOSOFIA “INTERCULTURALE”.Note e riflessioni

Fulvio C. Manara

L'epoca delle riforme ègià passata. Ora ci vuole

una trasformazione,una metamorfosi. (…)

realizzare in modo nuovol'esperienza umana *.

Fulvio C. Manara(video)

Page 94: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

94

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

Prendendo le mosse da un ascolto diPanikkar stesso, vorrei proporvi di ascoltareinsieme un brano di una intervista a Panikkar,l'unico che per ora appare nel sito ufficiale:l'intervista in cui egli ci suggerisce la ben nota“metafora della finestra”.

«Una delle metafore cui spesso ricorro èquella della finestra. Noi tutti vediamo ilmondo dal nostro particolare punto di vista:vediamo il mondo attraverso una finestra.Due osservazioni. Prima: più pulita è lafinestra meno vedo la finestra e il vetro epiù sono in sintonia e amo ciò che vedo. Ionon vedo la mia finestra: vedo attraverso lafinestra. Ho bisogno di qualcuno che midica: “vedi attraverso una finestra”, maallora anch'io posso dire: “anche tu vediattraverso una finestra” e allora possiamoscambiarci le nostre osservazioni.

Va bene. Abbiamo bisogno l'uno dell'altro.Ma c'è un'altra cosa circa la metafora dellafinestra. Io vedo attraverso la finestra e nonposso dire che non vedo ciò che vedoattraverso la mia finestra. Io non vedoattraverso la finestra del mio vicino, ma seamo il mio prossimo — il che penso non siamale — allora ascolterò la descrizione di ciòche egli vede, e dirò: io non vedo la stessacosa perché vedo attraverso la mia finestrama sento che tu mi dici che c'è dell'altro.Scopro allora due cose: che l'altro, il miovicino, non vede lo stesso mondo che vedoio. Ma scopro che anch'io non vedo tutto ilmondo perché a meno che lui sia pazzo e ioun fanatico, sento — e ricordiamo che sanPaolo dice che la fede viene dall'ascolto —sento l'altro che mi dice qualcosa sul mondoo sulla realtà che lui vede che io non so.Allora scopro che il mondo è molto più bellodi quanto pensassi. Credevo che la mia vistaabbracciasse tutto ma ora tu mi dici che c'è

dell'altro, che può piacermi o meno, ma cheè un arricchimento, una sfida. E quicomincia il dialogo intrareligioso: tu dici ciòche vedi, ciò che credi, ciò che sperimenti enello stesso tempo ascolti l'altro che tiracconta altre storie, altre credenze, altreesperienze. E così, dialoghiamo» 3.

In realtà, vorrei suggerirvi come inqueste parole non si comprende edesemplifica solo l'inizio del dialogo

3 «One of the metaphors I use is that we are all seeingthe world from our particular point of view. We see theworld through a window. And here I say two things:first, the more cleaner the window is, the less I see thewindow, and the glass, and the more I am in touch andin love with what I see. So, I don't see my window, I seethrough the window. And I need my fellow, who tellsme: Look here, you're looking through the window! Butthan I have to tell him: Sorry, you're looking toothrough the window! And then we compare notes...And in great part we see the same landscape, butperhaps we see different way also. And If I say, no no Idon't like to see that... All right... So, we need eachother. But there is another thing, about the matter ofthe window. I see through my window, and I cannot saythat I do not see what I see through my window. Idont's see through the window of my neighbour. But, ifI love my neighbour — which I think is not bad — then Iwill have to hear the description of what my neighboursee, and I would tell, Sorry, I don't see that, cause I seethrough my window, but I hear you telling mesomething else. Well. What do I discover? I discovertwo things: I discover that the other, my neighbour,doesn't see the same world as I see. But I would alsodiscover I don't see the whole world, because, unlesshe is a fool and I'm a fanatic, or I haven't heard him, Ihear — and you remember that Saint Paul says thatfaith comes from hearing — I hear the other telling mesomething about the world or reality about what he orshe sees through the window, that I don't. And thenwhat I say? Well, than the world is much nicer than Ithought! I thought I was seeing the whole film picture,and you are telling me there are other things as well.Well I don't like more, I like better, is enrichment, is achallenge. And here begins the interreligious dialogue.You say what you hear, you say what you believe, yousay your experience, and arrange in the same time tohear the other telling other narratives, other believes,other experiences. And than, we dialogue». RaimonPanikkar, Estratto di una intervista visibile inhttp://www.raimon-panikkar.org/italiano/filmati.html.

Page 95: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

95

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

intrareligioso/interreligioso, o di qualsiasidialogo inter/intra-umano. Con queste parolesi mostra altrettanto bene come cominciaanche la ricerca filosofica stessa. E, in ultimaanalisi, sosterrei che la filosofia, se praticata inquesto senso, è essa stessa intrinsecamenteinterculturale (o inter-intra-culturale)

Una ricomprensione della filosofia

Non penso sia utile interrogarsi tanto sulrapporto tra la filosofia interculturale el'ecosofia, prese come se fossero due realtàdistinguibili.

Pensando a queste questioni in questigiorni mi è venuto in mente un neologismo.Direi che potremmo comprendere di che cosasi parla se utilizziamo la parola (anzi, tre), cheinvento, “econoia”, “econoesis”, “econoeti-ca”.

Raimon Panikkar spesso ci ha condotto ariflettere sulla connessione intima tral'esperienza della filosofia e la metanoia.Suggerirei di non dimenticare che questametanoia non consiste univocamente in un“oltrepassamento” del “nous”. Deve infatticontemporaneamente consistere in un“trascendimento” nel senso dell'andare-al-di-là e in un “trascendimento” nel senso dello“scendere tra” — tra-scendere 4. Spessoabbiamo parlato di un “attraversamento” dellogos: qui proporrei, in aggiunta, questoesercizio del pensare come un “abitare” ilnous (o lasciare che il nous ci attraversi, che èlo stesso). Ecco quindi l'espressione“econoia”, sorella gemella e advaiticamente

4 E questo, evidentemente, complica il nostrointendere, perché mostra che esso inevitabilmente èanche un fra-intendere.

inseparabile dalla espressione “metanoia”.

La filosofia “interculturale”, se qualcosadi corrispondente a questa espressione si puòdare, potrebbe essere intesa proprio comequesta stessa pratica advaitica. La filosofiastessa in sé e per sé, potrebbe essere questapratica radicale.

Da questo punto di vista, si può dire cheessa è ancora tutta da comprendere. E nonpenso dobbiamo illuderci che si possarealizzare. Spesso nei suoi scritti Panikkar cisuggerisce che non possiamo pensare ad una“transculturalità” 5. Ci è richiesto piuttosto diimparare ad abitare altrimenti le culture (lenostre e le altre), la nostra dimensioneculturale in modo nuovo, trasformando ilnostro vivere la cultura. La filosofia“interculturale” è una attività paradossale,come qualcosa che si deve imparare sempreda capo. È noto che Panikkar inventa e spessorichiama, per definirla, l'espressione “filosofiaimparativa” 6. Una vera e propria epermanente “dinamica del provvisorio” 7.

5 «Nessuno può scavalcare la propria ombra. Non c'èuna prospettiva umana a 360 gradi, e possiamorenderci conto che vediamo il mondo dalla nostrafinestra e che proprio il relativizzare i nostri punti divista costituisce la via per poter accogliere i racconti dicoloro che guardano il mondo da altre finestre», R.Panikkar, L'esperienza..., cit., p. 41.6 Ivi, p. 66.7 Una pratica semplicemente comparativa, affermasempre Panikkar, incappa in un circolo ermeneutico“vizioso” dal quale si può uscire se non con un dialogodialogale, cfr. ivi, pp.65-66. Sul tema “filosofiainterculturale” tra filosofia comparata e altre nuovedirezioni proposte, in questi ultimi anni, si possonovedere anche: Fritz G. Wallner – Florian Schmidsberger– Franz Martin Wimmer, Intercultural Philosophy. NewAspects and Methods, Peter Lang, 2010; A.Campodonico – M. S. Vaccarezza, Gli altri in noi.Filosofia dell'interculturalità, Rubbettino, Soveria-Mannelli, 2009; Per una filosofia interculturale, a c. di

Page 96: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

96

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

Nella nostra tradizione occidentale,spesso la filosofia ingenuamente ha pensatodi poter realizzare in qualche modo un“prodotto” schiettamente transculturale, hapensato quindi di poter definire, di poteridentificare un orizzonte che uscisse, comedire, dalla dimensione culturale e relativa eattingesse all'universale, all'assoluto, e lopotesse sistematizzare, lo potesse anchedominare, controllare. Una ingenuità: nonpuò esistere una transculturalità, quindi unafilosofia “transculturale”. «Non c'è», dicePanikkar, «una terra di nessuno in questaterra di tutti» 8.

L'auspicio allora può essere che inquesta “terra di tutti” possiamo riscoprire unapratica forse antica quanto l'essere umanostesso ma non sempre portata alla coscienzaed alla consapevolezza. Il mio intento è quellodi riflettere sulla pratica, sulle pratiche,perché penso che non sia tanto il contenuto ilproblema della filosofia interculturale, quantoil processo, che dobbiamo incominciare acomprendere. Ciò dipende, ovviamente, dauna ricomprensione della filosofia.

Abbiamo scoperto in effetti che

G. Pasqualotto, Mimesis, Milano, 2008; Vie perun'estetica interculturale, a cura di M. Ghilardi,Mimesis, Milano, 2008; Raoul Fornet-Betancourt,Trasformazione interculturale della filosofia,Dehoniana- Pardes Edizioni, Bologna, 2006; GiangiorgioPasqualotto, East & West. Identità e dialogointerculturale, Marsilio, Venezia, 2003; Ram Adhar Mall,Intercultural Philosophy, Rowman & Littlefield Pub.,Lanham-Boulder-NewYork- Boston, 2000; AngeloCampodonico, Etica della ragione. La filosofiadell'uomo tra nichilismo e confronto interculturale, JacaBook, Milano, 2000. Si tenga presente inoltre la rivistaInterCulture, versione italiana della pubblicazionedell'Istituto Interculturale di Montreal, edita da CittàAperta.8 R. Panikkar, L'esperienza filosofica..., cit., p. 10.

neanche la ragione è transculturale. Ciripetiamo, quasi ossessivamente, che non èpossibile trascendere i punti di vista, e trovareun punto di vista di tutti i punti di vista, o ilsistema dei sistemi, come pensava Hegel. Mala pratica filosofica, intesa nella sua nudaessenzialità, può essere forse scoperta (oriscoperta) come un invariante culturale?

In un testo di Panikkar che è laPrefazione all'opera L'esperienza filosoficadell'India, che lui intitola “Karma-gnosis” 9, ciprovoca a cogliere questa relazione advaitatra due prospettive, quella pratica, chesarebbe identificata dall'espressione “karma”,e quella teoretica, che sarebbe identificatanell'espressione “gnosis”.

In questo testo viene ripreso l'etimodella parola “filosofia”, perché questa parolanon ha un etimo univoco e monistico, mentrenella nostra tradizione abbiamo ricordato etramandato, in grande prevalenza, solo unodei significati dell'etimo della parola“filosofia”, che è invece parola non solocomposta, ma complessa, plurale, o almenoduale. Normalmente, per tradizione, diciamotutti che la filosofia è “l'amore dellasapienza”: così facendo in realtà ci muoviamoin una direzione esattamente opposta rispettoa quello che avviene per altri termini analoghi,come ad esempio “biologia”, che vuol dire“discorso sul bios”. Quando diciamo“filosofia” dovremmo intendere piuttosto“saggezza dell'amore”, che è l'etimo“dimenticato” (e ripreso oggi nel mondo dellepratiche filosofiche) 10.

9 R. Panikkar, L'esperienza..., cit. pp. 9-22.10 A proposito, tra altri autori che hanno sottolineato

Page 97: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

97

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

«Con filosofia intendo ciò che dovremoancora dire, infatti probabilmente nonabbiamo un altro e migliore nome inOccidente per esprimere non solo l'amoreverso la sapienza, ma pure la sapienzadell'amore e quella attività mediante cuil'uomo cerca di dare senso alla propria vitae all'intero universo» 11.

In realtà nella tradizione filosoficaoccidentale questa maniera di intendere lafilosofia è ben presente, anche setendenzialmente marginalizzata o ancherimossa. Si pensi ad esempio al testoceleberrimo della Lettera VII di Platone, in cuisi legge:

«Non è, questa mia, una scienza come lealtre: essa non si può in alcun modocomunicare, ma come fiamma s'accende dafuoco che balza; nasce d'improvvisonell'anima dopo un lungo periodo didiscussioni sull'argomento e una vita vissutain comune» 12.

Questa “scienza” non nasce solo dallavorare faticosamente sullo scontro deiconcetti, in un dialogo dialettico, ma esige ilvivere insieme e insieme “esercitare” dialogoe pensiero, 13. È determinante anche quel

la “riscoperta” di questo “etimo dimenticato” nel corsodel novecento (Lanza del Vasto, Levinas, ecc.), il rinviod'obbligo è ora a Luce Irigaray, La via dell'amore,Torino, Bollati Boringhieri, 2008: passim, ma si v.soprattutto l'Introduzione, pp. 7-14.11 R. Panikkar, L'esperienza..., cit. p. 17.12 Platone, Lettera VII, 341c-d, in Opere complete, vol.VIII, Bari, Laterza, 1984, p. 44. Corsivo mio, ovviamente.13 A proposito della presenza “originaria” in Socrate diun atteggiamento simile, centrato sul “mettere allaprova” il logos (manthanein ta legomena, o exetazeinton logon), che è tutt'altro rispetto al fare «dellaconoscenza e del possesso assoluto della verità la metadella critica e dell'uso della ragione» si v. il bel saggio diGabriele Giannantoni, Socrate, Roma, Istituto dellaEnciclopedia Italiana, 1993, in part. Il cap. VI, pp. 62-63

“suzen” spesso dimenticato, quel “vivereinsieme” e dal praticare insieme nella vita lepratiche dialogiche, da cui scaturisce unasaggezza, da cui scaturisce una comprensionedi sé e dell'altro, del mondo.

Anche quando si menziona e si enfatizzail sumphilosophein, non sempre vienedebitamente tenuto conto di questadimensione di integrale esperienza di vitacomune e quindi di costituzione di “comunità”come condizione determinante (e complessa)della pratica filosofica stessa, la quale vienequasi sempre intesa come un “confilosofare”,ma pensato (e agito) come semplice praticaparticolare della dialettica del gioco sulle idee,sul mondo puramente centrato sull'oggetto sucui si parla 14.

Nella intervista che abbiamo sentito, laraccomandazione panikkariana, in un inciso, èmolto significativa, quando, a propositodell'amore dell'altro, soggiunge “penso chenon sia poi una cosa malvagia”. Direi di più: èla condizione costitutiva dell'esperienza dellacomunità filosofica.

E Panikkar stesso mostra che si tratta diuna trasformazione, quando dice che il sapereè più del conoscere e il conoscere è più checalcolare 15. Questo sapere, che nasce dallapratica della relazione, della relazioneamicale, della relazione amorosa, da uncontagio amoroso, questa sapienza che nascein questo modo consiste in un “assaporare”:

e 66.14 Si v. ad esempio Enrico Berti, Sumphilosophein. Lavita nell'accademia di Platone, Laterza, Bari, 2010, inpart. alle pp. VII-IX, dove si vede appunto che dal suzen,pur esplicitamente richiamato, l'accento si spostasubito sulla prospettiva tradizionale.15 Cfr. R. Panikkar, L'esperienza..., cit., p. 13.

Page 98: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

98

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

questo “contagio” è esso stesso una nuovaforma dell'amore.

La conoscenza autentica, in questosenso, è un continuo nascere 16, ed è evidentela connessione interessantissima e profondacon l'idea di Maria Zambrano del “desnacer”.Voi sapete che uno dei maestri di MariaZambrano, Xavier Zubiri, è anche venuto indiretto e stretto contatto con RaimonPanikkar. In ogni caso, un “desnacer”, un“disnascere” che non è un nuovo nascere, ilquale sarebbe impossibile, perché non sinasce una seconda volta, ma è un rimettere almondo il mondo che noi stessi siamo, e di cuisiamo parte costitutiva, con un'opera ed unprocesso continui.

«Il mondo del pensiero non cessa diappartenere alla vita», il «luogo in cui si nascee si disnasce (…) è il più proprio al pensierofilosofico» 17, scrive la Zambrano, e:

«Tutto il vissuto, la vita intera, sarebbe unsemplice passare senza rinascere, e, senzarinascere, niente è del tutto vivo. Tornare avedere nuovamente le cose e gli esseri,afferrati sempre a metà dall'intelletto, ocaptati violentemente dalla percezione, olasciati passare senza reagire e precipitatitutti negli inferi, dove giace e geme quantoè stato visto solo a metà, sottrattoviolentemente al suo ambiente. Si direbbedunque che tutto il vivente — sia il soggettodi una vita, sia quello che si dà all'internodella vita di un soggetto — aneli e siairresistibilmente mosso per completarsi:germe, embrione che tenta di nascerecompletamente in un'atmosfera più ampia

16 Ibidem.17 Maria Zambrano, Verso un sapere dell'anima,Milano, Cortina, 1996. risp., p. 183, 7.

e luminosa, dove la sua totale apparizionesia possibile, la sua totalità interminabile.Un'atmosfera in cui il tempo vengafecondato dalla luce». 18

Un pensiero vivente, dunque. Al centrol'esperienza della vita: «proprio quelcontatto immediato con la realtà chenell'uomo si realizza attraverso i sensi, sianoessi sensuali, intellettuali o mistici» 19.

Ecco cosa significa sostenere che lapratica filosofica, è in se stessa attiva epratica, «La filosofia, cosa esclusivamente inatto e pratica» 20, come fa Simone Weil neiCahiers.

Il theorein è qualcosa che si gioca dentrol'esperienza della vita, del mondo. Come perla Zambrano e Zubiri, per Panikkar la filosofiaè attenersi alla realtà vivente che si culla nellenostre vite, e consiste in una intellezioneprofonda del mistero delle nostre stesse vite.

Cercheremo qui di mettere attenzione adov'è che si da questa esperienza, e sulle suedinamiche costitutive, ecc. Il contesto delsuzen, il suo modo di realizzarsi, non èevidente a tutti 21, anche se la sua espressionepiù generale, ossia il dialogo, è generalmentericonosciuta da molti. Per comprenderemeglio e meno riduttivamente ciò cheavviene, però, occorre che consideriamo conmaggiore attenzione la dinamica complessa e

18 Maria Zambrano, Note di un metodo, Napoli, Filema,2003, pp. 89-90.19 R. Panikkar, L'esperienza..., cit., p. 17.20 Simone Weil, Oeuvres Completes, Cahiers, vol. VI, p.392; tr. it. Quaderni, IV vol., Adelphi, Milano, 1993, p.396. p.21 Anche perché nelle nostre scuole di ogni ordine egrado spesso la pratica del dialogo non è la dimensioneoriginale e strutturante dell'esperienza diapprendimento...

Page 99: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

99

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

pluridimensionale dell'esperienza di cui ci haparlato Panikkar nella sua intervista sullametafora della finestra.

Dobbiamo vedere di “mettere a fuoco”meglio il luogo di questo operare, la sua“architettura”. Più che essere una“architettura dell'anima”, come avrebbe dettoSimone Weil, potremmo dire che questo“luogo” è, per Panikkar, l'ordo / dharmateantropocosmico. La tradizione filosofica(abbiamo insistito parecchio anche in questigiorni su questa distinzione più profonda) nonpuò chiudersi e limitarsi solo sulla praticadialettica, che è poi descritta abbastanzaanaliticamente anche nel passo della LetteraVII che abbiamo riletto, noto a tutta latradizione. Ma quest'ultima ha la tendenza adintendere in modo “obiettivante” la praticadella “fatica del concetto”. La filosofia cosìsarebbe solo l'attività del mettere aconfronto, elaborare, raffinare idee econcetti, per costruire una grandeclassificazione del mondo, un sistema che cipermette di “ingabbiare” il mondo. Invece, lafilosofia, oltre che condizione di chi ama lasapienza, ed ama e cerca la verità (sapendoche non può impadronirsene ed è quindi incammino in una ricerca mosso dal desiderio),è anche contemporaneamente un'esperienzadella relazione con l'altro che mi provoca e miinterpella direttamente, mettendo in attivitàquello stesso contatto integrale dei sensi(sensuali, intellettuali e mistici).

L'altro che mi parla, mentre io sonointento a perdermi nella mia visione delmondo, è un elemento determinantedell'esperienza filosofica, o dell'esperienza diuna vivencia che si disponga a desnacer.

L'altro in carne ed ossa, con i suoi colori,sapori ed odori, ecc. In questo senso lafilosofia non è solo una visione del mondo, o“concezione del mondo”. La filosofianecessita, in primis, ovvero come dimensionecostitutiva, di quel momento, quella pratica incui prima di tutto due persone, o più, siincontrano e si ascoltano, comunicando conuna parola viva, non solo con una parolascritta 22. Solo da questo incontro/ascoltonasce poi l'interrogare.

La parola scritta, in sé e per sé, facompiere al nostro pensiero uno scivolamento(dal processo al prodotto concettuale) che cipuò portare a pensare che poi noi in qualchemodo “dominiamo il concetto”: e alla fine puòessere un ostacolo all'attraversamento dellogos.

E il logos, lo dobbiamo sentito ancheieri, è là per essere attraversato, in piùdirezioni, almeno due: l'una verso il mito el'altra verso l'impensabile.

Ma non lo attraverso, il logos,solipsisticamente, standomene per conto mio,nella mia cameretta, a speculare. Lo possofare solo mediante una esperienza 23, quandoun altro vivente, un altro essere umano,accanto a me, mi interpella. Ed è capace difarmi ascoltare quello che io non vedo, nonsento. D'altra parte è certo che nel nostrocampo visivo noi non vediamo i nostri occhi,quindi non vediamo e non ci rendiamo contodel nostro “punto di vista”: questo lo

22 In questo dialogo vivo si compie una esperienzacomplessa, non univocamente “mentale” quantointegrale ed olistica, di questa relazione, che ha almenotre poli: il tu che mi interpella – io che vedo – il mondo“tra” noi due o “in” cui siamo entrambi.23 R. Panikkar, L'esperienza filosofica..., cit., p. 16.

Page 100: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

100

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

sappiamo tutti — forse dovremmo imparare acomprenderlo meglio.

Questa filosofia, esercizio della sapienzastessa dell'amore, nasce da questa relazionedialogale entro cui si sposta l'accento oltrel'univoco e astratto “parlare su” qualcosa tranoi. Ciò vuol dire rendere l'oggetto deldiscorso — e il discorso stesso, in ultimaanalisi — qualcosa che “sta tra noi”, e su cuinoi possiamo anche concentrarci prestandoattenzione — ma che non possiamo“comprendere” se non ascoltando il “tu” concui parliamo. Non è solo un “parlare su” è un“parlare con”. E l'oggetto (non piùletteralmente, gegenstand) diventa come un“mediatore” tra noi, che si costituisce grazieall'attraversamento delle reciproche“visioni”... Come ci ricorda il già menzionatolibro di Luce Irigaray, in cui si riprende questaesplorazione, e si mostra in che cosa possaconsistere ciò che porta alla sapienzadell'amore, alla saggezza dell'amore.

“Dialogo con” e quel “con” èesattamente il movimento che abbiamosentito descrivere e che ci permette diraccogliere i frammenti dell'esperienza, che èsempre molteplice rispetto a quanto noi nonimmaginiamo, in una pluralità, ma ci permetteanche di ridare valore a ciascuna propriavisione.

Il “contagio amoroso” e l'interrogareradicale

Quest'idea del contagio amoroso, dellarelazione amicale come origine di unacomprensione sapienziale, di una sabiduria —come ripeteva Panikkar — un sapere che mipermette di entrare in relazione empatica

profonda con l'altro e anche di sentire,“sapere”, gustare il mondo... Ha mostrato laradice di questa esperienza sempre Platone,nel Gorgia, quando usa un termine che puòessere tradotto molto male in italiano,tradizionalmente, senza anche discuternetroppo, il termine “eunoia”, che vienetradotto normalmente con “benevolenza” edè un impoverimento abbastanza significativo.Si sposta l'accento dalla “buona disposizionedel nous” entro la relazione, alla “buonavolontà” di accento solo morale, e non piùinvece costitutivamente teoretica. Il pensierofilosofico che si dà nella relazione vieneignorato.

Forse potremmo mettere tutto questoin relazione (se ne potrebbe ragionare) conquella che noi chiamiamo un po'psicologisticamente l'empatia.

Cito invece un altro filosofo, Levinas,che in un suo testo — commentando ladomanda di Polemarco all'inizio dellaRepubblica di Platone (che si chiede sepossiamo convincere chi non ascolta) —mostra questo “circolo originario” dell'eticacome disponibilità originaria al dialogo nellafiducia costitutiva nella quale mi affido aldialogo stesso, ascoltando. Circolo originario,perché l'atteggiamento di disponibilitàall'ascolto da parte degli interlocutori, sembraun momento “fondativo”, nel senso che sta amonte di qualsiasi parola che io dico, diqualsiasi atteggiamento che interagisce tranoi. E Levinas la chiama “ragione prima dellaragione”, persuasione originaria «che rendeumani il discorso coerente e la ragione

Page 101: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

101

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

impersonale» 24.

Ci sarebbe ben da fare per esplorarequesta “via” tra le testimonianze delle diversevie filosofiche in occidente. Ma, è sicuro,anche oltre l'occidente. Potremmo, ad es.,risalire anche al Rig Veda, che provoca ilnostro pensare dicendo: «In principio èscaturito l'amore, / il primo germe dellamente» (e ad altri passi paralleli) 25. Ciòcomporterebbe sviluppare seriamente e pergioco la vera e propria dimensione inter-intraculturale della pratica filosofica...

Ma quello che voglio sottolineare quicon forza è che questa non è una questione“speculativa”. Sarebbe riduttivo conosceresenza amare, e amare senza agire (come ciripetiamo con insistenza in questi giorni tranoi, testimoniando un messaggiodeterminante di Panikkar) — in termini indici,c'è un'unicità ma non una unità di queste tredimensioni: i tre cammini, ossia jnana-marga,karma-marga e bhakti-marga, sono come una

24 Emmanuel Levinas, Libertà e comando, in E. Levinas– A. Peperzak, Etica come filosofia prima, Milano,Guerini e Associati, 1989, pp. 20-21. Cfr. anche, nellostesso volume, Fabio Ciaramelli, L'anacronismo, p.166.Levinas stesso, in Altrimenti che essere o al di làdell'essenza, illustra e riflette sul “secondo etimo” dellaparola “filosofia” di cui ho parlato più sopra, quandoafferma: «La filosofia è questa misura recata all'infinitodell'essere-per-l'altro della prossimità e come lasaggezza dell'amore», e ancora: «La filosofia: saggezzadell'amore al servizio dell'amore», Milano, Jaca Book,1995, pp. 202-203.25 Raimon Panikkar, L'esperienza..., cit, p. 5: ma si v.piuttosto le due diverse traduzioni che egli stessopresenta in The Vedic Experience. Mantramanjari.Anthology of the Vedas for Modern Man andContemporary Celebration, edited and Translated withIntroduction and Notes by Raimundo Panikkar, with theCollaboration of N. Shanta, M. Rogers, B. Baumer, M.Bidoli, Delhi, Motilal Banarsidass Publ., 1977, p. 52 e58, nella tr. it. I Veda. Mantramanjari, Milano, Rizzoli,2001, vol. I, pp. 69 e 76.

treccia 26...

Con la pratica filosofica ci viene chiestao suggerita un'opera, come possibile scoperta.Metterci-in-gioco fidandoci, affidandosi aquesta buona disposizione della mente,dell'intelletto o dell'intelligenza (del nous) chePlatone chiama eunoia, e che è la radiceprofonda del dialogo: si può esprimere solo inun'opera, in un esserci-agendo, e questafiducia profonda non può essere oggettivata.La fiducia profonda nell'altro è qualche cosa diproblematico, chiaramente, ma anche realeed effettivo. E quali sono le caratteristiche diquesto “stile” di questo modo di essere che èla filosofia? È una filosofia non intesa comeuna teoria, come una dottrina, non intesacome una costruzione di un “discorso su”qualcosa. Da questo punto di vista sonostraordinarie le connessioni conl'insegnamento di Pierre Hadot 27, mancatopure lui quest'anno, filosofo, non solo storicodella filosofia, che ci ha fatto riscoprire lafilosofia come maniera di vivere, e la filosofiacome esercizio spirituale, o insieme di esercizispirituali che noi possiamo compiere.

Ecco il luogo in cui noi pratichiamoquesto filosofare che richiede la vita comunee si genera da essa. È ovviamente un contestodiverso da quello sviluppato tradizionalmentenella scuola. In realtà la filosofia nell'etàmoderna in molti casi e nell'etàcontemporanea quasi universalmente è unaattività di professori che parlano ad altri

26 Cfr. Raimon Panikkar, Il dharma dell'induismo,Milano, Rizzoli, 2006, pp. 97-175, in part. pp. 154-175.27 Di Pierre Hadot si può vedere con frutto tuttoquanto ha prodotto, ma qui va menzionato perprecisione il suo capolavoro dal titolo Esercizi spiritualie filosofia antica, Einaudi, Torino, 1986.

Page 102: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

102

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

professori, o una attività di professori cheformano altri professori. È abbastanzainquietante quella filosofia che finisce per“specializzarsi” ed è evidentemente unparadosso, o forse un suo vero e propriopervertimento. Aveva ben compreso questatensione verso la totalità Enzo Melandri, che aproposito afferma:

«La filosofia appartiene al genere degliamori o filie non corrisposti per principio. Ilsuo senso è la pretesa di un sapere totale,non meno. Degrada se stesso, non lafilosofia, chi si rifiuti di riconoscere in sé lapresenza di questo senso. Tuttavia non c’èbisogno di uscir fuori di sé, per capire che latotalità del sapere non si lascia racchiuderein una pretesa.

La crisi attuale della filosofia non può esserela crisi della pretesa di un sapere totale, perla semplice ragione che questa crisi c’èsempre stata da quando esiste la filosofia.Lasciamo stare la metafisica: la filosofia si èsempre saputa quale amore noncorrisposto. La crisi della pretesa di unsapere totale è lo specifico modo d’esseredella filosofia. (...)

La filosofia non può costituirsi in sapereparziale, disciplina o scienza speciale. Essanon può ritagliare entro il mondo il suooggetto, perché il suo oggetto è la totalità.Esser filosofi significa esser specialisti infatto di totalità» 28 .

Ed è proprio nella scuola, nella praticadella scuola (sebbene non solo in essa) cheforse può sopravvivere quella possibilitàdialogale profonda, questo atto, questapratica, che è un'esperienza. Come uno “stile

28 Enzo Melandri, Sulla crisi attuale della filosofia, in «IlMulino», n.223, settembre-ottobre 1972, p. 877.

di vita” che ci permetta di imparare a“scrivere la nostra vita”. Come con uno stilo,come con una penna: scriviamo la scritturadella vita. E nello stesso tempo la scritturapuò divenire un vero e proprio eserciziospirituale...

Ora, alcune pratiche possono essereanche descritte, se volete, ma è chiaro, sitratterebbe di un discorso che si avvita un po'su se stesso: son cose che si dovrebberoesercitare, mettere in opera, svolgere sulpiano esperienziale, fuori dal setting dellaconferenza. Provare insieme: mettersi incerchio e giocare il gioco del dialogo, dove èchiaro in primis che l'ascoltare (più che ilparlare esprimendosi) è determinante.Nell'intervista si coglie molto bene questospostamento dell'asse dal vedere all'ascoltare(che non cancella il primo, ma, come dire, lo“relativizza”).

Un invito a passare dalla fiducia nellavista come senso cui viene attribuito ilmassimo valore all'ascolto, e l'ascolto attivo.Quest'ultimo, come ormai sappiamo anche dacontributi semplicemente psicologici, ècostituito strutturalmente dall'atto dell'inter-rogare. Questo interrogare è un domandarevolto a rimandare all'altro, in ogni senso,quello che a noi sembra di lui, quello che cipare di aver compreso, quello che sentiamo dilui, dal nostro punto di vista, per chiedergliuna conferma, o per ascoltare meglio,appunto, da lui, la sua esperienza esposta dalsuo punto di vista, e per vedere se l'altro/a siriconosce nell'interpretazione che noi diamodi lui/lei. Ed, entro questo orizzonte dialogale,si disvela e si mette in opera l'atto filosoficoper eccellenza, che è appunto l'atto

Page 103: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

103

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

dell'interrogare radicale 29.

Dal colligite fragmenta alla fenomenologiaesperienziale, all'ermeneutica diatopica

Noi siamo diventati in occidenteabbastanza sfiduciati rispetto a quello chevediamo. Abbiamo la cultura del sospetto, sene potrebbe ben discutere, o anche la culturadel disincanto del mondo: non ci fidiamo piùdella nostra visione, di quello che vediamo. Equi si potrebbe richiamare il racconto cheanche Raimon Panikkar cita spesso, ed èquello dei sei saggi ciechi e dell'elefante. Unastoria che sembra risalire ad un anticoracconto buddhista 30. In sostanza questastoria dice che sei ciechi, magari filosofi, siincontrano con un elefante e ciascuno dice lasua su quello che riesce a toccare...

«È come un muro» dice chi sente lapancia. «È come una muraglia». «È come untronco» dice chi sente le gambe. «È come unacorda»: chi tocca la proboscide. «È come unaspada appuntita» dice chi tocca le punte dellezanne. I filosofi litigano tra loro. Di solitoquesta storiella viene interpretata come unaallegoria della “trascendenza” dell'oggettorispetto a chi lo percepisce.

La prima delle due più diffuseinterpretazioni della parabola dell'elefante ènotoriamente quella che ne trael'insegnamento che invita a “comporre” a“mettere insieme” i frammenti per ottenereuna “visione di insieme” che al singolo non èpossibile ma si costituisce appunto con questa

29 Dell'interrogare radicale dà una brillante eabbastanza condivisibile descrizione WilhelmWeischedel, nella sua opera Il Dio dei filosofi, vol. I,Genova, Il Melangolo. 1988, p. 50-58.30 R. Panikkar, L'esperienza..., cit. p. 65-66.

convergenza di differenti approcci.

Ma di fronte all'emergere della radicaleincommensurabilità delle differenti filosofienessuna filosofia si accontenta di esseresemplicemente “una prospettiva” e ilrelativismo ingenuo è poveramente insuf-ficiente. Se spostiamo però l'accento dalla“natura del prodotto” alla “forma dellapratica”, vediamo che forse il caratteremetafilosofico, o più radicalmente filosofico, èproprio questo stile-registro di dialogo e inter-interrogazione continua e aperta.

C'è poi una seconda maniera, a parermio altrettanto importante, di intendere einterpretare la parabola dell'elefante, che latradizione fenomenologica del novecento ciha invitato a riscoprire, ponendo attenzione acome entro in relazione con quell'elefante: eci dice che dobbiamo porre miglior attenzionea quel che accade quando “sentiamo”,quando tocchiamo: «Giudichi bene quando tu,toccando la pancia, la paragoni a un muro?Quell'analogia non è un po' sbrigativa, nonpotresti stare un po' attento, prestareattenzione a quello che accade in te quandoc'è questo incontro?». E via dicendo per tuttele altre prospettive. Come si vede, occorremuoversi in due direzioni, anche se tra loroopposte e contradditorie, occorre approfon-dire in due direzioni di pensiero: da una parte,riconoscere che la comprensione dell'elefantenon può essere relativa solo al proprio puntodi vista. E, dall'altra parte, nello stesso tempo,raffinare la nostra capacità di entrare inrelazione col mondo e fidarci di quello cheappare, affinando sempre di più e sempre dinuovo questa esperienza. E qui abbiamo laconnessione diretta con la metafora della

Page 104: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

104

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

finestra che ci dice “vedo solo quel poco cheposso vedere” ma quel poco che posso vederelo posso “vedere” e posso avere una relazionecol mondo.

Mi viene in mente a proposito unaespressione di Paulo Freire, che dice «nessunoeduca nessuno, nessuno educa gli altri, tutti cieduchiamo reciprocamente» 31. Di solito ci siferma qui nella citazione mentre invece c'è unaltro pezzo: «ci educhiamo reciprocamentecon la mediazione del mondo» (lamediatisacion del mundo) Cos'è questamediatisacion? Quale mondo? Non può piùessere evidentemente il “mio” mondo... Laspinta che è tipica della pratica filosofica versola totalità non può essere dimenticata inquesto. Forse la si può riconsiderare a partireappunto dalla attenta considerazione diqueste attività, di queste pratiche, più che dauna idea, o dalla spinta ingenua a “visioni delmondo” univoche, a “concezioni del mondo”unitarie. Conviene fare molta attenzione aquesto. Non costruiremo con la filosofiainterculturale una nuova “visione del mondo”.L'interculturalità è un mito, un nuovo mito, sevogliamo (magari vecchio quanto le colline:spesso noi diciamo che le cose sono nuoveperché è nuova la nostra “scoperta”, cosìcome accadde al “nuovo mondo” nell'età delrinascimento...). Occorre che lo abitiamo, oesploriamo integralmente, con consape-volezza.

Propongo tutto questo per integrare esviluppare, se così si può dire, quantoPanikkar suggerisce nel paragrafo dedicato asottolineare che la filosofia “comporta ed

31 Paulo Freire, Pedagogia degli oppressi, Torino, EGA,2001, p. 69.

esige una prassi”32. Appunto, nella esplora-zione di questa natura interculturale dellafilosofia.

Una miglior pratica fenomenologica

Abitare i propri miti sviluppando ricercadi consapevolezza comprende ed esigesoprattutto l'esercizio della capacità di “usciredalle proprie cornici”. Non è possibile alcunaermeneutica diatopica senza che si metta inatto questa trasformazione (insieme metanoiaed econoia). E qui credo che la principaleilluminazione, o se volete, il risveglio che hoconnesso inmediatamente con l'esperienzadel pensiero a cui mi ha invitato e guidatoRaimon Panikkar è quella di un fenomenologostatunitense che si chiama Don Ihde, il quale,nel libro Experimental Phenomenology ci facomprendere mediante esercizi o giochi checiascuno di noi può imparare a fareesperienza dell'uscire dalle proprie cornici,sviluppando una “coscienza fenomenologica”33. La fenomenologia in realtà appunto non ènient'altro che la comprensione dellaplurivocità dell'esperienza del mondo.

Detto in termini non tecnici: di fronte aun fenomeno, non posso giudicare in modounivoco: vedo una cosa, dico “è questo”, maposso anche scoprire di poter sentire e quindiesprimere, che quella stessa apparenza “puòessere anche quest'altro”, e “può essereanche tante altre cose”: posso compiere inquesto modo almeno tre passaggi di stati dicoscienza. Oltre una “interpretazione”univoca, a cui corrisponderebbe poi univoca-

32 Cfr. R. Panikkar, L'esperienza.., cit., pp. 57-58.33 Cfr. Don Ihde, Experimental Phenomenology. AnIntroduction, G. P. Putnam's Sons, New York, 1977.

Page 105: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

105

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

mente il segno: i termini (e quindi i concetti)sono costruiti su questa pretesa di dareunivocità alla parola. Nell'esperienzafenomenologica la parola invece torna libera emi permette di entrare in una relazioneaperta con il fenomeno, con i fenomeni.Possiamo chiamare questa “competenza”mentale o intellettuale “exotopia”: ossia lacapacità di uscire fuori dai nostri luoghimentali. È ancora, un'altra volta, lo stessoesercizio che Raimon illustra in questa brevemetafora della finestra. Ed è come se cidicesse, semplicemente: «Uscite fuori, manon per stare fuori perché non si può usciredalle proprie finestre, ci si deve stare, marendersene conto»... Da questo punto di vistacredo che sia proprio da qui che emergeanche la sua aperta rivalutazione delprospettivismo (che però non resta la suaultima parola sul tema del pluralismo). E daqui viene la consapevolezza di quello che eglichiama “il pluralismo della verità” 34: come sipuò comprendere, è abbastanza importante,

34 R. Panikkar, “The Pluralism of Truth”, in «WorldFaiths Insight», New-York-London 1990, XXVI, ott., pp.7-16; tr. it.: “Il pluralismo della verità”.«Dialegesthai.Rivista telematica di filosofia» [in linea],anno 10 (2008), disponibile suwww:<http://mondodomani.org/dialegesthai/>, ISSN1128-5478; e inserito infine con alcune revisioni comeIntroduzione al Vol. VI/1 dell'Opera Omnia, dal titoloCulture e religioni in dialogo, Jaca Book, Milano, 2008.Cfr. anche “Identità religiosa e pluralismo”, in«InterCulture», Rivista dell’Istituto Interculturale diMontreal, edizione italiana, n. 9, Città Aperta,settembre-dicembre 2007, pp. 23-55. Si v. inoltre “Dieexistentielle Phänomenologie der Wahrheit”, in«Philosophisches Jahrbuch del Görres-Gesellschaft»,64/1956, pp. 27-54. Mi permetto anche di rimandare aFulvio C. Manara, Il dialogo come rischio esistenziale eresponsabilità intellettuale. L'interculturalità secondoRaimon Panikkar, in Identità, cultura, intercultura, acura di G. Cannarozzo, Rubbettino, Soveria-Mannelli,2009, pp.71-95.

ma ancora una volta si potrebbe correre ilrischio di trasformare in oggetti quelli cheinvece sono degli “sfondi”, delle esperienze,delle possibilità. Per questo ritengo che sianecessario chiedersi sempre: cosa rendepossibile in me questa attività? Cosa faccioquando filosofo? Quando l'esperienzaoriginale mi permette di comprendere, diesercitare questo lavoro, questo processoinfinito del raccogliere i frammenti, iframmenti dell'esperienza, della vita, delmondo (dei mondi) e delle interrelazioni in cuisono?

Agire e praticare la filosofia: il sangama

Panikkar, sempre ne L'esperienzafilosofica dell'India 35, afferma che la filosofiacontemporanea manifesta una paura radicale,viscerale di due cose: una è l'amore, perché cisi dimentica che è sorgente e origine dellasaggezza, e l'altra, l'azione 36. È molto facileincontrare queste paure tra i professori,quando si riflette sulla natura e leconseguenze della propria praticanell'insegnamento filosofico, sull'agire cheviene dopo il filosofare, o meglio, che vieneinsieme al filosofare. Mentre è impossibiletenerli separati, secondo l'insegnamento diPanikkar.

Nel testo che sto prendendo comeriferimento Panikkar riassume così le tredimensioni della prassi nell'attività filosofica:(ante rem), 1) la preparazione al buonfilosofare, unita alla situazione esistenziale dichi la mette in opera; (in re) 2) l'attività delpensare nella ricerca del retto logos; (post

35 R. Panikkar, L'esperienza.., cit., p.17.36 Ibidem.

Page 106: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

106

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

rem) 3) il pensiero trasforma chi pensa 37.

Gettiamo però meglio lo sguardo suqueste “prassi” inerenti la filosofia stessa,ossia, come richiama Panikkar stesso, suquesta epimeleia dell'anima (epimeleia sou).

Ci viene incontro per questo proprio lasua stessa testimonianza ed esperienza: illuogo di queste prassi, il loro ambiente — o sevogliamo dire, un po' riduttivamente, il“setting” — per lui è la comunità, il sangama.Come sappiamo, egli chiama così le“convocazioni” degli amici e questadimensione amicale è sempre per lui cosìimportante. Questa sua apertura radicaleall'amicalità era anche inquietante per chi viprendeva parte, per alcuni aspetti, nel sensoche provocava radicalmente ciascuno aduscire dai suoi schemi, mettendosostanzialmente in moto una trasformazione.Pensate per esempio a quanto può essereilluminante, per chi è filosofo, la scoperta cuilui sapeva guidarci, non solo sul pianointellettuale ma in modo olistico, a compiereautenticamente l'atto contemplativo, disentire e vivere l'atto della contemplazione,oltre ogni riduzionismo tipico della nostratradizione, per cui abbiamo reso lacontemplazione sinonimo di teoria, dicostruzione di un modello… Quindi pensare, epensare insieme vivendo, che appunto èpratica, non astrazione: lo si è detto moltevolte in questi giorni, esplorare e persinoscoprire mondi nuovi (e quindi agire in essiconsapevolmente creativamente eliberamente — nel senso dell'esserci e del“rimettere al mondo il mondo che siamo”).

37 Ivi, pp. 57-58.

Ciascuno di noi quando si incontra non mettea confronto solo delle cosmologie, ma deimondi diversi, non solo delle “cosmovisioni”diverse, grazie a finestre che vengono messe aconfronto, ma veri e propri mondi diversi, semette se stesso integralmente in questogioco. Se in questi “mondi” diversi cheincontriamo evidentemente non possiamoentrare integralmente, per la radicaleincompatibilità delle visioni ultime e anchedelle filosofie, questa opera contemplativapuò però permetterci di trasformarci, dilasciarci trasformare. Ecco che qui tornal'accento sulla metanoia che spesso è appuntouno dei termini con cui noi esprimiamo lapratica filosofica: non tanto cambiare punto divista, o andare “oltre” il proprio punto di vista(perché non è possibile), ma attraversarlo,scoprirne la porosità, la radicale porosità, esapersi giocare di nuovo creativamente inesso (eunoia). Le tre dimensioni della praticafilosofica, che sono, se volete, per tradizione,il logos, il rapporto con il mito e le credenze(ermeneutica) e infine il rapporto con ladimensione spirituale (fede) sono nel lorocomplesso un corrispettivo processuale dellaintuizione cosmoteandrica. Qui per chi ha lamia età il principale shock era la scopertadello spazio che nella pratica filosofica deveavere il mito, che viene dall'impensato, equindi la spinta ad uscire dal dualismoprofondo che è tipico della nostra tradizioneoccidentale. Mi spiego meglio: quandostudiavo filosofia all'Università mi dicevano,sia pure un po' stancamente, che la filosofiaconsiste nella emancipazione dal mito. Unaliberazione dal mito! Liberarsi da questaemancipazione, poi, è stato interessante... Maanche nello stesso tempo riscoprire la fiducia

Page 107: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

107

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

come dimensione a monte e a valledell'esperienza filosofica. Ed anche scoprireche la filosofia, la pratica filosofica, ha a chefare con la fede. Come, evidentemente, ha ache fare con le credenze, ma per sapertrascendere con piglio libero l'esperienza dellapluralità delle filosofie, quando facilmente cisi rassegnava ad un sostanziale indiffe-rentismo, parlandone troppo tranquillamenteal plurale. Come se ciascuno avesse solo lasua...

Muoversi in questa dinamicatrasformativa, che è pratica filosofica toutcourt, può quindi essere una grandeesperienza. E la comunità di ricerca èesattamente il luogo in cui penso che questapiccola pratica possa essere scoperta perciascuno di noi e che permetta così diritrovarci e respirare liberamente, perdisnascere.

CdRF: la pratica filosofica intrinsecamenteinter-intraculturale

La vita del sangama per me può essereconnessa e messa in relazione ad un'altraesperienza che ho potuto incontrare ecompiere nel corso di questi ultimi vent'anni:quella della comunità di ricerca filosofica, che,se vogliamo, non è altro che un differentenome di quello che Panikkar chiama appunto“sangama”.

La comunità di ricerca non ha nessunapretesa, è una pratica poverissima, che nonha bisogno di grandi risorse: è il semplicemettersi insieme, e scoprire che il pensiero ela pratica filosofica nascono così, in questacomplessa interazione con un tu e nel logos, esono parola viva che mette in gioco tutto,

nella pratica del domandare e dell'ascoltarsireciprocamente, nell'apprendere ed eserci-tare insieme l'esperienza della ricerca.Possiamo in essa raccogliere i frammenti percercare di armonizzarli, ma senza voler perforza tenerli insieme, e men che meno con undisegno più o meno prestabilito. Di solito, laprima origine della comunità di ricerca vieneidentificata nel pensiero di un rappresentantedel pragmatismo americano, Peirce, e poi inDewey, ed è guidata dalla pratica dialettica:secondo questo approccio pragmatista si devedialogare secondo un modello dialettico, pertrovare la giusta posizione ed arrivare ad unadecisione comune.

Ma poi l'esperienza concreta el'esplorazione di questa pratica ha portato chil'ha compiuta a comprenderne le dimensioniplurali dell'esercizio del pensare, che non èevidentemente solo logos ma anchecreatività, intelligenza emotiva, pensierosimbolico, ragione poetica ecc. 38. Una bellasfida, per la filosofia, e anche

l'apertura di grandi possibilità (esperanze).

In particolare riguardo alla riduzionedella prassi filosofica a sola dialettica, laprospettiva che scopriamo con Raimon è chequesta è solo una delle possibilità dellosviluppo dell'esercizio del pensare insieme:quella che come tutti sappiamo consiste nelcostruire un consenso di idee, visioni, equant'altro. Occorre sempre ricordare infatti

38 Si v. lo sviluppo riflessivo compiuto dentro (e oltre) ilmovimento della P4C (Philosophy for Children) nelleopere di Matthew Lipman, Ann Margareth Sharp,Gareth Matthews, Walter Omar Kohan, CatherineMcCall, ecc.

Page 108: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

108

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

che quando questo avviene otteniamo certoun consenso fra più persone (in direzione delmito del “consensus omnium”), ma chequeste persone restano però differenti traloro alla radice.

La pratica della comunità di ricercafilosofica può divenire quindi un cercareinsieme l'armonia della differenza nellaconvivenza delle differenze, perché ledifferenze sono le persone; non sono leculture che si incontrano facendo filosofia,quanto le persone che vivono dimensioniculturali. Non sono le religioni, e men chemeno le filosofie, ad incontrarsi: sono lepersone che si incontrano. L'esercizio deldialogo “dialogale” è esattamente questotentativo di provocare radicalmente la praticafilosofica che è rimasta ancorata alla dialettica(senza dimenticare la dialettica, senza buttarlaa mare, chiaro). La capacità di fare delladialettica un'esperienza che non si chiuda suse stessa, e resti aperta in direzione di altrepossibili dimensioni del dialogo. Il che ci liberaanche in direzione di altre elaborazionidell'immagine del pensare che noi abbiamonella nostra testa: pensiamo quandoruminiamo e quando meditiamo o pensiamoquando parliamo tra noi?

Ecco, sono tutte domande che inqualche modo ci permettono di entraredentro l'idea della filosofia (interculturale)come una pratica, come un processo aperto,che non ha mai fine.

“Cosa io penso”, il “prodotto” delpensare — che pure è importantissimo — nonè proprio al centro. Lo è la capacità dicomporre frammenti, che in questo contesto

abbiamo compreso essere sempre,inevitabilmente paradossale.

Per rendere questo evidente, inconclusione, (e per far comprendere benecosa comporta questo “colligite fragmenta”che punta all'armonia pluralistica) richiamoun'altra storiella che Raimon racconta 39. Lastoriella di quel rabbino saggio (o di quelsaggio rabbino) a cui una comunità, divisa daprofonde dispute, si rivolge. Una delle parti incausa va dal rabbino e gli dice: «Eh, noipensiamo questa cosa e quest'altra e non vabene, e insomma, noi vogliamo che tu ciascolti attentamente», e lui risponde dandoloro ragione. Il giorno dopo gli altricontendenti vanno dal rabbino, pensando:«Come, ha dato ragione agli altri, ora andiamonoi a dirgli come la pensiamo!» e gliraccontano il loro punto di vista, gliraccontano le loro esigenze e le loroquestioni, le loro posizioni. Il rabbino rispondea questo secondo gruppo: avete ragione.Allora i saggi della comunità dicono: «Come, ilrabbino non capisce più nulla!». Vanno da luiil terzo giorno e gli dicono: «Ma cosa staifacendo: vengono i primi e ti dicono il loropunto di vista, e tu gli dai ragione. Vengono isecondi, con il loro punto di vistacontradditorio e tu dici avete ragione purevoi... Questo non può essere!». Il rabbinorisponde agli scribi e ai maestri: «Aveteragione!».

Questo rabbino non è uno stupido,come molti potrebbero sbrigativamentepensare. Le affermazioni proposte dallediverse parti che confliggono sono tra loro

39 V. ad es., R. Panikkar, Pluralismo e interculturalità,Milano, Jaca Book, 2009, p.5.

Page 109: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

109

Raimon Panikkar Session - Fulvio C. Manara

evidentemente dialettiche, sono contrad-ditorie, sono visioni del mondo incompatibili,che non possono essere rese compatibili. Quelrabbino si rende conto del gioco delleposizioni in questo conflitto, che è dialettico,ma egli non si affida solo alla dialettica nelleggere questa situazione. Dice Panikkar:

«La relazione tra le tre affermazioni ènaturalmente dialettica. Ma la relazione frai due gruppi contendenti di persone non èdialettica. Il rabbino vide la completezzarelativa di ciascuna posizione, benchéimplicasse la mutua contraddizione delleaffermazioni intellettuali, così come vide ilterzo gruppo esistenzialmente coinvolto» 40.

Il “compito” o la “scoperta” del terzogruppo, ossia il gruppo dei saggi, che siaccorgono che il gioco delle “ragioni” non èpacifico, è anzi, appunto, scoperta dell'incom-patibilità delle posizioni, prese come affer-mazioni intellettuali e posizioni di interesse. Ilterzo gruppo è però un gruppo che vorrebbecompiere un po' la funzione del giudice,ancora è chiuso nella sua idea che la ragionestia da una sola parte. Il compito della praticafilosofica invece non è quello del giudice chedeve stabilire la verità, come se la potessestabilire sua sponte: il gioco della praticafilosofica nella comunità di ricerca è piuttostopermettere a ciascuno di compiere la suaesperienza e di relativizzare questa espe-rienza, di scoprire la relatività di questaesperienza senza perdere l'amore e lapassione per la verità, ossia senza cancellarel'orizzonte della ricerca come orizzontecomune.

Se scopriamo la reciproca incommensu-

40 Ibidem.

rabilità delle posizioni umane e anchel'incompatibilità dei credo definitivi, ciò noncomporta che la convivenza e la coesistenzanon siano possibili: questa è la sfida. Anchequesto farsi carico della reciproca coesistenza(costruendo comunità) è parte del giocofilosofico, ossia farsi carico di “mantenere vivala polarità delle realtà umane” ecc.

Conclude Panikkar:

«Credo che la nostra situazione attualerichieda a tutti noi di essere capaci di dire:“Non ti capisco troppo bene, anche sepenso tu sia in errore, ma il fatto che tu tisbagli non mi dice granché circa il mioessere nel giusto o il mio essere forse a miavolta in errore”. Abbiamo bisogno di questotipo di relazione gli uni con gli altri» 41.

Rinnoviamo quindi a noi stessi l'invitoalla filosofia propostoci da Panikkar. È uninvito che

«Vuole risvegliare in noi la brama o la“volontà” di partecipare a qualcosa, cioèinvitarci (se pensiamo in latino), o suscitareun piacere (se pensiamo in sanscrito), alriparo di sapienze antiche e attuali da cuitutti possiamo apprendere, per gustarel'esperienza umana nel suo sforzo di trovareun senso alla Vita di cui tutti fruiamo» 42.

In questo gioco filosofico scopriremo laradicale precarietà delle nostre parole, eanche la povertà della filosofia, tanto quantola ricchezza e la gioia dell'esperienza e delcammino di ricerca

41 Cfr. ivi, pp. 5-6.42 R. Panikkar, L'esperienza..., cit., p. 20.

Page 110: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

110

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

Michiko YusaWashington University

Our mentor and friend Raimon Panikkarendorsed the idea of ecosophy—the postureof listening to the “wisdom of the earth.” Eco-sophy is different from “ecology,” maintainedPanikkar, because although “ecological con-sciousness is a step in the right direction, itdoes not bring us in touch with the divine di-mension.”1 Instead, he advocated the ecoso-phical awareness, which finds the divine di-mension as integrated “within ourselves.”2

For Panikkar, contemporary “ecological” con-sciousness appeared to rest on the worldview,in which nature, or environment, is conside-red to be separate from us and stands in op-position to us as a kind of “thing out there,”—as an object of scientific investigations, of a-dventurous explorations, or even of exploita-tions. “Ecosophy,” in contrast, resonates withthe “cosmotheanthropic” appreciation of theunity of the world (cosmos), the sacred (or thedivine, theos), and human beings (anthoro-

1 Raimon Panikkar, The Rhythm of Being (Maryknoll,New York: Orbis Books, 2010), p. 353.2 Ibid., p. 352.

poi). We are an integral part of the universeand everything is “inter-independently” rela-ted to everything else.3 In the traditional wor-ldview of Japan that was familiar to our poetBashō, the cosmotheanthropic unity was anunspoken premise, in which the dimension of“theos” was highly attenuated into sacred andawe-inspiring qualities typically found in natu-re.

The Japanese master haikai-poet Ma-tsuo Bashō (1644-1694) embodied the“ecosophical” awareness through andthrough. He may even be called an “ecoso-phist” par excellence, with the caveat thatsuch appellation be not confounded with theancient Greek “sophists.” Bashō viewed notonly his existence but also the entire universeto be on an incessant journey (viaggio). Hecalled the sun and the moon “eternal travel-ers.”4 On a personal level, going on a journey

3 Ibid., p. 404. Panikkar often quoted his favorite San-skrit saying: “All is inherent in all.”4 Bashō, Oku no hosomichi 『奥の細道』 [An narrowroad to Oku],月日は百代の過客にして、行かう年も又旅人也。Asō Isoji 麻生磯次, ed., Oku no hosomichi, ta yonhen

ECOSOPHY, RAIMON PANIKKAR,AND BASHŌ’S NATURE-AESTHETICSMichiko Yusa

Michiko Yusa(video)

Marcello Ghilardi

Page 111: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

111

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

gave him the opportunity to come closer tonature, which heightened his aesthetic sensi-tivity and enlivened his creative perception,and in that setting he was able to explore thelimits of his artistic creativity. Going on a jour-ney also forced him to practice his ideal of de-tachment from material comfort. While in thebosom of nature, he tapped into the wisdom(sophia) of nature (oikos), as he came close tothe heartbeat of nature.

Bashō was most successful in leadingthe way to transforming the art of haikai(commonly known as “haiku” today5—theseventeen syllable poetry), from a literarypastime to a path of serious art, to the pursuitof which one could dedicate one’s entire life.In his younger years, he sported in the witty“Teimon school” style of verse-making, fromwhich he moved on to the “Danrin school” ofversifying, which aimed at more refined ex-pressions, which, nevertheless, were oftenaimed at impressing the public. Still dissatis-fied with the Danrin school, his quest for au-thenticity and poetic integrity drove him awayfrom any of the established schools. The focusof his poetizing shifted to the unchartered ter-ritories. In around 1680, his singular style ofhaikai came to be recognized as the “Shōfūstyle,” or the “style after Bashō,” and dedi-cated disciples gathered around him. Al-though Bashō was a seeker of solitude, hemost gladly received disciples and enjoyedtheir company.

『奥の細道、他四編』[The Narrow Road to Oku andfour other essays], (Tokyo: Ōbunsha, 1970), p. 10.5 “Haikai” is the same as “haiku”; “haiku” is a modernword that became common around the turn of the 20th

century.

I. Nature and Art

The more Bashō pursued his art withsincerity, the more bottomlessly the creativemystery of haikai revealed itself to him. Hestudied with a Rinzai Zen master, Bucchō(1642-1716), for a couple of years in the early1680s, which helped him hone his awarenessof the oneness of all sentient and non-sentient beings. It became progressively clearto him that nature, of which human beingsare part, was the source of life and spiritualillumination, and as such the source of artisticinspiration. Among the many things “nature”exemplified for Bashō, it presented the man-ner of being beyond the world infused withpetty assertions and pride of the individual-ego, and he found in nature a model for an artthat was void of artificiality and contrived ex-pressions.

Unlike the dominant European tradi-tions that tended to set apart art and nature,or culture and nature, in East Asian religioustraditions nature has been understood as thelife-giving force that permeates the entirehuman activities, and the role of art was tocapture nature. Nature gives human beingsdaily and seasonal rhythms of life, and unfoldsa full panorama of constantly changing vistas.The modern Japanese word for “nature”(“shizen”自然) was not in Bashō’s lexicon. In-stead, he employed a word, zōka 造化,6

“creation-transformation,” and kenkon no hen乾坤の変,7 “the mutation of yang and yin

6 “Zōka” is pronounced “zaohua” in Chinese. This ex-pression is found in The Zhuangzi. In today’s Chinesethis word designates “Heaven (tian),” which createsand nurtures everything, as well as “happiness.”7 “Kenkon” is pronounced “qiankun” in Chinese. “Ken”is the first hexagram of The Yijing, representing the dry

Page 112: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

112

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

principles”—both words he adopted from theancient Chinese Daoist philosophy.

Beckoned by the “wind” that stirred thecore of his being, Bashō first set out on anambulatory journey in 1684, accompanied byChiri, one of his disciples. This trip culminatedin a travel journal, “Nozarashi kikō” (“the re-cord of exposure to the weather,” or The Re-cords of a Weather-Exposed Skeleton8). Hewent on other major journeys in 1687 (a shortexcursion to Kashima), in 1687-88 (a half-ayear visit to the western part of Japan, and areturn to his abode in Edo, today’s Tokyo, byway of Sarashina), and in 1689 (a long ex-tended trip to northern Japan), which he ex-tended into his stay in 1690 and 1691 in theKyoto area. He returned to Edo in 1691, onlyto set out again on his final journey in 1694,during which time he succumbed to illnessand died “on the road.” He left his parting-haikai:

“Stricken by illness on a journey,my dreams still run wildin the withered fields”

tabi ni yandeyume wa kareno o

kakemeguru.9

land, and the male principle of strength and sturdiness,while “kon” is the second hexagram, representing thewet dark land, and the female principle of softness andyielding.8 See Nobuyuki Yuasa, trans. & intro., Bashō, The Nar-row Road to the Deep North and Other Travel Sketches(Harmondsworth: Penguin Books, 1983).9 The original reads:旅に病で、夢は枯野をかけ廻る. See Imoto Nōichi井本農一 & Hori Nobuo 堀信夫, ed., Matsuo Bashōshū 『松尾芭蕉集』[Collected works of Matsuo Ba-shō] vol. 1 (Tokyo: Shōgakukan, 1995), p. 502.

The writings that came out of his jour-ney of 1687-1688 were posthumously pub-lished in around 1703, with the title that hehad given them—“A small bundle of essays inthe backpack” of “Oi no kobumi” 笈の小文(also The Records of a Travel-Worn Satchel10).This work, whose existence had only beenknown to a select few disciples during his life-time, contains important passages that sum-marize Bashō’s reflections on art in generaland the path of haikai in particular. Finding apersonal affinity with iconic Japanese artistsof the past, Bashō declares that the mind thatobeys “nature” is shared in common by allthese great artists; that “nature” is their con-stant companion; and that nature is theabode to which they return. The names, Sai-gyō,11 Sōgi,12 Sesshū,13 and Rikyū,14 to whomBashō pays tribute, are all celebrated Japa-nese poets and artists, and may very roughlybe comparable in importance (but not in theirparticular individual achievements) to suchItalian master artists as Petrarca, Botticelli,Michelangelo, and Leonardo da Vinci. Bashō’stext reads:

There is one common thread that runsthrough the thirty-one syllable poetry(waka) of Saigyō, the linked verse (renga) ofSōgi, the paintings of Sesshū, and the art oftea ceremony (cha) by Rikyū. Moreover,those who engage in the path of art (fūga)

10 Ibid.11 1118-1190; he was a waka poet, known for his ex-tensive travels and superb nature poetry.12 1425-1502; he was an accomplished renga poet.13 1420-1506; he was a splendid monochrome land-scape painter.14 1522-91; he was the celebrated tea master, who per-fected "wabi-cha," a style of tea ceremony, whichstripped anything superfluous from the opulent style oftea ceremony to distill the essential feature of the “wayof tea.”

Page 113: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

113

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

follow nature (zōka) and take the fourseasons as their friends.

Wherever artists look, there is no placewhere they do not see flowers [i.e., beauty];whatever they contemplate, no moon [i.e.,clarity and truth] is absent. If they do notfind flowers in what they see, their mind isthat of uncivilized creatures and not ofhuman beings. When their contemplation isnot on the moon, their mind is that of wildbeasts. Moving out of the uncivilized stateand leaving behind the beastly state, artistsmust follow, and return to, nature (zōka).15

Bashō calls the arts as “fūga ” 風雅—“fū” meaning “wind,” and “ga” meaning “ele-gance,” and therefore “fūga” literally means“wind[like]-elegance.” An art as an elegantrendition of the invisible “wind” is the “art”that is truly worthy of its name. “Wind” was afond symbol Bashō adopted often, and heeven occasionally likened his inner self to anamorphous restless creature that was easilyblown away and tattered by the wind—fūrabō風羅坊. “An art defined as fūga” is inex-haustible by conceptual descriptions, sinceone cannot pinpoint a substantive referent interms of a conceptual object. As such, it defiesmental categorization and reductionism. Likea breath of fresh air, the moment one thinks

15 The original Japanese text and the interpretation inmodern Japanese language of the Oi no kobu-mi『笈の小文』 is taken from Asō Isoji 麻生磯次, ed.,Bashō, Oku no hosomichi, ta yonhen, op. cit., pp. 126-127.西行の和歌における、宗祇の連歌における、雪舟の絵における、利休が茶における、其貫道する物

は一なり。しかも風雅におけるもの、造化にしたが

いて四時を友とする。見る処、花にあらずという事

なし。おもう所、月にあらじという事なし。像花に

あらざる時は、夷狄にひとし。心花にあらざる時は

鳥獣に類す。夷狄を出、鳥獣を離れて、造化にした

がい造化にかえれとなり。The English translation is bythe author, unless otherwise indicated.

one has got it, it is nowhere to be found inone’s hand. This kind of use of words eludestoday’s post-Enlightenment scientific mental-ity that is not satisfied until we conceptualizeand apprehend the “objects” and sort themout according to our prescribed mentalscheme. Bashō’s use of words moves awayfrom a “conceptualizing” use of words, and inthat process words regain their “poetic”power, not only in haikai poetry but also in hisprose. Panikkar would call this a “symbolic”use, as opposed to a “conceptual” use, of lan-guage.

As mentioned earlier, the word “zōka”造化 is equivalent to what we today mean by“nature.” Bashō adopted it from the ancientChinese Daoist philosopher, Zhuangzi. Bashōalso used an expression, “zōka no tenkō”造化の天工, “the ingenuous heavenly crea-tor,” a work by some ancient Shinto deitysuch as Ōyamazumi (deity of “piling up moun-tains”).16 In a naturalistic world without amonotheistic creator god, “nature natures,”as it were, and that fact of incessant creationitself is marveled with most reverence. Thisacknowledgement of the creative aspect ofnature may be similar to what Panikkar called“creatio continua”—an idea evolved out of hiscosmotheanthropic vision.17 The modernJapanese word for nature “shizen”18 was usedat the time of Bashō to mean “of itself,”“spontaneously,” and hence, “naturally”—this

16 Bashō, “Oku no hosomichi,” in Asō Isoji, ed., op. cit.,p. 44.17 R. Panikkar, op. cit., pp. 2-3: “I mentioned the idea ofa creatio continua, as the radical newness of each‘moment’—not only of time but also of space, and ul-timately of reality.”18 The word自然, when pronounced “jinen,” still meansin modern Japanese “from of itself,” or “out of itself,”and in that sense, “naturally” without external forces.

Page 114: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

114

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

meaning is close to Latin “naturaliter.” Inshort, “nature” for Bashō was the source oflife and the font of arts. Therefore, it is easy tosee why he asserted that authentic artists lis-ten to it, follow it, and return to it in order todraw their creative energies from it.

Bashō’s ecosophical appreciation of thepath of art includes the warm camaraderieamong those who share this appreciation ofnature and art. The poet’s mind that engagesin haikai as “fūga” is a convivial mind thatcherishes not only nature but the company oflike-minded friends. Bashō, being convincedthat the path of poetry-composition had ahumanizing effect on the poet, highly recom-mended it. He even entrusted a word to aformer disciple, who had left him out of dis-agreement, not to give up his haikai art, for itwould keep him in touch with his colleagues,and would prevent him from becoming acoarse person.19 It should be mentioned herethat, taking after the tradition of the thirty-sixpoetry-composition (waka), which cherishedthe gatherings of poets at special occasions ofthe season or even a competition of poetry-composition (known as “utaawase”), the hai-kai artists held similar gatherings at variousoccasions, and more formal gatherings wereknown as “kuawase.” For the art of haikai, notopic is off-limit, insofar as it does not hurt thefeelings of the people present at the poetrygatherings. It is said that Bashō never men-tioned the word “deaf,” in consideration ofthe fact that one of his dear disciples Sampūwas hard of hearing. This is yet another ex-

19 Nose Asaji 能勢朝次, Sanzōshi hyōshaku『三冊子評釈』[Sanzōshi & commentary] (Tokyo: San-seidō, 1955), section 186, pp 376-378. Hereafter, thiswork will be cited simply as Sanzōshi.

ample of how a path of art for Bashō was thatof humanity and not of the uncivilized crea-tures.

II. Nature as the Source of Art

We saw thus far that for Bashō the art-ists’ task was to render the knowledge pos-sessed by the earth (eco-sophy) into their arts.He was neither a pedagogue nor a theoreti-cian, and therefore he did not leave a hand-book on “how to compose a good poem.” Buthis profound knowledge and precious advicefortunately come down to us thanks to thepen of such distinguished disciples as MukaiKyorai (1651-1704) and Hattori Dohō (1657-1730). One of the important works on Bashō’shaikai poetics is a booklet compiled by Dohō,called the Sanzōshi (Three Notebooks, pub-lished in 1776, years after Dohō’s death).Therein, we find Bashō’s words as well asDohō’s insightful commentary on the master’sphilosophy of haikai composition. We readtherein how Bashō, the ecosophist, ap-proached and engaged in his poetry composi-tion. In the following, by closely reading someweighty passages from the Sanzoshi, we shallcome to touch on the essential teachings ofthe master.

(a) Tempiternity of poetry

Bashō was convinced that good haikaipoems must have “refreshing” and “new”elements, by moving away from hackneyedexpressions and conventional locutions.Moreover, if this quality of freshness is genu-ine, it should emanate from within the artist’sown being and have the power to withstandthe passage of time. Towards the last years ofhis life, he came to speak about the quality ofthe unchanging and the new in his art, or

Page 115: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

115

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

“fueki ryūkō” 不易流行. A poetic expressionmay be current and contemporary and yet canhave an “eternal quality” that can transcendthe “fashion” of the day.

We can fathom this idea somewhat eas-ier if we resort to a concrete example. Let ustake the music by the Beatles. Some of their“hits” in the 1960s are today’s “classics,”never having become old or stale. The reasonseems that those tunes that captured the au-dience in those days as new and excitingmanaged to have the universal quality thatcontinues to impart pleasure to the listenerseven today, half a century later. Bashō cameto hold this conviction about the tempiternalquality in the art of haikai. He tirelessly nur-tured his inner artist to express his art in anew way, while trying to reach the quality oftempiternity. In order to achieve that end, themind had to be flexible and free of conceptualbiases. How does one attain such a universalquality? Bashō’s answer was simple: “By as-siduous practice,” which consisted of develop-ing one’s overarching awareness of any givenmoment, and capturing what hits one’ssenses by way of words.

On the question of the relationship be-tween “the old and the new” or the tradi-tional and contemporary expressions in art,Bashō found the Japanese Buddhist masterKūkai’s (774-835) words on calligraphy tohave captured this point brilliantly. His wordsto his beloved disciple Kyoroku reveals thisfact: “Do not seek to follow in the footsteps ofthe artists of old; seek what they sought—justas Master Kūkai commented on the art of cal-ligraphy.”20 These words, dating from 1693—

20 “Farewell words to Kyoroku, or Saimon no ji,”

only a year before Bashō’s death—can beconsidered to summarize his final view on thismatter.

(b) Keep your mind high, and return tothe daily activities

Bashō advises that for the compositionof a good poem, it is essential to keep one’smind above trivial affairs of the daily life.When we can maintain equanimity and self-disinterestedness, our mind is free from wor-ries and mundane burdens, and can becomeflexible and responsive to the artistic stimuli.If we return to the midst of one’s daily activi-ties, while retaining this kind of transcenden-tal mental attitude, we will be able to stay intouch with the deep source of authentic crea-tivity. This kind of mental attitude may becompared to the awareness of “sacred secu-larity,” of which Panikkar spoke. Bashō’swords recorded by Dohō read:

Keep your mind high in the world oftrue understanding, and return to the worldof daily experience. If you doggedly pursueartistic (“fūga”) sincerity and understand it,whatever attempt you will make will beturned into your haikai poem. If youconstantly dwell in the artistic path(“fūga”), the impression (iro)21 of your

許六離別の詞、柴門の辞, 1693. For an English trans-lation, see “The Rustic Gate,” Ryūsaku Tsunoda, et al.,ed., Sources of Japanese Tradition, (New York & Lon-don: Columbia University Press, 1971) pp. 458-459. TheJapanese text consulted is in Murata Haruo 村田治夫,Bashō haibun nikki kikō hairon yōkai『芭蕉俳文・日記・紀行・俳論要解』[Selectionfrom Bashō’s prose, travel diary, and on the poetics ofhaikai], (Tokyo: Yūseidō, 1967), p. 81.古人の跡をもとめず、古人の求めたる所をもとめよ

。と、南山大師の筆の道にも見えたり。21 The Japanese word “iro,” means color or hue, and itmay have a resonance with the Sanskrit “rūpa” of “nā-

Page 116: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

116

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

contemplating mind will take on a tangibleform (mono), and your verse will take itsown shape. When you are in this state,things come to you naturally, and nothing isamiss.22

Bashō also said, “The merit of haikai isto raise the ordinary words to its rightfulplace. Never trivialize anything.”23 Bashō’shaikai, such as “Deep in the autumn, I won-der, my neighbor, what does he do for living?”(Aki fukaki, tonari wa nani o, suru hito zo)shows how ordinary words, such as“neighbor” and “what does he do for living”are elevated to a new height, as the wholepoem is imbued with a sense of stillness andloneliness that Bashō deeply felt in one latequiet autumn night. This elevation of the or-dinary to a poetic “depth” was a very uniquecontribution Bashō was able to make in hisart. He was certainly not an iconoclast, how-ever, and set a certain parameter. Not allwords were appropriate under certain cir-cumstances, as briefly mentioned above.Moreover, because haikai poetry was oftencomposed at a gathering of several poetswhere each would come up with a new verseto follow the earlier verse in promptu (whichwas done in the fashion of “renku” or con-necting verses), there were certain protocolsBashō felt were essential. For instance, on theoccasion of the celebration of a newly built

ma rūpa”—which generally means “appearance.” It istranslated as “impression” here.22 Sanzōshi, Nose Asaji, op. cit., p. 97.高く心をさとりて俗に帰るべし。常に風雅の誠を

せめさとりて、今なす処俳諧に帰るべし。常風雅

にいるものは思う心の色、物となりて、句姿定る

ものなれば、取物自然にして仔細なし。23 Sanzōshi, section 177, Nose Asaji, op. cit., pp. 365-366.俳諧の益は俗語を正す也。つねに物をおろそかに

すべからず。

house, words related to fire that could de-stroy the house—fire was quite common dur-ing the Edo period and thus was feared—wereto be avoided by way of considerate eti-quette.24 He also advised that such words bediscarded as “killing (a person),” “killing with asword,” and “tying up (a person) with arope”—not because of the words themselvesbut because of the “baseness” of the mindthat would even conceive such actions.25

(c) Go to a Pine Tree-remove your privatepreconceptions

How do poets gain the knowledge ofthe “subject” of their poetry? Bashō had thefollowing famous advice on this point: “As fora pine tree, learn it from a pine tree; as for abamboo, learn it from a bamboo.” Dohō re-corded these words, followed by a reflectionof his own:

“About a pine tree, learn from a pinetree. About a bamboo, learn from abamboo.” That is to say, we must leave oursubjective preoccupations (shii) behindwhen composing poetry. If wemisunderstand what the master meant by“learn,” we end up going greatly astray.What the master said “to learn” is this:when we enter into the object and glimpseits hidden glimmering, poetry issues forth ofits own accord. However nicely phrased ourpoetry may be, if it does not flow out of thething naturally (shizen), the thing and theself remain separate, and the feeling falls

24 Ibid., section 21, pp. 65-66.新宅の会に、燃る、焼など火の噂、...いむべ

き心遣いと也。25 Ibid., section 17, pp. 58-59.人を殺す、切る、しばるなどの類は用捨すべし。

Page 117: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

117

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

short of sincerity. Such poetry is nothing buta product of artificial fabrication.26

Bashō’s words—“About a pine tree,learn it from a pine tree; about a bamboo,learn it from a bamboo”—seem deceptivelysimple and convincing. And yet, how are weto understand this teaching? Dohō explains:we must remove our subjective preconcep-tions or private arbitrariness (“shii”私意), i.e.,dogmatism. “Shii” also includes our worldlyambitions, such as the thought of producing afine poem in order to earn fame. Bashō’swords echo the Zen master Dōgen’s famoussaying: “To ‘learn’ Buddhism is to learn aboutoneself. To learn about oneself is to forgetoneself. To forget oneself is to be illuminated(and enlightened) by all things” (“Genjōkōan,” Shōbōgenzō).27 “Learning” in the ZenBuddhist context has to take place in the formof “practice.” Likewise, the practice of haikaicomposition begins with “getting rid of” pre-conceptions and ego-centric dogmatism. It isbecause of the importance of the practice,which the path of traditional arts in Japan re-quires, artistic pursuits have often been com-pared to a religious practice—both paths in-

26 Sanzōshi, section 31m Nose Asaji, op. cit, pp. 97-98.Emphasis added.松の事は松に習え、竹の事は竹に習え。私意をはな

れよという事なり。この習えという所を、おのがま

まにとりて、終に習わざる也。習えと云うは、物に

入てその微の顕て情感るや、句となる所也。たとえ

物あらわらに云出ても、そのものより自然に出る情

にあらざれば、物と我二つになりて其情誠にいたら

ず。私意のなす作意也。27 Masutani Fumio 増谷文雄, trans. into modern Japa-nese, Gendaigo-yaku, Shōbōgenzō 『現代語訳

正法眼蔵』[Shōbōgenzō, accompanied by a modernJapanese reading] , vol. 1, Genjō kōan現成公案(Tokyo:Kadokawa Shoten, 1973), p. 27.仏道をならふといふは、自己をならふ也。自己を

ならふといふは、自己をわするるなり。自己をわ

するるといふは、万法に証せらるるなり。

deed require commitment, self-discipline, andproper guidance of a master.

The verb “to learn” (narau) here meansnot so much as to “study” as to “practice theskill until one acquires it by embodying it.”This meaning is clear in English when we say:“I want to learn piano.” It means I want tolearn to play the piano, which begins with thepractice of basic skills over and over again, un-til I get it. Likewise, what is meant by “tolearn” here by Bashō is to “practice” with ourbody and mind to acquire the needed skills. Itis to embody the knowledge of what we aretrying to express through the art form. Whatdoes it mean then to “learn about a pinetree”? How do we “acquire and embody apine tree”? How are we to “practice a pinetree”?

Dohō’s next line looms significant, as itsheds light on this question. Dohō wrote:“What the master said ‘to learn’ is this: whenwe enter into the object and glimpse its hid-den glimmering, poetry issues forth of its ownaccord.” Here, a philosophical analysis of “ac-tion-intuition (kōiteki chokkan 行為的直観),developed by the Japanese thinker Nishida Ki-tarō (1870-1945), helps us understand betterwhat Bashō meant. Nishida describes the “ac-tion-intuition” in many different ways: “Wesee a thing by our action; while the thing de-termines me, I determine the thing. That is ac-tion-intuition.”28 And again: “Technique (gi-jutsu, techne) means that I become the thingand work. I become the thing and the thing

28 Nishida Kitarō, “Kōiteki chokkan no tachiba,” [Thestand point of action-intuition] (1935) Shimomura To-ratarō et al., ed., Nishida Kitarō Zenshū [Collectedworks of Nishida Kitarō] (hereafter NKZ) (Tokyo: Iwa-nami Shoten, 1979), vol. 8, p. 131.

Page 118: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

118

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

becomes the I. I work by seeing, and I see byacting. It is active-intuitive.”29 He came toparaphrase this insight in shorthand formulaas: “We think, having become a thing, and weact, having become a thing” (mono to nattekangae, mono to natte okonau).30 “Action-intuition” points to the mode in which our ac-tion and intuition are mutually integral toeach other. This idea is nicely illustrated by aconcrete example of playing soccer.31 When aball comes to him, he intuitively knows exactlywhere to kick it to pass it to the other mem-ber of the team, or which part of the goal toshoot it with what angle to score a point. Theball and the kinetic body-movement of theplayer, the rule of the game (knowledge), andthe concrete perception of where the ball ison the field—all form a seamless presentmoment in a total picture. Instantaneously,the player plays the ball without taking a mo-ment to reflect on it in order to analyze thesituation. If he hesitates even a split second,he would lose the ball to the opponent. Theposition of the ball, the position of his oppo-nents and team members, and his physicalskills are all intertwined in an interpenetratingway, and his perfect pass or kick would con-tribute to the satisfying unfolding of thegame.

29 Nishida Kitarō, “Poieshisu to purakushisu” [Poiesisand Praxis] (1940), NKZ vol. 10, p. 158.30 Nishida Kitarō, “Chishiki no kyakkansei ni tsuite” [Onthe objectivity of knowledge] (1943), NKZ vol. 10, p.404. Sometimes he paraphrases this as: “mono to nattemi, mono to natte hataraku” (Becoming a thing I see,becoming a thing I work.” These varying expressionsmean essentially the same phenomenon.31 This example arose out of a class discussion with astudent of mine, who is a semi-professional soccer pla-yer.

If we can apply this Nishidan insighthere to what Bashō is saying, we may para-phrase the inner dynamism of “learning froma pine tree” as follows. When I become onewith the pine tree, I, in direct contact with thepine tree, am incited to come up with certainexpressions. A poem writes itself, as it were,out of this close encounter.

How do I know what I “glimpse” in thepine tree is not my personal illusion or somesort of subjective fabrication? Dohō’s next lineaddresses this question: “However nicelyphrased our poetry may be, if it does not flowout of the thing naturally (shizen), the thingand the self remain separate, and the feelingfalls short of sincerity. Such poetry is nothingbut a product of artificial fabrication.” If thereis even a smidge of ego-assertion, the versewill result in an over-wrought expression. Tobecome one with the thing is to understandit—or to “stand under it,” as Panikkar sofondly used to say. To embrace a pine tree isto shed my boundaries and expand my con-sciousness to embrace the other, and at thatmoment, the other is no longer the other buta me. By “embracing” the pine tree, I am infact “being embraced” by the pine tree.

This selflessness as the necessary re-quirement for writing a fine piece of haikaimay also be illustrated by a story from theZhuangzi, the ancient Chinese Daoist text at-tributed to the philosopher by the samename. Bashō loved Zhuangzian naturalistic at-titude. Here is a story of the “WoodcarverQing.”

Woodworker Qing of Lu, carved a pieceof wood and made a bell stand, and when itwas finished, everyone who saw itmarveled, for it seemed to be the work of

Page 119: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

119

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

gods or spirits. When the marquis of Lu sawit, he asked, “What art is it you have?”

Qing replied, “I am only a craftsman—how would I have any art? There is onething, however. When I am going to make abell stand, I never let it wear out my energy.I always fast in order to still my mind. WhenI have fasted for three days, I no longerhave any thought of congratulations orrewards, of titles or stipends. When I havefasted for five days, I no longer have anythought of praise or blame, of skill orclumsiness. And when I have fasted forseven days, I am so still that I forget I havefour limbs and a form and body. By thattime, the ruler and his court no longer existfor me. My skill is concentrated and alloutside distractions fade away. After that, Igo into the mountain forest and examinethe heavenly nature of the trees. If I findone of the superlative forms, and I can see abell stand there, I put my hand to the job ofcarving; if not, I let it go. This way I amsimply matching up ‘heaven’ with ‘heaven’[that is, matching up my own innate naturewith that of the tree]. That’s probably thereason that people wonder if the resultswere not made by spirits.”32

(d) A fundamental difference between“letting it be” and “forcing it to be”

For Bashō, there was a clear distinctionbetween forcing a verse to form itself and let-ting it take its own form. Bashō often spokeabout the fundamental difference betweentwo verbs “[a situation] comes to pass” or “itbecomes” (naru) and “I do” (suru). These are

32 Burton Watson, trans. Chuang Tzu Basic Writings,(New York & London: Columbia University Press, 1964),pp. 126-127. The spelling in the original was Ch’ing,which is changed to pinyin, Qing.

two opposite directions associated with hu-man creative activities. One is to force a formto take its shape, and the other is to let a formtake its own shape. Bashō, deeply resonatingwith the Zhuangzian spirit of “wuwei 無為”(riddance of unnecessary artificial actions),used to say:

The constant interplay of the positiveand the negative elements (i.e., yang andyin elements in nature) can be described asthe “seeds” of art (fūga). What is quiet andunmoving is the appearance of theimmutable. What is dynamic and movingbelongs to the mutable. If you do notcapture (tomeru) the moment, it will notremain (todomaru) in your memory. “Tocapture” means to commit it to your visualmemory and write it down. Even thesplendid scattering of spring flowers orfalling of autumnal foliages, if you are not inthe midst of it to commit it to your mentalimage and write it down, how can suchscenes be retained in your memory? Livingthings disappear without a trace.

Dohō continues and cites the master’swords:

You must capture a thing by way ofwords, before the glimmer of the thingdisappears from your mind. Also, there is atechnique to start a verse with the wordsthat best captures the wonder of the thing.That is to say, while the impression of thething is still warm in your mind, write itdown, and later revisit it in order to polishit.

In verse-making, there are twoapproaches: “to become” (naru) and “todo” (suru), If you constantly cultivate yourinner awareness to meet a thing, theimpression (iro) of your mind will take on averse. If you do not constantly cultivate

Page 120: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

120

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

your inner awareness, it will not lead to agood verse, and therefore you end up“making” a verse with the help of yoursubjective will (shii).33

Bashō emphasized just to jot down anyimpression, in order to capture the image of asubject. So long as you have a rough sketch ofthe scenery, you have something to remem-ber it by, and it will enable you to compose asatisfying poem about it later. Any poet mustcapture a moment with words, and put theimpression and observation into some keywords so as not to let the fleeting momentspass.34 Also, any poet must cultivate a powerto observe any scenery in a penetrating man-ner, with utmost clarity and accuracy into thedetails. A vague memory of the setting wouldnot do. This ability to have a mental snapshotof a scenery is gained only after years of in-tense practice of training the mind to observein detail.35

33 Sanzōshi, section 33, Nose Asaji, op. cit., p. 115.師の曰、乾坤の変は風雅のたね也といえり。静な

るものは不変の姿也。動るものは変也。時として

とめざればとどまらず。止るというは、見とめ聞

とむる也。飛花落葉の散乱るも、その中にして見

とめ聞とめざれば、おさまることなし。その活た

るものだに消て跡なし。又、句作りに師の詞有。

物の見えたるひかり、いまだ心にきえざる中にい

いとむべし。又、趣向を句のふりに振出すという

ことあり。是その境に入て物のさめざるうちに取

て、姿を究る教也。句作になるとするとあり。内

をつねに勤て物に応ずれば、その心のいろ句とな

る。内をつねに勤ざるものは、ならざる故に私意

にかけてする也。34 Sanzōshi, section 171, p. 356, and section 176, pp.363-364.35 Nose Asaji’s comment on section 33 of Sanzōshi, op.cit., pp. 120-121.

III. Concluding Remarks, Ecosophy, Panik-kar, and Bashō

As we saw above, because of his“ecosophical” bend, Bashō progressively feltchoked by his city dwelling and began to makeextended journeys into nature. Journey forhim was not an act of exploration or adven-ture, but the way to tune his being and per-ception with nature. His sensibility towardsnature is informed by the native Japanese at-titude towards nature, namely, nature issomething that nurtures, gives a bounty ofblessings, is ever new and ever fresh, but oc-casionally reminds us of our frail and precari-ous place within it. Bashō also seems to haveconsidered his journey to have a religious as-pect, as Zen monks of olden days used totravel—known as “angya” 行脚—from mon-astery to monastery, in search of a masterunder whom each could best practice to pur-sue the path of awakening. Travel occasionallyexposed Bashō to the untamed elements,which were at times truly terrifying. He had toovercome the fear of falling off a cliff or beingdrowned by whitewater rapids. No doubt,such experiences came to him as an acute an-tidote to human hubris. Bashō was not a pure“nature” poet, in that his attention alwaysembraced everyday human activities, as wellas the historical events of the past.

The legacies of the ancients came toBashō as a kind of affirmation in the ever-changing world. He would be deeply movedby the enduring human artifacts whenever hewould come upon them. During his trip of1689 to the northern part of Japan, when hecame across a forgotten stone monument,which he discovered from the inscription wasdating from the eighth century at the ancient

Page 121: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

121

Raimon Panikkar Session - Michiko Yusa

fortress of Tagajō, the sense of encounterwith the ancients overwhelmed him. Hewrote:

Many place names have beenpreserved for us in poetry from ancienttimes, but mountains crumble and riversdisappear, new roads replace the old,stones are buried and vanish in the earth,trees grow old and give way to saplings.Time passes, the generation changes, andthe remains of the past are often shrouded.And yet here before my eyes was themonument, a memory of the ancients of athousand years ago. I felt as if I had aprivileged look into the heart of the ancientpeople. This is one of the rewards of traveland the joy of living to an old age.Forgetting the weariness of my travel, I wasmoved to tears.36

We may conclude this essay by making abold assertion that consciousness that per-meates the world and nature (cosmos) is lar-ger than human consciousness. It cutsthrough the matter, and bridges the sentientand non-sentient beings, as well as the pastand the present. This was perhaps at the coreof the “cosmotheanthropic” vision that Rai-mon Panikkar savored and lived. A similar in-tuition also kindled Bashō’s life and energizedhis creativity in so different a century in sodistant a culture—and yet, perhaps, not so

36 Oku no hosomichi in Asō Isoji, Oku no hosomichi, op.cit., pp. 38-40.むかしよりよみ置ける歌枕、多く語り伝うといえ

ども、山崩れ、川流れて道あらたまり、石は埋も

れて土にかくれ、木は老いて若木にかわれば、時

移り代変じて、其跡たしかならぬ事のみを、爰に

至りて疑いなき千歳の記念、今眼前に古人の心を

閲す。行脚の一徳、存命の悦び、羇旅の労をわす

れて泪も落つるばかり也。

different or distant, after all, “sub specieecosophiae.”

References:

Asō Isoji 麻生磯次, ed. Bashō, Oku no hosomichi, tayonhen [The Narrow Road to Oku and four other es-says], (Tokyo: Ōbunsha, 1970).

Imoto Nōichi 井本農一 & Hori Nobuo 堀信夫, ed. Ma-tsuo Bashō shū 『松尾芭蕉集』[Collected works ofMatsuo Bashō] vol. 1 (Tokyo: Shōgakukan, 1995).

Masutani Fumio 増谷文雄, trans. into modern Japa-nese. Gendaigo-yaku, Shōbōgenzō 『現代語訳

正法眼蔵』[Shōbōgenzō, accompanied by a modernJapanese reading], vol. 1 (Tokyo: Kadokawa Shoten,1973).

Murata Haruo 村田治夫. Bashō haibun nikki kikō hai-ron yōkai『芭蕉俳文・日記・紀行・俳論要解』[Selectionfrom Bashō’s prose, travel diary, and on the poetics ofhaikai], (Tokyo: Yūseidō, 1967).

Nishida Kitarō 西田幾多郎. “Kōiteki chokkan notachiba”行為的直観の立場 [The standpoint of the ac-tion-intuition] (1935), in Shimomura Toratarō下村寅太郎, et al., ed., Nishida Kitarō Zenshū『西田幾多郎全集』[Collected works of Nishida Ki-tarō] vol. 8 (Tokyo: Iwanami 1979), pp. 107-218.

__________. “Poieshisu to purakushisu”ポイエシスとプラクシス [Poiesis and Praxis] (1940),Nishida Kitarō Zenshū, vol. 10, pp. 124-176.

__________. “Chishiki no kyakkansei ni tsuite”知識の客観性について [On the objectivity of knowl-edge] (1943), Nishida Kitarō Zenshū, vol. 10, pp. 343-476.

Nose Asaji 能勢朝次. Sanzōshi hyōshaku『三冊子評釈』[Sanzōshi & commentary] (Tokyo:Sanseidō, 1955).

Panikkar, Raimon. The Rhythm of Being (Maryknoll,New York: Orbis Books, 2010).

Tsunoda, Ryūsaku, et al. ed. Sources of Japanese Tradi-tion, (New York & London: Columbia University Press,1971).

Yuasa, Nobuyuki, trans. & intro. Bashō, The NarrowRoad to the Deep North and Other Travel Sketches(Harmondsworth: Penguin Books, 1983).

Watson, Burton, trans. Chuang Tzu Basic Writings,(New York & London: Columbia University Press, 1964).

Page 122: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

122

Raimon Panikkar Session - Victorino Pérez Prieto

Good morning,

Let me start with a greeting to thepanikkarian colleagues and other scholarspresent at this meeting. I would like toexpress my gratitude to the organization ofthis First CIRPIT International Colloquium“Between Intercultural Philosophy andComplexity”, dedicated to the great teacher,colleague and unforgettable friend who wasRaimon Panikkar. I have had the privilege ofsharing life and thought with him and withhim I have learnt to position myself better inmy relation with God and the world.

I have titled my talk “Thecosmotheandric structure of reality. The partand the whole. Invisible harmony andecosophy”. I want to start this talk with somesignificant words from Raimon Panikkar,which express the reason for this title:

“We no longer can live into isolatedcompartments and narcissisticaly installedin a detachment that lacks to be splendid tobecome miserable... The way is theinterconnection of everything witheverything, as practically all mysticsunderline”1.

1st point. The part and the whole.Particularism and universality.Ontonomy versus heteronomy and autonomy.

“Colligite quae superaveruntfragmenta, ne pereant” (Jn 6, 12). Thissentence from Jesus of Nazareth – sentencewhich Raimon Panikkar really liked2– puts anend to the story of the multiplication andsums up the foundations of Panikkar'sthought. That is to say, the need to integratethe whole reality in all its dimensions; to

1 R. Panikkar,“¿Mística comparada?”, en VV AA, Lamística en el siglo XXI, Madrid 2002, 228.2 “Colligite Fragmenta: For an Integration of Reality”,From Alienation to At-Oneness, ed. F. A. Eigo, TheVillanova University Press, 1977.

THE COSMOTHEANDRIC STRUCTURE OF REALITY: THE PARTAND THE WHOLE. INVISIBLE HARMONY AND ECOSOPHYVictorino Pérez Prieto

Victorino Pérez Prieto(video)

Victorino Pérez Prieto, Doctor of TheologyUniversità Santiago de Compostela, Spagna.

Page 123: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

123

Raimon Panikkar Session - Victorino Pérez Prieto

collect scattered fragments, even the smallestones, even if they are just bits; to reconstructthe harmonic whole from which they havebeen split: “Nothing is rejected, nothing is leftaside. All is comprehensive, assumed,transfigured... It is a question of thinkingabout all the fragments of our current worldto gather them in a non monolithic butharmonic set” 3.

Compared to reductionism –“a usualphilosophic sin” which Panikkar callsmicrodoxia–, his thought has a distinctivefeature: his obsession for the whole, for aharmony between the various particularrealities and the different cultural conceptionsof the modern Western world and the Easternworld. It is a question of how to reach anauthentic “vision of the whole”: “My greataspiration was, and still is, to include, orrather to become, the reality in all itsfullness”. Without any doubt –in a positioninspired in both Buddhism and Saint John ofthe Cross– Panikkar states:

“To which place do I want to go?... I want togo nowhere. This would mean to still be inthe strong-willed stage... that sets up thepost Platonic-aristotelian-Kantian culture,that is to say, the Western culture... It is nota question of going nowhere. It is not aquestion of parts. It is not a question ofpartialities... It is a question of the totality” 4.

As Jordi Pigem has observed, Panikkarstates that the fundamental feature of reality

3 La intuición cosmoteándrica. Las tres dimensiones dela realidad, Madrid 1999, 19-20; The CosmotheandricExperience. Emerging Religious Consciousness, NewYork 1993.4 Prologue of El silencio del Buddha. Una introducción alateismo religioso, Madrid 1999; The silence of God. TheAnswer of the Budha, NewYork 1989.

is that “there is no structure in it”, only“interrelationships” 5. Panikkar himself hascorroborated this by saying that “the realitydoes not have any structure”; there is an“interconnection of everything witheverything” 6. With this statement he reachesa new historical age of the human conscience,which is emerging in the thought of the latestyears. The integral conscience is being bornagainst the dictatorship of the logical thought,which vindicated an exclusive “explanation”of the world and men, a dictatorship that hasalready failed. It is a conscience of theentirety and the unity in which men and thecosmos are merging, for the multiple humanrealms do work as a comprehensiveconscience.

This is the reason why particularismand universality are inextricably joined inPanikkar's reflection and life, in a search forthe interrelationship of everything witheverything. The sole way to reach the wholereality is to start with particular things, butjumping again from the particular thing to thewhole. Panikkar knows that it is not possibleto be really universal without being radicallyparticular. The particular thing makes usspecific, allows us to take root in a specificculture and in a particular place so as not tolive isolated. You only can be really universal ifyou maturely take on your uniqueness: to begenuinely universal you need to be radicallyspecific.

The interconnection, or interde-

5 Jordi Pigem, El pensament de Raimon Panikkar.Interdepèndencia, pluralisme, interculturalitat,Barcelona 2007.6 “Epíleg. Diàleg a diverses veus”, I. Boada (ed.), Lafilosofia intercultural de Raimon Panikkar, Barcelona2004, 156.

Page 124: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

124

Raimon Panikkar Session - Victorino Pérez Prieto

pendence, is a crucial factor in theenvironmentalist thought as well as inBuddhism and other traditions. Jesus ofNazareth, accepting his spatial and temporallimits, accepts those Galilean limits in order tobe “a universal man” (“all in everyone”); hewill always be “Jesus of Nazareth”, until beingrecognised as the universal Christ. From hissmall and individual Galilean reality, JesusChrist could get to all men and women “of allrace, language, people and nation” (Rev 5.9)to carry out his universal salvation project.

This relationship between particu-larism and universality was an earlyachievement in Panikkar's thought throughhis concept of ontonomy, which opposesheteronomy and autonomy. The nómos toûóntos is the internal nomos constituent ofeach being, that allows “growth” (ontonomic)without breaking harmony” 7.

“I call ontonomy the recognition or thedevelopment of the specific laws of everyrealm of human beings or of the humanactivity, distinguishing superior and inferiorrealms, but without separation orunjustified interferences. Ontonomy issensitive to the peculiarities specific toevery being or kind of beings, withoutmaking these regularities absolutes asthough there were not other beings, nor toenslave them at the service of higherentities8.

It is a question of the exclusion of theseparate or disconnected independence of

7 “Autobiografía intelectual. La filosofía como estilo devida”, Anthropos, Barcelona, 53-54 (1985) 14;“Philosophy as life-style”, en A. Mercier-M. Svilar (ed.)Philosophes critiques d’eux mêmes, Berna 1978.8 Ontonomía de la ciencia. Sobre el sentido de la cienciay sus relaciones con la filosofía, Madrid 1961, 10.

the particular realms of the being (autonomy)as well as the domination of every realm overthe others (heteronomy) so to get to aharmonious integration in the whole(ontonomy).

“The relationship between God and thecreature is not heteronomous norautonomous... The creature is not God,certainly, but is not true that God is not thecreature... [for] everything that is has to be,in some way, God... The creature is not God,but is of God, in God and by God... is withGod... The ontic structure that ontonomyseeks is not an intrinsic tie nor an extrinsicrelationship. God is not the Eterós as thecreature is not a autós. We are ratherseautós, even better, seautón (of you) andHim, God, a Eautós (Himself)… There is anontonomic order that we have to discover,because it is the only thing capable ofshowing us the real structure of theworld”9.

2ndpoint. Radical reality and total reciprocity,invisible harmony and ecosophy.

For this harmonic conjunctionbetween the parts and the whole, Panikkar,very much in accordance with Hindu thought,insists in the relativity of all those parts,against the prevailing absolutism of one ofthem. But, as he constantly repeats, relativityis not the same thing as relativism. Each parthas got its particular value: “The dilemma isnot relativism or absolutism, but therecognition of the radical relativity of thewhole Reality”10. Panikkar repeatedly insists in

9 Misterio y revelación. Hinduismo y cristianismo,encuentro entre dos culturas, Madrid 1971, 86-89;Mayá e Apocalisse. L’incontro dell’induismo e delcristianesimo, Roma 1966.10 La Trinidad. Una experiencia humana primordial,Madrid 1998, 18; The Trinity and the Religious

Page 125: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

125

Raimon Panikkar Session - Victorino Pérez Prieto

this radical relativity, which has an equivalentin the valuable Hinduist concept ofpratítyasamutpáda. This relativity shouldapply to our human relationships, to ourrelationship with the world, to therelationship of God with that world, and evento the divine reality itself:

“God is radical relativity or total reciprocity.This statement emphasizes thefundamentality of the relationship ofeverything with everything, which is verydifferent from a pure relativism defendingthe non existence of valid statements andso denying its aspiration of validity.Relativism is pessimistic and destroys anyreal criterion of truth; relativity, on thecontrary, leaves the criteria of truth intact,but without absolutizing it”11.

Panikkar turns this radical relativity,total reciprocity or relationship in somethingthat constitutes the whole reality, also theDivinity: “Everything is related to everything”,he states, following a maxim of Shivaism alsopresent in all the Eastern thought. That is whyhe states that God is pure relationship: “thegenitive relationship fundamental to reality”,“the constituent and creating genitive of allthings”12. This is the foundation of hisconception of the divine Trinity, that he thinksdeeply Christian: “God does not have'himself', given that 'he is' an I, a You and aHim, that are exchanged in the Trinitarianperichôrêsis” (Ibidem) and of a harmonic andunitary expression of the whole Reality, whichis the cosmotheandric perspective.

This perspective means the invisible

Experience of Man. Icon, Person, Mystery, New York1975.11 El silencio del Buddha, 234.12 Ibid. 234-35.

harmony of the whole Reality. The sameharmony which should exist between everyhuman being and the others; between allreligions and between all cultures. Thisinvisible harmony opposes dualism, whichconfronts some religions against the others,as well as monism, which would mean a plainecumenism, an “ecumenical esperanto” thatwould kill the richness that lies indifferences13. On the contrary, we shouldopen our minds to the others and believe andtrust the human experience as a whole, theharmony of the human beings and thecosmos. For “religion is the symphony, not thesole musician”.

This perspective leads to an ecosophyas well; a wisdom-spirituality of the earth,more than a simple ecology (“science of theearth”). This wisdom is a “new balance” notmerely between men and the earth, butbetween matter and spirit, between thespatial-temporality and conscience. A wisdomthat states a cosmic confidence and faith14.Panikkar integrates this ecosophy inCristophany: the cosmic Christ and thescatological Christ tell us something about thephysical future of the earth as well. “Athensmay not be related with Jerusalem –in thewords of Tertulian–, but Christ is related withboth of them and also with the motherearth”. For “our faithfulness to Christ and ourlove towards him do not separate us from ourfellow men, included animals and plants, theearth...” 15.

13 Invisible Harmony. Essays on ContemplationResponsibility, ed. by H.J. Cargas, Minneapolis 1995.14 Ecosofía. Para una espiritualidad de la tierra, Madrid1994,114-115.15 La plenitud del hombre. Una cristofanía, Madrid1999, 204-205; The Fullness of Man. A Christophany,

Page 126: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

126

Raimon Panikkar Session - Victorino Pérez Prieto

3rd point. The cosmotheandric/theantropo-cosmic intuition.Radical Trinity and advaita

a) The cosmotheandric or theantropo-cosmic intuition is “the entire knowledge ofthe whole”. It is a question of living open tothis triple dimension of reality, open to theothers, open to the world and to God, so as toget to a harmonic communion with the whole,that is to say, the cosmotheandricreconciliation. “What counts is the wholereality, matter as well as spirit, good as well asevil, science as much as mysticism, the soul asmuch as the body”16.

The metaphor “dimension” –Panikkarexplains– wants to exceed “the monisttemptation of building a modalistic supersimplified universe, where all things are nomore than variations and modes of asubstance..., [and] the dualist temptation ofestablishing two or more incommunicableelements”17. It is more of a mystic andineffable experience than philosophicexperience in the traditional meaning; but –asit is known– Panikkar breaks philosophic-theological moulds generally in use.

“There are not three realities: God, Manand the World; there is not a single oneeither (God, Man or the World). The realityis cosmotheandric. It is our way of watchingwhich makes the reality appear to us indifferent modes. God, Man and the Worldare, so to speak, in an intimate andconstitutive collaboration to build theReality, to move history forward, tocontinue the creation...

New York 2006.16 “The Cosmotheandric Intuition”, in La nuevainocencia, Estella 1993, 54.17 Ibid.

There is dynamism and growth in whatChristians call the mystic Body of Christ andBuddhists call dharamakaya. God, Man andthe World are committed to a soleadventure and this commitment constitutesthe actual Reality”18.

The cosmotheandric intuition is thesame thing as the “radical” conception ofTrinity. This Panikkarian concept is in closeconnection with the Hindu concepts ofadvaita a-dualism and the ŗta principle, ofwhich I am going to talk briefly. This triadicand radical-Trinitarian structure is present notonly in Panikkar's thought –his conception ofreality– but in his own methodology as well.As Scott Eastham has pointed out, the “threeworlds” omnipresent in Panikkar's thought,are not unrelated with his triple doctorate insciences, philosophy and theology: ánthrôpos-theós-kósmos, man-God-world. They matchthe triplet humanity-religion-science,noumenon-mysterion-phainomenon, lógos-pneûma-mýtos, etc.

Jordi Pigem refers how Raimon Panikkarorganises his written thoughts on the basis oftriadic structures and their multiples, like hisfamous “novenarios” (three times three)19.

b) Radical Trinity. Although he assumes theChristian trinitarian perspective, Panikkardoes not consider the Trinity as exclusive ofthe Christian revelation, but as a fundamentalhuman experience, as the subtitle of the 20thSpanish edition of hiss book on the Trinity

18 La Trinidad, 90. The Trinity...19 S. Eastham, “Una visita guiada pels tres mons deRaimon Panikkar”, J. Pigem, “L’ estructura trinitària dela realitat i la intuició cosmoteàndrica”, in Ignasi Boada,La filosofia intercultural de Raimon Panikkar, 29-46 y52-53.

Page 127: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

127

Raimon Panikkar Session - Victorino Pérez Prieto

remembers.

“In this essay I try to go deeply in theChristian mystery and I encounter anastonishing confluence with the traditionalworld of religions and the secular world ofmodernity. At this depth a fecund dialogueis possible...”20.

We encounter this idea of the Trinityversus a royalist-imperial regime in the bookof Jürgen Moltmann Trinitat und Reich Gottes;and most notably in Leonardo Boff's book ATrindade, a sociedade e a libertação. Both areindebted to a short classical essay whichmade a name for its author: Eric Peterson'sThe monotheism as a political problem 21.

If the “Trinitarian” scandal – that costhis life to Jesus of Nazareth according to thetheology of the first centuries – achieved awide spread was, according to Panikkar,decause “a strict monotheism is a lot morecongruous with the royalist-imperialChristendom regime”22. This is why Panikkarconsiders that the real challenge ofcontemporary Christianity is recovering itsTrinitarian dimension. The thing is notdenying monotheism but “giving way to theTrinity”, conceiving God in its real Christianoriginality: the Father-Son-Spirit from thetrinitarian monotheism.

“At the Christianity kairos in the thirdmillennium is the surmounting of theAbrahamic monotheism while keeping thelegitimacy and validity of the monotheistic

20 La Trinidad, 46.21 “Monotheismus als politisches Problem”, 1st edition1935, spanish traslation Madrid 1999. Cf. JürgenMoltmann Trinidad y Reino de Dios, Salamanca 1983;Leonardo Boff La Trinidad, la sociedad y la liberación,Madrid 1987).22 La Trinidad, 47.

religions. This surmounting ... implies theopening to the great intuition of the Trinity,a fundamental human experience and ameeting point for the human traditions”23.

Panikkar questions a monotheist Godthat were the whole reality too –for He wouldnot leave ontological room for the creature –as well as he questioning pantheism, whichwould get to the same point: “We can statethat all is divine, but we should add that thedivine thing does not run out in any whole”24.For Panikkar, deep down is the conception ofGod as pure relationship, compared to theGod as Absolute, invariable and unmovingsubstance, independent from the world, thatappears in the old monotheism and somereligions. So he speaks about a radical Trinity,which integrates all the Reality in a non-dualist way (the divine, the human, thecosmic) avoiding to fall both in dualism and ina pantheist monism.

“When one has experienced that God is ineverything, that everything is in Godhowever. God is nothing of what reallyexists, then one has nearly reached therealization, the authentic advaitaexperience which, as every real experience,can neither be communicated norexpressed through concepts”25.

The entire Reality has a Trinitarianstructure. Everything is closely related to it.They are not only in a constitutive relationGod Father-God Son-God Holy Ghost, the adintra of the divine reality, but also God-Man-Cosmos, Heaven-Earth- Man, Things-Concepts-Words. Father-Son-Holy Ghostwould correspond to what Christian theology

23 La plenitud del hombre, 15. The Fullness of Man.24 La Trinidad, 13-14.25 Ibid. 60.

Page 128: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

128

Raimon Panikkar Session - Victorino Pérez Prieto

calls immanent Trinity, the divine interior.God-Man- Cosmos would correspond to whichChristian theology calls economic Trinity, therelationship of God with man and the world.Radical Trinity – Raimon Panikkar repeats overand over again– means that the Reality isneither monist nor dualist, neither one normultiple; it is polarity, it is trinity. In otherwords, we have to reject monotheism as wellas triteism to get to a trinitarian harmony.Radical Trinity means that the Trinity is theReality. The whole Reality is a trinitarianrelationship. This way, the radical Trinity isnot, in Panikkar's thought, somethingdifferent from the cosmotheandric vision ofReality.

c) This Panikkarian conception(trinitarian and cosmotheandric) has aparticularly direct relationship with two Hinduconcepts: the advaita a-dualism and the ŗtaprinciple.

“The central message of the Upanisad –interpreted in its fullness (sensus plenior)–is neither monism nor dualism (nor thetheism some of them show) but advaita,that is, the non dual character of theReality, the impossibility of adding God tothe world or vice versa, the impossibility ofplacing God and the World in dvandva, likemembers of a couple. For the Upanisad, the‘Absolute’ is not just transcendent, buttranscendent and immanent at the sametime, all in one”26.

It is well known, advaita (“not two”) isthe Hindu doctrine of the non-duality of allbeings, God and the world included. Panikkarprefers translating advaita as “a-duality”: theDivinity “is not separated from the rest of the

26 La Trinidad, 59.

reality, but is not completely identical to ittoo”, as in dualism and monism.

Advaita cannot be confused withmonism, as stated by many Westerncommentators, and a common view amongWestern theologists. It is considered theculminating point of all religions andphilosophies if they introduce the “supreme”experience of non-duality, non-separabilitybetween Oneself (Atman) and God(Brahman). For advaita the truth isdiscovering that “Atman (the I) is Brahman(the Absolute)” – in other words (“Tat tvamasi” = “You are This-or Him”, the Absolute) –but still being different from one another. Inadvaita, God and the world are neitherjuxtaposed nor one is absorbed by the other;on the contrary, there is reciprocity betweenthem: the Absolute is transcendent andimmanent at the same time. So Panikkarwrites:

“God is neither Himself (monism) nor theOther (dualism). God is a pole of the Reality,a constitutive pole; quiet and thereforeineffable… transcendent, but immanent inthe world; infinity, but limited in the things.This pole is nothing in itself. It only exists inhis polarity, in his relationships. God isrelationship... with everything”27.

According to this conception nothing isunsacred, but nothing is absolutely sacred too,nothing is separated from the rest, everythinghas a sacred dimension: “The sacreddimension is an aspect of all things derivedfrom the fact that things are real”. And in thisrespect, the Revelation itself is “not revelation

27 Iconos del misterio. La experiencia de Dios, Barcelona2001, 86; The Experience of God: Icons of the Mystery,Minneapolis 2006.

Page 129: Cirpit 2-2011-Omaggio a Panikkar

129

Raimon Panikkar Session - Victorino Pérez Prieto

of the sacred” for “conferring reality to thesacred”, but just because “unveils what isalready there”28.

The concept of advaita is fundamentalin Panikkar's cosmotheandric thought. This isin accordance with the aforementionedconcept of ontonomy and applicable to theTrinitarian dynamism, to the divine interior aswell as to all the reality. As Francis X. D’Sa hasrightly stated, “Advaita and ontonomy are thetwo faces of the same coin”29.

Anyway, advaita is directly related toanother concept from Hinduism: the ŗtaprinciple, or the principle of the harmony ofall beings. No being is identified with another,but it is neither separated from the others; isthe principle that governs the cosmic andsacred order.

Neither dualism, nor monism, norpantheism: the Reality is a-dualist and it is setup as a radical the-antropo-cosmic trinity.Raimon Panikkar helped us to understand thatChristian belief cannot be understood neitheras dualist nor as monist, but only asTrinitarian-advaita; God as Relationship in apolyphonic vision of Divinity.

28 El mundanal silencio, 50.29 Francis X. D’Sa, “Der trinitarische Ansatz von RaimonPanikkar”, B. Nitsche (Hg.), Gottesdenken ininterreligiöser Perspektive. Raimon PanikkarsTrinitätstheologie in der Diskussion, Frankfurt/M.-Paderborn, 2005.