a cura di matteo sanfilippo e simonetta soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi...

27
«Passato e presente», a. XXXVII (2019), n. 107, ISSN 1120-0650, ISSNe 1972-5493 Le migrazioni e l’Italia a cura di Matteo Sanfilippo* e Simonetta Soldani** William J. Connell-Stanislao G. Pugliese (eds.) The Routledge History of Italian Americans Routledge, New York 2018, pp. 670 Nel corso del ’900 lo studio delle migrazioni italiane ha finito per coin- cidere con lo studio della presenza ita- liana nelle Americhe (E. Franzina, Ita- liani al Nuovo Mondo, Mondadori, Milano 1994), quasi dimenticando che sin dall’ ancien régime gli italiani prefe- riscono il Vecchio mondo. Lo segnalava già Ercole Sori (L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondia- le, il Mulino, Bologna 1979), ma poi nes- suno vi ha badato. La storia dell’emigrazione italiana non coincide dunque con la storia del- le partenze verso le Americhe, né col formarsi laggiù di comunità di origine italiana. Inoltre gli ultimi decenni del ’900 hanno fatto intuire che il modello migratorio peninsulare non si basa sulle sole partenze, ma anche su una notevole mobilità interna, divenuta evidentissima durante il boom economico e proseguita sino ai giorni nostri, e su ricorrenti ci- cli di arrivi. L’immigrazione degli ulti- mi due decenni del ’900 e del primo di questo secolo non differisce infatti da quanto è accaduto nei dieci anni dopo la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, 2002; C. Bonifazi, L’Italia delle migrazioni, 2013; Le mi- grazioni forzate nella storia d’Italia del XX secolo, a cura di L. Gorgolini, 2017). Insomma, nel nostro decennio, quando le partenze sono di nuovo aumentate (sia dal sud verso il nord, sia dalla peniso- la all’Europa) e gli arrivi sono diminu- iti, è apparso chiaro che per studiare le migrazioni italiane bisogna tener conto dell’alternarsi delle loro tre componenti: espatri, mobilità interna, arrivi dall’este- ro (P. Corti-M. Sanfilippo, L’Italia e le migrazioni, Laterza, Roma-Bari 2012). Senza affrontare la storiografia su questa evoluzione (su cui cfr. M. San- filippo, Nuovi problemi di storia delle migrazioni italiane, Sette Città, Viterbo 2015), viene da domandarsi cosa sia ac- caduto dello studio delle comunità italia- ne d’oltre Atlantico, in primis di quella statunitense, al centro dell’interesse degli * Dipartimento DISUCOM, Largo dell’Università 01100 Viterbo; matteosanfi[email protected] ** Università di Firenze, piazza S. Marco 4 50129 Firenze; simonetta.soldani@unifi.it

Upload: others

Post on 25-Jun-2020

3 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

«Passato e presente», a. XXXVII (2019), n. 107, ISSN 1120-0650, ISSNe 1972-5493

Le migrazioni e l’Italia

a cura di Matteo Sanfilippo* e Simonetta Soldani**

William J. Connell-Stanislao G. Pugliese (eds.)The Routledge History of Italian AmericansRoutledge, New York 2018, pp. 670

Nel corso del ’900 lo studio delle migrazioni italiane ha finito per coin-cidere con lo studio della presenza ita-liana nelle Americhe (E. Franzina, Ita-liani al Nuovo Mondo, Mondadori, Milano 1994), quasi dimenticando che sin dall’ancien régime gli italiani prefe-riscono il Vecchio mondo. Lo segnalava già Ercole Sori (L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondia-le, il Mulino, Bologna 1979), ma poi nes-suno vi ha badato.

La storia dell’emigrazione italiana non coincide dunque con la storia del-le partenze verso le Americhe, né col formarsi laggiù di comunità di origine italiana. Inoltre gli ultimi decenni del ’900 hanno fatto intuire che il modello migratorio peninsulare non si basa sulle sole partenze, ma anche su una notevole mobilità interna, divenuta evidentissima durante il boom economico e proseguita sino ai giorni nostri, e su ricorrenti ci-

cli di arrivi. L’immigrazione degli ulti-mi due decenni del ’900 e del primo di questo secolo non differisce infatti da quanto è accaduto nei dieci anni dopo la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, 2002; C. Bonifazi, L’Italia delle migrazioni, 2013; Le mi-grazioni forzate nella storia d’Italia del XX secolo, a cura di L. Gorgolini, 2017). Insomma, nel nostro decennio, quando le partenze sono di nuovo aumentate (sia dal sud verso il nord, sia dalla peniso-la all’Europa) e gli arrivi sono diminu-iti, è apparso chiaro che per studiare le migrazioni italiane bisogna tener conto dell’alternarsi delle loro tre componenti: espatri, mobilità interna, arrivi dall’este-ro (P. Corti-M. Sanfilippo, L’Italia e le migrazioni, Laterza, Roma-Bari 2012).

Senza affrontare la storiografia su questa evoluzione (su cui cfr. M. San-filippo, Nuovi problemi di storia delle migrazioni italiane, Sette Città, Viterbo 2015), viene da domandarsi cosa sia ac-caduto dello studio delle comunità italia-ne d’oltre Atlantico, in primis di quella statunitense, al centro dell’interesse degli

* Dipartimento DISUCOM, Largo dell’Università 01100 Viterbo; [email protected]** Università di Firenze, piazza S. Marco 4 50129 Firenze; [email protected]

Page 2: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 167

studiosi italiani perché il suo sviluppo sembrava una tessera fondamentale del modello statunitense (M. Pretelli, L’e-migrazione italiana negli Stati Uniti, il Mulino, Bologna 2011; Id.-S. Luconi, L’immigrazione negli Stati Uniti, il Mu-lino, Bologna 2008). Ora, però, l’atten-zione ai fenomeni peninsulari ha relega-to tale studio in secondo piano, anche in conseguenza dell’emarginazione in seno alle università delle storie degli altri con-tinenti, divenute una componente mino-ritaria del raggruppamento di relazioni internazionali. Così gli studi sugli ita-liani nelle Americhe sono in Italia sem-pre di meno, a parte qualche omaggio di nicchia a grandi studiosi (D.R. Gabaccia, Migranti di Sicilia. Quaranta anni di ri-cerca, Editoriale Umbra, Foligno 2018) o i lavori sui legami tra mafie italiana e americana (da ultimo S. Lupo, La mafia. Centosessant’anni di storia, Donzelli, Roma 2018).

Al di là dell’Atlantico l’attenzione per la comunità italiana, come d’altronde per tutte le comunità immigrate, non è calata, anche se è stata un po’ ghettiz-zata: uno studioso che vuole insegnare in prestigiose università può dedicarsi a tali studi soltanto come complemento di una ricerca più generale sulla storia nazionale. In ogni caso gli studi sugli italiani nelle Americhe non sono dimi-nuiti nel Nuovo mondo e hanno prodot-to risultati abbastanza innovativi: basti menzionare per il caso statunitense i due volumi di New Italian migrations to the United States, a cura di Laura E. Ruber-to e Joseph Sciorra (University of Illi-nois Press, Urbana-Chicago-Springfield 2017).

Data la regolare crescita della biblio-grafia oltre oceano appaiono ogni dieci anni volumi di riferimento e sintesi, co-me quello qui recensito. Al pari di altre pubblicazioni “enciclopediche” sugli ita-liani negli Usa anch’esso, nel tentativo

di sondare ogni aspetto, risulta un po’ dispersivo. Si parte dai primi esplora-tori (cui è dedicato un ottimo saggio di uno dei curatori, Connell) per arrivare all’emigrazione italiana di questo secolo. Tuttavia il progetto ha un filo condut-tore preciso: vuole illustrare i problemi della comunità in questione, per esem-pio la sua difficoltà a mantenersi allo stesso alto livello dell’immagine che ol-tre Atlantico si ha dell’Italia, considerata patria della cultura, della moda e della cucina. Si veda l’interessante concatena-zione dei saggi di John Paul Russo sulla prima immigrazione italiana, di Don H. Doyle sull’attenzione statunitense al pro-cesso di unificazione italiana e di Den-nis Looney sulla fortuna della Divina Commedia nella cultura nordamericana dell’800.

Il volume è strutturato in quattro par-ti, per un totale di 38 capitoli affidati a studiosi dei due lati dell’oceano: un ottimo esempio di cooperazione. La pri-ma parte affronta gli arrivi sino a metà ’800; la seconda segue la nascita e gli sviluppi delle piccole Italie, favorendo un approccio tematico (problematiche sociali, comportamentali, alimentari, re-ligiose) a svantaggio di uno geografico. Questo crea qualche difficoltà perché lo sviluppo politico, culturale, economi-co delle varie sezioni degli Stati Uni-ti (nord-est, mid-west, sud e ovest) non sempre coincide e questo décalage si è riflesso sulla dinamica dei singoli inse-diamenti italiani. Tuttavia questa scelta favorisce la ricostruzione di un quadro unitario e l’approfondimento delle diffi-coltà politiche degli immigrati: dal non semplice ingresso nel movimento sinda-cale al caso Sacco e Vanzetti. La ter-za parte affronta l’integrazione dopo la Grande guerra, che aiuta i gruppi im-migrati a far parte della nazione, anche se la chiusura all’emigrazione, prima nel 1921 e poi per la crisi del ’29, cristalliz-

Page 3: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

168 schede

za le piccole Italie. All’inizio queste era-no realtà molto fluide, dato che il tasso dei ritorni dei migranti era superiore al 30% degli arrivi. Tuttavia proprio la de-finitiva strutturazione degli insediamenti suscita nuovi problemi. Questi sono presi di mira dalla propaganda fascista, pro-vocando alla lunga uno scontro con la società mainstream; inoltre la guerra ob-bliga gli italiani residenti negli Stati Uni-ti a divenire “italo-americani”, oppure a essere pesantemente discriminati. Questi “americani” di origine italiana continua-no, però, a subire discriminazioni – si pensi all’uso politico delle inchieste sul-la mafia statunitense negli anni ’50 del ’900 – e vengono loro lasciate chance di primeggiare solamente in settori margi-nali (musica, cinema, televisione e so-prattutto sport).

La quarta parte analizza gli avveni-menti più recenti, dall’evoluzione cultu-rale e politica delle comunità investite dai nuovi paradigmi culturali (è molto stimolante il saggio sul coming out di omosessuali e lesbiche in un gruppo as-sai tradizionalista) al confronto, non pri-vo di acredine, con i nuovi flussi migra-tori italiani. I nuovi arrivati cercano di inserirsi a un livello sociale superiore di quello dei discendenti delle ondate pre-cedenti. Questi ultimi sviluppano quindi una propria dimensione, che prescinde dall’origine nazionale e s’impernia sulla propria storia oltre Atlantico.

Le conclusioni sottolineano come il volume sia pensato da e per il “gruppo etnico”, che vuole capire come muoversi sulla più vasta scena nazionale: si tratta dunque di un testo pensato per la real-tà statunitense e non per quella italia-na: un testo che esplicita e spiega come questi studi arricchiscano la conoscenza della società nordamericana e si siano evoluti lungo linee differenti da quelle dei coevi studi migratori in Italia. Ta-li linee di sviluppo non devono essere

sottovalutate e giustamente una rivista come «Altreitalie» di Torino le censisce e recensisce regolarmente; e tuttavia esse non possono divenire strettamente par-te della nostra riflessione storiografica a cui è invece dedicata la maggior parte delle schede di questo dossier: con la coscienza, però, che le comunità italia-ne all’estero hanno prodotto e producono una propria, valida, riflessione su quanto è accaduto dopo la partenza dall’antica madrepatria.

Matteo Sanfilippo

Michele ColucciStoria dell’immigrazione straniera in Italia. Dal 1945 ai giorni nostriCarocci, Roma 2018, pp. 243

Immigrazionea cura di Michele Colucci«Meridiana», 2018/91, pp. 173

La lettura incrociata del libro di Mi-chele Colucci e del n. 91 di «Meridiana» a sua cura consente di tratteggiare alcuni caratteri di fondo dell’immigrazione in Italia, dal secondo dopoguerra alla re-cente “crisi dei rifugiati”: caratteri che appaiono ampiamente condivisi nei due testi qui recensiti di cui possiamo evi-denziare i reciproci rispecchiamenti, pur nella diversità dei singoli approcci.

A fronte di un’opinione diffusa secon-do la quale l’arrivo degli stranieri nel nostro paese comincia in anni recenti, Colucci retrodata l’emersione del feno-meno. Se già dopo il 1945 si registra la presenza di sfollati, profughi e popola-zioni in transito, i primi veri e propri movimenti migratori datano dagli anni ’60: si tratta di studenti – talvolta esuli politici – e soprattutto di uomini e donne provenienti dalle ex colonie italiane (So-malia, Eritrea, Etiopia) o da Capo Verde.

Page 4: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 169

Alle donne impiegate nel lavoro dome-stico, Alessandra Gissi dedica in «Meri-diana» un saggio che racconta come esse siano rimaste quasi invisibili per circa vent’anni agli occhi delle istituzioni e degli studiosi, mentre il discorso pubbli-co cominciava a infarcirsi di stereotipi razzisti. Dunque, emigrazione dall’Italia verso i paesi più ricchi di opportunità e immigrazione in Italia dai paesi più po-veri si sono intrecciate. Gli immigrati si sono inseriti nei settori del mercato del lavoro meno avanzati e a più alto tasso di precarietà e irregolarità, senza atten-dere la richiesta di manodopera da parte dell’industria.

L’importanza del Ministero del La-voro nel governo dei flussi, richiamata con forza da Colucci (pp. 25, 37, 53, 75) è confermata nella rivista da Ada Al-varo che, lavorando su fonti primarie, analizza conflitti e diversità di posizione tra i ministeri dell’Interno e del Lavoro nella gestione dei “frontalieri” jugoslavi richiesti dal tessuto economico del Friuli Venezia Giulia tra la fine degli anni ’60 e il decennio seguente. Alle chiusure del primo, preoccupato di conservare l’or-dine sociale e lo squilibrio di nazionali-tà a favore degli italiani in una zona di frontiera, ha fatto spesso da contraltare la disponibilità del secondo a rilasciare i permessi di ingresso, non si sa se per sensibilità verso le esigenze economiche o per sincera umanità: con la conseguen-za di un continuo conflitto istituzionale e di un’assenza di regolarizzazione che finì per incrementare gli ingressi irregolari. Le politiche di integrazione sono sempre state residuali e/o costantemente rinviate, sottofinanziate e delegate a soggetti terzi quali l’associazionismo cattolico e il sin-dacato, come ricorda Colucci (pp. 75 e 203). Esse, inoltre, hanno funzionato so-lo in specifici casi virtuosi legati a con-testi locali, come dimostra qui Fabrizio

Loreto. Dalla fine degli anni ’70, pur se con approcci diversi, le confederazioni sindacali hanno cercato prima di costru-ire un sindacato “per” gli immigrati con una caratura assistenziale, poi “con” gli immigrati (avviando i primi coordina-menti e le prime vertenze), infine, negli anni ’90, “degli” immigrati, integrandoli nelle strutture organizzative. Loreto sot-tolinea gli enormi passi in avanti rea-lizzati su questa strada, ma non manca di rimarcare anche ritardi e limiti nella realizzazione di un vero sindacato “inte-retnico”, basato sulla fraternità.

L’immigrazione è stata accompagna-ta – come in altri paesi – dal manife-starsi di forme varie di razzismo, spe-cie quando gli arrivi si sono fatti più intensi a partire dal 1989: un momento di “svolta” nell’impianto di Colucci (pp. 79-101). A questo proposito, il saggio di Paolo Barcella sulla prima stagione della Lega nord e sul passaggio dall’antime-ridionalismo alla xenofobia offre spunti interessanti. Confrontando le città venete e lombarde di maggior consenso leghi-sta alla fine degli anni ’80 con i luoghi di origine degli italiani che emigravano verso l’Europa, l’A. sostiene che il radi-camento della xenofobia non può esse-re ricondotto all’assenza di una memo-ria di quell’esperienza, perché la Lega è forte proprio nei centri di maggiore emigrazione. Ne consegue l’inefficacia delle strategie discorsive e politiche an-tirazziste basate sulla riproposizione di quella memoria: una tesi suggestiva, che avrebbe meritato un uso più articolato della memorialistica, poco consistente e poco contestualizzata (quante interviste sono state fatte? A chi e quando? Com’è composto il campione? Com’è stato co-struito?).

Il vincolo esterno rappresentato dal lungo processo di formazione dell’Unio-ne Europea ha fortemente condizionato

Page 5: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

170 schede

le politiche interne con un’intensificazio-ne nella fase di maggiore immigrazio-ne, cioè dalla fine degli anni ’80 a oggi. Colucci tratta il tema a più riprese (pp. 27, 77, 199) e il saggio di Simone Paoli – che fa tesoro dei verbali del Comita-to esecutivo Schengen – conferma sia la consistenza di quel vincolo, sia l’uso che ne è stato fatto in Italia (si pensi alla leg-ge Turco-Napolitano), con conseguente invito a riflettere sul problema della ride-finizione della sovranità a seguito della cessione di potere da parte degli Stati nazionali ad organismi sovranazionali.

Un altro tratto caratteristico delle po-litiche sull’immigrazione è il loro scivo-lamento verso politiche sulla sicurezza che per Colucci si traduce in un vero e proprio «dispositivo normativo» (pp. 153, 36, 114, 139) e che Enrico Gargiulo vede esemplificato nella “filosofia” di Marco Minniti, ministro dell’Interno nel gover-no Gentiloni (2016-18), i cui discorsi e provvedimenti rivelerebbero l’abbandono del principio della sicurezza come be-nessere a favore di quello della sicurezza come controllo e una concezione disci-plinante dell’integrazione, che rimanda «a un modello di società gerarchico e stratificato» (p. 173).

Un’ultima caratteristica che emerge lungo tutta la vicenda narrata dal volu-me di Colucci e dal fascicolo di «Me-ridiana» riguarda le sanatorie, forse il «principale regolatore della politica mi-gratoria italiana» (Colucci, p. 120). Il ricorso reiterato a misure emergenziali dimostra infatti la scarsa capacità di pro-grammare i flussi e le regolarizzazioni senza apprendere né dai casi stranieri né dai mutamenti del paese. Contestual-mente, segnala anche la percezione che l’immigrazione sia una parentesi destina-ta a chiudersi presto e non un fenomeno strutturale. L’ampiezza dei temi trattati da «Meridiana» – di cui va ricordato an-

che il numero 86 del 2016 sui Profughi – e la ricca sintesi di Colucci segnano un salto di qualità nel campo degli studi sull’immigrazione, di cui credo non si fatichi a vedere la necessità anche per le ricadute positive che possono avere nella comprensione del presente. Questi ma-teriali forniscono anche indicazioni per sviluppi futuri. Come lo stato sociale, il fenomeno migratorio si situa al crocevia di trasformazioni economiche, sociali, politiche, istituzionali, culturali nazionali e internazionali. Oltre alla giusta riven-dicazione del posto che in questo campo di studi ha e deve avere la storia – Co-lucci vi insiste molto –, l’implementa-zione dell’interdisciplinarità (reale e non retorica) appare una via decisiva per co-gliere lo spessore problematico del fe-nomeno, come si intuisce del resto dalle conclusioni del suo volume.

Se la quantificazione della presenza degli stranieri nel tempo è un passag-gio ineludibile, per far parlare a fondo i dati che la fotografano è auspicabile che essi vengano messi a confronto con quanto accaduto negli altri paesi, pro-muovendo quelle comparazioni senza le quali la significatività del dato naziona-le risulta depotenziata. Infine, si avverte l’esigenza di investire di più sul punto di vista degli “attori”, che in definitiva sono sempre le persone migranti e sulla bidimensionalità di quell’esperienza ine-stricabilmente collegata sia col “partire” sia con l’“arrivare” e con i loro corollari, sintetizzabili nell’espressione «doppia as-senza». Si pensi, solo per fare un esem-pio, alle potenzialità di un tema come quello del lavoro o dell’organizzazione sindacale, che obbliga a indagare il rap-porto sempre dinamico tra le disposizio-ni culturali degli immigrati provenienti da paesi con culture del lavoro e sinda-cali molto diverse da quelle europee e la negoziazione di nuove pratiche o la riap-

Page 6: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 171

propriazione creativa di quelle apprese in Italia.

Andrea Rapini*

Lorenzo LuattiL’emigrazione nei libri di scuola per l’Italia e per gli italiani all’estero. Ideologie, pedagogie, rappresentazioni, cronache editorialiFondazione Migrantes-Editrice Tau, Roma 2017, pp. XVI+415

Scritto da uno studioso dei proble-mi dell’interculturalità e pubblicato da Fondazione Migrantes, il volume ha un obiettivo duplice: mettere a fuoco il mo-do in cui vengono presentati, fra il 1870 e il 1960, L’emigrazione e gli emigranti nei libri di lettura per le scuole elemen-tari del Regno e della Repubblica (Parte I: Ai figli vicini, pp. 27-140), e in che mo-do la questione viene trattata nei Libri per le scuole italiane all’estero (Parte II: Ai figli lontani, pp. 141-397) fra il 1880 e il 1943. In tutti e due i casi, di fatto, la narrazione è imperniata sul ventennio fascista e, in questo ambito, sulla pro-duzione conseguente al varo della legge 5/1929 sul Testo unico di Stato.

Il volume si fonda sull’analisi di un ricco corpus testuale: oltre 500 i testi per le scuole italiane presi in esame (li-bri di lettura, sussidiari e libri premio) e tutti i testi unici per le scuole italiane all’estero pubblicati in più serie, di cui si ricostruiscono le travagliate vicende. L’a-nalisi è condotta avendo cura di guarda-re non solo ai contenuti, ma alla lingua usata per esprimerli e alle illustrazioni chiamate a definirne e a completarne il

senso, nell’ambito di una più generale at-tenzione all’oggetto libro, dalla grafica ai colori e perfino alla carta su cui è stam-pato. Senza dimenticare di fornire di volta in volta informazioni puntuali sulle politiche perseguite dalle maggiori case editrici interessate, sul mutevole “corpo autoriale” (fatto anche di disegnatori e grafici) che si dedicò – occasionalmen-te o con continuità, con competenze ed esiti diversi – alla confezione dei libri scolastici o a cui si attinse per arricchire i contenuti dei medesimi nei decenni qui presi in esame.

Si avverte, nel sottotesto, un’intensa passione per i materiali in oggetto, va-lorizzata dalla disponibilità dell’editore a produrre un volume dotato di un ricco apparato iconografico, che oltre ad ac-compagnare i diversi capitoli, si addensa in due ampi «percorsi per immagini», dedicati il primo (pp. 123-40) alle coper-tine dei Libri di lettura per le scuole del Regno e della Repubblica e il secondo (pp. 379-97) a quelle dei Libri scolastici e parascolastici per i figli degli emigra-ti all’estero. Altrettanta cura è posta da Luatti nel delineare retroterra e contesto di quella produzione, grazie a un’attenta esplorazione di archivi pubblici e privati e di un’ampia gamma di pubblicazioni coeve – norme e circolari, periodici e monografie, opuscoli e cataloghi, carteg-gi e copertine di quaderni – e nel con-frontarsi con una letteratura generale e specifica sugli argomenti in campo mol-to cresciuta negli ultimi trent’anni, sia che si guardi all’editoria scolastica e allo strumentario cultural-ideologico del fa-scismo che (e forse ancor più) agli studi su fenomeni ed eventi migratori.

Per ciò che attiene al primo tema in-dagato la scrupolosa immersione non

* Dipartimento di Comunicazione ed economia, viale Allegri 9 42121 Reggio Emilia; [email protected]

Page 7: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

172 schede

produce novità interpretative rilevanti. Ne esce semmai rafforzata la tendenza dell’età crispina e giolittiana a presentare il fenomeno migrazione quale generatore di miserie, lutti e disgrazie e a presenta-re come illusi sognatori di paradisi inesi-stenti quanti sceglievano quella via, vit-time designate (anche perché ignoranti) di raggiratori senza scrupoli: una lettura appena incrinata, negli anni precedenti la prima guerra mondiale, dal paradig-ma nazionalista, volto a esaltare negli italiani migranti i figli e gli apostoli di una civiltà superiore. Ma è merito dell’A. operare una serie di distinguo all’interno delle decine di testi presi in esame, arti-colando il giudizio in rapporto alle loro (per il momento piuttosto scarse) capa-cità comunicative e richiamando l’atten-zione sulle figure retoriche e simboliche più comuni nelle illustrazioni, nelle pro-se e nelle poesie di cui quei testi erano corredati.

La scelta di trattare insieme il quin-dicennio 1914-1929 permette di eviden-ziare permanenze e spostamenti di ac-cento di una fase polifonica, anche se le tonalità anti-emigrazioniste si trovarono ben presto soverchiate dall’irruzione sul-la scena di retoriche che inneggiavano al «bisogno fisiologico» di un popolo gio-vane e vigoroso come quello italiano di accrescere lo «spazio vitale» a propria disposizione, conquistando nuove terre e sottomettendo nuovi popoli, ma anche fa-cendo pesare l’apporto dato alla ricchez-za e al progresso dei paesi ospitanti. Già prima che si aprisse la stagione del Testo unico, gli “umili” e malmessi emigranti erano diventati – nei testi non meno che nelle illustrazioni, che videro affermarsi una nuova, efficace generazione di dise-gnatori – «italiani all’estero» fieri di sé, della patria e del regime che ne rinnovel-lava la potenza: lineamenti, questi, desti-nati a consolidarsi nei “testi unici” degli anni ’30, che alla narrazione civilizzatri-ce, espansionista e modernizzatrice del-

la presenza italiana all’estero aggiunsero l’esaltazione di chi preferiva tornare in patria per mettere le proprie competenze al servizio delle campagne di bonifica, delle colonie d’oltremare, dell’impero.

È con questa tradizione, irrorata dall’importanza attribuita alla scuola nella costruzione di una forte “coscienza nazionale” negli emigranti/italiani all’e-stero, che i testi scolastici della Repub-blica evitarono di fare i conti nei lun-ghi anni del dopoguerra, limitandosi a cancellare i nomi, i precetti e i motti più compromissori e identitari del fa-scismo, e riproponendo temi e schemi narrativi costruiti nei decenni preceden-ti e modellati su flussi e percorsi della prima grande ondata migratoria, fino a “dimenticarsi” che ce n’era in atto una seconda, centrata sull’Europa e su attivi-tà che i locali preferivano evitare. Que-sto passaggio, però, è affrontato dall’A. solo per grandi linee, lasciando inevase le domande che si affollano nella mente del lettore, ivi comprese quelle legate al fatto che anche la produzione di libri per le scuole all’estero sembra arrestarsi (o meglio, qui si arresta) al 1943.

Si direbbe che la Repubblica finisse per ripetere la disattenzione che aveva connotato a lungo l’Italia liberale, assai poco interessata alla costruzione di una rete strutturata di scuole all’estero che tenesse conto dei nuovi flussi migrato-ri, e – fatta salva la parentesi crispina – ben contenta di delegare a istituzioni private e cattoliche, o a iniziative del-la Dante Alighieri, il compito di man-tenere accesa, almeno nei centri a più alta densità migratoria, una «fiammella di italianità». Fu solo fra il 1910 e il 1912 – sottolinea Luatti – che qualcosa cominciò a cambiare, anche se bisognò aspettare il dopoguerra perché si voltas-se davvero pagina, grazie soprattutto a personaggi fortemente motivati in senso nazional-fascista come i capi-divisione Ciro Trabalza e Piero Parini, sostenitori

Page 8: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 173

dell’importanza delle scuole per raffor-zare la pericolante “italianità” dei figli degli emigrati, e della necessità di do-tarle di libri di testo che, a qualunque livello, instillassero l’orgoglio di essere italiani e la volontà di restare tali. Le nuove generazioni – questo l’asse ideolo-gico e l’obiettivo di fondo, che per altre vie veniva a coincidere con quello per-seguito dall’esaltazione del ruolo degli “italiani all’estero” nei libri destinati alla madrepatria – non dovevano integrarsi, ma convincersi della propria “alterità” rispetto alle popolazioni in mezzo alle quali erano costrette a crescere, in mo-do da vivere quell’esperienza come una parentesi in vista del ritorno, unico oriz-zonte degno di essere perseguito. Un’im-postazione, questa, che non solo implica-va un totale disinteresse verso l’ambiente in cui quei giovani crescevano (con tutto ciò che ne conseguiva in termini di effi-cacia educativa), ma che, comportando una pervicace sottolineatura del primato italiano sui “locali”, finì per creare non pochi problemi con le autorità dei pae-si ospitanti, tanto da consigliare fin dal 1938 una significativa riduzione dell’at-tivismo – oltretutto assai costoso – che aveva caratterizzato l’ultimo decennio.

Simonetta Soldani

Amoreno MartelliniAbasso di un firmamento sconosciuto. Un secolo di emigrazione italiana nelle fonti autonarrativecon un saggio di Laura Ferroil Mulino, Bologna 2018, pp. 264

Quali tessere plausibili d’un mosai-co narrativo sostanzialmente riuscito gli argomenti individuati da Amoreno Martellini propongono con parole sue, alternate a quelle dei protagonisti degli avvenimenti rievocati, prima un quadro generale delle cornici di fondo (il “gran-

de esodo” di fine secolo XIX; la relativa stasi e l’emigrazione in Francia tra le due guerre; la ripresa delle partenze, specie per l’Europa e massime in Svizzera e in Germania, nell’ultimo dopoguerra) e poi, via via, alcune delle questioni con-naturate all’esperienza dell’espatrio e, là dove ci fu e per quanto durò, del “tra-pianto” all’estero degli emigranti italiani. Con l’agile libro edito nell’ambito delle recenti iniziative dell’Archivio Diaristi-co Nazionale di Pieve S. Stefano siamo di fronte a un tentativo di raccontare in their own words, le esperienze di uomi-ni e donne in cent’anni di emigrazione dall’Italia.

Assieme ai rituali della partenza e del “distacco” – che implicano passaggi ta-lora umilianti, oltre che dolorosi (dalle visite mediche alla precaria sistemazio-ne nei luoghi di prima accoglienza) – e rinunciando giudiziosamente alle de-scrizioni dei viaggi per mare, Martel-lini incrocia sin dall’inizio il tema del-lo straniero in veste di clandestino (già presente nelle pagine di vari testimoni italiani di fine ’800), non tanto a bor-do di antiche navi, quanto a ridosso del confine italo-francese. Quindi territori teatro da secoli dell’andirivieni illega-le di persone d’ogni età e del relativo contrabbando transfrontaliero, risultano infatti percorsi e ripercorsi da un gran numero di “camminanti”, ben descritti a suo tempo da Sandro Rinauro per l’ulti-mo dopoguerra, come il minatore sardo Francesco Ibba, le cui memorie a di-stanza di quarant’anni rispecchiano non meno di altri documenti coevi (inchie-ste giornalistiche, resoconti riservati di agenti del Sim, carte e manifesti di Co-muni) le dinamiche dell’attraversamento alpino, la composizione dei gruppi in movimento e i ruoli logistico-commer-ciali dei passeurs con in più il senso vi-vo della drammaticità e delle sofferenze patite dai clandestini.

Page 9: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

174 schede

Per non pochi di loro (e anche per qualcuno che in Francia aveva fatto in-gresso regolarmente) l’esito sarà addirit-tura quello dell’arruolamento coatto nella Legione Straniera, di cui parlano Anto-nio Cocco, uno studente veneziano di 19 anni, e Sante Fazzio, un pastore siciliano di poco più anziano: il primo arrestato dalla gendarmeria e il secondo irretito da un faccendiere napoletano e quindi da un connazionale bene inserito nella rete borderline del commercio di uomi-ni in funzione nell’ultimo dopoguerra. Ibba, Cocco e Fazzio sono solo i pri-mi emigranti, dopo il boscaiolo friulano Raimondo Parutto – da una cui frase sul «firmamento sconosciuto» è stato preso il titolo del libro –, a comparire in qua-lità di autori della serie di citazioni da diari, memorie e autobiografie (un’ottan-tina) su cui s’impernia, assieme a una manciata di epistolari, l’intelaiatura di un’opera suggestiva e attenta a mettere in rapporto le peripezie individuali dei sin-goli testimoni con i contesti sovrastanti, o se si preferisce con i “retroscena” dei fatti entro cui esse s’incanalarono, dan-do vita in cent’anni a un esodo divenuto così epocale da essere paragonato a una diaspora, ma anche ad un “affare” multi-forme e di proporzioni colossali.

Molto lungo e difficile da rendere con fedeltà nello spazio di una scheda criti-ca sarebbe l’elenco dei casi toccati dalla trattazione per exempla narrativi con il conforto di una conoscenza dei fenomeni migratori di prima mano e ancorata a una solida e vasta base di documenti e fonti “tradizionali”. Molte le questioni toccate: la famiglia e le dinamiche di coppia in emigrazione oppure all’este-ro; il destino delle mogli e delle spose per procura; quello dei figli (bambini al seguito dei genitori o rimasti in patria presso parenti, bambini espulsi, figli ir-riconoscenti ecc.); la miseria affettiva e sessuale degli uomini soli, lo sfrut-

tamento e la prostituzione di donne e ragazze. E ancora, sul terreno del lavoro manuale, di cui la storia dell’emigrazio-ne costituisce un passaggio obbligato e quasi emblematico, l’agricoltura nei cam-pi di mezza Europa e delle Americhe; i cantieri dei trafori e dell’edilizia pub-blica europea; le miniere dell’industria estrattiva con le sue tragedie, soprattutto nel Belgio carbonifero; l’impiego inten-sivo, quasi ovunque, della manodopera femminile e minorile e così via.

Si tratta, insomma, di uno spaccato della vita quotidiana protesa verso l’e-stero e poi trascorsa all’estero da emi-granti di ogni regione d’Italia dalla fine dell’800 ai giorni nostri attraverso le lo-ro stesse voci e coordinata da un curato-re che dà ragione, spiegandone i risvolti privati o personali, di molti processi di natura economica e sociale di grande portata, riassunti altrove dalle statistiche e dalle analisi degli specialisti (demogra-fi, storici economici, della cultura ecc.).

Le scritture dei protagonisti, selezio-nate fra quelle presenti a Pieve S. Ste-fano (su 75 più della metà centro-set-tentrionali e per il resto, una trentina, centro-meridionali), riflettono anche i differenti tassi di alfabetizzazione e il diverso volume degli espatri su scala re-gionale o provinciale nelle zone di pro-venienza dei migranti scrittori. Abilmen-te assemblate dal curatore, tali scritture riservano, assieme a molte conferme, no-vità inaspettate sia nelle pagine finali sulla memoria delle due guerre mondia-li, sia in quelle ricavate dai ricordi della vita nelle terre dell’effimero “impero” fascista (Somalia, Eritrea, Libia ecc.). Tolte quelle escluse a priori perché ri-guardanti le migrazioni interne, dalle testimonianze emergono dati alle volte inattesi e originali. Valgano per tutti gli spunti offerti dal “mestiere delle armi” abbracciato all’estero da non pochi ita-

Page 10: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 175

liani, con esempi che puntano a mettere in evidenza, dopo gli accenni iniziali alla Legione Straniera, un nesso sovente dimenticato tra emigrazione e “lavoro” del mercenario.

Per esempio, il vicentino Adolfo Far-sari, fuggito dall’Italia e arruolatosi nel 1863 (senz’altro “per danaro”) nelle file dell’esercito nordista, figura qui osser-vatore attento e avvincente delle crude-li vicende belliche a cui partecipa. La particolarità di una esperienza emigrato-ria “in armi” come la sua serve a porre in evidenza gli aspetti indicibili e più inquietanti delle guerre moderne. Ta-le aspetto prende forma compiuta e, se possibile di maggiore efficacia, nella più straordinaria delle trouvailles di Martel-lini, ossia le memorie di L.F., giovane viterbese non ancora ventenne, di cui si tace l’identità per la crudezza con la quale racconta la “guerra nascosta” del Contestado. Essa si svolse in Brasile tra il 1912 e il 1916, in luoghi (Santa Cata-rina e Paraná) raggiunti da moltissimi nostri connazionali, nel quadro di una lite confinaria tra parti d’una stessa fede-razione statale, ma soprattutto tra l’eser-cito regolare e una massa di diseredati, mossi da spinte messianiche, ma anche dalla volontà di contrastare la specula-zione economico finanziaria (brasiliana e americana) sui territori in cui si erano da lungo tempo insediati. Nel ricordo di “uno che c’era” poco si parla di loro, sbrigativamente etichettati come “fanati-ci”, mentre notevole è lo spazio riservato con strabiliante indifferenza espositiva ai peggiori misfatti compiuti dai militari (solo di quelli a sfondo sessuale ammette di essere stato a sua volta autore), la cui intransigenza sanguinaria è giustificata

con parole che nascondono a malapena l’imbarazzo di un ricordo terribile con-servato intatto per circa sessant’anni.

Emilio Franzina*

Paolo BarcellaPer cercare lavoro. Donne e uomini dell’emigrazione italiana in SvizzeraDonzelli, Roma 2018, pp. 265

Toni RicciardiBreve storia dell’emigrazione italiana in Svizzera. Dall’esodo di massa alle nuove mobilitàDonzelli, Roma 2018, pp. 246

Dopo la prima stagione di studi (coeva alla ripresa dei flussi migratori postbelli-ci), stiamo assistendo da qualche anno a una crescita delle ricerche sull’emigrazio-ne italiana in Svizzera, sviluppatesi già a inizio millennio grazie anche all’interes-se sollevato dalla crescente immigrazione straniera: un argomento ancora oggi ben presente nelle propagande mediatiche, ma molto meno trattato nelle ricostruzio-ni. E, se gli studi italiani sulle migrazioni sono oggi più attenti che nel passato agli itinerari europei, poco invece si interes-sano ancora agli intrecci tra le diverse mobilità (interne e internazionali) presen-ti da sempre sul nostro territorio. Eppure si tratta di una prospettiva che riveste un ruolo di rilievo anche sul piano teorico-metodologico, in quanto rivolta a consi-derare più le relazioni sociali intessute dai migranti anziché gli orientamenti ter-ritoriali dei movimenti, assume.

Nel caso degli studi sulla Svizzera, il loro incremento si deve in gran parte a

* Dipartimento di culture e civiltà, via dell’Università 4 37129 Verona; [email protected]

Page 11: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

176 schede

giovani studiosi che, come gli autori di questi due volumi, hanno svolto ricer-che su cantoni elvetici diversi, su istitu-zioni, associazioni, personaggi, eventi e luoghi di lavoro mirati, ricorrendo sia a fonti di tipo ufficiale sia a una ricca documentazione privata, scritta e orale. Nell’utilizzare queste testimonianze ta-li ricerche fanno riferimento a una me-todologia ormai consolidata nella storia sociale e aggiungono nuovi risultati e ul-teriori spunti di riflessione rispetto alle analisi condotte negli anni ’70. In linea con le tendenze storiografiche del tempo, infatti, quegli studi fornivano una let-tura prevalentemente politico-sindacale della condizione degli operai italiani in Svizzera, facendo leva soprattutto su te-stimonianze di lavoratori-militanti al di fuori di una solida riflessione teorico-metodologica della storia orale.

Proprio dalla riflessione metodologica sulle fonti autobiografiche prende invece le mosse Barcella, studioso noto anche per le recenti ricerche sulla condizione dei frontalieri italiani nella Confedera-zione elvetica. Nel suo libro, infatti, egli si avvale di una ricca mole di testimo-nianze, lettere, temi scolastici di donne e uomini, giunti in Svizzera nel dopo-guerra, e di 122 interviste raccolte tra un articolato campione sociale, regionale e generazionale. Con questo vasto materia-le l’A. ricostruisce sul piano quantitativo le aree di provenienza, il periodo dell’ar-rivo, il genere e il settore professionale degli italiani contattati. Ma soprattutto, dando voce diretta ai protagonisti, non si limita alla pura descrizione dei contesti, ma fornisce la percezione soggettiva dei problemi affrontati dagli immigrati nella nuova sede di arrivo.

Attraverso la lente di differenti sog-getti sociali, nel volume vengono presi in esame i nodi di fondo della nuova vita degli italiani in Svizzera: a partire dal-le difficoltà abitative e di lavoro fino a

quelle registrate nei rapporti familiari e nelle relazioni sociali, senza escludere le dinamiche positive dell’associazionismo politico, sindacale, religioso e cultura-le. Emerge così la natura articolata di queste istituzioni, delle attività in esse praticate e, soprattutto, il ruolo centrale da esse svolto nel processo di socializ-zazione degli italiani nella nuova realtà. Le identità, le appartenenze simboliche e territoriali, la registrazione nella me-moria delle esperienze vissute all’estero, la valutazione soggettiva della xenofobia subita – ma anche le personali conside-razioni sui caratteri negativi o positivi degli italiani e le differenti percezioni della Svizzera da parte degli stessi im-migrati – sono tra i temi più presenti in questa articolata ricostruzione. Non solo, ma attraverso la sua documentazione l’A. ripercorre anche i principali momenti della storia dell’emigrazione italiana in Svizzera.

Su questa lunga storia si incentra il volume di sintesi scritto da Ricciardi. Già noto per i suoi studi sull’associazio-nismo, sulla tragedia mineraria di Mar-cinelle e su quella idrogeologica della svizzera Mattmark, l’A. apre il testo con una stimolante riflessione sull’attualità e sull’odierna percezione degli italiani da parte della società svizzera. Questo per mostrare il felice punto di arrivo di una storia più che secolare, scandita da non poche difficoltà di inserimento nel tes-suto sociale e da ripetute ostilità subite sia nel mondo del lavoro che nei rapporti con la popolazione dei differenti canto-ni elvetici. Come in altre grandi aree di arrivo infatti – seppure con le maggiori traversie dovute alla persistente condi-zione di stagionalità del lavoro immi-grato in Svizzera – un mutamento signi-ficativo si è registrato solo attraverso la mobilità generazionale, sostenuta negli ultimi decenni dalla positiva valutazione dell’italianità nel quadro economico-cul-

Page 12: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 177

turale internazionale. Si è giunti così a un deciso ridimensionamento della no-ta xenofobia subita dagli italiani fin dal tardo ’800 e all’abbandono delle rigide politiche discriminatorie che, soprattutto nel periodo postbellico e negli anni della guerra fredda, colpirono i lavoratori pro-venienti dal nostro paese.

A questa introduzione segue una ri-costruzione storica di lungo periodo, che attinge anche a vari casi personali e a informazioni archivistiche raccolte da Ricciardi nel corso delle sue indagini. L’A. prende le mosse dalle mobilità e dai protagonisti del passato (artisti, artigiani, mercanti, esuli), per attraversare le diver-se fasi migratorie del secolo scorso, ma concentrandosi sui movimenti di lavoro e politici seguiti all’accordo del 1948 e sulle vicende successive alla recessione del 1973. Per quanto essenziale la rico-struzione riesce a evidenziare i nodi cen-trali della condizione dei lavoratori ita-liani in Svizzera e della sua progressiva e positiva trasformazione. Dagli accordi italo-svizzeri (con la correlata e ostile percezione di questi da parte dell’opi-nione pubblica elvetica) alle penalizzanti normative confederali in materia di per-messi di soggiorno e di status giuridico dei lavoratori (con la penosa e irrisolta situazione degli stagionali) si arriva in-fatti a un presente nel quale la riapertura di vecchie e nuove mobilità italiane si colloca in un contesto socio-politico as-sai diverso dal passato.

È ancora l’attualità, infatti, a conclu-dere il volume. Nel suo Epilogo a mo’ di premessa l’A. ripercorre le tante difficol-tà trascorse e anche quelle che nel pre-sente cominciano a ripresentarsi ai tanti italiani giunti più di recente in Svizze-ra. Ma al contempo, ricordando con vari

esempi il contributo centrale dei nostri connazionali alla vita economico-sociale della Svizzera, e la positiva evoluzione della lunga presenza italiana nel paese, lancia anche un segnale di speranza per il futuro.

Paola Corti*

Emilio FranzinaAl caleidoscopio della Gran Guerra. Vetrini di donne, di canti e di emigranti (1914-1918)Cosmo Iannone Editore, Isernia 2017, pp. 335

Tra i metaforici “vetrini” dell’accu-rata indagine di Franzina sulle poliedri-che esperienze degli italiani nella pri-ma guerra mondiale - alcuni dei quali dedicati ai molteplici ruoli delle donne e alle canzoni belliche (riprodotte pu-re in un CD allegato) – la sezione più corposa si incentra sull’impatto che il conflitto ebbe sugli emigrati e sui loro figli. Tali ripercussioni sono affrontate su due livelli, con particolare attenzione per il caso delle Americhe e soprattutto dell’Argentina. Da un lato sono ricostru-ite le vicende di coscritti e combatten-ti. Dall’altro vengono analizzate le di-namiche che caratterizzarono il fronte interno nelle comunità italiane dei paesi di adozione, a partire dalla dialettica tra neutralisti e interventisti prima del 24 maggio 1915. Questo duplice quadro è tracciato a partire da gamma di fonti a stampa e inedite vasta per consistenza e varia per tipologia, che spazia dalla do-cumentazione consolare e dai giornali in lingua italiana pubblicati all’estero alla corrispondenza e alla memorialistica dei soldati.

* Dipartimento di Filosofia e scienze dell’educazione, via Verdi 8 10124 Torino; [email protected]

Page 13: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

178 schede

L’A. ripropone le cifre del Commis-sariato generale dell’emigrazione relative agli italiani nel mondo che aderirono allo sforzo bellico della nazione di origine: 303.919 «rimpatriati per obblighi di le-va» (p. 188), rispetto a una stima di circa 1.100.000 residenti all’estero in età per prestare il servizio militare. Si avvale an-che della pubblicistica coeva o di poco successiva alla conclusione del conflitto per rilevare una maggiore disponibilità dei cittadini italiani negli Stati Uniti al reclutamento e attestare, invece, una lar-ga diffusione della renitenza nel Brasi-le. Questi dati, però, sono privi di una suddivisione per anno; non permettono, quindi, una verifica quantitativa del pro-gressivo declino dell’iniziale entusiasmo patriottico (che si espresse anche attra-verso l’arruolamento volontario, ben do-cumentato dalla stampa etnica) e della progressiva disillusione, testimoniata dal-la memorialistica e soprattutto dalla cor-rispondenza dei soldati al fronte quando il conflitto si rivelò un’estenuante guerra di logoramento nelle trincee. La mancan-za di statistiche sulla renitenza negli anni precedenti allo scoppio delle ostilità non consente di valutare in quale misura il fenomeno del rifiuto della chiamata alle armi sia stato arginato dal fatto che i co-scritti erano consapevoli dell’emergenza nazionale, come mostra l’esperienza di un immigrato negli Stati Uniti, Giovanni Antenucci, partito volontario alla fine di giugno del 1915, nel momento del “biso-gno” per l’Italia (p. 220), sebbene avesse evaso in passato gli obblighi di leva.

Malgrado i limiti delle fonti disponi-bili, Franzina tende a ridimensionare la portata della renitenza tra gli emigrati, pur riconoscendone la rilevanza percen-tuale. Sostiene, infatti, in modo persua-sivo che sarebbe stato lecito aspettarsi cifre molto maggiori, visto che molti ri-chiamati avevano lasciato l’Italia da tem-po non erano perseguibili per il rifiuto

di indossare la divisa e potevano ragio-nevolmente nutrire rancore verso uno Stato che li aveva costretti a espatriare per motivi economici, trovandosi fuori dalla giurisdizione delle autorità di Ro-ma. L’opposizione a vestire l’uniforme viene ricondotta non solo alla mancanza di amor patrio o a ragioni ideologiche, ma anche alla preoccupazione di lasciare la propria famiglia senza sostentamento e al timore di dover affrontare ostacoli legali al ritorno nella terra d’adozione una volta terminate le ostilità.

Quest’ultima paura colse soprattutto gli immigrati negli Stati Uniti, in gran parte analfabeti, in quanto il Congresso di Washington nel 1917 varò una legge che subordinava alla capacità di legge-re e scrivere almeno nella madrelingua l’ingresso in territorio americano di chi avesse compiuto il sedicesimo anno di età. Così, dando conto della complessi-tà del comportamento degli emigranti e non prestandosi a facili conclusioni, Franzina spiega anche la scelta degli «ol-tre centomila italiani» (p. 219) che de-cisero sì di partire per la guerra, ma di militare nelle forze armate statunitensi, per usufruire della riduzione premiale dei tempi di concessione della cittadi-nanza americana a beneficio dei volon-tari stranieri e, quindi, per assicurarsi la possibilità di rientrare negli Stati Uniti al termine della ferma.

La leva degli immigrati fu stimola-ta specialmente dalla propaganda della stampa in lingua italiana all’estero. Tale funzione fu esplicata in modo paradig-matico da «La Patria degli Italiani» di Buenos Aires, le cui pagine ridondano di appelli al patriottismo e di lettere dal fronte dai toni quanto mai retorici non solo nell’esaltare il coraggio dei solda-ti ma anche nel riflettere le motivazio-ni idealistiche dell’intervento e nell’evi-denziare il presunto aspetto glorioso dei combattimenti.

Page 14: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 179

Il sostegno delle comunità nelle Americhe all’intervento dell’Italia in guerra si espresse anche attraverso la formazione di comitati che raccoglie-vano generi di conforto da inviare ai militari in trincea nonché fondi da de-stinare al governo di Roma, alle fami-glie dei soldati e agli sfollati. L’analisi di queste iniziative fa da corollario alla disamina delle informazioni sul reclu-tamento nel fornire parametri per de-terminare la sopravvivenza, il risveglio o lo sviluppo della coscienza italiana degli espatriati e dei loro figli, anche e soprattutto nel caso di coloro che era-no nati all’estero e risultavano cittadini jure sanguinis, sebbene non avessero mai messo piede nella terra dei loro antenati. Per questa via si può anche valutare la resistenza all’assimilazione e l’emergere di un senso dell’apparte-nenza nazionale che sostituì le identità localistiche con cui i più erano giunti nei Paesi di adozione.

Secondo l’A., questa tendenza si era già manifestata in occasione della guerra di Libia, quando i differenti sodalizi ita-liani all’estero – sorti su basi prevalen-temente campanilistiche – avevano so-stenuto unitariamente la conquista della Cirenaica e della Tripolitania, vincendo le rivalità regionali che li avevano di-visi fino a quel momento. Questa tesi, però, avrebbe avuto bisogno di essere approfondita e declinata in modo più puntuale, articolandola anche per aree di migrazione. Negli Stati Uniti, per esem-pio, l’ostilità di gran parte dell’opinione pubblica americana per una campagna militare colonialista frenò il superamen-to delle fratture interne alle Little Italies in nome del nazionalismo.

Malgrado una certa frammentarietà nell’esposizione e qualche sovrapposizio-ne nel contenuto, conseguente al fatto

che il volume è in parte una ripropo-sizione di saggi già pubblicati, Fran-zina presenta elementi significativi del transnazionalismo degli emigrati italiani negli anni della prima guerra mondiale. Delinea, inoltre, un aspetto – ancorché temporaneo e circoscritto – dell’esodo di ritorno che contribuisce ad attestare la circolarità dei flussi transatlantici, una dimensione in genere poco considerata dagli studi sulle migrazioni italiane.

Stefano Luconi*

Stéphane Mourlane-Dominique Païni (sous la direction de)Ciao Italia! Un siècle d’immigration et de culture italienne en FranceÉditions de La Martinière, Paris 2017, pp. 192

Il catalogo riproduce in modo effica-ce contenuti, testi, oggetti della mostra organizzata nel 2017 dal Musée national de l’histoire de l’immigration nel deci-mo anniversario della sua inaugurazio-ne presso il Palais de la Porte Dorée, l’edificio costruito a Parigi in occasione dell’Exposition coloniale del 1931. Dopo le mostre sugli armeni in Francia (2007), sugli stranieri all’epoca dell’exposition del 1931 (2008), sull’immigrazione ma-grebina (2010), polacca (2011) e algerina (2012), sulle rappresentazioni delle mi-grazioni nei fumetti (2013) – per ricor-darne solo alcune –, il museo ha affidato a Stéphane Mourlane e Dominique Païni il compito di progettare e realizzare un percorso informativo e interpretativo su un secolo di storia degli italiani e delle italiane in Francia, dall’Unità d’Italia al “miracolo economico”, gettando qualche sguardo anche sul periodo successivo e fino al tempo presente.

* Dipartimento DISFOR; corso Andrea Podestà 2 16128 Genova; [email protected]

Page 15: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

180 schede

Come ricorda Benjamin Stora nella prefazione, a fine ’800 la Francia era il terzo paese di destinazione per chi la-sciava l’Italia, e alla vigilia della se-conda guerra mondiale gli italiani co-stituivano un terzo di tutti gli stranieri presenti nella Repubblica. Si trattava di un fenomeno che aveva alle spalle seco-li di relazioni e scambi tra i due paesi, le cui eredità avrebbero svolto un ruolo non secondario nel definire i tratti di un fenomeno nuovo per le sue dimensioni di massa, la sua variegata diffusione sul territorio e le tante petites Italies (non una omogenea “comunità italiana”) che avrebbero punteggiato Parigi e Lione, come le zone minerarie o l’area mediter-ranea e il Sud-Ovest.

Il volume è articolato in quattro se-zioni tematiche. La prima è dedicata ai Regards, non a caso aperta da un con-tributo di Isabelle Renard – storica, au-trice di un volume sull’Istituto Francese di Firenze e ora funzionaria del museo – sugli artisti italiani a Parigi, ed è com-posta da capitoli sugli italiani nel cinema e nella fotografia, su figure significative come Lino Ventura o sull’emigrazione in Francia vista dall’Italia, con alcuni contributi scritti anche da studiosi italia-ni (come quelli di Paola Corti e Matteo Sanfilippo, ad esempio).

La seconda sezione centra lo sguar-do sugli spazi della migrazione, ovvero sui luoghi di passaggio e sulle frontiere. Colpisce, nel 2018, rivedere la copertina della «Domenica del Corriere» del 17 novembre 1946 sulle Tragedie dell’emi-grazione clandestina, con la didascalia che intende rafforzare il dramma rap-presentato dal disegno di Walter Moli-no: «Una povera donna che tentava di raggiungere la Francia, con due figli, at-traverso un passo alpino, sorpresa dalla tormenta ha lottato invano: il più piccolo dei bimbi è morto fra le braccia; dopo qualche ora il secondo è caduto esausto

con lei. I tre cadaveri sono stati rinvenuti dopo due giorni tra la neve» (p. 77).

Passaporti e guide pratiche ad «uso dei lavoratori italiani in Francia», fo-tocartoline delle stazioni di Modane e del Ponte San Luigi di Ventimiglia, ma anche immagini di consolati e scuole, chiese e associazioni, concorrono a ri-evocare strumenti e arnesi usati da chi intendeva passare, così come i tentati-vi di intervento statale per bloccare le vie, governare le relazioni, costruire la frontiera. Le destinazioni erano varie: dai campi della Francia profonda – con un’economia agricola spesso più ricca di quella italiana – ai boschi di Provenza e Corsica, meta stagionale dei carbonai provenienti dagli Appennini; dai cantieri edili (nel 1962, quasi metà dei lavoratori stranieri nell’edilizia francese erano ita-liani) all’industria del ferro e della me-tallurgia, o anche del petrolio, ovvero in quei settori che fecero la fortuna an-che della famiglia Ponticelli (i cui eredi figurano tra gli sponsor della mostra), divenuti imprenditori con una société de fumisterie, e a Lazzaro, noto come le dernier poilu, ovvero l’ultimo reduce francese della Grande guerra, morto nel 2008. Consistente e centrale per l’opera è la sezione dedicata alle impronte cul-turali perché, come spiegano i curatori nell’introduzione, «anche gli italiani fe-cero la Francia» (p. 12).

I temi presenti in questa parte del vo-lume sono forse i più vicini alla sensi-bilità della storiografia francese. Chri-stophe Poupault ripercorre il mito della latinità, dal panlatinismo della seconda metà dell’800 alla «Revue des nations latines» e alla propaganda francese per l’intervento italiano in guerra nell’anno della neutralità; dalla crisi diplomatica e politica degli anni ’20 fino al “rina-scimento latino” post 1945. Si accenna al massacro di Aigues-Mortes del 1893, per poi occuparsi del ruolo dell’antifasci-

Page 16: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 181

smo italiano nella costruzione dell’iden-tità politica della sinistra francese e del contributo degli italiani alla Resistenza francese.

Nell’ultima parte dell’opera, le imma-gini e i testi dedicati all’influenza mu-sicale degli italiani in Francia – con le loro voci e le loro fisarmoniche –, al-la presenza della lingua italiana, al ri-levante impatto delle culture culinarie importate da regioni e province d’Italia – pasta e vino, ma anche caffè e aperi-tivi – o al ruolo di figure come Cino Del Duca, editore (anche di fumetti) e pro-duttore cinematografico «ingiustamente dimenticato» (p. 166), offrono al lettore ulteriori spunti per riscoprire la varie-tà degli sguardi sugli immigrati italiani nella Francia contemporanea e per osser-vare le conseguenze più profonde delle presenze straniere, col loro apporto alla cultura e alla vita materiale del paese di accoglienza.

Il volume si chiude guardando al tempo presente, alle memorie e ai miti dell’immigrazione italiana, ma anche in-terrogandosi sul significato e le possibili conseguenze delle nuove ondate di im-migrazione che hanno caratterizzato gli ultimi anni. Se tra il 1990 e il 2005 ogni anno entravano in Francia per motivi di lavoro o studio circa 3.000 persone, da allora il flusso è cresciuto fino ad esplo-dere nell’ultimo decennio, superando nel 2015 quota 9.000. Naturalmente, a indi-rizzarsi verso la Francia – quarto paese di destinazione per gli italiani emigranti di questo XXI secolo (dopo Germania, Regno Unito e Svizzera) – è una tipolo-gia di persone ben diversa da quella di cento o centocinquant’anni fa, al di là del fatto che oggi come ieri si tratta per lo più di persone giovani, intraprendenti, dotate già in partenza di “saperi” utili; anche se oggi questi saperi si materia-

lizzano non in persone con una abilità di mestiere, ma con lauree di secondo livello (il 41% degli arrivati negli ulti-mi cinque anni). Quelli che partivano e che partono dall’Italia, insomma, erano e sono, molto spesso, i più forti e intra-prendenti.

Un essenziale apparato bibliografico chiude un’opera che si distingue per un evidente sforzo comunicativo e divulga-tivo, col preciso obiettivo di restituire la complessità di quella storia e di solleci-tare il desiderio di saperne di più, come invitano a fare le molte opere via via richiamate nelle biografie degli autori. Unico neo, forse, lo scarso spazio dato a momenti conflittuali e aspetti irrisolti di una vicenda ricca di chiaroscuri, che si rinnovano, spesso in modo drammatico, tra i passaggi di Ventimiglia e i valichi alpini.

Roberto Bianchi*

Elizabeth ZanoniMigrant Marketplaces. Food and Italians in North and South AmericaUniversity of Illinois Press, Urbana, Chicago e Springfield 2018, pp. XII+275

L’accesso al mercato dei consumi da parte di immigrati provenienti da realtà rurali e dei loro figli tra la fine dell’800 e la metà del’900 è stato a lungo consi-derato un aspetto saliente dell’assimila-zione di queste persone nelle rispettive società di adozione, in modo particolare per quanto riguarda gli europei orien-tali e meridionali trasferitisi negli Stati Uniti nel periodo dei flussi transatlantici di massa. Invece, conducendo uno stu-dio comparativo dell’esperienza italiana in Argentina e negli Stati Uniti tra gli

* Dipartimento SAGAS, via S. Gallo 10 50129 Firenze; [email protected]

Page 17: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

182 schede

ultimi due decenni dell’800 e lo scoppio della seconda guerra mondiale, Zanoni contribuisce a dimostrare che, quando fu declinato in termini di attaccamento alla terra natale, il consumismo servì an-che a rafforzare la coscienza nazionale primigenia degli italo-americani. Infatti, attraverso l’acquisto soprattutto di generi alimentari importati dalla madrepatria o prodotti negli Stati Uniti e in Argentina per soddisfare i gusti della tradizione, gli immigrati e i loro discendenti man-tennero vivo il rapporto identitario con l’Italia e consolidarono un senso dell’ap-partenenza basato sulla propria origine nazionale.

Il nesso tra consumi e autopercezione fu stimolato dalle inserzioni pubblicita-rie della stampa in lingua italiana ne-gli Stati Uniti e in Argentina, analizza-te dall’A. con una campionatura dei due principali quotidiani delle capitali, che ospitavano anche le comunità immigrate più popolose di questi paesi: «Il Progres-so Italo-Americano» di New York e «La Patria degli Italiani» di Buenos Aires. Per vincere la refrattarietà di consuma-tori appartenenti al proletariato e sotto-proletariato urbano a comperare prodotti d’importazione generalmente costosi, le réclame cercarono inizialmente di fare leva sulla migliore qualità di alimenti e alcolici provenienti dalla madrepatria. Tuttavia, a partire dalla mobilitazione a sostegno dell’intervento dell’Italia nel-la prima guerra mondiale, le pubblici-tà cominciarono a presentare l’acquisto di prodotti italiani come un dovere pa-triottico degli immigrati e dei loro di-scendenti. Tale impostazione si accentuò durante il regime fascista, raggiungen-do il culmine in risposta alle sanzioni economiche imposte dalla Società del-le Nazioni all’Italia dopo l’aggressione all’Etiopia.

Fin dalla pubblicazione di Un princi-pe mercante di Luigi Einaudi nel 1900,

il mondo economico italiano ha guarda-to alle comunità dei connazionali all’e-stero come a un mercato appetibile per le esportazioni di beni di consumo. La storiografia, invece, ha mostrato a lungo una scarsa attenzione per le interazio-ni tra movimenti di persone e flussi di merci nel caso italiano: interazioni la cui importanza è invece attentamente esplo-rata da Migrant Marketplaces, centrato sull’intreccio tra le vicende dell’esodo italiano di massa verso le Americhe e le dinamiche del commercio transatlan-tico. Una conseguenza non secondaria (lungo una direttrice opposta rispetto a quella auspicata da Einaudi) del connu-bio tra la massiccia presenza di immi-grati e la forte richiesta di generi ali-mentari italiani fu il sorgere di aziende (non necessariamente fondate o gestite da italiani) che producevano negli Sta-ti Uniti pasta, vino, salsa di pomodoro e altri alimenti associabili all’Italia per venderli ai membri delle Little Italies o addirittura per esportarli nelle comunità italo-argentine.

I mercati a cui si richiama il titolo della monografia costituivano allo stes-so tempo luoghi concreti, in cui avveni-vano transazioni di merci, e spazi sim-bolici in cui veniva negoziata l’identità degli italo-americani, in una prospettiva transnazionale che collegava la terra d’o-rigine e quella d’adozione attraverso le scelte eno-gastronomiche dei consuma-tori. Tuttavia, a differenza di numerose ricerche che in anni recenti hanno ana-lizzato le migrazioni italiane con un ap-proccio transnazionale, la ricostruzione di Zanoni non affronta solo il versante americano del binomio tra terra d’origine e luogo di destinazione. Per esempio, l’A. illustra come le rimesse dei lavoratori trasferitisi all’estero consentissero ai fa-miliari rimasti in patria, generalmente donne, di inserirsi nel nascente mercato

Page 18: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 183

italiano dei consumi, grazie a un pote-re d’acquisto impensabile per quegli ap-partenenti al loro ceto sociale che non avevano mai lavorato al di fuori della nazione natale.

Questo sintetico riferimento alle don-ne nel contesto italiano è solo un ele-mento dell’attenzione di Zanoni per le questioni di genere. Uno dei principali fili conduttori dello studio è costituito dal progressivo emergere della centralità femminile nelle definizioni dei compor-tamenti di consumo degli italo-ameri-cani. Infatti, con il consolidamento di un’immigrazione per nuclei familiari, dopo una fase di flussi costituiti soprat-tutto da maschi soli, furono mogli e madri a effettuare la spesa alimentare. Il volume mette in rilievo la crescita di tale ruolo soprattutto attraverso una let-tura dei soggetti delle pubblicità. Dopo la prima guerra mondiale, nelle réclame le figure femminili si trasformarono da personificazioni allegoriche dell’Italia – spesso collocate in posizione subordi-nata rispetto a uomini come il sovrano, statisti ed esploratori italiani – a rap-presentazioni di consumatrici, perché le donne erano ormai divenute il target privilegiato delle inserzioni stesse. An-che questo aspetto viene calato dall’A. in un’ottica transatlantica, per porre in evidenza la contrapposizione tra due differenti tipologie di donna: quella con uno stile di vita parsimonioso e quasi frugale, che il fascismo cercò di diffon-dere anche nelle comunità italiane all’e-stero soprattutto nei mesi della campa-gna d’Etiopia, e quella consumatrice, il cui modello era veicolato dalle pubblici-tà della stampa italo-americana, perfino su giornali allineati ideologicamente con il regime come «Il Mattino» di Buenos Aires.

Più in generale, il caso di studio pre-sentato da Zanoni sul collegamento tra

migrazioni e commercio internazionale intende portare alla luce una componen-te non irrilevante della mondializzazio-ne nel mezzo secolo precedente il se-condo conflitto mondiale. L’A. rifugge, però, dalla tentazione di proporre facili generalizzazioni e non perde di vista la specificità delle singole realtà naziona-li, come la minore capacità degli italo-statunitensi di influenzare la legislazio-ne tariffaria del proprio paese rispetto agli italo-argentini, oppure la propen-sione degli immigrati a Buenos Aires a consumare alimenti importati dall’Italia negli anni della prima guerra mondiale, laddove i loro connazionali newyorkesi tendevano ad acquistare surrogati pro-dotti negli Stati Uniti. La consapevolezza dei crescenti contenuti nazionalisti delle campagne pubblicitarie avrebbe potuto indurre l’A. ad approfondire il ruolo che gli stimoli al consumo di alimenti ge-nericamente italiani, anziché di prodotti tipici dei diversi territori di provenienza nella madrepatria, giocarono nel favorire il superamento delle identità campani-listiche che connotarono inizialmente i migranti. Inoltre, genere, transnaziona-lismo e globalizzazione non esauriscono la complessità dei fenomeni affrontati da Zanoni. In un lavoro sui consumi sa-rebbero state auspicabili una maggiore quantità e varietà di dati numerici, al di là dell’osservazione che gli Stati Uniti e l’Argentina furono i destinatari dei 4/5 delle esportazioni italiane nelle Ameri-che tra il 1880 e il 1913 (pp. 18-19). Pe-rò, la scelta di privilegiare la dimensione culturale rispecchia l’approccio oggi do-minante nei migration studies e pertanto questa monografia è destinata a divenire un utile riferimento per ulteriori ricerche che vorranno esaminare il rapporto tra emigrazione ed esportazioni dall’Italia in altri contesti.

Stefano Luconi

Page 19: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

184 schede

Luca Gorgolini (a cura di)Le migrazioni forzate nella storia d’Italia del XX secoloil Mulino, Bologna 2017, pp. 264

Negli ultimi decenni le migrazioni forzate si sono imposte all’attenzione della storiografia internazionale come un tema centrale per la comprensione del mondo moderno. Lo dimostra lo svilup-po dei Refugee and Forced Migration Studies che vantano ormai istituti di ri-cerca e riviste specializzate. Con la sola eccezione del caso dei giuliano-dalmati dopo la seconda guerra mondiale, la sto-riografia sul tema ha però dedicato po-co interesse alle vicende italiane. Questo volume colma una lacuna, analizzando casi di migrazione forzata che si sono intrecciati in diversi modi con la storia italiana del ’900. Pur se dedicati ad ar-gomenti diversi, i saggi compresi nella raccolta si dispongono lungo due assi te-matici centrali: la guerra e il coloniali-smo.

Ad aprire il volume è un interessante studio di Francesco Frizzera che ana-lizza le vicende degli esuli trentini du-rante la Grande guerra, comparando le politiche praticate dalle autorità italiane nella parte di territorio da loro occupato e quelle dell’Impero austro-ungarico nel resto della regione. L’analisi evidenzia come le modalità perseguite dai due Sta-ti fossero molto simili, nonostante che in un caso si rivolgessero a un gruppo etnico potenzialmente ostile e nell’al-tro a connazionali. Analoga possibilità di guardare alla vicenda degli sposta-menti forzati in un’ottica transnazionale è offerta dal contributo di Raoul Pupo sull’“esodo” – categoria interpretativa al-ternativa a quella di rimozione forzata – dei 300.000 giuliano-dalmati nel secon-do dopoguerra. Sintetizzando la notevole mole di studi sul tema, l’A. è attento a mettere in luce la dimensione complessa

di quegli eventi, che la politicizzazione della vicenda nel dibattito pubblico ha finito per mettere in ombra. In particola-re egli propone una terza via rispetto al-la tesi “negazionista” di parte jugoslava (che ha sempre disconosciuto l’esistenza di un rapporto causale tra la politica ju-goslava e l’esodo degli italiani) e quella “intenzionalista” di parte italiana, che ha attribuito tale fenomeno a un piano di pulizia etnica. L’A. delinea invece una spiegazione “funzionalista” – termine importato dal dibattito sulla Shoah – che riconduce l’esodo alle aporie interne alla politica della “fratellanza italo-jugosla-va” attuata dalle autorità della nuova Re-pubblica socialista.

Meno attento a questa dialettica inter-na è il contributo di Federico Cresti, che analizza l’espulsione degli italiani dalla Libia di Gheddafi nel 1970 alla luce del-le dinamiche coloniali, dagli incerti inizi del 1912, quando la presenza aveva anco-ra un carattere prettamente militare, alle politiche di popolamento e colonizzazio-ne agraria degli anni ’30, che fecero le-va sulle terre sottratte ai libici internati per reprimere la resistenza. L’espulsio-ne degli italiani dalla cosiddetta Quarta sponda viene ricondotta alle utopie di omogeneizzazione etnica del Consiglio del comando della rivoluzione, miranti a realizzare una «mitizzata identità arabo-mussulmana» (p. 192), anche se l’iden-tità post-coloniale della nuova dirigenza libica resta poco articolata. D’altra par-te, l’A. sottolinea che il trattato di col-laborazione italo-libico del 1956 aveva lasciato aperte molte questioni, a partire dalle responsabilità del colonialismo ita-liano, configurandosi come un accordo dai tratti neo-coloniali, soprattutto nei suoi aspetti economici. Dal punto di vi-sta tematico si avvicina a questo saggio quello di Emanuele Ertola sulle pecu-liarità dell’internamento e degli sposta-menti di popolazione praticati dall’Ita-

Page 20: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 185

lia come strumento di repressione e di ingegneria sociale rispetto all’uso degli stessi da parte di altre potenze coloniali. Riprendendo una tesi di Nicola Labanca, l’A. sottolinea il carattere anacronistico delle pratiche repressive del coloniali-smo fascista, attuate proprio nella fase declinante del colonialismo europeo: un giudizio che peraltro egli ridimensiona, alla luce delle molte attività di contro-guerriglia coloniale, con largo impiego di spostamenti forzati, portate avanti nel-la seconda metà del ’900, come nel caso del Kenya o della Malesia britanniche. A colpire, semmai, è a parere dell’A. l’am-piezza dell’uso di tali strumenti, che rag-giunse l’acme in Tripolitania e Cirenaica tra il 1930 e il 1933, e che si consolidò come una «risposta sistematica alle crisi, ogni qual volta venisse minacciato l’ordi-ne coloniale» (p. 81).

Un secondo gruppo di saggi propo-ne un’analisi degli spostamenti forzati all’interno della penisola come effetto di avvenimenti bellici. Daniele Ceschin esplora le dimensioni e l’esperienza degli esodi seguiti alla disfatta di Caporetto, arricchendo l’analisi con brani di me-morie che testimoniano le inadempienze delle autorità nell’attuare misure di assi-stenza ai profughi. Sono incentrati sulla seconda guerra mondiale i saggi di Luca Gorgolini sugli “sfollamenti” di popola-zione in Italia (dovuti sia ai bombarda-menti sia alla necessità di sgomberare ampie zone a ridosso del fronte quando l’Italia diventò teatro diretto di guerra) e di Patrizia di Luca, che si occupa dell’af-flusso di profughi nella Repubblica di San Marino. Infine Matteo Sanfilippo descrive le complesse dinamiche di assi-stenza ai profughi alla fine della guerra, quando l’Italia ospitò numerosi e varie-gati gruppi di displaced persons: dagli ex-internati dei territori occupati (jugo-

slavi, greci, albanesi) a coloro che usava-no la penisola come territorio di transito per tornare al paese di origine, spesso dopo anni di prigionia, ai gruppi italofo-ni espulsi da vari paesi: dalla Jugoslavia ma anche dalla Grecia (un caso ancora poco indagato). Chiude il volume un’u-tile rassegna della legislazione sul dirit-to d’asilo emanata dallo Stato italiano negli anni ’90 del ’900 (quando il paese divenne meta di rifugiati dall’area balca-nica e dovette modificare la legislazione sul diritto d’asilo, fino ad allora limitato alla sola Europa orientale in ossequio alla “riserva geografica”) e dell’organiz-zazione dell’accoglienza, di cui sostan-zialmente si fece carico la società civile, vista la quasi totale assenza di interven-ti istituzionali: un contributo, questo di Marzia Bona e Chiara Marchetti, che – a chiusura del volume – proietta il lettore nel dibattito contemporaneo.

Se l’ampiezza tematica è sicuramente un pregio del volume, allo stesso tempo ne costituisce un limite. Il riferimento alla storia italiana risulta un filo rosso un po’ debole e il centro tematico si sposta continuamente da casi in cui gli italiani furono agenti a casi in cui furono vittime di espulsioni da parte di Stati stranieri. Inoltre, non è sempre chiaro il motivo dell’accostamento di fenomeni assai di-versi come lo sfollamento di città bom-bardate e la pulizia etnica. Certo, come mostra il caso del Trentino analizzato da Frizzera, tali fenomeni si pongono spes-so in un continuum caratterizzato da un crescendo di violenza e coercizione. Il libro però non indaga questo complesso intreccio con la dovuta attenzione e il lettore fatica a trovare nel susseguirsi dei saggi dei temi comuni. Forse un’intro-duzione più ampia del curatore avrebbe aiutato a inserire meglio i singoli contri-buti in un quadro unitario.

Paolo Fonzi*

* Humboldt Universität, Unter den Linden 6 10099 Berlin; [email protected]

Page 21: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

186 schede

Martina CvajnerSociologia delle migrazioni femminili. L’esperienza delle donne post-sovieticheil Mulino, Bologna 2018, pp. 225

Dopo la dissoluzione dell’Urss l’area post-sovietica è stata scenario di consi-stenti migrazioni internazionali di tipo intra e inter-regionale. Nonostante la chiusura della società sovietica e il rigi-do controllo dei movimenti spaziali dei cittadini, la popolazione era abituata a un certo grado di mobilità interna. Con il 1991 molte cose sono cambiate, sia perché quel processo, dando vita a nuovi Stati, ha fatto sì che alcune delle tradi-zionali “mete domestiche” diventassero internazionali, sia perché la relativa li-bertà di movimento di cui finalmente si godeva ha fatto emergere nuove desti-nazioni. Due, sostanzialmente, le mete preferenziali delle donne post-sovietiche: la Federazione russa e l’Unione europea. Nel primo caso il tratto più nuovo è da-to dalla significativa femminilizzazione delle migrazioni moldave, ucraine e kir-ghise, seppur all’interno di uno scenario ancora dominato dalle migrazioni ma-schili. Quanto all’UE, le principali mete delle migranti provenienti dai paesi ex-sovietici sono la Polonia (specialmente per le ucraine), i paesi nordici (in parti-colare per le cittadine dei paesi baltici), l’Italia e la Spagna, soprattutto per ucrai-ne e moldave.

Nel volume di Cvajner è ricostruito in modo esemplare uno dei flussi migrato-ri femminili nati dalle ceneri dell’Urss, ovvero le migrazioni femminili verso l’I-talia. Si tratta di un processo che negli ultimi anni ha attratto numerose ricer-che, focalizzate in genere sull’analisi di una specifica nazionalità, con una netta preferenza per la migrazione femminile ucraina e moldava (F.A. Vianello, Mi-

grando sole. Legami transnazionali tra Ucraina e Italia, FrancoAngeli, Milano 2009; F. Vietti, Il paese delle badanti, Meltemi, Milano 2010). Questo lavoro ha il pregio di operare una sintesi, mettendo in luce le somiglianze tra i diversi flussi migratori femminili che originano dai paesi post-sovietici. L’A. include infatti nella sua analisi non solo le donne ucrai-ne e moldave, che costituiscono le collet-tività più numerose in Italia, ma anche le bielorusse, le georgiane e le russe. L’ori-ginalità della ricerca risiede nella capaci-tà di mettere in luce come la migrazione di “donne sole” da alcune ex repubbliche sovietiche si sia mano a mano strutturata fino a divenire un vero e proprio “siste-ma migratorio” femminile, cioè un siste-ma di relazioni, norme sociali e rapporti materiali capace di riprodursi nel tempo e di soddisfare, com’è accaduto nell’ulti-mo ventennio, la domanda italiana di la-voro di cura, garantendo al tempo stesso un importante flusso di rimesse verso i paesi di origine.

Cvajner argomenta che per compren-dere come si forma un sistema migra-torio femminile è necessario studiare a fondo il funzionamento delle catene mi-gratorie. Nei primi tre capitoli l’A. si mi-sura con un’analisi approfondita di tale meccanismo, soffermandosi sulla diversa posizione delle donne nella catena e sul ruolo rivestito dalle migranti nella se-quenza degli arrivi, aspetto scarsamente studiato fino ad ora. Si distingue tra pio-niere, prime adottanti (cioè coloro che adottano immediatamente l’innovazione introdotta dalle pioniere) e seguaci, met-tendo in luce come l’esperienza migrato-ria nei suoi differenti aspetti – lavorativi, sociali e legali – assuma caratteristiche specifiche in base alla posizione occupa-ta dalle migranti.

Il quarto capitolo affronta un te-ma nuovo e promettente, storicamente al centro degli interessi dell’A.: la vita sentimentale e sessuale delle migranti

Page 22: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 187

post-sovietiche. Cvajner spiega come la migrazione costituisca anche uno spa-zio sociale in cui le donne riscoprono la propria femminilità e sperimentano una ridefinizione di quel calendario socio-culturale che scandisce la biografia degli individui. In Italia le migranti “ringio-vaniscono”, scoprono di non essere più babushke e di potersi ancora ricostrui-re una vita sentimentale e sessuale: un aspetto, questo, riscontrato anche tra gli imprenditori italiani in Romania (D. Sac-chetto, Isolani dell’arcipelago. Deloca-lizzatori e forza lavoro in Romania, in Un arcipelago produttivo. Migranti e im-prenditori tra Italia e Romania, a cura di F. Gambino, D. Sacchetto, Carocci, Ro-ma 2007, pp. 133-70). Rispetto a questo tema, sarebbe davvero importante con-durre ulteriori ricerche per comprendere in che modo l’esperienza migratoria con-senta agli individui di mettere in discus-sione le norme sociali che definiscono le transizioni biografiche e le aspettative sociali ad esse connesse, specialmente per quanto riguarda la vita sentimentale.

Nel quinto capitolo, infine, Cvajner riprende l’ampio dibattito sul transna-zionalismo, situandosi al suo interno e mettendo a fuoco le modalità di vita transnazionale adottate dalle migranti post-sovietiche. Qui l’A. affronta alcu-ne tematiche classiche come le rimesse monetarie e sociali, gli investimenti, i ritorni e il rapporto, spesso conflittua-le, con chi rimane nel paese di origine. Nell’analisi dello spazio sociale transna-zionale sono tuttavia assenti le migran-ti di ritorno che pure rappresentano un attore cruciale nella riproduzione del-lo stesso sistema migratorio. I dati Istat relativi ai cittadini stranieri cancellati per trasferimento di residenza per l’este-ro evidenziano che dal 2010 ogni anno

escono dall’Italia circa 1.500 ucraine, 1.000 moldave e 300 russe. Si tratta di un segnale importante, che evidenzia la necessità di conoscere in modo ravvici-nato la complessità dei movimenti che si danno in entrambe le direzioni; tanto più che proprio lo studio delle migrazio-ni di ritorno offre un importante osser-vatorio per analizzare come si ridefini-scono i rapporti di potere tra i generi a seguito dell’esperienza migratoria a li-vello micro nelle interazioni familiari, ma anche a livello macro nelle narrazio-ni e contro-narrazioni della migrazione.

Nel complesso, l’intero volume si situa nell’ambito di studi che nell’analisi dei processi migratori adottano un approc-cio di genere (cfr. E. Abbatecola-F. Bim-bi, Introduzione a «Mondi Migranti», 3, 2016, n.s. su Engendering migrations; F.A. Vianello, Genere e migrazioni. Pro-spettive di studio e di ricerca, Guerini, Milano 2014). Tuttavia, mentre gran par-te degli studi si concentra su una analisi dei modi in cui donne e uomini migranti si posizionano e sono posizionati nelle strutture asimmetriche di potere e dei mutamenti indotti in tali posizionamenti dalla migrazione, Cvajner si concentra piuttosto sull’analisi della mobilità delle donne, tenendo sullo sfondo i rapporti asimmetrici di genere, classe, età e ap-partenenza linguistico-culturale ed evi-denziando in particolare tre dimensioni: l’ambiente dell’azione migratoria, le rela-zioni sociali e la carriera migratoria.

Il volume non solo è utile per com-prendere come si è formato un sistema migratorio così duraturo, ma è anche sti-molante sul piano teorico, ed è sperabile che contribuisca ad aprire una discus-sione proficua nell’ambito degli studi su genere e migrazioni e a fornire spunti suggestivi per nuove piste di ricerca.

Francesca Alice Vianello*

* Dipartimento FISSPA, piazza Capitaniato 3 35139 Padova; [email protected]

Page 23: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

188 schede

Barbara Turchetta-Massimo Vedovelli (a cura di)Lo spazio linguistico italiano globale: il caso dell’Ontario Pacini, Pisa 2018, pp. 331

Qual è, oggi, il ruolo svolto dall’i-taliano nei contesti extra-italiani stori-camente interessati da consistenti flus-si immigratori? Rimane – e con quale spessore, in quali domini, in quali ca-tegorie di parlanti – come lingua d’uso, oppure tende a configurarsi soprattutto come lingua investita di valori simboli-ci? E questi valori simbolici rimandano a dinamiche di tipo identitario, e in questo senso possono essere riconducibili al vis-suto (e, progressivamente, all’immagina-rio collettivo) delle diverse generazioni di immigrati, oppure fanno riferimento e contribuiscono a sostenere i connotati di ciò che, fuori dai nostri confini, è perce-pito come tratto distintivo dell’italianità?

All’interno della realtà demografica canadese, dove almeno 4 persone su 10 hanno origini culturali e linguistiche di-verse, Toronto, in cui il 35% circa della popolazione è plurilingue e un cittadino su due non è di origine canadese, rap-presenta un luogo privilegiato di osser-vazione del modo in cui una particolare identità linguistico-culturale si inserisce in una dimensione “globale”. Nello spe-cifico, il gruppo di lavoro coordinato da Barbara Turchetta e Massimo Vedovelli si è proposto di verificare prima di tutto il grado di conservazione e trasmissione intergenerazionale della lingua italiana (e dei dialetti), che – sia pure in un quadro di progressivo indebolimento – si colloca al quinto posto tra le lingue materne par-late nel capoluogo dell’Ontario. Inoltre, la ricerca ha cercato di capire in che mo-do questa eredità linguistica e culturale si inserisce e si rapporta alle motivazioni che oggi stanno alla base dell’apprendi-mento “scolastico” dell’italiano presso i diversi istituti di lingue e cultura.

Per affrontare il tema in questa pro-spettiva e renderne adeguatamente conto, si è reso necessario aggiornare le tra-dizionali metodologie di investigazione che, a partire dalla fine degli anni ’70 del ’900, si sono preoccupate di fotogra-fare la vitalità dell’italiano all’estero dal punto di vista prevalentemente quanti-tativo, cercando soprattutto di stabilire il numero degli apprendenti e le moti-vazioni per cui lo si faceva. Il saggio di apertura di Vedovelli – che nel 2017 ha pubblicato un’importante messa a fuoco generale sul tema de L’italiano dei nuovi italiani (Aracne, Roma 2017) – presenta in dettaglio le ipotesi di lavoro che stan-no alla base della ricerca e che hanno comportato la definizione teorica di una batteria concettuale in grado di affronta-re complessità e dinamicità dello statuto linguistico e identitario delle “lingue di emigrazione”. Nello specifico, applicato all’italiano il concetto di vitalità deve te-ner conto non solo della sua consistenza nell’uso effettivo delle comunità di origi-ne (o nella quantità dei cittadini stranieri che decidono di apprenderlo), ma anche degli atteggiamenti e degli stereotipi che interessano la rappresentazione pubbli-ca dell’italianità. Accanto (e insieme) a una presenza all’interno del repertorio come varietà (diversamente) disponibile per eredità “etnica” o per scelta “cultu-rale”, l’italiano definisce infatti il proprio spazio linguistico di competenza anche in relazione alle altre lingue presenti nel panorama della comunità canadese, in modo particolare costituendo il rife-rimento linguistico di una dimensione dell’italicità che nell’immaginario inter-nazionale trova una sorta di sfera di ele-zione nei riferimenti al cibo di qualità, alla moda, al design.

A Toronto, ad esempio, gli italiani-smi e gli pseudoitalianismi che costel-lano la scena pubblica sono particolar-mente numerosi nella denominazioni di

Page 24: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 189

prodotti alimentari (pizza; pasta; cap-puccino; Mozzarellissima) o di esercizi commerciali (Bella Vita; Panebello, o Motoretta, utilizzato per un negozio di abbigliamento, dunque con slittamento rispetto al campo di referenza origina-ria), e sembrano investiti di una funzio-ne simbolicamente integrativa rispetto a quanto si può esprimere con l’inglese: funzione che richiama simbolicamente il carattere italiano come garanzia di buon gusto e di “stile” in genere. D’altro can-to, la ricognizione sulle caratteristiche dell’immigrazione italiana in Canada (che prende avvio a fine ’800 sull’onda della richiesta di manodopera per costru-ire la rete delle infrastrutture ferrovia-rie, e conosce il suo apice negli anni ’50 e ’60 del ’900) mostra che le diverse generazioni di italiani manifestano un progressivo indebolirsi della dimensio-ne identitaria collegata alla competen-za effettiva di varietà dell’italiano o dei dialetti di partenza: da questo punto di vista è significativo il progressivo crol-lo conosciuto dall’italiano come lingua dell’uso domestico a favore dell’inglese anche presso coloro che ne dichiarano la competenza come lingua materna.

L’ampia e articolata ricerca socio-linguistica presentata nel volume – sia nella sua declinazione quantitativa (ba-sata sull’autovalutazione di circa 1.200 cittadini, appartenenti a diverse gene-razioni di “italiani”, in merito all’uso delle varietà linguistiche nei diversi do-mini: famiglia, amici, ecc.) sia nel suo approfondimento qualitativo (realizzato intervistando direttamente figure con-siderabili a diverso titolo «testimoni della trasmissione linguistica e cultura-le») – consente di osservare da diverse angolature un processo di ridefinizione dell’identità in cui il riferimento alla di-mensione italiana (la lingua utilizzata; i luoghi pubblici e privati di riferimento) perde di concretezza, per diventare og-getto di una costruzione simbolica rea-

lizzata all’interno della realtà canadese.Dal punto di vista urbanistico, la stes-

sa Little Italy tradizionalmente costituita (e costruita dagli italiani di prima ge-nerazione) lungo la direttrice di alcune arterie centrali, tende a rappresentare or-mai, per l’italianità del luogo, un punto di riferimento simbolico (peraltro ribadi-to dalla toponomastica stradale) ma non praticato, a fronte del progressivo tra-sferimento fisico degli “ex-italiani” nelle periferie più eleganti, frutto di un’ascesa sociale indissolubilmente congiunta con la definitiva entrata dei cittadini di ori-gine italiana in una prospettiva socio-culturalmente “altra”, certificata del resto dalla scelta progressiva della cittadinan-za canadese.

Il valore, a Toronto come altrove, dell’italiano come Heritage Language, cioè di riconosciuta componente del pa-trimonio linguistico e culturale, deve allora tener conto dell’articolata cornice in cui, per le comunità originariamen-te italiane, avviene oggi un processo di definizione dell’identità che non può più contare sulla presenza effettiva della lin-gua italiana (e ancor meno dei dialetti): al tempo stesso, le comunità non sono in grado di far proprio fino in fondo quel sistema dei “valori” progressivamente associato al made in Italy all’insegna del quale si originano percorsi di apprendi-mento guidato della lingua italiana che, fuori dai nostri confini, continuano a re-gistrare una notevole attrattività. Ma se «italiano diventa […], più che il nome di uno specifico e compiuto idioma chiu-so nei suoi domini strutturali, il segnale di un più complesso mondo di idiomi e di varietà legato all’identità italiana: un repertorio, o uno spazio linguistico dove interagiscono l’italiano, i dialetti di origine, le lingue con cui le comunità di origine italiana sono entrate in contatto» (p. 27), appare del tutto evidente che una auspicabile politica di salvaguardia della dimensione identitaria delle comunità di

Page 25: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

190 schede

origine non potrà essere gestita in chiave riduttivamente “nazionalistica”.

Neri Binazzi*

Enrico PuglieseQuelli che se ne vanno. La nuova emigrazione italianail Mulino, Bologna 2018, pp. 154

Flavia Cristaldi, Sandra LeonardiPensionati in fuga? Geografie di una nuova emigrazioneFondazione Migrantes-Tau editrice, Roma-Todi 2018, pp. 188

L’attenzione per i differenti aspetti dei fenomeni migratori in entrata, in uscita o interni alla penisola ha risposto all’e-mergere tumultuoso delle varie fasi del-la mobilità italiana nel nuovo millennio. Alla fine del ’900 la crescente immigra-zione pareva aver cancellato la curiosità per gli altri aspetti dei flussi nella/dall’I-talia. Ma in questi ultimi anni studiosi come Corrado Bonifazi hanno combina-to l’analisi degli arrivi e delle loro con-seguenze (L’immigrazione straniera in Italia, il Mulino, Bologna 2007, e, a sua cura, Migrazioni e integrazioni nell’Ita-lia di oggi, CNR-IRPPS, Roma 2017) e quella della mobilità interna (Mobili per forza. Spostamenti di popolazione nell’I-talia della crisi, «Il Mulino», 2013, n. 5, pp. 798-805; Id.-F. Heins, Ancora mi-granti: la nuova mobilità degli italiani, in Migrazioni, a cura di P. Corti e M. Sanfilippo, Annali 24, Einaudi, Torino 2009, pp. 505-18) o verso l’esterno. Da notare che gli espatri oggi coinvolgono persino gli immigrati (C. Bonifazi-A. Paparusso, Remain or return home: the migration intentions of first generation migrants in Italy, «Population, Space and Place», 2018, https://doi.org/10.1002/

psp.217, e F. Della Puppa-R. King, The new “twice migrants”: motivations, ex-periences and disillusionments of Ital-ian Bangladeshis relocating to London, «Journal of Ethnic and Migration Stud-ies», 2018, https://doi.org/10.1080/1369183X.2018.1438251). La loro permanenza in Italia è infatti influenzata dagli stessi fattori che spingono gli italiani a partire (Rapporto sulla popolazione. Le molte facce della presenza straniera in Italia, a cura di S. Strozza e G. De Santis, il Mulino, Bologna 2017).

A inizio secolo i due volumi della Storia dell’emigrazione italiana (Don-zelli, Roma 2000-2001) hanno offerto una sintesi importante delle riflessioni sui meccanismi e le cause dell’abban-dono della penisola. Pochi anni dopo ci si è resi conto che bisognava riaprire la discussione su più fronti. Così Michele Colucci, prima di approdare alla storia dell’immigrazione, ripensa per l’editore Donzelli quella delle partenze dopo la seconda guerra mondiale (Lavoro in mo-vimento. L’emigrazione italiana in Euro-pa 1945-57, 2008) e quella degli sposta-menti interni: si veda il Rapporto sulle migrazioni interne in Italia (https://mi-grazioninterne.it) da lui curato ogni anno assieme a Stefano Gallo e in particolare i volumi usciti per Donzelli: L’arte di spo-starsi, 2014; Tempo di cambiare, 2015; Fare spazio, 2016; In cattedra con la va-ligia. Gli insegnanti tra stabilizzazione e mobilità, 2017.

La ridiscussione delle emigrazioni italiane è stata incrementata dalla “sco-perta” prima della cosiddetta fuga dei cervelli, che ha stimolato una produ-zione massiccia (M.C. Brandi, Portati dal vento. Il nuovo mercato del lavo-ro scientifico: ricercatori più flessibili o più precari?, Odradek, Roma 2006; C. Cucchiarato, Vivo altrove. Giovani e

* Dipartimento DILEF, piazza Brunelleschi 3-4; [email protected]

Page 26: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

le migrazioni e l’italia 191

senza radici: gli emigranti italiani di oggi, Bruno Mondadori, Milano 2010), poi della più generale partenza dei gio-vani, al di là di qualsiasi qualificazione professionale (M. Tirabassi-A. del Pra’, La meglio Italia. Le mobilità italiane nel XXI secolo, Accademia UP, Torino 2014). Negli anni ’10 si è iniziato a pa-ventare una generale fuga dall’Italia e questo ha suscitato l’interesse delle isti-tuzioni e dei ministeri a questo genere di analisi (La nuova emigrazione italiana, a cura di M. Sanfilippo e L.M. Vignali, «Studi Emigrazione», 2017, n. 207). Si è allora compreso che siamo di fronte a un fenomeno ben più complesso di quan-to inizialmente pensato. I due libri qui schedati tentano di sostanziare questa in-tuizione sfruttando i dati a disposizione, e riescono a farlo.

Il volume di Pugliese evidenzia come la nuova emigrazione sia numericamente molto significativa e non sia fatta soltan-to di cervelli. Abbiamo la fuga dei gio-vani che non trovano lavoro, che abbiano un dottorato o la licenza media, ma an-che il tentativo di trovare nuovo impiego da parte di quarantenni e cinquantenni espulsi dal mercato del lavoro: e anche qui troviamo ingegneri iperqualificati ac-canto a manovali e a persone disposte a qualsiasi forma di occupazione. Abbia-mo infine gli anziani in difficoltà, che si ricongiungono ai figli già all’estero o cercano paesi poco costosi in cui passa-re gli ultimi anni. Tutti vivono esistenze precarie, perché anche nel resto d’Europa il quadro economico non è migliore di quello italiano e soprattutto il lavoro non è più a tempo indeterminato. Per di più il quadro politico tende dovunque a contra-stare gli spostamenti. I movimenti sovra-nisti, in crescita in tutto il Vecchio mon-do, non gradiscono i migranti, neanche se provengono dalla Comunità europea. Inoltre il Regno Unito, negli ultimi de-cenni meta principale dei flussi italiani, sta abbandonando l’UE e non garantisce

per il momento certezze a chi vi lavora, ma non ha la cittadinanza britannica.

Secondo l’A., la nuova emigrazione nasce da differenti forme di disperazio-ne, ma non sembra poterle curare, ga-rantendo un approdo sicuro. Alla stessa conclusione giunge il libro di Cristaldi e Leonardi. Si tratta di uno studio as-sai specialistico, che illumina un tema caro alla stampa, ma da questa svisce-rato senza vera cognizione di causa. I giornali e le televisioni italiane contrap-pongono infatti la fuga di giovani senza speranze lavorative a quella di anziani benestanti desiderosi di paradisi esotici. Le due autrici, usando con abilità stati-stiche e interviste, mostrano invece come i motivi delle partenze nella terza età si-ano ben diversi. Anziani non in grado di vivere decentemente con le proprie pen-sioni o timorosi di non potercela più fare cercano luoghi nei quali la vita e l’assi-stenza medica siano più a buon mercato. Tale ricerca non è semplice e spesso i rifugi si rivelano precari, obbligando i migranti a vivere in una continua paura riguardo al proprio futuro.

I due studi sottolineano come le mi-grazioni formino una materia complessa, di enorme portata economica e politica. Il numero crescente di espatri, attesta-to ogni anno dell’ultimo decennio dal fondamentale Rapporto italiani nel mon-do prodotto dalla Fondazione Migran-tes, è una reazione all’impoverimento e alla mancanza di prospettive dell’Italia. Diventa, però, a sua volta un fattore di crisi, perché non garantisce un flusso di rimesse come a fine ’800 o dopo la seconda guerra mondiale. Al contrario drena all’estero i risparmi di famiglie co-strette ad aiutare i propri giovani o i pro-pri anziani. Se dunque sarebbero neces-sarie politiche intelligenti di accoglienza, bisognerebbe pure porsi il problema del-le centinaia di migliaia di italiani che sono appena partiti o stanno partendo.

Matteo Sanfilippo

Page 27: a cura di Matteo Sanfilippo e Simonetta Soldani...la seconda guerra mondiale (si vedano tre volumi editi dal Mulino: E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni

Redazione, amministrazione, distribuzione, abbonamenti:FrancoAngeli srl, viale Monza 106, 20127 Milano, tel. 02/2837141Ufficio abbonamenti: fax 02/2895762e-mail: [email protected] – http://www.francoangeli.it

Abbonamenti: per conoscere il canone d’abbonamento corrente, consultare il nostro sito (www.francoangeli.it), cliccando sul bottone “Riviste”, oppure telefonare al nostro Ufficio Riviste (02/2837141) o, ancora, inviare una e-mail ([email protected]) indicando chiaramente il nome della rivista

Il pagamento può essere effettuato tramite:bonifico a favore di FrancoAngeli srl, Milano c/o Intesa SanpaoloIT94J0306909530100000001933

L’abbonamento verrà attivato non appena giunta la notifica dell’avvenuto pagamento del canone

Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 3040 del 21 maggio 1982 – quadrimestrale – Poste Italiane spa - Sped. in Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano - Copyright 2019 by FrancoAngeli srl – Stampa: Geca Industrie Grafiche, via Monferrato 54, 20098 San Giu-liano Milanese

II quadrimestre 2019 – Finito di stampare nel giugno 2019

Tutti gli articoli proposti alla rivista devono essere caricati sulla piattaforma online dell’editore (http://ojs.francoangeli.it/_ojs/index.php/pass/about/submissions) e saranno soggetti a un esame preliminare da parte del Comitato editoriale. Quelli che superano la prima valutazione vengono sottoposti al sistema di double blind peer review. Gli articoli previsti per alcune rubriche (Editoriale, Discussioni, Interventi, Rassegne, Recensioni, Usi e abusi della storia, I luoghi della storia, Schede) sono soggetti alla sola revisione interna, insieme a quegli articoli che sono ritenuti non referabili dal Comitato editoriale. Questo si riserva comunque la decisione finale in merito alla pubblicazione.

La rivista è indicizzata su:AIDA/Articoli italiani di periodici accademici, America: History and Life, Analecta, Bibliografia storica nazionale, Catalogo italiano dei periodici/Acnp, Ebsco Discovery Service, Elsevier/Scopus, Essper, Giunta storica, Google Scholar, Historical Abstracts, Institute of Historical Research, JournalTOCS, JSTOR, Periodical Index Online, ProQuest Summon, Torrossa-Casalini Full Text Platform

RankingFascia A Anvur per settore concorsuale: area 11/A1 (Storia medievale), area 11/A2 (Storia moderna), area 11/A3 (Storia contemporanea), area 11/C1 (Filosofia teoretica), area 11/C2 (Logica, Storia e filosofia della scienza), area 11/C3 (Filosofia morale), area 11/C4 (Estetica e filosofia dei linguaggi), area 11/C5 (Storia della filosofia) 

Accreditata ERIH Plus European Reference Index for the Humanities