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Political, instruction

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unifontaneSommario

Primo

Piano

Editore:SIFA S.r.l.Via Pievaiola, 4506128 Perugiawww.sifa.it

Amm.re Delegato: Andrea Brizi

Direttore Responsabile:Giancarlo Ferraris

E-mail:[email protected]

Comitato editoriale:Franco Baldelli, Giovanni Belardelli, Floriana Falcinelli, Fabrizio Figorilli, Anna Torti

Ideazione: Retologia di Alfredo Mommi

Hanno collaborato a questo numero:Francesca Montesperelli, Maurizio Busso, Gianluca Grassigli

Stampa:Litograf Todi S.r.l. Z. I. Ponte Rio - Todi (PG)

Aut. Trib PG R.P. n. 47 del 14/09/2010

Primo

Piano

11Quattro candidati 10Quale futuro perl’Università di Perugia 5

12

3

In morte della ricerca di base

La data per l’elezione del nuovo Rettore non è ancora stata fissata. Speriamo che non tardi molto. C’è la necessità di un

Quattro

rinnovamento e di un modello di sviluppo che riporti l’Ateneo ad essere un polo di attrazione per gli studenti e dia alla città

di Perugia un nuovo impulso alla sua componente giovanile e alla cultura. I candidati, al momento, pare che siano quattro: Franco Moriconi (quello che sembra abbia maggiori consensi, Preside di Veterinaria, dotato di un forte radicamento nel territorio e di un grande slancio verso l’internazionalizzazione); Gianni Bidini, Preside di Ingegneria; Fausto Elisei, Preside di Scienze; Maurizio Oliviero, alla guida dell’Adisu. Quattro belle figure di elevato profilo intellettuale capaci di condurre l’Ateneo perugino verso nuovi orizzonti.

candidati

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FFocus

Giorni di attesa, questi, per l’Università di Perugia. Si attendono la partenza dei Dipartimenti appena formati, l’elezione dei futuri direttori, la sostituzione del professor Bistoni con un altro Rettore. Si attende, quindi, una ventata di rinnovamento radicale, che tutti ci auguriamo possa portare nuova linfa al funzionamento ormai rallentato, farraginoso e sofferente del nostro Ateneo.Purtroppo le condizioni generali dell’Università italiana non sono tali da farci sperare in un’improvvisa ripresa di rigoglio delle attività accademiche perugine. I provvedimenti in gran parte insensati della cosiddetta Legge Gelmini e i tanti tagli imposti dal Governo all’istruzione e alla ricerca hanno ridotto tutte le Università in uno stato di precaria e difficile sopravvivenza. I docenti che vanno in pensione non vengono sostituiti, i concorsi per assumere (ormai solo a tempo definito) giovani studiosi sono dosati col contagocce, il numero delle borse di dottorato, pur cresciuto rispetto al XXVII ciclo, rimane molto limitato, mentre la programmazione

didattica è resa sempre più complicata sia dalla rigidità delle norme che dalla carenza dei docenti. La mancanza di sostegno dello Stato all’Università pubblica impone aumenti delle tasse, ma intanto gli studenti diminuiscono. Questi problemi, insieme a molti altri, colpiscono non solo Perugia, ma tutte le sedi italiane. A Perugia, tuttavia, la crisi si sente più che altrove. La nostra Università, che rimane pur sempre la prima azienda regionale, non è stata certo aiutata dalle scelte delle autorità locali. Priva di un aeroporto dotato di collegamenti significativi, fuori dal circuito delle autostrade, con una ferrovia a binario unico che costituirebbe motivo di vergogna anche per città che non fossero capoluoghi di regione, Perugia è messa in grave difficoltà nel tentativo di continuare ad attrarre la larga utenza di studenti esterni, provenienti da altre regioni, di cui godeva. E, del resto, i nostri laureati e dottorati, in assenza di piani seri di sviluppo predisposti da parte di amministrazioni impegnate a contemplare il passato, non possono far altro

che emigrare. Nessuno sembra ricordarsi che il passato che celebriamo si riferisce ad epoche, da quella etrusca fino a quella comunale, rimaste alla storia perché queste zone erano all’avanguardia dell’economia e del progresso, in palese contrasto con l’immobilismo di ora. Quello che era ancora, quindici o vent’anni fa, il “Cuore Verde d’Italia”, che si poneva come esempio di efficienza e di modernità basate sullo small is beautiful, reclutando dalla società civile amministratori di grande prestigio, ora appare avviato verso un futuro di irreversibile declino.Fra i problemi che riguardano direttamente l’Università, poi, non ci sono solo queIli del reclutamento degli studenti e dell’offerta didattica. Anche la ricerca non riceve oramai che finanziamenti sporadici. I Progetti chiamati eufemisticamente “di rilevante interesse nazionale” (PRIN) sono, come tutti sanno, terni al lotto imprevedibili, e comunque largamente insufficienti, anche in termini quantitativi, a mantenere un minimo di sostegno alla

Quale futuro Per l’università di Perugia?

di Francesca Montesperelli e Maurizio Busso

Per l’università di Perugia si attende una ventata di rinnovamento radicale,

che tutti ci auguriamo possa portare nuova linfa al funzionamento ormai

farraginoso e sofferente del nostro ateneo.

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FocusFricerca. Tutti invitano a ricorrere ai Fondi Europei, ma questi richiederebbero una politica regionale e di Ateneo volta a facilitare e incoraggiare i docenti che fanno le proposte. Abbiamo invece verificato di persona che è totalmente assente l’azione di lobbying svolta a Bruxelles da Atenei più quotati e che talvolta gli uffici preposti alle collaborazioni internazionali neppure conoscono l’esistenza delle Agenzie e dei progetti che dovrebbero istituzionalmente promuovere.Nonostante questa drammatica situazione, vorremmo augurare all’Ateneo di Perugia una ripresa, una rinascita catartica che ci permetta non solo di evitare il progressivo declino, ma di spiccare un volo vigoroso verso orizzonti di rinnovamento condivisi da tutte le componenti accademiche. È proprio avendo in mente questo auspicio, che ci siamo messi a pensare quali potrebbero essere alcuni dei punti di forza di un tale rinnovamento, e ne abbiamo individuati 3:1. Vorremmo che il nuovo Rettore avesse il potere di ridare alle facoltà umanistiche, alla matematica, alle scienze che si occupano dello studio fondamentale della natura, il lustro e il prestigio che loro spettano. Questo prestigio è stato ormai gravemente compromesso dall’ideologia ministeriale, che punta ad una scellerata settorializzazione dei saperi. Forse si crede così di privilegiare le tecnologie e la loro proiezione sul mondo del lavoro, ma è segno di grave ignoranza pensare di poter creare tecnologia davvero innovativa senza ancorarla ad un ampio sostrato di cultura fatta di materie umanistiche e di scienza non-applicativa di

base. L’orientamento nazionale che lamentiamo ha, purtroppo, una perfetta rispondenza anche in quello locale, in una politica accademica che orienta le poche risorse verso i settori più immediatamente applicativi, trascurando la cultura di base da cui nascerà la tecnologia del domani. Chi scrive studia per mestiere la letteratura e le stelle, nella convinzione che anche questi settori insegnino a pensare in grande, a creare il nuovo. Forse anche con i sogni; ma senza sogni coraggiosi continueremo a tentare invano di competere col Vietnam e la Corea, mentre dovremmo puntare a competere con le potenze maggiori, come Perugia faceva nel suo glorioso passato; e questo oggi vuol dire guardare agli USA, alla Germania, al Regno Unito, alla Francia. È perfino superfluo ricordare la centralità formativa e la funzione di mediazione civile delle discipline di base, ma è almeno necessario sottolineare che in una regione come l’Umbria, naturalmente e storicamente votata al turismo colto, perseguire gli studi umanistici e sostenere la cultura scientifica fondamentale dovrebbero

costituire un obiettivo di sviluppo imprescindibile, rappresentando l’unico modo per attualizzare all’oggi ciò che ha fatto grande questa terra nel passato.2. Per poter realizzare questo grande obiettivo, bisognerebbe partire da un piccolo, ma necessario presupposto: quello di non ereditare un Nucleo di Valutazione prenominato, ma di poterlo indicare con criteri di rigorosa imparzialità e terzietà. È sconveniente che una squadra che gioca una partita nomini il proprio arbitro, ma è così che il Nucleo di Valutazione Accademico viene scelto oggi. La legge lo consente, ovviamente: anzi ne attribuisce la nomina proprio agli organi accademici che dovranno essere controllati. Eppure c’è chi ha avuto la capacità di andare oltre, di darsi delle regole più serie. Esistono Università italiane in cui il Presidente del Nucleo di Valutazione è docente di un’università straniera (capita, ad esempio, al Politecnico di Torino). In altri Atenei (come Bologna) il presidente è italiano, ma di un’ Università esterna e tre membri su cinque provengono da altre sedi. All’Università di

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FFocus

Torino i membri esterni sono quattro su sette, alla Sapienza di Roma sono cinque su nove, di cui uno straniero. Anche con leggi miserevoli saremmo felici che il nuovo Rettore potesse, motu proprio, proporre a Perugia di levarsi sopra le acque stagnanti che sembrano prevalere. I membri del Nucleo, inoltre, dovrebbero essere scelti tra tutti i settori disciplinari, non solo quelli più evidentemente applicativi, come è capitato qui a Perugia di recente. Un nucleo super-partes e di ampio spettro culturale potrebbe riconoscere l’importanza di una valorizzazione del capitale storico, artistico e naturale di cui l’Umbria dispone e, quindi, veicolare risorse verso i corsi di laurea legati a questi settori, prevedendo, anche, sinergie che colleghino università ed enti locali, iniziative che coinvolgano università all’estero, dinamiche culturali legate al turismo e all’internazionalizzazione dei saperi. 3. La recente e gravissima diminuzione del numero degli studenti iscritti all’Università di Perugia è certamente dovuta, in gran parte, ai motivi già ricordati dell’isolamento e della incapacità di programmazione di Amministrazioni non accademiche. Tuttavia, vorremmo che il nuovo Rettore riconoscesse che a questi motivi d’ordine generale se ne aggiungono altri più interni. Molte delle matricole provenienti da regioni che tradizionalmente sceglievano Perugia, ora preferiscono indirizzarsi verso altre sedi, che offrono corsi Triennali più ricchi e completi; cosa ancora più grave, molti dei nostri laureati di primo livello non proseguono a Perugia la loro

formazione magistrale, ma si indirizzano verso Atenei di altre regioni. Vorremmo che al nuovo Rettore fosse offerta la possibilità di analizzare le cause di questa diaspora, e ne cercasse i rimedi, partendo da domande come le seguenti:Perché i nostri corsi di Laurea non sono più attrattivi, e come se ne può recuperare la competitività? Come si può migliorare l’accoglienza agli studenti, anche incrementando la rete di trasporti citata?Si potrebbero mettere le segreterie in luoghi comodi non solo per Medicina e Ingegneria, magari non irraggiungibili dal centro se non con il servizio di autobus urbano che non è molto migliore della rete che “collega” (si fa per dire) Perugia al resto del mondo? E parlando di trasporti urbani ed extraurbani, potrebbe il nuovo Rettore adoperarsi per rendere effettiva la legge d’accessibilità per i portatori di handicap? Perugia è una delle ultime stazioni italiane che possiede solo scale per accedere ai binari. Chi non ha facilità di movimento è escluso, in violazione di leggi nazionali ed europee.Non si dovrebbe riservare più

attenzione all’alta formazione (in termini sia di borse che di risorse per la mobilità dei dottorandi)? Altrimenti, si dipenderà sempre più da finanziamenti esterni e privati, che fatalmente non privilegiano la cultura di base.Last but not least, non si dovrebbe ammettere che la diminuzione del numero degli studenti non dipende affatto da una scelta di qualità fatta dall’Ateneo, con l’escludere i mediocri, ma è invece causata dalla scelta degli studenti, che stanno decidendo di abbandonare un’Università diventata, essa sì, mediocre nell’offerta formativa e nei servizi? La qualità della ricerca a Perugia è ancora alta, ma gli studenti se ne vanno perché la didattica è diventata carente: corsi di laurea Triennale impoveriti dalla mancata sostituzione dei docenti in pensione, corsi di laurea Magistrale cancellati, numero di borse di dottorato ancora insufficiente, eliminazione degli assegni di ricerca.È probabile che correggere tutte queste carenze in breve tempo sia un’impresa impossibile. Ma un Rettore che ci provasse risveglierebbe l’interesse e la collaborazione di molti di noi.

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ALTRO CANTOAC

in morte della ricercadi base

All’articolo 9 la nostra Costituzione recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica». Nella sua apparenza scarna la frase è bellissima. Non ha fronzoli, non mostra nessuna particolare ricercatezza, ma in forma quieta, quasi pacata, asserisce fermamente uno splendido diritto alla libertà del pensiero, della ricerca, delle arti. Scritta così, la determinazione con cui si esprime la promozione di tale libertà sembra quasi un fatto ovvio, in un certo modo inevitabile. Oggi, dopo svariati decenni, quella speranza meravigliosa sembra svaporata nella nube dei sogni impossibili. Cosa contiene questo mezzo secolo che ci separa da un tempo nel quale si è sentita la necessità di iscrivere tale libertà nei principi fondamentali dello statuto dello stato nascente? Con un pensiero immediato mi verrebbe da dire che contiene essenzialmente la sfiducia nei principi stessi. Nessuno naturalmente teorizza

contro la libertà dello sviluppo della cultura e della ricerca. Esiste un sistema molto meno impegnativo, molto più efficace e, data la mediocre qualità dei tempi, apparentemente ragionevole per spegnere tale libertà: in nome della progettualità, dell’efficienza e della meritocrazia non si finanzia più la ricerca di base. Progettualità, Efficienza e Meritocrazia: sono alcune tra le nuove entità oramai divinizzate, da scrivere pertanto con l’iniziale maiuscola, per quanto sommamente astratte in un paese come il nostro assolutamente caotico, inefficiente per volontà e tradizione ed esclusivamente clientelare. A nessuno sano di mente, è chiaro, verrebbe mai in mente di pensare che tali divinità necessarie siano inutili, ma ho seri dubbi che la loro effettiva realizzazione abbia qualcosa a che fare con l’eliminazione della ricerca di base.Siamo tutti così impegnati nelle nostre ricerche settoriali, lo affermo senza ironia alcuna, da aver cessato ormai di riflettere

in generale sui meccanismi di finanziamento della ricerca stessa. Selezioniamo i giovani (o fingiamo di selezionarli) sulla base delle loro attitudini alla ricerca e poi, una volta entrati nel grande circo, ormai un sogno per molti, diciamo loro che tali

di Gianluca Grassigli

la comunità scientifica ha il diritto di essere libera nella

ricerca e insieme ha il fondamentale dovere di

lavorare per lo sviluppo della

società nel suo complesso come sancito dall’articolo

9 della costituzione.

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ALTRO CANTO

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ACattitudini, tali abilità, la voglia di conoscere sono orpelli inutili, se non sono in grado di “attrarre fondi”. “Attrarre fondi” è ormai una formula magica, una chiave che scardina ogni opposizione e che cancella ogni possibilità di critica a un sistema che ovviamente finanzia solo ciò che lo attrae. Quando mai un sistema sociale (ogni sistema sociale) è stato attratto da ricerche che anziché confermarlo, lo mettono in crisi? Come si concilia la libertà di ricerca con la necessità di piacere al sistema sociale, ossia in ultima analisi alla politica, affinché vengano concessi i fondi e quindi si venga messi in condizione di fare il lavoro per cui si è stati selezionati?La tradizione culturale europea ha definito la parte migliore di se stessa proprio nella rivendicazione da parte degli uomini di scienza e di cultura del loro diritto di ricercare liberamente, di non dover rispettare nello sviluppo del loro pensiero altro che la loro ragione e la loro coscienza. E la comunità scientifica in prima istanza non doveva rendere conto altrimenti che alla comunità scientifica stessa.Cedendo la ricerca di base, abbiamo ceduto questo diritto alla libertà. Non nego naturalmente la legittimità da parte delle istituzioni nazionali ed europee di porre obiettivi prioritari alla ricerca (ma come tali evidentemente discutibili) e di definire per questi forme di finanziamento privilegiato. Considero, tuttavia, assolutamente rovinoso il fatto che tali forme di finanziamento non siano compensate da un

sostegno a ogni altra forma di ricerca, a ogni altra direzione d’investigazione, che piacciano o meno all’istituzione politica, perché è così che è cresciuta e si è sviluppata la tradizione culturale in cui crediamo di riconoscere l’importanza di valori fondamentali. L’Europa ha consumato roghi su questo tema, in tempi nemmeno troppo lontani, e insieme ha visto nelle Università forme di resistenza profonde e nobili, nella ferma rivendicazione della libertà del pensiero.La comunità scientifica ha il diritto di essere libera nella ricerca e insieme il fondamentale dovere di lavorare per lo sviluppo della società nel suo complesso (in questo momento di rinnovamento del nostro Ateneo è un tema, credo, che meriterebbe molta attenzione da parte dei candidati alla guida dell’istituzione). E così torniamo alla bellezza dell’ Art. 9 della

nostra Costituzione, in cui si proclama con solennità austera che l’importanza della ricerca e della cultura non risiede altro che in se stessa. Mentre ingobbiamo racchiusi nel nostro “particulare”, mentre profondiamo energie nel piacere all’ente finanziatore questa è un’idea che dovrebbe farci alzare la testa.Mi rendo conto che, mentre lo scrivo, questo pensiero è già volato via, come un palloncino sfuggito alle mani di un bambino, davanti allo sguardo immalinconito della fanciullezza o irrisorio di chi conosce e padroneggia le leggi del mondo adulto e serio. Eppure, se mai ha un senso, con Montale, voltarsi indietro una mattina “in un’aria di vetro”, percorrere il segreto e aprirlo agli “uomini che non si voltano”, ebbene tale senso esiste solo nella libertà di pensiero, di inventare domande nuove e di costruire sbagliando le risposte.

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