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Corso di laurea in Infermieristica
“NIDCAP: LA STRATEGIA ASSISTENZIALE”
Candidata
Nadia Tivegna
Anno Accademico
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica
Dipartimento di Ricerca TraslazionaleNuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia
Corso di laurea in Infermieristica
Tesi di Laurea
“NIDCAP: LA STRATEGIA ASSISTENZIALE”
Candidata Relatore Prof.ssa
Nadia Tivegna Cristiana Matteini
Anno Accademico 2011/2012
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica,
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia
Corso di laurea in Infermieristica
“NIDCAP: LA STRATEGIA ASSISTENZIALE”
Relatore Prof.ssa
Cristiana Matteini
A Daniela
Ai miei genitori
Vedere noi stessi e il mondo, attraverso gli occhi di un bambino apre i nostri stessi occhi e ci rende più coscienti e consapevoli. Questo può cambiare le nostre vite e offrirci il dono di vedere i bambini e le loro famiglie in modo più profondo” H. ALS, PHD
Sommario
Introduzione ................................................................................ 1
Capitolo 1. Il neonato pretermine ................................................ 5
1.1. Il neonato pretermine: cenni storici ........................................... 5
1.2. Classificazione del grado di prematurità ..................................... 6
1.3. Sopravvivenza e morbilità ........................................................ 7
1.3.1. Sopravvivenza ..................................................................... 7
1.3.2. Morbilità ............................................................................. 8
1.4. Caratteristiche morfologiche e criticità del neonato pretermine .... 11
Capitolo 2. La Individualized Developmental Care: il metodo
NIDCAP ...................................................................................... 16
2.1. Dall’utero materno alla terapia intensiva neonatale. ................... 16
2.2. NIDCAP e la teoria sinattiva di Hedelise Als ............................... 19
2.3. NIDCAP e suoi elementi .......................................................... 24
2.3.1. Miglioramento del micro e macro ambiente: luci e rumori ...... 24
2.3.2. Il management del neonato ............................................... 29
2.3.2.1. La care posturale (posizionamento) .................................... 29
2.3.2.2. Il Nido (contenimento posturale) ........................................ 32
2.3.2.3. Holding e Wrapping (avvolgimento) .................................... 33
2.3.2.4. Minimal Handling, Gentle Handling, Grasping ...................... 35
2.3.3. Apertura del reparto ai genitori .......................................... 36
2.3.3.1. Kangaroo Mother Care ...................................................... 37
2.3.4. Il controllo del dolore ........................................................ 39
2.3.4.1. La valutazione del dolore nel neonato ................................. 44
2.3.4.2. NIDCAP e analgesia non farmacologica ............................... 49
2.4. Il metodo NIDCAP nella pratica: l’osservazione comportamentale 52
2.5. Le prove di efficacia del NIDCAP .............................................. 55
2.6. Luci ed ombre sull’implementazione del NIDCAP ........................ 59
Riferimenti bibliografici.............................................................. 63
Ringraziamenti ........................................................................... 73
1
Introduzione
Negli ultimi anni le nascite pretermine sono in continuo aumento: secon-
do gli ultimi dati resi noti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità [1] in
occasione della “IV giornata mondiale del nato prematuro”, tenutasi in
data 17.11.2012, attualmente un bambino su dieci nasce tale. L’1% dei
bambini viene alla luce al di sotto della 32esima settimana ed addirittura
lo 0,50% al di sotto della 28esima settimana di gestazione.
La prematurità è un evento fortemente traumatico che interrompe bru-
scamente un complesso processo naturale di maturazione fisica e psico-
logica sia della madre che del bambino.
Questo caratteristico aumento della prematurità deve essere posto in re-
lazione con molteplici fattori: gravidanze a rischio (gemellarità, anomalie
anatomiche dell’utero, iposviluppo fetale), patologie in corso di gravidan-
za (gestosi, infezioni, diabete mellito, ipertensione arteriosa), età della
gestante (< 20 anni o > 38 anni), stili di vita inadeguati (alcolismo, taba-
gismo, uso di droghe, stress materno, mancanza di serenità), procreazio-
ne medicalmente assistita, cause placentari (distacco di placenta, placen-
ta previa) [5].
Il predetto trend epidemiologico riguarda anche l’Italia dove ogni anno
circa 40 mila neonati nascono prima della 37esima settimana di gestazio-
ne.
Di essi circa il 2% nasce ad un’età di gestazione inferiore alle 32 settima-
ne.
2
Grazie allo sviluppo di tecniche di terapia intensiva, rispetto al passato,
negli ultimi vent’anni si è assistito ad un enorme miglioramento della so-
pravvivenza: la mortalità neonatale dei pretermine si attesta intorno al
10% e la quota principale è rappresentata dai neonati con età gestazio-
nale inferiore alle 30 settimane.
Rispetto al neonato a termine, il prematuro deve affrontare immediata-
mente molte difficoltà, difficoltà tanto maggiori quanto più precoce è la
nascita: passa improvvisamente da una situazione di simbiosi, conteni-
mento e calore con la madre ad una situazione opposta caratterizzata da
separazione ed aggressività terapeutica.
Questo bambino, non in grado di sopravvivere autonomamente, viene ac-
colto in un utero altamente tecnologico definito “incubatrice” per rag-
giungere la completa maturazione e necessita di personale medico ed in-
fermieristico ad altissima specializzazione per la realizzazione di un ap-
proccio globale che vede la molteplicità dei problemi che gravitano intor-
no ad un neonato pretermine.
Sono diversi i fattori di stress per il neonato: sotto accusa è in primo luo-
go l’ambiente delle moderne Terapie Intensive Neonatali (TIN) caratteriz-
zato dalla presenza di rumori sia continui, prodotti dalle incubatrici che
sostituiscono artificialmente l’utero materno, sia intermittenti ed improv-
visi come gli allarmi dei monitor, un’illuminazione spesso troppo intensa,
manipolazioni frequenti da parte del personale sanitario coinvolto
nell’assistenza del piccolo paziente, senza riguardo per lo stato di sonno e
veglia. Si calcola che un neonato in terapia intensiva venga manipolato
circa 120-200 volte al giorno con costante monitoraggio dei suoi parame-
3
tri vitali (temperatura corporea, frequenza cardiaca, frequenza respirato-
ria, pressione arteriosa).
Si è venuto da tempo ad affermare pertanto il concetto di Developmental
Care, insieme di interventi il cui obiettivo primario è quello di ridurre lo
stress del neonato pretermine durante il necessario periodo di degenza in
terapia intensiva neonatale: i progressi ottenuti in ambito neonatologico
hanno permesso ai professionisti della salute di esplorare la sfera evoluti-
va del neonato prematuro scoprendo con meraviglia che il suo sviluppo è
legato all’ambiente in cui è accolto [ 2 ].
Gli strumenti di cui questa innovativa terapia si avvale sono numerosi e
spaziano dall’integrazione dei genitori nelle cure (il neonato pretermine
non è, come si immagina, un bambino inadeguato o con deficit ma, so-
prattutto, non è un bambino solo, ha una madre ed un padre che, mal-
grado il disorientamento iniziale, cercano quotidianamente il modo più
appropriato per stargli vicino, per riconoscerlo e conoscerlo partecipando
attivamente ai suoi processi evolutivi), cura posturale, manipolazione
(Handling), contenimento, nutrizione, Canguroterapia (Kangaroo Care),
controllo dell’ambiente (luce, temperatura, rumore).
E’ fondamentale ribadire come i nati pretermine non rappresentino sog-
getti passivi, come si pensava alcuni anni fa, ma possono contribuire in
modo significativo al proprio sviluppo.
Su questo assunto si fonda una delle pratiche di care maggiormente im-
piegate a livello internazionale, il metodo “Nidcap” (Newborn Individuali-
zed Developmental Care and Assessment Program) il quale, partendo da
un’osservazione sistematica dei comportamenti spontanei del neonato,
4
mira ad offrirgli un’assistenza adeguata ai bisogni che ha in quel mo-
mento. Questo programma di assistenza e cura individualizzata per lo
sviluppo del neonato si sta affermando come una delle pratiche più inno-
vative per promuovere lo sviluppo ed il benessere dei piccoli nati prema-
turi, partendo dal riconoscimento dei segnali che i predetti inviano e mira
a creare un ambiente tranquillo e contenitivo, il più simile possibile
all’ambiente intrauterino.
5
Capitolo 1. Il neonato pretermine
1.1. Il neonato pretermine: cenni storici
Intorno alla fine del XIX secolo nel linguaggio medico entra per la prima
volta il termine “neonato pretermine” sostituendosi all’ espressione “con-
genitamente debole”, con il quale il bambino nato prima della 37esima
settimana di gestazione veniva fino ad allora definito [3]. Un notevole
impulso ai successivi progressi della neonatologia viene dato da Pierre
Budin, medico francese considerato il primo neonatologo ante-litteram,
autore della prima opera dedicata all’assistenza al neonato pretermine e
all’uso delle incubatrici. Egli, nel 1892, istituisce la prima nursery per i
neonati prematuri a Parigi [4] e i suoi studi si diffondono velocemente a
livello internazionale.
Negli anni ’60 la neonatologia diviene una specializzazione medica vera e
propria, vengono istituite le prime NICU (Neonatal Intensive Care Unit)
[ 3 ], reparti altamente specializzati che, a differenza delle nursery dove
prima del loro avvento i piccoli prematuri erano ricoverati, si presentano
rumorose, costantemente illuminate e affollate da personale specializza-
to. Anche i principi dell’assistenza si modificano: mentre precedentemen-
te la manipolazione del piccolo paziente era minima, ora diviene fre-
quentissima e le procedure cui viene sottoposto sono spesso dolorose ed
invasive.
In epoca più recente i progressi compiuti dalla neonatologia e dalla peri-
neonatologia sono stati notevolissimi e si sono rivolti in particolar modo
6
alla comprensione del processo di sviluppo neuro-cognitivo del bambino
permettendo l’elaborazione di nuovi modelli assistenziali uno dei quali, il
metodo NIDCAP, è oggetto di questa tesi.
1.2. Classificazione del grado di prematurità
Ogni neonato può essere classificato in base a due parametri fondamen-
tali: l’età gestazionale ed il peso alla nascita.
L’età gestazionale è espressa in settimane complete di gravidanza calco-
late a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione ed in base ad es-
sa un neonato è considerato:
• a termine se nasce fra 37 e 42 settimane;
• pretermine se nasce prima delle 37 settimane;
• post-termine se nasce dopo le 42 settimane.
In base al peso alla nascita un neonato viene definito:
• Di basso peso (LBW: Low Birth Weight) se il peso è inferiore a 2500
gr;
• Di peso molto basso (VLBW: Very Low Birth Weight) se il peso è infe-
riore a 1500 gr;
• Di peso estremamente basso (ELBW: Extremely Low Birth Weight) se
il peso è inferiore a 1000 gr [5].
Considerando congiuntamente i due criteri classificatori sopra descritti un
neonato viene definito:
• AGA (Appropriate for Gestational Age) il cui peso è appropriato all’età
gestazionale compreso tra il 10° e il 90° percentile;
7
• SGA (Small for Gestational Age) il cui peso è basso per l’età ed
inferiore al 10° percentile;
• LGA (Large for Gestational Age) con peso maggiore al 90° percentile.
1.3. Sopravvivenza e morbilità
1.3.1. Sopravvivenza
Negli ultimi decenni le conoscenze e gli strumenti a disposizione, sia nel
settore ostetrico che neonatologico, sono molto migliorate ed hanno per-
messo di garantire la sopravvivenza anche ai bambini nati di peso e età
estremamente bassi (24-25 settimane di età gestazionale e peso < 750
gr, definiti “Microneonati”) [7].
Numerosi sono gli studi che hanno analizzato questo miglioramento della
sopravvivenza. Uno studio retrospettivo inglese, ad esempio, ha preso in
considerazione i dati di 3760 bambini europei ed asiatici nati tra il 1994
ed il 1997, di età gestazionale compresa tra la 22esima e la 32esima set-
timana e, nelle sue conclusioni, ha evidenziato come uno dei principali
parametri predittivi di mortalità sia l’età gestazionale. Del campione con-
siderato, 738 bambini morirono nel corso dello studio determinando una
percentuale di sopravvivenza complessiva dell’80,4%. In particolare, in
base alle classi di età gestazionale, i dati ottenuti furono così distribuiti:
• per i neonati di 22 settimane: 2-3% di sopravvivenza indipendente-
mente dal loro peso;
• per i neonati di 24 settimane: 9% di sopravvivenza (se il peso alla
8
nascita era compreso tra 250 e 499 gr), 21% (se il peso alla nascita
era compreso tra 1000 e 1249 gr);
• per i neonati di 27 settimane: 55% di sopravvivenza (peso alla nasci-
ta compreso tra 500 e 749 gr), 80% di sopravvivenza (peso alla na-
scita compreso tra 1250 e 1449 gr);
• per i neonati di 30 settimane: 93% di sopravvivenza (peso compreso
tra 1000 e 1249 gr), 96% (peso compreso tra 1250 e 1499 gr), 97%
(peso compreso tra 1500 e 1749 gr);
• per i neonati di 32 settimane: 93% di sopravvivenza (peso compreso
tra 1000 e 1249 gr), 97% (peso compreso tra 1250 e 1499 gr), 98%
(peso compreso tra 1500 e 1749 gr), 99% (peso compreso tra 1750 e
2249 gr) [6].
1.3.2. Morbilità
L’entusiasmo scaturito dall’aumento della sopravvivenza deve però fare i
conti con la consapevolezza che questi neonati sono sottoposti ad un ri-
schio molto maggiore, rispetto ai nati a termine, di sviluppare problema-
tiche ed esiti a lungo termine [8] che potrebbero condizionare la qualità
della loro vita e della loro famiglia [9].
Mentre negli ultimi anni il tasso di sopravvivenza dei neonati prematuri è
notevolmente migliorato, la morbilità, soprattutto neurologica, non è mi-
gliorata di pari passo.
Soprattutto la prematurità grave è fattore di rischio per disabilità di di-
verso grado: disabilità maggiori (paralisi cerebrali, disturbi sensoriali,
9
gravi ritardi mentali, cecità, sordità, disabilità fortemente correlate con
alcune patologie tipiche del prematuro come la leucomalacia periventri-
colare, le emorragie cerebrali, la retinopatia del prematuro [100] la cui
insorgenza risulta attualmente diminuita) e disabilità minori o disturbi ce-
rebrali minimi cioè sequele caratterizzate da alterazioni dello sviluppo
percettivo-motorio, deficit relazionali e comportamentali (del tempera-
mento, della maturità emotiva, delle competenze sociali [100]), disordini
del linguaggio [100]. Ad esempio, in età di scuola primaria è stato rileva-
to come la nascita pretermine si associ ad una maggiore frequenza di di-
sabilità cognitive [66,67,100], scarsa perfomance globale
nell’apprendimento scolastico [68,100], disturbi d’ansia quali fobia scola-
stica ed ansia da separazione [69], problemi relazionali [70], disturbi
dell’alimentazione [71], disturbi da deficit dell’attenzione con iperattività
[66], impulsività [69].
Mentre i disturbi maggiori possono essere agevolmente diagnosticati già
a partire dal primo anno di vita ed hanno un corrispettivo clinico nelle
immagini ecografiche e nelle neuro-immagini, i disturbi cerebrali minimi
si evidenziano solitamente in età prescolare e scolare senza evidenti le-
sioni a livello cerebrale [7]. In epoca recente i disturbi dello sviluppo ac-
certati nei bambini pretermine sono stati messi in correlazione, grazie
all’impiego della Risonanza magnetica nucleare volumetrica tridimensio-
nale, con le modificazioni strutturali dello sviluppo cerebrale rispetto al
bambino a termine [10].
Molti studi mostrano come i bambini gravemente prematuri hanno eleva-
ta probabilità di sviluppare disabilità.
10
Uno studio prospettico inglese [11] ha preso in considerazione i bambini
nati tra la 22esima e la 25esima settimana di gestazione in Gran Breta-
gna e in Irlanda nel periodo compreso tra marzo e dicembre 1995 ed ha
provveduto alla loro valutazione all’età media di 30 mesi.
I dati ottenuti (fig. 1) erano
così sintetizzabili:
• 49% assenza di disabilità;
• 23% disabilità di grado se-
vero;
• 25% altre disabilità;
• 2% dei bambini morirono
nel corso dello studio;
• 1% del campione non venne valutato.
Uno studio multicentrico avente per oggetto il follow up di bambini pre-
maturi (ELBW e di età gestazionale pari a 26 + 2 settimane) nati negli
Stati Uniti nel biennio 1993-94 ha evidenziato che, a 18 mesi, il 25% pre-
senta delle alterazioni all’esame neurologico, un indice di sviluppo psico-
motorio inferiore a 70 (valore normale 100), il 9% deficit dell’apparato
visivo e l’11% alterazioni dell’udito.
Figura 1: Disabilità rilevate nei bambini pretermine
nati tra la 22esima e la 25esima settimana di ge-
stazione [11]
11
1.4. Caratteristiche morfologiche e criticità del neonato pre-
termine
L’aspetto di un bambino prematuro (fig.3) non è uguale in tutto e per tut-
to a quello di un neonato a termine (fig.2). Oltre ad essere molto più pic-
colo di dimensioni, ha la cute più sottile, lucida, con scarso tessuto adipo-
so, le estremità presentano un caratteristico colore rosso scuro, i solchi
palmari e plantari sono scarsi. Il cranio è voluminoso rispetto al corpo, gli
occhi sono sporgenti, l’addome globoso, i genitali non sono ancora com-
pletamente formati ed i capelli si presentano sottilissimi con un lieve stra-
to di lanugine che ricopre tutta la superficie corporea [13].
Figura 2: Bambino a termine. Figura 3: Bambino pretermine.
La prematurità compromette in modo determinante lo sviluppo anatomo-
funzionale di tutti gli organi in modo inversamente proporzionale all’età
gestazionale (tanto più bassa è l’età gestazionale, tanto più grave è il ri-
tardo di maturazione).
Il neonato prematuro, ad esempio, tende a essere ipotonico, scarsamente
coordinato e a muoversi meno rispetto al nato a termine.
12
Numerose sono le problematiche cui può andare incontro:
• Rischio legato al controllo della temperatura corporea (ipotermia).
Il neonato pretermine, abituato durante la vita intrauterina alla tem-
peratura materna di 37°, appare caratteristicamente suscettibile ad
ipotermia causata da immaturità dei centri nervosi termoregolatori,
difetto della termogenesi dovuta a un minore contenuto di grasso bru-
no, maggiore termodispersione per scarsità del tessuto sottocutaneo.
Al momento della nascita deve affrontare la temperatura ambientale
notevolmente più bassa; deve cioè abituarsi a produrre calore per abi-
tuarsi alle perdite di calore che la sua nuova condizione comporta. La
regolazione della temperatura viene pertanto attuata ponendo il neo-
nato in culle termiche (incubatrici), volte a ricostruire artificialmente
l’utero materno, nelle quali sono regolabili parametri quali la tempera-
tura, l’umidità e l’ossigenazione [14].
• Immaturità dell’apparato respiratorio – distress polmonare.
Uno dei rischi maggiori del neonato pretermine è la sindrome da di-
stress respiratorio o malattia delle membrane ialine polmonari (RDS),
causata da un’immaturità del polmone ed in particolare del sistema
preposto alla sintesi del surfattante, sostanza che conferisce elasticità
all’organo ed impedisce il collasso dell’alveolo polmonare.
L’introduzione di terapie basate sulla somministrazione di surfattan-
te artificiale ha permesso di ridurre drasticamente sia l’incidenza di
13
questa problematica, sia (dagli anni ’90) la mortalità di oltre il 30%
[15].
Alcuni studi condotti hanno messo addirittura in evidenza come la
somministrazione combinata di steroidi antenatali alla madre (in caso
di minaccia di parto pretermine a fini profilattici volta a favorire la ma-
turazione biochimica del polmone fetale) e di surfattante esogeno
post-natale determini una significativa riduzione della letalità e della
gravità della difficoltà respiratoria più di un singolo trattamento [16].
• Aumento del rischio infettivo.
Il neonato prematuro, a causa di una risposta immunitaria ridotta
(deficit di anticorpi propri e materni, difetto di immunità aspecifica), è
particolarmente esposto al rischio di sviluppare infezioni, soprattutto
di tipo enterico, respiratorio o anche, inizialmente, solo tegumentario
(quest'ultima sede è più comune per la scarsa resistenza della cute).
La profilassi deve essere attuata adottando le più scrupolose misure
di asepsi e antisepsi nei reparti di terapia intensiva.
• Limitate capacità digestive, assorbitive e metaboliche.
Le capacità digestive, di assorbimento e del metabolismo sono limitate
da: ridotta capacità gastrica (30-10 ml), per cui sono più frequenti il
rigurgito e il vomito; ridotta attività della lattasi, la cui maturazione
avviene durante il 3° trimestre di gravidanza; minor digestione e as-
sorbimento dei lipidi, causati dal deficit di secrezione della lipasi pan-
creatica e dalla ridotta concentrazione intraluminale dei sali biliari; in-
14
completa utilizzazione di alcuni aminoacidi (per es. tirosina), il cui ac-
cumulo può essere pericoloso per l'integrità del sistema nervoso
[17].
• Anemizzazione precoce.
L’anemia del pretermine si verifica nelle prime settimane di vita con
una costante e progressiva riduzione dell’emoglobina che raggiunge i
valori minimi tra la 4a e l’8a settimana. Le cause di tale anemia coin-
cidono in parte con quelle dell’anemia fisiologica del nato a termine e
consistono principalmente nella caduta dell’attività eritropoietica dopo
la nascita, nella ridotta durata di vita dei globuli rossi e nella mancata
espansione del volume ematico in rapporto al rapido accrescimento.
Le frequenti sottrazioni di sangue a scopo diagnostico contribuiscono
notevolmente ad accentuare la caduta dei livelli di emoglobina, so-
prattutto nei neonati di peso estremamente basso (ELBW) [18].
• Immaturità epatica.
La presenza di ittero è dovuta ad un accumulo di bilirubina, pigmento
prodotto di degradazione dell’emoglobina, contenuta nei globuli rossi e
deputata al trasporto di ossigeno. Durante la vita intrauterina
l’escrezione della bilirubina fetale avviene attraverso il fegato della
madre; alla nascita tale funzione dovrebbe essere svolta dal fegato del
neonato che, però, è ancora fisiologicamente immaturo e quindi non
in grado di svolgere appieno tale attività depurativa. L’eccesso di bili-
rubina in circolo si deposita a livello della cute e delle sclere conferen-
15
do loro una colorazione giallastra più o meno intensa. Rispetto al neo-
nato a termine, nel pretermine l’immaturità epatica ha un peso ancora
maggiore nella genesi dell’ittero, per cui questo è più intenso e di
maggiore durata rispetto al nato a termine e, spesso, può comportare
problemi di neurotossicità [19].
• Difficoltà al controllo idroelettrolitico e metabolico con elevato rischio
di ipoglicemia e ipocalcemia.
16
Capitolo 2. La Individualized Developmental Care :
il metodo NIDCAP
2.1. Dall’utero materno alla terapia intensiva neonatale.
Il neonato pretermine prosegue il suo sviluppo gestazionale in un am-
biente extrauterino ed artificiale. Con il progresso della disciplina neona-
tologica questo tipo di intervento si conclude, rispetto al passato, con
successo anche di fronte ad età
gestazionali sempre più precoci,
come nel caso di neonati che
vengono alla luce con un’età ge-
stazionale inferiore alle 27 setti-
mane [72], quindi con oltre 1/3
del periodo di gestazione tra-
scorso in ambiente extrauterino.
Ciò significa che funzioni fondamentali per la sopravvivenza e lo sviluppo
neonatale come la respirazione, l’alimentazione, la regolazione
dell’equilibrio metabolico e fisiologico, che sarebbero dovute maturare in
modo naturale, vengono assistite in modo artificiale.
Il bambino pretermine, già al momento della nascita, si trova ad affronta-
re una situazione estremamente particolare e spesso traumatica. Il mon-
do intrauterino è contraddistinto dal semibuio, dalla tranquillità, dal con-
tatto continuo con la madre anche attraverso la percezione dei suoi ritmi
circadiani, respiratori e viscerali. Il bambino, all’interno dell’utero mater-
no, si muove nel liquido amniotico dove la forza di gravità è circa un ter-
Figura 4: Reparto di terapia intensiva neonatale
17
zo rispetto a quella ambientale; egli avverte il contenimento dell’utero
che favorisce la posizione in flessione e gli permette di portare gli arti sul-
la linea mediana, di toccare ed
esplorare il proprio corpo [7].
Con il parto viene precocemente
privato di un ambiente accoglien-
te, contenitivo e protettivo ed
accolto in uno nuovo, il reparto
di terapia intensiva neonatale
(fig. 4 e fig. 5), spesso intubato
ed isolato in un’incubatrice dove inizia a lottare per la sua stessa vita.
Data la sua criticità, è un paziente che richiede un elevato livello di cure
[100], sia mediche, sia infermieristiche che gli permettano la sopravvi-
venza e gli garantiscano la possibilità di crescere affinché possa diventare
competente per una vita extrauterina. Le suddette cure però, non sem-
pre rispondono all’obiettivo di rispettare le sue fragilità e le sue esigenze:
mancanza di tempo in reparto, manipolazioni frequenti, incuranti dello
stato di sogno-veglia del piccolo paziente, livelli di rumore troppo elevati,
illuminazione spesso intensa e costante per permettere la continua assi-
stenza, scarsa attenzione al confort, alla posizione nell’incubatrice ma
anche alla necessità di sentirsi protetto e coccolato [100]. Questa realtà
ha permesso di mettere sotto accusa l’ambiente delle terapie intensive
neonatali e di identificarlo come uno dei principali fattori di stress per il
piccolo paziente e fattore di rischio per lo sviluppo di disabilità. Assistere
un neonato critico non significa solo offrirgli un supporto tecnico avanzato
Figura 5
18
ma anche entrare nel suo mondo, comprenderlo, rispettarlo, accompa-
gnandolo passo-passo verso la maturazione, consapevoli di operare su un
soggetto in divenire (e non su un passivo contenitore di stimoli esterni)
che, giorno dopo giorno, si organizza e cresce a livello psico-relazionale
oltre che fisico.
Il contenimento dello stress ma anche la riduzione del dolore, la promo-
zione del contatto con la madre ed il coinvolgimento della famiglia costi-
tuiscono gli obiettivi fondamentali dell’intervento sul neonato prematuro
in TIN una volta stabilizzate le sue funzioni vitali.
Si tratta di un intervento di tipo neuroevolutivo conosciuto come “Indivi-
dualized Developmental Care” per la realizzazione del quale lo strumento
più importante è il metodo NIDCAP (Newborn Individualized Developmen-
tal Care and Assessment Program) che, tramite un’ ”osservazione natu-
ralistica”, permette la comprensione del comportamento del neonato pre-
termine anche di bassa età gestazionale ed in condizioni cliniche instabili:
si focalizza l’attenzione sull’individualità ed il rispetto del piccolo prematu-
ro e della sua famiglia mirando a promuovere un approccio individualizza-
to.
Attraverso questa innovativa e complessa metodologia assistenziale si
cerca di interpretare il “linguaggio-comportamento” del neonato preter-
mine e di fornirgli un’assistenza personalizzata e correlata ai suoi bisogni
in quel momento.
19
2.2. NIDCAP e la teoria sinattiva di Heidelise Als
Il metodo NIDCAP, programma di valutazione ed assistenza personalizza-
ta allo sviluppo neuro-comportamentale del neonato pretermine centrato
sulla famiglia, si basa sulla cosiddetta teoria sinattiva
dell’organizzazione comportamentale sviluppata nel 1982 dalla Dott.ssa
Heidelise Als, neuropsicologa statunitense e ricercatrice presso il Chil-
dren’s Hospital di Boston. La Als, in particolare, sviluppa la predetta teo-
ria riprendendo le affermazioni di uno dei più noti pediatri di fama mon-
diale, Thomas Berry Brazelton, secondo il quale il neonato, già alla nasci-
ta, non è un passivo contenitore di stimoli ma è dotato di competenze
che gli permettono di interagire con chi lo accudisce e con l’ambiente, at-
traverso un atteggiamento propositivo, interattivo e collaborativo. Al
bambino viene riconosciuta la sua unicità che gli consente di rispondere
alla stimolazioni ambientali e sociali, e che le sue capacità di risposta so-
no in relazione con il suo stato di salute e con la sua età gestazionale. A
lui si deve l’elaborazione della NBAS Scale (Neonatal Behavioral Assse-
ment Scale), metodo di osservazione e valutazione del neonato a partire
dalla nascita fino ai due mesi di vita, che costituisce uno strumento com-
pleto per la valutazione del comportamento del neonato a termine e su
cui si basa la teoria sinattiva.
Secondo la predetta teoria l’organismo è costituito da cinque sottosistemi
che interagiscono continuamente tra loro e con l’ambiente [20], matura-
no in maniera indipendente ma in continua interazione tra loro e con
l’ambiente ed il buon funzionamento di ognuno di essi è dipendente dalla
stabilità degli altri. Attraverso l’ interazione tra i cinque sottosistemi e tra
20
questi e l’ambiente l’organismo passa ad un livello maturativo superiore
portando avanti e completando il proprio processo evolutivo [33]. I pre-
detti sottosistemi sono di seguito descritti:
1. Sistema nervoso autonomo o neurovegetativo: osservabile tramite la
valutazione dei parametri vitali (frequenza cardiaca, frequenza respi-
ratoria), delle funzioni digestive ed escretorie, esame del colorito della
cute
2. Sistema motorio: osservabile mediante la quantità e qualità dei movi-
menti, il livello di armoniosità e l’esame delle posture spontanee as-
sunte
3. Sistema degli stati comportamentali: osservabile attraverso la stabili-
tà, la disponibilità e la variabilità degli stadi di sonno e veglia e le
modalità di transizione da uno stadio all’altro
4. Sistema dell’attenzione ed interazione: osservabile attraverso la quali-
tà dello stato di vigilanza e allerta e la capacità di mantenere ed utiliz-
zare tale stato per la relazione con il mondo esterno
5. Sistema di autoregolazione: osservabile attraverso la capacità del
neonato di regolare la stabilità dei singoli sottosistemi e la relazione
tra essi [100].
Con l’applicazione del metodo, il caregiver, mediante l’osservazione si-
stematica nel tempo del neonato prematuro, focalizza l’attenzione sui
predetti sottosistemi, sul modo in cui si influenzano reciprocamente ed
interagiscono con l’ambiente.
Il neonato, [7] attraverso il suo comportamento, comunica il suo stato di
benessere e/o disagio (segnali di stabilità e di stress): il comportamento
diventa quindi non solo una via di comunicazione ma anche uno strume
to attraverso il quale è possibile individuare, definire ed attuare strategie
assistenziali individualizzate e di accudimento adeguate alle capacità ra
giunte ed emergenti del bambino,
muovere il suo sviluppo neuro
tempo il legame genitore
Figura
Infatti i genitori vengono supportati nella comprensione delle competenze
del loro bambino, in mod
[101]. In questa ottica il neonato è considerato l’attore principale del suo
processo di sviluppo
prende cura di lui e con l’ambiente:
collaborare con il neonato
permettergli di passare al livello maturativo successivo. E’ stato osservato
diventa quindi non solo una via di comunicazione ma anche uno strume
to attraverso il quale è possibile individuare, definire ed attuare strategie
assistenziali individualizzate e di accudimento adeguate alle capacità ra
iunte ed emergenti del bambino, alle sue condizioni cliniche
il suo sviluppo neuro-comportamentale e rafforzare
tempo il legame genitore-neonato.
Figura 6: H. Als, Infant Mental Health Journal, 1982
Infatti i genitori vengono supportati nella comprensione delle competenze
del loro bambino, in modo da essere di sostegno al suo sviluppo globale
In questa ottica il neonato è considerato l’attore principale del suo
, con capacità di interagire direttamente con chi si
prende cura di lui e con l’ambiente: l’obiettivo della “care” sarà quello di
collaborare con il neonato stesso fornendogli il supporto necessario per
permettergli di passare al livello maturativo successivo. E’ stato osservato
21
diventa quindi non solo una via di comunicazione ma anche uno strumen-
to attraverso il quale è possibile individuare, definire ed attuare strategie
assistenziali individualizzate e di accudimento adeguate alle capacità rag-
alle sue condizioni cliniche, per pro-
amentale e rafforzare allo stesso
Infatti i genitori vengono supportati nella comprensione delle competenze
o da essere di sostegno al suo sviluppo globale
In questa ottica il neonato è considerato l’attore principale del suo
, con capacità di interagire direttamente con chi si
l’obiettivo della “care” sarà quello di
fornendogli il supporto necessario per
permettergli di passare al livello maturativo successivo. E’ stato osservato
22
che anche il più piccolo e fragile neonato pretermine è in grado di mo-
strare i suoi bisogni grazie ad una serie di segnali individuabili attraverso
l’osservazione del suo comportamento [34,35]: la predetta osservazione,
già a partire dalle prime settimane di vita, consente di capire se le stimo-
lazioni dell’ambiente intorno a lui sono facilitanti e promuovono lo svilup-
po oppure se sono eccessive e stressanti per intensità, durata e quindi di-
sturbanti lo sviluppo. I segnali di benessere e stress che il neonato pre-
termine ci mostra attraverso il suo comportamento sono numerosi e de-
vono guidare l’approccio di tutti gli operatori della TIN.
I comportamenti indicanti stress sono classicamente costituiti da atteg-
giamenti in estensione, poco modulati. Di seguito sono elencati alcuni ti-
pici segnali di stress (fig. 7 e fig. 8):
• Frequenti movimenti in estensione di braccia e gambe
• Apertura a ventaglio delle dita, brusca abduzione delle braccia,
congelamento in estensione delle braccia, congelamento in estensione
delle gambe.
• Frequente protrusione della lingua, perdita di tono al volto,
frequenti smorfie.
• Respiro irregolare, lento o veloce e pause tra un atto respiratorio e il
successivo
• Colorito della cute pallido, marezzato, grigiastro o cianotico
• Segni viscerali quali rigurgito, conato, singhiozzo, borborigmi
• Agitazione (pianto), frequenti sbadigli, occhi galleggianti
23
I comportamenti indicanti autoregolazione (fig. 9 e fig. 10) sono costituiti
da comportamenti in flessione e ben modulati. Di seguito sono elencati
alcuni tra i principali segnali di autoregolazione del neonato:
• Capacità di mantenere una flessione modulata delle braccia raccolte
verso il corpo e gambe che cercano con successo il bordo del nido e vi
si appoggiano
• Movimenti dolci delle braccia, delle gambe e del tronco
• Tono muscolare mantenuto e ben modulato
• Contatto mano-mano e piede-piede
• Portarsi la mano/le mani alla bocca, afferrare ed aggrapparsi
Figura 9 Figura 10
Figura 7 Figura 8
24
• Respiro regolare e ben modulato, assenza di pause
• Colorito roseo
• Stabilità viscerale
• Espressione aperta / attiva del viso
2.3. NIDCAP e suoi elementi
Una volta riconosciuti i segnali di stress, il caregiver deve intervenire per
poterli arginare. Gli strumenti di cui si avvale sono numerosissimi e ven-
gono di seguito dettagliatamente esaminati.
2.3.1. Miglioramento del micro e macro ambiente: luci e ru-
mori
Le moderne terapie intensive neonatali sono caratterizzate da un ambien-
te che sembra più rispondere alle esigenze degli operatori che alle fragili-
tà del piccolo paziente dato che l’assistenza è fornita con continuità. Ne
costituiscono emblematici esempi l’illuminazione costante, incurante del
naturale ciclo sonno-veglia, i livelli sonori elevati nel corso delle 24 ore
dovuti agli allarmi dei monitor, delle incubatrici, ai rumori di sottofondo.
Il programma NIDCAP si propone, tra i tanti obiettivi, quello di migliorare
l’ambiente al fine di imitare, per quanto possibile, quello intrauterino po-
nendo attenzione a ridurre gli stimoli uditivi e visivi eccessivi e favorire gli
stimoli adeguati.
Le strutture neurologiche dedicate all’udito si sviluppano precocemente in
utero e la risposta del feto ai rumori è già presente a partire dalla
25
23esima settimana di età gestazionale. Gli stimoli cui è sottoposto un ne-
onato prematuro in TIN sono però assai diversamente percepiti rispetto
all’’utero materno e sono fonte di risposte fisiologiche e comportamentali
tipiche dello stress che possono interferire con lo sviluppo neurologico
[21] . L’ambiente uterino ha, tra le altre, la funzione di filtrare sia la luce,
sia i suoni (che giungono ovattati attraverso la parete addominale mater-
na) e proteggere il feto anche da questi ultimi.
Le stimolazioni sensoriali (visive ed uditive) troppo precoci hanno effetti
destabilizzanti nei confronti del benessere del neonato, disturbandolo. Ciò
influisce negativamente sui parametri vitali (F.C., F.R., SO2), sugli stati
comportamentali (sonno tranquillo, ritmo sonno veglia), sulla crescita
ponderale, aumentando il dispendio energetico, sulle competenze neona-
tali emergenti quali l’alimentazione autonoma [22].
Allo scopo di migliorare e rendere gli ambienti di degenza più appropriati
ai bisogni del pretermine sono state redatte delle linee guida internazio-
nali in cui sono stati definiti i livelli massimi di luce e rumore che devono
essere osservati nelle TIN.
LIVELLI SONORI :
- I livelli sonori di base in TIN non devono eccedere i 50 db, per un’ora
possono arrivare a 55 db
- I livelli sonori notturni non devono essere superiori a 35 db
- I livelli sonori dell’attrezzatura di reparto non devono essere superiori a
40 db
- I suoni di passaggio (ad es. telefono, campanello, sbattere la porta)
non devono superare i 70 db
26
- I livelli sonori delle camere di degenza devono essere di 30 db, nei
corridoi di 40 db.
E’ opportuna la realizzazione di pareti, pavimenti, soffitti ed arredi con
materiali caratterizzati da superfici morbide, con discreto spessore che
assorbono il suono e disperdono l’energia evitando, per contro, superfici
rigide e dure (vetro, plastica, piastrelle).
Un’altra fonte di intervento prevede la radicale modifica di atteggiamenti
a volte stereotipati: evitare discussioni e passaggi di consegne in prossi-
mità delle incubatrici e che queste diventino piani d’appoggio, aprire dol-
cemente gli oblò, abbassare l’intensità degli allarmi sonori dei monitor e
rispondere velocemente ad essi, evitare che fonti sonore inopportune
(apparecchi radiofonici, lettori CD) ed estranee all’assistenza incrementi-
no il rumore.
Di seguito (fig. 11) riportiamo i benefici e gli effetti collaterali legati ai li-
velli sonori [21].
Figura 11
27
I dati che attualmente ci offre la ricerca scientifica evidenziano come il li-
vello di rumorosità reale delle TIN si discosta dai parametri definiti otti-
mali. Levy G.D. ha osservato come il sonno del neonato sia interrotto
mediamente ben 132 volte nelle 24 ore a fronte di un periodo in cui ri-
mane consecutivamente indisturbato oscillante tra i 4 e i 9 minuti. Narri-
gan afferma che il ricovero in TIN per oltre due giorni aumenta di dieci
volte la possibilità di sviluppare un disturbo uditivo. Bellieni ha appurato
come il normale ambiente del reparto di terapia intensiva neonatale sia
contraddistinto da rumori eterogenei (voci personale, telefono, dispositivi
impiegati per la ventilazione meccanica invasiva con i lori allarmi ed il lo-
ro ritmico ciclare) che, nel loro insieme, possono determinare un rumore
compreso tra 65 e 90 db. All’interno dell’incubatrice si ha inoltre un’ im-
portante elevazione di questi valori: pensiamo al rumore relativo alla
chiusura dello sportello, a quello delle ventole o allo stesso pianto del ne-
onato che può raggiungere livelli di circa 100-110 db [21].
LIVELLI LUMINOSI:
- In base alle raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics i li-
velli di luce nelle TIN devono essere compresi tra 10 e 600 lux
- Prima della 28esima settimana di età gestazionale la protezione lumi-
nosa con oscuramento continuo (< 20 lux) rappresenta la migliore con-
dizione possibile
- Dopo la 28esima settimana di gestazione è appropriato mantenere o-
scurato durante le ore notturne (luce di base nell’area del paziente 10-
20 lux), ma durante il giorno il livello di illuminazione deve essere tra
250 e 500 lux
28
- Le aree adibite alla preparazione dei farmaci e delle medicazioni, al
lavaggio delle mani e l’area PC e modulistica possono produrre 300-500
lux sugli occhi e dai 1500 ai 2500 lux nell’area di lavoro
- Le finestre esterne alla TIN devono avere un vetro che impedisca la
formazione o la perdita di calore e devono essere situate ad almeno cm
61 dal letto del neonato per minimizzare la perdita di calore; i vetri de-
vono essere di colore neutro o opaco al fine di minimizzare la distorsio-
ne di colore.
Di seguito (fig. 12) riportiamo i benefici e gli effetti collaterali relativi ai
livelli luminosi [21].
A differenza di quanto accade per i livelli di rumore, la letteratura scienti-
fica ha ampiamente documentato come i livelli luminosi delle TIN non su-
perano quelli raccomandati dall’American Academy of Pediatrics. Ad e-
sempio Lasky [23 ], in uno studio condotto nel 2009, ha dimostrato come
gli ELBW, durante la loro degenza, siano soggetti ad una media di 70,56
lux, il massimo del buio cui sono sottoposti è 21,19 lux mentre il massi-
Figura 12
29
mo della luce raggiunge i 138,10 lux. In termini percentuali il tempo in
cui non sono rispettate le raccomandazioni è stato stimato nella misura
dello 0,63%, dato imputabile all’esecuzione di procedure terapeutiche in
primis rappresentate dalla fototerapia caratterizzata dallo sviluppo di li-
velli di luce pari a 10.000 ftc.
In conclusione, la luce intensa ed i rumori forti costituiscono elementi di
disturbo che alterano il normale succedersi dei cicli sonno-veglia, condi-
zionano il comportano spontaneo del neonato pretermine ed incidono sul
suo sviluppo neuropsicologico. Attraverso la continua osservazione del
neonato, che non può sottrarsi a stimoli negativi, è possibile comprende-
re il suo disagio: fondamentale sarà pertanto sia il controllo dei gesti da
parte degli operatori, sia il mantenimento di condizioni ambientali ade-
guate per migliorare ed “umanizzare” la qualità della sua permanenza in
TIN.
2.3.2. Il management del neonato
In questa sede sono prese in considerazione le principali procedure appli-
cate sul neonato prematuro dal personale infermieristico, messe in risalto
dalla developmental care.
2.3.2.1. La care posturale (posizionamento)
Il neonato pretermine ha scarse capacità antigravitarie ed un controllo
posturale poco sviluppato. Diviene dunque fondamentale fornirgli un tipo
di contenimento simile a quello dell’esperienza intrauterina: nel grembo
30
della madre il feto è accompagnato continuamente dal dondolio del suo
corpo, dal battito cardiaco e dalla voce materna nei vari momenti della
giornata. Il movimento è favorito dal liquido amniotico che permette mo-
vimenti dolci e fluidi di ogni segmento corporeo. La forza di gravità è ri-
dotta a un terzo, mentre le pareti morbide e avvolgenti dell’utero e la
placenta contengono e accompagnano ogni movimento del feto, anche se
brusco ed improvviso, e favoriscono una postura flessa e raccolta dei
quattro arti verso il corpo [22].
Inoltre, nell’utero materno, il neonato è rassicurato dal contenimento e
da una continua interazione fisica ed emotiva con la madre.
Alla nascita il neonato pretermine ha una postura schiacciata sul piano, il
capo ruotato prevalentemente su di
un lato e scarsissimi movimenti di
lateralità. La marcata instabilità po-
sturale si manifesta attraverso bru-
schi movimenti in estensione dei
quattro arti, improvvisa apertura a
ventaglio delle mani e delle dita (fig.
13) con basculamenti laterali del ba-
cino, frequenti startles (reazioni im-
provvise in estensione), limitata capacità di eseguire e controllare i
movimenti del capo, congelamenti in flessione ed estensione dei quattro
arti. Oltre alla prematurità anche lo stress acuto cui è inevitabilmente
sottoposto nei reparti di terapia intensiva neonatale può essere causa di
bruschi movimenti estensori degli arti e di startles disorganizzanti.
Figura 13
31
La cura posturale, dunque, rappresenta un valido strumento per ridurre
lo stress. Deve essere stabilita in base all’età gestazionale, alle condizioni
cliniche, alle caratteristiche individuali, alla funzione prioritaria da privi-
legiare in quel momento (respiratoria, neuromotoria, digestiva) e capace
di modificarsi nel tempo in accordo con i diversi bisogni maturativi del
neonato. La postura prioritaria (posizione in cui il neonato deve rimanere
per più tempo nell’arco delle 24 ore) deve sempre essere alternata ad
una secondaria durante la giornata.
La posizione prona (fig. 14), ad esempio, oltre a promuovere il sonno ri-
ducendo i risvegli, permette un sensibile miglioramento sia della
funzione respiratoria (in termini
di compliance polmonare, volu-
me corrente, rapporto perfusio-
ne/ventilazione), sia di quella di-
gestiva riducendo i rigurgiti ed il
reflusso gastro-esofageo. Non è
opportuno adottarla in caso di eccessiva apertura degli arti,
iperestensione della testa e tronco, difficoltà ad allinearsi sulla linea
mediana e ad autostabilizzarsi.
La posizione di fianco (fig. 15), controindicata in caso di insufficienza re-
spiratoria acuta, riduce l’instabilità posturale e il reflusso gastro-
esofageo, permette la simmetrizzazione del capo sul tronco e
l’allineamento degli arti verso la linea mediana, facilita il contatto mano-
mano o mano-bocca promuovendo la suzione del dito come attività auto-
consolatoria.
Figura 14
32
La posizione supina o di semifianco (fig. 16) è consigliata come alternati-
va alla posizione prona o sul fianco, a seguito di interventi chirurgici
o in presenza di drenaggi [22] e sconsigliata in caso di eccessiva apertura
degli arti e posizione assimmetrica della testa.
2.3.2.2. Il Nido (contenimento posturale)
Il bambino pretermine ha bisogno di confini ben definiti come erano le
pareti uterine. Per fare in modo che,
attraverso la postura ed il contatto,
possa rivivere la situazione intraute-
rina si deve delimitare lo spazio a lui
circostante. Il “nido” (fig. 17) è una
morbida ed avvolgente concavità rea-
lizzata sagomando telini di spugna o
altro materiale soffice ed avvolgente in cui il piccolo paziente viene accol-
to al fine di assicurare la stabilità della postura e la promozione del mo-
vimento verso la linea mediana, evitando movimenti bruschi e contrazio-
Figura 15 Figura 16
Figura 17
33
ni dolorose dei muscoli. Uno studio [24], realizzato allo scopo di valutare
gli effetti prodotti dall’utilizzo del nido sulla postura di bambini preter-
mine sani, ha evidenziato come il contenimento posturale:
1. Favorisca movimenti dei quattro arti verso e oltre la linea mediana,
riduca i movimenti bruschi e le posture in congelamento [108]
2. Permetta una postura flessa ed addotta di tutto il corpo
3. Promuova l’esecuzione di movimenti fluidi dei polsi.
Il nido, nella posizione supina, prona o sul fianco deve stare a contatto
con il corpo del bambino avvolgendolo dalla testa ai piedi, permettendo i
movimenti in flessione ed estensione degli arti. Deve essere un po’ più al-
to delle spalle del neonato. Il solo nido, a volte, può però non essere suf-
ficiente per contenere il bambino e l’utilizzo di teli morbidi o copertine
possono aiutare a stabilizzare le varie parti del corpo. Nella pratica clinica
vengono usati sia nidi artigianali sia preformati ma sempre adattati al ne-
onato. [22].
2.3.2.3. Holding (contenimento) e Wrapping (avvolgimento)
L’Holding (fig. 18) consiste in una
modalità di contenimento offerta dalle
mani ferme, che contengono ed “a-
scoltano”, e dal corpo del caregive
/genitore. Durante la procedura le
mani non sollecitano o strofinano ma
cercano un dialogo “tonico” che per-
mette al neonato di accoccolarsi sotto la mano che lo sostiene e recupe-
Figura 18
34
rare il suo equilibrio sempre così precario. Lo sguardo continuo
dell’operatore, orientato sul bambino, e le sue mani che lo contengono
come una culla facilitano quella relazione in cui ognuno fa la sua parte
per attivare la cura che necessita di reciprocità: lo stesso neonato fa la
sua parte, non è solo un paziente passivo. Nei genitori il linguaggio con le
mani rafforza la comunicazione con il figlio e li aiuta ad adoperarsi in pri-
ma persona nella comprensione dei suoi bisogni facilitando l’instaurarsi
della relazione genitoriale [22].
Il wrapping (fig. 19) è una procedura consistente nell’avvolgere e conte-
nere il neonato in posizione flessa con le mani vicino al viso al fine di dar-
gli stabilità corporea.
Diverse sono le situazioni in cui vi si ri-
corre: ad esempio nel corso di attività
impegnative quali l’alimentazione, per
favorire esperienze relazionali (che ri-
chiedono la verticalizzazione e lo spo-
stamento nello spazio, fuori
dall’incubatrice), nei primi bagnetti abi-
litativi, per offrire maggiore stabilità
posturale all’interno del nido, in caso di
scarso controllo assiale.
Il wrapping viene realizzato [22] utiliz-
zando un telino morbido di forma quadrata: è importante che il neonato
venga posizionato su un fianco, gli arti superiori ed inferiori siano flessi,
Figura 19
35
le mani vicino al viso ed alla bocca. Si procede avvolgendolo prima da un
lato, poi dall’altro avendo l’accortezza di non stringere troppo ed operan-
do in modo che la testa sia parzialmente libera mentre le spalle ed il col-
lo devono essere ben sostenute dal telino.
2.3.2.4. Minimal Handling, Gentle Handling, Grasping
Gli operatori devono evitare interventi eccessivi, inutili e stressanti (mi-
nimal Handling): le manovre (di igiene, di accudimento e terapeutiche)
devono essere raggruppate in momenti della giornata in cui il bambino è
sveglio (rispetto del ritmo sonno-veglia) e, qualora non siano tollerate
(segni comportamentali di stress, alterazione dei parametri vitali), è ne-
cessario offrire periodi di riposo.
Durante gli interventi terapeutici e di accudimento, il caregiver deve ese-
guire le manovre assistenziali in modo dolce, delicato, mai brusco ac-
compagnandole con carezze, voci e gesti dolci prima, durante e dopo le
manovre stesse (gentle handling). Uno studio, nell’esaminare gli effetti
fisiologici e comportamentali prodotti da “un’assistenza coccolata” , ha
evidenziato come questo tipo di contatto renda il neonato più tranquillo,
con minore incidenza di pianto e movimenti scoordinati e sia estrema-
mente adatto ad essere impiegato nei reparti di terapia intensiva neona-
tale [25].
Con il termine “grasping” (fig. 20 e fig. 21) si fa riferimento alla capacità
del neonato di afferrare il dito dell’adulto (genitore o operatore), procedu-
ra usata per infondere sicurezza.
36
2.3.3. Apertura del reparto ai genitori
L’ammissione dei genitori del neonato prematuro all’interno dei reparti di
terapia intensiva neonatale costituisce una conquista avvenuta in epoca
relativamente recente. Intorno agli anni settanta, infatti, viene per la
prima volta ammessa la loro presenza, in quanto non determinante un
sensibile aumento delle infezioni, e si iniziano ad indagare gli effetti dan-
nosi della separazione precoce madre-bambino [36]. Con il NIDCAP c’è la
tendenza a considerare la NICU un luogo di sviluppo per bambini e geni-
tori piuttosto che un luogo esclusivamente di cure mediche dove il genito-
re è considerato un semplice visitatore [100].
Ciò che preliminarmente occorre sottolineare è come un bambino prema-
turo abbia a sua volta dei genitori “prematuri”: intorno alla sua nascita
si condensano emozioni, esperienze particolari soprattutto da parte delle
madre che, causa la precoce interruzione della gravidanza, non è ancora
psicologicamente pronta al distacco. La letteratura scientifica si è più vol-
te occupata di questa problematica evidenziando come siano comune-
Figura 20 Figura 21
37
mente riscontrabili nella maggior parte delle madri sentimenti intensi
quali senso di colpa ed inadeguatezza, delusione, confusione, disorienta-
mento, ansia e depressione [37].
Il NIDCAP mette in primo piano il ruolo centrale della famiglia ed in parti-
colare dei genitori includendo la loro presenza accanto al piccolo, il con-
tatto corporeo (attraverso ad esempio la Kangaroo Care), il sostegno
all’allattamento al seno materno, la progressiva assunzione di autonomia
nella gestione del figlio [38]. L’obiettivo è permettere alla famiglia di di-
ventare parte integrante del team che si occupa del loro bambino, coin-
volgendola, sostenendola ed aiutandola a sviluppare quelle competenze e
“tecniche” necessarie all’accudimento durante il periodo di ricovero in
TIN.
2.3.3.1. Kangaroo Mother Care
Questa tecnica, ideata e sviluppata negli anni 70 a Bogotà dal pediatra
Ray Martinez per fronteggiare i problemi posti dalle nascite premature in
strutture sanitarie carenti e sovraffollate, è la cura del neonato pretermi-
ne posto nudo a contatto pel-
le a pelle (fig. 22) sul petto
del genitore [83].
In questi ultimi anni la lette-
ratura scientifica ha ampia-
mente messo in evidenza gli
innumerevoli benefici prodotti
da questo approccio. Ad esempio numerosi studi hanno mostrato come il
Figura 22
38
pretermine sottoposto a Kangaroo Care abbia una sensibile riduzione dei
periodi di agitazione e di motricità non controllata, un aumento dei perio-
di di tranquillità e di sonno quieto, una migliore stabilità dei parametri
cardiorespiratori, una significativa influenza sull’emodinamica cerebrale
[31], un più rapido adattamento alla vita extrauterina rispetto a quello
non sottoposto [22]. Oggetto di attenta valutazione è stata anche la sicu-
rezza della Kangaroo Care: confrontando le condizioni di neonati preter-
mine in incubatrice e durante la procedura si è dimostrato che non vi è
differenza in termini di termoregolazione, controllo dell’attività cardiaca e
respiratoria, ossigenazione e frequenza cardiaca [26,27]: addirittura al-
cuni studi hanno rilevato un miglioramento dell’ossigenazione, una ridu-
zione delle apnee, e che la Kangaroo Care non rappresenta uno stress
metabolico per il pretermine [28,29]. In letteratura è stato inoltre evi-
denziato come i neonati di età gestazionale compresa tra le 25 e le 33
settimane dimostrino frequenze cardiache più rallentate durante prolun-
gati periodi di contatto pelle a pelle con la propria madre [73].
Favoriti sono inoltre il legame genitore-bambino, il coinvolgimento preco-
ce della madre e lo sviluppo psicomotorio ed intellettivo del neonato pre-
termine. Feldmann, nel suo studio [30], ha dimostrato che le madri che
praticano la Kangaroo Care hanno un’interazione notevolmente più ricca
con il loro bambino, che si dimostra più attento agli stimoli. Sono affette
con minor incidenza da disturbi dell’umore come la depressione, meno
stressate, e valutano più positivamente il loro bambino rispetto alle ma-
dri che non effettuano tale pratica. All’età di sei mesi i neonati che fanno
39
esperienza prolungata di Kangaroo Care hanno uno sviluppo psicomotorio
ed intellettivo avvantaggiato rispetto al gruppo di controllo [30].
La Kangaroo-Mother-Care ha effetti positivi anche sull’allattamento al se-
no: la posizione impiegata è quella ideale per avvicinare il neonato pre-
maturo al seno favorendo con la madre un contatto intimo per sentirsi,
toccarsi e iniziare, dopo la 32esima settimana di età gestazionale, le pri-
me esperienze di allattamento.
Per poter applicare questa procedura è necessario individuare il periodo
della giornata più appropriato programmando periodi di tempo sufficien-
temente lunghi di almeno 90/120 minuti. Prima di iniziare è necessario
spogliare il bambino lasciando solo il pannolino. Deve essere posto tra i
seni della madre in posizione verticale, petto contro petto, con la testa in
leggera estensione, le gambe e le braccia flesse vicino al tronco e le mani
vicino al viso ed alla bocca. Bisognerà prevenire una eventuale dispersio-
ne termica coprendo il neonato con i vestiti della mamma e, se necessa-
rio, anche con una copertina. Le mani del genitore devono sostenere il
neonato a livello della testa, del cingolo scapolare e del podice [32, 22].
2.3.4. Il controllo del dolore
Il problema del dolore neonatale costituisce da anni oggetto di discussio-
ne da parte della scienza medica. L’Associazione Internazionale degli
Studi sul dolore lo definisce un’esperienza sensoriale ed emozionale sgra-
devole associata ad un potenziale o reale danno tissutale [39]. La defini-
zione di dolore appare insufficiente per il neonato che, non essendo in
40
grado di comunicare l’esperienza, dipende da chi se ne prende cura per
quanto riguarda il riconoscimento, la valutazione ed il trattamento.
Fino ai primi anni ottanta predominava la convinzione che il neonato
prematuro non fosse in grado di percepire il dolore a causa sia
dell’immaturità del suo sistema neurovegetativo, sia dell’incapacità di
manifestarlo. Gli studi di neurofisiologia hanno successivamente e clamo-
rosamente evidenziato [40] come il neonato pretermine non solo avverte
il dolore, ma addirittura, essendo incapace di regolarne la trasmissione,
lo percepisce in modo più intenso dell’adulto. E’ solo grazie al lavoro pio-
neristico di autori quali Anand (1987) e Fitzgerald (1989) che è stato da-
to avvio ad una ricerca sistematica sul dolore nel neonato sia a termine
che pretermine e nel feto.
In uno studio condotto alla fine degli anni ottanta (Anand, 1987) emerse
come le strutture anatomiche e fisiologiche deputate alla percezione del
dolore siano presenti già a partite dalla 22/24esima settimana di gesta-
zione: in particolare l’organizzazione nervosa deputata al trasporto verso
il cervello degli stimoli sensitivi ha uno sviluppo notevolmente più rapido
rispetto ai sistemi discendenti inibitori ed ai neurotrasmettitori preposti
alla modulazione dell’intensità delle afferenze nocicettive [46]. Il neona-
to, inoltre, ha la capacità di ricordare il dolore e tale ricordo può manife-
starsi anche nel medio-lungo termine con crisi di ansia, di panico, carat-
tere irascibile, disturbi dell’alimentazione e del sonno [41].
I risultati dello studio clinico NOPAIN hanno poi evidenziato come il
dolore possa essere incluso nell’eziopatogenesi di patologie gravi che il
neonato prematuro ha elevata probabilità di sviluppare a causa
41
dell’immaturità del sistema di vascolarizzazione cerebrale (leucomalacia
periventricolare ed emorragia intraventricolare [72]) alterando il flusso
ematico vasale [42]. Per contro gli interventi terapeutici volti al controllo
del dolore sono stati frequentemente associati ad una minore incidenza di
emorragia intraventricolare [44].
Un interessante studio di Porter [74] datato 1999 ha rilevato che i neona-
ti pretermine di età compresa tra 28 e 36 settimane sono in grado di di-
scriminare, fin dalla prima settimana di vita, tra dolore debole e medio-
forte; inoltre l’intensità della risposta al dolore diventa sempre più eleva-
ta man mano che aumentano i giorni di vita e, successivamente alle 36
settimane di età gestazionale, il bambino prematuro, soprattutto se nato
con una bassa età gestazionale, è già in grado di discriminazioni fini tra
diverse intensità di dolore a differenza di neonati di pari età gestazionale
ma nati a termine e sani. Le diverse settimane di esperienza con il dolore
implementerebbero quindi la funzionalità delle vie dolorifiche rendendola
migliore rispetto ai neonati che, venuti alla luce al termine della gestazio-
ne e senza problemi clinici, mancherebbero dell’apprendimento mediato
da questo tipo di esperienza.
Nonostante quindi le sempre maggiori evidenze che il neonato pretermine
è molto sensibile allo stimolo nocicettivo, che il dolore acuto e ripetitivo
è causa di alterazioni fisiologiche, comportamentali, ormonali ed endocri-
ne con potenziali effetti destabilizzanti a breve e lungo termine [44-45],
ancora frequentemente è esposto a stimoli dolorosi non controllati per
procedure diagnostiche e terapeutiche [43]. Bellieni e Buonocore (2010)
hanno recentemente affermato che, con la consapevolezza che il neonato
42
percepisce il dolore in modo più intenso rispetto al bambino più grande
ed all’adulto, è insostenibile non provvedere per un’efficace analgesia
quando viene sottoposto a procedure mediche dolorose [59]. A causa
della sua instabilità fisiologica numerose sono le procedure mediche, chi-
rurgiche ed infermieristiche invasive che il neonato pretermine può subire
durante il ricovero in TIN di cui riportiamo alcuni esempi:
• Intubazione endotracheale
• Ventilazione meccanica
• Puntura al tallone
• Posizionamento sondino naso-gastrico
• Aspirazione delle vie aeree
• Inserzione cateteri venosi centrali, periferici e arteriosi
• Applicazione-rimozione sensori
• Applicazione-rimozione cerotti
• Posizionamento di drenaggio toracico
• Prelievo venoso/arterioso
• Applicazione- Rimozione suture
• Paracentesi
Di essi gli interventi dolorosi più frequentemente indicati sono il prelievo
da tallone e l’aspirazione endotracheale [54,55] che, per i neonati
ricoverati in TIN, costituiscono un’esperienza quotidiana, anche ripetuta
in diversi momenti della giornata.
43
La maggior parte delle sopraelencate procedure è ancora oggi eseguita
senza un’adeguata analgesia.
Simons (2003) ha condotto uno studio [47] su 151 prematuri secondo il
quale un neonato ricoverato in terapia intensiva viene mediamente sotto-
posto a 14 procedure invasive al giorno, il 63,6% delle quali costituite da
aspirazione nasale, endotracheale o nasofaringea. Nel predetto studio
viene inoltre analizzata la frequenza di utilizzo di analgesia farmacologica
o non farmacologica rilevando che quasi il 40% dei pazienti non ne riceve
alcun tipo durante il ricovero. Gli analgesici sono utilizzati abitualmente
solo prima dell’intubazione endotracheale mentre pratiche analgesiche di
tipo non farmacologico (ad es. utilizzo succhiotto, “assistenza coccolata”
da parte del personale infermieristico o dei genitori) non vengono prati-
cate durante o dopo molte procedure dolorose.
In una più recente ricerca condotta in Francia, nel contesto parigino, è
stato rilevato che i neonati ricoverati nei diversi reparti di T.I.N. della ca-
pitale francese subivano ancora una media di 10 procedure dolorose al
giorno e che solo il 20% delle procedure dolorifiche veniva trattato con
analgesia, soprattutto non farmacologica, percentuale che saliva al 50%
quando un metodo di contenimento del dolore era previsto da quella spe-
cifica manovra [54].
Livello di invasività e numero di procedure invasive subite nel corso del
ricovero ospedaliero dipendono ovviamente dalle condizioni cliniche neo-
natali e dalla durata della permanenza in un reparto neonatologico ma
non sorprende il dato che a subire il maggior numero di eventi invasivi e
44
dolorosi siano proprio i neonati prematuri e con il maggior grado di im-
maturità [55].
2.3.4.1. La valutazione del dolore nel neonato
Il dolore in TIN dovrebbe essere rilevato e monitorato di routine come ul-
teriore parametro vitale sempre e sicuramente in occasione di ogni in-
tervento/procedura o situazione che lo provochi.
Per studiare il dolore nelle fasi precoci della vita sono stati individuati in-
dicatori dell’esperienza algica: in presenza di stimoli dolorosi, come inter-
venti medici di tipo diagnostico o terapeutico, sono stati evidenziati nel
feto e nel neonato risposte neurovegetative (aumento della frequenza
cardiaca e respiratoria, della pressione arteriosa, diminuzione della satu-
razione periferica di ossigeno), neuroendocrine (aumento dei livelli di
ormoni associati allo stress quali adrenalina e cortisolo), motorie (espres-
sione facciale, movimenti in vari distretti corporei, agitazione motoria), a
livello cerebrale (variazioni nell’attività elettrica ed emodinamica) ed il
pianto profondamente diverso, però, da quello per paura o per fame
[53].
Poiché il neonato sottoposto a trattamento non è in grado di verbalizzare
il proprio dolore, sono stati costruiti e validati strumenti specifici per la
sua identificazione e per la quantificazione della sua intensità in modo da
poter disporre di metodi standardizzati per la rilevazione dell’esperienza
dolorifica. Essi sono rappresentati dalle scale uni e multidimensionali che
utilizzano, oltre ai comuni parametri fisiologici quali frequenza cardiaca
(FC), frequenza respiratoria (FR), saturazione di ossigeno e pressione ar-
45
teriosa (PA), indicatori di tipo comportamentale come il pianto, disturbi
legati al sonno, particolari espressioni del viso [40,53].
Le scale che maggiormente presentano caratteristiche di affidabilità e
facilità d’uso sono la PIPP (Premature Infant Pain Profile), la NIPS (Neo-
natal Infant Pain Scale ), la DAN (Douleur Aigue du Nouveau-né), la
CRIES (Crying the Requirement for oxygen supplementation, Increases in
heart rate and blood pressure, facial Expression and Sleeplessness), fina-
lizzate all’analisi del dolore acuto, e la EDIN (Echelle Douleur Inconfort
Nouveau-né, quest’ultima per la quantificazione del dolore cronico.
• Premature Infant Pain Profile (PIPP).
Questa scala, ideata nel 1996 da Stevens, prende in considerazione sette
parametri attribuendo a ciascuno un punteggio compreso tra 0 e 3. In
particolare include due indicatori di tipo fisiologico (aumento della FC e
diminuzione della saturazione di ossigeno) e quattro indicatori di tipo
comportamentale (stato comportamentale, sopracciglia corrugate, striz-
zamento occhi, corrugamento solco naso-labiale). Il punteggio complessi-
vo può variare da zero (assenza di dolore) a 21 (massimo dolore valuta-
bile). Ha il pregio, rispetto ad altre scale di valutazione, di prendere in
considerazione l’età gestazionale: pertanto è particolarmente adatta nella
valutazione del dolore del neonato pretermine [48] e, nel contempo, è
anche stata validata con successo per la quantificazione del dolore e-
spresso da nati a termine [56]
46
• Neonatal Infant Pain Scale (NIPS)
Questa scala è stata costruita e validata per rilevare e valutare in modo
affidabile il dolore nei neonati, sia a termine che pretermine, senza far ri-
corso alla rilevazione di parametri fisiologici. Essa prende in considerazio-
ne cinque parametri comportamentali (espressione viso, movimenti delle
braccia e delle gambe, pianto, stato di veglia) e uno fisiologico (patterns
respiratori) attribuendo a ciascuno di essi un punteggio variabile da 0 a 2.
Un punteggio superiore a 2 è già indicativo di dolore mentre 7 rappre-
senta il massimo dolore rilevabile [49].
47
• Douleur Aigue du Nouveau-né (DAN)
Vengono in questa sede presi in considerazione tre parametri comporta-
mentali (espressione facciale, movimento degli arti, espressione vocale)
48
• Cryng the Requirement for oxygen supplementation, Increases in
heart rate and blood pressure, facial Expression and Sleeplessness
(CRIES)
Include 5 parametri (pianto, richiesta ossigeno, aumento FC e PA, e-
spressione, presenza di insonnia) ognuno dei quali con un punteggio
compreso tra 0 e 2. Un punteggio totale maggiore di 5 è indice di dolore
[51].
• Echelle Douleur Inconfort Nouveau-nè (EDIN)
La scala EDIN è stata inizialmente concepita e validata per lo studio del
dolore prolungato nel tempo del neonato pretermine [52] ma è reperibile
in letteratura anche uno studio in cui è stata utilizzata con neonati a ter-
mine [57].
Questa scala considera 5 indicatori del prolungamento del dolore nel
tempo (espressione facciale, movimenti del corpo, qualità del sonno, qua-
lità del contatto con il personale infermieristico, grado di consolabilità del
piccolo) attribuendo a ciascuno di essi un punteggio compreso tra 0 e 3.
Il punteggio totale può variare da 0 (assenza degli effetti del dolore nel
tempo) a 15 (massimo livello di effetti del dolore nel tempo). E’ una scala
che focalizza maggiormente l’attenzione sulla permanenza degli stati do-
lorosi e sui suoi possibili effetti su alcuni indicatori comportamentali.
49
2.3.4.2. NIDCAP e analgesia non farmacologica
Nonostante ormai sia stato diffusamente accettato che il neonato preter-
mine percepisce dolore, che il suo necessario ricovero in reparto di tera-
pia intensiva neonatale comporta l’esecuzione frequente di procedure do-
lorose e che tali esperienze possano associarsi a conseguenze di natura
clinica nel breve, medio e lungo termine il problema dolore e la necessa-
ria risposta analgesica da adottare sono ancora troppo spesso disattesi
[58,59] nella pratica clinica.
Il metodo NIDCAP, nel perseguire come obiettivo il controllo del dolore
nel bambino prematuro, prende in considerazione metodi di analgesia
non farmacologica che permettono di alleviare gli stati dolorosi legati alla
50
procedure assistenziali: il più diffuso consiste nella somministrazione di
una soluzione dolce alcuni minuti prima dell’esecuzione dell’intervento
doloroso. Particolarmente efficaci nel neonato pretermine si sono rilevate
le soluzioni a base di glucosio [60,61,62] con le quali sono stati osservati
effetti di modulazione del dolore fin dalla 24esima settimana di età ge-
stazionale [64,65]. Quando possibile la somministrazione dell’analgesia
avviene oralmente utilizzando una siringa senza ago: in alcuni studi è
stato infatti osservato che la somministrazione di una soluzione diretta-
mente nello stomaco non ha effetti analgesici paragonabili a quelli che si
osservano quando viene posta direttamente a contatto con la lingua [77]
facendo ipotizzare che l’intervento della sensazione gustativa sia fonda-
mentale per l’efficacia di questo metodo.
Un altro metodo analgesico non farmacologico diffusamente adottato è la
suzione non nutritiva, che in questa sede trova un’ulteriore applicazione
oltre a quella di incentivare lo sviluppo della suzione nutritiva (il neonato
apprende a succhiare e respirare coordinando i movimenti). La suzione
non nutritiva viene realizzata solitamente dando al neonato un ciuccio
(strumento di autoconsolazione) qualche minuto prima della procedura
dolorosa. La gran parte degli studi lo ha trovato efficace solo se dato in
associazione ad una soluzione dolce, sia essa glucosata al 10% o sacca-
rosio, di cui è in grado di rinforzare gli effetti analgesici [75,60,76]: in tal
modo viene stimolata la produzione di endorfine che, agendo sui recettori
nervosi, diminuiscono il senso di dolore e lo stress da procedura.
Nel 2002 Bellieni ha proposto un metodo di saturazione sensoriale quale
alternativa analgesica non farmacologica per il neonato: si basa su con-
51
cetti neurofisiologici, tenendo presente che il cervello del neonato filtra gli
stimoli periferici. I sensi vengono saturati attirando l’attenzione del neo-
nato con stimoli positivi tattili-gustativi-uditivi-visivi in modo da escludere
lo stimolo doloroso causato dalla manovra assistenziale. Più specificata-
mente, nel corso dello studio, il neonato è stato sottoposto a contempo-
ranea stimolazione di tipo visivo (contatto oculare), uditivo (voce), tattile
(massaggio) ed olfattivo (profumo) durante il prelievo da tallone riscon-
trando un’effettiva efficacia di tale metodologia soprattutto quando asso-
ciata alla somministrazione orale di soluzione glucosata [78].
Ricordiamo uno studio eseguito al fine di evidenziare la diversa efficacia
di due tecniche analgesiche non farmacologiche quali l’impiego della solu-
zione glucosata e la saturazione sensoriale. In esso è stato reclutato un
campione di 28 bambini nati pretermine con età gestazionale compresa
tra le 30 e 35 settimane che sono stati divisi in maniera randomizzata in
due gruppi secondo il tipo di analgesia utilizzata durante il prelievo ema-
tico da tallone: un primo gruppo di 14 soggetti cui è stata somministrata
soluzione glucosata associata a suzione non nutritiva, un secondo gruppo
di 14 soggetti cui è stata somministrata la saturazione sensoriale. Tutti i
bambini sono stati sottoposti ad un prelievo semplice senza analgesia ed i
sintomi associati al dolore al momento del prelievo sono stati valutati
mediante la Scala Premature Infant Pain Profile (PIPP). I risultati ottenuti
hanno dimostrato che il punteggio è stato significatamente più basso nel
gruppo trattato con la saturazione sensoriale (media 6,58) rispetto al
gruppo trattato con soluzione glucosata (media 13,41) [88]. Anche la
“Kangaroo-Mother-Care”, precedentemente esaminata in questo lavoro di
52
tesi, si è rivelata, tra le altre finalità per la quale viene impiegata, una
modalità analgesica efficace nel neonato pretermine [79,80,81,82]. Que-
sta procedura si è dimostrata in grado di modulare gli aspetti comporta-
mentali e quelli fisiologici del dolore nonché di ostacolare l’alterazione
della struttura del sonno che può associarsi all’esperienza dolorifica [84].
L’efficacia del contatto pelle a pelle si è dimostrata pari a quella delle so-
stanze dolci [80,81,85] e si possono anche osservare effetti additivi tra i
due metodi [86]. In un interessante studio effettuato nel 2009 [87], Cong
ipotizza che l’effetto analgesico della Kangaroo Care possa essere media-
to dal ruolo che ha il contatto tra madre e neonato nello stimolare la sin-
tesi di beta-endorfine nel piccolo, dalla migliore risposta sull’asse ipota-
lamo-ipofisi-surrene allo stress che si associa alla presenza delle cure
materne e dal ruolo che ha nel neonato pretermine il contatto pelle a pel-
le nel promuovere un più precoce sviluppo della risposta parasimpatica.
Questa procedura si rivela particolarmente utile in quei casi in cui, a cau-
sa dell’immaturità del piccolo, vi può essere difficoltà nel somministrare
soluzioni che devono essere deglutite.
2.4. Il metodo NIDCAP nella pratica: l’osservazione compor-
tamentale
Il NIDCAP si esprime attraverso l’osservazione del comportamento del
neonato prima, durante e dopo una manovra assistenziale (ad esempio
alimentazione, prelievo ematico, cambio del pannolino), riconoscendo le
sue potenzialità e vulnerabilità: il bambino può essere osservato in ogni
53
momento della giornata, durante qualsiasi attività assistenziale o in qual-
siasi momento di interazione con il caregiver.
Più precisamente i comportamenti del neonato vengono valutati con
l’ausilio di un timer ogni 2 minuti, generalmente 20 minuti prima che il
caregiver interagisca con lui, poi per tutta la durata dell’interazione e
dopo che l’attività è terminata fino a quando il bimbo non ritorna allo sta-
to iniziale, quindi per un periodo non definito [100]. I motivi per i quali
l’osservazione inizia prima dell’intervento assistenziale e prosegue dopo
che è terminato sono da ricercare nell’esigenza di osservare quanto le
modalità dell’interazione hanno potuto influire sullo stato di base del
bambino (stato di sonno/ veglia e loro qualità).
L’osservatore, professionista certificato munito di diploma di “NIDCAP
Professional”, compila una scheda preordinata (fig. 23) su cui sono ripor-
tati 91 segnali comportamentali tipici dei cinque sottosistemi funzionali
dell’organismo del neonato. Ogni sottosistema è diviso in segnali di stabi-
lità (organizzazione, consolazione, autoregolazione) e instabilità (disorga-
nizzazione, stress ed esitamento): durante la fase di osservazione com-
portamentale, ad esempio, vengono analizzati il respiro, il colorito, il
comportamento posturale, le espressioni facciali, lo stato di allerta.
Il primo passo del NIDCAP consiste dunque nell’osservazione dei segnali
di organizzazione e disorganizzazione del neonato in relazione alle sue
competenze [100].
In una fase successiva il caregiver provvede a trasformare la scheda di
osservazione in un rapporto scritto in cui vengono indicate le capacità del
54
Figura 23
55
neonato, le sue difficoltà, gli obiettivi da raggiungere e le raccomandazio-
ni per l’assistenza volte a potenziare i suoi punti di forza ed a ridurre i
comportamenti di stress. Le conclusioni fornite dall’osservazione diventa-
no quindi la base per l’intervento specifico di Developmental Care rivolto
a ciascun neonato allo scopo di diminuire il più possibile gli effetti negativi
prodotti da un ambiente e da cure di terapia intensiva neonatali inade-
guate [97,100]. Alcuni aspetti della care, come la riduzione degli stimoli
ambientali eccessivi, il contenimento, la ciclizzazione degli interventi di
care vanno individualizzati, cioè adattati ai bisogni, in continua evoluzio-
ne, del singolo bambino [98,99].
Le osservazioni sono condivise con il personale che si prende cura del
bambino (infermieri, medici, fisioterapisti) ma anche con i suoi genitori,
considerati i caregiver primari [100] e che il NIDCAP, ritenendoli i princi-
pali promotori dello sviluppo, mira a coinvolgere nelle cure: le relazioni
vengono quindi raccolte e lasciate in prossimità dell’incubatrice in modo
che i diversi soggetti coinvolti nell’assistenza possano consultarle prima di
interagire con il neonato.
La lettura del suo comportamento consente quindi di capire quale obietti-
vo il neonato stia cercando di raggiungere, quali strategie stia usando e
quali supporti possiamo offrirgli per facilitare il suo sviluppo globale, no-
nostante i necessari interventi assistenziali [89, 7].
2.5. Le prove di efficacia del NIDCAP
Il metodo NIDCAP costituisce, allo stato, un fenomeno molto studiato per
56
il quale esiste un numero importante di studi clinici randomizzati.
La letteratura scientifica [100] ha dimostrato che l’intervento precoce e
individualizzato offerto dal NIDCAP porta a:
• riduzione della durata della ventilazione meccanica e
dell’ossigenoterapia
• Minor incidenza di broncodisplasia grave
• Minore incidenza di emorragia cerebrale
• Migliore sviluppo del SNC
• Minor numero di giorni di nutrizione parenterale
• Inizio più precoce dell’alimentazione per suzione
• Maggiore incremento di peso giornaliero
• Riduzione della percezione del dolore
• Migliori esiti neuroevolutivi a distanza e riduzione delle disabilità per-
manenti
• Riduzione del numero di giorni di degenza e dei costi assistenziali
[96,100]
• Migliore capacità di valutazione del neonato da parte del personale
medico ed infermieristico
• Migliore ambiente lavorativo per il personale
• Miglioramento dell’ambiente delle TIN per il neonato e la sua famiglia
• Migliore relazione neonato-genitore [105]
• Miglior coinvolgimento delle famiglie.
In uno studio randomizzato controllato del 1994 volto a valutare
57
l’efficacia del NIDCAP, la Als ed i suoi collaboratori hanno preso in consi-
derazione 38 bambini prematuri di peso inferiore a 1.250 gr, nati prima
della 30esima settimana di gestazione e ventilati meccanicamente dimo-
strando i benefici ottenibili con un’assistenza personalizzata di questo ti-
po. I bambini appartenenti al gruppo sperimentale, rispetto al gruppo di
controllo, sono stati sottoposti per un periodo di tempo più breve a ven-
tilazione meccanica ed ossigenoterapia, hanno avuto un incremento pon-
derale maggiore, il passaggio all’alimentazione orale è stato più rapido,
l’incidenza di complicanze gravi quali la broncodisplasia e l’emorragia in-
traventricolare si è drasticamente ridotta [91], la degenza ospedaliera è
stata più breve ed i costi assistenziali minori.
Analoghi risultati sono stati ottenuti in numerosi studi [90,92] condotti in
epoca successiva. Ad esempio Westrup ed i suoi collaboratori hanno evi-
denziato gli effetti positivi ottenuti dall’applicazione del NIDCAP al conte-
sto svedese. In particolare è emerso che la durata della ventilazione
meccanica è stata di 2.8 gg nel gruppo sperimentale contro i 4.8 gg del
gruppo di controllo, l’ossigenoterapia è stata sospesa più precocemente,
l’aumento del peso corporeo è stato mediamente di 13.0 gr/die contro
9.8 gr/die, l’età del bambino al momento della dimissione era di 38.3
contro 41 settimane. Il bambino, fisiologicamente più stabile, richiedeva
conseguentemente un minor intervento medico [92].
In una meta-analisi Jacobb ed i suoi collaboratori riportano i risultati di
tre studi randomizzati controllati evidenziando che la differenza media
della durata della ventilazione tra il gruppo sperimentale, al quale viene
applicato il NIDCAP, ed il gruppo di controllo è di 25.7 giorni (95% CI
58
7.5-43.9) [93]. Pinelli e Sygmont [97] indicano, per i neonati trattati con
il NIDCAP, un rischio relativo di avere una moderata o grave displasia
broncopolmonare pari allo 0,34 (95% CI 1.15-0.81). Il rischio relativo di
sviluppo di complicanze cerebro-vascolari gravi come l’emorragia intra-
ventricolare di grado 3 da parte dei neonati sottoposti a NIDCAP è stima-
to da Westrup e Sizun nella misura dello 0.51 con un CI al 95% (0.23-
1.11) [94].
In un altro studio [102] Westrup e colleghi hanno poi evidenziato come il
programma NIDCAP ha un impatto positivo sullo sviluppo cognitivo del
neonato prematuro. Il campione è stato reclutato considerando bambini
nati prima della 32esima settimana di età gestazionale e valutato utiliz-
zando la scala Bayley dello sviluppo infantile al primo anno di vita. Le
conclusioni dello studio hanno messo in evidenza come i neonati che
hanno ricevuto assistenza con il metodo NIDCAP abbiano un indice di svi-
luppo mentale più elevato [88(72-114)] rispetto a quello del gruppo di
controllo [78(50-82)].
In una pubblicazione scientifica del 2004 la Dottoressa Als ha presentato
uno studio randomizzato nel quale l’efficacia dell’intervento individualiz-
zato ed evolutivo è stato correlata con i dati dell’esame elettroencefalo-
grafico (BEAM, Brain Electrical Area Mapping) e con i risultati delle neuro-
immagini. Questo studio è stato il primo a correlare risultati clinici con ri-
sultati strumentali: i bambini del gruppo di studio hanno presentato una
migliore performance neuro-comportamentale a 2 settimane di età cor-
retta ed una migliore organizzazione e maturazione del cervello, nelle a-
ree frontali (sedi delle funzioni attentive ed esecutive) ed occipitali (sedi
59
dell’organizzazione visuo-spaziale) così come nelle loro connessioni. La
valutazione a 9 mesi con il test di sviluppo Beyley ha evidenziato pun-
teggi significatamente più alti nelle perfomance mentali, cognitive, moto-
rie e comportamentali del gruppo sperimentale rispetto a quello di con-
trollo [95].
Numerosi altri studi hanno dimostrato migliori indici di sviluppo mentale a
3, 5 [104] e 9 mesi [91,95,98]. Uno studio svedese [105] ha documenta-
to, all’età di tre anni, un migliore sviluppo uditivo e del linguaggio valuta-
to con la scala Griffith, una migliore comunicazione madre-figlio e, all’età
di sei anni, una più alta percentuale di sopravvivenza senza disabilità (in
particolare ritardi mentali o deficit dell’attenzione).
Buehler e altri [103] hanno appurato come i bambini trattati con approc-
cio NIDCAP siano comparabili ai bambini a termine in termini di perfo-
mance APIB e più vicini elettrofisiologicamente ai predetti che non al
gruppo di controllo che, dei tre, risulta quello più deficitario nell’area del
lobo frontale.
Il personale medico ed infermieristico ed i genitori dei piccoli pazienti, i-
noltre, mostrano una migliore competenza nel fornire assistenza, una mi-
gliore attitudine nell’individuare precocemente cambiamenti nello stato
del bambino e nell’intervenire prontamente [92].
2.6. Luci ed ombre sull’implementazione del NIDCAP
L’adozione e l’applicazione del metodo NIDCAP in un reparto di terapia
intensiva neonatale comporta necessariamente un cambiamento nel tipo
60
di assistenza che viene offerta al piccolo paziente: si promuove
un’assistenza basata non solo sul “curare” ma anche sul “prendersi cura”
(da “to cure a to care”). Si passa quindi ad un’assistenza che definiamo
relationship-oriented, cioè basata sulla relazione e la comunicazione, ab-
bandonando quella più classica basata sulla mera esecuzione dei compiti,
ossia task-oriented. La realizzazione di questo cambiamento, ossia
l’implementazione di un’assistenza relationship-oriented, richiede in pri-
mo luogo un approccio multidisciplinare che comporta la partecipazione
ed il coinvolgimento di tutto il personale della TIN: medici, infermieri, fi-
sioterapisti, psicologi, personale tecnico ed ausiliario.
Il personale coinvolto in questo tipo di assistenza deve, in particolare,
possedere le motivazioni e le competenze necessarie per accompagnare il
neonato nel suo percorso evolutivo e sostenere la sua famiglia in questo
tragitto. La nascita di un bambino prematuro, infatti, e l’avvento della
genitorialità costituiscono, soprattutto in caso di pericolo di vita, occasio-
ne di forte stress e di ansia per i neogenitori.
Si evince pertanto come i professionisti che operano nelle TIN devono in
tal caso saper coniugare aspetti tecnico-scientifici con aspetti emozionali-
relazionali nei confronti della coppia neonato-genitore.
Il percorso formativo [106] diviene di fondamentale importanza per per-
mettere al professionista di saper leggere il comportamento del neonato,
riconoscerne i segnali di autoregolazione ed instabilità, favorire la sua
maturazione e sostenere i suoi genitori. In Italia [89] il programma di
formazione NIDCAP è iniziato nel 2005 presso la terapia Intensiva Neona-
tale della Cattedra di Neonatologia dell’Università di Torino, in collabora-
61
zione con il St. Luke’s Nidcap Training Center dell’Idaho (Stati Uniti), il
primo centro a ricevere la Nidcap Nursery Certification (NNC) [107].
Attualmente, però, solo alcune TIN italiane dispongono di professionisti
certificati NIDCAP (oltre a Torino, Milano, Firenze, Genova, Modena che
ne costituiscono esempi) appartenenti a diverse professionalità (neonato-
logi, infermieri, fisioterapisti).
Le difficoltà per l’implementazione nella pratica clinica di questo comples-
so metodo sono ancora numerose in quanto comporta l’adozione di stra-
tegie all’interno della struttura quali:
• Apertura della TIN ai genitori 24 ore su 24
• Modifica delle routinarie procedure assistenziali introducendo nuovi
parametri di osservazione e valutazione delle condizioni del neonato
• Organizzazione più flessibile del lavoro programmando l’assistenza nel
rispetto dei tempi del singolo neonato, raggruppando le cure (cluste-
ring care) e distribuendole nelle 24 ore coinvolgendo i genitori.
• Motivazione, collaborazione e comunicazione efficace tra il personale
della TIN
• Cura della relazione con i genitori, intensificazione e maggior coinvol-
gimento dei predetti nella relazione con il neonato (counseling fami-
liare)
• Formazione NIDCAP
Alla luce delle numerose evidenze scientifiche che hanno dimostrato la
validità di questa complessa branca dell’assistenza infermieristica è pos-
62
sibile concludere come il NIDCAP costituisca, allo stato, un ottimo stru-
mento per la realizzazione di un programma di cura individualizzata al
neonato prematuro ma, purtroppo, spesso più utopistico che reale.
E’ necessario quindi un radicale cambiamento dell’ambiente e del modo di
operare delle TIN, spesso difficilmente realizzabile a causa dei frenetici
ritmi lavorativi ospedalieri, del notevole dispendio di energie che il meto-
do comporta, della mancanza di motivazione, coinvolgimento ed equili-
brio di tutti i caregivers che dovrebbero essere impegnati nella sua im-
plementazione.
63
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Ringraziamenti
Un primo e speciale ringraziamento è rivolto a mia sorella Daniela per es-
sermi stata sempre vicina ed aver condiviso con me molti momenti non
sempre felici di questo percorso.
Ringrazio inoltre i miei genitori grazie all’appoggio ed al supporto dei qua-
li ho potuto raggiungere questo obiettivo.
Un ringraziamento speciale è rivolto alla Dott.ssa Cristiana Matteini, mia
insegnante e relatrice di questo lavoro di tesi, che mi ha fatto appassio-
nare ad un mondo veramente speciale quale quello del bambino prema-
turo.
Ringrazio infine Alessandro per il supporto tecnico che mi ha dato.