pm di dicembre 2010

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ANNO 84 • n° 981 • € 3,00 • Poste Italiane s.p.a. • sped. in a.p. • D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1, DCB VERONA ANNO 84 • n° 981 • € 3,00 • Poste Italiane s.p.a. • sped. in a.p. • D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1, DCB VERONA il piccolo missionario dicembre 2010 - n. 12

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L'anteprima del nuovo numero :)

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il piccolo missionariodicembre 2010 - n. 12

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Attualità

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SS eine-Saint-Denis, Francia. È questo il posto in cui Marko ha sempre vissuto. Almeno fi no a cinque mesi fa, quando la sua e le altre fa-

miglie (in tutto più di 200 persone) sono state co-strette ad andarsene da quello che era il campo nomadi più vecchio della periferia di Parigi. Era sorto oltre dieci anni fa, quando tante famiglie Rom che fuggivano dalle guerre e dalla povertà consumate in alcuni paesi dell’Est Europa, si erano sistemate lì, in attesa di trovare un posto migliore. Ma dal luglio scorso la situazione é cambia-ta. Il Presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy ha deciso di espellere dalla Francia quelle persone, rimandandole nei paesi di origine. Ecco perché Marko adesso è torna-to in Romania, senza la possibilità di poter iniziare il collège, cioè le scuole medie fran-cesi.

Liberté

FraternitéEgalité

No di certo per i Rom, la minoranza etnica più discriminata d’Europa

... per tutti?

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a cura di Betty Pagotto

e Pablo Sartori

ESPULSI!

In soli tre mesi la polizia francese ha “calda-mente invitato” (costretto) quasi 8mila perso-ne di origine Rom a lasciare il Paese. Senza un lavoro regolare, una residenza fi ssa, né i docu-menti “giusti” non si può più rimanere in Fran-cia. Nonostante tutte quelle persone fossero, a tutti gli effetti, cittadini europei, e quindi con il diritto di risiedere e spostarsi liberamente nei Paesi dell’Unione. La Francia (ma anche l’Ita-lia e la Spagna) sembrano aver dimenticato che la grande maggioranza di coloro che noi chia-miamo zingari o nomadi, rom o sinti, proven-ga dalla Bulgaria e dalla Romania, due nazioni che dal 2008 fanno parte dell’Unione Europea. Anche per questo motivo, l’Europa ha rimprove-rato uffi cialmente la Francia, criticando questo modo di fare, che colpevolizza una minoranza, quella Rom, trasformandola in un capro espia-

torio, che deve essere allontanato a tutti i costi perché considerato “non gradito”. In tanti hanno ricordato la profonda ingiustizia e la discrimina-zione che si nascondono dietro questa ingiusta decisione. È il caso, ad esempio, di monsignor Agostino Marchetto, ex segretario del Pontifi cio Consiglio per i migranti il quale ha ribadito che le espulsioni non possono essere “collettive”: “Bi-sogna stare attenti alle differenti situazioni – ha affermato il vescovo – e non si può colpevolizza-re un’intera popolazione per violazioni di legge commesse da alcuni”.

ROMI Rom fanno parte della civiltà europea da migliaia di anni. Attualmente in Europa vivono 10-12 milioni di persone appartenenti all’etnia Rom, che costituiscono la principale minoranza etnica del continente. La mag-gior parte di essi sono cittadini europei

DISCRIMINAZIONELa discriminazione contro i Rom europei ha una storia lunga e dolorosa. Sono stati 600mila gli zingari uccisi nei campi di concentramento nazisti negli anni ’40

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L’ASSE ITALO-FRANCESE

DELLA PAURA

L’unico paese europeo a non aver cri-ticato l’iniziativa francese, é proprio l’Italia. Forse perché anche al di qua delle Alpi, tanti campi nomadi sono stati smantellati, obbligando chi li abitava ad andarsene. La storia ap-pare di una lampante semplicità: i francesi, gli italiani non vogliono avere a che fare con i Rom, considerati nella loro totalità e senza eccezioni come “elementi pericolosi per la società”. Da qui gli interventi dei rispettivi go-verni nello spostare i “nomadi” da una parte all’altra del territorio, per tenerli più facilmente sotto controllo e così rassicurare i cittadini per-bene. O meglio ancora, rispedirli nei loro paesi di origine, con pochi euro a testa come risarci-mento. Quanto più lontani i Rom, tanto meglio, visto che Romania, Bulgaria, Bosnia e Kosovo sono in Europa solo sulle carte topografi che!Vissero tutti felici e contenti? Non proprio, per-ché così facendo si alimenta la paura nei con-

fronti dei “diversi” e non si coltivano la pace e la comprensione, che rendono davvero sicure le nostre città. Al con-trario, si perde la possibilità di cono-scere la cultura Rom, ricca di storia e

tradizioni, e si continua a guardarla con diffi den-za, in alcuni casi anche con disprezzo. Questo ci ricordava, preoccupata, la giovane regista di origine rom, Laura Halilovich, che PM ha intervi-stato nel marzo scorso. Preoccupazione condi-visa anche da Carla Osella, presidente dell’Aizo (Associazione italiana zingari, [email protected]) secondo la quale è arrivato, per l’Euro-pa, il momento di scoprire i valori di “solidarietà e accoglienza, cultura e tradizioni” presenti nei Rom e nei Sinti, liberandoli dall’etichetta negati-va di “popolo invisibile” che da secoli si portano addosso.

RISARCIMENTO300 euro per un adulto e 100 per un bambino. Que-sto il prezzo per ogni rom espulso dal governo fran-cese. Non molto di più di quanto viene pagato per un vagone di rifi uti tossici in transito per l’Europa

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JJ uma, quattordici anni, un corpo smilzo e ossuto, e sul volto la cicatrice vermiglia di un sorriso quasi costante. A volte amaro.

Juma viene dalla zona di North Kinangop, da un villaggio di silenzi e di vento, di capanne di fan-go scrostato, di gente affogata nella povertà e nelle osterie di alcool a poco prezzo. Suo fratello Thuo scappando di casa si è trascinato dietro anche Juma, che ha passato gli ultimi otto anni della sua vita sulle strade della città di Naku-ru. Seduti su una panchina vicino alla cucina, chiacchieriamo in amicizia. «Juma, ci sono delle cose che non mi hai mai raccontato. Per esempio non mi hai mai detto di come hai passato il Natale l’anno scorso sulla strada». Si illumina di un sorriso perduto, eccitato, bambino. «A Natale si pos-sono fare dei bei soldi – mi dice –. Qui a Nakuru c’è più gente del solito. Gente che va a com-prare, gente che torna a casa per passare il Na-tale in famiglia. Poi ci sono quelli che dicono:

“Vi do dei soldi perché a Natale possiate fare festa anche voi”». Juma continua: «Passavo il 24 dicembre portando le borse della gente che usciva dal mercato o dai negozi. Si guadagna bene, uno può arrivare anche a 4-5mila scellini. Io l’anno scorso ho guadagnato 3500 scellini. Con i soldi che guadagnavo mi compravo da vestire e da mangiare».«Già. Sotto Natale girano soldi. Come face-vi a non farteli rubare dai ragazzi più gran-di?» Una delle cose belle di Juma è che riesce a indossare un sorriso diverso ad ogni mia do-manda. «Bisogna essere furbi. Io i soldi me li nascondevo nel risvolto dei pantaloni lunghi. Rompevo il risvolto in fondo ai pantaloni, arro-tolavo le banconote bene sottili, e poi ricucivo il risvolto. Mi tenevo in tasca sempre qualche scellino, in modo da non insospettirli. I più gran-di venivano, mi frugavano e mi trovavano ad-dosso qualche moneta e me la rubavano. Ma ero io che invece li avevo fregati».

Speciale

a cura di don Luciano Squizzato

Buon Natale,

Il Natale di un ragazzo

di strada del Kenya

oldi per hchéé aa NaNatatalele ppososo sisiatatee ffafarere d d i

Juma!

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«Ma i boss della tua banda non ti rubavano i soldi?». «No, i boss della banda di cui facevo parte non mi rubavano i soldi. Erano quegli altri, i ragazzi grandi che vivono sulla strada, i delin-quenti. I boss ci proteggevano, ma se i grandi ci trovavano da soli allora facevano quello che vo-levano. Per colpa loro la polizia viene a fare le re-tate e a picchiarci, perché la gente quando fa la denuncia non fa differenza tra ragazzi di strada e delinquenti. Per loro sono la stessa cosa».«La vigilia di Natale andavi in giro a portare le borse alla gente e a mendicare. E il giorno di Natale che facevi?».Spalanca le braccia come un direttore d’orche-stra e sul viso gli si spalma uno di quei suoi soliti sorrisi bellissimi e strafottenti. «Il 25 era un bel

giorno, perché i grandi, i delinquenti erano tutti ubriachi. Io avevo la mia base allo Stage Mat-tress. Mi alzavo e andavo a procurarmi la cola-zione. Funziona così. Nella stazione dei “mata-tu” [pulmini adibiti a trasporto pubblico] ci sono sempre passeggeri. Chiedevo che mi compras-sero del “chai” [tè] e un po’ di pane, era Natale, avevo fame. A Natale questo discorso funziona sempre». Continua con la sua voce bassa e ar-guta: «Mio fratello Thuo andava invece a portare le borse alla gente che usciva dai negozi. Quan-do anche lui aveva fi nito, giocavamo insieme. Tu sai che noi sulla strada giochiamo sempre a soldi. Poi si andava a passeggiare dalla parte dell’ospedale. A Natale è un’altra buona zona per fare soldi. Lì abbiamo trovato Thaita, che vendeva la colla per sniffare. Mio fratello Thuo ha comprato 10 scellini di colla a testa e abbia-mo sniffato per un po’. Siamo poi passati sulla

«M«Maa ii boboss d della tua banda non ti rubavanoi soldi?». «No, i boss della babandndaa didi c c cuiuiui ff facacevevoo papartrtee nononnn imimi rrububavavano i soldi Erano quegli altri

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strada principale di Nakuru, a indicare agli autisti i parcheggi liberi davanti ai negozi. È arriva-

to un uomo bianco che, senza che gli chiedessimo niente, ci ha

dato due sacchetti di pane e una bottiglia grande di Coca-Cola. E

così avevamo rimediato anche il pran-zo. Al pomeriggio siamo andati al cinema

a guardare un fi lm. Verso le 4 ci è venuta an-cora fame e così ci siamo comprati ancora del pane e del succo di frutta. Dopo siamo andati a vedere un altro fi lm. Io ho dormito durante la proiezione, perché la sera prima ero andato a dormire molto tardi. Una volta fi nito il fi lm, Thuo mi ha svegliato e siamo tornati in città. Abbiamo mendicato un po’ di cibo in giro, e uno ci ha pa-gato un piatto di riso a testa. Il giorno dopo sono stato arrestato. Stavo giocando a carte con gli altri ragazzi di strada. Sono stato una settimana nella prigione della Centrale di Polizia, e poi 4 mesi al carcere minorile».«Non avevi nostalgia della tua famiglia du-rante il Natale?». Forse sarebbe stato meglio non avergli fatto questa domanda. «Thuo spes-so andava a casa durante il Natale, ma non me lo diceva. Io ci rimanevo male. Quando tornava gli chiedevo: “Perché non me l’hai detto che andavi a casa? Stanno bene?”. Mi diceva di sì e mi accontentavo». La real-tà è che sulla strada Juma viveva meglio che a casa sua.«Hai mai pensato che Natale è festa perché è il giorno in cui Gesù è nato?». Risponde serafi co. «No. Non l’ho mai sa-puto». Guardo Juma come se fosse la pri-ma volta in vita mia. Un ragazzo di 14 anni,

pelle d’Africa, i capelli crespi, il corpo magro, nervoso. E che non mai sentito che Gesù è nato a Natale.A Natale scriverò un biglietto di auguri a tutti i miei ragazzi: “TI AMO 24/12 - (Firmato:) Gesù”.«Ma da quando sei qui al Boys Ranch sai cosa festeggiamo a Natale...» chiedo ancora a Juma. «Già, è vero... Gesù è nato» – spalanca un sorriso radioso –.Buon Natale, Juma.

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Disegni realizzati dai ragazzi del Boys Ranch di Nakuru

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Così si celebra il Natale nelle Filippine

Wow! a cura di James H. Kroeger

IlIl gallogallo

e lae la stellastella

NN on esiste paese al mondo in cui si ini-zi a celebrare il Natale con così largo anticipo come nelle Filippine. Le feste

natalizie, infatti, cominciano a settembre e ter-minano a fi ne gennaio, quasi che i fi lippini vo-lessero dimostrare al mondo che proprio non ce la fanno ad aspettare fi no al giorno di Natale. E così, all’inizio dei mesi che terminano in “bre” (settem-bre, otto-bre...) in ogni angolo del Pae-se risuonano i tradizionali canti natalizi, mentre le tipiche decorazioni abbelliscono le case, le strade, le città e i villaggi.Trattandosi di un Paese in maggioranza catto-lico, il Natale, per i filippini, è innanzitutto una festa religiosa. È il momento per festeggia-re la nascita del Messia, Gesù Cristo. Questo avvenimento festoso viene celebrato a partire dal 16 dicembre, quando la gente va in chie-sa a partecipare alla messa chiamata “Misa de Gallo” (Simbang Gabi), alle quattro del mat-tino. Il nome deriva, appunto, dalla tradizione spagnola – introdotta nel 16mo secolo dai mis-sionari – che prevede, alle prime luci del matti-no e quando il canto del gallo saluta lo spuntare dell’alba, l’assistenza alla messa dei contadini,

prima di andare a lavorare nei campi. Al termine della funzione, la tradizione vuole che i fedeli si ritrovino sul sagrato della chiesa a mangiare i “bibingka” e i “puto bumbong”, dolci preparati a base di riso. Questa serie di messe celebrate in onore della Vergine Maria durante la nove-na natalizia che va dal 16 al 25 dicembre, rap-presenta il sacrifi cio dei cristiani che si alzano prestissimo al mattino per accogliere la Luce, il Signore Gesù, che dissipa le tenebre della not-te, simbolo dell’oscurità che spesso opprime la vita spirituale e materiale degli uomini.

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La Misa del Gallo cul-mina con la celebra-zione di Natale della Misa de Aguinaldo, da una parola spa-gnola che significa “dono”: allo stesso modo in cui Dio ha donato il Figlio Gesù all’umanità, i fedeli sono chiamati a fare “dono” della propria vita a Dio, che a sua volta la trasforme-rà in benedizioni di grazia e amore per tutti. Assistere

a questa messa è una tradizione sacra per ogni membro della fami-glia filippina. Durante la messa, la coppia che ha fatto la parte di Giuseppe e Maria, sfi la con un gruppo di bambini verso il presepio. Quan-do la donna che ha impersonato Maria mette la statua del bambino Gesù nella culla, i presenti intonano il canto del “Gloria”. Dopo la Misa de Aguinaldo è previsto un pasto che, sempre in lingua spagnola, viene chiamato Noche Bue-na. Qui le famiglie condividono un tipico pasto fi lippino a base di prosciutto, pollo arrosto, for-maggio, cioccolata calda e frutta, soprattutto mele, uva, arance.

PAROL

Tra le decorazioni di Natale in uso nelle Filippi-ne, la parol é senza dubbio la più importante. Ancora una volta il termine deriva dallo spagno-lo “farol”, anche se le origini di questa tradizio-ne affondano in terra messicana, con l’usanza della famosissima “piñata”. Si tratta di una lan-terna a forma di stella, realizzata con i materiali più diversi, a disposizione della gente. Nei tempi antichi la parol veniva fatta con canne di bambù, carta di riso o carta crespa, illuminata da cande-le o lampade alimentate da olio di palma. Que-sta lanterna serve ancora oggi per illuminare il cammino che porta i cristiani alla Misa del Gallo e rallegrare ogni angolo del Paese dove si vive l’attesa festosa della nascita di Gesù. Ma so-prattutto viene affi ssa alle fi nestre di ogni casa o edifi cio, a simbolizzare la stella che ha condotto i Re Magi al presepe. Segno di luce e speranza per un Paese come le Filippine dove, nonostan-te l’attacco commerciale, si cerca di conservare il vero spirito del Natale: ringraziare Dio perché in questa stagione di pace, di gioia e di affetti fa-miliari, ci ha dato suo Figlio, il Salvatore. Maligayang Pasko! (Buon Natale!)

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Lami

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Chasqui

MM aggio 1984Caro diario, Sassello è un paesino piccolo e le cose si sanno in fretta.

Infatti sapevano tutti che io ero una gen 3 fi n da quando avevo 9 anni e mi chiama-vano “suora”. Non sapevo come compor-tarmi in questi ultimi tempi, ma poi, negli incontri alla Mariapoli, ecco la risposta: Lui! L’esperienza di una gen sull’essere controcorrente faceva al caso mio. Ero felice, avevo trovato il segreto. Tornata a casa tutti sapevano dove ero anda-ta perché il parroco lo aveva detto in classe. Al mattino, quando sono tor-nata a scuola, le mie compagne, che normalmente rimanevano a parlare con me, ora mi isolavano, io ero un po’ triste ma ho abbracciato Gesù Abbandonato felice.Un’altra gioia mi è arrivata quando ho ricevuto 2 lettere di 2 bambine a cui scrivevo da molto tempo. Erano molto contente di aver ricevuto le mie lettere e avevano colto l’amore che io mandavo loro. Sono stata feli-cissima e ho ringraziato Gesù.

4 giugno 1986 In questo periodo, come sapete, la scuola non va affatto bene. Oltretutto ultimamente la mia prof di italiano mi ha preso male.Un giorno mi ha interrogata in geografi a, io avevo studiato proprio bene e quindi ero molto tranquilla, così ho risposto a tut-te le sue domande e quando sono tornata al posto ero convinta di aver preso un bel 7. All’intervallo vado a chiederle il voto e lei mi risponde che ho preso 5 ½. A quel punto i miei

Chiara luce

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È incominciato un nuovo anno.

Tutti si scambiano gli auguri perché il nuo-

vo anno porti ad ogni persona tanti doni buoni

e belli. Anch’io chiedo al Signore di benedire l’anno

appena nato, anch’io attendo i doni preziosi della bontà,

della forza, della pace. So che il tempo è un dono di Dio, so

che ogni ora del giorno è una monetina da spendere con giudi-

zio e con bontà.

Io non devo dire “Gesù”, ma dare Gesù col mio comportamento

I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare

loro la fi accola come alle Olimpiadi. Hanno una vita sola e vale la pena

di spenderla bene.

Durante questo congresso ho riscoperto il Vangelo sotto una nuova

luce. Ho capito che non ero una cristiana autentica perché non lo vive-

vo fi no in fondo. Ora voglio fare di questo magnifi co libro il mio unico

scopo della vita. Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un

così straordinario messaggio. Come per me è facile imparare l’al-

fabeto così deve esserlo anche vivere il Vangelo

L’importante è fare la volontà di Dio. Io magari avevo dei

piani su di me, ma Dio ha pensato a questo. La malattia mi

è arrivata al momento giusto… Voi però non potete

neppure immaginare qual è adesso il mio rap-

porto con Gesù…

compagni si sono alzati in piedi e hanno detto: “Professoressa, non può fare questa cosa”. E lei: “La professoressa sono io!” Peccato perché quell’interrogazione poteva essere decisiva per non esse-re bocciata. Sarei scoppiata a pian-gere ed ero molto triste.L’ora dopo una mia compagna mi dice che sarebbe venuto il suo papà a prenderla a scuola e sarebbe stato contento di sa-lutarmi e fare la mia conoscen-za. Io sono stata d’accordo. Tra me ho pensato che non potevo salutarlo con questa tristezza addosso, ma che quella era una buona occasione per abbrac-ciare Gesù Abbandonato but-tandomi ad amare gli altri. Quan-do l’ho salutato ho cercato di farlo con tutto l’amore possibile. Il giorno dopo, la mia compagna mi ha detto che aveva spiegato a suo papà cosa m’era successo a scuola ieri e lui aveva risposto che nel salutarlo l’avevo colpito per quella felicità che avevo nel volto. Per me è stato un riscoprire quanto Gesù ti dà molti frutti quando ti butti verso gli altri.

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Parlane con ...PADOVAp. Daniele: [email protected]. Lorena: [email protected]

VENEGONO SUPERIORE (VA)p. Livio: [email protected]. Betty - sr. Eleonora: [email protected]. Domenico: [email protected]

PESAROp. Ottavio: [email protected]

p. Jesùs: [email protected]. Eugenia: [email protected]. Tiziana - sr. Rosa: [email protected]: [email protected]

Il 25 settembre 2010, a Roma, davanti ad una folla multicolore composta soprattutto da giovani, la Chiesa proclamava beata Chiara Badano. Ma per tutti era Chiara

Luce, così come l’aveva “bat-

tezzata” Chiara Lubich, fondatri-

ce del Movimento dei Focolari.

Chiara era “luminosa” di nome

e di fatto. Entusiasta, vivace, al-

legra, volitiva, amava la vita e

coltivava fi n da piccola il sogno

di diventare medico per curare i

bambini africani.Nata a Sassello, sull’Appennino

Ligure, il 29 ottobre del 1971, a

soli 17 anni viene colpita da una

dolorosa malattia che la porterà

alla morte dopo due anni di cal-

vario.Morire a 19 anni è una trage-

dia tremenda che pochi sono in

grado di sopportare. Per Chia-

ra quella drammatica fatalità è

diventata l’occasione unica e

gioiosa di mettere Dio al primo

posto nella propria vita. Anche

quando, nel momento del dolo-

re, ripeteva: “Ora non ho più

niente (di sano), però ho an-cora il cuore e con quello posso sempre amare”. Il suo amore, la sua fede e la sua serenità han-no contagiato miglia-ia di persone, che hanno ritrovato in lei tutta la bellez-za del seguire il Vangelo di Gesù.

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Zoom

34Il maggiore Whitside

Nell’anniversario dell’ultimo tragico evento tra l’esercito americano e la Grande Nazione Sioux

NN egli ultimi giorni di di-cembre del 1890, la tri-bù di Lakota-Minicon-

jou guidata da Piede Grosso (Big Foot) e formata in gran parte da donne, vecchi e bambini, alla no-tizia dell’assassinio di Toro Se-duto, parte dall’accampamento sul torrente Cherry per recarsi a Pine Bridge, sperando nella pro-tezione di Nuvola Rossa. Il 28 dicembre il gruppo indiano è in-tercettato da quattro squadroni di cavalleria del Settimo Reggi-mento guidato dal maggiore

Samuel Whitside, che aveva l’ordine di condurli in un accampamento sul Wounded Knee. Qui i militari sta-

biliscono il campo indiano e installano tutto attorno delle mitragliatrici Hotchkiss a tiro rapido. Durante

la notte gli uffi ciali sottopongono Big Foot (grave-mente malato di polmonite) e i principali guer-

rieri ad un pesante interrogatorio, allo scopo di verifi care la loro par-tecipazione alla battaglia di Little Bighorn dove fu sconfi tto il gene-rale Custer.La mattina del 29 dicembre il co-lonnello ordina ai guerrieri di riu-nirsi al centro del campo per es-sere disarmati. I soldati entrano

Piede Grosso

a Wounded Knee

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Dic 2010

a cura di

Pablo Sartori

La tribù Miniconjou in una foto dell’agosto del 1890, quattro mesi prima del massacro

nelle capanne degli indiani, molestano le donne e si met-tono a frugare ovunque alla ricerca di armi nascoste. Il di-sarmo degli uomini comincia. L’uomo-medicina Yellow Bird intona un canto della Danza degli Spiriti: è un rituale per chiedere che le pallottole dei Visi Pallidi non perfo-rino le loro camicie sacre. Un interprete dell’esercito, in mala fede, avverte i soldati che lo sciamano sta incitando i guerrieri alla rivolta. La tensione è al culmine. Il giovane Coyote Nero, sordo, tarda nel consegnare la sua carabina Winchester, cercando di spiegare che l’arma gli serve per andare a caccia. Mentre i soldati lo circondano, nasce una colluttazione e per sbaglio parte un colpo dall’arma.A quel punto, un uffi ciale americano, con estrema calma, si avvicina al vecchio capo Big Foot seduto per terra e lo uccide a sangue freddo. Su ordine dell’uffi ciale i soldati cominciano a sparare all’impazzata sugli indiani inermi.

Nella confusione della sparatoria 25 soldati sono uccisi, molto probabil-mente vittime accidentali del fuoco dei loro stessi compagni. Gli indiani si ribellano e cercano disperatamente di riprendere le loro armi. Alcuni di loro si gettano sui soldati per impedire che sparino. Il fragore di un tuono rompe l’aria. È il rumore delle mitragliatrici che aprono il fuoco, prendendo di in-fi lata il villaggio e seminando proiettili

Il corpo congelato di Piede Grosso

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incandescenti dappertutto. Le don-ne e i bambini fuggono disperati, nella speranza di mettersi fuori tiro. Gli in-diani cercano rifugio negli avallamenti del terreno, lungo le rive del ruscello o dietro i radi cespugli. Tutti coloro che riescono a salvarsi dal fuoco del-le armi sono rincorsi dai cavalieri, ab-battuti a colpi di pistola o decapitati dalle lame delle sciabole. Molte deci-ne di donne e bambini giacciono mor-ti nella fossa in cui avevano cercato, invano, riparo: i loro corpi sono accu-mulati in pochi metri quadrati. Il vento gelido della sera spira minaccioso sui corpi dei morti e dei morenti.Secondo una stima certa, dei 350 Miniconjou presenti, ne sono morti quasi 300. Dopo aver messo in salvo i soldati feriti, un distaccamento tor-

na sul campo e raduna 51 indiani ancora vivi, quattro uomini e 47 tra donne e bambini. I prigionieri sono trasportati nella località di Pine Bridge, ammassati in una chieset-

ta dove, da poco, si sono concluse le celebrazioni del Natale. Tra gli ad-dobbi natalizi si può leggere la scritta: “Pace in terra a gli uomini di buona volontà”. Di sicuro, gli uomini “meri-tevoli” di pace sono gli stessi solda-ti che poco prima si erano presi dei “souvenir” raccolti nel campo deva-stato o strappati dai cadaveri. Parti-colarmente ambiti i vestiti e le cami-cie degli spiriti, oggetti che saranno

poi rivenduti a musei e collezioni-sti, assieme a molti scalpi di “pel-lerossa”.

Ai bianchi “buoni” resta questa “pace”; ai pellerossa, invece, è riservata la caccia eterna nelle celesti praterie di Manitù.

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Lapide per ricordare la tragedia del popolo Sioux

Toro Seduto, il grande capo SiouxSIOUX

I Sioux formano una con-federazione di Indiani

d’America, appartenen-ti all’area culturale delle praterie che si stendono dal Canada centrale fi no al Messico e dal Midwest alle Montagne Rocciose. La nazione Sioux si divi-de in tre gruppi, secondo un’espressione che nei loro dialetti si traduce con “Alleanza di amici”: Dakota, Na-kota e Lakota o Tetonwan. Questi ultimi, i più famosi tra i Sioux, sono i cacciatori di bufali delle praterie, il popolo dei gran capi quali Toro Seduto, Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo, gli indiani che sconfi ssero il generale Custer a Little Big Horn. Attualmente i discendenti dei Sioux vivono in nove riserve disseminate fra il Nord ed il Sud Dakota, dove si sforzano di conservare le loro tradi-zioni e la loro cultura. Sono attivi nei movimenti per i diritti civili e riven-dicano la proprietà delle loro anti-che terre, lottando per conciliare tradizione e modernità.

Page 24: PM di dicembre 2010

Clap clap musica

Voi che ne dite?CHRISTINA AGUILERA

A me, sinceramente, il nuovo album di Christina

Aguilera non piace! Saretta

A me christina aguilera piace e anche questa can-

zone. Ciao a tutti. Elena

Grazie anche quest’anno a chi ha partecipato

a questa rubrica, sul sito e via posta. Voi che ne

dite? continua su www.bandapm.it!

Non sei d’accordo? Vuoi dire la tua?

Scrivi sul FORUM dedicato su

www.bandapm.itwww.bandapm.it52

Ascolta: Lisca di pesceUn’altra canzone d’amore

Bianca

La “eco music” di Capone & Bungtbangt non poteva che partire dal ritmo: sudamericano, reggae, funk, battuto su stru-menti spesso presi in prestito dalla tradizione africana e latina, maestra nel riutilizzare con cre-atività materiali “poveri”. E poi ci

sono quelli inventati dalla band: come lo “scatolophon”, una scatola di poli-stirolo che grazie a degli elastici suona come un contrabbasso, o la “marraz-za” (mazza, in napoletano), una chi-tarra costruita a partire da un pezzo di parquet. A questi strumenti unici si ag-giunge l’abilità nel fondere mille gene-ri musicali diversi e trasmettere mes-saggi ecologici e di uguaglianza con le armi dell’ironia e del rap, anche questo in continuo passaggio tra italiano, na-poletano, inglese e spagnolo.Il risultato è sorprendente, per gli oc-chi e per gli orecchi; l’unico modo per rendersi davvero conto di quan-to bene suoni questa “eco music” è sentirli dal vivo. O visitare il sito www.comesuonailcaos.it, il loro progetto che insegna con dei video-tutorial a creare strumenti fantastici quasi a costo zero.

NN ella rubrica Manuabilità del PM avete trovato spesso istruzioni per costruire strumenti musi-

cali con materiale di scarto. Ma lo sa-pevate che in Italia, proprio nella Na-poli del ”problema rifiuti”, esiste una band che suona solo strumenti fatti con materiale riciclato? Nata nel 2000 da un’idea di Maurizio Capone, ha all’attivo tre album (Junk!, Lisca di pesce, Dura Lex) e concerti anche all’este-ro, oltre a collaborazioni con cantanti come Daniele Silve-stri e Irene Grandi. Bio logic festeggia i primi dieci anni di attività, raccogliendo i brani che più hanno fatto scatenare in questi anni.

a cura di Elena Dante