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Suplemento da Revista Comunità Italiana. Não pode ser vendido separadamente. ano V - numero 34 Nise da Silveira, le vie di una psichiatra ribelle (1905-2006)

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Nise da Silveira, le vie di una psichiatra ribelle

(1905-2006)

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Sett-Ott / 2006

Istituto Italiano di CulturaEditora Comunità

Rio de Janeiro - Brasil

[email protected]

Direttore dell’IICRubens Piovano

EditoreMarco Lucchesi

GraficoAlberto Carvalho

CopertinaRiproduzione

COMITATO DI REDAZIONE

Katia d’Errico; Maria Lizete dos Santos; Annita Gullo (UFRJ); Mauro Porru (UFBA); Doris Nàtia Cavallari (USP); Sonia Cristina Reis (UFRJ); Arcangelo Carrera; Fabrizio Fassio; Cristiana Cocco; Paola Micheli; Maria Pace Chiavari; Giuzy D’Alconzo; Hilario Antonio Amaral (UNESP); Andrea Lombardi; Flora De Paoli Faria (UFRJ); Constança Hertz; Wander Melo Miranda; Eugenia Maria Galeffi; Paolo Spedicato; Giuseppe Fusco; Anna Palma; Mozilene Neri (stagista); Weverton Pereira (stagista); Débora Ramos (stagista); Silvia Amoedo (stagista); Luna de Oliveira Valeriani (traduzioni)

COMITATO EDITORIALE

Affonso Romano de Sant’Anna; Marina Colasanti; Giovanni Meo Zilio; Maria Elena Kühner; Alberto Asor Rosa; Franco Vicenzotti; Sergio Micheli; Pietro Petraglia; Luciana Stegagno Picchio; Dacia Maraini; Francesco Alberoni; Giacomo Marramao; Victor Mateus; Beatriz Resende; Giulia Lanciani; Leda Papaleo Ruffo; Elsa Savino; Everardo Norões

GRuppO DI TRADuZIONI

NUPLITT - Núcleo de pesquisa em literatura e tradução da UFSC (Universidade Federal de Santa Catarina): Andréia Guerini, Cláudia Borges de Faveri, Marie-Hèlene C. Torres, Mauri Furlan, Walter Carlos Costa e Werner Heidermann.

RICERCA

Università Roma II “Tor Vergata”; Nello Avella; Rino Caputo; Federico Bertolazzi

ESEMpLARI ANTERIORI

Redazione e AmministrazioneRua Marquês de Caxias, 31Centro - Niterói - RJ - 24030-050Tel/Fax: (55+21) 2722-0181 / 2719-1468Mosaico italiano è aperto ai contributi e alle ricerche di studiosi ed esperti brasiliani, italiani e stranieri. I collaboratori esprimono, nella massima libertà, personali opinioni che non riflettono necessariamente il pensiero della direzione.

SI RINGRAZIANO

Istituto Italiano di Cultura, Universidade Federal do Rio de Janeiro, Universidade Federal Fluminense, Universidade de São Paulo, Universidade Federal da Bahia, Associação Cultural Ítalo-Brasileira, Associação Brasileira de Professores de Italiano, Imprensa Oficial do Estado do Rio de Janeiro.

STAMpATORE

Editora Comunità Ltda.

Heleno de Oliveira(Lisbona 1995)

Resti di ricordinelle cose e sabbie del villaggio.

Tutto del mio vecchio sguardo si accende.Santa Clara che passa sul baldacchino

che quasi non vedoe non rivedo

nessun bimbo alatonella processione.

Vedere e non vedere è cosìcome bere un bicchiere d’acqua

dopo la sete del sertãotra la luce di là

perpendicolare al suoloe quella di Lisbona che volaleggera e pura come l’acqua

dalla riva all’infinitosapere della Lusitania

Geografia e Quinto Imperoveduto e mortoper poter vivere.

Venite a me Indiedice Vieira da un altro porto

che vi incanterò.E la saga vive in ognuno

che sa la mescolanzadi spada luna e croce

e non dimenticail grido senza luce.

Nise (1905-1999), figlia di Faustino Magalhães da Silveira e Maria Lídia da Silveira, moglie del medico Mário

Magalhães, è stata tra gli specialisti più riconosciuti dell’Ospedale Psichiatrico Pedro II. Oltre ad un ricchissimo curriculum, la Dr.ssa Nise da Silveira possedeva quelle caratteristiche che marcheranno incisivamente il corso della sua vita e della sua carriera: sensibilità e rigore intellettuale. Nise considerava l’affetto e l’arte come elementi indispensabili per la cura della schizofrenia e, con i pochissimi mezzi che aveva a disposizione, aveva adattato le installazioni dell’ospedale alle “nuove” necessità dei suoi pazienti. Semplici sale venivano così trasformate in atelier di pittura e scultura, in laboratori di cucito e di giardinaggio.

Il centenario della psichiatra è stato commemorato con due eventi: lo spettacolo teatrale N.I.S.E, messo in scena dalla Compagnia “Atores de Laura”, e l’esposizione “Nise da Silveira – Cammini di una psichiatra ribelle”, organizzata da Luiz Carlos Mello.

L’esposizione, avvenuta in occasione della riapertura del “Museu do Incosciente”, mostra un’emozionante biografia della dottoressa che aveva rivoluzionato

Débora Ramos e Silvia Amoedo

Traduzione di Luna Valeriani

L’arte dell’inconsapevole

“Nise considerava l’affetto e l’arte come elementi indispensabili

per la cura della schizofrenia”

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Il Museo di Immagini del-l’Inconscio ha avuto origi-ne negli atelier di pittura e

di modellazione della sezione di terapeutica occupaziona-le organizzata da Nise da Sil-veira nel 1946, nel Centro Psi-chiatrico Pedro II.

La produzione di questi atelier è stata talmente ab-bondante e si è rivelata tal-mente importante nelle tera-pie psichiatriche, che la pittu-ra e la modellazione vi hanno assunto una posizione molto peculiare.

Da qui è nata l’idea di orga-nizzare un museo riunendo le opere create in questi settori di attività, con l’obbiettivo di of-frire ai ricercatori le condizio-ni che permettessero di studia-re immagini e simboli e di ac-compagnare l’evoluzione dei casi clinici attraverso la produ-zione plastica spontanea.

Il 20 maggio 1952 fu inau-gurato il Museo di Immagini dell’Inconscio, alloggiato in una piccola sala.

Il museo di immagini dell’inconscio

Nise da Silveira

i vecchi metodi per la cura di pazien-ti schizofrenici e le bellissime sculture e pitture create dai suoi pazienti. La mostra, oltre a relatare l’arte dell’in-conscio, rappresenta un’iniziativa che collabora alla democratizzazione del-la conoscenza scientifica, il tutto at-traverso una vasta gamma di fotogra-fie e testimonianze.

Lo spettacolo teatrale scritto da Maria da Luz e diretto da Daniel Her-tz e Suzanna Kruger (facendo la parte della Pazzia), è una critica a quei me-todi invasivi di trattamento della schi-zofrenia come l’elettroshock e la lobo-tomia. Mostra inoltre il superamento

ottenuto dai pazienti trattati dalla dottoressa Nise, una volta che questi contavano con l’affetto e l’arte per da-re espressione all’inconscio e anche come un possibile aggancio con la realtà.

Secondo Suzanna la pazzia deve essere ricono-sciuta come uno degli sta-ti dell’essere, e l’interazio-ne tra lo schizofrenico e la società è indispensabile nel ristabilire l’equilibrio di chi si allontana dal reale e si immerge nel mondo infini-to dell’inconscio: “tutti noi abbiamo questo stato pre-sente, così come lo sono la rabbia, la passione, la pau-ra, la tristezza, l’eccitazio-ne, ecc... quindi non è co-sì spaventosa. Tanto più è

rifiutata, abbandonata, nascosta, tanto più si manifesta in maniera difforme negli animi. Bisogna che sia affronta-ta, che sia nuovamente inserita nella società come qualcosa che gli appar-tiene. Tutto ciò è laborioso. Tutto ciò ci fa “perdere tempo”. Tutto ciò entra a far parte delle nostre relazioni. Tut-to ciò è spaventoso.” Ancora circa le questioni dello schizofrenico e della società, Marlene (UFRJ) commenta: “ Non sono pessimista in relazione al-lo schizofrenico perché, dopo tutto, la nostra pazzia si sta espandendo ma, allo stesso tempo, il lato umano anco-ra non viene rispettato.”

“Tutti noi abbiamo questo stato presente, così come lo sono la rabbia, la passione, la paura, la tristezza, l’eccitazione, ecc... quindi non è così spaventosa”

Per il direttore Daniel Hertz la determinazione e il coraggio di Ni-se hanno segnato profondamente i suoi studi sulla psichiatria: “La per-severanza nella ricerca di una nuova possibilità nel trattamento psichiatri-co fatto da una donna, all’inizio di-sprezzata per la sua condizione di donna “nordestina”, è un fatto da risaltare.” Così Nise da Silveira, uno dei più importanti psichiatri brasilia-ni, ha lottato per una maggiore digni-tà dei pazienti con problemi mentali, facendo con che i sorprendenti risul-tati da lei raggiunti parlassero da sé circa la serietà e la competenza dei suoi studi.

L’omaggio fattole dalla compa-gnia teatrale “Atores de Laura” e l’ar-te esposta nel “Museu do Inconscien-te” dimostrano che la denuncia avvia-ta dalla psichiatra brasiliana, contro il pregiudizio della società nei confronti dei malati mentali, i cosiddetti “paz-zi”, deve continuare con la stessa per-severanza della sua fondatrice.

Revisione a cura di Anna Palma

Il 28 settembre 1956 il museo cominciò ad occupare istallazioni più ampie, inau-gurate alla presenza dei rino-mati psichiatri: Henry Ey di Parigi, Lopez Íbor di Madrid, Ramon Sarró di Barcellona, i quali si trovavano a Rio de Janeiro invitati dall’Università del Brasile.

Già da allo-ra, secondo il professore Lo-pez Íbor, il Mu-seo di Immagini dell’Inconscio: “riuniva una collezione artistica psicopa-tologica unica al mondo”.

Da quel momento in poi il Museo non più ha smesso di crescere. Vincolato diret-tamente agli atelier di pittu-ra e di modellazione, riceve ogni giorno nuovi documen-ti artistici. La sua collezione, nel gennaio del 1981, riuniva circa 160 mila documenti tra pitture su tela, su carte diver-se, disegni o modellazioni.

Il Museo è un centro vivo di studi e ricerche sulle im-magini dell’inconscio, aperto a tutti gli studiosi di tutte le scuole psichiatriche.

Il 07 giugno 1978, Ronald D. Laing scrisse che il lavoro lì realizzato: “rappresenta una contribuzione di grande im-portanza per lo studio scienti-fico del processo psicotico”.

A partire da luglio 1968 esiste, come attività apparte-nente al Museo, un gruppo di studio che ha come sco-po principale l’accompagna-mento del processo psicotico attraverso le immagini presen-tate in esposizioni semestrali.

Nise, il 07/06/1947,

all’entrata del Servizio

di Terapia Occupazionale

Inaugurazione delle nuove installazioni del Museo, nel 1956

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Questo Gruppo di Studio ha un carattere preminente-mente interdisciplinare, age-volando uno scambio costan-te tra esperienza clinica, co-noscenze teoriche di psicolo-gia e psichiatria, antropologia culturale, storia, arte ed edu-cazione.

Il Gruppo si riunisce rego-larmente tutti i martedì alle ore 10:30 ed è aperto a chiun-que ne sia interessato.

Il Museo di Immagini del-l’Inconscio organizza esposi-zioni interne ed esterne e corsi diversi, offrendo agli interessa-ti un vasto campo di ricerca.

Nel gennaio 1981 il Mu-seo ha cambiato sede e attual-mente è in un palazzo di due piani, con istallazioni adegua-te alle sue molteplici attività.

Il Museo di Immagini del-l’Inconscio, secondo le parole di Mario Pedrosa: “è più di un museo, poiché si prolunga ver-so il dentro fino a diventare un atelier dove artisti in potenzia-le lavorano, fanno cose varie, creano, vivono e convivono”.

Così vi si è riunito casual-mente tutto un gruppo di ma-lati – schizofrenici – trasferiti dal cortile dell’ospedale psi-chiatrico alla sezione di tera-

pia occupazionale, da questa all’atelier e dall’atelier alla convivenza che ha fatto na-scere quell’affetto capace di stimolarne la creatività.

La sala dell’atelier è stata scelta molte volte come mo-tivo delle pitture dimostrando

cosi l’importanza di quel luo-go per i suoi frequentatori.

Ecco un aspetto dell’atelier visto attraverso la sensibilità di Emygdio, abbastanza simile

Possiamo ammirare l’acu-tezza della sua capacità di os-servarzione: ecco l’atelier con la sua grande finestra che lascia intravedere gli alberi del giardi-no e, a destra, un uomo nella posizione tipica di chi ricerca il suo proprio mondo interiore.

Fuori c’è il mondo esterno pieno di sole. Ma di dentro, sotto la finestra e nelle vetrate laterali, i contenuti del mon-do interiore, dell’inconscio, zampillano, tentando di ir-rompere ed invadere il cam-po della coscienza.

Ma se i contenuti entrano in intensa attività, il suo for-

te carico energetico sovverte l’ordine spaziale strutturato dalla coscienza.

A sinistra, attraverso una trama di linee nere disordinate, facce bizzarre spiano. Il pro-prio suolo sembra tremare sotto la pressione delle forze sotter-ranee. Solo il pianoforte e una scultura resistono ancora come oggetti della realtà esterna.

Vediamo qui la lotta tra l’ego e l’inconscio, lotta che definisce la schizofrenia: l’ego tentenna ed è sconfitto dall’at-tacco violento dell’inconscio. E il mondo esterno si disorga-nizza come in un terremoto.

Tutto l’atelier è scosso dal-l’esplosione interna. Però im-magini circolari, disposte in se-quenza, rivelano che le forze ordinatrici di difesa sono state

mobilizzate. Possiamo augu-rarci che l’autore di questa pit-tura riesca a superare la crisi. In realtà, è quello che è successo.

Il metodo di lavoro nel Mu-seo di Immagini dell’Incon-scio consiste sopratutto nello studio di serie di immagini.

Isolate sembrano sempre indecifrabili. Tuttavia, possia-mo verificare con sorpresa che esse permettono di ac-compagnare lo svolgimento dei processi intrapsichici.

Con lo scopo di studiare le serie di immagini, vengo-no organizzati album di pit-ture selezionate di uno stesso malato, in sequenza cronolo-gica, in modo da permettere al terapeuta di comprendere meglio la situazione psichica dell’autore delle immagini.

Altri album riuniscono te-mi di incidenza frequente nei diversi casi clinici come, per esempio, mandala,

riti,metamorfosi,animali fantastici, ecc.

Paralleli della StoriaPitture di uno stesso autore, così come i sogni, quando esa-minate in serie, rivelano la ri-petizione dei motivi e l’esisten-za di una continuità nel flusso delle immagini dell’inconscio. Non raramente si verifica che queste serie contengono signi-ficati paralleli a temi mistici.

Questo perché la peculia-rità della schizofrenia risiede nell’emergenza di contenuti arcaici che configurano fram-menti di temi mitologici.

Queste ricerche di paralleli storici hanno una grande impor-tanza sia teorica che pratica.

Il Museo oggi; Gruppo di studio del Museo nel 1977

L’atelier di pittura e i suoi frequentatori; Emygdio de Barros, olio/ cartoncino, 1968, 48,0 x 33,0 cm

Emygdio de Barros, olio/ tela, 1948, 65,0 x 91,5 cm; La configurazione di mandala armoniosa, dentro una forma rigorosa, indica un’intensa mobilizzazione di forze auto-curative per compensare il disordine interno. Carlos Pertuis, olio/tela, 25/07/1958, 60,0 x50,0 cm; Emygdio de Barros, olio e tempera/ carta, 1974, 36,3 x 55,3 cm;

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Il compito del terapeuta sarà quello di stabilire con-nessioni tra le immagini che emergono dall’inconscio e la situazione emozionale che l’individuo sta vivendo.

Così, per esempio, il mi-to della ninfa greca Daphne evidenzia la condizione del-la figlia che si identifica tan-to strettamente con la madre che i suoi propri istinti non riescono a svilupparsi.

La ninfa Daphne è trasfor-mata (metamorfosata) in albe-ro da sua madre – la terra.

Lo stesso è sucesso con l’autrice di queste pitture. Lei si arrende e rivela: “Io volevo esser fiore”.

Dopo un lungo processo avvenuto nelle profondità del-l’inconscio, la donna riesce a disidentificarsi dal vegetale.

Così, lei comincia a dipinge-re i fiori che raccoglie nel giar-dino del Centro Psichiatrico.

Dipingendo ripetutamen-te dei fiori reali, poco a poco riesce a disidentificarsi dal-l’essere della pianta con la quale si era confusa al punto

da perdere la propria indivi-dualità. Così, lei ha ridelinea-to le frontiere del proprio ego rafforzandosi in un vero pro-cesso di auto-cura.

Il lavoro nell’atelier dimo-stra che la pittura non rive-la soltanto chiarimenti per la comprensione del processo psicotico, ma inoltre costitui-sce un vero agente terapeuti-co! È una costatazione empi-rica, verificata molte volte nel nostro atelier.

Le immagini dell’incon-scio oggettivate nella pittura

Apollo e Dafne – Scultura del Bernini, Galleria Borghese, Roma; Cultura Tisza 5000 a.C.; Le figure di Adelina sono caratterizzate da un arcaismo che fa pensare subito alle dee-madri dell’Età della Pietra.

Modellaggio su terracotta – copia 1950.diventano passibili di una cer-ta forma di trattamento, anche se non esiste una presa di co-scienza nitida dei loro signifi-cati profondi.

Trasferendo sulla carta dei frammenti del dramma che sta vivendo disordinatamente, l’in-dividuo dà forma alle sue emo-zioni e diminuisce il potenzia-le delle figure minacciose.

Una malata si immagina-va perseguita da cani e ve-deva, in allucionazioni, una donna gigantesca dalla testa di cane.

Lei l’ha dipinta varie vol-te, sotto forme diverse, finchè l’immagine terribile è svanita.

Altre volte, attraverso sbar-ramenti geometrici, l’immagi-ne minacciosa è mantenuta a distanza.

La pittura permette d’ac-cogliere, anche nei casi più gravi, movimenti istintivi delle forze auto-curative della psi-che tra i differenti cammini.

L’esperienza dimostra che la pittura può essere utilizzata dal malato come un vero stru-mento per riorganizzare l’or-dine interno.

Immagini circolari, o vicine al circolo, danno forma a mo-vimenti istintivi di difesa della psiche, esprimendo tentativi,

“A cabeça e o busto são o cálice da flor e amplas vestes formam a corola.”[La testa e il busto sono il calice del fiore e ampie vesti ne formano la corolla] Adelina - tempera/carta, 14/08/1959, 48,1 x 33,0 cm.; Emygdio

raffigura il suo isolamento davanti alle sbarre - dipinto in toni grigi, che esprimono bene sentimenti di tristezza e solitudine. Ospedale e carcere si confondono. Emygdio de Barros, olio/carta, 1970, 32,2 x 48,5 cm.

abbozzi, pro-getti di rinno-vazione.

Nelle im-magini in se-rie possiamo anche ac-compagnare i tentativi di ricostruzione del mondo esterno.

Il tumul-to delle emo-zioni che ha scosso la psiche di Fernando ha distrutturato le demarca-zioni dell’area spaziale co-struita dall’ego cosciente.

Preso da vertigini egli ricer-ca lo spazio quotidiano ten-tando di recuperare la realtà.

Dipinge differenti ogget-ti appartenenti all’interno di una casa.

All’inizio, questi oggetti si presentano mescolati, giu-stapposti gli uni agli altri, sen-za conservare nessuna rela-zione pragmatica tra di loro, divano, seggiole, tavoli, ecc.

Fernando cerca di riordi-nare questa confusione.

Prende ognuno di que-sti oggetti e li dipinge singo-larmente, istallati su un pavi-mento finalmente fermo.

Dopo vari tentativi, riesce ad organizzare l’interno di una casa e recupera lo spazio quotidiano.

Dimostrando in innumere-voli documenti le vicissitudi-ni sofferte dagli schizofrenici, così come le ricchezze del lo-ro mondo interiore, invisibi-le a quelli che si detengono soltanto sulla miseria del lo-ro aspetto esteriore, il lavoro realizzato nel Museo di Im-magini dell’Inconscio indica la necessità di una riformu-lazione dell’atteggiamento di fronte a questi malati e di un cambiamento radicale di quei tristi luoghi che sono gli ospe-dali psichiatrici.

(Revisione a cura di Anna Palma)

Questo quadro geometrico di Fernando Diniz si mostra impregnato di dinamismo. Senza Titolo, tempera e olio/cartoncino, s/d, 41,0 x 51,0 cm.; “É uma sala. É um cantinho de sala. Se tiver grande a gente vai se perder” [È un salotto. È un angoletto del salotto. Se è grande, vi ci perdiamo dentro.

Fernando Diniz. Olio/tela, 05/02/1953, 47,0 x 39,0 cm; Olio/tela, 01/12/1953, 63,0 x 48,0 cm.

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Come le altre rappresenta-zioni di quell’epoca, an-che le Sibille della Sisti-

na vanno ascritte all’influenza del clima profetico che si era diffuso in Italia dalla seconda metà del Quattrocento 1.

Ma a ben guardare, la complessa simbologia del ci-clo, e soprattutto l’eccezio-nale rilievo conferito da Mi-chelangelo all’intero gruppo dei Veggenti2 rivelano con tanto l’intenzione di ripro-porre un soggetto ormai ca-ro all’iconografia cristiana, quanto il tentativo di pene-trarne i più alti valori spiri-tuali e teologici.

Le fonti esaminate nelle pagine precedente ci indu-cono a dubitare fortemen-te che la rappresentazione delle Sibille sia ispirata agli ideali savonaroliani. Il dog-matismo del monaco profe-ta, che rifiutava ogni espe-rienza religiosa non cristia-na3, e soprattutto la sua pes-sima considerazione dei pro-dotti artistici:

Futti detto: leva via l’ambizione, le dipinture

disoneste, lo anatema e la maledizione che tu avevi in casa, le poesie e le favole

che si leggevano.4

non potevano certo essere condivise da Michelangelo.

Egli compie un’opera-zione che si potrebbe defi-nire filologica: seguendo il testo dei Libri Sibillini asso-cia le Veggenti alle vicende della Creazione5, mentre fi-no ad allora erano state rap-presentate in relazione alla Natività e alla Passione di Cristo; le raffigura con vesti di foggia classica (la Delfi-ca indossa un vero chitone) mettendo ben in risalto la loro origine pagana, e tutta-

via non esita a porle accan-to all’illustre coro dei Profe-ti ebraici.

Ma, se come ha osservato il Von Einem:

Michelangelo gibt keineswegs immer die Illustration bestimmter Textstellen, immer aber Momente prophetischen Lebens, ruhiges Lesen,

erregtes Blättern und Suchen, tiefes Sinnen, Schreiben und das Getroffen werden durch

die Inspiration. 6

Allora l’impressione pro-fonda, che l’artista presumi-bilmente ricevette assistendo alle prediche del Savonaro-la7, potrebbe essersi incar-nata nelle espressioni, nel-l’intensità degli atteggiamenti dei Profeti ed anche delle Si-bille, nelle quali egli trasferì il suo ideale di bellezza che prescinde dalle categorie del maschile e del femminile.

Tutto ciò non è comunque sufficiente a qualificare Mi-chelangelo come un segua-ce del frate, tanto più che la sua reazione al momento del-la crisi piagnona fu quella di fuggire precipitosamente da Firenze 8.

Durante gli anni giovani-li trascorsi alla corte dei Me-dici aveva potuto conversare con il Ficino, il Poliziano e il Landino, autore tra l’altro di un commento alla Divina Commedia in chiave neo-platonica che fu il più letto del Cinquecento9, e perciò sicuramente familiare an-che a Michelangelo, gran-de e appassionato lettore di Dante10. Egli rimase legato per molti anni ancora a quel mondo e agli ideali umanisti-ci. E in effetti continuò ad in-contrare i nuovi rappresenta-ti dell’umanesimo platonico:

nel 1519 firmò una petizione per il ritorno a Firenze del-le ceneri di Dante inviata a Leone X dalla rinata Accade-mia Platonica, di cui era au-torevole membro Francesco Diacceto, già seguace del Fi-cino11; dopo il 1434, a Ro-ma, entrò in contatto con gli allievi di quest’ultimo12, e in un dialogo del Giannotti uno dei suoi interlocutori è Fran-cesco Priscianese, che nel 1544 pubblicherà il Convito di Platone con il commento del Ficino13.

Queste ragioni di natura “culturale” aggiunte ai rilievi riguardanti l’aspetto formale, già esposti nelle pagine pre-cedenti, riconducono gli af-freschi della Sistina nell’alveo del pensiero umanistico che restò una componente fonda-mentale della poetica di Mi-chelangelo, la cui fede nella cultura classica e nell’essen-za spirituale dell’uomo non fu intaccata dalla predicazio-ne savonaroliana.

Allora si comprende me-glio la posizione di presti-gio conferita alle Sibille del-la Sistina, che nonostante la

popolarità del soggetto, non trova eguali in nessun’altra rappresentazione. Egli dovet-te condividere col Ficino e gli altri neoplatonici la con-vinzione che le Sibille fosse-ro fra i più alti esempi della spiritualità del mondo antico, esseri al tempo stesso umani e divini, capaci di prennun-ciare ai popoli gentili le stes-se verità rivelate agli ebrei dai loro Profeti14.

Strupisce, pertanto, come proprio a Charles de Tolnay, che pure ha voluto considera-re non solo la Sistina, ma la quasi totalità dell’opera mi-chelangiolesca quale espres-sione di motivi neoplatoni-ci15, sia sfuggito tale nesso.

Anzi, secondo l’illustre studioso, le Sibille manifeste-rebbero una capacità visiona-ria del tutto inferiore a quella dei Profeti:

The series of Prophets is a continuous crescendo of visionary faculties which moves in the direction of

the altar; whereas the Sibyls, alternating with the seer,

show a gradual decrescendo of inspiration.16

E ancora:

Michelangelo conceived the Sibyls as a contrast to the Prophets: in the men

he emphasized intellectual concentration and spiritual rebirth [...]; in the women he accentuated indecision,

passivity and ambiguity. The woman, nearer to nature and

to the earth (sic), does not know the sudden spiritual

renovatio of the man [...]. 17

Anche sorvolando su que-st’ultima affermazione che, ci sembra, rispechi piutto-sto i convincimenti personali

Le Sibille della Sistina

Simona de Luca

“Allora si comprende meglio la posizione

di prestigio conferita alle

Sibille della Sistina, che nonostante

la popolarità del soggetto, non trova

eguali in nessun’altra rappresentazione”

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del Tolnay riguardo alla natu-ra femminile, non potremmo comunque condividere il re-sto delle sue posizioni.

Innanzitutto esse non trag-gono origine dall’esame di fonti contemporanee agli af-freschi. L’idea che nel Rina-scimento si attribuisce alle Sibille una limitata capaci-tà profetica a causa della lo-ro ignoranza pagana, da cui sembra poi discendere l’in-terpretazione in questione18, è desunta infatti da un saggio critico, senz’altro attendibile, scritto nel 1913 dallo studio-so Ferdinando Neri.

Ma a ben vedere, il Neri sostiene una tesi assai diver-sa. Dalle sue indagini risulta che nella mitologia popola-re la figura di Sibilla assunse un carattere demoniaco, tan-to da essere annoverata fra i testimoni ostili degli eventi sacri19. pertanto, è impensa-bile che una simile tradizione possa avere qualche rapporto con un soggetto di iconografia religiosa quali furono le Sibil-le, né tantomeno con gli affre-

schi della Sistina. Non furono le leggende popolari ad ispi-rare le molteplici rappresen-tazioni delle profetese paga-ne, bensì, come abbiamo più volte ripetuto, esclusivamente fonti letterarie ed erudite.

In secondo luogo, l’analisi delle singole figure, dovendo necessariamente confermare l’assunto di partenza, sembra rispondere a criteri quanto-mai soggettivi.

Il Tolnay non manifesta alcun dubbio riguardo alle facoltà visionarie della Delfi-ca e dell’Eritrea, le prime due Sibille della serie che, ricor-diamo, procede dall’ingresso verso l’altare.

Inizierebbe con la Cuma-na l’inarrestabile decadenza di tali facoltà:

She looks with distrust at the ambiguous text of

oracles and her whole body instinctively draws away from

it in disapproval. [...] There is a marked decline in the

clarvoyance of this seer who is situated below the history

delle storie centrali (La separa-zione della luce dalle tenebre), in cui si manifesterebbe la to-tale e definitiva decadenza di ogni facoltà profetica.

Seguendo la descrizione del Vasari24, il Tolnay sostiene che essa, ormai rassegnata, stia chiudendo il volume, mentre i suoi Geni l’abbandonano:

[...] she has finished her work, is closing the book

and is about to rise. [...] she rises with an expression of

resignation. [...] the Genii in the background are already

about to leave.25

Certo, la posizione estre-mamente articolata della Libi-ca risulta di difficile interpre-tazione. E sarebbe impossibile stabilire con sicurezza se stia per alzarsi e chiudere il libro, o, come è stato proposto più suggestivamente da altri, stia tirando giù il volume per mo-strare ad un invisibile circolo di iniziati il passo trovato26.

Malgrado ciò, esiste un dettaglio prezioso in questa figura su cui si è sempre sor-volato, e che fosse meritereb-be maggiore attenzione. Co-me è evidente, la Sibilla so-regge con il palmo della ma-no sinistra un certo numero di pagine, gesto spontaneo di chi intenda tenere il se-gno in un testo voluminoso. I fogli posti sotto la sua ma-no, poi, sono chiaramente i primi del grande libro degli oracoli, visto che solo la co-pertina giace sul piano del-l’alto leggio. Si potrebbe ipo-tizzare che la Libica desideri indicare un brano contenuto proprio in quelle prime pagi-ne, e in effetti i versi iniziali dei Libri Sibillini III e IV, i più noti all’epoca grazie all’ope-ra di Lattanzio27, riguardano sempre la Creazione:

Uno è Dio, che solo impera, ineffabile, abitante nell’Etere, auto-generativo, invisibile. [...] Il quale con

la sua parola creò ogni cosa, e il cielo ed il mare e l’infaticabile sole e la luna piena, e gli astri lucenti e la possente madre Teti, le sorgenti ed i fiumi, il fuoco

immortale, i giorni e le notti; e lo stesso Dio è quegli che

plasmò Adamo.28

E dall’incipit del IV Libro:

[...] ma Egli è Colui che dalla terra non si può vedere né misurare con occhi mortali [...]; di cui la notte oscura e il giorno e il sole e gli astri e la luna e il mare pescoso, e la terra e i fiumi e l’apertura

delle inesauribili sorgenti sono creazioni per la vita [...].29

in which God the Father appears for the first time. 20

Sembra davvero arduo co-gliere nell’espressione intensa e concentrata di questa vigo-rosa Sibilla, il senso di sfidu-cia e il moto quasi di repulso-ne verso i suoi stessi oracoli descritto dal Tolnay. Semmai, la vecchia Cumana allontana da sé il libro, molto più sem-plicemente, perché affetta da presbiopia21.

La profetessa seguente, la Persica, di cui Michelangelo enfatizzò l’estrema vecchiez-za in accordo con la lista var-roniana22, dove era ricordata come la più antica veggente, ha perso del tutto l’ispirazione:

The Persica is represented by Michelangelo as a decrepit

old woman, completely deprived of all creative

inspiration.23

Infine, il caso più interes-sante, quello della Libica, l’ulti-ma Sibilla della serie, collocata accanto alla scena culminante

Ocorre aggiungere, poi, che contrariamente a quanto riferito dal Tolnay, i due Ge-ni non si apprestano affatto ad abbandonare la Sibilla, quel-lo di destra, anzi, punta signi-ficativamente l’indice verso di lei, come a volerne sottoli-neare il gesto.

Se alla profetessa è dato di conoscere il mistero della Creazione, allora l’espressio-ne malinconica del suo volto necessita di un’interpretazio-ne diversa dalla seguente:

To denote the complete decadence of the prophetic faculty, Michelangelo gave an expression of resignation

and melancholy to this beautiful woman.30

È molto probabile che la Libica sia stata rappresentata

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da Michelangelo in atteggia-mento melanconico. Nel Ri-nascimento, infatti, gran par-te degli ambienti intellettuali subirono il fascino delle teo-rie sulla melanconia elabora-te dal Ficino31. Egli sostenne che tale stato d’animo fos-se il solo capace di suscitare l’entusiasmo creativo, così il temperamento melanconico venne associato, almeno per tutto il Cinquecento, al ta-lento artistico. Ma ancor più attinente alla figura in que-stione sembra essere il lega-me istituito dallo stesso Fici-no tra profezia e melanconia, che venne da lui ritenuta una delle sette condizioni adatte a favorire la vacatio animae, e quindi la conoscenza pro-fetica32.

Insomma nel Rinascimen-to si esaltò essenzialmente la funzione “creativa” della me-lanconia, fonte di ispirazio-ne artistica e persino profeti-ca, ed è quindi lecito dubita-

1 Vedi cap.III, p.48; e p. 101 sgg.2 Cfr. per es. A. Bertini, op. cit., p.58: “Entrando nella Si-stina Profeti e Sibille si impon-gono per i primi all’osserva-zione [...]”.3 Vedi in particolare p. 126.4 Cfr. G. Savonarola, Prediche sopra Ezechiele cit., II, p. 262. Lo Chastel ricorda inoltre il “grande bruciamento delle va-nità”, durante il carnevale del 1497, in cui su un rogo a set-te piani vennero distrutti libri, gioielli, abiti, opere “pagane”, quadri ritenuti immorali. Cfr. A. Chastel, Arte e Umanesimo a Firenze cit., p. 408. 5 I versi di apertura dei Libri Sibillini più noti all’epoca di Michelangelo narrano sempre gli eventi della Creazione. Ve-di più avanti pp. 137-139 e n. 122,123,124.6 H. Von Einem, Michelan-gelo, Stuttgart, Kohlhammer, 1959, p. 61. (trad.: “Michelan-gelo non dà ogni volta l’illu-strazione di determinati passi dei testi profetici, rappresen-ta invece momenti della vita profetica, la tranquilla lettura, l’eccitato sfogliare delle pagi-ne e la ricerca, il meditare pro-fondo, lo scrivere e il soprag-giungere dell’ispirazione.”).7 Michelangelo infatti restò a Firenze fino all’ottobre del 1494, e vi ritornò per alcuni mesi fra il 1495-96. Cfr. Ch. de Tolnay, Michelangelo I cit., p. 24.8 Cfr. G. Vasari, Le Vite cit., VII, p. 146.9 “E delle dieci o undici edi-zioni di Dante stampare prima del 1500, nove sono provviste del commento di Cristoforo Landino [...]”. Cfr. E. Panofsky, Studi di Iconologia, Torino, Ei-naudi, 1975, p.247.10 Ibid.11 Cfr. A. Chastel, Arte e Uma-nesimo a Firenze cit., p. 521.12 Ibid.13 Ibid.14 Vedi pp. 111-112 e pp. 117-119

15 Abbiamo trattato dell’inter-pretazione degli affreschi del-la Sistina formulata dal Tolnay alle pp. 96-97. Ma si veda an-che Ch. de Tolnay, Michelan-gelo I cit., p. 67.16 Ch. de Tolnay, The Sistine Ceiling cit., p.47. (trad.: “La se-rie dei Profeti è un continuo cre-scendo di facoltà visionarie che procede in direzione dell’altare; laddove le Sibille, alternate ai veggenti, mostrano un graduale decrescendo di ispirazione.”).17 Ibid., p.57. (trad.: “Miche-langelo concepì le Sibille in contrasto con i Profeti: negli uomini enfatizzò la concen-trazione intellettuale e la ri-nascita spirituale; nelle donne accentuò indecisione, passivi-tà e ambiguità. La donna, più vicina alla natura e alla terra, ignora l’improvvisa renovatio spirituale dell’uono.”).18 Ibid., e p.153.19 Cfr. F. Neri, Le tradizio-ni italiane della Sibilla, in AA.VV., Studi medievali, Tori-no, Loescher, 1913, pp. 16-17 e p. 31.20 Ch. de Tolnay, The Sisti-ne Ceiling cit., p. 59. (trad.: “Guarda con sfiducia l’am-biguo testo di oracoli e il suo intero corpo istintivamente si ritrae con disapprovazione. C’è un notevole declinio della chiaroveggenza di questa pro-fetessa, situata sotto la storia in cui Dio Padre appare per la prima volta.”).21 Lo aveva già notato C. Ju-sti, Michelangelo, Leipzig, Breitkopf & Hartel, 1900, p. 109sgg. Ma cfr. anche A. Ber-tini, op. cit., p. 90: “Michelan-gelo si è compiaciuto di dila-tare i difetti fisici prodotti dal tempo, e della presbiopia del-la vecchia ha fatto il suo tratto caratteristico dominante”.22 Abbiamo riportato per in-tero il canone varroniano nel cap. I, pp. 9-10.23 Ch. de Tolnay, The Sistine Ceiling cit., p. 157. (trad.: “La Persica è rappresentata da Mi-chelangelo come una vecchia

decrepita, completamente de-privata di tutta l’ispirazione creativa.”).34 “[...] la bellissima figura della Libica la quale avendo scritto un gran volume tratto da molti libri, sta con attitudi-ne donnesca per levarsi in pie-di, ed in un medesimo tempo mostra volere alzarsi e serrare il libro [...]”. Cfr. G. Vasari, Le Vite cit., VII, p. 184.25 Ch. de Tolnay, op. cit., p. 60. (trad.: “Ha esaurito il suo compito, sta chiudendo il libro e sta per alzarsi. Si alza con un’espressione di rassegnazio-ne. I Geni sullo sfondo stanno per lasciarla.”). 26 Cfr. A. Rossi, Le Sibille nel-le arti figurative italiane, “L’Ar-te”, Roma, XVIII, 1915, p. 45. 27 Nelle Divinae Institutiones Lattanzio attinse ampiamen-te dal III e dal IV Libro degli oracoli sibillini, mostrando di conoscere anche gli altri libri, almeno fino all’VIII. Cfr. H. W. Parke, Sibille, Genova, ECIG, 1992, p. 13 e n. 3. Le Divinae Institutiones furono ben note al Medioevo e al Rinascimen-to, e la prima edizione a stam-pa risale al 1465.28 Dal III Libro degli oracoli si-billini, vv. 10-12 e 19-24 nella traduzione di A. Pincherle, Gli Oracoli Sibillini Giudaici, Ro-ma, Libreria di Cultura, 1922, pp. 2-3.29 Ibid., pp. 54-55: dal IV Li-bro degli oracoli, vv. 10-11 e 14-17.30 Ch. de Tolnay, op. cit., p. 158. Il corsivo è nostro. (trad.: “Per mostrare la completa de-cadenza della facoltà pro-fetica, Michelangelo diede un’espressione di rassegnazio-ne e melanconia a questa bel-lissima donna.”).31 Sull’importanza delle teo-rie ficiniane nella rivalutazione cinquecentesca della melanco-nia v. R. e M. Wittkower, Nati sotto Saturno cit., p. 116 e sgg.32 Su questo punto e sul rap-porto fra melanconia e slancio si vedano le pp. 115-116 e n. 66.

re che l’aspetto malinconico della Libica intenda palesare proprio la decadenza delle sue facoltà visionarie.

Auspichiamo che le osser-vazioni fin qui proposte siano sufficienti a riscattare non so-lo la Libica, ma anche le sue compagne dal giudizio, o pre-giudizio, del Tolnay. In effetti, non si è potuto riscontrare negli affreschi alcun elemento che in modo inequivocabile riveli l’in-feriorità delle Sibille rispetto ai Profeti, né le probabili fonti fi-losofiche di Michelangelo con-tengono un simile principio.

Se, come crediamo, Miche-langelo condivise con gli uma-nisti rinascimentali la fede nel-l’approssimarsi di un rinnova-mento totale dell’umanità, al-lora proprio queste aspirazioni intese celebrare negli affreschi della Sistina, dove le storie del-la Creazione potrebbero allu-dere ad una ri-creazione, alla nascita di un’umanità rigene-rata. E scelse le Sibille insie-me ai Profeti quali annuncia-tori in ogni tempo e luogo non di terribili sciagure, ma del ritorno dell’Età dell’Oro. Essi, in virtù della loro natura terrena, svolgono il ruolo di intermediari (si trovano, infat-ti, nella fascia mediana degli affreschi) fra l’umanità ancora inconsapevole (Gli antenati di Cristo) e la piena rivelazio-ne del progetto divino (Storie centrali), di cui sono già a co-noscenza grazie all’ispirazio-ne profetica. In tale contesto può spiegarsi lo straordinario risalto conferito alle veggenti pagane: esse, non meno auto-revoli dei Profeti, rappresenta-no il mondo classico, la pro-fonda spiritualità antica che, lungi dall’essere in dall’esse-re in contrasto con quella cri-stiana, deve necessariamente concorrere con questa al rin-novamento dell’umanità.

“Insomma nel Rinascimento si

esaltò essenzialmente la funzione “creativa”

della melanconia, fonte di ispirazione artistica e persino

profetica”

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A UN CILIEGIO IN FIORE

Svegliarsi, essere nel mattino di aprilela bianchezza di questo ciliegio;ardere dalle foglie alla radice,far versi o fiorire in sortilegio.

Aprire le braccia, accogliere fra i ramiil vento, la luce, o quel che sia;sentire il tempo, fibra a fibra,a tessere il cuore di una ciliegia.

Versi di Eugénio de Andrade Tradotti da Federico Bertolazzi

APRILE

Gioca il mattino felice e distratto, come solo il mattino può giocare, per le curve lunghe di questa strada dove gli zingari cantano al passare.

Aprile corre sciolto nelle pinetecoronato di rose e bramosie, e in un salto brusco, senza impronte,straccia il cielo azzurro in un sibilio.

Sorge un bambino dagli occhi vegetali,carichi di spavento e di allegria,e tira sassi alle curve più distanti– dove la voce degli zingari andava via.

POESIA ALLA MADRE

Nel più profondo di teio so che ho tradito, mamma.

Tutto perché non sono piùil bambino addormentatonel fondo dei tuoi occhi.

Tutto perché tu ignoriche ci sono letti in cui il freddo non si trattienee notti rumorose di acque mattinali.

Per questo, a volte, le parole che ti dicosono dure, mamma,e il nostro amore è infelice.

Tutto perché ho perduto le rose bianche che stringevo sul cuorenel ritratto della cornice.

Se sapessi come ancora amo le roseforse non riempiresti le ore di incubi.

Ma tu hai dimenticato molte cose;hai dimenticato che le mie gambe sono cresciute,

che tutto il mio corpo è cresciuto,e perfino il mio cuoreè diventato enorme, mamma!

Guarda – vuoi sentirmi?–a volte sono ancora il bambinoche si è addormentato nei tuoi occhi;

stringo ancora sul cuore rose così bianchecome quelle che hai nella cornice;

sento ancora la tua voce:C’era una volta una principessanel mezzo di un aranceto...

Ma – tu lo sai – la notte è enorme,e tutto il mio corpo è cresciuto.Io sono uscito dalla cornice,ho dato agli uccelli i miei occhi da bere.Non ho dimenticato nulla, mamma.Custodisco la tua voce dentro di me.E ti lascio le rose.

Buona notte. Io vado con gli uccelli.

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MARE, MARE E MARE

Tu domandi, e io non so,anche io non so che cosa è il mare.

È forse una lacrima caduta dai miei occhial rileggere una lettera, mentre è notte.I tuoi denti, forse i tuoi denti,minuti, bianchi denti, sono il mare,un mare piccolo e fragile,affabile, diafano,eppure senza musica.

È evidente che mia madre mi chiamaquando un’onda e un’altra onda e un’altradisfa il suo corpo contro il mio corpo.Allora il mare è carezza,luce bagnata dove si svegliail mio cuore recente.

A volte il mare è una figura biancache scintilla fra gli scogli.Non so se fissa l’acqua

o se cercaun bacio fra conchiglie trasparenti.

No, il mare non è nardo né giglio.È un adolescente mortodalle labbra aperte alle labbra della spuma.È sangue,sangue dove la luce si nascondeper amare un’altra luce sulle sabbie.

Un pezzo di luna insiste,insiste e sale lenta trascinando la notte.I capelli di mia madre si sciolgono,si spargono nell’acqua,lisciati da una brezzache nasce esattamente nel mio cuore.Il mare torna ad essere piccolo e mio,anemone perfetto, che si apre sulle mie dita.

Anche io non so che cosa è il mare.Attendo l’alba, impaziente,i piedi scalzi sulla sabbia.

ADDIO

Come se ci fosse una tempestaa scurire i tuoi capelli,o se vuoi, la mia bocca nei tuoi occhicarica di fiore e delle tue dita;

come se ci fosse un bimbo ciecoad inciampare dentro di te,io parlai di neve, e tu tacevila voce dove con te io mi perdei.

Come se la notte venisse e ti portassevia, io era solo fame che sentivo;ti dico addio come se non tornassial paese dove il tuo corpo s’incomincia.

Come si ci fossero nuvole sopra nuvole,e sopra le nuvole mare perfetto,o se vuoi, la tua bocca chiarasolcando largamente nel mio petto.

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L’idea di creare una ra-dio era stata lanciata. Era proprio una sfida

per ognuno di noi, gli alunni del corso di Lingua Italiana VI dell’UFRJ 2006/1. A princi-pio non era stato commentato quasi niente da noi, e lascia-vamo trasparire un ambiente di ansietà, dubbi ed appren-sione. Silenzio, che inevita-bilmente voleva dire tutto.

Durante le lezioni erano chiari e percettibili i momen-ti di riflessione. Dentro di noi c’erano diverse questioni ad inquietarci: Come produrre una radio? Cosa fare? Come lavorare? Quali sarebbero sta-ti i gruppi? E fra tante questio-ni lo scambio di esperienze è stato il fattore principale a rendere possibile la creazione della radio.

Di forma ludica, piace-vole e armoniosa, ci mettia-mo a scegliere un nome per la radio e, fra le tante pos-sibilità, ecco che ne sor-ge uno, così, al l ’ improv-viso: Radio Cento per Cento Bugie, che è sta-to accettato da tutti noi. Subito dopo aver scelto il nome, nuo-ve idee sono cominciate ad apparire naturalmen-te. Per prima cosa la mu-sica da far conoscere il programma e poi tutta

la programmazione. Ab-biamo trovato nella ra-

dio un canale aperto in cui abbiamo po-

tuto condivide-re pensieri, lin-

guaggi diffe-renti e sop-prattutto un luogo per

i n t e r a g i r e , permettendo al-

la creatività e al-l’immaginazione di

fluire liberamente.

Il fantastico mondo del linguaggio

Simone Hissae Hamada

Traduzione di Marcela Oliveira e Weverton Pereira

Durante la creazione, in un arduo processo di sinto-nia fine del linguaggio, era anche impossibile non la-

sciar trave-dere la no-stra fabbrica di fantasie, in un mondo reale e allo stesso tempo illusorio. Ed i notiziari an-nunciavano: nel mondo tutti avranno gli stipendi uguali; fine delle guer-re religiose, ecc. Lavo-rando aspet-ti ludici, cer-chiamo di amalgamare idee e sono-plastie che

possano adattarsi meglio ai diversi programmi: Le Mada-me Zodiacale, l’intervista al cantante Pinocchio e Radio-novella.

In conclusione, l’oppor-tunità di produrre una radio in lingua italiana è stata una grande sfida e si è rivelata un’importante alleata nella ri-cerca incessante di nuove co-noscenze.

Revisione a cura di Anna Palma

“Durante la creazione, in un

arduo processo di sintonia fine del

linguaggio, era anche impossibile non

lasciar travedere la nostra fabbrica di

fantasie, in un mondo reale e allo stesso tempo illusorio”

Voci letterarieMozilene Neri Barbosa

Traduzione di Luna Valeriani

Mãos dadas

Não serei o poeta de um mundo caduco.Também não cantarei o mundo futuro.

Estou preso à vida e olho meus companheiros.Estão taciturnos mas nutrem grandes esperanças.

Entre eles, considero a enorme realidade.O presente é tão grande, não nos afastemos.

Não nos afastemos muito, vamos de mãos dadas.Não serei o cantor de uma mulher, de uma história,

não direi os suspiros ao anoitecer, a paisagem vista da janela, não distribuirei entorpecentes ou cartas de suicida,

não fugirei para as ilhas nem serei raptado por serafins.O tempo é a minha matéria, o tempo presente, os homens presentes,

a vida presente.

Carlos Drummond de Andrade

Prosa, Poesia, Musica: è l’arte che si stringe le ma-ni. Ed è così che la casa

discografica brasiliana “Luz da cidade” lavora. Paulinho Lima – idealizzatore del progetto seleziona i classici della Lette-ratura affinché si possa sentire la bellezza delle parole. Sono offerti, più di 40 titoli, alcuni interpretati dal proprio autore o da autori invitati. Possiamo citare il cd “O Brasil dizendo Drummond” nel quale 158 brasiliani – poeti, attori, fami-liari e amici – recitano i ver-si di questo illustre poeta che inizia e finisce declamando due dei suoi poemi: Mãos da-das e Obrigado. Per Paulinho è “l’universo delle voci”

Il progetto ebbe inizio nel 1996 con dei cd di poesia, subito dopo vennero i rac-conti di Machado de Assis e Clarice Lispector. Il contatto con il materiale di audio si-mili a quelli che adesso so-no prodotti da Paulinho, è avvenuto nell’adolescenza, durante le lezioni di teatro. Nacque così l’idea di pro-durre i cd come maniera di documentare l’pera di un au-tore, però la grande sorpresa fu l’interesse non soltanto dei non vedenti ma anche dei professori che trovavano nei cd un aiuto per le lezioni di letteratura.

Fra i numerosi titoli che compogono il catalogo – di-

sponibile nella pagina http://www.luzdacidade.com.br - abbiamo la presentazione di tre racconti di Eça de Quei-rós interpretati da Paulo Au-tran, Manoel de Barros da Pe-dro Paulo Rangel e dal poeta stesso. Sono diversi titoli che comprendono poesia, prosa, cronaca, musica e opera per giovani e bambini di Cecília Meireles, Marina Colasanti e altri amanti del linguaggio.

Le voci di questa sinfonia di parole sono quelle che ri-suonano nei libri che adesso passano i limiti alla ricerca dell’immaginazione dei lettori attenti e bisognosi di una mu-sica tanto soave e inebriante di nome letteratura.

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I doveri dell’Abruzzo verso Gioacchino Volpe, il piu’

grande storico del novecentoGoffredo Palmerini*

Traggo spunto dal re-cente approdo in libre-ria del volume “Lettere

dall’Italia perduta” di Gioac-chino Volpe, ed. Sellerio, raccolta di 16 lettere del grande storico abruzzese, nato a Paganica (L’Aquila) il 16 febbraio 1876, inviate a familiari o mai spedite, che datano dal giugno 1944 al-l’ottobre 1945. La pubblica-zione è curata da Giovanni Belardelli - sua l’interessan-te introduzione – cui si de-ve il merito d’aver ripropo-sto in più occasioni un’at-tenta riflessione sull’opera di Gioacchino Volpe che - con Giovanni Gentile, Benedetto Croce e Gaetano Salvemini

- ha profondamente marcato la cultura italiana del nove-cento. Dunque uno dei più importanti intellettuali del secolo scorso, direttore del-la Rivista storica italiana e della Scuola di Storia mo-derna e contemporanea, se-gretario generale dell’Acca-demia d’Italia e socio del-l’Accademia dei Lincei, do-cente universitario a Milano e poi a Roma, deputato al Parlamento. A Volpe si de-vono fondamentali studi sto-rici sul medioevo europeo e sul periodo comunale (Il Me-dioevo, Movimenti religiosi e sette ereticali, Il Medioevo italiano), ma anche sull’Ita-lia contemporanea (L’Italia

in cammino, Italia moder-na). Capostipite d’una scuo-la storiografica che grande influenza esercitò nella for-mazione di giovani studiosi (da Federico Chabod a Nel-lo Rosselli, da Delio Canti-mori a Ernesto Sestan, a Ro-sario Romeo), dopo il 1945 Volpe ha conosciuto il limbo d’una incomprensibile emar-ginazione. Una condizio-ne che più d’ogni altro tor-to egli ha sofferto. A lungo etichettato come storico del regime fascista, alla fine del secondo conflitto mondiale Volpe rimane orfano di Pa-tria, conservando intatto lo spirito nostalgico che aveva sognato, per l’Italia, le colo-

nie africane e la crescita in Europa del suo peso politico, invece ridotta a contare “un po’ meno che il Portogallo e certo assai meno della Gre-cia”, come egli lamenta in una lettera.

La lettura del citato episto-lario, scritto in un periodo ne-vralgico della storia naziona-le, dà un’immagine nitida dei sentimenti del grande storico: disorientamento, delusioni, preoccupazioni per il futuro. In fondo una malcelata diffi-denza per il nuovo ordine po-litico succeduto alla fine del fascismo e della guerra. Un difficile periodo per Volpe, quello a cavallo degli anni ‘44 e ’45. Da un lato subisce il rancore dei fascisti per non aver egli aderito alla Repub-blica di Salò che gli boicotta-no la pubblicazione di Italia moderna, dall’altro la nuo-va cultura dominante, uscita vincitrice con la Liberazione dal nazifascismo, che lo pri-va della cattedra universita-ria. Forse più che la cronaca ufficiale di quegli anni, dello stato d’animo di Volpe rie-sce a rendere l’idea proprio questo suo carteggio privato, portato oggi alla pubblica co-noscenza. E, per quanto mi è dato dedurre, rende anche in

parte giustizia sulle presun-te convinzioni fasciste dello storico abruzzese, che tutt’al più conferma i suoi forti sen-timenti monarchici. Raffaele Colapietra, studioso insigne, in una recente conferenza, osservava: “Volpe fu attratto, ma non dominato, dall’ideo-logia fascista. Fu vicino al-l’idea socialista, pur essendo monarchico e patriottico”. D’altronde, la visione volpia-na del fascismo, non mancò d’irritare lo stesso Mussolini che, in un appunto, su Vol-pe annotava: “Non l’ ho mai avuto in simpatia. L’ ho sop-portato per i suoi sette figli. Freddo, grigio, antifascista.”

Cito, della raccolta, una lettera del 28 luglio 1945 di-retta a Giovanni (Nanni), il suo primogenito. Mi permet-to di ritenerla, rispetto alle altre, la più completa. Scritta a Roma di rientro da un pe-riodo di riposo in Abruzzo, nella natia Paganica, la let-tera ha un incipit elegiaco verso il paese natale “sostan-za della mia carne”, un inno alle bellezze naturali ed alle fresche acque, ai campi rigo-gliosi ed alle qualità umane della gente, specie anziana, con cui condivide i ricordi di famiglia. C’è, in questa lette-

ra, un vero condensato di ciò che pensa il grande storico a fine luglio ’45. La diffidenza nella riacquistata libertà, do-minata dalla “licenza e onni-potenza dei partiti e quindi l’impotenza del Governo”, il timore delle epurazioni, il crollo “delle speranze spera-te peri il nostro paese”, il de-siderio di poter riacquistare “le nostre posizioni africane, la nostra porta aperta oltre il mare”. Parlando del tempo presente della nazione, è cri-tico sugli ultimi anni del fa-scismo “…Ma certo, i meto-di debbono essere diversi da quelli del ventennio, … che non si determini una frattu-ra fra regime e popolo, come si stava determinando negli ultimi anni. …E non meno, una diversa politica estera che è stato il tallone d’Achil-le nostro dal ‘38 in poi”. An-notazioni che confermano la sua insofferenza verso le tendenze più violente e to-talitarie del caduto regime. Quindi la raccomandazione al figlio Nanni: “… Tu dovre-sti ora polarizzarti su due co-se: il lavoro pratico, profes-sionale, se ne hai e lo studio di qualche problema. E nien-te politica, partiti, fascismo o antifascismo, …tutte cose

Goffredo Palmerini

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che a toccarle, pungono tut-te. … Bisogna rinchiudersi in una sfera di calma …Lì iso-larsi.” Insomma, consiglia al figlio quello stesso stato che si è ritagliato per sé stes-so “… ora ridotto a cittadino minoris iuris con meno diritti ma anche con meno doveri degli altri”.

Una grande amarezza traspare da queste lettere. In una del 12 settembre ’44 di-retta alla moglie, Elisa Ser-pieri, Volpe traccia quasi un bilancio morale della sua vi-ta. Non si sente grandi rimor-si. “Nel mio pensare politico non c’è stato mai, mai un fi-ne d’interesse personale. Mi son trovato inscritto, per ini-ziativa altrui più che mia, in un partito: ma non ho mai sentito, pensato, operato da uomo di partito. E perciò ho finito coll’aver danno da tutti i partiti: ché gli uni mi seque-strano i libri e gli altri mi tol-gono la cattedra. Il mio vero essere si è attuato nel lavoro e nella famiglia: e in questo voglio sperare di aver fatto la mia parte non troppo male. Non troppo male, neanche la mia parte di Italiano…”. In effetti, nei suoi studi Vol-pe tenne sempre a non mi-schiare politica e cultura. Insomma, nel ruolo apicale avuto nella cultura italiana nel primo novecento e par-ticolarmente nel Ventennio, pur con qualche pedaggio pagato al regime, Volpe riu-scì ad affrancare l’autonomia dei suoi studi, rilevanti per rigore scientifico. D’altron-de, difficile fu la condizione in cui si trovò un’intera clas-se culturale, già matura, du-rante il fascismo. Ma anche la generazione successiva, quella gioventù intellettuale fascista che poi avanzò ver-so la democrazia, passando

con alcuni anche alla lotta di Resistenza. In fondo Vol-pe ha influenzato come po-chi altri un’epoca culturale, diverse generazioni e per-sino i suoi stessi opposito-ri. Ha lasciato una grande eredità intellettuale che non può essere dimenticata, anzi va adeguatamente rivalutata. Un’operazione, questa, ini-ziata già da alcuni anni dagli studiosi, che sta finalmente riconsiderando il grande sto-rico abruzzese nell’interezza della sua dimensione. Non ho la pretesa d’essere utile a questo scopo, compito che spetta ad altre competen-ze scientifiche. E tuttavia, se mi è consentita una notazio-ne critica, tutto questo è av-venuto ed avviene in Italia, ma non ancora in Abruzzo. Non all’Aquila, la sua cit-tà. Anche Gioacchino Vol-pe soggiace alla ventura di non essere profeta in patria. Ci si attende, ricorrendo 130 anni dalla nascita e 35 dal-la morte del grande storico (Santarcangelo di Romagna, 1971), che il mondo cultu-rale, accademico e le Istitu-zioni abruzzesi aprano una finestra in questa direzione. In questo campo la povertà d’iniziative è disarmante. Sa-rebbe quindi veramente ap-prezzabile un impegno del genere. Lo si deve a Gioac-chino Volpe per la dimensio-ne dell’uomo e dello studio-so. Per rendere, per quanto tardivamente, il doveroso tri-buto ad uno dei più rilevan-ti pensatori italiani del seco-lo scorso. Un dovere civile, per contribuire a trarlo da un’ombra inconcepibile. Per chiarire gli elementi contro-versi. In definitiva per ren-dere compiutamente merito all’eminente storico di fron-te alla generalità degli italia-

ni, della sua statura, morale e culturale.

* Goffredo Palmerini è uno dei più longevi am-ministratori del Comu-ne dell’Aquila, capita-le della regione Abruz-zo. E’ infatti membro del Consiglio municipale dal 1975, per molti anni nel governo civico, è sta-to Vice Sindaco fino al 1998. Attualmente è Pre-sidente del gruppo con-siliare della Margherita. Molto attivo nel campo culturale, scrive su gior-nali e riviste abruzzesi. Suoi articoli sono stati ospitati sulla stampa in lingua italiana all’este-ro, in Argentina, Austra-lia, Canada, Stati Uniti e Venezuela. E’ Ammini-stratore delegato (mana-ging director) dell’Istitu-to Cinematografico del-l’Aquila, prestigioso ente riconosciuto dal Ministe-ro per i Beni e le Attivi-tà Culturali, Consigliere di Amministrazione di Abruzzo Film Commis-sion e membro dell’Isti-tuto abruzzese di Storia della Resistenza e del-l’Italia contemporanea. Da alcuni anni svolge un’intensa attività di re-lazione con le comunità italiane all’estero, parti-colarmente con quelle abruzzesi, in campo so-ciale e culturale. In rap-presentanza dei Comuni, è componente del CRAM (Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo), l’organismo della Regio-ne Abruzzo composto dai delegati delle comu-nità regionali nei cinque continenti.

Scatto Storico

Liguria

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Senza Schema

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SOLU

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Curiosità:Il nome cinese della seta assomiglia ad un fruscio: in quella lingua essa si chiama infatti “ss”.

— Sveglia Marco, il lavabo perde!

— Mentre torni da tua madre, potresti darmi una birra?

L’amore illumina anche quando viene ferito

Per capire, per scoprire bi-

sogna amare. Non puoi

suonare, non puoi com-

porre musica se non sei affasci-

nato dalle note, se la musica non

costituisce per te qualcosa di es-

senziale. Anche l’entomologo

che studia gli insetti li ama, li

riconosce uno a uno, di loro

sa ogni abitudine, ogni segreto.

Quello che per un altro è un es-

sere ripugnante per lui è mera-

viglioso, bello. Lo stesso succe-

de a chi studia i serpenti, perfi-

no a chi studia i batteri o i vi-

rus. Lo storico che fa ricerca su

un personaggio famoso, anche il

più crudele e sanguinario, finis-

ce per capirlo, per entrare nella

sua mente, nelle sue motivazio-

ni, per sentire in qualche modo

come lui. E nella cronaca nera lo

psichiatra o lo psicologo che stu-

dia un pazzo criminale quando

ti spiega il suo comportamento ti

dà sempre l’impressione di gius-

tificarlo.

Quante infinite sfumature del

bello vede una madre nel suo

bambino, l’uomo nella donna

di cui è innamorato. Conosce

ogni centimetro della sua pelle,

il significato di tutte le espres-

sioni del suo viso, riconosce il

suono dei suoi passi da lontano,

il timbro della sua voce fra tut-

te. Ma non diciamo che l’amore

è cieco? Sì lo diciamo, ma non

è vero.

Francesco Alberoni In realtà la trasfigurazione

dell’amore non è mai pura inven-

zione, puro delirio, ha sempre una

base, non fa che accentuare ciò che

esiste, espandere quanto in quel mo-

mento desideri. È una esagerazione,

una iperbole, non una illusione. Poi,

se le stesse qualità che ti erano in-

dispensabili all’ inizio dell’amore in

seguito non ti servono più, le tras-

formi in difetti. Quando un amore

finisce ciascuno rimprovera all’altro

di non essere come lo aveva imma-

ginato, mentre in realtà gli rimpro-

vera di essere proprio ciò che era.

Ma per vivere non possiamo so-

lo amare. Se ami vedi nell’altro so-

lo ciò che ha di buono, mai la mal-

vagità, il pericolo. Eppure anche

per conoscere il nemico devi in

qualche modo amarlo perché de-

vi identificarti con lui, capire i suoi

meccanismi mentali, rivivere i suoi

sentimenti fino all’odio che prova

verso di te. Ricordo, ero a Damas-

co nel 1974 e studiavo l’islam con

amore. Un giorno a casa di uno

studioso lui si è messo a parlare di

Rum (l’occidente) con una cattive-

ria tale che mi si è stretto il cuore.

Ho capito il suo modo di pensa-

re e l’odio implacabile che scorre-

va sotto la cortesia, l’autocontrollo

del suo mondo. Un odio che non

ho più dimenticato e che gli altri

non conoscevano proprio perché

non erano andati come me con

cuore aperto. L’amore illumina an-

che quando viene ferito.

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