new pontificia universita’ salesiana la psicologia … · 2014. 6. 30. · 1 pontificia...
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PONTIFICIA UNIVERSITA’ SALESIANA
LA PSICOLOGIA DINAMICA E LO STUDIO
PSICOLOGICO DEL FENOMENO MISTICO
Tesi di Licenza di FERRETTI ERCOLE
Relatore: prof. ALBINO LONGO
Roma 1986
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INTRODUZIONE
Iniziare un qualsiasi lavoro di ricerca avendo ben chiari,
fin dalle prime fasi, tutti i principali punti da esaminare e da
trattare, e sui quali sviluppare l'intero discorso intrapreso, non
sempre risulta possibile, e tantomeno agevole.
Molto spesso, il tema scelto e proposto, è conosciuto solo
a grandi linee, e verso di esso si è trasportati più da un
interesse personale per l’argomento che non da una profonda
conoscenza preventiva.
Ciò può condurre alla dissertazione su aspetti e problemi
nuovi, o inizialmente trascurati, ed a volte perfino a deviazioni
rispetto allo schema prefissato, sotto la spinta di scoperte
impreviste ed importanti.
Sono convinto che questo carattere di “novità” insito nella
ricerca, anche se talora comporta ampliamenti o digressioni
del discorso, sia il motore principale di ogni attività
speculativa.
Il presente lavoro, anche e soprattutto per il tema trattato,
che si presta ad essere esaminato sotto molteplici punti di
vista, non sfugge certo al condizionamento della “novità” nella
ricerca.
Novità, beninteso, non nel senso dell’acquisizione di
contributi inediti da parte di autori sconosciuti, ma nel senso
di scoperta, o riscoperta, di scritti fondamentali ai autori noti.
Come accennavo prima, il tema di questo lavoro può
essere affrontato da più direzioni: basti pensare ad un
approccio da parte religiosa e ad un approccio da parte laica,
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tanto per dare una prima idea dei due principali modi di
trattare l’argomento, tra loro antitetici.
Continuando, si troveranno numerose correnti spirituali,
nell’ambito dell’approccio religioso, ed altrettante correnti di
pensiero nell’ambito dell’approccio laico.
Le discipline interessate spazieranno dalla filosofia alla
psicologia, dall’antropologia culturale alla sociologia, dalla
psicanalisi alla neurologia; in breve, tutte le scienze umane
offriranno dati, argomenti e spunti da vagliare, confrontare,
coordinare.
Prima di intraprendere, in maniera dettagliata, lo studio
del fenomeno mistico, desidero tracciarne, con questa
introduzione, un quadro generale dal punto di vista storico-
cronologico.
Il termine “mistica” risale ai culti misterici dell’antica
Grecia, a carattere esoterico, le cui radici affondavano nei riti
primitivi delle iniziazioni.
L’etimologia deriva dal verbo μύειν (chiudere), che dà
l’idea della segretezza, e quindi del “mistero”, che avvolgeva
quei culti.
Mistero reso ancora più fitto dalla scarsità di notizie e
dalla difficoltà di interpretazione di quelle pervenuteci, in
genere provenienti da scrittori cristiani e, in quanto tali,
parziali.
Per quel che ci è dato sapere, carattere fondamentale dei
culti misterici era quello di rappresentare, per gli iniziati,
un’ancora di salvezza, un punto di riferimento, una risposta ai
problemi relativi alla vita ed alla morte, che le religioni ufficiali
non erano in grado di offrire.
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Le cerimonie erano caratterizzate, a seconda dei culti, da
sacrifici, abluzioni, digiuni, banchetti sacri, danze, ecc. a cui
partecipavano gli iniziati che, attraverso stadi diversi,
pervenivano al grado più alto costituito dalla “visione”, o
addirittura da una specie di identificazione con la divinità.
Questo contatto con la divinità è praticamente il dato
ricorrente e fondamentale del fenomeno mistico, riscontrabile,
sia pure con differenti connotazioni, in tutte le religioni.
In alcuni casi, si assiste all’identificazione con la divinità,
e di conseguenza all’annullamento dell’individualità.
In altri casi, invece, si instaura una comunione che non
cancella distinzione tra divinità e credente.
In generale, si può affermare che l’esperienza mistica è
riposta nello speciale ed esclusivo rapporto con la divinità, di
fronte alla quale l’uomo è soggetto passivo.
Ciò nonostante non si può non citare quel complesso di
esercizi propedeutici all’esperienza mistica, che vanno dalle
tecniche sciamaniche dell’estasi all’uso di sostanze inebrianti,
dalla pratica dello yoga ai diversi tipi di ascetismo.
Per quanto riguarda il contatto con la divinità, la
fenomenologia mistica si rivela relativamente uniforme. Il
cammino da percorrere attraversa vari stadi, che possono
essere in breve così riassunti: rifugio nell’interiorità
dell’individuo, purificazione, liberazione, annichilimento,
morte.
Il rapporto intimo tra l’individuo e la divinità sconvolge i
comportamenti umani, e non può manifestarsi se non
mediante l’estasi (έκστασισ, cioè l’esser fuori di sé).
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E l’estasi può essere accompagnata da fenomeni
collaterali, quali anestesia, stato di trance, o addirittura
levitazione, comparsa di stimmate, ecc., oppure da
irrefrenabile entusiasmo, invasamento, ebbrezza.
Da una parte, l’esperienza mistica è per sua natura
incomunicabile, dall’altra è a volte fonte di complesse
interpretazioni, e base per l’enunciazione di una teologia
mistica, come si può riscontrare in Giovanni della Croce
(Fontivéros, Ávila, 1542 – Ubeda, Jaén 1591), in Teresa d’Ávila
(Ávila 1515 –alba de Tormes, Salamanca, 1582), in al-Ghazāli
(Tus, Iran, 1058 -1111), o nella qabbalah.
Elementi comuni alle grandi religioni a fondamento
biblico (giudaismo, cristianesimo Islam), per quanto concerne
l’esperienza mistica, sono la fede nell’unico Dio creatore, la
rivelazione attraverso le Sacre Scritture, l’escatologia.
Nell’ambito di queste religioni, si può tentare di tracciare
una dinamica specifica del fenomeno mistico, che non appare
inesatto collegare, sia pure genericamente, con momenti di
crisi religiosa dovuti al fatto di avvertire la lontananza della
rivelazione originaria.
Lontananza non tanto in termini cronologici, quanto in
termini di sentimento interiore, di mancanza di contatto con l
divinità che non si manifesta più.
Si assiste, pertanto, all’insorgere del montanismo, il
movimento ereticale sorto intorno al 170 in Asia Minore ad
opera del prete frigio Montano di Pepuza e delle “profetesse”
Priscilla e Massimilla.
Il movimento propugnava una forma di ascesi assai
rigida, ed i suoi seguaci si ritenevano ispirati direttamente da
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Dio, e per questo rifiutavano l’obbedienza alla gerarchia
ecclesiastica.
Le manifestazioni esteriori lasciavano ampio spazio ai
fenomeni mistici ed estatici, inizialmente tollerati dalla Chiesa,
ma in seguito da essa contrastati.
L’atteggiamento della Chiesa ufficiale, riguardo al
misticismo, varia più volte, passando da momenti di reazione
ortodossa a momenti di ampia tolleranza.
In linea di massima, si può affermare che la Chiesa
cattolica e le chiese di più antica tradizione spesso dimostrano
rispetto per il fenomeno mistico, anche se non si ravvisa in esso
l’essenza della vocazione cristiana.
Volendo tracciare le fasi dello sviluppo storico del
misticismo cristiano, in attesa di ritornarvi più
esaurientemente in seguito, possiamo citare le numerose
testimonianze di visioni mistiche nell’epoca dei martiri, come
quella di Stefano, o quella di Ignazio di Antiochia.
Successivamente, in epoca patristica, clemente
Alessandrino (150-215) riconosce l’importanza della
conoscenza mistica, superando con ciò l’opposizione tra fede e
conoscenza (gnosi), e valorizzando la “firma ac stabilis
demonstratio eorum quae assunta sunt per fidem”.1
Tale linea è sviluppata da Origene (Alessandria 185 ca. -
Tiro 253 ca.), che rimarca l’importanza dell’interpretazione non
solo letterale, ma allegorica o mistica della Bibbia, dando
particolare risalto alle illuminazioni mistiche, ed aprendo la via
ad una accezione elitaria della conoscenza mistica.
1 Dal Pra Mario, Sommario di Storia della Filosofia, vol. I, La Nuova Italia, Firenze, 1970, pag. 191
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Origene procede con larghe aperture di carattere
dottrinale, e sviluppa il tradizionale motivo della rivelazione
progressiva di Dio agli uomini, culminata nell’Incarnazione del
“Logos”.
Pochi decenni più tardi, con l’affermarsi del monachesimo
si afferma parallelamente la vita ascetica intesa come lotta
contro i sensi e premessa all’esperienza mistica, vista come
possibilità di ritorno al paradiso perduto (Atanasio,
Alessandria, 295-373).
In tale periodo la mistica è anzi considerata come
condizione per il ritorno alla purezza precedente il peccato
originale, come mezzo per affrancarsi dalla impudicizia del
corpo e della materia.
E’ questo il momento dei monaci del deserto, primo fra
tutti Antonio (Come, Medio Egitto, 250 ca. - 356), il cui modello
di vita e l’ideale monastico furono illustrati da Atanasio nella
“Vita” del 357, nella quale si tende ad identificare l’ascesi
monastica e la mistica.
Macario d’Egitto (300-390 ca.) è tra quanti, per primi,
avvertono il pericolo di un incombente panteismo nel fenomeno
mistico, mentre Evagrio Pontico (Ibera, Ponto, 345 ca. - Egitto
399), nei suoi “Problemi gnostici”, fa proprie le concezioni più
ardite dell’antropologia e dell’escatologia origeniana,
rendendole ancor più rigide e radicali, in funzione di una
ascesa a Dio tramite la mistica, realizzata purificando l’anima
da ogni sorta di materialità.
Classica è la sua distinzione tra ascesi, o “vita pratica”, e
mistica, o “vita gnostica”.
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S. Agostino, da parte sua, testimonia della possibilità che
non è necessario vivere in una comunità monastica per vivere
l’esperienza mistica, essendo sufficiente far parte di una
comunità cristiana.
Alla fine del V° secolo, si diffondono con notevole successo
le opere di Dionigi Areopagita, o Pseudo-Dionigi, e soprattutto
una “Teologia mistica” che sostiene la inconoscibilità di dio se
non attraverso una complessa serie di mediazioni, tra di loro
subordinate.
Condotta la mistica ad una esasperazione
intellettualistica, questa verrà ad eclissarsi nel cristianesimo
occidentale negli anni dell’Alto Medioevo, mentre nella chiesa
orientale si accentua il riferimento al Cristo risorto e glorioso.
Dopo l’XI° secolo, l’Occidente riscopre il fenomeno
mistico, caratterizzato da connotazioni psicologiche anziché
intellettuali, e diffuso non più tra credenti in generale, ma per
lo più solo tra religiosi e, elemento di novità, tra religiose.
Ricordiamo tra queste Hildegard von Bingen
(Bermersheim, Alzey, 1098 – Rupertsberg, Bingen, 1179),
monaca benedettina, iniziatrice della tradizione mistica in
terra tedesca; Elisabeth von Schoenau (1129 ca. – Schoenau,
1164), benedettina anch’essa; Matilde di Magdeburgo (XIII°
sec.), facente parte di una comunità di beghine, poetessa di
toni ora rarefatti, nella descrizione dell’estasi mistica, ora cupi,
nella rappresentazione di scene infernali, ma sempre rigida
nella dicotomia tra anima e corpo, tra spirito e materia,
derivantele dalla sua formazione culturale legata al neo-
platonismo; Gertrude la Grande (1256 – Halfta, Turingia,
1302), monaca cistercense dotata di buona educazione
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letteraria ed artistica, tra le prime a propagare la devozione al
Sacro Cuore.
Uno dei momenti sublimi, all’inizio del XIII° secolo, giunge
con San Francesco d’ Assisi (Assisi, 1182-1226), che appare
rapito dal mistero del Cristo nella Incarnazione, nella Passione,
nell’Eucarestia, e la cui esperienza mistica tocca il culmine con
lo straordinario fenomeno delle stimmate.
Verso la fine del Duecento e nel Trecento, la mistica si
scontra con l’emergente umanesimo cristiano, nonché con il
dilagante disordine ecclesiale, rivelandosi talvolta mezzo di
fuga da esso.
Nel XIV° secolo non possiamo non ricordare Santa
Caterina da Siena (Siena, 1347-Roma, 1380), che assume
quale fulcro della sua mistica il sentimento di imperfezione
dell’uomo di fronte all’infinita perfezione di Dio, ed introdusse
elementi assai popolari come la venerazione del Sangue di
Cristo.
Nel Quattrocento, la mistica subisce un forte declino,
osteggiata in Europa dai grandi riformatori come Lutero e
Calvino.
Occorre attendere il XVI° secolo, con gli spagnoli Ignazio
di Loyola, Teresa d’ Ávila e Giovanni della Croce (già citati), per
assistere alla riaffermazione della mistica, mentre il XVII°
secolo vede i mistici francesi, quali Francesco di Sales (Sales,
Savoia, 1567-Lione 1622), Pierre de Bérulle (Sérilly,
Champagne, 1575 – Parigi, 1629).
Con il diffondersi del cosiddetto “quietismo”, propugnato
da Miguel de Molinas (Muniesa, Saragozza, 1628-Roma, 1696),
e da François Fénelon (Fénelon, Périgord, 1651-Cambrai,
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1715), e con l’incalzare del razionalismo, la mistica va incontro
ad una nuova eclissi.
Riemerge, alla fine del XIX° secolo, con gli innovatori
Teresa di Lisieux Alençon, Normandia, 1873 – Lisieux, 1897) e
Charles-Eugène de Foucauld (Strasburgo, 1858 –
Tamanrasset, Algeria, 1916), che tracciano il percorso della
“piccola via”.
La piccolezza umana non è di ostacolo all’azione divina,
in quanto l’amore di Dio risplende nelle creature più umili.
La contemplazione non è in contrasto o in alternativa ad
una condotta di vita comune, che sia testimonianza dell’amore
di Cristo tra i fratelli in mezzo ai quali si vive.
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CAPITOLO I
Il fenomeno mistico
Come già accennato nell’introduzione, il tema di questo
lavoro presenta diverse difficoltà, anche perché, perfino a
livello di semplice definizione, il fenomeno mistico ha
incontrato, e tuttora incontra, molteplici descrizioni.
Per il momento, possiamo semplicemente affermare che il
fenomeno esiste, e che non ha la caratteristica della univocità,
né appartiene ad una sola religione, o ad una particolare
cultura.
Possiamo altresì constatare che non è circoscritta ad una
determinata epoca storica, ma si manifesta pressoché
ininterrottamente nel corso dei secoli.
Ciò che interessa, in questa prima parte del lavoro, è
trovare le risposte ad alcune domande fondamentali:
1. Qual è la vera natura del fenomeno?
2. Quale ne è l’origine?
3. Il fenomeno mistico è necessariamente collegato
all’esperienza religiosa?
4. Quale importanza e significato riveste la
purificazione dell’anima che sembra precedere sempre ogni
caso di misticismo?
5. E’ possibile rilevare con esattezza le differenze tra
uno stato mistico ed uno stato di esaltazione mentale?
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6. E’ possibile accostarsi al fenomeno usando i mezzi
della psicologia dinamica sperimentale?
Queste e molte altre domande ancora, sono sorte all’inizio
di questo lavoro, e a tutte cercheremo di dare una esauriente
risposta.
Cominceremo, pertanto, con il riportare le principali
definizioni del fenomeno mistico, traendole da alcuni dizionari
ed enciclopedie che con maggior ampiezza hanno trattato
l’argomento, pur nella sinteticità che è loro connaturale.
Mistica è “Nome che oggi generalmente designa o lo stato
d’animo di chi si immerge nella realtà spirituale mediante la
contemplazione religiosa (detta spesso misticismo) o la dottrina
ad esso relativa (detta anche teologia mistica).”2
Troviamo in Origene, ed ancor più nello Pseudo-Dionigi,
il “Concetto di una conoscenza sperimentale o quasi
sperimentale delle realtà divine, la quale procede da una
ένουσισ o ‘unione’ intima con Dio. (…) Questo (…) significato,
prevalso attraverso il medioevo, è il solo oggi che sia in uso nel
cristianesimo.”3
Da un punto di vista etimologico, come abbiamo già visto,
mistica “Deriva dal verbo greco μύειν, (chiudere), detto degli
occhi e della bocca, che nella antichità classica si usava per
indicare un’attività segreta. Passò quindi a significare
cerimonie e dottrine che avevano un carattere religioso ed
occulto. L’aggettivo μιστικóσ nell’ambiente ellenistico
designava una forma di culto sacro, misterioso e nascosto,
2 Enciclopedia Cattolica, voce Mistica, curata da Ernesto Mura, vol. VIII. 3 Ibidem.
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riservato a chi era iniziato (μύστησ), con i riti e le cerimonie
arcane che costituivano l’iniziazione (μύεσισ). Nel significato
attuale mistica indica una particolare esperienza del divino o
dell’assoluto, e insieme la scienza ne fa oggetto di ricerca.”4
Secondo Jacques Maritain (Parigi, 1882 – Tolosa, 1973),
filosofo francese educato nel clima culturale razionalista degli
ultimi anni dell’Ottocento, passato poi alla scuola bergsoniana,
di cui condivideva la rivendicazione di uno spazio per le scienze
dello spirito, e quindi staccatosi anche da essa spinto da una
irrinunciabile fiducia nella ragione, per approdare, infine,
convertito, al cattolicesimo, la mistica è “une expérience
fruitive de l’Absolu”.5
“Il concetto proprio di mistica include il raggiungimento di
Dio per via diversa dalla razionale e una certa fruizione della sua
presenza. (…) L’uomo può giungere a Dio con la sua intelligenza,
risalendo dalla contingenza delle creature alla necessità di un
Creatore. L’accettazione della rivelazione, per mezzo della fede,
conduce ad una cognizione di Dio più alta e completa, ma oscura
per noi, perché la natura intima di Dio viene proposta con termini e
concetti umani, incapaci di esprimere una realtà infinita. La mistica
si propone di giungere a Dio per una via soprarazionale e
sperimentale.”6
E il concetto della conoscenza di Dio soprarazionale e
sperimentale, riferito alla “mistica” intesa come “teologia
4 Enciclopedia Filosofica, voce “Mistica”, curata da Albino Marchetti, vol. III 5 Maritain Jacques, “L’expérience mystique et le vide”, in Nuit Mystique, “Etudes Carmélitaines”, 1938, pag. 116. 6 Enciclopedia Filosofica, voce “Mistica”, curata da albino Marchetti, vol. III.
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mystica”, lo troviamo anche altrove, a riprova del carattere di
immediatezza del fenomeno mistico.7
Ed ancora, la mistica è vista come quella “Situazione
spirituale in cui, posta l’assoluta realtà del divino, lo spirito
individuale sente la sua perfezione nella massima adeguazione
e risoluzione possibile di sé in tale realtà, tanto sul piano
conoscitivo che su quello pratico.”8
Mistica come “status”, ma anche come “scientia”, come
“Dottrina relativa alla possibilità di attingere il divino
attraverso un’esperienza mistica; in particolare quella parte
delle scienze teologiche (più propriamente detta teologia
mistica) che fondandosi sulle dichiarazioni degli scrittori
mistici tratta della conoscenza soprarazionale, sperimentale,
immediata di Dio.”9
C’è da osservare, peraltro, che anche come dottrina la
mistica non ha mai perso il suo carattere occulto, che la rende
afferrabile solo da chi è dotato da una intuizione superiore,
capace di penetrare i segreti stessi di Dio.
“Anche lo Pseudo-Dionigi adopera l’espressione in (…)
senso, in una accezione determinata dalla dottrina della fede
cristiana e dal Neoplatonismo (cfr. Περί μυστικήσ θεολογίασ,
MG, III).”10
Le esperienze mistiche oltrepassano i limiti della
coscienza e delle cognizioni intellettuali degli individui normali,
essendo “Esperienze che avvengono, e sono donate, nell’intimo
7 Enciclopedia Italiana, voce “Mistica”, curata da Franz Rudolf Merkel. 8 Dizionario Enciclopedico Italiano, voce “Mistica” 9 Ibidem. 10 Dizionario delle Religioni, voce “Mistica”, curata da B. Thum.
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dello spirito, in unione con il principio sopra empirico di tutta
la realtà.”11
Quanto alla voce “misticismo”, non è agevole distinguere
chiaramente da “mistica”, in quanto nei vari dizionari
consultati sia il primo termine che il secondo indicano tanto il
fenomeno in sé che la relativa dottrina.
Il misticismo è infatti considerato sia come
“Atteggiamento religioso, la cui caratteristica principale è il
tendere all’unione con la divinità (o con l’Assoluto o con forze
superindividuali in genere)”, sia come “senso di religiosità
profonda per cui si aspira ad una vita totalmente spirituale”,
sia come “Dottrina filosofica o religiosa che afferma la
possibilità, nell’uomo, di giungere al possesso dell’Assoluto
prescindendo da ogni procedimento razionale, dialettico, (…)
facendo appello a segrete, soprannaturali capacità di cui
l’uomo appare misteriosamente dotato.”12
Nei testi cristiani più antichi, il termine misticismo faceva
sempre riferimento al “mistero” di Cristo. Successivamente,
con il nascere della teologia, specialmente nella scuola
alessandrina, cominciò a designare una speciale conoscenza di
Dio, dovuto non tanto allo studio, ma ad una “quasi
esperienza” di Dio, ad una “simpatia” intesa nel senso
originario di συη-παθείν.
Ricordando la classica definizione dello Pseudo-Dionigi, il
mistico è un “patiens divina”, che sperimenta e subisce la sua
unione con Dio.
11 Ibidem. 12 Dizionario Enciclopedico Italiano, voce Misticismo.
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Volendo affrontare un primo tentativo di sintesi tra le
definizioni fin qui riportate, possiamo azzardare che
1. Il fenomeno mistico è un particolare stato d’animo
che deriva da una situazione spirituale in cui è convolto
l’individuo dedito alla contemplazione religiosa.
2. Il mistico tende all’unione con la divinità, che
scaturisce da una conoscenza immediata, soprarazionale e
sperimentale della divinità stessa, al di là di qualsiasi processo
razionale.
3. Questo raggiungimento di Dio seguendo una via
diversa da quella della ragione, del tutto individuale senza
intermediari, che dà l’dea dell’intimità e della interiorità della
esperienza mistica.
Possiamo a questo punto chiederci se questo processo,
indubitabilmente interiore, è in qualche modo indotto da
qualcuno o da qualcosa. Come dire che il mistico non crea, sia
pure inconsciamente, la propria esperienza dall’interno, ma la
subisce, senza potervisi opporre, dall’esterno.
Secondo alcuni, l’esperienza mistica è un dono della
divinità, che prescinde da un intervento attivo del prescelto,
come pure dai suoi meriti.
“E’ Dio che chiama l’anima alla contemplazione; perché a
confessione di tutti i mistici, è questo un dono essenzialmente
gratuito. (…) Se dunque l’iniziativa è tutta di Dio, se è Lui il
principale agente, e l’anima se ne sta come passiva, è chiaro che
l’anima non può ingerirsi da sé in questo stato né meritarlo. (…)
Questa gratuità è ammessa pure dalla Scuola che tiene che tutte le
anime sono chiamate alla contemplazione. (…) Essendo la
contemplazione dono essenzialmente gratuito, Dio la concede a chi
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vuole, quando vuole e come vuole. Ordinariamente però e in via
normale, non la concede che alle anime ben preparate.”13
La teologia cattolica rileva questa particolarità, e cioè che
“Dio innalza di preferenza alla contemplazione le anime che vi
sono preparate col distacco, colla pratica della virtù e
coll’esercizio dell’orazione.”14
In effetti, molti di coloro che sono arrivati alle vette del
misticismo cattolico hanno dapprima percorso le varie tappe
del distacco, della purificazione, dell’ascesi.
Ma la strada verso il misticismo non è necessariamente
segnata da questi stadi di liberazione dalle cose terrene, in
funzione del graduale raggiungimento della comunione con
Dio.
Non mancano, pertanto, esempi di persone anche
dissolute che, scelte per insindacabile ed imperscrutabile
volontà divina, sono state toccate dalla grazia.
“Vi sono anime che Dio intende guadagnare (…) Vedendole
tanto dissipate, non vuole da parte sua si trascuri alcun mezzo, e
benché si trovino in cattivo stato e prive di virtù, le inonda di
consolazioni, delizie e tenerezze, affinché si muovano a qualche
buon desiderio. Talvolta anzi, ma raramente e per poco tempo, le fa
anche entrare nella contemplazione.”15
S. Teresa d’Ávila, pur tornando più volte sul tema
dell’assoluta libertà con cui Dio si degna di accordare le sue
13 Tanquerey Adolfo, compendio di teologia ascetica e mistica. Roma-Tournai-Parigi, Desclée et Cie., 1928, pag. 3. 14 Ibidem, pag. 864. 15 S. Teresa di Gesù, Cammino di perfezione, XVI, 8. In “Opere”, Roma, Postulazione Generale OC.D., 1958.
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grazie a chi vuole, come vuole e quando vuole, in alcuni passi
sembra contraddire tale convinzione.
Lo si nota quando essa dice: “Dovendo essere chiamati ad
occuparsi in modo speciale di ciò che riguarda l’interiore, sono
persuasa che Dio non conceda questa grazia se non a coloro che van
staccandosi da tutto, se non con l’opera perché impediti dal loro
stato, almeno col desiderio”.16
In pratica, mentre la dottrina cattolica ribadisce il libero
intervento di Dio, che può toccare chiunque con la grazia, S.
Teresa, pur additandone alcuni esempi, non manca di far
rilevare l’importanza dei vari gradi di purificazione per mezzo
dei quali è più facilmente accessibile l’esperienza mistica.
D’altra parte, il “Catello interiore”, che è il capolavoro
della santa ed anche una delle opere più alte della mistica
spagnola, costituisce una possente testimonianza della
necessità di giungere al divino attraverso, appunto, diversi
gradi.
In esso S. Teresa immagina l’anima come un grande
castello formato da sette stanze o dimore, che devono essere
percorse tutte prima di poter arrivare alla dimora centrale,
dove siede in trono Cristo.
Nella figurazione del castello, S. Teresa ha distinto tre
gradi iniziali di orazione attiva o discorsiva, in cui l’anima
rinuncia al peccato e progredisce sulla via della virtù, e quattro
gradi di orazione passiva, in cui Dio si impossessa
gradualmente dell’anima, la spoglia della volontà e la pone in
condizione di desiderare solo ciò che Egli vuole.
16 S. Teresa di Gesù, Castello interiore, quarte mansioni, III, 3. In “Opere”, Roma, Postulazione Generale OC.D., 1958.
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Nella quarta dimora, infatti, l’anima comincia a godere
della soavità di Dio, illuminata dalle prime grazie mistiche.
Nella quinta dimora, divenuta insensibile alle cose
terrene, pregusta già le gioie dell’intimità con dio, che si
accresce nella sesta dimora, in cui l’anima celebra il suo
fidanzamento spirituale.
Nella settima dimora, infine, si compie il matrimonio
spirituale, e l’anima diventa una sola cosa con Dio.
Volendo riassumerei termini del problema, potremmo
forse dire che da una parte l’esperienza mistica può capitare a
chiunque, dall’altra è più facile che capiti a chi abbia
rinunciato alle lusinghe dei piaceri terreni, perseguendo
l’ideale della purificazione dal peccato.
Almeno per quanto riguarda il misticismo cristiano, salvo
particolari casi riconducili al libero intervento divino, il
conseguimento della purezza dell’anima è condizione
necessaria, se non indispensabile, per godere dell’esperienza
mistica.
Tale esperienza si configura in “Uno stato di vita spirituale
più elevato, nel quale l’anima, arricchita dalla Grazia Santificante,
di solito già purificata non solo dai peccati gravi ma anche in gran
parte dalle tendenze viziose e inclinazioni naturali, allenata nella
pratica delle virtù cristiane, giunge ad un’unione intima con Dio,
che non è frutto della propria attività soprannaturale ma dono infuso
di Dio, accompagnato da delizie spirituali. Illuminata dallo Spirito
Santo, l’anima vi contempla la verità della fede, non più con la
meditazione discorsiva, ma con uno sguardo semplice e fisso pieno
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di amore, con un senso di sapida esperienza e spesso di contatto con
Dio.”17
Tutto quanto finora detto, però, sottende una concezione
esclusivamente religiosa del fenomeno mistico, che è quindi
evidentemente parziale.
Anche quest’ultima descrizione dell’esperienza mistica,
che deriva dagli scritti e dalle testimonianze dei mistici più
tradizionali, è la classica definizione della teologia cattolica,
completa abbastanza, ma non dimostrabile con prove concrete.
Occorre dunque affrontare il problema da altri punti di
vista, come del resto abbiamo anticipato nell’introduzione,
esaminandolo senza gli occhiali della fede, ma attraverso il
microscopio della ragione, sempreché un tale fenomeno si
presti ad una analisi di tipo scientifico.
Quanto a ciò, riteniamo che si possa studiare l’esperienza
mistica prescindendo da “proposizioni di fede”, che
riconducono tutto alla volontà di Dio.
Tutto il creato è opera di Dio, ma non per questo è
inconoscibile. Man mano che l’homo sapiens ha affinato le sue
conoscenze, si è liberato da certi timori, o anche solo dallo
stupore di fronte a fenomeni che prima non riusciva a
comprendere, e di cui ora gli sono noti i meccanismi, le regole.
Studiare gli stati ascetici, le esperienze estatiche, i
fenomeni mistici è senz’altro possibile, anche ammettendo che
derivino ai singoli “gratificati” dalla volontà di Dio, in quanto
sono comunque stati che investono la psiche umana,
nell’accezione più ampia del termine.
17 Enciclopedia Cattolica, voce “Mistica”, già citata.
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Esamineremo pertanto, il pensiero di eminenti studiosi
che si sono accostati al problema da altre direzioni, non
considerandolo solo sotto l’aspetto religioso, ma anche sotto
l’aspetto umano in genere, e psicologico in particolare.
WILLIAM JAMES.
Psicologo e filosofo statunitense, nato a New York nel
1842 e morto a Chicorna (N.Y.) nel 1910. Il James ricevette
un’educazione ricca e composita, grazie all’ambiente familiare
stimolante ed ai frequenti soggiorni di studio in Europa,
soprattutto in Inghilterra, Francia e Germania.
Suo padre era il filosofo Henry James Sr., e suo fratello il
famoso scrittore Henry James Jr.
Inizialmente, il James si orientò verso lo studio delle
scienze naturali e della medicina, ma ben presto i suoi interessi
si concentrarono sulla nuova psicologia fisiologica di W. Wundt
e H. Lotze.
Nel 1872, reduce da una grave malattia nervosa, il James
ottenne di insegnare fisiologia all’università di Harvard, e nel
1876 ebbe la cattedra di psicologia fisiologica, alla quale
affiancò il primo laboratorio di psicologia sperimentale degli
U.S.A.
Il suo lavoro in campo psicologico fu fecondo e geniale, e
la sua influenza si estese a livello mondiale.
Dopo il 1890 (anno in cui scrisse “I principi di psicologia”),
però, il James si rivolse sempre più verso gli studi filosofici,
riprendendo quella dottrina alla quale, vent’anni prima, il suo
22
amico Ch. S. Pierce aveva dato il nome di pragmatismo, e la
rielaborò secondo il suo personale modo di vedere le cose.
Anche in campo filosofico il James seppe eccellere,
facendo conoscere al mondo intero il pragmatismo, e
imponendolo come una delle principali correnti di pensiero del
primo Novecento.
Volendo citare le sue opere principali, ricorderemo: “La
volontà di credere” (1897), “Varie forme dell’esperienza
religiosa” (1902), “Pragmatismo” (1907), “Il significato della
verità” (1909), “Un universo pluralistico” (1909), “Problemi di
filosofia” (1911), “Saggi sull’empirismo radicale” (1912).
Il James si oppone sia al materialismo positivistico, sia
all’idealismo assoluto hegeliano, proponendo un nuovo
concetto di verità: è vero tutto ciò che dà luogo ad effetti pratici
e soddisfacenti, poiché la verità non può disgiungersi dagli
interessi pratico-emotivi dell’uomo, né deve ridursi al mero
requisito della coerenza logico-formale.
“La realtà – egli dice – è una corrente continua, è un continuo
divenire; per cui vera esperienza è, diversamente da quella dei
positivisti, l’esperienza rivolta non determinazioni passate della
realtà, ma a quelle a venire sotto il banco di prova delle nostre
conoscenze. E invero, non solo le leggi scientifiche, ma tutte le
nostre idee (morali, politiche, religiose, ecc.) sono valide solo se
hanno la capacità di operare sulla realtà in atto, e di trasformarla in
conformità dei fini che ci proponiamo.”18
Per questa via il James rivendicava contro i positivisti i
valori della fede e del sentimento religioso: i problemi essenziali
18 De Ruggiero-Canfora, Storia della Filosofia, pag. 360.
23
dell’esistenza non trovano risposta nelle tesi, sempre
provvisorie, della scienza e della filosofia; l’uomo ha diritto a
credere nei valori che danno senso e scopo alla vita.
Non solo ha il diritto, ma anzi ha il dovere di credere,
accettando il rischio pascaliano della scelta, della fede come
scommessa, perché l’azione non può fermarsi di fronte ai dubbi
dell’intelletto, e nell’azione ogni uomo incarna, volente o
nolente, una verità pratica.
In questo senso la fede religiosa, che lo scienziato non si
può spiegare con la ragione, assume carattere di verità agli
occhi dell’uomo comune, grazie agli effetti pratici che essa sa
infondere all’esistenza.
Esaurita questa premessa, che ci ha permesso di
tracciare a grandi linee la collocazione filosofica e psicologica
del James, analizzeremo ora più approfonditamente il suo
atteggiamento riguardo alla religione, per poi giungere
finalmente al suo pensiero a proposito del fenomeno mistico.
“James era vagamente religioso, almeno in quanto si sforzava
di raggiungere una visione ottimistica della vita. Ma egli non partiva
da una qualche religione positiva, né da un concetto filosofico della
religione in generale. Fondandosi sui dati strettamente empirici,
(…) James afferma indubitabile l’esistenza di stati o momenti
spirituali che non possono venir riferiti a modificazioni
psicologiche ovvero alla percezione sensoriale di qualche oggetto
esterno. Tali momenti non sono spiegabili nemmeno con la
psicopatologia perché (osservazione giusta) quando si è ben detto
che tutti i mistici sono pazzi, sottratta la pazzia resta sempre un
residuo, qualche cosa che la pazzia stessa non spiega. Così la
religione non si fonda su una rivelazione, e nemmeno su una
24
dimostrazione razionale dell’esistenza di qualcosa al di là della
sfera della nostra percezione, ma sull’esistenza si questi stati
d’animo variamente sentiti e descritti dai credenti come intuizioni
dirette (ossia sensazioni) di qualcosa che non esiste nel mondo
empiricamente noto”.19
Accostandosi al problema religioso, il James opera fin
dall’inizio una scelta ben precisa, interessandosi unicamente
di quanti hanno fatto della religione l’unica o quasi, ragione di
vita, e ne sono pervasi, infiammati.
Egli ammette che si tratta di casi particolari, che esulano
dalla norma, ma ritiene altresì che proprio questi sono i più
significativi ed utili per lo studio del fenomeno religioso in
generale, e mistico in particolare.
Trattando di queste persone così speciali da chiamarle
“geni”, il James afferma: “Anche i geni religiosi hanno
manifestato spesso sintomi di instabilità nervosa. Anche più forse
di qualunque altra specie di geni sono andati soggetti a
manifestazioni psichiche abnormi. Invariabilmente essi sono stati
persone di esagerata sensibilità emotiva. Non di rado essi hanno
menato vite interamente discordi e sofferto di melanconia durante
una parte della loro esistenza. Essi non hanno conosciuto misura,
essendo soggetti ad ossessioni o ad idee fisse: non di rado sono
caduti in estasi, hanno udito delle voci, avuto visioni e presentato
tutte quelle peculiarità che ordinariamente sono considerate come
patologiche. Spesso, inoltre, questi fatti patologici sono appunto
19 Stopper A., in Enciclopedia filosofica, Istituto per la collaborazione cultural, Venezia-Roma, 1957, voce James, vol. II, pag. 1605.
25
quelli che hanno contribuito alla loro riuscita, conferendo loro
autorità e influenza religiosa.”20
Non possiamo fare a meno di notare, nella descrizione
appena riportata, come il James accomuni fenomeni patologici
e fenomeni mistici. Non si tratta di una posizione negativa nei
confronti della religione vissuta allo spasimo, fino a sfociare nel
misticismo, in tutte le sue varie e molteplici manifestazioni. Si
tratta piuttosto di un modo nuovo di affrontare il problema, al
di fuori dei canoni tradizionali: in breve, si tratta di un
approccio scientifico, e più precisamente neuropatologico, al
fenomeno mistico.
Studiando determinate patologie, si possono meglio
comprendere e discriminare i processi mentali ed affettivi
“normali”.
“Nell’anatomia mentale essi compiono quell’ufficio che
nell’anatomia umana è adempiuto dallo scalpello e dal
microscopio. Per intendere esattamente una cosa dobbiamo
vederla e fuori e dentro del suo ambiente naturale, ed avere
dimestichezza coll’intiera serie delle sue variazioni. Lo studio
delle allucinazioni è stato a questo modo pei psicologi la chiave
per comprendere le sensazioni normali; quello delle illusioni ha
servito a riconoscere il giuoco normale delle percezioni. Gli
impulsi morbosi e le concezioni coatte, le così dette “idee fisse”,
hanno gettato un fiume di luce sulla psicologia della volontà
normale; allo stesso modo in cui le ossessioni e i deliri hanno
illuminato la facoltà normale della credenza. Similmente la
natura del genio è stata rischiarata mediante i tentativi, di cui
20 James W., Le varie forme della coscienza religiosa. Studio sulla natura umana. Trad. Ital. Di G.C. Ferrari e M. Calderoni, Torino, 1904, pag. 25.
26
già feci parola, di classificarlo fra i fenomeni psicopatici.
Mattoidismo, temperamento pazzesco, perdita dell’equilibrio
mentale, degenerazione psicopatica (per ricordare soltanto
alcuni dei tanti sinonimi con cui viene designato il fenomeno),
hanno tutti alcune particolarità e suscettibilità che, quando
siano combinate con una natura superiore dell’intelletto in un
individuo, rendono più probabile che esso lasci una traccia ed
eserciti una influenza sull’età sua, che se il suo temperamento
fosse meno neuropatico. Non esiste, naturalmente, alcuna
affinità speciale fra la morbilità come tale, e l’intelligenza
superiore, e poi il maggior numero degli psicopatici è di debole
intelligenza, e gli intelletti superiori d’ordinario possiedono un
sistema nervoso normale.”21
Punto di partenza dei fenomeni mistici è, secondo il
James, uno stato precedente di tipo depressivo, melanconico,
in cui versa il soggetto.
Tale stato, a seconda dei casi, può presentarsi più o meno
grave, variando da una semplice mancanza di gioia, di gusto di
vivere, ad una sensazione di astenia, da un senso di sfiducia
in se stessi all’abbandono di qualsiasi iniziativa, da un
profondo scoraggiamento ad una vera e propria angoscia.
Descrivendo la melanconia, il James ne cita una forma
assai grave che si manifesta con “un’angoscia positiva ed
attiva, una specie di neuralgia psichica, totalmente ignota alla
vita sana. Una simile angoscia può partecipare di diversi
caratteri, avendo talvolta la qualità della nausea, talvolta
quella dell’irritazione e della disperazione; o ancora quella della
21 James W. Ibidem, pag. 19-20.
27
sfiducia e della disperazione di sé, del sospetto, dell’ansia, della
trepidazione, della paura.
Colui che ne soffre può ribellarsi o sottomettersi; può
accusare se stesso o le potenze esteriori; e può non essere
tormentato dal mistero teoretico del perché mai egli sia
condotto a soffrire in un simile modo, I casi per lo più sono
misti, e non dovremmo trattare le nostre classificazioni con
troppo riguardo. Inoltre fra questi casi c’è una porzione
relativamente piccola, che si riconnette con la sfera
dell’esperienza religiosa.”22
Come si può vedere, il James individua casi di
melanconia anche nella sfera religiosa, all’inizio di quella
evoluzione che porterà a raggiungere forme pure e mirabili di
religiosità, nonostante il punto di partenza sia stata
un’esperienza od un complesso di esperienze negativa.
Occorre però, a questo riguardo, essere piuttosto cauti nel
parlare di vera e propria melanconia, che da un punto di vista
prettamente psicologico, o addirittura psichiatrico, è una
manifestazione di carattere psicotico, che si studia nell’ambito
delle patologie dell’affettività.
“In condizioni patologiche di tono affettivo può subire
modificazioni che, per intensità e per durata, sono del tutto
sproporzionate alle loro cause. La depressione e l’esaltazione
sono due poli opposti di queste modificazioni patologiche. La
depressione affettiva è il sintomo più caratteristico della
melanconia, che nei casi lievi si manifesta come un semplice
malessere psichico, una tristezza senza motiv0, (…) nei casi
22 James W. Ibidem pag. 129.
28
gravi la depressione domina interamente la personalità del
malato, ne limita l’ideazione ad un nucleo di pensieri che, sotto
l’influenza del tono affettivo, possono portare ad una
interpretazione falsa della realtà e assumere il carattere di idee
deliranti (…).”23
Il James non ritiene di dover osservare il problema
attraverso la lente di ingrandimento della psichiatria, che
farebbe considerare certe manifestazioni come sintomi
indicatori di un temperamento ciclotimico.
Il passaggio dalla melanconia alla esaltazione non deriva,
per il James, da una patologia dell’affettività scientificamente
spiegabile, ma da una reazione positiva dell’individuo, in
qualche modo toccato dalla grazia divina.
“L’uomo che vien facendo centro della sua energia
personale la religione, e si sente animato da entusiasmo
spirituale, differisce da suo Io carnale precedente in modo
perfettamente definiti. Il nuovo ardore che infiamma il suo
petto consuma “No!” inferiori che prima lo occupavano, e lo
mantiene immune dall’infezione che potrebbe venire da ciò che
è la porzione strisciante dell’essere suo. La magnanimità un
tempo impossibili divengono facili; i convenzionalismi poltroni,
i vili incentivi un tempo tiranneggianti, non tengono più il
campo. La muraglia di pietra entro di lui è caduta, si è
ammollita la durezza del suo cuore.”24
23 Gozzano M., compendio di psichiatria. Rosenberg & Sellier, Torino, 1968, pag. 26-27. 24 James W., Le varie forme della coscienza religiosa. Studio sulla natura umana. Trad. Ital. Di G.C. Ferrari e M. Calderoni, Torino, 1904, pag. 234.
29
Naturalmente, il James non può portare alcuna prova a
sostegno delle sue ipotesi, poiché tutto ciò che sfugge
all’osservazione clinica resta nel campo dell’opinabile. Ed in
questo campo il James avanza la congettura che certi repentini
cambiamenti, certi passaggi dallo stato depressivo a quello
dell’esaltazione religiosa possano derivare da un intervento
divino (imperscrutabile scientificamente) attraverso la via del
subliminale (spiegabile, almeno in parte scientificamente).
“Io credo fermamente che il passo più importante fatto
dalla psicologia, da quando ho cominciato ad occuparmi di
questa scienza, sia stata la scoperta, fatta nel 1886, che, in
alcuni soggetti almeno, esiste non solo la coscienza del ‘campo
ordinario’ col suo centro e d i suoi margini abituali, ma qualche
cosa di addizionale a ciò, sotto forma di un gruppo di ricordi,
di pensieri, di sentimenti extra-marginali e completamente
esterni alla coscienza ordinaria primaria, ma che debbono
venire classificati come fatti coscienti della medesima specie
(…). Questa scoperta dell’esistenza di una coscienza esteriore,
o subliminale, come la chiama Myers, illumina in modo
particolare molti fenomeni delle biografie religiose. (…) La
conseguenza più importante del possedere una vita ultra
marginale di questo genere è questa, che i campi ordinari di
coscienza dell’individuo sono soggetti ad incursioni da essa,
delle quali l’individuo ignora la provenienza, e che, quindi,
assumono per lui la forma di impulsi ad agire, di idee
ossessive, di inibizioni, e perfino di allucinazioni visive o uditive
del tutto inesplicabili. (…) Nelle meravigliose ricerche compiute
da Binet, Janet, Breuer, Freud, Mason, Prince, e da altri, sulla
coscienza subliminale degli isterici, sono stati a noi rivelati
30
sistemi interi di vita, nascosti in forma di ricordi dolorosi che
vegetano di una vita parassitaria, sepolti fuori, lontani dai
campi primari della coscienza, e di quando in quando
irrompenti nella vita ordinaria con allucinazioni, dolori,
convulsioni, paralisi di senso e di moto, e tutta la serie di
sintomi fisici e psichici dell’isterismo. (…) Interpretando
l’ignoto per analogia dal noto, (…) ogniqualvolta ci imbatteremo
in un fenomeno di automatismo, impulsi motori o idee
ossessive, capricci, o illusioni, o allucinazioni inesplicabili,
saremo costretti anzitutto a cercare se non si tratti di
un’irruzione nei campi della coscienza ordinaria di idee
elaborate al di fuori di questi campi, nelle regioni subliminali
della mente. (…) Ritorno così al nostro tema specifico delle
conversioni istantanee. (…) Esempi simili abbondano, alcuni
con, altri senza visioni luminose, tutti distinti da un senso di
felicità meravigliata, e di essere influenzati da una potenza
superiore. Se, facendo completamente astrazione dal valore di
questi concomitanti per la futura vita spirituale dell’individuo,
li consideriamo esclusivamente dal loro lato psicologico, tante
particolarità loro ci ricordano fatti che siamo soliti riscontrare
al di fuori delle conversioni, che siamo tentati di classificarli in
massa con altri automatismi, e di sospettare che ciò costituisce
la differenza tra una conversione improvvisa ed una graduale
non è necessariamente la presenza del miracolo divino nel caso
dell’una, e di qualche cosa di meno divino nel caso dell’altra,
ma piuttosto una semplice peculiarità psicologica, il fatto, cioè,
che nel caso di grazia istantanea siamo in presenza di uno di
quei Soggetti una più ampia regione di lavoro mentale
subcosciente, e dal quale le esperienze invasive possono
31
irrompere violentemente, sconvolgendo l’equilibrio della
coscienza primaria.”25
Citando un caso di improvvisa guarigione dalle tentazioni
sessuali, ripreso da “Life of col. James Gardiner” di Doddridge,
il James ipotizza una analogia tra improvvisi e radicali
cambiamenti e risultati di pratiche ipnotiche.
“Un’abolizione così rapida di impulsi e propensioni
antiche ci richiama così insistentemente i risultati che sono
stati ottenuti mediante la suggestione ipnotica, che riesce
difficile non pensare che una parte decisiva in simili improvvisi
mutamenti di cuore non sia rappresentata da influenze
subliminali, appunto come avviene nell’ipnotismo. La terapia
suggestiva abbonda di racconti di guarigioni, ottenute in pochi
minuti, da cattive abitudini inveteratissime, contro le quali il
paziente, lasciato alle influenze morali e fisiche ordinarie,
aveva lottato invano. Tanto l’ubriachezza come i vizi sessuali
sono stati guariti a questo modo, e sembra che sia una
prerogativa dell’azione esercitata per la via del subliminale
quella di determinare modificazioni relativamente stabili. Se la
grazia di Dio opera miracolosamente, essa probabilmente
opera attraverso la via del subliminale. Resta però da spiegare
come tali operazioni avvengano in questa regione; ma sarà
bene ora che trascuriamo completamente il processo di
trasformazione, - lasciandovi, se vi piace, una gran parte di
mistero psicologico o teologico, - per volger la nostra attenzione
ai frutti della condizione religiosa, senza curarci del modo come
questi possono essere stati prodotti.”26
25 James W. Ibidem pag. 204-207. 26 James W. Ibidem pag. 236-237.
32
Ci sembra di cogliere, in questo atteggiamento quasi di
ritrosia nei confronti della ricerca eziologica impostata su basi
scientifiche, il pensiero del James al riguardo della verità, della
realtà.
Pensiero che abbiamo già brevemente delineato
riportando il rifiuto dell’autore a voler cercare una spiegazione
logica per tutti i fatti della vita.
Ove tale spiegazione non si possa trovare, ove manchi la
coerenza logico-formale pretesa dalla scienza, l’uomo non deve
fermarsi schiavo dei dubbi e dei limiti imposti dal suo
intelletto: ciò che è inconoscibile attraverso la mente, può
essere colto attraverso la fede. E la fede ci consente di credere
che in qualche modo Dio si manifesti al futuro religioso, al
futuro mistico, senza che questi se ne renda conto
coscientemente (da qui l’ipotesi dell’intervento divino a livello
subliminale).
Come sostiene Frankl, “l’analisi esistenziale ha scoperto
nell’ambito della spiritualità inconscia dell’uomo qualcosa
come una religiosità inconscia, nel senso di una relazione
inconscia con Dio (…). L’inconscia fede dell’uomo che così si
rivela (…) significherebbe che Dio è inteso da noi già sempre in
modo inconscio, e che noi abbiamo sempre una relazione
intenzionale, anche se inconscia, con Dio.”27
Volendosi ora addentrare, più che nella “conversione
religiosa”, nel fenomeno mistico vero e proprio, vedremo di
definire i caratteri essenziali degli stati mistici.
27 Frankl V., Dio nell’inconscio. Morcelliana, Brescia, 1977, pag. 66-67.
33
Secondo il James, quattro sono le caratteristiche
principali che ci consentono di delimitare quel gruppo di stati
di coscienza che egli chiama “il gruppo del misticismo”:
l’ineffabilità, la qualità noetica, la transitorietà e la passività.
Sempre seguendo il James, approfondiamo la conoscenza
di tali caratteristiche.
“Ineffabilità. Il più ovvio dei segni per cui io classifico
come mistico uno stato mentale, è un segno negativo. Colui
che lo prova afferma immediatamente che questo stato non
potrebbe trovare alcuna espressione, che non se ne può
manifestare a parole il contenuto. Ne consegue che la sua
qualità dev’essere direttamente sperimentata; non può essere
comunicata né trasferita ad altri. (…) Per questa loro
particolarità gli stati mistici sono molto più simili a stati
sentimentali che a stati intellettuali. (…).
Qualità noetica. Per quanto siano tanto simili a stati
sentimentali, gli stati mistici danno alla persona che li prova
l’impressione di essere anche stati di conoscenza. Essi sono
stati di visione per entro e recessi intimi della verità, i quali
non possono venire scandagliati dall’intelletto discorsivo. Sono
illuminazioni, rivelazioni piene di significazione e di
importanza, sebbene rimangano inarticolate; e in generale
recano con sé un curioso senso di autorità pel tempo
successivo. Questi due caratteri basteranno a legittimare per
qualunque stato l’epiteto di mistico, nel senso in cui io mi servo
di questa parola. (…).
Transitorietà. Gli stati mistici non possono durare a
lungo. Eccetto in alcuni rari esempi, una mezz’ora, al massimo
34
un’ora o due, sembrano essere i limiti oltre i quali essi
svaniscono alla luce comune del giorno. (…).
Passività. Sebbene l’insorgere di stati mistici possa venire
facilitato da preliminari operazioni volontarie (…) tuttavia
quando tale specie caratteristica di coscienza si è imposta una
volta, il mistico sente come se la sua propria volontà si fosse
afferrato e tenuto saldamente da qualche forza superiore.
Quest’ultima particolarità collega gli stati mistici con certi
fenomeni ben definiti delle personalità secondarie o alternanti
(…).”28
E’ interessante soffermarsi su quest’ultima caratteristica,
quella della passività, per porsi alcuni importanti quesiti:
l’annullamento della volontà del soggetto, che vive ma al tempo
stesso subisce il fenomeno mistico, non implica di dover
ascrivere una autorità al misticismo? E quale forza ha questa
autorità per colui nei confronti del quale si esplica? E per
coloro che ne sono semplici spettatori?
Sono interrogativi importanti, poiché mirano a stabilire se
l’individuo può opporsi o meno all’esperienza mistica.
Così si esprime il James al riguardo: “Ora io debbo
cercare se al misticismo possa o no essere ascritta un’autorità.
Può esso fornire una garanzia della verità della rinascenza, del
soprannaturalismo o del panteismo che favorisce? (…) In breve
posso poso risponder così, - dividendo la mia risposta in tre
parti:
28 James W., ibidem pag. 330-331.
35
1. Gli stati mistici quando sono bene sviluppati hanno
di solito, ed hanno diritto ad avere autorità assoluta per gli
individui che li subiscono.
2. Da essi non emana alcuna autorità che possa
costituire un dovere, per coloro che non li provano, di
accettarne senza critica le rivelazioni.
3. Essi demoliscono l’autorità della coscienza non
mistica o razionalista, che si basa sull’intelletto ed i sensi
soltanto. Essi dimostrano che questa non è che una specie
soltanto di coscienza. Mostrano la possibilità di ordini diversi
di verità, in cui, finché qualche cosa in noi risponde vitalmente
ad essi, possiamo liberamente aver fede.”29
Le risposte del James sono perfettamente chiare e
sintetiche, e ci mostrano come da una parte abbiamo il
soggetto mitico pervaso, quasi coercitivamente, dalla sua fede,
e dall’altra abbiamo la maggioranza dei soggetti non toccati dal
fenomeno, che esercitano il diritto di critica, di analisi
razionale.
Seguendo il proprio pensiero filosofico, a cui in
precedenza abbiamo accennato, il James ammette un influsso
soprarazionale, divino, nell’insorgere di uno stato mistico.
Seguendo la deontologia medica, il James indica altresì
direzioni diverse nello studio del fenomeno, ricordando tra
l’altro che non esiste solamente il misticismo religioso, che “è
soltanto la metà del misticismo. L’altra metà non possiede
tradizioni accumulate, se sene eccettuano quelle che
29 James W., ibidem pag. 364-365.
36
forniscono i trattati di psichiatria. Aprite qualunque di questi
volumi e troverete numerosi casi in cui le ‘idee mistiche’ sono
citate come sintomi caratteristici di stati di debolezza mentale
o deliranti. Nella paranoia possiamo avere un misticismo
diabolico, una specie di misticismo religioso capovolto. Lo
stesso senso di importanza ineffabile per gli avvenimenti più
minuti, gli stessi testi e le stesse parole a cui vengono attribuiti
significati nuovi, le stesse voci, e visioni, e direzioni, e missioni,
la stessa dominazione per parte di potenze estranee; soltanto
che questa volta l’emozione è pessimista; invece di consolazioni
abbiamo delle desolazioni; e i significati sono spaventosi; le
potenze sono nemiche della vita, Egli è evidente che, dal punto
di vista del loro meccanismo psicologico, il misticismo classico
e questi misticismi inferiori muovono dallo stesso livello
mentale, da quella grande regione subliminale o
transmarginale in cui la scienza comincia ora soltanto ad
ammettere l’esistenza, ma di cui, in realtà, si conosce così
poco.”30
Il riferimento alle idee mistiche studiate in campo
psichiatrico apre nuovi orizzonti, che ci riserviamo di esplorare
in seguito.
Concludendo questa parte dedicata a William James, e
volendo sintetizzare i punti più salienti del suo pensiero,
possiamo dire che, innanzitutto, occorre che oggetto del nostro
studio siano i cosiddetti” geni” religiosi, e non le persone
comuni.
30 James W., ibidem pag. 368.
37
Tali geni, peraltro, possono a volte presentare squilibri di
natura psichica, per cui un criterio valido di discriminazione
tra patologia e religiosità può essere quello di considerare i
frutti positivi che derivano dallo stato mistico.
Il fenomeno mistico, per potersi definire tale, deve essere
caratterizzato dalla ineffabilità, dalla qualità noetica, dalla
transitorietà e dalla passività. Deve inoltre avere autorità per
chi lo sperimenta, ma solo per lui.
In linea di massima, esso trae origine dalla regione
subliminale o transmarginale della coscienza, ma al di là di
una spiegazione medica del suo insorgere, è ammissibile un
intervento soprarazionale, divino.
“In tesi generale gli stati mistici non fanno che aggiungere
un significato soprasensibile ai comuni dati esterni della
coscienza. Essi sono eccitamenti, simili all’emozioni dell’amore
e dell’ambizione, doni fatti al nostro spirito, per mezzo dei quali
certi fatti che già stanno obiettivamente davanti a noi trovano
un nuovo potere di espressione, formando connessioni nuove
con la nostra vita attiva. Essi non contraddicono questi fatti
come tali, né contrastano alcunché che i nostri sensi abbiano
immediatamente afferrato. E’ piuttosto il critico razionalista
che fa la parte del negatore nella disputa; e le sue negazioni
non hanno nessuna forza, poiché non può esservi mai uno
stato di fatto a cui non si possa aggiungere, senza oltraggio alla
verità, un nuovo significato, purché la mente si elevi ad un
punto di vista più largo e comprensivo. Deve sempre rimanere
una questione aperta quella di sapere se gli stati mistici siano
38
forse di tali punti di vista superiori, finestre attraverso le quali
la mente getta lo sguardo su di un mondo (…) più esteso.”31
GORDON W. ALLPORT
Psicologo statunitense, nato a Montezuma, nell’Indiana,
nel 1897 e morto a Cambridge, nel Massachusetts, nel 1967,
Allport è stato uno dei più importanti psicologi della
personalità, scrivendo sul tema due ampi saggi: “La
personalità, una interpretazione psicologica” (1937), e “Modello
e sviluppo della personalità” (1961).
Figlio di un medico, frequentò l’università di Harvard
nello stesso periodo in cui il fratello maggiore Floyd si
specializzava in psicologia.
Dopo aver studiato, fino al 1919, economia e filosofia,
Allport concluse gli studi specializzandosi in psicologia e
laureandosi nel 1922.
Nei due anni seguenti frequentò corsi di psicologia a
Berlino, Amburgo e Cambridge, ed a questa esperienza in
ambienti accademici stranieri si deve, probabilmente, il suo
interesse per gli affari internazionali ed il suo ruolo di maggiore
interprete della psicologia tedesca in America.
Ritornato dall’Europa, insegnò etica sociale a Harvard,
quindi psicologia al Dartmouth College nel New Hampshire,
per poi tornare nel 1930 come professore di psicologia ad
Harvard, dove insegnò fino alla morte.
31 James W., ibidem pag. 369.
39
Di Allport vanno ricordati altresì i periodi in cui rivestì
importanti cariche, come la direzione del Department of
Psycology, la presidenza dell’American Psycological
Association, la direzione del Journal of Abnormal and Social
Psycology, ed altre ancora.
Tra i suo scritti, oltre quelli già ricordati, citiamo: “Studies
in Expressive Movement” (1933), “The Psycology of Radio”
(1953),” The Individual and his religion” (1950), “The nature of
Personality. Selected Papers” (1950), “the Nature of Prejudice”
(1954), “Personality and Social Encounter” (1960).
Volendo tracciare una breve sintesi del pensiero di
Allport, possiamo dire che la sua posizione “è un distillato e
un’elaborazione di idee derivate in parte da famosissime fonti,
come (…) le teorie di William Stern, William James e William
McDougall. (…) Da Stern provengono la sua diffidenza per le
consuete tecniche analitiche tratte dalle scienze naturali, e il
profondo interesse per l’unicità dell’individuo e per la coerenza
del suo comportamento. Si nota l’influsso di James non
soltanto nello stile brillante di Allport, nell’orientamento
largamente aperto e umanistico verso il comportamento
umano, e nell’interesse per il Sé, ma anche in alcuni dubbi
riguardanti la capacità finale dei metodi psicologici di
rappresentare adeguatamente e comprendere del tutto
l’enigma del comportamento umano”.32
Allport intende la personalità come una organizzazione
dinamica individuale, che può essere studiata e misurata in
32 Hall C.S. e Lindzey G., Teorie della personalità. Boringhieri, Torino, 1970, pag. 248.
40
quanto costituita da un insieme articolato di “tratti”, cioè di
modi caratteristici per ogni individuo.
Tali tratti sono sistemi psicofisici che determinano il
comportamento e l’adattamento dell’individuo all’ambiente.
Per comprendere e studiare una personalità non
interessano tanto i singoli tratti quanto la loro complessa
articolazione nell’individuo.
“Nonostante la straordinaria complessità dell’individuo,
le principali inclinazioni della sua natura rivelano una
sotterranea congruenza o unità. Inoltre, almeno per quanto
riguarda l’individuo normale, sono di notevolissima
importanza le determinanti coscienti del comportamento. La
congruenza del comportamento e l’importanza dei motivi
coscienti conducono naturalmente Allport a sottolineare questi
fenomeni (…). Concludendo, la sua è una visione dell’uomo in
cui sono sottolineati gli elementi di motivazione positivi e
coscienti, e il comportamento è ritenuto interiormente coerente
e determinato da fattori contemporanei”.33
Quanto finora detto su Allport non deve sembrare
estraneo all’argomento che stiamo trattando, in quanto lo
studio del suo pensiero riguardo alla religione non può
prescindere dalle teorie sulla personalità enunciate dall’autore,
in cui il sentimento religioso svolge un ben preciso ruolo nella
determinazione del soggetto psichicamente maturo.
La religione fa parte della vita di tutti i giorni, e può
influire più o meno profondamente sulle scelte di un individuo,
sui suoi stati d’animo (per esempio sensi di colpa per infrazioni
33Hall C.S. e Lindzey G., ibidem, pag. 250.
41
ai Comandamenti, frustrazione per rinunce a piaceri
fortemente desiderati, serenità interiore nei momenti di intima
comunicazione con Dio, ecc.).
Pur riconoscendo che si tratta di un campo
prioritariamente riservato a teologi e filosofi, anche uno
psicologo è legittimato ad intervenire, per poter esprimere il
suo parere sulla funzione del sentimento religioso nella
personalità dell’individuo.
Accostandosi al problema, Allport comincia con il
chiedersi se esista un’unica forma del sentimento religioso, o
se piuttosto non se ne possono riscontrare diverse forme.
Citando alcuni autori che si sono cimentati nella ricerca
di un eventuale denominatore comune a singole esperienze
religiose, quali lo Schleiermacher, l’Otto e il Wobbermin,
Allport conclude sostenendo la impossibilità di trovare tale
elemento di confluenza.
“(…) se il sentimento religioso fosse contraddistinto da
uniformità di composizione e da unicità di centro fenomenico,
allora il nostro compito d’analisi psicologica sarebbe semplice
e facile; però se questo accostamento semplicistico non è
accettabile, come di fatto non è, allora il nostro modo
d’affrontare il problema deve essere pluralistico e molteplice.
La maggior parte degli psicologi che si sono occupati nei loro
scritti di religione paiono ammettere concordemente l’esistenza
non tanto di un’unica emozione religiosa quanto piuttosto
d’una gamma fortemente differenziata d’esperienze, che
possono essere concentrate su un oggetto religioso, Appunto
l’abituale ed intenzionale concentrazione d’esperienza più che
42
il carattere dell’esperienza stessa denota l’esistenza d’un
sentimento religioso.”34
A sostegno della tesi di Allport troviamo, altre a William
James di cui abbiamo già parlato esaurientemente, il Dunlap,
che nel suo “Religion: Its Function in Human Life” nega
l’unicità dell’emozione religiosa, come pure nega l’esistenza di
concetti religiosi universali.
Nelle diverse religioni, sempre secondo il Dunlap, possono
indubbiamente riscontrarsi elementi in comune, ma ciò non
avviene costantemente, ed il soggetto che si accosta
all’esperienza religiosa passa, di norma, attraverso un’infinità
di stati d’animo.
Allport, comunque, non manca di notare come sia James
che Dunlap siano un po’ troppo drastici nell’affermare il
pluralismo delle esperienze religiose, laddove egli riconosce che
non vi sono modelli comuni di contenuto nell’esperienza
religiosa soggettiva, ma al tempo stesso rileva una coerenza dei
singoli nella organizzazione dei propri sentimenti personali, in
linea con i tratti tipici della loro vita mentale.
Quanto all’eventuale origine comune del sentimento
religioso, Allport sostiene che, così come “non esiste alcun
modello comune di contenuto nell’esperienza religiosa
soggettiva così pure non vi è alcun punto comune d’origine. Il
negare l’esistenza d’un unico istinto religioso non implica
nessuna eresia nella psicologia moderna, giacché sarebbe
34 Allport G.W., L’individuo e la sua religione. La Scuola, Brescia, 1972, pag. 43-44.
43
difficile trovare un qualsiasi Autore che di tale istinto faccia un
caso.”35
Addentrandosi nella definizione di sentimento, Allport lo
descrive come una organizzazione di sensibilità e di pensiero
che punta a d un determinato oggetto, sia esso una persona,
una cosa, un ideale.
Ovviamente, nel caso di sentimenti astratti, quale può
essere quello religioso, è più difficile individuarne l’oggetto
preciso, dimostrandosi il sentimento stesso come un
atteggiamento mentale preesistente.
“Ad un determinato istante, un cero aspetto della divinità
può astrarre l’attenzione dell’individuo; ben presto questi si
trova a riflettere sulla natura del male, poi sulle probabilità
relative l’immortalità; sopravviene frattanto un momento
d’adorazione; quindi s’affaccia al pensiero un altro aspetto
della divinità, che forse concentra l’attenzione sul significato
s’un sacramento e questo a sua volta suscita uno speciale
atteggiamento circa un articolo della professione di fede. E così
si continua all’infinito, mentre l’ardore aumenta o diminuisce
con il susseguirsi nella mente di diversi oggetti e subvalori del
sentimento.”36
Il sentimento religioso può essere vissuto in maniera
critica od acritica, a seconda del grado di maturità
dell’individuo, della sua capacità di articolare i pensieri, di
formulare dei giudizi.
Di solito, l’accettazione indiscussa di una religione, come
di un ideale, di un’idea politica, di un principio etico, denota
35 Allport G.W., ibidem, pag. 46. 36 Allport G.W., ibidem, pag. 110.
44
una forma di immaturità, un’incapacità a motivare le proprie
scelte, una tendenza a rifuggire dai processi coscienti.
Alla base di ciò, spesso sono conflitti repressi, che
presuppongono ostilità, ansietà, pregiudizi, che raramente si
riscontrano in soggetti che vivono criticamente i propri
sentimenti.
Ed è forse attraverso un sentimento religioso acritico,
indifferenziato – e al limite – immaturo, che si giunge
all’esperienza mistica, od a quella esperienza che porteranno,
poi, a sperimentare il fenomeno mistico.
“Un paziente del Freud ebbe a dichiarare che per lui la
religione era un ‘sentimento oceanico’. Se il paziente intendeva
dire che era sempre un indistinto flutto grigio e mi alcunché
d’altro, forniva in quel momento la descrizione d’un sentimento
religioso indifferenziato. In esso è verosimilmente accentuata
la componente inconscia ed il Freud sarebbe indubbiamente
giustificato ove reputasse che le origini fossero da ricercare in
un agitato mare di repressione. Se però il paziente si riferiva a
stati occasionali mistici, solitamente di breve durata, bene egli
fece ad attribuir loro il carattere di ‘oceanici’. Le esperienze
mistiche producono un senso di immediatezza, privo di
interpretazione.”37
Vi sono momenti mistici che, nati inizialmente come una
forma accentuata di riverenza, se ne sono differenziati per la
totale mancanza di elementi di critica e di interpretazione.
La devozione, anche se particolarmente sentita ed
esternata in forme rituali tradizionali, è facilmente
37 Allport G.W., ibidem, pag. 116-117.
45
riconoscibile e riconducibile ad una serie di pensieri, emozioni
e sentimenti non coercitivi, ma spontaneamente e
volontariamente organizzati dal soggetto che vive lo stato di
devozione.
“Il misticismo, d’altra parte, è una dissociazione benigna
della corrente di pensiero e di sentimento dalle consuete
attività critiche es autocoscienti dell’intelletto. E’ ovvio che
momenti di reverenza e di misticismo possono essere
concatenati, come in effetti lo sono spesso nel corso della
preghiera. L’esperienza mistica non è di per sé una prova di
sentimento religioso. Non è d’altronde incompatibile con esso.
In parecchie sue forme il pensiero religioso progredito riserva
un posto importante agli stati mistici e ne sollecita l’avvento,
considerandoli talvolta come il più alto vertice della tensione
religiosa. (…) Sebbene l’assecondamento degli stati mistici
possa coì essere una ragionevole conseguenza d’una
concezione religiosa del tutto matura, o in altre circostanze la
causa iniziale che adduce alla ricerca della maturità, pochi
individui riescono a superare in modo duraturo la dualità nel
conoscere e nell’appetire. Il misticismo nel suo aspetto estremo
non è quindi una forma molto comune al funzionamento
religioso.”38
38 Allport G.W., ibidem, pag. 118.119.
46
UNDERHILL EVELYN
Studiosa di filosofia della religione e di mistica, nacque a
Londra nel 1875, ove morì nel 1941.
Insegnante a Cambridge, esplicò la sua attività letteraria
scrivendo vari libri di mistica religiosa.
Secondo la Underhill, l’esperienza mistica si concretizza
in “una soverchiante conoscenza di Dio e della propria anima,
conoscenza che assorbe ed eclissa ogni altro centro
d’interesse.”39
Già da questa breve definizione possiamo veder come la
Underhill consideri passiva l’attività del soggetto mistico,
sopraffatto dal suo approccio con Dio, che monopolizza ogni
suo desiderio, ogni suo interesse, e diviene praticamente
l’unico scopo, il fine ultimo della sua vita.
In teoria, sostiene l’Autrice, questa esperienza esaltante
di contatto con Dio non è riservata a pochi eletti, ma possibile
a chiunque.
Il fatto che, in realtà, solo pochi riescano a viverla,
dipende solo dalla distrazione della maggior parte degli uomini
verso altri interessi più prosaici, temporali, che mal si
conciliano con l’ascesi ed il misticismo.
Esperienza possibile a tutti, quindi, purché ci si sappia
liberare dagli interessi terreni, per rivolgere la propria
attenzione ai valori spirituali, immergendosi nella
contemplazione.
39 Underhill E., L’educazione dello spirito. Torino, 1926, pag. 19.
47
“Che cos’è la contemplazione? E’ l’attenzione rivolta alle
cose dello spirito: nessuna pratica strana o allarmante,
estranea al corso generale della vita umana. Se fossimo fedeli
alle nostre credenze, dovrebbe essere piuttosto la nostra
attività centrale e naturalissima”.40
Fondamentale, secondo l’Autrice, è che il primo e forse
unico interesse del soggetto sia Dio, con il quale il soggetto
stesso sia fortemente convinto di poter entrare in comunione.
Egli deve poter abbandonarsi, annullarsi o, più
precisamente sublimarsi in questa relazione con il divino.
“Ciò che è essenziale è il modo col quali il mistico sente la
sua divinità e la propria relazione con essa poiché questa
coscienza adorante e possessiva della ricca e completa vita
divina oltre e contro la vita personale, il possibile
raggiungimento di un livello di essere, di una sublimazione del
sé nella quale noi siamo completamente uniti al Divino, può
giustamente porsi come elemento necessario di ogni vita
mistica”.41
Per la Underhill, elemento essenziale del misticismo è
l’unione dell’anima con Dio, e poco importa in che modo tale
unione viene raggiunta. Per lei, il modo di essere mistico è
unico, ed al tempo stesso – pur sembrando un paradosso –
vario.
In effetti, tale varietà non è insita nello stato mistico in sé,
bensì è data dalle diverse personalità dei soggetti mistici,
intendendo con ciò che non esiste una personalità mistica
40 Underhill E., ibidem, pag. 15. 41 Underhill E., ibidem, pag. 22.
48
particolare, ma che varie personalità possono, da diverse
direzioni ma con un unico fine, portare ad uno stato mistico.
Il mistico, pertanto, potrà essere “un trascendentalista:
s’egli è tale, lo è perché la sua intuizione del Divino è così alta
che non può essere espressa per mezzo di alcun concetto
intellettuale (…). Può trattarsi di un pananimista; allorché
trova negli altri uomini – e più ancora, nell’intera tessitura
della vita – quella misteriosa essenza vitale che è un modo
dell’esistenza di Dio, e ch’egli ama, ricerca e riconosce in ogni
luogo. Si può avere, come spesso accade, un sacramentalista;
ma egli è tale solo perché il simbolo e il sacramento l’aiutano a
toccare Iddio. (…) Nel momento in cui il mistico sospetta che
alcuna di queste cose possa essere un ostacolo anziché un
mezzo, le rigetta (…). Così noi abbiamo i vari temperamenti di
mistici naturali, simbolisti, quietisti, trascendentalisti,”42
Approfondendo la sua analisi alla ricerca di altri elementi
psicologici rappresentati da quella che essa definisce la via
mistica, e cioè quel processo di sublimazione che eleva i
rapporti tra l’individuo e il creato a livelli superiori rispetto a
quelli in cui opera la coscienza normale.
Vi è una scala differenziata, alla base della quale troviamo
l’inconscio, con le sue pulsioni primordiali; segue poi la
coscienza normale, ad un livello intermedio, ed infine la
coscienza mistica, in grado di apprendere la verità:” Una
apprensione del principio divino unificatore oltre le apparenze
(…). Sapere questo direttamente – non indovinarlo, o crederlo,
42 Underhill E., ibidem, pag. 22-23.
49
o accettarlo, ma esserne certi – è la più grande gesta della
coscienza umana, e l’ultimo oggetto del misticismo.”43
La coscienza di un principio unificatore della realtà è un
ulteriore elemento della descrizione di uno stato mistico, che
merita di essere studiato per comprendere in che modo tale
coscienza si formi.
“Per affrontare questo problema due vie possono tornarci
di aiuto. La prima consiste nel paragonare le diverse
dichiarazioni dei diversi mistici scegliendone quegli elementi
ch’esse presentano in comune, e mantenendosi accuratamente
in guardia, com’è naturale, contro i risultati dell’imitazione
cosciente od incosciente, della tradizione e dei preconcetti
d’ordine teologico. Per questa via vengono posti direttamente
in evidenza fattori che sono ugualmente presenti e possono
anche risultare essenziali. La seconda linea di ricerca consiste
in una ritraduzione in termini psicologici di queste
dichiarazioni mistiche, quando molte di esse rivelino la
relazione in cui stanno con la vita psichica dell’uomo.”44
La Underhill segue quindi i vari gradi che contrassegnano
l’ascesa verso la conoscenza mistica, così come sono descritti
dai mistici stessi, e che in breve possiamo così riassumere: un
primo stadio, durante il quale ci si prepara e si sperimenta la
visione mistica dell’universo; un secondo stadio, durante il
quale si percorre la via mistica della purificazione; un terzo
stadio, pervenuti al quale si raggiunge l’illuminazione e l’estasi.
Ed è proprio questo terzo stadio di coscienza mistica,” che
porta ad una nuova e più profonda conoscenza della realtà,
43 Underhill E., ibidem, pag. 25. 44 Underhill E., ibidem, pag. 25.
50
quando l’interesso dell’ego, sollecitato dal desiderio amante
della verità ultima, passa dai sensi all’anima, dall’anima allo
spirito. Siamo ciò che noi contempliamo: cittadini, secondo il
nostro proprio volere e desiderio, del mondo superficiale dei
sensi, di quello più profondo della vita o del mondo ultimo della
realtà spirituale.”45
Per accedere allo stato mistico, occorre liberarsi dalla
schiavitù dei desideri terreni, egocentrici, poiché chi riesce a
sopprimere entro di sé le pulsioni, gli istinti, le bramosie,
certamente può avvicinarsi di più alla contemplazione.
Non dimentichiamo, infatti, che le regole monastiche della
povertà, della castità e dell’obbedienza avevano come scopo
originario e preminente, quello di facilitare il cammino dei
religiosi e delle religiose verso la sperimentazione della vita
contemplativa e mistica.
Ora, se è vero che povertà assoluta e dedizione completa
a Dio possono essere caratteri essenziali di un mistico, è altresì
vero che non è facile stabilire quali siano i mezzi migliori per
conseguirle.
“Qui ci si presenta subito il problema dell’ascetismo nei
suoi rapporti col misticismo (…). L’ascetismo, considerato
originariamente come una ginnastica dell’anima, una
educazione in quelle virtù virili di sacrificio e di pazienza senza
le quali la vita spirituale è solo una squisita forma di edonismo,
fu identificato dal pensiero cristiano con l’idea della
mortificazione: l’uccisione di tutti quegli impulsi che deviano
l’anima dal diritto sentiero verso Dio. Per il vero mistico
45 Underhill E., ibidem, pag. 27.
51
l’ascetismo non è mai nulla di più che un mezzo per
raggiungere un fine, e una volta ottenuto questo, vien gettato
da parte.”46
In alcuni casi, privazioni e sacrifici volontariamente
sopportati possono aiutare ad allontanare i desideri e le
passioni, consentendo di concentrarsi sulla divinità. In altri
casi, invece, l’eccessiva austerità può provocare stati
insopportabili di inedia, o disturbi tali da distogliere il soggetto
dalla contemplazione, impedendogli di fatto di concentrarsi.
Questo perché non si può né si deve considerare
l’ascetismo come una sorta di ginnastica del corpo, ma della
mente.
“Nessuno nega che l’austerità sia migliore del lusso per la
vita spirituale; ma il perfetto distacco della volontà e dei sensi
può essere ottenuto da chi viva naturalmente nel mondo senza
ricorrere ad espedienti puramente fisici.”47
LEUBA JAMES HENRY.
Psicologo svizzero, nato a Neuchâtel il 9 aprile 1868,
studiò presso la locale università prima, ed in seguito presso
istituti universitari americani, tedeschi e francesi.
Conseguì la laurea in filosofia alla Clark University nel
1895, e nel 1898 divenne professore di psicologia presso il
Bryan Mawr College.
46 Underhill E., ibidem, pag. 33-34. 47Underhill E., ibidem, pag. 34.
52
I suoi studi e le sue ricerche si rivolsero quasi
esclusivamente ai fenomeni religiosi, considerati secondo
un’ottica psicologica, ed in questo campo si acquistò una
buona notorietà.
Non mancarono, tuttavia, critiche e discussioni sulle sue
interpretazioni degli stati mistici e dei contenuti delle
esperienze mistiche, ritenute da alcuni eccessivamente
superficiali.
Per il nostro lavoro, ci soffermeremo su quanto esposto
da Leuba nel suo libro “La psicologia del misticismo religioso”,
esaminando principalmente i passi relativi alla distinzione tra
religione oggettiva e religione soggettiva, al misticismo
cristiano, alla personalità del soggetto mistico.
Riguardo al primo punto, e cioè alla determinazione delle
differenze tra religione oggettiva e religione soggettiva, Leuba
sostiene che “l’osservazione dei fatti mostra che esistono due
tipi di legami religiosi: nel primo caso i rapporti con Dio hanno
il carattere oggettivo di relazioni d’affari; nel secondo caso
consistono in una comunione o unione con Dio o anche in un
assorbimento nella sostanza divina. Questa duplice attitudine,
con i diversi metodi di culto che essa implica, si osserva
durante tutta la storia della religione sia nel culto privato che
in quello pubblico e la incontriamo nelle razze non civilizzate
con altrettanta evidenza che in noi stessi.”48
Esempio di religione oggettiva è, secondo Leuba, quella
degli antichi Romani, che prevedeva una specie di patto
stabilito tra gli uomini e gli dei, con obblighi ben precisi da
48 Leuba J.H., Psycologie du mysticisme religieux. Librairie F. Alcan, Paris, 1925, pag. 8.
53
rispettare quasi contrattualmente. Tramite la preghiera, il
postulante si impegnava a compiere determinati atti o riti in
onore dei dio invocato, in cambio dell’esaudimento delle
proprie richieste.
Esaudimento che, una volta assolti gli obblighi assunti,
sembrava essere un diritto acquisito.
Questo aspetto per così dire contrattuale non è
riscontrabile, ‘sic et simpliciter’, nella religione cristiana, dove
il culto oggettivo di Dio spesso lascia il posto ad un
atteggiamento di intima confidenza, di personale
comunicazione tra il credente e l’Essere supremo. Confidenza,
comunicazione ed abbandono che, a volte, possono costituire
le fondamenta su cui gettare le basi dell’esaltante esperienza
che porta all’unione mistica con Dio.
Di fronte a tali esperienze, la chiesa cristiana, a detta di
Leuba, prende le distanze dl mistico quando questi tende a
sfuggire al controllo delle istituzioni.
“La chiesa cristiana tende ad incoraggiare il misticismo,
per lo meno nei suoi primi stadi, ma non appena questo
assume le forme sorprendenti che i grandi mistici ci hanno
reso familiari, diviene diffidente, perché il mistico, nella ricerca
di Dio, segue la propria strada; pronto a mettere da parte riti e
formule e lo stesso sacerdote che si offre a servigli da
mediatore, il mistico torna dall’esperienza dell’unione con un
sentimento di conoscenza superiore e divina. E’ del tutto
evidente che persone di questo tipo possono essere molto
dannose per la stabilità di vecchie istituzioni che sono andate
persuadendosi della unicità della loro verità. Ma succede
anche il contrario, che queste anime inebriate di Dio assolvano
54
in maniera ineguagliabile all’altra missione che consiste
nell’innovare, rivelare, ispirare.”49
I due tipi di culto – oggettivo e soggettivo – presentano
modalità così specifiche e costanti nel tempo, da far ritenere
che vi sottendano tratti differenti e costitutivi della natura
umana.
Da una parte, troviamo quanti, schiavi della paura o di
sentimenti aggressivi, perseguono il soddisfacimento delle
proprie esigenze anche a spese altrui, vivendo il rapporto con
la divinità in maniera fredda e razionale, quasi mercantile.
Dall’altra, troviamo quanti, animati da sentimenti
positivi, superano i desideri egoistici e ricercano la
cooperazione dei loro simili, attuata mediante l’associazione e
l’unione.
E’ in questo secondo gruppo che, secondo Leuba, si
possono trovare i tratti che generano il misticismo, che giunge
quasi come una liberazione dopo il lungo periodo
dell’aggressività a cui fa seguito la stanchezza.
Una volta cessate le ostilità, “quale delizia chiudere gli
occhi alla molteplicità delle cose, ignorare la sfida che ci
oppongono altre volontà, rinunciare allo sforzo e perdersi nel
corso silenzioso e pacifico della vita non differenziata! Cause
fisiche e cause morali inclinano ugualmente l’anima a questo
abbandono di sé. L’andatura è stata troppo precipitosa ed i
nervi affaticati domandano grazia, oppure si son levate davanti
a noi questioni scoraggianti: ‘A che servono successi e
conquiste, a che fortuna, scienza, amori terrestri? Niente è
49 Leuba J.H., ibidem, pag. 11.
55
perfetto e niente dura. Oh! Come vorrei vincere il mio
isolamento spirituale, rovesciare le barriere che mi separano
dai miei simili, divenire tutt’uno con loro invece di lottare
contro di loro’. Ed ecco aprirsi la via verso la volontà di
unione”.50
Quindi, la via al misticismo è una razionalizzazione della
caducità delle cose, che cerca nella idealizzazione di cose
eterne e buone la soluzione a problemi angoscianti.
Per quanto riguarda il secondo punto, e cioè il misticismo
cristiano, Leuba vi dedica una parte importante nel suo libro,
cominciando con il chiedersi a cosa aspirino i mistici.
La risposta più ovvia, e cioè che essi aspirano a Dio, lascia
piuttosto scettico Leuba, che la ritiene troppo banale.
Il vero problema, secondo lui, non è quello di indicare
l’oggetto della loro ricerca – Dio, appunto – ma scoprire cosa si
cela in realtà dietro il loro desiderio di comunione con Dio, al
di là delle motivazioni che essi forniscono e che altro non
sarebbero se non pretesti con cui giustificare impulsi
sconosciuti.
“L’essere mistici, come ogni altra condizione umana, è
provocato dalle innate tendenze all’azione e da bisogni che si
traducono in forme definite principalmente dall’esperienza (…).
I mistici devono non solo al loro temperamento, ma anche
all’educazione le particolari caratteristiche che li differenziano
dal resto dell’umanità”.51
50 Leuba J.H., ibidem, pag. 12. 51 Leuba J.H., ibidem, pag. 126-127.
56
Le tendenze ed i bisogni, che più avanti Leuba elenca,
sono peraltro riscontrabili anche in persone che nulla hanno a
che vedere con l’esperienza mistica.
Troviamo infatti l’affermazione di se stessi, la tendenza ad
amare, il bisogno di essere amati e stimati, il bisogno di pace e
di armonia dell’anima.
A fianco di tali bisogni spirituali, abbiamo poi i bisogni
fisici, derivanti dalle esigenze sessuali che il mistico cerca di
soddisfare, senza peraltro rendersene conto.
“Se i mistici mostrano di sdegnare il corpo e i piaceri
corporali, lo fanno non perché sono indifferenti ai piaceri
sessuali in se stessi, ma perché sembra loro che esista fino ad
un certo punto una incompatibilità fra la soddisfazione della
carne e la salvezza dell’anima. Quando non hanno il sospetto
dell’origine corporale delle delizie sessuali, vi si dedicano con
Quanto all’influenza dell’educazione ricevuta, questa non
sarebbe stata così forte se la chiesa non avesse indicato negli
ideali di abbandono alla volontà divina, di castità e di rinuncia
a se stessi, i mezzi più sicuri per poter sperare di ottenere il
bene supremo, e cioè l’amore di Dio.
Ideali, quindi, non soltanto buoni in se stessi, ma
strumenti idonei per conseguire gli scopi che ci si era prefissi.
In tale convinzione, “la castità, fra l’altro, non appare
semplicemente come una astensione, cioè come una virtù
negativa. D’altra parte, i nostri mistici erano persuasi che il
solo mezzo per realizzare questo duplice ideale consistesse
nella dottrina cristiana della salvezza. Rinuncia a se medesimi,
castità, amoroso abbandono nelle mani di un Dio di amore e
57
di giustizia, ecco il triplice ideale che forma il bagaglio
essenziale da essi acquisito durante gli anni della giovinezza.”52
Ma Leuba non è convinto dell’assenza di stimoli sessuali
nell’esperienza mistica; al contrario, egli ritiene che alla base
delle sensazioni provocate dagli stati mistici o di estasi vi si
una componente riconducibile ad una certa attività degli
organi sessuali.
Tale attività, rifiutata a livello conscio del soggetto
mistico, si svolgerebbe a livello inconscio, stabilendo in tal
modo un ‘trait d’union’ tra l’amore spirituale e l’amore
sessuale.
Nell’avanzare questa ipotesi, Leuba parte dal presupposto
che le religioni, in genere, non potevano ignorare
sistematicamente il sesso che, unitamente ai bisogni fisici del
nutrimento ed a quelli spirituali della gratificazione di sé,
costituisce uno dei maggiori problemi dell’uomo.
Ed infatti, il sesso è presente fin nelle più antiche
religioni, nei culti che vedono un dio impersonare la forza
procreatrice, o nei voti di castità e continenza.
“La verginità e la continenza sono comandate sia perché,
ancora una volta, si considera questo sacrificio gradito agli dei,
sia perché si pensa che la compiacenza accordata alle delizie
della carne sia fonte di grandi mali d’ordine morale. (…) I fattori
sessuali compaiono nella vita religiosa con una evidenza
talmente precisa che gli autori poco attenti e
insufficientemente documentati hanno finito con l’affermare
che l’origine di questa è completamente sessuale: non si
52Leuba J.H., ibidem, pag. 127.
58
incorrerebbe in una esagerazione maggiore pretendendo che
l’unico bisogno dell’uomo è il bisogno del sesso. Il nostro scopo
qui è unicamente di studiare l’istinto sessuale che compare nel
misticismo cristiano: da un lato il dio cristiano è concepito
come un dio d’amore, dall’altro la castità e la continenza
vengono ritenuti come stati di perfezione. L’intima connessione
di questi due aspetti della fede non poteva non produrre
disaccordi che dovevano rimanere contenuti in giusti limiti
solamente in esseri normali ed equilibrati.”53
Leuba segue dunque la strada della lettura del misticismo
in chiave sessuale, e continua osservando alcune
caratteristiche comuni ai mistici da lui studiati.
In molti casi, si trattava di individui giovani, non ancora
iniziati alle pratiche sessuali o da queste delusi, dopo una
breve esperienza.
Fatti voti di castità, quasi contemporaneamente avevano
subito il fascino di Gesù o della Vergine. Fascino spirituale, ma
anche e soprattutto, secondo Leuba, sessuale, a cui si
accompagnavano in molti casi fenomeni di autosuggestione.
Notevoli, poi, erano “l’intensità ed il carattere di concreta
realtà della sensazione provocata in loro dalla presenza del
divino oggetto del loro amore. Per loro Gesù e la Vergine non
erano pure idee: a volte, soprattutto durante le estasi,
assumevano la corporea certezza di una presenza reale.”54
Quanto infine al terzo ed ultimo punto, e cioè all’analisi
della personalità del mistico, Leuba ne studia le caratteristiche
53 Leuba J.H., ibidem, pag. 149-150. 54 Leuba J.H., ibidem, pag. 155.
59
da un’angolazione prettamente psicologica, ed anche
psichiatrica.
Ciò lo porta a chiamare in causa, per verificarne similarità
e differenze, i sintomi caratteristici dell’isterismo che, a suo
dire, possono essere riscontrati nei mistici.
“I nostri grandi mistici presentano parecchi di questi
sintomi, e spesso li presentano tutti insieme; ma uno studio
più attento dimostra che, fuorché in brevi periodi in cui
l’intensità delle intime lotte e l’asprezza delle macerazioni li ha
momentaneamente sconvolti, non presentano altro che una
somiglianza del tutto superficiale con i pazienti che interessano
lo psichiatra.”55
Ciò che soprattutto induce a considerare diversi gli
isterici dai mistici, è il fatto che questi ultimi non possono
essere ritenuti semplici oggetti privi di qualsiasi energia, di
qualsiasi volontà razionale tesa al raggiungimento di uno
scopo plausibile.
Leuba, quindi, introduce un discorso interessante ed
anche abbastanza equilibrato, senza voler affermare certezze,
ma lasciando il campo aperto a varie ipotesi, attenendosi
sempre ad un criterio scientifico e non filosofico o religioso.
Parla di somiglianze tra mistici ed isterici, ma non manca
di rimarcare che “le ossessioni e le idee fisse osservate nei
nostri mistici tendono, per carattere e per dignità particolare,
ad avvicinarli non tanto ai malati dei manicomi, quanto a
quegli individui eccezionalmente dotati i quali, con la tenacia
di una energia ostinatamente concentrata su un unico fina,
55 Leuba J.H., ibidem, pag. 217.
60
hanno lavorato per realizzare qualche nobile progetto. Non
pensiamo affatto di sottovalutare quanto vi è di anormale nei
periodi di profonda depressione, in alcune stravaganze del
comportamento e nelle trance estatiche (…), Ma non vogliamo
ammettere che i sintomi di disordine nervoso osservato
realmente in essi siano indizio di una inferiorità generale che
li renda simili alla massa degli psicopatici e che autorizzino a
diminuire la stima che si ha per essi. L’identità dei sintomi non
implica necessariamente l’identità dei casi.”56
In conclusione, pertanto, secondo Leuba la personalità
del mistico differisce tanto da quella normale quanto da quella
affetta da patologie, sembrando piuttosto una personalità del
tutto peculiare.
In ogni caso, il fenomeno mistico nasce all’interno, ed è
una manifestazione di tipo psichico, anche se non psicotico.
Altri Autori si sono interessati dei fenomeni mistici, ma
citarne ancora risulterebbe eccessivamente dispersivo, mentre
è nostra intenzione entrare nel vivo del lavoro.
Interrompiamo pertanto qui questa panoramica, pur
consapevoli della sua sinteticità e della sua, per certi veri,
incompletezza.
Abbiamo premesso, nelle brevi note di introduzione al
presente lavoro, che per cogliere i vari aspetti del fenomeno
mistico occorre un approccio multidirezionale, tale da far
considerare sia la problematica religiosa che quella laica,
scientifica.
56 Leuba J.H., ibidem, pag. 219.
61
Per quanto concerne la religione, tanto nella parte
introduttiva quanto nel primo capitolo, abbiamo avuto modo di
parlare abbastanza ampiamente, non limitando il discorso alla
sola religione cristiana, ma allargandolo anche alle religioni
pagane ed a quelle orientali.
Tentando una prima sintesi delle diverse definizioni di
misticismo, abbiamo accennato alla tendenza del soggetto
mistico a ricercare l’unione con la divinità tramite una
conoscenza immediata, soprarazionale e sperimentale, della
divinità stessa.
Non si tratta di semplici credenze o di atti di fede, si tratta
di conoscenza diretta del divino, senza l’aiuto di intermediari,
e al di sopra delle rigide leggi della logica.
Per comprendere meglio questa particolare forma di
processo cognitivo, che solo pochi sperimentano, sarà utile
studiare i meccanismi che sottendono alla conoscenza in
generale.
E’ quanto ci proponiamo di fare nel secondo capitolo, nel
corso del quale esamineremo il problema della conoscenza
sotto l’aspetto fisiologico, psicologico, psicopatologico,
filosofico.
Ciò che ci preme appurare, mediante un’analisi che
prescinda da proposizioni di fede, è se i soggetti mistici
sperimentano veramente la conoscenza di Dio, e in che modo
tale conoscenza può manifestarsi.
Ed ancora, se le visioni, le stasi, il contatto con la divinità
sono accettabili come reali, o se si tratta di illusioni,
allucinazioni, false percezioni, e così via.
62
Tratteremo l’argomento senza limitarci agli aspetti
specifici della ‘conoscenza mistica’, per poter passare in un
secondo momento dal generale al particolare.
63
CAPITOLO II
La conoscenza
Quando si parla di conoscenza, si dovrebbe più
propriamente parlare di molteplici attività di conoscenza, di
processi mentali superiori che si innestano al fine di
comprendere ed affrontare il mondo circostante.
I principali strumenti di questo complesso di attività sono
la percezione, il pensiero, la formazione dei concetti, il giudizio,
l’intuizione, ecc.
La percezione può essere considerata il primo anello della
catena dei processi psichici che rendono possibile, per l’uomo
come per gli animali, la conoscenza di quanto li circonda e,
seppure in misura ridotta, di quanto avviene entro il proprio
corpo.
Il primo e forse il più importante quesito, in materia di
percezione, concerne il modo in cui il soggetto elabora le
informazioni che gli pervengono dagli organi sensoriali.
Diciamo subito che in materia non c’è univocità di vedute,
anzi, su questo terreno spesso si scontrano diverse correnti
teoriche della psicologia.
Le divergenze riguardano soprattutto il ruolo che
rivestono le conoscenze precedenti e le aspettative del
percipiente, e i confini tra i processi percettivi ed altre attività
psichiche, come l’interpretazione, la valutazione, il confronto.
64
Per chi considera la percezione in senso stretto, qualsiasi
attività che vada al di là del puro e semplice atto del percepire
è vista come un processo mentale, e pertanto non percettivo.
Ma proprio questo ci consente di introdurre dei dubbi
circa l’autenticità, o meglio, la veridicità e la corrispondenza
alla realtà delle nostre percezioni.
L’esempio più classico della non corrispondenza tra il
percepito e la realtà la riscontriamo nelle illusioni ottiche, di
cui la letteratura specializzata offre una vasta gamma.
Tali illusioni non si limitano ai casi creati e studiati in
laboratorio, ma si presentano quotidianamente, e la ritroviamo
nella vita comune.
Valgano, per tutte, l’effetto di lontananza creato dall’uso
della prospettiva in un dipinto, o l’effetto di movimento
ottenuto mediante lo scorrimento veloce di immagini fisse in
un film.
Per uno studio esauriente della percezione, occorre tener
conto di tre differenti livelli: fisico, fisiologico e fenomenico. C’è
inoltre da tener presente che gli elementi più significativi sono
forniti principalmente da quest’ultimo, quando ci si chiede che
cosa e come si vede.
Riguardo ai fenomeni percettivi per i quali non vi è
correlazione diretta tra oggetto e percezione soggettiva, la
spiegazione che appare più ovvia è che i dati a disposizione
vengono interpretati in base alle esperienze precedenti.
Tale spiegazione, peraltro, non sempre è valida per tutti i
casi, in quanto altro fattore importante è la tendenza alla
regolarità ed alla costanza delle figure.
65
“Per gli adulti le caratteristiche degli oggetti appaiono
notevolmente costanti sebbene variano le condizioni nelle quali
essi vengono percepiti. Un libro ad una distanza di tre metri
appare circa lo stesso di quanto è a un metro e mezzo, per
quanto, nella prima condizione, proietti una immagine retinica
(cioè la sua proiezione sulla membrana interna, neurale,
dell’occhio) che è grande solo la metà della seconda (costanza
di grandezza). Inoltre, un libro è percepito come libro
nonostante l’angolo dal quale è guardato: da seduti, in piedi o
voltati a testa in giù (costanza della forma). (…) Grazie alla
maturazione ed all’apprendimento, l’adulto è capace di
prestare attenzione alle invarianti e alle caratteristiche
distintive (…) degli oggetti.”57
Il riconoscimento della mediazione dell’esperienza non
solo nei fenomeni mentali complessi, in cui sono presenti
componenti mnemoniche, ma anche nella strutturazione
dell’atto percettivo, è un’acquisizione della scienza moderna.58
In effetti, il fenomeno della percezione non può essere
considerato come un semplice fatto sensoriale, ma è collegato
con la continua attività dell’organismo, tesa a stabilire un
contatto con l’ambiente, alimentata da un istinto di
esplorazione a sua volta composto di tendenze manipolative
che aumentano il flusso di informazione.59
57 Mussen P.H., Psicologia dell’età evolutiva. Aldo Martello Editore, Milano, 1967, pag. 47. 58 Cfr. Granit R., Receptors and Sensory Perception, Yale Un. Press, New Haven, 1955, vol. 12, pag. 369. 59 McDougall W., An Introduction to Social Psychology, Luce, Boston, 1923.
66
La percezione, di per sé, non è pertanto da considerare
come attendibile, in quanto può dimostrarsi fallace anche in
assenza di specifiche patologie, ed ancor più fallace può
dimostrarsi nel caso in cui tali patologie siano presenti, in
concomitanza, per esempio, di stati allucinatori.
“Nel fenomeno dell’allucinazione si osserva che l’individuo
solo apparentemente è tutto rivolto al mondo esterno (che per
lui si popola di voci, di segnali significativi, ecc.), mentre in
realtà l’attenzione è rivolta ad un mondo interno, che viene
vissuto proiettivamente come se fosse esterno (seguendo in ciò
una legge, che va al di là del fenomeno allucinatorio vero e
proprio. Non solo gli schizofrenici vivono in un mondo magico
popolato di spettri; tanti popoli primitivi hanno vissuto e vivono
i loro archetipi come miti concreti).”60
Raramente, e forse mai, le percezioni sono fini a se stesse,
non vengono elaborate mentalmente dal soggetto percipiente.
Per la quasi totalità, esse comunicano un significato che va al
di là del semplice oggetto che viene percepito, in quanto
vengono sottoposte ad un processo di interpretazione.
Scheneider cita il seguente esempio:
“Se un carro di traslochi sta davanti a una casa, il
caratteristico aspetto del carro non significa, per il passante,
soltanto un carro di mobilia, ma significa anche che forse
qualcuno va ad abitare in quella casa o se ne va.”61
Dunque, per dirla con Kurt Schneider, dovremmo vedere
qui una doppia articolazione, cioè il primo elemento che va dal
soggetto che percepisce all’oggetto percepito, e il secondo
60 Benedetti G., Neuropsicologia. Feltrinelli, Milano, 1969, pag. 245. 61 Schneider K., Psicopatologia clinica. Sansoni, Firenze, 1966, pag. 79.
67
elemento che va dall’oggetto percepito al significato intuito,
dedotto, interpretato.
Quando poi questo secondo elemento sfugge ad ogni
criterio logico, né risulta spiegabile sulla base di credenze
comuni, superstizioni, simbolismi, e prende forza
l’autoriferimento e la convinzione cieca ed assoluta, allora si
hanno fondati motivi per ritenere di trovarsi di fronte ad una
percezione delirante.
Ogni cosa assume un significato particolare, ed è sempre
centrata sul soggetto. L’oggetto più banale, il suo modo di
essere collocato, il gesto più innocente, tutto ricade in un’ottica
delirante.62
In che modo l’interpretazione delirante di certe percezioni
sia influenzata da determinati fattori, non è dato sapere, come
pure non si sa con certezza quale rapporto vi sia tra le
percezioni deliranti ed una predisposizione d’animo a delirare
(Wahnstimmung).
Si può tutt’al più parlare, con Schneider, di un vago stato
d’animo disposto al delirio, in cui
“Le percezioni in più modi significano già qualcosa, ma
ancora nulla di determinato. Proprio a causa della sua
indeterminatezza questo stato d’animo delirante può non
fornire, dal punto di vista tematico, alcuna direttiva per
l’ulteriore percezione delirante. (…) Lo stato d’animo delirante,
che invero sempre precede la percezione delirante, noi lo
chiamiamo il suo campo di preparazione. Da esso però la
62 Cfr. Minkowski E., A propos de la convinction délirante. In: Ann. Médico-psycol., (122) pag. 398-399, 1964, II.
68
percezione delirante non è affatto derivabile in modo
comprensibile.”63
Da queste considerazioni, necessariamente brevi, emerge
che il primo tipo di conoscenza, quello percettivo, non offre
garanzie di attendibilità. I sensi possono sbagliare, ma
soprattutto può sbagliare il pensiero nell’elaborare le
informazioni che dai sensi provengono.
Il problema del pensiero è stato posto per la prima volta,
in modo esplicito, dalla scuola eleatica, quando Parmenide
distinse e contrappose pensiero e sensazione. Da allora, per
secoli, fu argomento principe della speculazione filosofica.
Con Platone si cominciò a distinguere tra pensiero
discorsivo o dialettico (λόγος, δίάνοία) e pensiero intuitivo
(νόησις), e tale distinzione fu ripresa e approfondita da
Aristotele, sia con la separazione della logica in noetica e
dianoetica, sia con quella fra intelletto attivo e passivo.
Indipendentemente dalla natura intrinseca dell’atto del
pensiero, Aristotele ne studiò le manifestazioni nel discorso,
dando inizio alla logica (όργανον) come scienza autonoma.
Nel medioevo dominò la logica platonica e neo platonica,
che meglio si prestava a definire la natura del pensiero divino
inteso come atto di illuminazione immediata e
onnicomprensiva.
In Nicola Cusano il pensiero divino non è paragonabile a
nulla di ciò che è conosciuto, e quindi l’uomo compie uno
sforzo inutile quando cerca di conoscere l’assoluto, l’infinito
divino.
63 Schneider K., ibidem, pag. 78.
69
Alla luce di ciò, assume particolare valore la posizione
rivoluzionaria di Galileo, che affermò, sulla base della
matematica, l’omogeneità del pensiero divino con quello
umano, ammettendo tra essi solo una differenza qualitativa. Il
pensiero matematico, cioè, coglie verità universali e necessarie
in modo simile al pensiero divino, ma quest’ultimo possiede la
totalità delle conoscenze possibili.
Con Cartesio il pensiero umano si affranca da qualsiasi
preoccupazione teologica, ed il ‘cogito’ diviene garanzia
autosufficiente dell’esistenza.
Se Cartesio mantiene, sia pure in forma nuova, la classica
distinzione tra sensazione e pensiero, Leibniz vede tra le due
attività solo una differenza di grado e non di qualità. Il pensiero
viene definito come una percezione, da distinguersi tra oscura
(o priva di coscienza) e chiara (accompagnata da coscienza,
appercezione).
Kant riprende la terminologia leibniziana, ma ribadisce la
differenza qualitativa tra sensazione (o intuizione) e pensiero,
intendendo quest’ultimo come quell’atto sintetico a priori
(appercezione trascendentale) che collega una molteplicità di
rappresentazioni in un a coscienza, mediante concetti puri o
categorie.
Con l’idealismo, da Fichte a Hegel, si arriva al rifiuto della
dipendenza del pensiero dalle rappresentazioni sensibili, e si
sviluppa l’istanza trascendentale kantiana.
Il positivismo si libera di tutta l’impostazione
trascendentale, giudicata indebitamente metafisica, ed avvia lo
studio del pensiero secondo i metodi delle scienze naturali.
70
Nasce qui la psicologia sperimentale, con Th. G. Fechner,
W. Wundt e W. James, fino al comportamentismo di J.B.
Watson e di G.H. Mead.
La ricerca psicologica moderna non vuole sostituirsi alla
speculazione filosofica nello studio del problema del pensiero,
ma si riserva di delimitare in modo nuovo le caratteristiche.
Dal punto di vista psicologico, il pensiero si definisce oggi
soprattutto come la capacità di stabilire un ordine, o un
insieme di rapporti e di gerarchie, fra i vari aspetti e dettagli
del mondo percepito.
In questa ottica, il pensiero si lega da un lato al processo
operativo che conduce alla soluzione di problemi, e da un altro
lato al problema dell’informazione, Se dunque il pensiero è
legato alla percezione, esso si colloca peraltro prevalentemente
in rapporto al problema dell’apprendimento, ma anche in
rapporto alla natura della memoria.
Tuttavia non è plausibile ridurre il problema ad un
insieme di processi di apprendimento, ed all’accumulo ed alla
utilizzazione dei dati della memoria. A questo ostano proprio i
più recenti sviluppi della psicologia: la fenomenologia e la
scuola della Gestalt da un lato, la psicanalisi e la psicologia
dinamica dall’altro (con la riproposizione del rapporto fra
pensiero e affettività), riportano il problema del pensiero a
quello della produzione di simboli e di immagini.
Abbiamo detto che i sensi ci possono ingannare
soprattutto a causa degli errori del pensiero, ma in effetti non
è il pensiero di per sé a poter sbagliare. Le idee non sono né
giuste né errate, in quanto sempre vere, perché presenti nel
pensiero.
71
L’errore può trovarsi solo nel giudizio, quando cioè
compariamo due o più idee, due o più concetti, anche se
fatichiamo ad ammettere che proprio l’attività che più eleva
l’uomo nella scala degli esseri viventi è quella maggiormente
soggetta all’errore.
La capacità critica (da κρίνο, separare, distinguere, e
quindi anche discriminare, scegliere, decidere), o di giudizio,
se si preferisce, si esplica mediante quell’atto per cui si afferma
o si nega, ed in esso si distinguono tre elementi: il soggetto,
cioè il concetto che deve essere determinato; il predicato, cioè
il concetto determinante; la copula, cioè la relazione corrente
tra il soggetto e il predicato.
Dunque, il giudizio è un rapporto predicativo tra concetti:
quando giudichiamo, abbracciamo in un atto di coscienza due
concetti, congiungendoli con una affermazione o con una
negazione.64
Nel fare ciò, possiamo essere tratti in errore.
Il problema dell’errore, come quello del pensiero, è uno
dei più complessi e dibattuti della filosofia, che se ne è
occupata nel corso della sua storia di secoli senza riuscire a
risolverlo completamente.
Per iniziare a comprendere che cosa sia in realtà l’errore,
dobbiamo innanzitutto considerarlo opposto
“Alla verità come l’oblio al ricordo, o l’ignoranza alla
scienza. L’oblio non è che l’assenza del ricordo: si spiega
quando si sa perché le cause che producono il ricordo hanno
64 Cfr. Semprini G., Nuovo Dizionario di Cultura filosofica e scientifica. Fides, Genova, 1951, pag. 200.
72
cessato di agire. Ma l’errore non è soltanto l’assenza della
verità; non è soltanto una privazione o una negazione”.65
In effetti l’errore non deve essere confuso con l’ignoranza,
in quanto esso contiene in sé qualcosa di positivo: non consiste
nel non pensare tutto ciò che è vero, ma nel pensare qualcosa
di diverso da ciò che in realtà è.
La mente umana non sempre ha una conoscenza delle
cose corrispondente alla realtà, poiché non lascia intatti i dati
che riceve, ma vi aggiunge qualcosa, e spesso li modifica.
Possiamo quindi dire che la conoscenza non è indipendente dal
soggetto che conosce.
Secondo Cartesio, l’errore, esaminato nell’atto che lo
costituisce, appare da un verso come un qualcosa di positivo,
in quanto atto libero di una volontà, e da un altro verso come
una privazione, in quanto atto di una volontà incompletamente
illuminata.
Egli ritiene che il vero e il falso siano possibili soltanto nel
giudizio, poiché le idee in sé non si possono dire false, né si
può affermare la falsità delle affezioni e delle volizioni. Del
resto, non saremmo capaci di ingannarci qualora ci
astenessimo dal giudicare.66
Secondo Leibniz, la causa dell’errore risiede nella
imperfezione dell’analisi, sia per quanto riguarda la
conoscenza razionale che quella empirica. E se l’errore ha la
sua causa nell’imperfezione dell’analisi, ciò è da attribuirsi
all’attività intellettuale e non al senso. Ci si inganna, infatti,
65 Brochard V., De l’Erreur, Alcan, Paris, 1926, pag. 3. 66 Cfr. Levi A., Il problema dell’errore nella filosofia del Descartes. In Riv. Int. Di Filosofia “Logos”, Perrella, Napoli (1928), f.II, pag. 6-7.
73
quando l’intelletto erra giudicando secondo le apparenze,
interferendo da esse più di quello che contengono.67
Quanto a Locke, questi ritiene che l’errore non riguardi la
sfera della conoscenza, bensì la sfera del giudizio e
dell’assenso, che è fondata sulla probabilità o sulla
verosimiglianza.68
Anche per Kant l’errore è nei giudizi che formuliamo, e
consiste nello scambiare ciò che ha valore oggettivo con ciò
che, avendo un significato del tutto soggettivo non ha la
capacità di imporsi necessariamente a tutti i soggetti.69
La confusione che l’uomo fa quando scambia l’apparenza
della verità con la verità stessa è possibile in quanto, oltre
all’intelletto, egli ha anche un’altra facoltà, che è la sensibilità.
E questa sensibilità opera un’influenza occulta sull’intelletto.
Di questo passo potremmo continuare ancora a lungo nel
riportare altre teorie di altri filosofi, ma credo che ci si possa
fermare per riflettere su quanto finora esposto, e per cercare di
trarre quegli elementi utili ai fini del presente lavoro.
La prima cosa che risulta evidente è che l’errore
appartiene alla sfera del giudizio, cioè degli atteggiamenti di
valutazione, e non alla sfera delle proposizioni o degli
enunciati. Infatti, pur essendo una proposizione falsa un
elemento dell’errore, questo consiste nel considerarla vera.
67 Cfr. Levi A., Il Problema dell’errore nella filosofia del Leibniz. In Rend. Reale Ist. Lomb. di scienze e lettere, Hoepli, Milano, (1929), vol. LXIII, f. VI-X, pag. 211. 68 Cfr. Abbagnano N: Dizionario di Filosofia, Unione Tip. Ed. Torinese, Torino, 1961, pag. 306. 69 Cfr. Levi A., Il problema dell’errore nella filosofia di Kant. In Riv. Di Storia della Filosofia, F.lli Bocca, Milano, (1948), fasc, III, pag. 241-250.
74
Inoltre, anche una proposizione vera può essere un
elemento dell’errore, nel momento in cui sia ritenuta falsa.
Un altro elemento ancora può essere qualsiasi
valutazione di carattere estetico, etico, politico, religioso, ecc.,
quando sia assunta per vera pur essendo, invece, smentita da
criteri o regole validi.
Così pure, può esservi errore nell’esprimere un giudizio
sulla base di un criterio non applicabile all’oggetto del giudizio
in questione.
Quest’ultimo punto è molto importante ai fini di questo
lavoro, in quanto, nel giudicare gli stati mistici, le estasi, le
visioni, si ricorre ad un criterio che, sebbene valido nel caso
del pensiero normale, potrebbe non esserlo necessariamente
anche nel caso del misticismo.
Avverte l’Abbagnano che, in generale,
“Si può chiamare errore ogni giudizio o valutazione che
contravvenga al criterio riconosciuto valido nel campo cui il
giudizio si riferisce, oppure ai limiti di applicabilità del criterio
stesso.”70
Percezioni, pensieri, giudizi, sono tutti elementi
dell’attività conoscitiva che non ci danno la certezza della
verità. Vedremo ora se tale certezza può fornircela l’intuizione.
Intuizione è parola che deriva dal latino ‘intueri’ (vedere,
guardare dentro), e che sta a indicare una conoscenza
immediata, diretta, in cui l’oggetto si presenta nella sua
concretezza e totalità, con irresistibile evidenza.
70 Abbagnano N., ibidem, pag. 303.
75
Dal punto di vista mistico-teologico, il termine ‘intuizione’
è stato usato per indicare la visione diretta di Dio, che si ha
solo in virtù della Grazia, nell’estasi.
Nella logica di Aristotele la conoscenza intuitiva si
contrappone alla conoscenza discorsiva; può essere sensibile,
cioè apprensione diretta degli oggetti sensibili nell’esperienza,
o intellettuale, cioè conoscenza di quei principi indimostrabili,
primari, su cui si fonda lo stesso procedimento discorsivo.
In Cusano e Bruno l’intuizione è quella conoscenza che ci
permette di cogliere l’infinito; secondo Locke, è grazie
all’intuizione che noi abbiamo conoscenza della nostra stessa
esistenza.
Per Kant, l’intuizione è la rappresentazione oggettiva
immediata dell’oggetto, che avviene solo nei sensi, dove i dati
sono ordinati secondo le forme a priori dello spazio e del tempo,
dette anche intuizioni pure.
Tale intuizione sensibile ci dà solo la parvenza delle cose,
non la loro costituzione in se stesse; né esiste, secondo Kant,
una intuizione intellettuale capace di cogliere la realtà oltre il
fenomeno.
Le cautele kantiane vengono abbandonate dall’idealismo
romantico, di cui uno dei concetti chiave è il carattere di
immediata attività e creatività dell’intuizione intellettuale,
rappresentata come consapevolezza dell’autoproduzione
dell’assoluto, in un processo in cui colui che intuisce e ciò che
è intuito coincidono.
La dottrina di Bergson, detta propriamente
‘intuizionismo’, ci prospetta l’intuizione come un istinto
divenuto disinteressato e consapevole di sé, che ci permette di
76
cogliere la vera realtà nel suo perenne fluire, come slancio
vitale.
Tracciata questa breve storia del concetto di intuizione,
vediamo ora di fissare alcuni punti salienti.
Per prima cosa, possiamo affermare che l’intuizione
“È la considerazione diretta dell’individuo esistente, che
si mostra nella sua piena concretezza immediatamente (…);
conoscenza che coglie l’oggetto nella sua presenza concreta.”71
E soprattutto è un contatto diretto e immediato che
l’attività conoscente può avere di un qualcosa senza il concorso
del potere discorsivo: è una specie di folgorazione, come dice
Plotino.72
Inoltre, diciamo con Bovi che l’intuizione è
“Un giudizio, una presa di conoscenza, frutto della sfera
noetica e timica, che si svolge con un meccanismo
apparentemente diverso dai giudizi fondati sull’analisi. La
diversità apparente consiste, secondo noi, nel fatto che
nell’analisi noi sappiamo, cioè abbiamo coscienza, degli
elementi che mettiamo in opera per giungere alla soluzione
mentre nell’intuizione la maggior parte di questi elementi
agiscono senza che noi siamo consci della loro azione.”73
Questa concezione la troviamo in Jung, il quale vede
nell’intuizione una funzione psichica che si serve di percezioni
inconsciamente. Egli indica le caratteristiche di tale funzione
in senso negativo, cioè escludendo tutto ciò che l’intuizione
71 Brugger W., Dizionario di Filosofia, Marietti, Torino, 1959, pag. 275. 72 Cfr. Rotta P., dizionarietto di Filosofia, Marzorati, Milano, III ed., pag. 81. 73 Bovi A., Fenomenologia e psicopatologia dell’intuizione delirante”, in: Giorn. di Psich. e di Neuropat., 89: 74, (1961).
77
non è: non è una sensazione, né un sentimento, né un giudizio
intellettivo, pur potendosi presentare sotto una di queste
forme.74
Noi non siamo in grado di dire in che modo e da dove
scaturisca il contenuto dell’intuizione, che ci si presenta nella
sua già raggiunta completezza, come nel caso di un
apprendimento istintivo.
Quando noi pensiamo, o sperimentiamo un sentimento, i
contenuti di questi atti, rispettivamente mentale ed emotivo,
presentano il carattere della derivabilità e della riconducibilità.
I contenuti dell’intuizione, invece, non sono né derivabili
né riconducibili: essi hanno l’immediatezza e il carattere del
dato.
In quanto tal, essi non vengono sottoposti ad una analisi,
ad un giudizio da parte del soggetto che li intuisce: sono
pertanto veri, per lui ma non necessariamente per gli altri,
proprio perché non sottoposti al giudizio ma accettati
indiscussamente.
L’intuizione, abbiamo detto, è un qualcosa di immediato,
è
“Solidamente posta e non si può identificare con un
giudizio vero e proprio in quanto irrazionale.”75
Non essendo un giudizio, non è soggetta ad errore, poiché
come abbiamo visto, non c’è errore se non nel giudizio.
Ma l’intuizione, quali che ne siano i contenuti (etici,
politici, religiosi, ecc.), anche se non soggetta ad errore da un
punto di vista filosofico, può comunque rivelarsi non
74 Cfr. Bovi A., ibidem, pag. 76. 75 Bovi A., ibidem, pag. 76.
78
attendibile, o meglio, non accettabile né comprensibile da chi
non ne è direttamente partecipe.
E’ questo il caso dell’intuizione delirante, che sfugge ai
normali criteri di comprensione, e che spesso è anche
difficilmente individuabile.
Occupandosi dell’argomento, Schneider parla del
“Wahneinfall” (intuizione delirante) e sostiene che “Un ‘Einfall’
può sembrare possibile eppur essere delirante (…) e, viceversa,
un ‘Einfall’ può apparire impossibile eppure corrispondere alla
realtà.”76
Ed ancora,
“Per intuizione delirante (‘Wahneinfall’) noi intendiamo
delle intuizioni simili a quelle del sentire una vocazione
religiosa o politica, dell’avere una capacità particolare,
dell’esser perseguitato, dell’essere oggetto di amore. (…)
(L’intuizione delirante) può anche collegarsi ad una percezione,
essere in rapporto con l’attività percettiva, senza però che a
questa percezione venga attribuito quel significato abnorme”.77
Rispetto alle percezioni, che, come abbiamo già visto,
presentano una doppia articolazione, le intuizioni hanno, da
un punto di vista logico, un solo elemento di articolazione:
“Se a qualcuno ‘viene in mente’ di essere Cristo, si tratta
di un processo ad un solo elemento; questo elemento (di
articolazione) parte da colui che pensa e arriva all’Einfall”.78
Riconoscere una intuizione delirante da una normale è
spesso assai difficile, se non impossibile, come ammette Bovi:
76 Schneider K., Psicopatologia clinica. Sansoni, Firenze, 1966, pag. 77. 77 Schneider K., ibidem, p. 76-78. 78 Schneider K., ibidem, p. 80.
79
“Nonostante tutti gli sforzi si è rimasti allo stesso punto:
impossibilità di distinguere strutturalmente e
fondamentalmente la intuizione normale da quella psicotica”.79
Per tracciare una differenza tra l’intuizione delirante e
quella normale non ci si può basare sul principio di realtà,
poiché un contenuto ideativo non può essere definito delirante
solo in quanto non corrispondente alla realtà.
Non è sufficiente neppure affidarsi alla valutazione della
convinzione dimostrata dal soggetto nell’affermare la sua
intuizione, convinzione che a volte si scontra duramente con
tutta una serie di confutazioni logiche.
Insiste Bovi sull’argomento:
“Fra colui che intuisce che materia ed energia sono la
stessa cosa e colui che intuisce che lo scopo di tutta la sua vita
è la ricerca del trifoglio europeo esiste tanta differenza? Non
basta sapere che il primo è sempre stato un grande studioso
mentre il secondo è stato invece varie volte ricoverato in
Ospedale Psichiatrico per formulare un giudizio valido (…). Non
si può invocare la logica, tanto più che la storia della scienza
ci mostra che le scoperte più sensazionali sono giunte
attraverso vie apparentemente, allora, illogiche”.80
In effetti, come puntualizza anche l’Abbagnano,
“Con la logica si dimostra, ma solo con l’Intuizione si
inventa. (…) La facoltà che ci insegna a vedere è l’intuizione”.81
79 Bovi A., ibidem, p.91. 80 Bovi A., ibidem, p. 91 81 Abbagnano N., Dizionario di Filosofia, Unione Tip. Ed. Torinese, Torino, 1961, pag. 491.
80
Certe intuizioni scientifiche possono avere, per lo
scienziato, la stessa preponderante importanza e lo stesso
valore che hanno altre intuizioni per una persona che
chiamiamo delirante.
“Anche l’intuizione di una scoperta o un’intuizione
religiosa della vita possono avere (…) lo stesso valore
particolare, lo stesso significato per il soggetto che li ‘vive’;
comunque è impossibile cogliere una differenza (tra l’Einfall
delirante e quello non-delirante)”.82
Si potrebbe tentare di distinguere una intuizione normale
da una delirante giudicando in base al criterio di
verosimiglianza, ma con tutta probabilità non si riuscirebbe a
risolvere il problema.
La clinica, infatti, ci dimostra una gamma assai ampia di
deliri, comprendenti quelli più assurdi, o più ‘pazzi’ nel senso
comune di questo termine, e quelli più verosimili, vale a dire
quelli il cui contenuto, vero o falso che sia, rientra
completamente nell’ambito della possibilità.
Scrive Timmermann in proposito che
“La verosimiglianza di un’idea è una concezione
completamente relativa, dipendente dal tempo e dal luogo.
Invece di parlare dell’oggettiva verosimiglianza delle idee,
numerosi Autori parlano della loro ‘ragionevolezza’, cioè essi
considerano gli ambienti e il tempo in questione e li
confrontano con il sostrato di ciò che si sa della persona in
esame e delle sue proprietà (età, intelligenza e sapere)”.83
82 Schneider K., ibidem, pag. 81. 83 Timmermann E., The description of delusional ideas. In Acta psychiatr. et Neurol. Scand., 39 (1963) pag. 327 e seg.
81
E per meglio spiegare il suo concetto di relatività,
Timmermann riporta il pensiero di Stroemgren riguardo a
quelle idee che oggi, con Wernicke, sono considerate
semplicemente ‘ueberwertige Ideen’, mentre dai posteri
potrebbero essere considerate morbose:
“Nel momento in cui un’idea politica è avanzata per la
prima volta, può, dai contemporanei sorpresi, essere
considerata pazza, mentre più tardi, quando abbia raccolto il
20/30% dei voti in una elezione, essa sembra del tutto
ragionevole; se il numero dei voti raggiunti in favore dell’idea
sale all’80%, allora la veduta opposta sarà la pazza”.84
Stroemgren, dunque, nel giudicare della morbosità di
un’idea si rifà alla sua prevalenza o non prevalenza.
Si è citata questa teoria relativistica per puntualizzare che
l’assurdità di un’idea non è indice della sua morbosità, come
pure la verosimiglianza non è indice della sua sanità.
Tipici deliri verosimili sono i deliri dei paranoici, che
“Non sconfinano mai nell’assurdo o nel fantastico;
informano in modo del tutto coerente la condotta del
paranoico, e non conducono mai ad un vero decadimento
demenziale”.85
Nel caso di deliri di grandezza si sfruttano effettive
coincidenze di date, di avvenimenti, oppure omonimie, e
quando questi elementi dimostrativi mancano il malato ne crea
per suo conto, senza staccarsi dai criteri della credibilità.
84 Timmermann E., ibidem, pag. 327 e seg. 85 Gozzano M., Compendio di psichiatria. Rosenberg & Sellier, Torino, 1968, pag. 176.
82
Del tutto verosimili appaiono quelle teorie elaborate da
certi paranoici deliranti di grandezza, i quali scrivono lunghi
trattati basandosi su ragionamenti che, apparentemente
insostenibili, non è escluso che successivamente trovino un
seguito, specie se riguardanti argomenti filosofici o metafisici.
Anche il delirio mistico o religioso mantiene una certa
credibilità, sempre che non si voglia considerare la religione,
quale che essa sia, e le sue figure più significative, come un
macroscopico delirio collettivo alimentato, nei secoli, da
deliranti mistici e da povere allucinate. Il che, in ogni caso,
data la vastità della credenza, nulla toglierebbe alla
verosimiglianza del delirio.
Riassumendo, l’intuizione può essere considerata come
un tipo di conoscenza immediata che, in quanto tale, non è
soggetta ad errore. Peraltro, a fianco delle intuizioni cosiddette
normali vi sono le intuizioni deliranti, difficilmente distinguibili
dalle prime.
Dette intuizioni deliranti non devono tuttavia essere
giudicate negativamente, con il metro del nostro pensiero
‘normale’.
Occorre piuttosto calarsi nella particolare realtà del
mondo delirante, per cogliere a fondo tutti gli aspetti di questa
particolarissima esperienza di vita.
Scrive così Van Den Berg a proposito di un suo paziente:
“Tracciò un quadro così vivido, che era impossibile non
chiedersi se egli non vivesse davvero in un altro mondo, non
83
un mondo creato dall’arte o da una fantasia pratica, ma reale
non meno del nostro, benché completamente diverso”.86
Praticamente, il paziente in questione vedeva veramente
le cose nel modo in cui le descriveva, e ne viveva la nuova
realtà.
Quanto finora detto ci sarà utile per considerare un
aspetto degli stati mistici, non perché li si voglia ricondurre ad
una patologia delirante, ma perché li si vuole studiare anche
sotto un eventuale aspetto psicopatologico, per coglierne
somiglianze e differenze, punti di contatto e di reciproca
esclusione.
Esaurito l’argomento della conoscenza, si pone alla
nostra attenzione un altro argomento di estrema importanza
per lo studio del fenomeno mistico.
Tale argomento è la coscienza e gli stati di coscienza,
poiché il contatto con la divinità sperimentato dai mistici non
è solo un momento di conoscenza.
Seguendo il metodo fin qui adottato, considereremo il
problema sotto vari aspetti, dalla filosofia alla psicologia, dalla
psicopatologia alla psichiatria.
Nel terzo capitolo cercheremo, tramite un approccio
scientifico, di esaminare i vari stati di coscienza, normali ed
alterati, per trarne indicazioni valide a definire gli stati di
coscienza dei mistici, ed evidenziarne somiglianze e differenze.
Anche in questo caso il discorso non sarà limitato a
quanto di stretta pertinenza con il fenomeno mistico, ma
riguarderà la coscienza in generale.
86.Van Den Berg J.H., Fenomenologia e psichiatria, Bompiani, Milano, 1961, pag. 16.
84
Capitolo III
La Coscienza
La coscienza è un termine che indica la consapevolezza
riflessiva che l’uomo ha di tutti i propri stati e attività mentali:
sensazioni, idee, sentimenti, volizioni, ecc.
Spesso, tuttavia, il termine designa semplicemente il
complesso degli stati e delle attività mentali di cui l’uomo è
consapevole.
In quest’ultima accezione, la coscienza è stata di volta in
volta assimilata al pensiero, allo spirito, all’interiorità, e così
via.
Praticamente assente in Platone e Aristotele, la nozione di
coscienza si fa strada con lo stoicismo ed occupa una posizione
centrale nella filosofia di Plotino, che la concepisce come quella
realtà interiore dell’uomo cui saggio si deve rivolgere per
scoprire il divino.
Tra i filosofi cristiani è soprattutto Agostino che fa del
rapporto dell’uomo con la propria interiorità uno dei temi
centrali dell’indagine filosofica.
La stessa centralità il tema riveste nella filosofia di
Cartesio, dove la capacità del ‘cogito’ di garantire la validità
della conoscenza deriva dall’evidenza immediata con cui si
impone all’io la constatazione della propria attività cosciente,
cioè del proprio pensiero.
85
In Locke, come in Hume e Berkeley, la tesi cartesiana
della priorità del ‘cogito’ come fondamento di ogni conoscenza
valida si traduce nell’affermazione dell’impossibilità di
oltrepassare la sfera della coscienza.
Per Kant, la sfera degli stati di coscienza è oggetto di
conoscenza esattamente allo stesso modo della sfera degli
oggetti sensibili. E quindi il senso interno, lungi dal fornirci la
conoscenza degli stati di coscienza così come sono in sé, ci
mette di fronte pur sempre a dei fenomeni, così come il senso
esterno.
I fenomeni interni sono percepiti secondo le stesse
modalità conoscitive di quelli esterni.
La sfera della coscienza perde quindi con Kant il proprio
status di regno delle cose in sé, e ciò comporta l’esigenza di
indagare i fenomeni della coscienza con gli stessi metodi con
cui si studiano i fenomeni esterni.
In Fichte il dualismo tra coscienza e mondo esterno viene
meno, nel senso che la realtà esterna, concepita come frutto di
una ‘posizione’ dell’io, viene interamente risolta in coscienza:
la coscienza è la totalità del reale immediatamente dato dal
soggetto.
Nella filosofia contemporanea il rapporto tra il soggetto e
i suoi stati di coscienza, anziché costituire il presupposto della
conoscenza, diventa oggetto di indagine.
La nascita della psicologia sperimentale diede luogo a
tentativi di studiare, con i mezzi propri della scienza, concetti
fino a quel momento riservati all’indagine filosofica.
Attualmente, la moderna ricerca neuropsicologica
esamina il problema da tre prospettive principali: la coscienza
86
intesa come vigilanza (il cui opposto è l’incoscienza); la
coscienza degli eventi che si svolgono all’interno dell’organismo
(il cui opposto è l’inconscio); l’autocoscienza o coscienza di sé.
L’interesse della psichiatria si è invece incentrato sulle
alterazioni dello stato di coscienza e sui disturbi della
coscienza dell’io (depersonalizzazione, sdoppiamento della
personalità, anomalie della relazione io-corpo), quali è dato
riscontrare nelle psicosi, nell’isteria, nell’epilessia, ecc.
Per stato di coscienza vigile o normale, si intende la
condizione psicologica del soggetto lucido, presente a sé e
all’ambiente. Si ha assenza di stato di coscienza nel sonno,
dove comunque esiste un grado residuo di scambi con
l’ambiente, e nel coma.
Lo stato di coscienza normale si articola nella
consapevolezza della distinzione fra tre livelli di interazione:
l’interazione fra l’io e il corpo, quella fra il corpo e il mondo
esterno e quella fra il mondo esterno e il soggetto interessato.
Nelle psicosi questi tre livelli di interazione non sono
chiaramente distinti alla coscienza. Si parla di alterazione
lucida della coscienza quando, come in talune psicosi o nella
intossicazione acuta da allucinogeni, non vi è una diminuzione
della vigilanza; in questi casi il soggetto è normalmente
presente all’ambiente, ma non interpreta correttamente il
rapporto fra io, corpo e mondo esterno.
Si parla invece di torpore, confusione e crepuscolo
quando vi è una riduzione della vigilanza; in questi casi
diminuisce la quantità di scambi fra il soggetto e l’ambiente.
Nel torpore vi è una riduzione semplice dello stato di
coscienza, come per esempio nella sonnolenza; nella
87
confusione vi si aggiungono errori grossolani nella valutazione
dei dati percettivi, con disorientamento e falsi riconoscimenti;
nel crepuscolo vi è una diminuzione selettiva del rapporto con
l’ambiente, nel senso che il soggetto percepisce l’ambiente solo
per quanto riguarda un campo di attenzione estremamente
ristretto, come per esempio nel sonnambulismo.
Si parla di onirismo e di oniroidismo quando lo stato
confusionale si arricchisce di automatismi e di fenomeni
allucinatori simili a quelli del sonno e del sogno, ed analoghe
osservazioni possono essere fatte a proposito del cosiddetto
stato ipnoide.
E’ interessante notare come lo studio delle alterazioni
dello stato di coscienza si sia rivelato prezioso per comprendere
la natura della coscienza normale.
“Una forma particolare di alterazione della coscienza è lo
stato crepuscolare, che consiste in una falsificazione
sistematica delle situazioni, cioè dei rapporti col mondo
esterno. Lo stato crepuscolare rassomiglia al sogno: il contatto
col mondo esterno è interrotto o falsato, l’ideazione è ancora
relativamente coerente, ma nutrita di false percezioni
(allucinazioni). (…) In taluni stati crepuscolari la coscienza può
conservare una certa apparente lucidità, i rapporti ambientali
sono correttamente percepiti (…). Uno stato crepuscolare
anche più simile allo stato normale si riscontra negli isterici e
in certi ‘equivalenti psichici’ dell’epilessia (…)”.87
87 Gozzano M., compendio di psichiatria. Rosenberg & Sellier, Torino, 1968, pag. 35.
88
A volte coesistono nello stesso soggetto due diverse
personalità, ignorantisi a vicenda (coscienza alternante),
oppure una nuova personalità prende il posto della precedente,
sempre ignorandone l’esistenza (sdoppiamento della
personalità). Queste alternanze e questi sdoppiamenti si
riscontrano non di rado negli isterici.
La comunicazione verbale, e comportamentale in genere,
di cui l’individuo si serve per esprimere i propri contenuti di
coscienza, rende possibile l’indagine psicologica e la
determinazione di stati e di livelli della coscienza stessa.
Si parla così di una coscienza vigilante, e si riconoscono
stati intermedi che ne costituiscono diversi livelli: da quello
della tensione e dello sforzo attentivo, alla perdita totale della
coscienza.
Fra questi livelli estremi sono da porre quelli
dell’attenzione selettiva (coscienza vigilante), della coscienza
fluttuante, della ‘rèverie’ (fantasticheria)e della perdita di
coscienza degli stimoli del mondo esterno, nel qual caso il
contenuto è costituito dal pensiero onirico.
La presenza dei vari livelli, e soprattutto la distinzione fra
coscienza vigilante e coscienza onirica, fanno riconoscere una
dissoluzione della coscienza che, nella sua forma più
attenuata, si inserisce a livello della ‘rèverie’, ma interessa più
direttamente i livelli inferiori.
In casi particolari (attacchi epilettici, stati di confusione
mentale, isterismo con manifestazioni del restringimento del
campo di coscienza) la dissoluzione assume un carattere
psicologico.
89
Quanto alle caratteristiche degli avvenimenti che possono
divenire contenuti di coscienza, si distinguono tre livelli o modi
di essere dell’attività psichica: cosciente, preconscio, inconscio
(secondo Freud), dai quali prende consistenza il concetto di
campo di coscienza (i fenomeni psichici che possono essere
presenti in uno stesso momento nella coscienza sono infatti
necessariamente limitati).
I limiti del campo di coscienza definiscono due ordini di
fatti psichici: quelli coscienti (presenti in un dato momento nel
campo di coscienza) e quelli che sono provvisoriamente fuori
del campo, e quindi dell’attenzione, ma che restano disponibili
e che si dicono precoscienti.
I fatti inconsci possono invece affiorare a livello di
coscienza solo indirettamente (sogni, lapsus), e per mezzo di
adeguate tecniche di indagine del profondo.
In generale, l’abbassamento del livello facilita la
riapparizione (presa di coscienza) di fenomeni precoscienti o
inconsci, mentre è nota la tendenza a respingere dal campo di
coscienza quegli avvenimenti che sono in contraddizione con
l’immagine che ci facciamo di noi stessi, immagine spesso in
opposizione con l’idea che di noi si sono fatta gli altri.
Volendo ora approfondire il discorso, osserviamo con Tart
che
“Il nostro stato di coscienza ordinario non è qualcosa di
naturale o di dato, ma una costruzione altamente complessa,
uno strumento utile per alcune cose, ma non utile, e perfino
pericoloso, per altre. Se guardiamo alla coscienza
attentamente, vedremo che essa può essere analizzata in molte
90
parti, mentre allo stesso tempo queste parti funzionano come
un insieme strutturale: esse formano un sistema”.88
Ciò che ci appare naturale, ovvio, semplice nel nostro
modo di essere, è in realtà un qualcosa di molto complesso, la
cui spiegazione può essere tentata solo con un approccio
multilaterale.
“Il pregiudizio che il nostro stato di coscienza ordinario
sia naturale o un dato di fatto costituisce uno degli ostacoli
principali alla comprensione della natura della mente e degli
stati di coscienza. Le nostre percezioni del mondo, degli altri e
di noi stessi, come anche le nostre reazioni a esse (cioè,
coscienza di esse) sono costruzioni semiarbitrarie. Anche se
queste costruzioni devono possedere un minimo di
corrispondenza alla realtà fisica per permettere loro di
sopravvivere, quasi tutta la nostra vita è vissuta nella realtà
consensuale, quel segmento di realtà costruito dallo spettro
della potenzialità umana – fatto su misura e percepito
selettivamente. Siamo allo stesso tempo i beneficiari e le
vittime della nostra cultura”.89
Stato di coscienza, quindi, non come dato immediato ma
come dato mediato dalla cultura, cioè dall’insieme delle
tradizioni, dei miti, degli usi, delle manifestazioni spirituali che
caratterizzano un determinato gruppo umano.
In una cultura pienamente armonizzata, l’impulso
creativo di ogni individuo trova la propria soddisfazione, in
quanto le istituzioni proprie della cultura mirano alla
soddisfazione delle tendenze dei suoi membri.
88 Tart C.T., Stati di coscienza. Astrolabio, Roma, 1977, pag. 15. 89 Tart C.T., ibidem pag. 44
91
Secondo Ralph Linton, la cultura è la risultanza di
comportamenti di vita condivisi e trasmessi dai membri di una
particolare società.90
Con i suoi costumi, usi, atteggiamenti, la cultura plasma
gli individui che ne fanno parte. Un determinato
comportamento, ignorato in alcune società, può in altre
influenzare diversamente tutto il costume sociale.
Questi concetti ci dimostrano come sia un errore definire
anormale una forma di comportamento quando questa,
nell’ambito a cui si riferisce, è condivisa dalla maggioranza.
Il particolare stato di coscienza, e relativo
comportamento, di un fachiro indù, che in un europeo
farebbero pensare ad una forma di schizofrenia catatonica,
appaiono perfettamente normali nella sua cultura, presso la
quale hanno un fondamento riconosciuto ed un certo grado di
approvazione sociale.
Possiamo affermare con la Benedict che
“Anormali sono coloro che non trovano conferme alle loro
inclinazioni nelle istituzioni della società”.91
Ed ancora, con Tart, vediamo che
“Alcune delle esperienze possibili vengono incoraggiate,
mentre altre vengono represse al fine di edificare uno stato di
coscienza ‘normale’ che sia uno strumento efficace per la
definizione della realtà consensuale particolare di quella
cultura”.92
90 Cfr. Linton R., The Cultural Background of Personality, Century Crofts, New York, Appleton, 1945, pag. 157. 91 Benedict R., Modelli di cultura, Feltrinelli, Milano, 1960, pag. 257. 92 Tart C.T., ibidem, pag. 44.
92
Questo autore distingue tre stati di coscienza
fondamentali: stato di coscienza discreto, stato di coscienza
alterato, stato di coscienza di base.
E’ importante precisare che, nonostante la complessità
degli elementi che strutturano una ‘coscienza’, questa può
sempre essere ricondotta ad uno dei suddetti stati
fondamentali. Possiamo altresì dire che lo stato di coscienza di
base, di solito equivalente allo stato di coscienza discreto
ordinario, è quello stato di coscienza ordinario così come viene
percepito normalmente dal soggetto.
Peraltro, tale stato di coscienza ordinario può benissimo
corrispondere ad uno stato di coscienza di base di tipo alterato,
cioè il soggetto può avere come percezione di base uno stato di
coscienza alterato, che per lui è ‘normale.
Secondo Tart, lo stato di coscienza di base
“E’ uno schema generale attivo e stabile di funzioni
psicologiche, che per mezzo di rapporti di stabilizzazione
multipla (caricamento, feedback positivo e negativo e
limitazione) fra le sue parti costituenti, mantiene la sua
integrità malgrado i cambiamenti ambientali. Pongo in risalto
la parola stabilizzazione multipla, perché, come in qualsiasi
sistema complesso bene articolato, vi sono molti processi che
mantengono uno stato di coscienza: se fossero solo pochi il
sistema sarebbe troppo vulnerabile a rotture non adattive”.93
Il passaggio dallo stato di coscienza di base ad uno stato
di coscienza alterato avviene mediante un processo che si
sviluppa in varie fasi.
93 Tart C.T., ibidem, pag. 82.
93
“La prima operazione di induzione è quella di
interrompere la stabilizzazione del vostro b-SoC [stato di
coscienza di base N.d.r.], per interferire con i
processi/strutture (…) che mantengono operanti le vostre
strutture psicologiche nell’ambito della loro sfera ordinaria”.94
Per fare ciò, è necessario che venga interrotto un certo
numero di processi di stabilizzazione, in quanto l’interruzione
di solo alcuni di essi non sarebbe sufficiente.
“I processi di stabilizzazione possono essere interrotti
direttamente quando possono essere identificati, o
indirettamente spingendo alcune funzioni psicologiche fino e
oltre i loro limiti di funzionamento. Alcuni sistemi particolari
possono essere interrotti, per esempio, sovraccaricandoli con
stimoli, privandoli di stimoli o fornendo loro stimoli anomali
che non possono essere trattati nei modi abituali. (…) Le
droghe possono interrompere il funzionamento del b-SoC,
come pure qualsiasi processo fisiologico intenso, quali la
spossatezza o l’esercizio fisico”95
Per meglio comprendere il discorso, prenderemo ora in
esame alcuni esempi di induzione di uno stato di coscienza
alterato, tutti con inizio da uno stato di coscienza di base
corrispondente allo stato di veglia ordinario: il processo
dell’addormentarsi, l’induzione dell’ipnosi e la pratica della
meditazione.
Quanto all’addormentarsi, il fatto stesso di
“Sdraiarsi, di chiudere gli occhi, di essere in un posto
tranquillo, elimina immediatamente la maggior parte della
94 Tart C.T., ibidem, pag. 83. 95 Tart C.T., ibidem, pag. 84.
94
stabilizzazione da caricamento che aiuta a mantenere il nostro
d-SoC [stato di coscienza discreto, N.d.r.] ordinario. Poiché gli
stimoli sensori che provengono dall’ambiente tranquillo sono
di gran lunga troppo pochi, non è necessaria energia per
affrontare questi stimoli e parte di questa energia psicologica
viene liberata; parte di essa può ad esempio andare ad
arricchire la facoltà dell’immaginazione. (…) Quasi tutti i
ricettori cinestetici che servono a dirci che cosa sta facendo il
nostro corpo rispondono primariamente al cambiamento, e
quando siamo rilassati e fermi per lunghi periodi di tempo
questi recettori cessano di mandare messaggi al sistema
nervoso centrale. Il nostro corpo, nel senso dell’impulso
neurale, scompare: non è più presente a modellare la
coscienza”.96
Tutto ciò, comunque, non basta ad indurre il particolare
stato di coscienza del sonno; occorrono anche dei fattori
fisiologici, individuabili nella stanchezza o bisogno di dormire,
che agiscono come una forza destabilizzante dello stato di
veglia.
Riguardo all’induzione dello stato di ipnosi, numerose
sono le procedure seguite dagli ipnotizzatori, ma si possono
riscontrare alcune caratteristiche di fondo comuni.
Di norma, l’ipnotizzatore fa rilassare il più possibile il
soggetto, facendolo eventualmente sedere o sdraiare
comodamente, poiché questo facilita l’alterazione dello stato di
coscienza.
Infatti
96 Tart C.T., ibidem, pag. 88.
95
“Quando il corpo è in posizione rilassata e giace immobile,
molti dei ricettori cinestetici rallentano il loro funzionamento,
come nella transizione del sonno. Quindi il corpo nel suo
insieme comincia a svanire come esperienza conscia (…). In
secondo luogo, l’ipnotista comunemente vi dice di ascoltare
solamente la sua voce e di ignorare altri pensieri o sensazioni
che vi pervengano alla mente. Ordinariamente sorvegliate
costantemente l’ambiente per vedere se siano presenti stimoli
importanti. (…) Ritirando l’energia di
attenzione/consapevolezza da questa sorveglianza
dell’ambiente, voi ritirate una buona quantità di energia
psicologica e di attività da un certo numero di sottosistemi
(…).”97
Inoltre, sarebbe opportuno non pensare a ciò che
l’ipnotizzatore dice, limitandosi ad ascoltarlo passivamente.
Pensare a quanto ci viene detto, infatti, comporta una notevole
attività di valutazione e di decisione, che ostacola l’induzione
dello stato ipnotico.
Altro accorgimento usato dagli ipnotizzatori è quello di far
guardare fissamente un oggetto, spesso luminoso o brillante,
per distogliere l’attenzione dall’ambiente circostante e per
ottenere un ulteriore effetto.
“E’ cosa insolita per voi nel vostro d-SoC ordinario fissare
lo sguardo su una cosa. Se lo fate, a causa dell’affaticamento
della retina si presenta ogni tipo di effetto visivo inaspettato
(per la maggior parte delle persone). Aureole colorate
cominciano ad apparire intorno all’oggetto che voi fissate, le
97 Tart C.T., ibidem, pag. 89-90.
96
ombre appaiono e scompaiono, ci sono movimenti apparenti,
parti dell’oggetto svaniscono. (…) Inoltre, poiché l’ipnotista ha
affermato di avere il potere di farvi provare esperienze insolite,
il fatto che voi adesso state avendo esperienze insolite aumenta
il prestigio dell’ipnotista e vi dà una maggiore fiducia in lui. E’
una specie di trucco: impiegando effetti fisiologici che voi non
sapete essere i normali risultati del guardare fissamente
qualsiasi cosa, l’ipnotista acquista credibilità e aumenta così
la sua efficacia psicologica”.98
Seguono poi i suggerimenti ad avvertire sonnolenza, a
lasciarsi andare al sonno, ma ad un sonno diverso da quello
normale, perché lo stato indotto dall’ipnotizzatore è simile ma
non uguale al sonno reale.
Quindi, si arriva alla fase dei comandi, che di regola si
limitano a semplici suggerimenti a compiere movimenti
elementari; e man mano che si reagisce a questi suggerimenti,
il prestigio dell’ipnotizzatore aumenta sempre di più.
“Questa risposta automatica al suggerimento influenza il
vostro sistema del Senso di Identità. Ordinariamente è la
vostra ‘voce’ interiore a dirvi di fare una cosa che voi quindi
fate. Ora la voce dell’ipnotista assume questo ruolo e il vostro
senso di voi stessi comincia a includere l’ipnotista. (…) Il
successo dei semplici suggerimenti motori produce anche un
nuovo tipo di stimolazione del corpo: sentite che il vostro corpo
si muove ma con qualità differenti da quelle ordinarie. (…) a
mano a mano che rispondete bene a questi semplici
suggerimenti motori, l’ipnotista di solito prosegue verso
98 Tart C.T., ibidem, pag. 90-91.
97
suggerimenti motori più difficili e più impressionanti e verso
vari tipi di suggerimenti cognitivi, e il successo continuato
porta a una inclusione sempre maggiore dell’ipnotista
nell’ambito del vostro senso dell’Io”.99
Il risultato di uno stato ipnotico ben sviluppato è uno
stato di coscienza alterato caratterizzato da una mente
tranquilla: il soggetto non pensa e non sente nulla, ma al
tempo stesso è particolarmente sensibile ai suggerimenti che
gli provengono dall’ipnotizzatore.
Per quanto riguarda, infine, la meditazione e gli stati
meditativi, possiamo innanzitutto notare come la maggior
parte delle tecniche di meditazione comporti, come punto di
partenza, il sedersi e mantenere immobili una posizione che,
al tempo stesso, è comoda ma implica una sia pur minima
quantità di sforzo muscolare, che non consente di passare ad
uno stato di sonno.
“Le tecniche di meditazione concentrativa insegnano
fondamentalmente a concentrare tutta l’attenzione su
qualcosa in particolare. Può essere un oggetto esterno
guardato fissamente o qualche sensazione interna come
l’innalzamento e l’abbassamento del ventre nella respirazione.
(…) Il meditatore fissa la sua attenzione su una cosa;
normalmente una sensazione esterna o interna. Ciò può
produrre fenomeni insoliti dovuti a vari tipi di stanchezza del
recettore, come nell’induzione dell’ipnosi, ma la maggior parte
dei sistemi di meditazione pone l’accento sul fatto che questi
fenomeni percettuali anomali non dovrebbero essere presi
99 Tart C.T., ibidem, pag. 91-92.
98
come segni di successo e non si dovrebbe prestare loro alcuna
attenzione”.100
Lo stato che risulta da una meditazione di tipo
concentrativo può essere descritto come uno stato
caratterizzato da un senso di vacuità, di annullamento o non-
funzionamento delle funzioni psicologiche.
Per quanto possa essere difficile a spiegarsi, si ritiene che
il soggetto rimanga consapevole, pur mancando un oggetto alla
sua consapevolezza.101
L’effetto che deriva da uno stato meditativo può
generalmente descriversi come un forte ravvivamento della
percezione, oppure come un accrescimento della sensazione di
vitalità.
Volendo tornare sul discorso della patologia degli stati di
coscienza, sono interessanti quelle alterazioni che possono
manifestarsi nei soggetti isterici.
Nei casi più superficiali, ma non per questo meno
drammatici, si assiste ad uno sdoppiamento della personalità,
o addirittura ad un suo moltiplicarsi.
L’alterazione della coscienza è tale che il soggetto si
descrive, in tempi diversi, con tratti di personalità differenti e
spesso all’opposto gli uni rispetto agli altri.
Altre volte si assiste alla dissociazione spontanea della
personalità, con fughe del soggetto che si allontana dalla sua
casa, e perfino dalla sua città; se ritrovato egli afferma di non
ricordare assolutamente nulla della sua precedente esistenza.
100 Tart C.T., ibidem, pag. 95. 101 Cfr. Naranjo C. e Ornstein R., On the Psychology of Meditation, New York, Viking, 1971.
99
“Le fughe isteriche presentano qualche analogia col
sonnambulismo che deve essere tuttavia considerato un
fenomeno normale, almeno nella fanciullezza. Certe teorie
sull’isteria (Sollier) si basano sulla somiglianza dello stato
isterico al sonno ed al sogno, ed il sonnambulismo, come
indica lo stesso nome, è uno stato di dissociazione della
coscienza, in cui sono combinati fenomeni del sonno e della
veglia. (…) Come nello stato ipnotico, alcuni dei centri corticali
più alti debbono restare attivi, mentre altri, e specialmente
quelli devoluti all’autoconsapevolezza e all’autocritica, sono
isolati”.102
Vi sono poi forme di pseudo-demenza isterica e stati
crepuscolari isterici, associati talvolta ad allucinazioni aventi
contenuto sensazionale.
Per quanto concerne più direttamente il nostro lavoro,
assistiamo inoltre a ‘tranches’ isteriche, che insorgono
spontaneamente ma presentano molte somiglianze con quelle
indotte mediante ipnotizzazione.
“Possono verificarsi anche manifestazioni emotive molto
complesse: per esempio, di tipo religioso, con visioni
complicate ed allucinazioni uditive, e visive, intimamente
coerenti, o la ricezione di ‘messaggi’ ritenuti provenienti da Dio
o dai suoi angeli. Come tutti i fenomeni isterici, esse hanno la
caratteristica di essere associate ad un alto livello di coscienza.
I messaggi ricevuti da santi più venerati degli altri, di regola
dopo periodi di digiuno o di vigilia, non sono né caotici né
disorganizzati, ma portano l’impronta della personalità di chi
102 Mayer-Gross W., Slater E., Roth M., Psichiatria clinica, Sansoni Edizioni Scientifiche, Firenze, 1963, pag. 181-182.
100
li riceve e possono contenere elementi genuini di esaltato
misticismo. Talora si osservano fenomeni vegetativi, che si
presentano con un meccanismo che non siamo ancora in grado
di comprendere: la riproduzione delle stigmate di Cristo in
credenti semplici di mente ma ardenti di fede, la capacità di
vivere per parecchi giorni senza alimenti e senza subire
rilevanti modificazioni del metabolismo; l’abilità degli studiosi
di Yoga di ridurre la vitalità ad un livello bassissimo, o di
maneggiare il fuoco, sono fenomeni tali da non soddisfare
attualmente nessun ricercatore scientifico, ma meritano
davvero di essere studiati a fondo. Non si ritrae alcun vantaggio
nel definirli fenomeni isterici, perché a tutt’oggi non sono
affatto spiegati né il meccanismo psicologico, né quello
fisiologico da cui essi possono derivare. Ciò non per tanto, essi
hanno senza dubbio una stretta parentela con i sintomi
dissociativi del paziente isterico”.103
Queste ultime considerazioni rivestono particolare
importanza ai fini del nostro lavoro, in quanto delineano
somiglianze, ma non identità, tra determinati stati di coscienza
dei mistici ed alcuni stati di coscienza degli isterici.
Anche da ciò deriva un riconoscimento alla validità
dell’approccio, in chiave psicologica, al fenomeno mistico,
anche se, come affermato in precedenza, lo studio deve essere
condotto da varie direzioni per consentire una visione organica
e completa.
103 Mayer-Gross W., Slater E., Roth M., ibidem, pag. 184.
101
CAPITOLO IV
Affettività ed emozioni
Parlare di affettività, in termini generali, significa parlare
degli effetti che le reazioni psichiche determinate da stimoli
interni od esterni possono produrre nell’individuo, e quindi
della capacità di nutrire sentimenti e provare emozioni.
Alla base dell’affettività è il temperamento, cioè il
potenziale affettivo che costituisce la condizione di fondo o
umore dell’individuo.
La vita affettiva, pur presentando delle difficoltà
predisposizionali dovute al temperamento, e pur oscillando fra
i due poli opposti del piacere e del dolore, riveste per ciascuno
un carattere di diversa coloritura o tonalità, a seconda
dell’intensità e della durata dei fenomeni.
In tal modo, i sentimenti (affetto, noia, tristezza, ecc.)
vengono vissuti secondo i caratteri della scarsa intensità e
della lunga durata, mentre le emozioni (gioia, paura, collera,
ecc.) assumono quelli della forte intensità, ma della breve
durata.
La maniera abituale e costante di agire e reagire propria
di ciascun individuo, l’insieme delle disposizioni consolidate
individuali, oppure la sintesi delle tendenze affettive che
dirigono le reazioni dell’individuo alle condizioni dell’ambiente
in cui vive, costituiscono il carattere dell’individuo stesso.
102
Per emozioni si intende ciò che, traendo origine dalla vita
istintuale, riguarda in maniera immediata il piacere ed il
dolore, il desiderio di appropriazione e quello di
allontanamento.
Le emozioni sono un aspetto fondamentale ed
imprescindibile dell’esperienza umana, colorando di sé ogni
attimo della vita cosciente in quanto vita affettiva. Esse sono
controllate solo parzialmente dalla ragione e dalla volontà,
essendo loro caratteristica principale l’immediatezza.
Il loro apparire si manifesta con una alterazione del tono
affettivo di base, di breve durata, come si è già detto, ma di
forte intensità, dovuta a stimoli improvvisi ed intensi che
scatenano un insieme di fenomeni di natura psicologica e
fisiologica.
Sul piano psicologico, le emozioni si risolvono in
esperienze affettive piacevoli o spiacevoli, mentre sul piano
fisiologico esse provocano modificazioni del comportamento
motorio, mimico e viscerale.
Nelle teorie contemporanee diventa essenziale il
riferimento alla situazione nell’abito della quale l’emozione
acquista significato.
In quest’ottica va vista anche l’interpretazione
dell’emozione da parte della psicanalisi, come un
comportamento ed uno stato d’animo non identificabili in sé,
ma solo in un contesto storico di eventi, per esempio come fuga
o impegno nell’ambito di una situazione complessa.
L’emozione è qui sempre dotata di significato, e può
essere quindi più o meno idonea ai fini dell’individuo e della
specie.
103
Sul carattere in ogni caso ‘significativo’ dell’emozione
concordano sostanzialmente tutte le teorie contemporanee: in
primo luogo, riconoscendo il ruolo dell’emozione nella vita
psichica individuale, e quindi ponendosi il problema di
coglierne fenomenologicamente i modi e, dopo Freud, il senso
profondo; in secondo luogo, studiando le modalità
intersoggettive dell’emozione, che è parte integrante di una
storia di vita di rapporti familiari, ma è anche parte di un
sistema di comunicazioni.
Altra caratteristica comune delle teorie successive a
Freud è l’ipotesi della continuità tra gli aspetti psicologici e
quelli psicopatologici della vita emotiva.
Nella misura in cui il soggetto è imprigionato od
ostacolato dal proprio stato emotivo, quest’ultimo acquista
un’autonomia ed un peso particolari nei confronti del resto
della vita psichica, ed al tempo stesso permette meglio
all’osservatore di coglierne le caratteristiche costitutive.
La psichiatria dinamica attribuisce in questo senso alla
vita emotiva una grande importanza, e con la rivalutazione del
significato metodologico e del valore della soggettività la teoria
delle emozioni trova un posto di rilievo nel panorama della
psicologia contemporanea.
“La psicopatologia dei disturbi affettivi può essere
spiegata molto facilmente facendo riferimento alla analogia
dell’affettività anormale con emozioni normali dello stesso tipo.
Gli individui tristi tendono ad essere più taciturni del solito e
a trovare difficoltà nel concentrarsi su argomenti che non li
interessano. La tristezza del paziente si aggrava fino ad una
depressione patologica e la difficoltà di concentrazione sfocia
104
in un rallentamento del pensiero e dell’azione. L’allegria
normale porta abitualmente ad una maggiore libertà e facilità
di eloquio e di movimento ed ad una stimolazione di tutte le
attività psichiche; lo stato maniacale mostra una
corrispondenza di sintomi: mancanza di inibizione, apparente
rapidità delle reazioni psicologiche, distraibilità e fuga delle
idee. L’esaltazione dell’umore è accompagnata da una
sensazione di generale benessere, che nello stato maniacale si
manifesta con mancanza di introspezione; l’umore triste
predispone alla preoccupazione con pensieri cupi e nel
depressivo si ritrova una tendenza all’ipocondria e
all’esagerazione nel lamentare malori fisici”.104
Come si può rilevare, normalità e patologia mostrano
sorprendentemente caratteristiche comuni, sia pure
superficialmente e fenomenologicamente. E’ ovvio che fermarsi
a queste somiglianze sarebbe estremamente qualunquistico,
ed offrirebbe una visione distorta del fenomeno.
“Lo stato affettivo globale altera non solo l’aspetto
esteriore dell’individuo, ma anche l’impressione che egli riceve
dall’ambiente. Un fenomeno del genere si può osservare nei
preconcetti e nelle interpretazioni erronee dei maniaci e dei
depressivi e può anche fornire una spiegazione parziale delle
loro idee deliranti. Il parallelismo tra reazioni emozionali
normali e anormali può essere esagerato; e il tentativo di
derivare i sintomi degli stati maniacali e depressivi seguendo il
criterio della ‘comprensione’ (cioè vedendo nell’anormale solo
quello che è normale, ma in forma estrema) può facilmente
104 Mayer-Gross W., Slater E., Roth M., ibidem, pag. 265.266.
105
spingersi troppo oltre, sia in questo che in altri campi della
psicopatologia”.105
Studiare comunque questo parallelismo è importante, per
imparare a distinguere, ove possibile, forme patologiche di
depressione o di esaltazione da altre simili ma rientranti, se
non nella ‘normalità’ almeno nella ‘non patologia’.
Questo può aiutarci a comprendere meglio la componente
affettiva ed emozionale che sottende agli stati mistici,
discriminando gli aspetti di genuina esaltazione da quelli
indotti da una patologia della psiche.
“Il paziente maniacale non si sente né appare malato e
all’esame presenta di solito un quadro di perfetta salute
generale. L’episodio maniacale non di rado s’inizia con un
umore leggermente depressivo, che dura soltanto pochi giorni,
e gradualmente si trasforma in una crescente esaltazione,
associata ad una attività aumentata ed irrequietezza. (…) Non
esiste una netta linea di demarcazione tra la naturale
presunzione del maniaco e le idee di grandezza che possono
divenire deliranti (…). Nella sua forma più grave l’eccitamento
maniacale porta alla confusione, nella quale si oscurano i
sintomi tipici della mania. La coscienza, che negli stati più
moderati si mantiene chiara, diviene obnubilata, mentre
possono osservarsi illusioni ed allucinazioni”.106
Se pensiamo al coinvolgimento emotivo che sottopone i
mistici ad un forte stress psichico, se consideriamo la
partecipazione affettiva ed emozionale pressoché totale
raggiunta in taluni stati, sempre più rileviamo quel
105 Mayer-Gross W., Slater E., Roth M., ibidem, pag. 266. 106 Mayer-Gross W., Slater E., Roth M., ibidem, pag. 276-279.
106
parallelismo di cui abbiamo parlato, e di cui, tuttavia, non
dobbiamo lasciarci ingannare.
Il fatto che in alcune psicosi paranoidi acute si riscontrino
“Stati di paura, allegria, rabbia, o sentimenti di grande
benessere e vigore, oppure i sentimenti opposti; o anche quelle
associazioni di esperienze sensitive ed emotive, quali l’estasi,
la beatitudine, la dannazione o la comprensione intuitiva
diretta nei riguardi dei problemi più difficili”107 non significa
che l’insorgenza di tali stati sia necessariamente il sintomo di
una psicosi.
Prima di bollare come patologica una esaltazione del tono
affettivo, o una crisi depressiva, sarà bene approfondire
l’indagine psicologica.
“Il tono affettivo, l’umore, i sentimenti subiscono, già in
condizioni normali, frequenti oscillazioni legate alle percezioni,
ai ricordi, alle idee, alle sensazioni organiche, cioè alle
condizioni del nostro mondo interiore (somatico o psichico) ed
ai rapporti di esso col mondo esterno. In condizioni normali
esiste sempre una certa proporzione fra le cause che
determinano le variazioni del tono affettivo e l’intensità e la
durata di queste. In condizioni patologiche il tono affettivo può
subire modificazioni che, per intensità e durata, sono del tutto
sproporzionate alle loro cause. La depressione e l’esaltazione
dell’affettività sono i due poli opposti di queste modificazioni
patologiche”.108
107 Mayer-Gross W., Slater E., Roth M., ibidem, pag. 353-354. 108 Gozzano M., Compendio di psichiatria. Rosenberg & Sellier, Torino, 1968, pag. 26-27.
107
Dalla psichiatria, dunque, ci vengono gli strumenti per
valutare con maggiore cognizione di causa le modificazioni
dell’affettività, discernendo il normale dal patologico sulla base
di parametri significativi. In particolare, è la psichiatria stessa
a sostenere che la possibilità di uno stato di esaltazione
particolarmente intensa sfoci in una psicosi non è poi così
frequente.
“L’affettività ha un’importanza enorme nell’orientamento
del pensiero. Un potente tono affettivo può esaltare un’idea fino
a falsarne il giusto significato e creare un delirio. Ma anche
senza giungere a questo, l’influenza dell’affettività è manifesta,
si può dire, in tutti i processi psichici, orientando e talora
trasformando il contenuto del pensiero, la rievocazione dei
ricordi, l’associazione delle idee, la volontà”.109
Ciò significa che un tono affettivo particolarmente elevato
può influire non solo sull’umore di un individuo, sul suo stato
d’animo, ma anche su processi psichici di carattere razionale,
mnemonico, volitivo.
In tal modo, idee, percezioni, immagini, possono
assumere un’importanza ed un significato particolari, senza
per questo essere deliranti.
Forse, alla base di tutto questo vi è una predisposizione
innata o acquisita all’emotività, che influenza sentimenti,
pensieri ed azioni dell’individuo.
“L’emozione è il punto di integrazione più significativo fra
psicologia e fisiologia; poiché da un canto essa investe, più di
ogni altro processo, le alterazioni della vita psicologica, mentre
109 Gozzano M., ibidem, pag. 30.
108
dall’altro essa si esprime, più di altri processi mentali, in
modificazioni organiche attualmente accessibili alla fisiologia.
L’intero organismo partecipa, biologicamente e mentalmente,
al fatto emotivo. Da qui anche la difficoltà di definire
l’emozione. Dire che essa è un meccanismo reattivo significa
rimanere nei termini generali; dire che essa è l’aspetto psichico
di tutti i meccanismi reattivi è anche inesatto, perché alcuni di
questi decorrono su un piano non emotivo. Da un punto di
vista introspettivo, emozione è tutto ciò che aumenta, secondo
un tono sia positivo sia negativo, la normale vigilanza che
struttura lo stato di coscienza. Da un punto di vista obiettivo
l’emozione corrisponde ad una configurazione
comportamentale alla cui base postuliamo, come elemento
integrante e necessario, uno stato o di appetenza o di
avversione, un vettore psichico da o verso un oggetto. A
differenza dell’atto razionale, quello emotivo è inoltre già
interamente costituito sul piano pre-verbale (…)”.110
E’ molto importante notare come forti emozioni possano
indurre modificazioni somatiche anche vistose, e dar luogo a
fenomeni fisici nell’individuo.
I casi più comuni, che sperimentiamo quotidianamente
noi stessi, o che riscontriamo nelle persone con cui veniamo a
contatto, vanno dall’arrossamento del viso all’aumento del
battito cardiaco, dal tremore alle gambe alla sensazione di
restringimento dello stomaco, dai brividi lungo tutto il corpo
all’aumento della traspirazione, e così via.
110 Benedetti G., Neuropsicologia. Feltrinelli, Milano, 1969, pag. 305.
109
Non è escluso che emozioni di maggiore intensità, provate
da individui particolarmente sensibili, possano dar luogo a
fenomeni fisici più inusuali, come quelli riscontrati talvolta nei
mistici.
La scienza non è arrivata a spiegare molti di questi
fenomeni fisici che si accompagnano ad emozioni intense o a
stati affettivi consolidati, per cui non appare azzardato
formulare l’ipotesi che essi, pur esulando dalla norma, non
rientrino neppure nella patologia, appartenendo quindi ad uno
stadio intermedio che contiamo di poter meglio descrivere nelle
nostre conclusioni.
110
CONCLUSIONI
Siamo finalmente giunti al momento di trarre le
conclusioni dal nostro lavoro di ricerca e di compilazione,
riordinando le numerose tessere del mosaico per ricomporle in
un insieme coerente e significativo.
Come anticipato nell’introduzione, lo schema iniziale ha
subito qualche variazione nel corso della trattazione dei singoli
argomenti, pur nel rispetto della sua ossatura fondamentale.
L’approccio al fenomeno mistico è stato effettuato da più
direzioni, privilegiando la psicologia ma non trascurando la
religione, la filosofia, l’antropologia culturale, la psicanalisi, la
neurologia.
Abbiamo dapprima tracciato un quadro generale,
seguendo l’excursus storico-cronologico del misticismo nei
secoli, partendo dai misteri greci esoterici e studiando, via via,
le caratteristiche comuni alle varie religioni, gli esercizi
propedeutici all’esperienza mistica (come le tecniche
sciamaniche dell’estasi, l’uso delle droghe, la pratica dello
yoga, i vari tipi di ascetismo), il montanismo caratterizzato
dalla rigida ascesi, l’atteggiamento incostante della Chiesa
riguardo all’argomento, le testimonianze dei più importanti
mistici cristiani.
Ci siamo poi posti alcune domande, alle quali abbiamo in
parte trovato risposta nel corso dei vari capitoli.
Esaminando le diverse definizioni del fenomeno mistico,
siamo giunti a formulare una sintesi in cui il fenomeno stesso
è visto come un particolare stato d’animo derivante da una
111
situazione spirituale nella quale è coinvolto l’individuo dedito
alla contemplazione religiosa.
Questo individuo tende all’unione con la divinità, che
scaturisce da una conoscenza immediata, soprarazionale e
sperimentale della divinità stessa, al di là di qualsiasi processo
razionale.
Senza risposta, o meglio, senza risposta certa è rimasto il
quesito sulla possibilità o meno che il soggetto possa opporsi
al processo interiore che lo porta a sperimentare detta unione,
e se tale processo sia o meno indotto da qualcuno o da
qualcosa.
Del resto, poter spiegare scientificamente ciò non è
possibile, così come non è possibile dimostrare
scientificamente l’esistenza di Dio, essendo tutto ciò che
concerne la sfera divina un argomento ed un oggetto di fede,
non di indagine conoscitiva.
Ciò nonostante, si è ritenuto possibile studiare il
fenomeno mistico anche prescindendo dalla fede, in quanto
pur ammettendo irrazionalmente l’origine divina, investe la
psiche umana ed è pertanto suscettibile di un approccio in
chiave psicologica.
A tale scopo, sono stati passati in rassegna alcuni degli
autori che si sono interessati al problema, illustrandone il
pensiero sulla base dei loro scritti.
Abbiamo visto, con Willam James, che esistono stati
spirituali non riferibili a modificazioni psicologiche o alla
percezione sensoriale di oggetti esterni, né spiegabili con la
psicopatologia.
112
I grandi ‘geni’ religiosi hanno manifestato sintomi di
instabilità nervosa, ma questa, anziché danneggiarli, ha
conferito loro autorità presso i fedeli.
Circa l’origine del fenomeno mistico, James sostiene che
il punto di partenza è uno stato depressivo, melanconico, dl
quale si passa ad uno stato di esaltazione inteso come reazione
positiva dell’individuo in qualche modo toccato dalla grazia
divina.
James non offre alcuna spiegazione di come ciò avvenga,
ma ipotizza che il passaggio dall’uno all’altro stato avvenga
grazie ad un intervento divino, che non può essere
scientificamente dimostrato, per mezzo del subliminale, che
può essere invece, sia pure parzialmente, spiegato in termini
scientifici.
Conclude questo autore indicando una via per giungere
alla discriminazione tra patologia e religiosità, e questa via è lo
studio dei frutti positivi che derivano dallo stato mistico.
Secondo Gordon W. Allport, è probabilmente attraverso
un sentimento religioso acritico, indifferenziato, che si perviene
all’esperienza mistica o a quelle esperienze che porteranno,
poi, a sperimentare il fenomeno mistico.
Sempre secondo questo autore, il misticismo sarebbe una
dissociazione benigna della corrente di pensiero e di
sentimento delle consuete attività critiche ed autocoscienti
dell’intelletto.
Quanto alla Evelyn Underhill, l’esperienza mistica è come
una soverchiante conoscenza di Dio, che rende passivo il
soggetto mistico.
113
L’esperienza sarebbe possibile a tutti, anche se pochi vi
arrivano, in quanto i più si perdono in interessi materialistici.
Per questa autrice non esiste una sola personalità
mistica, potendo personalità differenti, e da diverse direzioni,
condurre ad uno stato mistico.
Infine, Henry James Leuba suppone che alla base delle
sensazioni provocate dagli stati mistici o di estasi vi sia una
componente riconducibile ad una certa attività degli organi
sessuali, rifiutata a livello conscio ma ugualmente svolgentesi
inconsciamente.
Questo autore prosegue poi sostenendo che i grandi
mistici presentano sintomi simili agli isterici, ma tale
somiglianza è, salvo brevi periodi di crisi, solo superficiale.
Le ossessioni e le idee fisse dei mistici somigliano più alla
tenacia di alcuni geni nel perseguire i loro progetti che a quelle
dei malati psichiatrici.
In conclusione, secondo Leuba la personalità del mistico
differisce tanto da quella normale che da quella patologica,
essendo del tutto peculiare, e questa convinzione ci sembrava
più accettabile, in quanto colloca il fenomeno ad un livello
intermedio, che non esiteremo a definire ‘paranormale’ se tale
aggettivo non suscitasse perplessità.
Si tratta, comunque, di un fenomeno che nasce all’interno
dell’individuo, ed è una manifestazione di tipo psichico, anche
se non psicotico.
Lasciate alle spalle il contributo fornito dagli autori citati,
abbiamo esaminato i vari meccanismi attraverso i quali si
sviluppa la conoscenza.
114
Abbiamo visto che i principali strumenti della attività
conoscitiva sono le percezioni, il pensiero, il giudizio,
l’intuizione, ed abbiamo altresì visto che tali strumenti non
sono infallibili, non sempre ci forniscono una conoscenza vera,
corrispondente alla realtà.
Le percezioni, ad esempio, anche in assenza di una
patologia riscontrata, possono darci informazioni inesatte, o
distorte, come nel caso delle illusioni ottiche; per non parlare,
poi, delle percezioni deliranti.
Quanto al pensiero, questo non fornisce né informazioni
giuste né informazioni errate, mentre soggetto ad errore è il
giudizio, che opera comparando due o più idee, due o più
concetti.
Altrettando inattendibile può rivelarsi l’intuizione, ove
non sia comprensibile da chi ne è direttamente partecipe. E
questo non perché un’intuizione sia di per sé falsa, ma perché
non necessariamente deve essere accettata dagli altri.
Ovviamente, queste sono dissertazioni vagamente
accademiche, che condurrebbero a ritenere impossibile la
conoscenza del vero. Non è nostra intenzione avallare una
simile convinzione, ma è innegabile che, in certi casi, non si
può essere sicuri della conoscenza, in tutte le sue forme,
acquisita, così come non si può essere sicuri che l’individuo
che devia dalla norma comunemente accettata sia in errore o
sia un malato.
Lo studio della coscienza ci ha offerto altri argomenti,
aprendo nuovi orizzonti specie per quanto concerne le
alterazioni riscontrate durante i fenomeni mistici.
115
La breve analisi degli stati affettivi e delle emozioni, infine,
ha completato il quadro dei vari elementi che in varia misura
contribuiscono alla formazione dei fenomeni mistici.
Sulla base di quanto fin qui esposto e sintetizzato,
proviamo ora a trarre le conclusioni in merito ai fenomeni
mistici.
E’ nostra convinzione che non sia possibile stabilirne
positivamente la natura, in quanto da un lato tutto ciò che è
inerente alla fede non può essere dimostrato, e dall’altro le
scienze umane non hanno saputo dare una spiegazione
razionale del problema.
E’ possibile, anche se riteniamo poco probabile, che un
giorno la scienza arrivi ad una soluzione, ma per il momento
nulla ci consente di ritenere ‘umana’ e non ‘divina’ la natura
del fenomeno.
Ci dichiariamo, quindi, disarmati di fronte a questo primo
interrogativo, che peraltro era e resta il più importante.
Quanto agli altri interrogativi, sicuramente di minore
rilievo, possiamo invece dare alcune risposte.
L’origine del fenomeno mistico può essere ricondotta alla
psiche umana, dal momento che le manifestazioni coinvolgono
vari meccanismi psichici, sia a livello conscio che inconscio.
Indubbiamente, anche i sensi sono interessati dal
fenomeno, ma sempre in quanto guidati, e a volte ingannati, di
processi psichici.
In base ai testi ed agli articoli consultati, il misticismo è
correlato sempre ad esperienze religiose, ma non si può negare
che esistono, e sono esistite, forme di misticismo laico, che
peraltro non abbiamo ritenuto di dover approfondire, essendo
116
il nostro interesse rivolto soprattutto al misticismo religioso in
generale, e cristiano in particolare.
Circa l’importanza ed il significato che ha la purificazione
dell’anima prima dell’insorgere di un fenomeno mistico,
abbiamo visto che tale purificazione può coadiuvare, ma non
necessariamente, tale insorgere, poiché la liberazione dai
peccati, e dalle cose terrene in genere, avvicina di più a Dio.
Ed ancora, ci eravamo chiesti se fosse possibile rilevare le
differenze tra gli stati mistici e gli stati di esaltazione mentale.
La risposta, fornitaci dalla psicopatologia e dalla
psichiatria, è sostanzialmente affermativa, sia pure con alcune
riserve dovute alla similarità di certe manifestazioni isteriche o
psicotiche con altre di natura mistica.
Probabilmente, il profano non saprebbe distinguere, per
esempio, una trance mistica da una trance isterica, ma
certamente saprà farlo lo psichiatra.
All’ultima domanda, infine, e cioè se sia possibile
accostarsi al fenomeno con i mezzi della psicologia dinamica,
la risposta è venuta nel corso dell’intera trattazione, svolta in
chiave prevalentemente psicologica.
Come considerazione finale, possiamo aggiungere che
l’esito del presente lavoro, ancorché preventivato, non ha
soddisfatto pienamente, poiché non ha portato a conclusioni
definitive. Non per questo, tuttavia, quanto emerso deve
apparire di scarsa importanza.
Allo stato attuale la scienza si ferma di fronte al fenomeno
mistico, lasciando aperto il campo a molte ipotesi, sconfinanti
nel soprannaturale, e quindi nel divino.
117
Molti meccanismi, però, sono stati scoperti ed analizzati,
e molti altri lo saranno in futuro.
Per ora, tuttavia, occorre fermarsi a riflettere, in attesa di
poter attingere a nuovi elementi in avvenire.
Questo dovevo dire, per collocare al giusto posto, nel
rispetto della sua validità ma anche dei suoi limiti, il presente
lavoro.
118
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39. Underhill E., L’educazione dello spirito. Torino, 1926.
40. Van Den Berg J.H., Fenomenologia e psichiatria, Bompiani, Milano, 1961.
41. Vergote, A., Psicologia religiosa, Borla, Torino, 1967.
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INDICE
INTRODUZIONE pag. 2 CAPITOLO I
a) Il fenomeno mistico pag. 11 b) William James pag. 21 c) Gordon W. Allport pag. 38 d) Underhill Evelyn pag. 46 e) Leuba James Henry pag. 51
CAPITOLO II La conoscenza pag. 63 CAPITOLO III La coscienza pag. 84 Capitolo IV Affettività ed Emozioni pag. 101 Conclusioni pag. 110 Bibliografia pag. 118 Indice pag. 122