la rivoluzione piemontese del 1821; discorso...

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i I LLINO I S UNIVERSITY OF ILLINOIS AT URBANA-CHAMPAIGN PRODUCTION NOTE University of Illinois at Urbana-Champaign Library Brittie Books Project, 2011.

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iI LLINO I SUNIVERSITY OF ILLINOIS AT URBANA-CHAMPAIGN

PRODUCTION NOTE

University of Illinois atUrbana-Champaign LibraryBrittie Books Project, 2011.

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In Public Domain.Published prior to 1923.

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Brookhaven BinderyLa Grosse, Wisconsin

2011

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Pietro Egidi

La Rivoluzione Piemontese

del 1821

Discorso commemorativo

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1921

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La Rivoluzione Piemontese

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1 921

Lo spirito (ella reazione piemontese, subito dopo lala restaurazione del '14, fu troplo violento, troppo iniquo,troppo sciocco, lercllè potesse durare a lungo. Gli uominiche lo rappresentarono, cristallizzati dall'isolamento, inaci-diti dall'esilio, furono così inetti a intendere la società inin cui tornavano, che quasi ogni atto che fecero, fu dan-noso alla nazione ed a sè. Si mostrarono così gretti e mm-tellingenti, che lo stesso generale austriaco Bubna pubbli-camente li (lerideva; che Luigi Provana (l Sabbione, pureaffezionatissimo a Vittorio Emanuele, doveva sospirare: «E

crudo che un lrav' uomo, fatto re dal destino, sia circon-dato ia un branco (i bestie »

Altro nome non meritava chi, volendo ignorare la ma-gnifica strada del Moncenisio, lerché fatta da Napoleone,lretendeeva costringere merci e viandanti a passare per la

;lunga difficile via della Novalesa; o chi d'un tratto di penna,radiava tutti gli agenti doganali nominati dopo il 1798,sospendendo per più giorni ogni sorveglianza ai confini; ochi [roponleva la distruzione del gran ponte in pietra get-tato sul Po dall'imìperatore, l)erchè l)onte scomnunicato, ponte

,.:suiculoUo; o chi richiamava alle armi quanti erano scritti*nei ruoli nel 1800, come se in mezzo noti vi fossero stati14 anni di coscrizioni, (li guerre continue.

Per necessità di cose, quesCti spiriti ciechi duraronopoco al governo. La loro stessa stupidità li liquidò in bre-ve temp)o. Ma l'ol)era loro f'u esiziale alla monarchia. Solola tenace bontà, lo sl)irito di discip)lina e di abnegazione,l'affetto tradizionale (l popolo l)iemontese ai stioi sovrani,.

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traverso la secolare lotta sostenuta in comune per viveree mantenere la propria indipendenza contro tutti i nemici,i violenti e gli insidiosi, legava strettamente sovrano, no-blltà, popolo. Il re e la nazione si identificavano. Un'ar-dente patriottismo piemontese, un vivo orgoglio piemontese,una ininterrotta tradizione di ambizioni e di aspirazionipiemontesi, un' avversione cordiale contro ogni straniero,infiammavano ' animo dell' ultimo contadino come quellodel re. Questa comunanza di affetti, di aspirazioni, di odi,rendeva facile alla gran maggioranza accettare lealmenlel'assolutismo del principe, mitigato dalla sua innegabilebontà personale.

Si congiungevano in questa maggioranza gli elementipiù estremi della società: la folla popolare, specialmentecontadina, e la più parte dei nobili.

La classe popolare in Piemonte (eccezion fatta per Ge-nova, di recente acquistata) era quasi esclusivamente agri-cola. Piccole le città; le industrie scarse, paralizzate damille vincoli corporativi, da mille interventi statali (cau-sati da volontà di proteggerle e riuscenti ad impacciarle,come troppo spesso accadde ed accade) avevano un'esistenzaprecaria e stentata. La classe operaia era quindi poco nu-merosa, povera e in condizioni di continua incertezza divita.

Gli agricoltori avevano terribilmente sofferto, più cheogni altra classe, nelle turbolente vicende della rivoluzionee della dominazione francese. Le campagne di continuodevastate, le requisizioni sempre rinnovate, le imposte ac-cresciute, i giovani validi a forza coscritti e portati a mo-rire in paesi lontani, per cause che essi non comprende-vano e non sentivano. La restaurazione era per loro il ri-torno della pace, del lavoro tranquillo; il re, il padroneantico, déi loro padri, dei loro avi: era piemontese anchelui, e se li avesse chiamati a battersi, l'avrebbe fatto perla sua terra, pel suo paese. Largamente analfabeti, non sicuravano troppo di diritti politici o di progresso sociale: nonne comprendevan per lo più nè il significato, nè il van-taggio. E d'altra parte, è doveroso riconoscerlo, l'azione deisovrani era stata sempre tendente ad elevare lo stato deicontadini, qui prima che altrove affrancati da ogni residuo

5di servitù personale ed avviati a graduale eguaglianza didiritti civili.

La nobiltà formava una casta chiusa, orgogliosa, per-suasa della santità delle sue prerogative. Non mancava diqualità: generalmente non molto ricca, viveva senza sfarzoe lusso smodati; viveva molto nelle campagne e traevadall'abituale contatto coi contadini ragione di reciprocoaffetto, non di odio e di oppressione. Non era neppure sce-vra di grandi difetti. Era limitata di idee, scarsa di istru-zione, formalista, bigotta. Educata al più assoluto rispettodell'autorità regia e al più gretto cattolicesimo, aveva inorrore ogni innovazione che sembrasse minimamente toc-care il trono o l'altare: danneggiata economicamente dagliultimi rivolgimenti, ne paventava fino il ricordo; credendoa sè dovute per diritto di natura tutte le cariche, tutti glionori, s'irrigidiva nella difesa di questo suo privilegio, perl'interesse proprio e. del sistema, che credeva il solo giustoil solo salutare. Per essa realmente lo Stato era riassuntonella frase attribuita al Thaon de Revel: <un re che co-manda, una nobilt che lo circonda, un popolo che l'obbedisce. >

Ma d'altra parte, appunto perchè le alte cariche eranoa loro riservate, quasi solo in mezzo ai nobili si trovavanopersone cui fossero aperte le vie del vasto mondo, e cheavendo avuto occasione di viaggiare, di trattare quistionidl'interesse non puramente locale, di prendere largo con-tatto con la vita degli altri popoli, si fossero formata unacultura solida, vasta, svariata. R Ministri, diplomatici, mili-tari, magistrati, essi costituivano un elemento scelto, e laloro disciplina di mente e di cuore, la loro illimitata de-vozione al sovrano, che impersonava la patria, fu in ognitempo prima causa della vitalità del Piemonte. D

Noti mancavano attorno a yittorio Emanuele: il SanMarzano, il Vallesa, il Pralormo, Prospero Balbo, Alessarn-dro di Saluzzo: tutti uomini di valore, di buona fede, dibuona volontà, di grande rettitudine, che incarnavano levarie gradazioni dei conservatori intelligenti: i primi, legit-timisti alieni da trasformazioni rapide, persuasi che nienteil suddito avesse diritto di chiedere e tanto meno di pre-tendere, ma solo dovesse attendere quel che il sovrano sidegnasse concedere, e che le concessioni non dovessero mai

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intaccare le leggi fondamentali dello stato; gli ultimi due,Balbo e Saluzzo, più moderni, più illuminati, convintidella forza e della giustizia delle aspirazioni diffuse nelmondo, e della necessità (li venire a radicali riforme chealmeno in parte le soddisfacessero, se non si voleva porrea repentaglio la stessa esistenza delle stato.

Gli avversari '(e quelli appartenenti al gregge deglisciocchi, e quelli più intelligenti) li accusavano di libera-lismo. Certo non erano liberali: ma conservatori illumi-nati, che, assunti nel 1819 al ministero, conoscendo megliodegli altri la spirito della nazione, si adoperarono a paci-ficare gli animi, a lenire e, quando possibile, a cancellarei tristi effetti della stupida reazione, esercitata dai primireggitori; si sforzarono di indurre il re e i colleghi a rifor-me ponderate; non troppo ardite, ma che pure avrebberoaccontentato per qualche tempo, e impedito o almeno ri-mandato lo scoppio della rivoluzione.

Non erano liberali, ma le idee liberali li lambivano(la ogni lato, penetrate com' erano largamente nella loroclasse e nelle loro famiglie.

Poiché, com.e pare destino in ogni simile contrasto,anche in quegli anni, i più caldi, eloquenti sostenitori delleidee liberali, i più appassionati nemici deH'assolutismo edei privilegi appartenevano alla classe privilegiata.

Eran quasi tutti giovani o al massimo all'inizio dellavirilità. Le loro intelligenze s'erano schiuse negli anni tur-binosi della rivoluzione, e s'erano formate tra il cozzardelle idee e delle spade, tra il rumore delle discussioni eil fragore del cannone. S'erano nutriti fin dalla prima fan-ciullezza del pensiero (li Vittorio Alfieri, che nel loro cuoreaveva acceso la fiamma delle eroiche virtù ed aveva subli-mato la loro mente. Pel suo influsso, di piemontesi erandiventati italiani; avevano acquistato coscienza che il Pie-monte era parte d'Italia, che aveva particolari obblighi eduffici nel ricomponimento della patria; alla sua scuola,oltre che l'amore per la lingua italiana, avevano acquistatoun appassionato senso orgoglioso della dignità nazionaleitaliana, una viva aspirazione all' indipendenza italiana,un'insofferenza acuta di ogni tirannia, un odio inestingui-bile contro ogni straniero.

Sino al 1814 quest'odio era misogallismó: il tirannoera Napoleone; non solo l'orientava in quel senso la paroladel profeta .(che tale essi consideravano 1' Astigiano), masopratutto la quotidiana esperienza della patria asservitaai Francesi, l'annullamento di ogni libertà nazionale sottola dispotica volontà dell'uomo fatale. Molti di loro, sforzatidal bisogno, o costretti dal volere onnipotente,- o spintidalla coscienza del dovere che ogni onesto.cittadino ha digiovare la patria, in qualunque istante, come meglio lo pos-sa - molti avevano prestato servizio nelle amministrazionio nell' esercito imperiale, e ne avevano guadagnato unalarga conoscenza della cosa pubblica, un'esperienza di arte,militare ignota al vecchio Piemonte, e sopratutto un'abitu-dine ad orizzonti piùl vasti, a concepimenti più larghi epiù arditi. C'è bisogno di nominarli? Santorre di Santarosa,Ferdinando e Cesare Balbo, Luigi Provana del Sabbione,Luigi Ornato, Paolo di S. Sebastiano, Casimiro Massimino,Carlo Vidua, Carlo di S. Marzano, Giacinto Collegno, Gugl.Moffa di Lisio, Ettore Perrone, Morozzo di Sant' Alberto,Pacchiarotti, Radice, Ceppi: letterati, studiosi e per la mas-sima parte ufficiali.

Nel '13 avevano anch'essi creduto agli appelli alle li-bertà nazionali e alle promesse degli alleati; e forse già daallora sognarono un'unità d'Italia sotto la casa di Savoia,che in un indirizzo ad Alessandro di Russia è detta natu-rale « centro dell'unione di tutti gli italiani. »

Avevano accolta la restaurazione con animo fiducioso.Era saldissimo in loro l'affetto alla dinastia, che cosidera-vano vero presidio della naizione; eran caduti in angosciosadisperazione al primo stupido infuriare della reazione cheessi attribuivano sopratutto ad influenza austriaca. Qualchesperanza s'era in loro ravvivata, quando ai ciechi reazio-nari videro sostituiti nel governo i conservatori illuminati.Quando 1' esperienza mostrò che neppur questi riuscivanoa condurre in porto la più piccola riforma, si convinserodella necessità di mutar il regime.

« I Piemontesi, scriveva il Balbo nei primissinmi giorni« del '21, han veduto, combattuto, amministrato, studiato< assai nei venti anni scorsi; assai più di quel che non ap-« paia.... e che non creda il governo.... Fin dal 1814 era

8« generale l'opinione della necessità d' una riforma delle« leggi; grave e stabile. Fu promessa e ripromessa, senza« mai condurla in porto. Nacque naturale la persuasione« che il governo non voleva quella riforma, e che, facen-« dola, la farebbe di mala voglia e non la manterrebbe,« se non era istituito a un tempo qualche consiglio o corpo«o qualche nuova forma di governo che fosse mallevadore« della stabilità di queste leggi. »

Questa persuasione, se lentamente si andò formandonell'animo di questi spiriti eletti dalla classe privilegiata,assai più rapidamente e con maggior facilità s' impadronìdi gran parte di un'altra classe, intermedia ha nobiltà epopolo: della borghesia.

Non era molto numerosa, e; data la scarsezza delleindustrie e degli scambi, neppure molto ricca. Viveva so-prattutto del commercio minuto, delle professioni libere,della burocrazia. Con una strana tendenza a specializzarsi,a distinguersi in gruppi a seconda della occupazione, nonera molto omogenea. Per necessità, quella parte che si de-dicava agli impieghi e più quella che esercitava profes-sioni libere, aveva una media cultura superiore a quelladelle altre classi, sebbene di rado esprimesse uomini ec-cellenti,per le difficoltà che il regime opponeva.

Questa sua elevata cultura la metteva in grado di sen-tire più che ogni altra classe l'influsso delle idee nuove.In essa soprattutto si trovavano i ribelli alle dottrine reli-giose e gli avversari dell'assolutismo.

Erano giunti in quest'ultimo sentimento, non solo perl'influenza Alfieriana e Ortisiana, vivissima anche fra essi;ma anche e più spinti dai loro speciali interessi. La restau-razione nei primi anni li aveva profondamente danneggiati.Una folla di impiegati, di magistrati, di ufficiali, quasinuova aristocrazia della burocrazia e dell'esercito creata daNapoleone, s'era vista spezzare la brillante carriera iniziata.Moltissimi si trovarono senza impiego, alle prese giorna-liere con la fame, defraudati nelle loro pensioni, guada-gnate con una vita laboriosa e con gravi rischi e sacrifizi.Erano migliaia di disoccupati e di scontenti.

Vero è che negli anni successivi, dopo il 1818, parec-hi avevano ottenuto la riammissione e negli uffici e nel-

l'esercito; ma la maggior parte a condizioni cosi umilianti(centinaia di ufficiali napoleonici dovettero servire da sot-tufficiali; altre centinaia perdettero uno, due gradi nellariammissione, e si trovarono sotto gli ordini di vecchi rim-bambiti o di ragazzi imberbi, sol perchè nobili) che il mal-contento sopravviveva intenso, ed essi eran naturalmenteportati a sperare in un mutamento in senso democratico,che togliesse o diminuisse almeno la loro inferiorità. Ilprogramma liberale era per loro assai seducente, poichècomprendeva libertà di commercio, abolizione dell'e molte-plici dogane (basti dire che sul Po da Torino alla foce sene incontravano 37, e che dogane speciali distinguevanola Liguria e la Savoia dal Piemonte!). La libertà di com-mercio, predicavano e dicevano i liberali lombardi, ha u-guale importanza della libertà politica: la libertà economicae la politica sono le due grandi espressioni della libertàanimatrice dei popoli: l'indipendenza non è un grido dirivoluzione, ma un principio di economia politica. E con lalibertà di commercio, la libertà e il progresso delle indu-strie. Erano i liberali (in Lombardia non in Piemonte pur-troppo) che praticamente mostravano come dovevano tra-sformarsi le industrie seriche, che mettevano in esercizioi primi battelli a va)pore, che impiantavano le prime illu-minazioni a gas.

Non pensava, neppure la borghesia, ad istituzione re-pubblicane, se si eccettui forse quella genovese e per ovvieragioni : l'esperienza francese l'aveva guarita da tale velleità.Anch'essa affezionata alla dinastia, voleva solo che le istitu-zioni monarchiche fossero modificate in modo da poter essaavere nella cosa pubblica quella parte, cui sentiva d' averdiritto pel suo numero, pel suo lavoro e per le sue capacità.

Sujlo scorcio del 1819 in tutti i liberaleggianti, di ognigradazione, era comune la convinzione che fosse « neces-« saria anche a noi (è Cesare Balbo che lo scrive) una cc-« stituzione rappresentativa. Che questa opinione esista, che« sia sparsa largamente, che sia generale, niun uomo pri-« vato, nemmeno i più tranquilli, i più ritirati, i più alieniK dalle cose pubbliche ne dubitano. Ormai solo gli uomini< (lei governo pare che non vogliano aprire gli occhi ».

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Il consiglio dei ministri che in quel momento circon-dava Vittorio Emanuele I, con 1' ingresso degli elementipiù chiaroveggenti e illuminati, Balbo e Alessandro Saluzzo,era, pare un paradosso, diventato anche più inetto ad ogniefficace azione. Quando era composto di soli elementi ultraconservatori, aveva almeno una retta linea di condotta,una via chiaramente tracciata; adesso si divideva in dueparti quasi uguali, se non per numero, per autorità e va-lore di persone, tra di loro contrastanti a segno da averneparalizzato ogni movimento, arrestata ogni attività. I pro-getti ponderosi, meditati, del Balbo e dei suo collaboratoriper una radicale riforma giudiziaria, che aveva per base1' abolizione dei privilegi e 1' unificazione del diritto, equelli per l'istituzione del Consiglio di Stato, s'arenavanopiù che per la lentezza troppo scrupolosa del vecchio, perla chiara invincibile avversione del Roburent, del Revel;un'avversione ammantata di cortesissime forme, ma chemal nascondeva la antiquata, gretta concezione degli op-positori e lo sgomento di veder crollare tutto 1' organismostatale, se solo se ne tocccasse la minima esteriore super-fetazione. Ma d'altra parte i ministri reazionari non osa-vano proporre, e se l'osavano non riuscivano a far preva-lere, provvedimenti che reprimessero la corrente liberaleg-giante man mano rafforzatasi nel paese, o meglio nelle piùilluminate classi del paese.

L'avevano fatto nei primissimi anni, quando erano solinei consigli reali, e ne avevano riconosciuto l'inutilità; oggisi trovavano disorientati, imbrigliati dai colleghi meno as-solutisti. Come provvedere, scrisse subito dopo un loro por-tavoce, quando il ministro dell'interno, Prospero Balbo, siapure « par esprit de système et en vue du bien public »,quello della polizia (conte Lodi) « moitié par peur, moitiepar inèptie »; quello della guerra, Alessandro di Saluzzo' par ambition et par un ardent amour pour le fausses doc-trines du siècle » favorivano i liberali, riempivano l'eser-cito e i loro dicasteri di uomini noti per 1' avversione al-1' assolutismo, consegnavano l'educazione della gioventù a

maestri imbevuti delle piùi perverse dottrine'?

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Accuse che rivelano la intima ragione della impotenzapatente del governo, sia a rinnovare, sia a conservare. Iministri, discordi e vicendevolmente sospettosi e invidiosi,vivevano distaccati, quasi antagonisti, ciascuno ristretto nelsuo dicastero, senza unità di vedute e d'intenti. Quest'unitàavrebbe dovuto darla il sovrano. È difficile dire quel chefosse, quel che valesse, quel che volesse Vittorio Emanuele.Certo era dotato di una grande, profonda bontà: certo nonera privo di qualche ,intelligenza, e portava nell' eserciziodella sovranità un' alta dignità, un geloso rispetto delle a-

ispirazioni e delle tradizioni della sua casa. Avversava pro-fondamente l'Austria, e tutti dell' avversione sapevano; nelsecreto del suo gabinetto si dilettava a compilare progettiche ne diminuissero o addirittura ne escludèssero dall'Ita-lia la potenza, stendendo a tutto il settentrione della peni-sola i domini sabaudi. Ma non aveva capacità atte a fron-teggiare le difficoltà dei tempi. < Vittorio Emanuele! - scri-« veva nel 1815 Santorre di Santarosa- L'istoria ingenua« nella sua narrazione dirà che non vi fu mai principe di« migliori intenzioni, e che non vi fu mai principe meno« capace di riordinare lo Stato. Tu vorresti fare il bene, ma« tu non lo sai fare: ne sai scegliere chi lo sappia faré, nèa dargli l'autorità necessaria per farlo. »

Personalmente non pare avesse assoluta ripugnanza ariforme: ma pare che debba riscontrarsi come suo carat-tere fondamentale una grande debolezza, che lo rendevafacile a subire l'influenza delle persone nelle quali avevariposto il suo affetto e la sua fiducia: la regina Maria Teresa di Austria, il suo scudiere fidato Cordero di Robu-rent ebbero voce tra i liberali e tra i conservatori d'esseregli arbitri del cuore del re, gli ispiratori d'ogni sua azione.A loro i liberali e i conservatori riformisti facevano risa-lire la colpa delle mancate riforme. I liberali aggiungevanoche per loro ispirazione Vittorio aveva preso impegno con1' Austria di non concedere mai una costituzione, mentrenel suo animo paterno non sarebbe stato alieno dal farlo.Che l'impegno ci fosse, pare falso: ma che il timore di unintervento austriaco prevalesse su ogni altra considerazione,credo difficile negare.

Con questa sua debolezza, con la facilità che aveva di

12procrastinare i provvedimenti, appena non sembrasseroaddirittura imposti dalla necessità, non poteva dare ai suoiministri indirizzi precisi.

La passiva resistenza che opponeva ai progetti di rifor-ma, disanimava i riformisti; la bontà con cui accoglievatra i suoi famigliari persone note per il fervore delle ideeliberali, disarmava i reazionari. Non era suo scudiero Carlodi S. Marzano, marchese di Caraglio, uno dei più ardentitra i costituzionali? E non era sui gradini del trono ' e-rede presuntivo, che egli aveva voluto e difeso contro leinsidie austriache, Carlo Alberto, principe di Carignano,su cui appuntavano gli sguardi i liberali di Piemonte equasi di tutta Italia ?

Chi osava agire contro i liberali, scrive il Thaon (liRevel « en voyant a la tète du mouvement l'héritier éven-tuel du tròne'? »

Questo giovane principe (aveva appena 22 anni) dopouna triste misera adolescenza, priva di ogni dolcezza del-l'affetto materno, trascinata nella gretta volgarità di collegistranieri, in cui era stato educato come semplice cittadino,aveva tenuto gradi nell' esercito napoleonico ed era contedell'Impero. Il padre, durante la rivoluzione, aveva copiatoin miniatura la parte di Filippo 1' Ègalité aveva giacobi-neggiato insieme con la leggera sua moglie. - Grande dipersona, d'aspetto virile, d'animo appassionato, mobilissi-mo, passava con straordinaria rapidità dal più caldo entu-siasmo alla prostrazione più profonda, dalla vivacità piùsbrigliata alla più cupa malinconia, dalla cordialità e lafranchezza pitù aperta al più stretto impenetrabile riserbo.Assai intelligente, educato in mezzo alla libertà repubbli-cana e alla grandezza napoleonica, trovava spesso miserae gretta la forma mentale imperante alla corte di Torino,e con aspra causticità ne metteva in ridicolo gli antiquaticostumi. Non si peritava di portare i suoi strali anchesull' opera del governo (del re: biasimava apertamente (eglistesso lo confessa nel suo memoriale del 1821) 1' arbitriodelle lettere patenti, con cui la volontà del sovrano si so-stituiva al giudizio dei tribunali; l'intrigo e l'interessepersonale che inquinavano le arretrate forme amministra-tive; lo sprezzo o almeno la noncuranza contro le attività

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industriali; il conferire le cariche secondo la nascita nonsecondo il merito.

Ambizioso, avido di gloria, vissuto in un ambiente incui la gloria era tutto, e i disegni smisurati, e.i semplicisoldati diventavano marescialli e i generali sovrani, avevasentito nel giovane cuore il palpito di gioia che era corsoper tutta Italia, quando s' era sperata la libertà; e ascol-tava sempre più facilmente i discorsi dei giovani (Colle-gno, Balbo, Omodei, Perrone, Santarosa) sulle aspirazionie i secreti desideri dei servi fratelli di Lombardia; discorsiche gli facevano balenare il sogno di cavalcare, eroe li'beratore, alla testa dell' esercito piemontese a portare sa-lute e indipendenza per tutto, entro la cerchia delle Alpie fin alla sponda dell'Adriatico, e farsi re del più fortee del più bel regno che in Italia avesse esistito da unmillennio. Egli si entusiasmava; faceva eco senza ritegno.« Confesso - scrisse nel 1839 - che sarebbe stato perme, allora giovanissimo, più prudente tacermi, quandosentiva parlarmi di guerra, del desiderio d' ingrandire glistati del re, di contribuire all' indipendenza italiana, diottenere al prezzo del mio sangue una forza e una gran-dezza territoriale che potesse rafforzare la felicità del no-stro paese. Ma neppure oggi, coi capelli grigi, posso sconfes-sare quegli slanci della mia anima di giovane soldato... Ohlo sento; fino all' ultimo respiro il mio cuore palpiteràalle parole :patria, indipendenza dallo straniero. »

Vittorio Emanuele gli portava molto affetto, poco in-vece Carlo Felice, che ne guardava con sospetto gli atteg-giamenti: variò secondo i momenti 1' umore di Maria Te-resa. Grande la sua popolarità. Un confidente della poliziaaustriaca scriveva nel maggio 1818: « È idolatrato da tutto ilPiemonte... che ripone nel giovine.., le sue speranze, e peravere un governo costituzionale e per ottenere un amplia-mento di stato... Li suoi seguaci e adoratori.., coltivano l'ideache egli sia un Genio, che abbia... a portare... la rigenera-zione all'Italia. »

Da tutta Italia gli venivano lodi ed incoraggiamenti:da Vincenzo Monti, da Ugo Foscolo, dal Pellico, dal Gior-dani, da Gino Capponi da Giovanni Berchet.

I liberali lo ritenevano, ed avevano il diritto di rite-

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nerlo, il loro naturale capo, il loro protettore. Solo li im-pensierivano quegli improvvisi cambiamenti, quei ritornistrani per cui talora mostravasi scettico, scoraggiato, irri-dente ai sogni liberali, preso quasi da una libidine di potereassoluto. << Egli ha bisogno, diceva il Confalonieri al Cap-poni nel 1818, di essere eretto di animo e incoraggiato;onde il fiato pestilenziale che lo circonda, non lo ammorbi.Egli ha bisogno di ben sentire che gli occhi degli italianisono conversi in lui per giudicarlo, e per operare o perdisperare di lui e di loro. » C'era chi attribuiva queste suecontradizioni a saggia prudenza, ma anche chi ci scorgevaindizio di un carattere simulatore e di principi deboli e ten-tennanti. Ancora nel febbraio del '21 il principe della Cister-na avvertiva i suoi compagni di Piemonte: Non vi fidateinteramente del principe di Carignano. Egli non ha tantaaltezza di spirito da entrare francamente nel nostro partito.

Questa diffidenza e 1' alto suo grado ion permetteva-no ai giovani liberali della nobiltà (neppure a Giacinto diCollegno, che pareva pure ne godesse la confidenza) di par-largli chiaramente della preparazione che facevano perpassare dalle parole all'azione.

E del resto per loro stessi quale fosse il modo con cuii sogni potessero diventare realtà; quale il mezzo per cuii loro desideri prendessero corpo, non era stato agevolefissare, non fu chiaro anzi che negli ultimi momenti. In-tellettuali fantastici, romantici, concepivano la politica daromantici: tutta sentimento e sogno. Avrebbero voluto cheil re stesso assumesse l'iniziativa della rivoluzione e dellaguerra all'Austria: avrebbero allora dato con gioia tutto illoro sangue. Quello che si avverò nel 1848. Che avrebberofatto se la monarchia non avesse annuito? Non avevanoun disegno loro fisso. Ma vicino a loro, nella borghesia enell'esercito, viveva e si organizzava chi lo preparava ancheper loro. Era la Carboneria.

Società segreta internazionale, che sapeva piegare le sueforme e i suoi atteggiamenti ai più vari ambienti, con unmimetismo coì i perfetto da permettere la coabitazione sen.z'urto di rep bblicani e di monarchici, di credenti e di

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atei, in Piemonte era stata introdotta nel 1818 dal medicoGastone, ed aveva il suo centro più attivo in Alessandriacol Rattazzi, col Prina. Trovava adepti per lo più tra le

persone dedicate alle professioni liberali, tra gli ufficialiinferiori e sopratutto tra i sottufficiali. Ma in complesso,se efficace per salda organizzazione, per ardore e attivitàdi fratelli, e potente per legami con i centri liberali stra-nieri, non riuscì mai in Piemonte a raccogliere gran nu-mero di aderenti. I liberali della nobiltà e della ricca bor-ghesia la guardavano con diffidenza, perchè, ostili in generealle sette, la credevano nel fondo contraria alla monarchia.e certo troppo estremamente democratica; ripugnavano so-pratutto dai mezzi che essa predicava necessari: sobilla-zione dell'esercito e pronunciamento militare. a Possibileche il nostro povero Piemonte abbia anche a temere diquella canaglia dei Carbonari? » scriveva il Pellico il 9 set-tembre 1820.

Il comitato rivoluzionario parigino, da cui la Carbo-neria piemontese dipendeva, per non perdere queste vivis-sime forze ebbe una delle sue felici trovate. Istitui in Pie-monte una Federazione italiana. Non era una setta, a rigore,

poiche non portava obbligo di giuramento; escludeva ognisospetto di repubblica, poichè ordinava di « serbar fede allacostituzione ed al Re che sarebbe stato eletto »; tendeva al-l'indipendenza dallo straniero e all' unione, se non esplici-tamente all'unità dell' Italia. Suscitava quindi meno repu-gnanze e meno scrupoli.

La Federazione prosperò in Piemonte e di qui passò inLombardia. Si propagò facilmente tra i militari nobili, tra iricchi borghesi, tra gli intellettuali, tra gli studenti: il mo-vimento liberale per sua opera, se perdette parte della poesiaromantica, guadagnò in ordine ed in estensione.

Le due correnti, Carbonara e Federata, si mantennerodistinte fin quasi alla fine del '20: la prima chiaramenteorientata verso la costituzione spagnola, l'altra verso quellafrancese che ammetteva due camere, una di Pari per dirittodi nascita, l'altra di rappresentanti elettivi.

Il dissenso si manifestava anche nelle fogge del vestire.I carbonari affettavano negligenza, trascuratezza e aria tra-gica: lunghi capelli spioventi, ampi mantelli, cappellacci

16dalle larghissime tese; i federati, gran cura della persona,rigoroso rispetto alla moda, abiti attillati, alti cravattoniche li fasciavano fino alle orecchie.

Fomentavano il dissenso efficaci influenze straniere.Accarezzava e proteggeva i federati il conte Seitlsdorf e piùil duca Dalberg, ambasciatori di Baviera e di Francia, statiin cui vigevano istituzioni moderate; eccitava i carbonariil cav. Bardaxi y Azara, ministro di Spagna, democraticoestremo anche prima che nel suo paese la rivoluzioneavesse il sopravvento; attivissimo e quasi astuto cospiratoredopo il gennaio del 1820, quando le sue idee nel suo paeseavevano trionfato.

Quasi tutti i nobili liberali entrarono nella Federazione.« Tutti i giovani più alla moda e più ricchi (son parole diCarlo Alberto) professarono apertamente le idee liberali. Ildevint du ton d' é tre liberal!» Ne rimasero fuori pochissimitra i più moderati (C. Balbo, Federico Sclopis) repugnantiad ogni setta, persuasi dell'immaturità del paese ad un mu-tamento immediato, che invece sarebbe immancabilmentevenuto senza scosse attendendo. Aspettate dieci anni, ammo-niva il Balbo: tutte le più alte cariche dello stato sarannooccupate da noi, e sul trono sederà il principe di Carigna-no: il resto verrà da sè, senza turbamenti e convulsioni.« Dieci anni! rispondeva Santarosa, dieci anni son troppi:oggi la Spagna è libera; lo sarà domani ? oggi la Francia hauna carta, e non si unirebbe ai nostri nemici: oggi è gene-rale il consenso di tutti gli Italiani; in tutti è 1' ansia, lasmania della indipendenza e della libertà. »

Anche il Santarosa era in fondo avverso alle sette: ani-mo diritto, intero, « carattere antico fuso nel bronzo,>disinteressato oltre ogni dire, avrebbe preferito forme dilotta aperte, legittime. Ma, come condannare le sette, eglidiceva precedendo il Mazzini, se esse sorgono dove niunaltro mezzo v'è per mostrare il proprio pensiero e per a-gire? dove non v'è libertà di stampa, noi istituzioni libe-rali? < Temete le società segrete? Fate che si possano te-nere legittime adunanze e libere discussioni. >

Ardente, impetuoso, « i rimedi efficacissimi e pronti(scrisse il suo intimo Lud. Sauli) solo gli andavano a san-gue è... si adirava contro chi gli esponeva le difficoltà e

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rispondeva, « che non occorreva la fredda ragione, ma sib-bene l'impeto della passione. » L'ora era suonata: bisognavaforzare, carpire la volontà regia: nel fondo del cuore il reera con loro. Se indispensabile, si accogliesse il concorsodelle sette; « se poi una setta è numerosa e comprendepersone riputate ed abbienti, essa forma il popolo, non èsetta »; scriveva ai primi del '20. L'aveva piegato il successodella rivoluzione spagnola del '20. Rivoluzione rapida, quasisenza sangue, che aveva dato il regime costituzionale eassicurava (o almeno pareva in quel momento che assicu-rasse) pace, tranquillità a quella nazione. Quell'esperienzalo aveva riconciliato anche con le sedizioni militari; lasua mente si sforzava di giustificarle: 4 Il re, volendo es-sere superiore alle leggi, si è posto fuori della società: per-chè non esiste società che tra persone tutte sottoposte aduna legge comune. Fra il principe assoluto ed il popolovi è quindi stato di natura; o, a usar più giusta ma terri-bile parola, vi è stato di guerra... Il diritto di volere che ilpatto tra il popolo e il re sia espresso e stipulato, non èsoggetto a prescrizione, è sacro come il diritto ad esistere.Ora, perchè questo diritto che compete al popolo, non po-trà essere esercitato anche dalla porzione di popolo armata?...Il Principe donò quelle armi !... Ma a chi le donò? A coloroche prima di riceverle, che prima di essere soldati, eranomembri della società civile, figli della patria, verso la qualeavevano obblighi e doveri.., non mai distruttibili, non mairipudiabili. >» Son sue parole nelle Speralnze d'Italia, scritteintorno al luglio del 1820.

La rivoluzione napoletana di quel mese confortò luie i suoi amici nelle medesime idee: L' esercito napoleta-no diede al mondo un memorabile esempio di moderazio-ne e dli fortezza cittadina;.... >» esso s' accorse il suo Re« non esser egli veramente re » e a farlo « Re vivo e vero »gli diede il parlamento nazionale.

È ormai il programma d' azione carbonaro. Solo chementre questo ha per primo scopo la interna libertà, persecondo l'indipendenza nazionale, il Santarosa pensa a ro-vescio. « Checchè ne avvenga, 1' indipendenza nazionale èla prima cosa, il primo scopo. L'esser governati tempera-tamente il secondo, indivisibile dal primo. >» Federazione

18di stati, Stato unico, poco interessa: « Quello che importaè di cacciare gli Austriaci... > A raggiungere questo scopoera necessaria 1' unione di tutti, di qualunque luogo, diqualunque opinione « Temo la discordia, la funesta discor-dia !... l'amore alla propria provincia, alla propria città....e le assolute opinioni fra gli uomini liberali, e i savi sco-starsi dai liberali, accagionandoli di avventati, e i liberalidai moderati, gridandoli servili uomini... » Pronto insommaa sacrificare i personali convincimenti pur ci incarnarel'ideale. - E così diventò federato e poi coi federati sicongiunse ai carbonari.

Un incidente casuale determinò quest' ultimo passo.Da parecchio tempo il teatrino d'Angennes (un baracconedi legno al posto del presente teatro Gianduia) era di-ventato luogo di ritrovo degli studenti universitari, che vifacevano naturalmente un baccano indiavolato. La seradell' 11 gennaio quattro di loro, quattro vercellesi, vi sipresentarono col capo coperto di berretti rossi con fiocchineri. Il chiasso fu grande, se non eccezionale. Assistettero atutta la rappresentazione senz'esser molestati dalla polizia;ma all'uscita, d'ordine del governatore di Torino, conte I-gnazio Thaon di Revel, si tentò arrestarli. Si riuscì a pren-derne uno e condurlo al palazzo del governatore, nonostante le grida e i tentativi per liberarlo dei compagni:un altro fu arrestato in sua casa durante la notte, i dueultimi si costituirono spontaneamente la mattina appresso.

Sparsasi la notizia, nel pomeriggio delgiorno seguentel'Università si affollò di giovani che chiedevano la libera-zione dei compagni: non era delitto la loro azione, e sepure fosse, solo le autorità universitarie, secondo i privi-legi dell'università, potevano decretarne l'arresto. Riusciteinutili le esortazioni del censore e dei professori, ProsperoBalbo capo del magistrato degli studi e ministro degli interni,si recò di persona a persuaderli di desistere dal tumulto:mandassero a lui una commissione ad esporre quel chedesideravano. Tornata la commissione, annunciò che trapoco il ministro avrebbe mandata una risposta definitiva.

Invece, mentre attendevano, all'insaputa del ministro,

19il governatore di Torino, presi ordini dal re, postosi perso-nalmente a capo di forte nerbo di truppe, entrava nell'Uni-versità, assalendo quei poveri giovani inermi con una vio-lenza quasi bestiale. Una cinquantina furono gli arrestatie di essi una trentina feriti; i più con quattro, cinque, fintredici ferite!

Il moto studentesco non aveva avuto nessun esplicitointento politico. Lo esclusero le istruttorie subito dopoformate, lo esclude il memoriale scritto da uno dei quattrodel teatro d'Angennes, il Maoletti, nel 1880, quando potevagiovargli il confessarlo. Ma significato politico gli avevanodato il re e il governatore, ed avevan voluto mostrarefermo polso: significato politico prese per il fatto che allatruppa comandata s'erano aggiunti volontariamente parecchiufficiali, nobili di nascita e noti per sentimenti reazionari,che avevano personalmente infierito sugli studenti ed ecci-tato i:soldati ad infierire.

Credettero i liberali che questo fosse l'inizio di un'a-zione di governo di reazione violenta. E poichè 1' enormesproporzione tra la colpa (se colpa era) degli studenti, ela crudezza della repressione, aveva suscitato profondo mal-contento ed irritazione generale, ne approfittarono per ren-dere più attivo, più intenso il lavorio di preparazione adun movimento contro il potere assoluto e per la guerracontro gli Austriaci.

Le varie correnti che li dividevano, compresero che bi-sognava fermarsi in un programma comune. Prevalse quellopiù estremo, quello dei carbonari. Le vittorie che essi ave-vano ottenuto in Spagna e a Napoli, la maggioranza delnumero, gli appoggi ch'essi vantavano sicuri di Francesi eLombardi, il maggior fuoco che mostravano, li faceva pre-valere. I federati, specie il gruppo di nobili che faceva capoal Santarosa, avrebbero preferito una costituzione menoradicalmente democratica, che conservasse qualche privi-legio alla nobiltà: quella francese per esempio. Ma la con-dotta degli ufficiali nobili, volontari sciabolatori degli stu-denti, veniva aspramente rinfacciata dagli altri, e facevanegare a quella classe ogni privilegio. - Si fu d'accordosugli scopi: costituzione spagnola, guerra all'Austria; e suimezzi: pronunciamento militare e rivoluzione di popolo.

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Gli avvenimenti urgevano. Il 26 di gennaio si riunivanoa Lubiana i sovrani della santa Alleanza; il 29 le truppeaustriache passavano il Po col mandato di soffocare il go-verno costituzionale di Napoli; bisognava approfittare del-l'opportunità presentata dalla scarsezza di Aùstriaci nellaLombardia; insorgere, conquistare la libertà interna, pas-sare il Ticino con tutto l'esercito, guidato dal re in persona,dar mano forte ai Lombardi che sarebbero insorti comeun sol uomo; liberata la Lombardia, gettarsi alle spalledell'esercito che attaccava i Napoletani, chiamando a libertàRomagna e Marche, che fremevano nell'attesa.

Le notizie, che Camilla Fè e sopratutto Giuseppe Pec-chio portavano da Milano, erano eccellenti: a Milano ed aBrescia la preparazione era perfetta; appena i Piemontesifossero apparsi oltre Ticino, tutta la Lombardia sarebbestata in rivolta.

A metà di febbraio gli accordi coi Lombardi eranostretti; il Pecchio riferiva al Confalonieri d'aver parlato alungo con Carlo Alberto, e d' averlo trovato consenziente,purchè fosse sicuro d' una forte cooperazione lombarda.Qualche giorno dopo il capitano Evasio Radice si recavaa Milano a parlare direttamente a nome del principe diCarigtano con Federico Confalonieri, esprimendogli chia-ramente il gran fondamento che il Principe faceva sullacooperazione lombarda. Di quei giorni lo stesso Confalo-nieri scriveva al San Marzano: « venga 1' armata piemon-tese col principe di Carignano alla testa; sarà la benvenu-ta: Milano le sarà aperta ».

Sarà da pensare proprio che tutti: il Pecchio, il Per-rone che a nome del Principe aveva incontrato a Vigevanonell' ottobre del '20 il Confalonieri, il Marenco, il Radice,il Pallavicini e il Confalonieri, tutti insomma abbianovenduto fumo, e che si siano serviti del nome del principea sua insaputa, o siano stati ingannati?

Pare s'attendessero notizie precise (e si sperava vitto-riose) delle cose di Napoli, per dare il segno della rivolu-zidne. L'arresto fatto ai primissimi di marzo del principedella Cisterna, di Ettore Perrone, di Demetrio Turinetti diPriè, sembra abbia deciso l'azione immediata. La rivolu-zione sarebbe scoppiata la mattina dell'8.

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La sera del 6 di marzo Santorre di Santarosa, Giacintodi Collegno, Carlo di S. Marzano, Guglielmo Moffa di Lisiosi recarono dal principe di Carignano per informarlo dellerisoluzioni prese e per averne l'adesione formale ed esplicita.Che accadde in quel colloquio'? Ial Cantù, che affermòfosse rogato un atto regolare della formale promessa dicapitanare la rivolta, al Manno e al Luzio che negano qual-siasi consenso o promessa, tutte le opinioni sono state so-stenute. I due attori principali, Santarosa e Carlo Albertosi smentirono reciprocamente. Dice Santarosa nella sua Ré-volution dli Piémont (pubb. alla fine del '21) 4 Charles Albertdonna son consenteinent »; e in un taccuino in cui certo primadel giugno segnò in brevissime parole appunti fugaci, sottola data del sei marzo: Carlo Alberto promette alle 5 di sera.Il principe di Carignano asserisce invece d' aver rifiutatorecisamente ogni assenso, d'aver esortato a rinunciare altriste disegno, al quale si sarelbe opposto con ogni suaforza. Le due narrazioni si escludono troppo completamente

p)erche possa trovarsi una conciliazione.Non è qui il caso di scendere a minuta discussione:

la millesima forse sull'argomento. La sincerità e la buonafede di Santorre Santarosa furono riconosciute da tutti,anche da quelli, come il Luzio, che sottilmente ne hannoesaminata, per svalutarla, la testimonianza; la fondamen-tale rispondenza a verità del suo racconto è. confermatadal fatto che degli altri quattro testimoni (oltre i tre costi-tuzionali assisteva Roberto d'Azeglio), nessuno ha mai dettoparola per smentirlo o modificarlo, neppure quando CarloAlberto tornò ad essere l'idolo loro e di tutti gli italiani;nessuno, neppure il d'Azeglio, che, non essendo liberale, nonaveva ragione alcuna di tacere. La smentita invece fu datadal principe in un momento per lui dolorosissimo e diffi-cile, quando per 1' accusa di partecipazione al complotto,egli vedeva spezzata la sua vita, crollati tutti i suoi sogni.La testimonianza che si suol portare di Cesare Balbo: « averegli certezza che il principe, prima della rivoluzione l'avevarotta completamente con i cospiratori, » risponde a veritàsenza intaccare l'affermazione del Santarosa; essa si rife-risce all'atteggiamento preso dal principe il giorno succes-sivo. E del resto la forma che ha nello scritto del Balbo

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dato alle stampe, è notevolmente differente da quella cheaveva in un abbozzo di Memorie sugli avvenimenti del ven-tuno, rimasta inedita e che sarà presto pubblicata da Eu-genio Passamonti. Quando sarà letta nel testo primitivo,io credo, spingerà piuttosto a credere all'impegno che nona negarlo.

Comunque all' impegno credettero i quattro federati,ed emanarono gli ordini. Il piano era semplice: a Torino,ad Alessandria, ad Ivrea, a Fossano, a Pinerolo contempo-raneamente, nella prima mattina dell' 8, le truppe guada-gnate alla causa costituzionale avrebbero dovuto insorgereal grido di: Viva il re, viva la costituzione, guerra all'Austria!Seguite dal popolo avrebbero dovuto recarsi a Moncalierio. a Torino, ove il re fosse, e presentare le loro richieste.Al principe di Carignano (è merito del Luzio di averlostabilito) era riservata la parte più adatta, dato il suo gradoe la sua posizione. Egli sarebbe apparso come mediatore,come intermediario tra re e popolo. Fidando sulla bontàd'animo di Vittorio Emanuele, sulla sua avversione radi-cata all'Austria, sul fascino della speranza di veder com-piuto il sogno secolare della sua casa la riunione dellaLombardia sotto il suo scettro,- e d'intitolarsi re d'Italia, sicontava che egli avrebbe ceduto; il mutamento di regimesarebbe avvenuto senza violenza, la guerra nazionale sa-rebbe intrapresa sotto gli auspici e la guida dell'amato so-vrano. In pochi giorni un esercito di almeno 50.000 soldatiregolari, rafforzato di gran numero di volontari, avrebbepassato il Ticino; le poche migliaia di Austriaci avrebberodovuto sgombrare, o sarebbero state facilmente battute, pre-se tra i Piemontesi e la entusiastica generale sollevazionelombarda.

Piano arditissimo che aveva poche probabilità di riu-scita, e quelle poche basate soprattutto sulla rapidità, 1' uni-tà, la larghezza travolgente dell'azione.

C'è bisogno di ricordare come queste necessarie condi-zioni venissero meno'? Verso il mezzogiorno del sette icongiurati seppero che il principe di Carignano non erapiù coni loro. Una notte di ansia e di agitazione, le esor-tazioni di Cesare Balbo e del generale Giflenga avevanomutato quell'animo mobilissimo, facile a passare ai più

23opposti propositi. Poichè il disegno era soprattutto basatosul concorso suo, si dovette tutto rimandare.

Uno sforzo supremo, tentato dal S. Marzano e dal San-tarosa presso Carlo Alberto la sera dell'8, parve lo facessetornare alla primitiva risoluzione, per quanto volesse ri-servarsi una parte meno importante. Con lievi modifica-zioni fu stabilita la ripresa del moto per la mattina del 10Ma il 9 altra delusione. Il principe rifiuta assolutamenteogni partecipazione; il governo sa tutto, conosce disposi-zioni e persone. Ogni tentativo è destinato all' insuccesso:meglio rimandar tutto ad altra occasione.

Ma se a Torino e nei luoghi più vicini fu facile arre-stare la macchina, non altrettanto accadde ad Alessandria.O che il contrordine non giungesse in tempo, o che i libe-rali Alessandrini (tra cui prevalevano i Carbonari più ar-denti, e che avevano sempre tacciato i federati torinesi ditroppa prudenza) credessero cosi matura la rivoluzione chebastasse una scintilla per accenderla in tutto il paese, lanotte tra il 9 e il 10, essi usando ed abusando del nomedi Carlo Alberto, occupano la cittadella, issano la bandieratricolore, proclamano la Costituzione spagnola, salutano Vit-torio Emanuele re d' Italia, costituiscono una Giunta digoverno: presidente l'Ansaldi, tra i membri Palma, Bianco diS. Jorioz, Rattazzi.

A Torino i federati eran rimasti senza capi. Santarosa,Collegno, Moffa d(li L isio, S. Marzano ne erano partiti lamattina del 10 all'inesatto annunzio che la rivoluzione erascoppiata a Fossano: saputo poi del moto di Alessandria,si erano diretti a quella volta.

Le notizie di Alessandria portarono nella città qualcheagitazione; ma nessuna rivolta. Le truppe chle dovevanoiniziarla, rimaste senza i condottieri, sorvegliate dal prin-cipe, dal ministro della guerra e dagli ufficiali fedeli, nonsi mossero e men che meno la cittadinanza. Quando lamattina dell'll il capitano Vittorio Ferrero, venendo daCarignano, si presentò dinanzi a Porta Nova, presso 1' ospi-zio di S. Salvario, con due compagnie della Legione leggerasotto la bandiera nero, rosso, azzurra, inneggiando alla co-stituzione e alla guerra all'Austria, appena un centinaio (licittadini, e la metà studenti universitari, risposero all' ap-

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pello. Molti altri in folla andarono a vedere i costituzionali;ma come andassero a godersi uno spettacolo. Guardavano,applaudivano quel fervore spensierato di gioventù; poi sistringevano nelle spalle, e rientravano tranquilli in città.

Sul far della sera, perduta ogni speranza in un movi-mento cittadino, timoroso d'essere attaccato nella notte equasi meravigliato di non esserlo stato sin'allora, il Ferrero,decise partirsene e dirigersi su Alessandria. Saggissima de-liberazione per se stessa, ma che egli non avrebbe certopresa, se avesse conosciuto qual grave decisione reale pro-vocava.

Appena avuta conoscenza dei primi moti, il re, tornatodi Moncalieri a Torino, aveva riunito il Consiglio di Confe-renza. Lunghe discussioni inconcludenti, i più vari pareriavanzati e ritirati consumarono tutto il giorno 10. Quandol'l il Ferrero si presentò a S. Salvario, re e ministero cre-dettero che fosse l'inizio d'una sommossa generale. Sarebbestato facile sopraffare con le armi le due centinaia di fede-rati: ma da una parte il re aborriva dal sangue cittadino(troppo clamore aveva suscitato quello sparso all' univer-sità nel gennaio), dall'altra non tutte le truppe erano sicu-re, e men che meno la cittadinanza, quando le truppe fos-sero impegnate coi ribelli. Dopo lunghi appassionati con-trasti s'era unanimemente deciso (è la regina che ce neassicura) di promulgare senz'altro riforme che accontentas-sero i voti dei costituzionali. Concedere la costituzione spa-gnola no: era contraria alle convinzioni del re e della regi-na, avrebbe chiarnato contro di lui e contro il Piemonte1' intervento della Santa Alleanza. Fu deciso che sarebbeconcessa una costituzione sul tipo della Francese e dellaBavarese: ne fu steso subito un rapido abbozzo; ProsperoBalbo e il Brignole compilarono un proclama per annun-ciare la concessione. Presentatolo al Re per la firma,.. eglilo prese, < le mit dans sa poche, et congédia le conseil! »

Due notizie erano giunte nell' intervallo: il ministrodi S. Marzano, di ritorno dal congresso di Lubiana, sarebbegiunto nella notte; Vittorio Ferrero e i federati s' eranoallontanati da Torino! La paura che il Ferrero aveva ispi-rata, scompariva; giungeva invece un consigliere che avreb-be potuto portar lumi alle decisioni. Con insensato otti-

25mismo si giudicò che il pericolo fosse scongiurato, o per-lo meno non fosse più imminente; si poteva ben attendered'ascoltare la voce delle potenze europee. E così pro-clama e costituzione rimasero nelle tasche del re Vittorio!

Con ogni probabilith, emanata quella costituzione, ilmoto sarebbesi limitato ad Alessandria, ogni altro sareb-besi evitato, e la nazione piemontese si sarebbe trovatacompatta di fronte agli stranieri.

Invece i consigli del S. Marzano ricondussero il Re allasua posizione di resistenza: una resistenza imbelle ed illogica,perch unita alla decisa volontà di non adoperare la forza.

Quando a mezzogiorno dlel 12 la guarnigione della cit-tadella alzò la bandiera tricolore, tornarono nella corte enel consiglio l'irresoluzione, la confusione. La folla, final-mente sollevata, strepitava sotto le finestre; le truppe, am-massate alle porte del palazzo reale, erano d'animo sospeso,divise tra il sentimento di fedeltà e la repugnanza a vol-ger le armi sui cittadini; la cittadella minacciava: o Costi-ituzione o bombardaumento. I ministri non sapevan che consi-glio dare, il re oscillava tra salire a cavallo e presentarsi airibelli, fidando nel suo ascendente e nel loro affetto, o ab-dicare: dare la costituzione spagnola no; sarebbe stato unavvilire l'autorità regia cedendo ora alla violenza, e sopra-tutto mettersi nella condizione di spergiurare, se, come cre-deva inevitabile, l'Austria colla forza l'avesse imposto, soffo-cando nel sangue e nel dominio straniero la monarchiacostituzionale, la dignità e la in(lipl)endenza della nazione,la fortuna della casa sabauda.

Non è senza grandezza quest' angoscia, questo spasimodel vecchio re, chiuso tra il sacrificio personale e la guerracivile, tra la volontà del popolo d(la lui amato e la repu-gnanza a concedere quanto, a suo credere, avrebbe al po-polo portato danni incalcolabili.

Prevalse il parere li abdicare. Nella notte dal 12 al13 re Vittorio rinunciava al trono, scegliendo e nominandocome reggente Carlo ALberto dli Carignano, lui conferanten conséquence, toute nòtre autorité ».

Il tredici fu l)ul)blicato il proclama di abdicazione e in-sieme un altro in cui il reggente annunciava che r nellagiornata successiva avrebbe manifestato le sue intenzioni

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conformes au voeu général. Infatti il 14 il reggente giuravafedeltà alla costituzione spagnola. La rivoluzione avevatrionfato!

Invece la rivoluzione aveva completamente fallito!La rivoluzione aveva contato sul concorso del re e sul-

l'unanimità di consenso che codesto concorso le avrebbeconciliato in Piemonte: la rivoluzione aveva contato, nellapeggiore ipotesi, che la sovranità fosse consegnata al prin-cipe di Carignano, come mandatario e rappresentante del re,il quale a nome e in vece sua si fosse posto alla testa dellanazione per la lotta dell'indipendenza. Invece si trovava difronte ad una situazione tutta nuova: vi era un altro Re!

Nell'atto di abdicazione di Vittorio, nel primo procla-ma del reggente non vi si era accennato: chi sà? forses'era sperato che il duca del Genevese, Carlo Felice, l'eredesecondo la legge salica, avrebbe seguito 1' esempio del fra-tello; ma il 14 nel giurare la costituzione Carlo Albertoaveva dovuto aggiungere il giuramento di fedeltà al nuovo Re.

Ora nessuno nutriva dubbio: Carlo Felice era noto perla testardaggine del carattere, per la morbosa ostilità adogni mutamento, per la nessuna avversione verso l'Austria.Egli era lontano, in ambiente quanto mai reazionario,quanto mai austriacante, e nessuna pressione poteva eser-citarsi su lui, com'era stata esercitata su Vittorio. Il nuovore sarebbe stato contro la costituzione, contro la guerranazionale.

Carlo Alberto, in una posizione difficilissima, abban-donato da tutti i ministri di Vittorio, assillato dalle pres-sioni dei liberali e dai clamori delle folla (diventata d'uncolpo tutta costituzionale), provvide come meglio potè: no-minò con gravi difficoltà nuovi ministri, creò una Giunta,quasi piccolo parlamento, nella tenue speranza che il reavrebbe ratificato: ambascerie su ambascerie mandò perpiegarlo. Ma quando da Modena ricevette aperta sconfes-sione e l'ordine di recarsi presso le truppe legittimiste ches'andavano raccogliendo a Novara, ubbidì, abbandonandoTorino la notte dal 21 al 22 all' improvviso e all' insaputadella giunta e dei ministri. Fu giudicato severamente; e

27certo più eroico sarebbe stato un atto di ribellione, e ca-dere magari, morendo per mantenere il giuramento dato,sia pure con l'implicita restrizione del consenso reale.Ma chi può pretendere che un uomo sia sempre, in ognimomento, un eroe?

La partenza del reggente fu colpo decisivo: essa e ladiffusione di un proclama di Carlo Felice del 16 aprile incui dichiarava, che ben lontano dal consentire a qual-siasi cambiamento nella forma di governo.... avrebbe ri-guardati come ribelli quanti si fossero uniti ai sediziosi,capovolgevano la posizione dei costituzionali. La rivolu-zione cominciata nel nome del re e sotto gli auspici del

principe di Carignano, si trovava cambiata in rivoluzionecontro il re e senza il principe. E intanto le notizie diNapoli erano disastrose: le truppe costituzionali battutegli austriaci alle porte della capitale; le notizie di Loin-bardia sconsolanti: appena qualche centinaio di giovani,studenti dell'università di Pavia la maggior parte, avevanoraggiunto i ribelli di Alessandria: sufficienti a suggerireall'animo commosso d'un Ipoeta le mirabili strofe: Soff'er-mati sull'arida sponda, ma non a rafforzare la rivoluzione;mentre carbonari e federati nè a Milano, nè a Brescia an-davano oltre le parole, aspettando per agire che l'.esercitoliberatore calcasse terra lombarda.

Ma l'esercito liberatore più non esisteva! L'abdicazionedi Vittorio, la defezione di Carlo Alberto, i proclami delnuovo re, vi avevano gettato il dubbio e lo sconforto: lediserzioni lo sminuivano di giorno in giorno, non com-pensate nè per numero nè per qualità dall'affluire dei vo-lontari. Si accrescevano invece le schiere del Della Torre,dichiaratosi subito il 16 ossequente ai voleri reali, e siparlava chiaramente di intervento austriaco.

E intanto il governo provvisorio, minato fin dai primigiorni dal dualismo, dalla rivalità quasi tra la Giunta to-rinese e quella alessandrina, indebolito dalle numerosedimissioni di paurosi o di disperati, non riusciva a pren-dere alcun indirizzo preciso: mostrava chiaramente d'esserformato di uomini (se si tolga forse il Marentini) imparialla tragicità del momento.

Ne salvò l'onore uno solo: quegli che era stato il più

28puro, il più ardente, il più ricco di speranze alla vigilia,e che ora, pur conscio dell' inevitabile sacrificio, s'adope-rava perchè questo fosse almeno dignitoso e fruttuoso perl'avvenire: Santorre di Santarosa.

Era stato chiamato al ministero della guerra da CarloAlberto il 21 marzo (la vigilia dell'abbandono): i quindicigiorni che egli lo resse, furono quasi una dittatura: a lui,e quasi a lui solo, si deve, se per quindici giorni ancora ilgoverno costituzionale sopravvisse, e se ti'ovò una fine ono-rata. « Carlo Alberto di Savoia, principe di Carignano, rive-stito da S. M. V. E. dell'autorità di reggente, mi nominò....reggente del ministero della guerra e marina. Io sono un'au-torità legittimamente costituita, e in queste terribili circo-stanze della patria io deggio far sentire ai miei compagnid'armi la voce di un suddito affezionato al re e di un lealepiemontese. ... Alcuni pochi uomini, disertori della patriae ligi all'Austria, ingannarono con le calunnie e con ognimaniera di frodi il giovane principe (reggente) cui manca-va l'esperienza dei tempi procellosi. Nessun piemontesedee incolpare le intenzioni di un principe.., che fu fino adora la speranza di tutti i buoni. Si è veduta in Piemonteuna dichiarazione sottoscritta dal re nostro, Carlo Felice;ma un re in mezzo agli Austriaci, nostri necessari nemici,è un re prigioniero: tutto quanto egli dice, non si può, nonsi deve tener come suo. Parli in terra libera e noi gli pro-veremo d'esser suoi figli. - Soldati piemontesi.... volete laguerra civile'? volete l'invasione dei forestieri? i vostri campidevastati, le vostre città le vostre ville arse e saccheggiate?volete perdere la vostra fama, contaminare le vostre inse-gne ?... Annodatevi tutti intorno alle vostre insegne, afferra-tele, correte a piantarle sulle sponde del Ticino e del Po; laterra lombarda v'aspetta, la terra lombarda che.divorerà isuoi nemici all'apparire della nostra avanguardia... Le circo-stanze straordinarie vogliono risoluzioni straordinarie. Lavostra esitazione comprometterà tutta la patria, tutto l'ono-re. Pensateci. Fate il vostro dovere. Carlo Alberto sarà rin-francato dalla vostra animosa concordia, e il re Carlo Felicevi ringrazierà un giorno di avergli conservato il trono. >

Parole ingenue, ma che hanno un fremito di vita, cheancor oggi ci tocca il cuore. Parole calde, appassionate che

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ci rivelano come nell' ardore del suo animo il San tarosariuscisse ancora a fondere 1' affetto per il suo re con ilsanto amore della libertà e dell' indipendenza. < La no-stra impresa mirava, scrisse più tardi, all' ingrandimentodi casa Savoia e al consolidamento della sua potenza, ol-trechè alla emancipazione della patria italiana; di guisache i doveri -nostri più sacri e le nostre affezioni più caresi trovavano identificate nei nostri disegni. »

Quanto tesoro di attività tenace, disperata; quanto (lilucidità ed energia indomabile egli spendesse in quei gior-ni, rimasto quasi solo a lottare, è appena credibile. A luisi dovette, se sciolta, la giunta di Alessandria, il governoebbe per qualche giornounità; a lui, se, coordinati gli sfor-zi delle provincie, cominciò un'organizzazione militare nuo-va, attraendo intorno ai nuclei di truppe regolari rimastifedeli alla costituzione, i contingenti provinciali e le guar-die nazionali; a lui, se 1' insurrezione genovese contro i

proclami del re, non degenerò in movimento separatista;a lui, se in Torino fu sventato un moto controrivoluziona-rio; a lui infine, se in nessun luogo dove la rivoluzionetrionfò, si trascorse ad eccessi contro i beni e le persone.

Fu tutto inutile, è verb. Un uomo solo non poteva ba-stare a reggere tanto peso. Sotto Novara 1'8 aprile, 1' im-provviso apparire degli austriaci mandò in rotta il piccoloesercito costituzionale (quattromila uomini tra fanti e ca-valli e sei pezzi d' artiglieria); la disperata resistenza pro-

gettata in Alessandria, che avrebbe dato tempo di raccoglieregli altri corpi dispersi per tutto il regno, fu dovuta abban-donare per la defezione dei soldati della brigata Genova,impauriti dalla prospettiva di un assedio; la difesa di Ge-nova fu impossibile, dato lo scarso numero delle miliziee lo stato di impreparazione delle fortificazioni. E fu ne-cessario chinare il capo di fronte alla triste realtà, e pren-dere la via dell'esilio.

Triste doloroso esilio, che disperse.pel mondo centinaiadi piemontesi a vivere nelle angustie, a combattere perl'altrui libertà non essendo riusciti a conquistare la propria.triste, doloroso esilio, cosi insopportabile al Santarosa daspingerlo a dare la vita per un popolo, che non lo com

prese e lo disprezzò.

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Gli errori del Santarosa e dei suoi compagni furonomolti non c'è dubbio. E primo d'ogni altro d'essersi ingan-nati sulla profondità del movimento liberale. Perchè lasocietà in mezzo a cui vivevano ne pareva tutta presa, cre-dettero davvero di aver cosenziente tutto il paese. La massapopolare invece, perfino nelle città, se si faccia eccezionedi Alessandria, rimase inerte e indifferente. I carbonari,i federati, i liberali in genere avevano trascurato il popolo;e il popolo li guardava, li ascoltava senza commozione,quasi con diffidenza. « Avete tremato del popolo; -rim-

proverava piùt tardi Mazzini - del popolo senza del qualenon farete mai nulla; del popolo, primo elemento dellerivoluzioni. Perchè le rivoluzioni.., hanno da essere fattepel popolo e dal popolo. >

E secondo: traviati dall' idea, ribadita dalla recentestoria napoleonica, della preponderanza dell'individuo ne-gli umani avvenimenti, avevano imperniato tutto il movi-mento sulla guida del re o di un principe della casa reale:4utta la preparazione avevano fatta nel nome di casa Sa-voia: quando questa venne a mancare, e si pose anzi deci-samente contro di loro, la rivoluzione venne a perdere unodei principalissimi, se non il primo, elemento di successo.

E poi agirono senza piena conoscenza del momento op-portuno. Se curarono tessere legami coi cospiratori lombardi(da cui sperarono più assai che essi non potessero dare),non vollero o non seppero o non poterono accordarsi coiNapoletani. Ignari delle reali condizioni della monarchiacostituzioniale del mezzogiorno, fidarono in una resistenzache non vi fu, nè vi poteva essere; e partirono in armiquando da tre giorni 1' esercito costituzionale napoletanoera stato rotto ad Antrodoco, e le sorti del 'regno segnate.Fidarono in una larga immediata insurrezione lombarda,mentre anche là la cospirazione era ristretta ancora ad unoscarso numero di persone delle classi colte, e mancava delconsenso popolare.

E infine, avendo cercato la loro principale forza nel-l'esercito, attratto e convinto con una cavillosa interpreta-zione del giuramento e della disciplina militare, non fu loro

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possibile mantenere poi salda la compagine militare, nep-pure ricorrendo a favori e premi materiali, che tornaronoanzi ad un ulteriore dissolvimento.

A torto invece si accusarono d' aver col loro atto in-tempestivo interrotto il lento moto riformistico che inPiemonte stava per produrre qualche frutto. In sei anninon s'era fatto un passo: nessuna promessa di riforma erastata mantenuta. Si crede proprio che la si sarebbe, doposoffocata la rivoluzione (li Napoli, quando 1' Austria diven-tava padrona assoluta '?

Comunque la rivoluzione ebbe una grandezza e unsignificato assai superiori ad ogni altro tentativo preceden-te. Non fu solo la rivolta del malcontento, la protesta didiritti o di ambizioni personali. Fu anche e più la rivoltadel pensiero ispirato dall'Alfieri e dal Foscolo, che guar-dava fisso innanzi a sè, all'avvenire dorato di una grandeItalia indipendente.

Pose il problema italiano nei suoi veri termini: guerraall'Austria per conquistare la esterna e la interna libertà.

Additò all'Italia e alla casa di Savoia la via ch'era de-stino battere; fuor della quale, come I' esperienza mostrò,non v'era salute.

Fu la prima rivoluzione, dopo secoli, tentata in Italiasenza l'intervento e l'aiuto dello straniero: la prima chemostrò due popoli italiani rispondentisi dall' uno all' altrocapo della penisola.

<« Eccitò al più alto grado (lo diremo col Luzio) nelleclassi colte e nell'aristocrazia il sentimento nazionale; pro-mosse la causa italiana nel mondo con la stessa folla diesuli, che la reazione esorbitante di Carlo Felice 1balestròin ogni parte, cavalieri erranti della libertà>».

Legò alla generazione successiva una profetica paroladi fede per bocca del Santarosa: << Suo risultato, -- lo sotroppo bene è stato di asservire per intero 1' Italia al-l'Austria: ma credetemi, l'Italia è conquistata, nonti doma...La liberazione dell'Italia sarà.compiuta entro il secolodecimonono: la spinta è data. Si stendano pure a piacereliste di proscrizione, vadano pure a gara i docili principiitaliani nel servire ai disegni dell'Austria, poichè amanomeglio regnare per sua- grazia che per le leggi. L' Austria

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li lascia fare e si prepara a raccogliere il frutto della lorocecità: ma tutti s' ingannano. L' ardore degli Italiani perl'indipendenza nazionale aumenta a misura dei sacrifiziche costa. La forza dell' Austria può ritardare il momento,ma non farà che rendere più terribile 1' espldsione. >

Ci fu chi la face di questa fede raccolse dalle manidei liberali del 21. Chi non ricorda la pagina di GiuseppeMazzini '?

< Una domenica dell'aprile 1821 io passeggiavo giova-netto con mia madre e un vecchio amico di famiglia....L'insurrezione piemontese era in quei giornistata soffocatadal tradimento, dalla fiacchezza dei capi e dall'Austria. Gliinsorti si affollavano, cercando salute al mare, in Genova;poveri di mezzi, erranti, in cerca d'aiuto per recarsi nellaSpagna, dove la rivoluzione era ancora trionfante. I piùerano confinati a Sampierdarena, aspettandovi la possibi-lità dell'imbarco; ma molti s' erano introdotti ad uno aduno nella città, ed io li spiava fra i nostri, indovinandoliai lineamenti, alle fogge degli abiti, al piglio guerresco, epiù al dolore muto, cupo, che avevano sul volto.... Non ri-maneva che soccorrere di denaro quei poveri e santi pre-cursori dell'avvenire; e i cittadini vi si prestavano liberal-mente. Un uomo di sembianze severe ed energiche, bruno,barbuto e con un guardo scintillante, che non ho mai di-menticato, s'accostò a un tratto, fermandoci: aveva tra lemani un fazzoletto bianco spiegato, e proferi solo: Pei pro-scritti d'Italia. - Mia madre e l'amico versarono nel fazzo-letto alcune monete; ed egli si allontanò, per ricominciarecon altri....

Quel giorno fu il primo, in cui s'affacciasse confusamenteall'anima mia, non dirò un pensiero di Patria e di libertà,ma il pensiero che si poteva e quindi si doveva lottare per lalibertà della Patria! >

Son dunque i moti piemontesi, sono gli esuli piemon-tesi del '21, che suscitano, creano Mazzini! E quale mag-gior merito, quale maggior contributo di questo alla santacausa della indipendenza e della unità della Patria'?

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2011