la comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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Università degli Studi di Foggia Dipartimento di Economia Corso di Laurea Magistrale in Marketing Management Tesi di Laurea In Comunicazione d’impresa LA COMUNICAZIONE STRATEGICA D’IMPRESA NELLA LOGICA NARRATIVA: THE CORPORATE STORYTELLING Relatore: Laureando: Ch.ma Prof.ssa Enrica Iannuzzi Giuseppe di Brisco Correlatore: Felice Limosani ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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Page 1: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Università degli Studi di Foggia

Dipartimento di Economia

Corso di Laurea Magistrale in Marketing Management

Tesi di Laurea In

Comunicazione d’impresa

LA COMUNICAZIONE STRATEGICA D’IMPRESA NELLA LOGICA NARRATIVA:

THE CORPORATE STORYTELLING

Relatore: Laureando: Ch.ma Prof.ssa Enrica Iannuzzi Giuseppe di Brisco Correlatore: Felice Limosani

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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La Comunicazione strategica

d’impresa nella logica narrativa:

The corporate storytelling.

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Indice

Parte Prima

5 I Personaggi della tesi

7 Introduzione

La comunicazione strategica d’impresa nella post-modernità

13 Alcune riflessioni

15 Il ruolo strategico della comunicazione: le relazioni

20 La corporate communication: il management

27 Dal fare comunicazione all’essere comunicazione

30 Le imprese verso la co-creazione

36 La working consumer

39 Brand image Brand reputation Brand story

45 Un caso emblematico di co-creazione: Il Mulino che vorrei

Parte Seconda

S is for storytelling. La comunicazione nella logica narrativa.

50 Introduzione allo storytelling

56 Il contesto

58 Perché occuparsi di storytelling

59 La storylistening trance experience

63 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista psicologico

64 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista pubblicitario

66 Il potere della narrazione e della contro narrazione: Ferrero - Brand Nutella

68 Il potere dello storytelling: un’infografica

70 Le storie sono strategie

76 Learning point

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Parte Terza

Lo storytelling in action

Trame Format Strutture

78 Le trame d’impresa più diffuse

82 Lo schema narrativo canonico

86 Christopher Vogler: Il viaggio dell’eroe

90 Christopher Booker: the seven basic plots

97 Gli ambiti di applicazione dello storytelling

100 I canali delle storytelling operations

107 Il piano per le storytelling operations

108 Vantaggi dello storytelling

112 Criticità e problematiche dello storytelling

116 Learning point

Parte quarta

Visual Digital storytelling

119 L’evoluzione dello storytelling

125 The power of visual storytelling

132 Digital storytelling

135 Digital storytelling e social media

138 Internet isn’t much without conversation di Felice Limosani

141 Dal digital al Transmedia storytelling

143 Transmedia e brand story

146 Brand gamification e advergame

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Parte quinta

Felice Limosani digital storyteller

147 Limos

150 Come realizzare i pensieri del mondo contemporaneo

153 Perché abbiamo bisogno di racconti?

Case History

156 Coca-Cola Journey: ecco come lo storytelling influisce sulle strategie

aziendali

160 Jack Daniel’s trasforma i discorsi da bar in brand storytelling

163 Narrazione e identità: Dove

166 Papa Francesco genio del marketing e dello storytelling di Bruno Ballardini

171 Conclusioni

175 Bibliografia

179 Sitografia e Videografia

184 Tools

185 Indice figure

186 Allegati

190 Ringraziamenti

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I personaggi della tesi:

Prof.ssa Enrica Iannuzzi (1975), Relatore. Ricercatore di Economia e

Gestione delle Imprese. Professore Aggregato di Comunicazione

d'impresa. Principali interessi di ricerca :comunicazione d’impresa

teorie organizzative, approccio neo-istituzionalista, governance

d’impresa , analisi delle relazioni intra e inter-organizzative,

ristrutturazione organizzativa e misurazione delle performance di

Ateneo, marketing relazionale.

Felice Limosani (1966), Correlatore. E’ creativo interdisciplinare. DJ e

producer negli anni '80/90. Nel 2000 ha fondato la start up SKYBAR

(Bain Cuneo Associati) creando per Nokia le prime app ludiche di

telefonia mobile. Innovatore della comunicazione artistica, i suoi

lavori sono riconosciuti per il coinvolgimento estetico ed emotivo del

pubblico. Esponente autorevole dello storytelling contemporaneo, le

sue Lectures sono richieste dalle principali università e accademie

europee. Opera in ambito internazionale sia per top brand che per

istituzioni culturali.

Giuseppe di Brisco (1974), Laureando in Marketing Management,

dopo quella in Economia Aziendale. Social media strategy, Marketing,

comunicazione politica e istituzionale. Strambo, a volte faccio sul

“serio”. Esplorativo sempre alla ricerca. Riflessivo. Unconventional

thinking. La politica è passione. La mia preferita: Ama il tuo sogno

seppur ti tormenta. Terra Madre la mia religione. Aspirante Manager.

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Ora vi racconto una storia: << Due bellissime

donne, vivevano in una casetta su una collina

al di sopra del villaggio. Un giorno decisero di

accertarsi chi delle due fosse la più bella.

Crearono quindi una gara che consisteva in

una passeggiata nella via principale del

villaggio. Da lì, dovevano riscontrare chi delle

due fosse la più apprezzata, chi avesse più

amici. La prima fu Verità. Si diresse nella via

principale del villaggio, e mentre la percorreva,

la gente si chiudeva nelle proprie case, serrava

le finestre, e i pochi rimasti per strada le

voltarono le spalle. Arrivata alla fine della via,

si chiese come poter fare per esser più

apprezzata. Decise allora di ripercorrere la via,

ma completamente nuda, convinta che avrebbe

attirato l’attenzione di tutti. E così fece. Ma in

realtà la poca gente rimasta fuori si chiude a

sua volta in casa, e le finestre vengono

sbarrate! Tornata dall’amica, Verità riferisce

che il paese era vuoto, e che tutti si erano

chiusi nelle proprie abitazioni.

La seconda bellissima donna, Storia, decide di

provare comunque. Passeggiando per la via, la

gente esce dalle proprie case, le corre in contro,

grida, è in festa. Verità ammette di aver perso

la gara, affermando che probabilmente “la

storia è più potente!”.

Storytelling la fabbrica delle storie

CHRISTIAN SALMON

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.7

I N T R O D U Z I O N E

“Le nostre parole spesso sono prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo

consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le

abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole.

Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo

dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Solo dopo la manomissione, possiamo usare le

nostre parole per raccontare storie.”

La manomissione delle parole, Bur. G. Carofiglio

era una volta una bambina che tutti chiamavano… si, lo so,

avete già capito Cappuccetto rosso. Perché questa storia la

sappiamo tutti, in una versione o nell’altra, sia quella dei

fratelli Grimm o quella di Charles Perrault. La fiaba di Perrault, del 1697, è

più cruenta di quella dei fratelli Grimm, perché non prevede che arrivino né

cacciatori né boscaioli a portare in salvo bimba e nonna. E contiene pure

una morale esplicita: meglio non fidarsi degli sconosciuti, tantomeno di

quelli all’apparenza più miti e servizievoli. Quale che sia il valore di una

lettura freudiana delle fiabe, è però certo che rappresentano il nostro primo

incontro con la narrazione. Di lì in poi, gli anni della nostra formazione

sono tutto un ascoltare storie raccontate da altri o inventarle di sana pianta.

Le storie, insomma, il tempo che passiamo dentro mondi immaginari, sono

un pilastro fondamentale della nostra vita. (Editoriale n.115 di

Mente&Cervello, 27 giugno 2014 di Marco Cattaneo)

La storia che segue è la mia storia, una storia di ricerca sul mondo della

comunicazione strategica d’impresa in particolare sullo studio della

C’

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.8

narrazione d’impresa: The corporate Storytelling. Questa storia, la mia,

incontra tante altre storie di studenti, ricercatori, lavoratori, imprese piccole

e grandi, designer, storyteller di professione, marketing manager, uomini di

cultura, istituzioni, politici, territori e soprattutto persone.

Le pagine che stringete tra le mani sono la sintesi di un lavoro, fatto con gli

studi di marketing management presso l’Università degli Studi di Foggia,

approfondito con un corso on-line della Ninja Academy in “Corporate

storytelling – Strategie e strumenti per la narrazione dei brand” in

compagnia con il Prof. Andrea Fontana e Massimo Lico, coordinato dalla

Prof.ssa Enrica Iannuzzi (relatrice, docente di Comunicazione d’impresa) e

con il grande contributo informativo e competenze di Felice Limosani,

amico storico, noto visual e digital storyteller di fama internazionale

(correlatore).

Quando ho cominciato a pensare a questo studio, tra orari di lavoro e il

proseguimento degli esami, non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte

tante idee, tante personalità, tanti ostacoli. Proverò con questa mia

introduzione, a dare un senso a tutto il lavoro. Come dicevo, è la mia

storia, ma dietro ogni impresa , grande o piccola che sia, ci sono tante

storie, che attendono di essere trovate, raccontate e condivise.

Il racconto e la narrazione aziendali sono ormai processi insiti nelle

pratiche quotidiane del marketing, della comunicazione, del Retail e della

gestione delle risorse umane. Che tu sia piccolo o grande, on line o off-line,

hai bisogno di raccontarti.

In questo scenario è emersa la dimensione personale delle imprese e si è

affermato il paradigma dell'impresa-persona (Barone, Fontana, 2005):

l'ultima decade ha infatti visto emergere una corrente post-moderna di

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scrittori accademici che vede le organizzazioni non solo e non tanto sotto i

tradizionali aspetti strutturali, orientati al processo e basati sul controllo ma

anche e soprattutto come sistemi viventi e fluenti, nei quali poter "parlare,

pensare, sognare, sentirsi esseri umani che lavorano, giocano, parlano,

ridono e scherzano tra loro" (Denning, 2001: 176).

Le organizzazioni sono infatti composte da individui, da insiemi di soggetti

diversi e in costante interazione tra loro: per questo motivo esse raccontano

una molteplicità di storie in cui si mescolano differenti linguaggi,

vocabolari e registri narrativi. Questi necessitano di integrazione e

coerenza, poiché solo così l'impresa potrà conseguire un significato

comune e avrà un'identità riconoscibile all'interno e all'esterno (Fontana,

2005). Con l'emergere di una visione delle organizzazioni come costruzioni

pluralistiche di storie multiple si afferma quindi anche una nuova

concezione della narrazione, che viene oggi rivalutata e considerata una

modalità efficace per una diversa ed innovativa comprensione, direzione e

gestione delle imprese.

Viviamo in una civiltà nuova, e ancora non ce ne rendiamo conto. Una

civiltà dove, per la prima volta, ci sono elementi di sostanza e di senso in

ambienti imprevedibili e per certi versi intangibili.

Il pubblico ha cessato di essere spettatore: sempre più è parte integrante dei

processi di un engagement atto alla conoscenza e alla condivisione. Ci

siamo ritrovati catapultati in un nuovo mondo, semi sconosciuto, in cui non

basta più informare, comunicare , coinvolgere, ma diventata necessario

NARRARE.

Ecco allora la svolta narrativa farsi largo. Ecco che aziende, organizzazioni,

persino agenzie politiche e mediatiche iniziano nel nuovo millennio a usare

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tecniche di narrazione per “posizionarsi” e “vendersi” . Nulla, forse, è

passato indenne attraverso la rivoluzione digitale. È cambiata la società, noi

stessi ci siamo modificati, abbiamo cambiato pelle e mente, abbiamo

acquisito nuovi schemi percettivi. In questa ottica, l’epicentro è la

rivoluzione digitale ma il centro esiste dalla notte dei tempi: è l’essere

umano! Gli strumenti veri dello storyteller sono il desiderio di

comprendere, re-immaginare e creare su scala umana morfologie proprie e

altrui (Felice Limosani).

Scopo di questo lavoro è quindi lo studio dello storytelling e delle sue

applicazioni all'interno delle organizzazioni. Così i brand iniziano a

raccontare storie. I prodotti iniziano a essere storie. E il marketing diviene

narrativo. Per la prima volta nel nostro Paese, si apre un nuovo territorio

teorico e pratico, in cui diventa fondamentale sapere: perché una persona

entra in sintonia con una narrazione e ne fruisce i contenuti facendoli suoi;

quali sono gli elementi principali e non trascurabili per costruire una

narrazione; quale è la fisica dell'ascolto narrativo. Ovvero come

l'ascoltatore entra in sintonia da un punto di vista fisiologico con una

narrazione e con i suoi elementi e come sia possibile misurarne in qualche

modo la fisiologia. Cercherò di rispondere alle seguenti domande cos’è un

racconto aziendale e come si costruisce? Quali sono gli strumenti più

idonei su cui far vivere e far circolare racconti d’impresa? Dove sta il

connubio tra comunicazione e racconto? Quando è un bene fare un

percorso di corporate storytelling e quando sarebbe meglio evitare?

L'argomento è analizzato sia da un punto di vista teorico che da una

prospettiva pratico-operativa. In questo elaborato si è voluto quindi unire la

teoria alla pratica dello storytelling, cercando sempre di mantenere un certo

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equilibrio tra questi due aspetti, nella convinzione che essi siano tra loro

complementari.

Queste in breve le linee guida che ci accompagneranno lungo questo

percorso alla scoperta della narrazione d’impresa e del racconto che è insito

in ciascuno di noi. La prima parte del lavoro si occuperà della

comunicazione strategica d’impresa in ottica corporate, lo storytelling nella

comunicazione d’impresa e dal fare comunicazione all’essere

comunicazione.

La seconda parte analizza dal punto di vista storico l’evoluzione della

narrazione indagandola per il suo potere emozionale . Si tracciano le linee

per definire lo storytelling, il contesto in cui opera, il perché occuparsi di

storytelling e perché da un punto di vista psicologico le storie ci piacciono.

Si parlerà della storylistening trance experience e del potere della

narrazione e della contronarrazione. Quindi le storie e le strategie, perché è

inutile negarcelo le storie non sono ingenue.

La terza parte si concentra sulla struttura del processo di narrazione

analizzando le trame più diffuse, i format più usati per costruire una

strategia di comunicazione narratologica; in particolare analizzeremo lo

schema canonico e il viaggio dell’eroe fino alla mappatura fatta da Booker

con il suo libro: the seven basic plots. Ci occuperemo a seguire degli ambiti

di applicazione dello storytelling, quali sono i canali delle storytelling

operations e i suo strumenti (cartaceo, relazionale, digitale). Come si

costruisce un piano di storytelling operation, i vantaggi e le maggiori

criticità dello storytelling evidenziate da Salmon.

La quarta parte è dedicata essenzialmente al potere delle immagini e come

esse vengono usate nello storytelling dai i visual per catturare l’attenzione

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ed emozionare; le immagini e le storie, le musiche e i colori vengono

digitalizzate e condivise attraverso la Rete attraverso strumenti

transmediali. In particolare si parlerà del rapporto tra digital e social media,

come si gestiscono le conversazioni e i tempi, fino ad arrivare

all’implementazione di una brand story guardando anche i processi di

gamification e advergame.

La quinta parte descrive il lavoro del digital storyteller Felice Limosani,

correlatore della mia tesi. Il racconto dell’artista si avvale di due Lectures:

essere reali con la fantasia e lo storytelling contemporaneo.

L’ultima parte della tesi è dedicata a quattro Case History.

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1. La comunicazione strategica d’impresa nella post-modernità.

1.1 Alcune riflessioni introduttive

n questi anni di forte cambiamento delle logiche economiche e dei

modelli di business si stanno modificando pure, radicalmente, i

modelli e le forme di comunicazione d’impresa. Complessità,

incertezza, ambiguità e cambiamento sono le parole chiave del contesto in

cui le imprese si trovano oggi a competere: la caduta dei classici paradigmi

organizzativi, la globalizzazione e l’aumento della competizione sui

mercati hanno fortemente destabilizzato l’ambiente interno ed esterno in

cui le imprese operano. In questo contesto fluido e metamorfico, le

modalità di gestione e di comunicazione delle aziende si sono dovute

modificare in maniera profonda per riuscire ad assecondare la necessità

degli attori organizzativi di trovare un nuovo modo per capirsi, conoscersi e

riconoscersi in questa mutevole condizione lavorativa; metamorfosi dovuta

anche all’avvento delle nuove tecnologie, delle nuove piattaforme

comunicative e dei social media che hanno determinato un contesto nel

quale la pubblicità classica sta perdendo molta della sua tradizionale

capacità di presa sul pubblico . Pur conservando una sua ragione d’essere (e

rimanendo per la verità ancora prevalente in termini d’investimento),

questa modalità di comunicazione intrinsecamente unidirezionale

rappresenta il passato. Il futuro è fatto di altre cose-particolarmente di tutte

le forme di relazione collaborativa, a due vie, tra imprese, marche e

pubblico che le nuove tecnologie della comunicazione rendono oggi

I

“La comunicazione è sostanza; più sostanza della cosa

comunicata.” C. Nigro

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.14

possibile.1 In questo contesto emergono con sempre maggiore chiarezza

forme di comunicazione innovative come lo storytelling, il branded

content e il marketing non-convenzionale, tematiche che affronteremo in

questo e in altri capitoli.

Entrando nel vivo del discorso possiamo constatare che le organizzazioni

dovranno adattarsi ai nuovi mezzi di comunicazione, alla trasformazione

del mondo in una sorta di rete globale, creando delle culture convergenti e

generando nuove modalità di relazione.

Come ben sappiamo ogni individuo, azienda, ente o gruppo sociale

comunica per il semplice fatto di esistere. Questo è uno dei principi

fondamentali su cui si basano le teorie della comunicazione. Tuttavia la

teoria generale dei sistemi (General System Theory) di Ludwig Von

Bertalanffy (1968) definisce le organizzazioni come “ degli insiemi

complessi di parti interdipendenti che interagiscono per adattarsi ad un

ambiente in continuo cambiamento al fine di raggiungere i propri

obiettivi”. Infatti Ludwig Von Bertalanffy definisce il processo di

interazione tra le parti “organizzazione”2. In tal senso l’organizzazione

non è statica ma si comporta da agente dinamico presente nella società

come soggetto in crescita continua. Come tale, essa è centro vitale di

costrutti socio economici e porta con sé un frame di valori simbolici ( come

ad esempio il logo di un brand) dall’elevato valore cognitivo, entro i cui

confini si autodefinisce.

E’ facile comprendere che le aziende comunicano sempre: esse si

esprimono “non solo attraverso ciò che dicono intenzionalmente (ad

1 Paolo Bonsignore, Joseph Sassoon (2014) , Branded Content – La nuova frontiera della comunicazione d’impresa,

Franco Angeli – collana diretta da Vanni Codeluppi, Milano. 2 Franco Fontana ,Il sistema organizzativo aziendale,1993- Franco Angeli Editore.

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esempio, le proprie campagne pubblicitarie), ma anche attraverso quello

che mostrano (ad esempio il design dei prodotti, la forma degli edifici, la

disposizione degli uffici) e quello che fanno (il comportamento dei loro

membri)3.

Il punto su cui vogliamo soffermarci è il seguente: cosa comunica di

norma un’impresa?

In prima istanza possiamo dire che il contenuto dei suoi messaggi è teso ad

affermare gli elementi finali della sua attività e a mettere in luce il loro

valore, la loro efficacia, l’utilità e il rendimento. Si tratta del lavoro portato

avanti dall’apparato pubblicitario, da intendersi non soltanto a livello

referenziale ma anche valoriale: “il prodotto e il servizio si trasformano in

discorsi, spesso “storie”,”racconti” che, per quanto ancorate alla

concretezza dei loro presupposti di origine, se ne possono allontanare,

avviando una produzione di senso sempre più libera, sempre meno

materializzata, sempre più orientata in una prospettiva simbolica”.

Ad un secondo livello troviamo il discorso di marca, quel valore aggiunto

che si unisce al prodotto e lo rende unico nell’immaginario del

consumatore. Infine il terzo livello di messaggi che l’impresa porta in auge

è costituito dalla sua entità, il suo essere soggetto partecipe della vita

sociale sotto forma di identità aziendale o corporate identity. Nelle pagine

successive del nostro lavoro ci occuperemo di un importante passaggio che

lega la comunicazione aziendale intesa come corporate communication in

particolare con l’evoluzione del Marketing non convenzionale, la marca e il

potere dei consumatori, questo ci permetterà di ospitare il grande tema

3 Gianfranco Bettetini, Semiotica della comunicazione d’impresa, Bompiani, 2003, Milano Pg.40,60,65

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della narrazione d’impresa: lo Storytelling come nuovo approccio alla

comunicazione strategica.

1.2 Il ruolo strategico della comunicazione : le relazioni

Le profonde modificazioni che hanno interessato la moderna economia

d’impresa sottolineano la rilevanza che ha assunto la dimensione

relazionale dell’attività imprenditoriale, con riferimento alle relazioni di

business, alle relazioni di mercato, alle relazioni interne, a quelle sociali ed

istituzionali.

In questo contesto la comunicazione assume un ruolo fondamentale in

quanto rappresenta il “collante” delle organizzazioni sociali, strumento

fondamentale di coordinamento delle attività relazionali dell’impresa,

attraverso il quale attivare i contatti, gestire i rapporti, creare e mantenere la

fiducia, promuovere la co-evoluzione, esercitare strategie di influenza e di

condizionamento.4

Lo stesso Prof. G. Calabrese5 in un paper, costrutti, miti e strategie nella

comunicazione d’impresa, scrive: “la comunicazione è il collante sistemico

per antonomasia, il Graal che finalmente cuce insieme strategia e struttura,

lo strumento di salience management invocato dalle declinazioni normative

della Stakeholder Theory (Savage et al., 1991; Clarkson, 1995; Mitchel et

al., 1997; Polonsky e Scott, 2005), nonché la leva di implementazione

operativa delle ricadute provenienti dal dibattito sulla Corporate Social

Responsibility.”

4 Pastore A., Vernuccio M., Impresa e comunicazione principi e strumenti per il management ,Apogeo 2008

5 Mastroberardino P., Calabrese G., Cortese F. Costrutti, miti e strategie nella comunicazione d’impresa. Sinergie,

rivista di studi e ricerche. Università degli studi di Foggia- Dip. Economia Aziendale.

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La comunicazione, dunque, genera e sostiene le relazioni, sviluppa fiducia

e conoscenza, produce credibilità strategica e reddituale, contribuisce alla

costruzione della consonanza (compatibilità strutturale) e alla sua

evoluzione verso la risonanza( condivisione dei valori, obiettivi e strategie)

tra soggetti interagenti; per tale via essa concorre alla diffusione e alla

creazione di valore. Attraverso la comunicazione, l’impresa riesce a

generare e trasmettere ai pubblici di riferimento: dal “saper fare” al “far

sapere”.

Thierry Libaert6 e Karine

7 Johannes mettono a fuoco il concetto di

relazione come fondamento a cui la comunicazione d’impresa deve

puntare. Il “relazionarsi con”, è del resto, uno degli elementi del processo

comunicativo. Relazionarsi significa secondo Libaert costruire un legame,

mettere in comune degli interessi e degli obiettivi.

“Entrare in relazione con dei pubblici consiste per un’impresa

nell’oltrepassare il livello di transazione, l’atto di acquisto ed introdurre

una continuità, uno spessore temporale”.

Il compito dell’azienda in questo senso è coltivare tale legame attraverso le

pratiche comunicative, sino a giungere ad una personalizzazione degli

scambi e ad una conoscenza approfondita dei pubblici di riferimento.

Secondo due autori esperti nell’analisi dei contesti relazionali in ambito

aziendale, Ledingham e Bruning, la relazione si definisce in questi termini:

“il rapporto esistente tra un’organizzazione e i suoi pubblici di riferimento,

6 Thierry Libaert è uno specialista francese leader in comunicazione organizzativa . E 'docente di comunicazione organizzativa presso l' Université catholique de Louvain ( Belgio ), dove presiede il Laboratorio per l'Analisi dei Sistemi Organizzativi di comunicazione (LASCO) 7 Karine Johannes, Ph.D. Strategic communications consultant, Independent, Université Lumière de Bujumbura.

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in cui le azioni di ogni soggetto hanno un impatto sul benessere economico,

sociale, politico e/o culturale dell’altro”.

Partendo dall’idea di relazione, Libaert e Johannes ritrovano nella

corporate communication due radici comuni a tutte le teorie

precedentemente vagliate: il marketing e le relazioni pubbliche.

Dall’evoluzione di queste due discipline e con l’emergere intorno agli anni

’80 della concorrenza e della necessità di gestire i prodotti intangibili

dell’impresa (i suoi valori, la sua mission, la sua vision e la sua cultura) si

sono sviluppate progressivamente le teorie della corporate communication

e i concetti ad essa correlati: corporate image, identity e reputation. Uno

sviluppo relativo al passaggio da una logica di vendita ad una di

costruzione dell’identità e della relazione con l’altro. In quest’ottica se il

marketing si occupa principalmente di valorizzare i prodotti ed i servizi, le

relazioni pubbliche si impegnano a generare un contratto di fiducia con i

diversi pubblici e a comunicare la filosofia aziendale e i suoi valori.

Il paradigma della corporate communication si inserisce secondo Libaert

proprio in questo punto d’incontro tra i due poli sostenendo che entrambe

le aree debbano essere gestite in modo unitario, affinché i prodotti da un

lato siano compenetrati dalla filosofia aziendale e dall’altro mission e

vision si concretizzino nell’operare dell’azienda: in prodotti, servizi, nelle

modalità lavorative, nei rapporti con i clienti e i dipendenti.

Nella nuova era della relazione risulta infatti evidente come l’interesse

degli stakeholders vada al di là dei semplici prodotti e servizi e si porti più

sul processo di produzione, sulle politiche di prezzo, sulla coscienza

dell’azienda come soggetto attivo e responsabile nella società ( si veda il

concetto di Corporate Social Responsability). La società si è resa conto

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oggi più che mai del livello di interdipendenza presente fra organismi

pubblici e privati ed i singoli individui, per questo nuove sfide si

propongono oggi alle imprese e negli anni a venire.8

La sfida più difficile sarà sicuramente quella della sincerità e dell’apertura

alla relazione verso gli stakeholder, la comunicazione superlativa è

destinata al fallimento: la vera comunicazione sarà quella capace di

ritornare ai suoi valori essenziali. Questo è quanto sostiene Stéphane Billet,

presidente dell’agenzia di comunicazione francese Hill & Knowlton e

presidente del Syntec Conseil en Relations Publiques. A questa sfida per la

corporate communication se ne aggiungono altre tre, secondo Marianne

Kugler, docente del dipartimento di scienze dell’informazione e della

comunicazione presso l’università di Laval:

1. La necessità di rimanere visibili e credibili mentre si moltiplicano le

fonti d’informazione a causa dell’avvento dei nuovi media (blog,

Twitter, Facebook), che fanno aumentare la circolazione delle notizie

(vere e false) grazie alla modalità del passaparola (“I like” di

Facebook ne è un esempio palese

2. Creare una cultura d’impresa, e instaurare all’interno e all’esterno

un sentimento d’appartenenza mentre aumenta il cinismo dei

dipendenti nei confronti delle promesse dei leader non mantenute;

3. Raggiungere i pubblici di riferimento in un momento in cui le

persone sempre più disincantate preferiscono racchiudersi nella loro

individualità e nel loro piccolo. (facebook ne è un esempio palese);

8 Cristina Fona- Brandforum.it

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1.3 La corporate communication : Il management

I modelli di management della comunicazione aziendale proposti in

letteratura sono stati sviluppati con riguardo soprattutto all’immagine e alla

corporate identity .Tali modelli, non riguardano il processo di Corporate

Communication Management (CCM) in quanto tale. Tale processo non si

limita esclusivamente alla gestione della corporate identity ma si estende al

contributo della comunicazione alle decisioni di strategia aziendale

(Gregory et al., 2010; Invernizzi e Romenti, 2011a, 2011b) e alla gestione

delle relazioni con gli stakeholder e della corporate reputation (Gray e

Balmer, 1998; van Riel e Fombrun, 2007).9

Lo stesso Van Riel nel 1995 anno in cui venne pubblicata e tradotta

l’opera “Principles of corporate communication” s’impegna nella

teorizzazione del modello in questione fornendo alcune tra le più

importanti nozioni su cui si fonda. Van Riel definisce la corporate

communication come: “an instrument of management by means of

which all consciously used forms of internal and external

communication are harmonised as effectively and efficiently as possible,

so as to create a favourable basis for relationship with groups upon

which the company is dependent”.

E’ bene sottolineare che il termine corporate non è utilizzato da Riel nel

senso di corporation, ma in relazione al termine latino corpus, più vicino al

corrispettivo inglese “body”, ovvero corpo o meglio “che inerisce alla

totalità”. Infatti spiega Thierry Libaert “la corporate communication

designa la comunicazione in cui l’impresa parla di sé stessa, della sua

9 AGOSTINO VOLLERO Assegnista di Ricerca - Università degli Studi di Salerno - sinergie, rivista di studi e ricerche –

Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461

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.21

identità, della sua mission e dei suoi valori e si presenta come persona

morale, al di là dei suoi prodotti e servizi” quindi si mostra nella sua

totalità come soggetto facente parte della società. La sua vocazione

principale in questo senso risiede nell’affermare la personalità propria

all’impresa ed assegnargli una identità distinta e coerente favorendo le

relazioni con gli stakeholder aziendali e gestendo al meglio la sua

immagine e reputazione.

Nel corso degli ultimi anni, a partire dagli studi di PR, si è condivisa la

necessità di affrontare la comunicazione in base ad un approccio strategico

stakeholder-oriented . A livello di management strategico, la letteratura

ha evidenziato il ruolo rilevante e attivo del responsabile e dei consulenti di

comunicazione ai fini del governo delle organizzazioni complesse

(Invernizzi e Romenti, 2009). Alla comunicazione è stata, infatti, via via

attribuita la capacità di orientare i principali processi decisionali

aziendali, di supportare le decisioni di governo dell’organizzazione, al

punto che si è coniata in letteratura l’espressione “comunicazione

strategica”. Pur operando nell’ambito della funzione/dipartimento di

comunicazione aziendale (Steyn, 2003; van Riel e Fombrun, 2007;

Cornelissen, 2008), il responsabile (Chief Communication Officer) e/o i

consulenti di comunicazione sono entrati a pieno titolo nella “coalizione

dominante” chiamati a partecipare alle decisioni strategiche e a contribuire

al successo delle imprese (van Riel, 1995; Grunig et al., 2002; Argenti et

al., 2005; Goodman, 2006; Invernizzi e Romenti, 2009).

Le principali attività di comunicazione strategica svolte dal responsabile

e/o dai consulenti di corporate communication consistono nell’ascolto

organizzato (Invernizzi, 2004, 2005; Cornelissen, 2008; Golinelli, 2011) e

nella reflective communication (van Ruler e Verčič, 2005). In un’epoca

Page 23: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.22

caratterizzata dallo stakeholder management, la reflective communication

consente di prendere in considerazione i problemi e le aspettative degli

stakeholder e di individuare le modalità di adeguata interazione con gli

stessi. La comunicazione aziendale riesce così ad essere strettamente legata

alla gestione strategica dell’impresa e alle sue relazioni con gli stakeholder

(Steyn, 2003).

La concezione del ruolo strategico della comunicazione si contrappone alla

visione tradizionale che vede la comunicazione come un’attività, o meglio

una funzione organizzativa, sostanzialmente tattica (White e Dozier, 1992),

che fa largo ricorso ai practitioner e alle technicality di cui questi sono

dotati (Cornelissen, 2008).10

L’evoluzione della concezione della

comunicazione ha suggerito la necessità del passaggio da un management

della comunicazione di tipo tattico ad uno di tipo strategico (Holm, 2006).

L’idea di integrare il marketing e le public relation nell’ambito di un

unico strategic managing system di corporate communication (Varey,

1998; Varey e White, 2000) contribuisce al dibattito sul management

strategico della comunicazione. In tale sistema, le attività di comunicazione

sono costruite intorno a relazioni forti, durature e paritarie con i diversi

stakeholder group.

Tali relazioni si focalizzano sul coinvolgimento e sulla collaborazione degli

stakeholder attraverso l’adozione di un interactive approach (Varey, 1998).

La varietà derivante dalle esperienze dei diversi soggetti coinvolti e il

dialogo con i diversi pubblici contribuiscono alla definizione delle priorità

nel processo di comunicazione e sostengono il ruolo attivo del CCO (Chief

Communication Officer).

10

Prof. Alfonso Siano Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Salerno. Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461

Page 24: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.23

Il processo di corporate communication management comporta varie fasi,

alcune delle quali consistono nello svolgimento delle attività di

comunicazione (strategica e operativa) e altre che comportano l’assunzione

delle decisioni in materia di comunicazione (strategiche e operative)

Figura 1 Il processo di corporate communication

L’ingresso dello storytelling è voluto e forzato in questa

figura, come nuova modalità di comunicazione rientrante

nella Communication strategy.11

11

Figura 1 (storytelling) mia elaborazione.

Page 25: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.24

Il processo ha inizio a livello di management strategico (governo) con

l’accennata attività di ascolto organizzato (environmental scanning),

destinata alla conoscenza delle aspettative dei pubblici esterni e interni

all’impresa e del loro giudizio circa la reputazione di quest’ultima.

In un ambiente sempre più interconnesso e interattivo si rende necessario

un approccio di tipo sense-adapt-in cui i communication director e i

consultant sono in costante ascolto dei differenti stakeholder group e

rispondono loro attraverso le forme ed i canali di comunicazione più

appropriati. L’approccio sense-adapt-respond favorisce la diffusione delle

abilità di comunicazione che valorizzano la comunicazione bidirezionale,

il dialogo e la cooperazione con gli stakeholder.

All’attività di ascolto segue l’attività strategico-riflettiva (reflective

communication), con funzione di information support in quanto ha la

finalità di trasferire ai membri della “coalizione dominante” le indicazioni

sulle aspettative e sulle percezioni dei pubblici, per orientare la vision

aziendale, per stimolare eventualmente la revisione del sistema dei valori

guida condivisi dai membri dell’organizzazione a base della corporate

culture, per consentire l’assunzione di strategie corporate e di business in

linea con le attese dei resource-holder. L’attività di ascolto organizzato e

l’attività riflettiva rappresentano le due fondamentali attività di

comunicazione strategica, per il fatto di coinvolgere membri della

coalizione dominante e di supportare le decisioni di quest’organismo di

governance (v. Tab. 1) (v.Tab.2)

Page 26: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.25

TAB.1 : PRINCIPALI ATTIVITA’ DI COMUNICAZIONE STRATEGICA SVOLTE DAI MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE

MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE COINVOLTI

ATTIVITA’ STRATEGICHE DI COMUNICAZIONE

Tutti i membri (soprattutto il CEO, il CCO, il CMO, i consulenti di comunicazione)

Attività di ascolto organizzato (environmental scanning): - conoscenza del contesto, identificazione degli stakeholder group e dei pubblici influenti - comprensione e interpretazione delle aspettative dei pubblici, rilevazione della percezione e del giudizio dei pubblici in merito alla reputazione dell’organizzazione

CEO, CCO, CMO, consulenti di comunicazione

Attività strategico-riflettiva (information support): - apporto di informazioni, nell’ambito della coalizione dominante, circa le aspettative dei pubblici influenti, per consentire opportuni cambiamenti e adeguamenti dell’organizzazione - contributo alla definizione dei valori guida (corporate culture), della vision e della strategia di corporate/business

Tabella 1 : Principali attività di Comunicazione Strategica svolte dalla coalizione dominante

la strategia di comunicazione trova attuazione attraverso le decisioni e le

attività operative di comunicazione (v. tab. 2). È compito del management

operativo sviluppare e gestire l’attività relazionale e di stimolo

all’estroversione. Le prime sono destinate a creare e instaurare relazioni

simmetriche e durevoli con gli stakeholder (Ledingham e Bruning, 2000;

Grunig, 2001; Ledingham, 2003). Le seconde servono a stimolare la

partecipazione attiva dei clienti e degli altri stakeholder, nell’ambito per lo

più dei social media e delle brand community. Questo stimolo mira ad

indurre la produzione di contenuti multimediali generati direttamente dagli

utenti (user generated) (Nova24 Le Idee, 2011).12

12 Le tab.1,2 sono miei adattamenti prodotti dal paper del Prof. Alfonso Siano Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Salerno. Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461

Page 27: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.26

TAB.2 : PRINCIPALI ATTIVITA’ DI COMUNICAZIONE STRATEGICA SVOLTE DAI MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE

MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE COINVOLTI

ATTIVITA’ OPERATIVE DI COMUNICAZIONE

CEO, CCO, CHRO, consulenti di comunicazione

CEO, CCO, CMO, consulenti di comunicazione

Tutti i membri CCO, CMO, consulenti di

comunicazione

Attività relazionale: - diffusione dei valori guida, della mission e della vision (all’interno e all’esterno dell’organizzazione) - diffusione dei contenuti della strategia di corporate/business (all’interno dell’organizzazione) - sviluppo di relazioni simmetriche con gli stakeholder - attuazione di programmi di branding (ethical branding, employer branding, retail branding, brand extension, corporate trademark licensing, co-branding, ingredient branding, ecc.)

CCO, CMO, consulenti di comunicazione

Attività di stimolo all’estroversione: stimolare la partecipazione attiva dei clienti nei social media e nelle brand community, ai fini della produzione di contenuti user generated (contenuti multimediali generati dagli utenti)

Tabella 2 : Principali attività di comunicazione strategica svolte dalla coalizione dominante

Un punto in comune che manca alle tabelle (1,2) tra le principali attività di

comunicazione operativa è lo Storytelling, argomento che inseriremo per

completare e implementare il processo di comunicazione e di strategy

dell’impresa. Prima di immergerci nel mondo dello storytelling e della

narrazione d’impresa affronteremo nel prossimo paragrafo, a conclusione

del capitolo, passaggi importanti per comprendere l’era della post-

modernità, consumi, identità e brand, dall’immagine alla reputazione ( due

componenti importantissime della Corporate communication), il marketing

esperienziale: dalla co-creazione alla working consumers.

Page 28: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.27

1.4 Dal fare comunicazione all’essere comunicazione.

Le attività di consumo sono ormai un elemento centrale nella vita delle

persone: passiamo più tempo a consumare che a lavorare. Il consumo è

sempre meno una semplice attività volta a rispondere a necessità specifiche

e sempre più caratterizzato da aspetti edonistici, dalla ricerca di piacere e di

gratificazione. Consumiamo sempre meno da soli; il consumo è

tipicamente un fatto sociale: momenti, valori, significati condivisi con altri,

amici, familiari o persone che non conosciamo ma hanno, per esempio, una

nostra stessa passione; si pensi ad un concerto di Ligabue, alle iniziative in

memoria di De André, alle partite di calcio allo stadio. D’altro canto, anche

una partita vista a casa su Sky da soli diventa poi un fatto da raccontare,

discutere e condividere con gli altri, oltre che un’attività di consumo.13

Una volta per soddisfare le richieste dei consumatori più esigenti era

sufficiente fabbricare buoni prodotti e migliorare la qualità dei servizi.

Oggi questo non basta più. Si punta infatti all’esperienza globale, quella

che riesce a coinvolgere non solo i sensi, ma anche il cuore e la mente.

“L’economia- dice Felice Limosani – è di fatto nell’era della produzione

di esperienze: si è partiti dalle materie prime e dalla produzione di beni e

si è passati ai servizi come valore aggiunto. Ma oggi beni e servizi non

bastano più, mentre l’orientamento a produrre emozioni origina scenari

sempre nuovi”14

Il consumatore contemporaneo preferisce vivere immerso in esperienze di

consumo anziché acquistare meri prodotti e servizi. Il consumo post-

moderno si riassume così nell’immersione in esperienze costituite da 13

Carù A., Cova B., a cura di (2007), Consuming Experience, Routledge, London 14

http://www.felicelimosani.com/upload/7oO_141_7piZ.pdf

Page 29: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.28

incontri affascinanti, spettacolari, dalle mille sfaccettature. Il consumatore

oggi viene percepito come un essere emozionale, in cerca di esperienze

sensibili che lo facciano interagire con i prodotti e i servizi del sistema di

consumo. Tutto ciò conduce gli esperti di marketing a stemperare la visione

funzionalista e utilitaristica del consumo con una visione detta

esperienziale, la quale mette in rilievo i valori edonistici e la soggettività

dell’individuo. Tradizionalmente legata alla microeconomia e alla

psicologia ( sia comportamentista sia cognitivista), la visione funzionalista

del consumo si concentra sulla ricerca di informazioni e sul processo

d’influenza del consumatore, al fine di ottimizzare le transazioni di

individui considerati isolatamente. Nella prospettiva esperienziale, al

contrario, il consumatore non cerca tanto di massimizzare un profitto,

quanto di ottenere una gratificazione edonistica nell’ambito di un contesto

sociale. Il consumo scatena infatti sensazioni ed emozioni che, lungi dal

rispondere semplicemente a dei bisogni, vanno a toccare l’ambito della

ricerca identitaria del consumatore. Non si tratta più, semplicemente, di

“fare i propri acquisti”, ma di “vivere delle esperienze” e, più spesso, delle

esperienze “integrate”, poiché queste fanno appello a tutti i sensi

dell’individuo.

Il nuovo consumatore si muove dunque dinamicamente e può avere diverse

attitudini al consumo in relazione al diverso momento che sta vivendo e

condividendo con altre persone, potremmo definirli “momenti di vita” in

contrapposizione ai classici e ormai poco funzionali ”stili di vita”, tipici

del marketing tradizionale.15

15

Cova B., Giordano A., Pallera M., terza ed. aggiornata 2012 ( a cura di) : Marketing non-convenzionale

Page 30: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.29

Il marketing esperienziale si collega alle esperienze vissute dal

consumatore, le quali si generano quando egli si imbatte, subisce o vive

alcuni avvenimenti. L’esperienza di consumo si definisce come il momento

in cui si prova qualcosa di bello o di brutto, provocato intenzionalmente o

meno, come qualcosa che arricchisce il pensiero e che è decisivo per la sua

organizzazione. Queste esperienze, più che valori funzionali, possiedono

valori sensoriali, emozionali, cognitivi, comportamentali e relazionali. Il

consumatore non percepisce la situazione in termini di categorie

strettamente definite, ma in termine di consumo nel suo insieme. Per una

migliore comprensione delle tipologie di esperienza al consumo, si può

utilizzare il quadro semiotico dei valori delle esperienze.16

Figura 2 Tipologia delle esperienze di consumo

16 Cova B.,Louyot – Gallicher M. C (2006) Innover en marketing, Lavoisier, Paris.

PR

ATI

CA

Utile

Funzionale

Pratico

Tecnico

UTO

PIC

A

Evasione

Avventura

Sogno

Metamorfosi

Trasgressione

CR

ITIC

A

Essenziale

Sobrio

Basico

Economico

Necessario

Vantaggioso

LUD

ICA

Evasione

Divertimento

Scenografia

Gadget

Sorpresa

Provocazione

Humor

Page 31: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.30

L’oggetto dell’esperienza deve coniugare valori d’uso ( pratico e critico) e

valori esistenziali ( utopico e ludico). In parole povere, il consumatore

vuole tutto e il contrario di tutto: dall’oggetto dell’esperienza, e dal

marchio che lo produce, si aspetta non solo la riproducibilità

dell’esperienza e la diminuzione del rischio percepito, ma anche nuove

sensazioni, emozioni ed esperienze. Il marchio (brand) sarà allo stesso

tempo un dispositivo in grado di “industrializzare” le esperienze, ma anche

un attore capace di dare prova di fantasia. Il marketing esperienziale si

pone quindi il problema di come produrre, o co-produrre insieme al

consumatore, queste esperienze di consumo considerato che come abbiamo

più volte detto nel corso del capitolo il consumatore non è più un attore

passivo che reagisce a determinati stimoli, ma piuttosto un attore attivo

nonché il produttore delle proprie esperienze di consumo, le imprese

tuttavia hanno cercato di agevolare la realizzazione di queste esperienze.

1.4.1 Le imprese verso la co-creazione

In effetti, negli ultimi anni si è assistito a un crescente incremento da parte

delle imprese nel coinvolgere il consumatore nella definizione dell’offerta.

La co-creazione contempla un coinvolgimento del consumatore, il quale

collabora attivamente e arbitrariamente alla cogenerazione dell’offerta e del

valore in esso compreso. Ciò implica una illimitata libertà di azione alla

creatività dei consumatori, i quali possono così arricchire l’offerta

d’impresa con conoscenze e idee del tutto impreviste e imprevedibili.

Alcune figure qui a seguito spiegheranno al meglio l’evoluzione verso la

co-creazione (fig.3,4,5).

Page 32: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.31

Il Marketing tradizionale (Good- Dominant Logic, G-D Logic) risponde

alla logica del value-in- exchange ( valore dello scambio) fig.3, il valore è

impresso nei prodotti o servizi ed è completamente separato dal

consumatore.

Figura 3 La vecchia logica del Marketing (G-D-Logic)

Tratto comune dei nuovi approcci di marketing è la tendenza ad andare

verso il consumatore coinvolgendolo nei processi di creazione del valore.

Questa impostazione ha fatto emergere una nuova logica del marketing, la

Page 33: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.32

S-D Logic (Service- Dominant Logic) 17

, una logica in cui i meccanismi di

produzione del valore si liberano dal controllo esclusivo dell’offerta per

collocarsi invece nell’interazione tra imprese e consumatori, un

cambiamento di prospettiva che dall’idea di valore nello scambio (value-in-

exchange), propria del marketing tradizionale, si sposta verso l’idea di

valore nell’uso o nell’interazione ( value-in- use).

Figura 4 La nuova logica del marketing (S-D Logic)

La S-D Logic, risponde alla logica del value- in- use, il valore non è

incorporato nell’offerta ma viene co-creato dalle imprese e dai

consumatori, non è valutato su basi oggettive ma secondo la percezione del

consumatore. L’elemento di novità apportato dalla S-D Logic consiste

quindi nell’enfatizzare l’importanza delle conoscenze degli attori coinvolti

nel processo d’interazione. L’incontro e la condivisione di queste risorse

rappresenta il momento topico della co-creazione del valore. Nel marketing

17

Vargo S.L., Lush R.F. (2004), “Evolving to a New Dominant logic for Marketing”, Journa l of marketing, 68(1) pp.90-102

Conoscenze e

competenze del

consumatore.

Value proposition.

Conoscenze e

competenze

dell’impresa.

Co- Creazione di

Valore.

(Value- in- use)

Page 34: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.33

tradizionale ciò che costituisce oggetto di scambio sono le operand

resources (beni e servizi), nella nuova logica del marketing sono le operant

resources( conoscenze, abilità, competenze) a essere impiegate e condivise

da consumatori e imprese insieme per generare valore.

Ciò induce le imprese ad assumere un diverso atteggiamento verso il

mercato che dal modello “market to” della vecchia logica si sposta verso

un modello “market with”. Un ripensamento, dunque, della visione

kotleriana incardinata sui must pianificazione-gestione-controllo che

prescrivono un atteggiamento unilaterale dell’impresa verso il mercato, e il

debutto di un atteggiamento interazionale che chiama in causa i

consumatori come partner nella generazione del valore. Tale percorso ha

ridisegnato la funzione dell’impresa rispetto al mercato: nella service-logic,

infatti, l’impresa si limita ad avanzare una value proposition (Vargo e

Lusch,2004),una proposta di valore alla quale il consumatore partecipa e

collabora attraverso la sua percezione personale.

Anche se nella letteratura di marketing il tema della co-creazione è legato

in maniera stringente alle due tipologie classiche del valore, e cioè al valore

di scambio e il valore d’uso, oggi è possibile parlare di una nuova tipologia

del valore legata soprattutto al consumo: il valore del legame.18

Fig.4

A differenza del valore di scambio e del valore d’uso che fanno riferimento

principalmente al singolo individuo, il valore di legame emerge nel

momento in cui nella società si ricopre il bisogno di appartenenza.19

In una società dal sapore tribale e comunitario, i beni e i servizi del sistema

dei consumi non sono percepiti come valori primari, ma, piuttosto, sono

18

Cova B. (1997) “community and consuption”: towards a definition of the “linking Value” of product or services”, European journal of marketing, pp.297-316. 19

Maffessoli M.(2000a) L’istante eterno. Ritorno del tragico nel post-moderno, Sossella, Roma,2003.

Page 35: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.34

subalterni rispetto alla loro capacità di creare e di mantenere il legame

sociale. Questo significa che le tribù, avendo bisogno di consolidare e

affermare la loro unione , sono costantemente alla ricerca di tutto ciò che

garantisca la riaffermazione continua di tale unione: un luogo, un emblema,

dei rituali, dei riconoscimenti ecc.

Figura 5 Il valore del legame

Le sottoculture di consumo, le brand community e le tribù di consumatori

sono l’espressione più limpida di come i raggruppamenti di consumatori

intorno a uno specifico prodotto, una marca o un’attività di consumo in

genere contribuiscano a caratterizzarne l’immagine che socialmente ne

viene percepita. (v.fig.6) Sarebbe impossibile pensare alla Harley Davidson

senza il contributo degli HOG, alla Lego senza il contributo degli AFOL,

alla Nutella senza i nutellari…

I consumatori, perseguendo i medesimi interessi di consumo, generano

delle emozioni -ricordiamoci questa parola che ci tornerà utile quando

Marca/Prodotto V

alore d

i

legame.

Page 36: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.35

affronteremo nel prossimo capitolo la narrazione d’impresa e dei suoi

prodotti nella logica dello storytelling – di solidarismo condiviso attraverso

la creazione di mondi culturali frammentari, distintivi, autopoietici e a volte

effimeri.20

In questa prospettiva, i consumatori rilavorano attivamente i significati

simbolici codificati nei messaggi pubblicitari, nelle marche, nei punti

vendita o, in generale, nei beni materiali per realizzare i loro personali

obiettivi di identità e stili di vita, è la nascita del Prosumer.

Figura 6 Cultura, impresa e consumatori.

20

Codeluppi V. (2005) Manuale di sociologia dei consumi, Carrocci, Roma.

Consumatori occasionali.

Page 37: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.36

1.4.2 La working consumer.

Ritornando a quanto abbiamo detto nei paragrafi precedenti, e cioè alla

capacità dei consumatori di manipolare prodotti e servizi grazie al

contributo delle nuove tecnologie di comunicazione, dedichiamo questo

paragrafo al contributo che questi offrono a vari livelli nella

determinazione dell’offerta. La collaborazione dei consumatori nella

definizione dei prodotti e dei brand è stata di recente approfondita dalla

ricerca21

. In particolare, il termine impiegato per indicare tale fenomeno è

working consumer. I consumatori collaboratori prestano il loro savoir-faire

relativo all’offerta secondo diverse pratiche e diverse situazioni di

consumo. Nello specifico vengono individuate:

Consumption experience

Co-production in the service encounter

Consumer resistance

Service-Dominant Logic of marketing

Collaborative innovation

Consumer empowerment

Consumer agency

Consumer tribes.

Questi contributi dimostrano come il tema della partecipazione del

consumatore nella elaborazione dell’offerta d’impresa sia sempre più

centrale nelle dinamiche di consumo attuali. Il consumer made è un

tentativo di risposta alle più recenti mutazioni del consumatore. I

cambiamenti in atto nelle cosiddette società “post-moderne”, insieme alle

rivoluzioni tecnologiche cosiddette “post-industriali”( prime fra tutte

21

Cova B., Dalli D. (2009) “working consumer : the next step in marketing theory?, marketing theory, pp.315-39

Page 38: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.37

l’espansione di internet), fanno emergere consumatori sempre più capaci di

resistere alle iniziative di marketing delle aziende e in possesso di una

sempre maggiore competenza in merito ai prodotti e ai marchi che

utilizzano. “L’intersezione dei vari approcci consente di identificare quattro

tipi di strategie di collaborazione ( fig.7), che consentono di reagire alle

sfide poste dal nuovo potere del consumatore:

Figura 7 Tipologie di collaborazione consumer made

Co-innovazione : L’azienda coinvolge utilizzatori leader o comunità

di utilizzatori nel processo di progettazione del nuovo prodotto o

Co-Innovazione.

Progettazione guidata dal

consumatore

Co-Produzione

Esperienze prodotte dal consumatore

Co-immaginazione

Racconti dei consumatori

Co-Promozione

Concetti generati dal

consumatore

Controllo del Marketing (offerta e mix)

Controllo del consumo (esperienza e uso)

Page 39: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.38

servizio. Questo coinvolgimento può andare da un semplice voto sul

colore del futuro prodotto, come ha fatto Lenovo per il nuovo

ThinkPad IBM, alla creazione di una piattaforma interattiva di

progettazione del prodotto che consenta un vero e proprio design

partecipativo.

Co-promozione: L’azienda coinvolge un gran numero di

consumatori, generalmente attraverso un concorso, nella produzione

di immagini e filmati per le sue campagne pubblicitarie. Il richiamo

che si viene a creare costituisce già di per sé un’attività di

comunicazione.

Co-produzione: In questo caso il consumatore non fornisce un

contributo generico alla progettazione di un prodotto o di un marchio

o alla definizione di una campagna, ma partecipa nella sua qualità di

consumatore. A questo scopo, l’azienda sviluppa modalità che

consentano al consumatore di personalizzare l’offerta di prodotto, in

particolare tramite piattaforme di self-serving (in opposizione a

semplici dispositivi di self-service). A questo aspetto funzionale si

accompagna anche un aspetto simbolico: nel momento in cui non

offre l’immagine del prodotto come USP (unique selling proposition,

proposta unica di vendita), ma consente invece la libera associazione

del prodotto a un significato fluttuante, l’azienda offre ai

consumatori la possibilità di permeare la propria esperienza di

consumo con qualsivoglia significato essi desiderino, come nel caso

Page 40: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.39

di Red Bull22

- “strategia di costruzione del mito” che vedremo nei

prossimi capitoli quando parleremo di storytelling.

Co-immaginazione: L’azienda incoraggia lo sviluppo di tutto ciò che

può sollecitare l’interazione quotidiana entro comunità di

appassionati di un determinato marchio, prodotto o servizio. In senso

ampio, ciò significa coinvolgere le storie delle persone : cosa

sarebbe un marchio senza il racconto delle esperienze vissute dai

suoi più convinti consumatori? A tal scopo, l’azienda sviluppa

piattaforme comunitarie, che inducono gruppi di utilizzatori a

mobilitarsi per produrre e riprodurre narrazioni. On line queste

piattaforme si traducono in siti comunitari, che posso assumere

forme diverse, come “my nutella the community” o come desmoblog

(blog.ducati.com) oppure off line, quali per esempio i raduni di

appassionati e altri rituali, cui ciascuno può prendere parte creando

una propria storia e condividerla con quelle di altre persone.

1.4.3 Brand image brand reputation brand story.

Per rispondere ai bisogni esistenziali del consumatore, la marca (brand)

deve quindi diventare un elemento in grado di interpretare le sue esigenze e

di proporre coerenti nuove esperienze di vita. Tale creazione di relazioni

profonde e durature con l’individuo contemporaneo può avvenire solo se il

brand crea mondi e personaggi mutevoli, ma sempre attuali, che gli

22

www.redbull.com/it/it/events

Page 41: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.40

permettano di mantenere un senso di credibilità e autorevolezza23

; è

importante che la marca abbia “una storia da raccontare, che possa per un

tempo determinato sovrapporsi o confondersi con la storia dello

spettatore”24

. Il brand, pertanto, deve rielaborare continuamente il proprio

mondo vedendo il passato non solo come un serbatoio di ricordi, ma anche

un terreno da riscoprire in termini di stimolazione, ispirazione e creatività.

“I creativi leggono i sentimenti che la gente prova”25

Da sempre le marche hanno cercato di costruirsi un’immagine attraverso

gli strumenti del marketing, dall’advertising alle PR. Possiamo considerare

il concetto di brand image come la “marca che parla di sé”, che indossa un

bel vestito per piacere alla gente. Una forma piacevole che spesso è servita

a nascondere una sostanza non altrettanto splendente, come ci insegnano gli

scandali finanziari in cui sono state coinvolte alcune aziende come Enron e

Parmalat, oppure le campagne di boicottaggio che hanno colpito marchi

come McDonald’s, Nestlé, Shell, per citarne alcune.

23

Gnasso S., (2012) consumi e identità o della supremazia narrativa ai tempi della crisi. Lupetti editore, milano. Storyline collana diretta da Andrea Fontana. 24

Morace F., Società felici, Scheiwiller, Milano 2004 25

Felice Limosani in “ ink and water – don’t mix – The future / www.felicelimosani.com

Page 42: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.41

“ L’immagine è tutto. Anche troppo. Dopo anni, anzi decenni,

passati a inseguire falsi bisogni (e vere etichette) le nuove

generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza :

la vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza.”26

Al contrario dell’immagine, una buona reputazione è il risultato di un

processo di creazione collettiva della percezione del brand.

Andrea Semprini27

in una sua definizione di marca dice: “ Una marca è

costituita dall’insieme dei discorsi tenuti su di essa dalla totalità dei

soggetti (individuali e collettivi) coinvolti nella sua generazione”.

Sono quindi “le persone che parlano della marca” a creare una buona o

cattiva reputazione. Una reputazione dipende molto di più dalla sostanza

dei comportamenti dell’azienda che dall’apparenza delle dichiarazioni di

chi ne gestisce le attività di comunicazione. E se da un lato non risulta

particolarmente difficile aumentare nel breve periodo la propria visibilità in

termini di notorietà, la reputazione non può essere condizionata o

manipolata facilmente: la fiducia delle persone, anche se può essere estorta

nel breve periodo, non può essere acquistata con l’immagine.

26

Naomi Klein 2010, No Logo, Baldini&Castoldi –“ La Bibbia del Movimento antiglobalizzazione NYT” 27

Andrea Semprini è il maggior specialista italiano della marca. Dirige l'istituto di ricerca Arkema (www.arkema.com) e consiglia numerose grandi marche italiane e internazionali. Insegna all'Università IULM, nell'unica laurea specialistica italiana dedicata alle strategie di marca. Sullo stesso tema ha pubblicato Marche e mondi possibili (1993) e La marca (1997).

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.42

Il concetto di brand reputation riconosce quindi il crescente potere di

accesso alle informazioni delle persone e la situazione di aumentata

“trasparenza” in cui si trovano le aziende al tempo di internet.

Oggi un’informazione che un tempo poteva essere tenuta nascosta o

comunque arginata localmente, si diffonde tra i nodi della rete a

velocità supersonica.

Non ci sono più segreti: il mercato on line conosce i prodotti meglio delle

aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, tutti, prima o poi,

possono venire a saperlo. Tuttavia la reputazione, come abbiamo detto, si

alimenta di comportamenti e non di dichiarazioni.

Per questo è importante per l’azienda controllare costantemente

l’applicazione di norme, principi etici, valori, diffondendone la cultura

dell’organizzazione e vigilando affinché i comportamenti siano coerenti

con i valori e con i principi dichiarati.

La reputazione del brand non deve però essere intesa esclusivamente in

termini etici e valoriali, ma dovrebbe essere anche valutata in termini di

rilevanza economica, culturale, simbolica.

Per esempio, Diesel si distingue come brand anche per il sostegno che offre

a tematiche sociali, come lo sviluppo sostenibile e il surriscaldamento

Page 44: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.43

globale, ma soprattutto per la capacità che ha di essere estremamente cool e

culturalmente attuale dal punto di vista della comunicazione e del design

dei suoi prodotti.

Più che alla semplice opinione positiva che le persone hanno sulla qualità

dei prodotti o dei servizi delle aziende, la reputazione ha a che fare con la

capacità di entusiasmare gli animi e di mobilitare le persone, in definitiva:

quando aziende e prodotti sono in grado di creare veri e propri sostenitori

del brand. Parliamo di brand advocancy: di come il brand è in grado di

alimentare consenso ed entusiasmo verso la propria causa, sostegno al

proprio” progetto di senso”, come direbbe Semprini.

Entusiasmare gli animi, emozionare e raccontarsi oggi è sempre più

frequente: le imprese si raccontano e raccontano i propri brand attraverso i

propri clienti (brand story). In meno di 15 anni il marketing è passato

prima da prodotto a logo, poi dal logo alla story; dal brand image a brand

story.

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.44

Chiudo questo paragrafo con un’emozionante video28

di brand story della

British airways India che racconta la storia di una mamma indiana e di suo

figlio espatriato che ha nostalgia della propria casa nativa. Una storia

toccante dove il brand ( Voli British airways) è defilato rispetto alla storia e

la storia tocca tutti noi. Video cliccato da 1,3 milioni di visitatori.

Enjoy…

28

http://www.youtube.com/watch?v=WPcfJuk1t8s

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.45

1.5 Un caso emblematico di Co-creazione:

Il Mulino che vorrei29

Chiudiamo questo capitolo con l’esperienza italiana di co-creazione di

maggior successo, Il mulino che vorrei. Nel marzo del 2009, Mulino

Bianco, endorsement brand della Barilla, da sempre all’avanguardia nel

campo del marketing e della comunicazione, ha deciso di inaugurare un

nuovo corso nel modo di relazionarsi con i consumatori.

Il Mulino che Vorrei è:

“un progetto che non parla, ascolta”;

“un progetto che non dice, fa”;

“un progetto che non insegna, impara”.

L’idea è quella di creare una piattaforma, o meglio un ambiente in cui

consumatori e impresa possano incontrarsi per discutere, condividere idee e

creare contenuti: si tratta quindi di un progetto che vuole aprire a processi

di co-generazione di contenuti lasciando cadere il tradizionale confine che

separa le imprese dal pubblico dei consumatori. In questo caso si va oltre la

classica implementazione della piattaforma relazionale, anzi, nel Mulino

che Vorrei proprio i sistemi di relazione costituiscono uno dei fattori

determinanti per la realizzazione del progetto, si pensi all’integrazione

delle idee espresse dai gruppi su Facebook come nei casi del Pan di Stelle o

del soldino. Tutto ciò rende il progetto un laboratorio di idee che va oltre la

pura valenza strumentale della cassetta dei suggerimenti.( v. Fig.8)

29

http://www.nelmulinochevorrei.it/

Page 47: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.46

Figura 8 La piattaforma : il mulino che vorrei

Il fatto che l’impresa sia coinvolta nella partecipazione rende il progetto

delicatissimo proprio perché la spinge a cedere parte delle sue prerogative

ai consumatori, con una perdita di controllo su alcune attività e alcuni

processi. Tutto ciò va oltre gli schemi tradizionali a cui le imprese da

sempre sono abituate.

Il progetto si è articolato in due tempi. Una prima fase di lancio, in cui il

Mulino Bianco si è presentata al pubblico spiegando i propri propositi ed

esponendo le ragioni dell’iniziativa:

“Vogliamo raccogliere le vostre idee, analizzarle e, compatibilmente

con la nostra missione, visione e valori, realizzarle insieme”.

“Non abbiamo pregiudizi, ci mettiamo in gioco: siamo pronti ad

ascoltare qualsiasi proposta, anche non coerente oggi con il nostro

lavoro”.

Page 48: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.47

“E chiediamo la vostra partecipazione: prenderemo in considerazione

tutte le idee, ma vi chiediamo di indicarci, votandole, le idee che

ritenete più interessanti”.

Saremo trasparenti e partecipativi: tutte le idee che valuteremo

riceveranno una risposta pubblica di fattibilità o meno.

Una seconda fase di carattere operativo in cui l’azienda, attraverso un

percorso articolato in più step, ha passato al vaglio le proposte dei

consumatori sulla base dei criteri specifici per poi pervenire alla

selezione delle idee da realizzare concretamente.

Prima fase: Valutazione.

Seconda fase: Fattibilità e stima del potenziale.

Terza fase: Realizzazione.

Dopo la pubblicazione di ogni idea, Mulino Bianco interviene

prendendo in carica le dieci più votate sottoponendole al processo di

valutazione. Durante tutto il percorso i partecipanti continuano ad

inviare le proprie idee e a votare quelle degli altri. Non appena una delle

dieci idee inizia la fase di realizzazione o viene scartata, quella più

votata in quel momento entra nel ciclo di valutazione. Per tutte quelle

idee che non possono o non potranno diventare realtà, dopo averle

valutate, Mulino Bianco s’impegna a dare una spiegazione esaustiva del

perché della mancata realizzazione.

Di seguito alcuni esempi delle idee in corso di valutazione e sviluppo.

Le idee dei consumatori realizzate:

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.48

Il Soldino!

Allora, dato che i nostalgici reclamano il soldino a gran voce, che ne

dite di fare un soldino con l’euro? A testimonianza del fatto che Mulino

Bianco è una certezza che ci accompagna da quando eravamo piccoli a

oggi che siamo genitori! Tutto passa…Mulino Bianco resta!

Nuove confezioni Pan di stelle luminose

Sarebbe bello fare in modo che le stelline delle confezioni merendine e

biscotti Pan di Stelle potessero essere fosforescenti o in qualche modo

luminose. Poterle vedere al buio credo sarebbe molto stimolante per i

piccoli, che una volta finito il pacco di biscotti o merendine potrebbero

ritagliarsi la carta e farsi il loro piccolo angolo di cielo stellato.

Le idee in fase di realizzazione:

Sosteniamo le Oasi WWF

Vorrei proporre un nuovo formato di biscotto a forma di panda

(utilizzando lo stesso impasto degli Abbracci) vendendoli con un

sovrapprezzo di 10-15 centesimi a pacchetto. I soldi raccolti andranno a

sostegno delle Oasi WWF Italia.

Le idee in fase di valutazione:

Un Mulino vero!

Costruire un vero mulino che possa diventare un parco dei divertimenti:

con giostre fatte con ingredienti giganti. Per esempio, farei gli

autoscontri con tazzine giganti e montagne russe a forma di merendine.

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.49

Il Mulino che Vorrei è un esempio molto significativo di co-creazione (

co-generazione) di valore. Non s tratta semplicemente di un nuovo

modo di fare comunicazione impiegando le attuali tecnologie web, e

nemmeno un progetto innovativo di marketing.

In realtà il Mulino che Vorrei rappresenta un cambiamento di

prospettiva dell’azienda, un cambiamento che passa per un sostanziale

ripensamento del modo di intendere il mercato, i consumatori e il ruolo

dell’impresa. Anzi, proprio i risultati ottenuti e i contributi offerti dai

consumatori hanno fatto capire a Barilla che Mulino Bianco rappresenta

qualcosa di più che una semplice fabbrica di biscotti. Se si guarda alle

proposte avanzate dai consumatori, come il ritorno del Soldino o le

nuove confezioni luminose di Pan di Stelle, ci si accorge che queste idee

nascondono una carica di nostalgia e di sogno, chiaro segnale di come i

prodotti e la marca Mulino Bianco siano strettamente intrecciati con la

vita delle persone, con il loro passato e con le loro aspirazioni per il

presente e il futuro.

E’ proprio in questa nuova dimensione del consumo, e nella funzione

che esercita nel vissuto quotidiano delle persone, che si colloca

l’eccezionalità del progetto il Mulino che Vorrei, un progetto precursore

di un nuovo modo di intendere il marketing e che contribuisce alla sua

definizione in maniera propositiva e non più semplicemente facendo

ricorso alla negazione del passato (non – convenzionale)

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.50

2. S is for Storytelling

La comunicazione nella logica narrativa.

2.1 Introduzione allo Storytelling.

in dall’antichità il coinvolgimento di un pubblico passa attraverso

la narrazione di storie: uno strumento universale e potente per

facilitare la condivisione di messaggi tra individui ed

organizzazioni.

Le storie hanno sempre avuto un valore fondamentale nei rapporti umani,

permettendo di diffondere la cultura, organizzare il mondo circostante,

creare l'identità sociale di ognuno, stabilire delle connessioni emotive e

soprattutto ricordare.

Dal tempo dei faraoni dell’antico Egitto, con le storie degli scribi che li

decantavano, alle saghe scandinave, dalle eziologie alle vite dei santi, fino

ai giorni nostri con lo sviluppo del digital storytelling, il potere

dell’immaginazione ha permesso all’uomo di inventare storie e trasmetterle

agli altri attraverso diverse modalità di trasmissione, dalla semplice oralità,

ai testi scritti, fino agli strumenti multimediali.

Narrare infatti è un’attività molto antica adoperata dall’uomo per

comunicare ai suoi simili la propria conoscenza e consapevolezza di eventi,

cose e persone.

S

“Dimmi e dimenticherò, mostrami e

forse ricorderò, coinvolgimi e

comprenderò“. Confucio.

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.51

Narrare vuol dire “far conoscere”. Lo suggerisce anche l’etimologia

presente nel lessico latino, il verbo “narrare” deriva dalla radice

indoeuropea gnâ (accorgersi, sapere), da cui deriva anche il verbo latino

conoscere (cfr. Poggio 2004).

Un narratore quindi, attraverso informazioni note solo a lui, può rendere

partecipi della propria personale esperienza altre persone. La narrazione è

uno degli strumenti più utili alla condivisione dell’ esperienza del singolo

con una più ampia comunità.

Mediante la narrazione si viene a costruire una parte rilevante di quel

patrimonio di memorie e di esperienze che definiscono un’intera tradizione

culturale (miti, leggende, racconti).

In passato infatti la trasmissione delle conoscenze veniva esclusivamente

per forma orale (la parola), dato che la scrittura non si era ancora

sviluppata o era privilegio per poche persone, e quindi l’unico modo per

preservare la cultura e la memoria storica della società era quello di ripetere

costantemente i racconti in modo che divenissero delle tradizioni.

Il mistero racchiuso in ogni “parola” è ancora oggi uno dei temi più

dibattuti di tutta la storia dell’umanità. La sua capacità di incantare,

trasformare, persuadere, terrorizzare la rende uno strumento molto potente,

malleabile ma difficilmente controllabile.

Un tema certo non nuovo, le cui origini possono essere rintracciate già a

partire dalla cultura greco-romana, culla della retorica e della poetica,

patria di grandi filosofi e dei primi grandi poemi, da Omero a Virgilio. Lo

studio delle strutture e dei generi narrativi nasce da qui, per poi essere

ripreso intorno agli anni 60-70 del 900 ( Narratologia: termine coniato dal

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.52

filosofo Tzventan Todorov)30

ed esplodere nel nostro secolo dove la

riflessione è andata spostandosi in nuove aree di pensiero: dal folclore

all’antropologia, dalla comunicazione, alla psicologia, al marketing.

Ci si potrebbe chiedere per quale motivo sia emerso questo rinnovato

interesse nei confronti del racconto e come si sia sviluppato il pensiero nel

corso degli anni a tal proposito.

I perché possono essere molteplici ma derivano soprattutto da quanto

abbiamo detto all’inizio: da sempre la parola risulta essere uno strumento

che contraddistingue l’uomo, e che lo identifica come tale rispetto al

mondo animale, pertanto avere una padronanza dello strumento non solo è

importante oggi ma è un elemento strategico capace di creare a vari livelli

(aziendale, individuale, politico, sociale) un vero e proprio vantaggio

competitivo.

Questo è ancora più vero se pensiamo alla situazione attuale caratterizzata

da un overload informativo, un’overdose cognitiva che ha invaso tutti i

campi, grazie soprattutto all’evoluzione della tecnologia, madre dei social

network, dei blog e delle recenti applicazioni fruibili con semplici

apparecchi mobili.

Potremmo aggiungere : “Attraverso la narrazione, intesa come contesto

privilegiato di rielaborazione di dati e informazioni, è possibile attivare

veri e propri processi di costruzione di nuova conoscenza e

apprendimento. Ciò attiverebbe la capacità di mettere in relazione gli stati

interiori con la realtà esterna, di ricollegare il passato con il presente in

un’ottica di proiezione nel futuro e, infine, di rendere possibile la

30 Tzvetan Todorov ( bulgaro : Цветан Тодоров ) (nato il 1 marzo 1939) franco- bulgaro è uno storico , filosofo , critico letterario , sociologo e saggista. E 'autore di numerosi libri e saggi, con una influenza notevole in

antropologia , sociologia , semiotica , teoria della letteratura nel pensiero della storia e teoria della cultura .

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.53

percezione degli individui come soggettività dotate di scopi, valori e

legami. ”31

. La narrazione, o storytelling, è considerata uno dei meccanismi

più interessanti non solo come strumento di rielaborazione cognitiva dei

contenuti, valori, pratiche culturali, ma anche come dispositivo per

socializzare la conoscenza, condividerla e rielaborarla collettivamente.

Attraverso racconti, piccoli miti e “storielle”, infatti, sia nelle piccole

imprese sia nella grandi organizzazioni, circola gran parte dei saperi,

formali ed informali, delle istituzioni (Salmon, 2007).

Essa è da tempo oggetto sconfinato di studi da parte di diverse discipline:

ha svolto un ruolo centrale nella riflessione filosofico - semiologica

(Barthes, 1973; Greimas, 1983; Eco, 1979); gli psicologi ne hanno indagato

le potenzialità come strumento cognitivo e mnemonico (Bruner, 1986);in

ambito più specificamente sociologico è stato esplorato il ruolo delle storie

nel collocare socialmente i frame dell’esperienza individuale (Bateson,

1979); altre scuole si sono soffermate nello specifico sulle storie mediali,

evidenziando il ruolo della fiction televisiva nel raccontare, ma soprattutto

nel modellare, la realtà (Gerbner, 1985).

Viviamo in una dimensione narrativa. Dall’automobile alla camera da

letto, dai cellulari ai reality televisivi, la nostra vita quotidiana è

costantemente avvolta da una rete narrativa che filtra le nostre percezioni,

stimola i nostri pensieri, evoca le nostre emozioni, eccita i nostri sensi,

determinando risposte multisensoriali.

La narrazione è stata indagata per il suo potere emozionale, utile a costruire

una rete di valori, sottostanti ai fatti, che progressivamente alimentano

l’ossatura identitaria ed emozionale dell’individuo, riuscendo a veicolare 31

C. Petrucco e M. De Rossi, Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carrocci Editore, 2009 cit. p.25

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.54

un insieme di credo e valori professionali, politici e identitari spesso più

forti di quelli basati sulla razionalità (Salmon, 2007).

Narrare con emozione sta a significare che raccontiamo esperienze

soggettive con elevata intensità, di breve durata, caratterizzata da un basso

controllo sul comportamento e da immediatezza.

Le emozioni determinano modificazioni nella fisiologia (cardiaco o del

ritmo come ad esempio aumento del battito cardiaco o del ritmo

respiratorio).

Lo storytelling è ormai pervasivo della vita umana, sia la nostra vita

personale che : quella di lavoro, perché la nostra realtà ha una struttura

discorsiva. Ma lo storytelling non è un semplice raccontare storie. E’ molto

di più. E ‘una disciplina e un metodo di lavoro.32

Siamo in un periodo di assedio testuale all’interno di un’economia del

simbolico: ogni sette anni l’insieme delle nostre conoscenze viene travolto.

Ogni diciotto mesi il potere elaborativo delle nostre “macchine” raddoppia.

Tutti i giorni, ogni nostro gesto di consumo (culturale, fisico, emotivo)

dipende da trame di desiderio non razionali che sono una sintesi decisionale

multisensoriale, che deriva dalla nostra memoria autobiografica, la quale è

di natura narrativa e funziona come una fiction su “format discorsivi” . Non

è forse vero che l’incitazione al consumo contemporaneo passa 32 Andrea Fontana Co-Founder Storyfactory e docente di "Storytelling e Narrazione d'Impresa" Università di Pavia Esperto di strategia aziendale, comunicazione d’impresa (aziendale e politica) e people engagement, con i suoi testi e le sue ricerche ha aperto in Italia il filone di riflessione e applicazione operativa sul “Corporate Storytelling”. Dal 2005 infatti insegna “Storytelling e Narrazione d’Impresa” all’Università di Pavia e dal 2001 “Metodologia della formazione” all`Università degli Studi di Milano-Bicocca. Direttore della collana editoriale Storyline, collana dedicata alle scienze della narrazione, che ha fondato e lanciato insieme all’editore Lupetti. E’ presidente dell’Osservatorio Italiano di Corporate Storytelling presso l’Università degli Studi di Pavia, e autore di numerosi testi di cultura manageriale. Ha scritto il primo manuale italiano sul corporate storytelling – Manuale di Storytelling, edito da Etas-Rizzoli, con cui ha pubblicato anche Story-selling e Storytelling Kit.99 esercizi per il pronto intervento narrativo.

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dall’espressione di sé, che in fondo è un’incitazione (un po’ coattiva) a

raccontarsi? Come sottolineato da un profondo conoscitore di queste

dinamiche, ormai essere se stessi non basta più. Bisogna diventare la

propria storia.33

Abbiamo precedentemente detto che lo storytelling è molto di più del

semplice raccontare storie. E’ un approccio comune a molte scienze: dalla

sociologia all’economia, dalla giurisprudenza alle scienze politiche, lo

storytelling diviene anche una disciplina manageriale e organizzativa, che -

in questo “accerchiamento narrativo” – diventa strumento indispensabile

con cui essere ascoltati34

.

Un mezzo per sedurre e convincere, influenzare i pubblici di riferimento

(elettori e clienti), espandere le conoscenze, condividere esperienze e prassi

di lavoro. Formare identità istituzionali e personali. Riformulare decisioni

politiche ed economiche. Gestire controllo e potere. Un dispositivo

esistenziale e socio-professionale per costruire e governare il proprio

mindset di riferimento. Esiste quindi un connubio profondo tra narrazione,

business, organizzazione e potere? Nei prossimi paragrafi cercherò di

arrivare ad una risposta. L’escalation nell’interesse per la narrazione è

evidente in tanti ambiti della nostra società. Questo interesse e questa

diffusione sono naturali. In una società complessa, conoscitiva, a poteri

multipli, la narrazione è un sofisticato mezzo retorico di presidio e scambio

del potere, un modo per gestire la percezione dei pubblici che all’interno di

società conoscitive sono sempre più sofisticati ma anche sempre più

assuefatti. Come abbiamo precedentemente detto lo studio della narrazione

33

Salmon C.(2008) storytelling. La fabbrica delle storie, trad. it. Fazi, Roma. 34

C. Petrucco e M. De Rossi, Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carrocci Editore, 2009

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.56

trova applicazione in vari ambiti anche lontani dalla loro origine iniziale.

Uno di questi ambiti si chiama impresa.

Adesso, dopo questo excursus concettuale, è venuto il momento di

occuparci più da vicino delle organizzazioni e dei tecno-sistemi che per

conservarsi, svilupparsi, innovarsi e competere, devono ormai vivere

narrativamente.

2.2 Il contesto

Ho voluto affidare la descrizione del contesto in cui operiamo alle parole di

Frank Rose35

partendo da questa domanda:

C'è un sottile filo conduttore che lega Omero a Batman? Forse sì, forse no.36

Il bello è che non ha la minima importanza. Il fattore comune tra i cantori

del passato e registi di oggi come Cristopher Nolan (l'autore dell'ultima

trilogia del Cavaliere Oscuro) è proprio l'arte di raccontare storie. Che si

tratti di una città sotto assedio da parte degli Achei o di una pericolosa

35 Antropologo digitale (come si definisce lui stesso sul suo sito), è uno scrittore e giornalista che si occupa di new media e del loro impatto sulla società. Ha pubblicato su «Wired», «Fortune», «The New York Times Magazine», e «Rolling Stone». - Frank Rose esplora i confini dello storytelling digitale anche nel suo blog Deep Media: una vera miniera da cui attingere ispirazione per immaginare il futuro dei film, della TV e anche del giornalismo. Omero raccontava le gesta di Troia, Christopher Nolan quelle di Gotham City: sebbene li separino millenni nelle loro storie c'è sempre spazio per la fantasia. Il suo ultimo libro: "Immersi nelle storie" di Frank Rose – Codice Edizioni, 2013. 36

http://www.festivalscienzalive.it/site/home/conferenze/articolo3010689.html

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.57

banda di criminali, il racconto delle gesta di eroi e antieroi passa sempre

attraverso meccanismi di coinvolgimento del pubblico.

Ma le storie cambiano, così come il modo di raccontarle: con il passare dei

secoli la recitazione in pubblico dei poemi epici è stata sostituita dalla

lettura solitaria dei libri. Al teatro si sono affiancati il cinema e la

televisione. Negli ultimi venti anni è arrivata Internet. Prima in sordina, poi

esplodendo attraverso il Web.

Le cose sono cambiate radicalmente, e il pubblico si è trasformato da

semplice ascoltatore ad attore in grado di dialogare con i propri eroi. È qui

che fa la sua comparsa Frank Rose, antropologo digitale e giornalista che si

occupa di new media.

Nel suo libro “Immersi nelle storie” ha raccolto le nuove frontiere della

narrazione, dai videogiochi fino alle serie televisive come Lost e Mad Men.

Ha cercato di immaginare cosa succede quando gli spettatori si appropriano

di pezzi di trama e cominciano a raccontarli a modo loro. Anche l'industria

dell'intrattenimento si è accorta del cambiamento di paradigma – da

ascoltatori passivi a utenti attivi – e ha iniziato a sperimentare nuove storie

sempre più interattive.

Il panorama del racconto multimediale ha assunto i colori più vari, dalle

web series diffuse su Youtube fino allo storytelling condiviso narrato da

centinaia di persone diverse. La storia non finisce qui, vedremo il tutto nel

quarto capitolo di questa tesi sul digital storytelling d’impresa.

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.58

2.3 Perché occuparsi di storytelling.

Prima di parlare delle tecniche del racconto dobbiamo affrontare una

questione di fondo: perché le storie funzionano? Come mai la narrazione è

così potente? La contro-narrazione. Cos’è l’ascolto e la sua memorabilità?

Sono state scritte tonnellate di pagine su questo tema. La domanda, però, è

meno banale di quanto potrebbe sembrare. Tutta la questione delle tecniche

del racconto parte da qui: come suscitare ascolto per la memorabilità.

Quante volte guardando un film o leggendo un romanzo, ci siamo sentiti

rapiti dalla storia? Questa particolare esperienza di ascolto prende un nome

specifico. Si chiama storylistening trance experience.

“Quando una persona racconta una storia e l’altra ascolta attivamente, i

loro cervelli iniziano immediatamente a sincronizzarsi”. 37

Figura 9 Storylistening trance experience

37

Stephens, Silbert, Hasson, 2011 – Osservatorio di corporate storytelling

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.59

2.3.1 Cos è la storylistening trance experience?

La trance narrativa da ascolto è infatti la conseguenza diretta di ogni

efficace operazione narrativa. Indipendentemente dall’intenzionalità che sta

dietro il racconto, quando ascoltiamo, vediamo o recepiamo una storia

cadiamo naturalmente in questo stato di coscienza alterato rispetto alla

norma, che porta a identificarci completamente con l’oggetto della

narrazione e con chi sta raccontando (storyteller), inducendoci a

sospendere la nostra incredulità.

E’ un meccanismo interessante.38

Come soggetti razionali siamo sempre critici, ma come soggetti psicologici

siamo portati ad annullare la nostra capacità critica e ad auto ingannarci.39

La narrazione e lo storytelling sfruttano – senza necessariamente

un’intenzionalità perversa – questa propensione al credere e

all’autoinganno volontario, consapevolmente attuato, perché partecipato,

nella costruzione di un “testo”. Psicologicamente, abbiamo bisogno di

credere a questa esigenza che richiede una struttura narrativa di risposta.

Per questo, se dobbiamo raccontare qualcosa dobbiamo partire da tale

bisogno fisiologico.

La trance d’ascolto è tutt’altro che una sensazione immediata. Esistono

alcune tappe che in un lasso temporale variabile ci fanno “perdere” in una

narrazione, indipendentemente che questa sia rappresentata da un libro, un

film, un comizio elettorale, un seminario accademico, un pettegolezzo tra

amici, un discorso commerciale, lo spot di un grande brand, e così via.

38

Fontana A., Storyselling – strategie del racconto per vendere sé stessi, i propri prodotti, la propria azienda,(2010) Rizzoli, Etas, Milano. 39

Goleman D., Menzogna, autoinganno, illusione, trad.it Rizzoli, Milano,1998

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.60

Queste tappe da conoscere se si vuole costruire un set di racconti

influenzanti, possono essere così suddivise (in figura). Le tappe di una

storylistening trance experience40

pur seguendo una linearità, dipendono

anche dalla narrazione che abbiamo di fronte, dalle sue caratteristiche e dai

media communication scelti per raccontarsi. Certo che se vogliamo

raccontare noi stessi, le nostre aziende o i nostri prodotti, l’arco di

esperienza della trance narrativa ci consegna alcune domande importanti in

ogni fase ( in corsivo):

Figura 10 Le tappe di una storylistening trance experience

Contatto : è il momento in cui entriamo fisicamente in contatto con

la narrazione attraverso i cinque sensi. Possiamo vedere, ascoltare,

gustare un oggetto narrativo;

D: in quale scenario narrativo fisico è immerso il mio interlocutore?

(cosa ascolta, sente, mangia, gusta, percepisce e così via);

Familiarità: è il momento in cui prendiamo confidenza con

l’oggetto narrativo, e così facendo iniziamo ad avere fiducia in esso;

40

Sturm B., “ The storylistening trance experience”, in journal of American Folklore,2000.

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.61

D:Quali sono i grandi temi esistenziali con cui posso entrare in

confidenza con il mio pubblico?(E’ interessato all’amore, al potere,

alla famiglia, al risparmio e così via);

Immersione: è il momento in cui “entriamo” completamente

nell’oggetto narrativo. Immergendoci in esso, ci perdiamo e la

narrazione prende vita.

D: come possiamo catturare le nostre audience? (in quale cultura

sono immerse e per cosa si emozionano?);

Identificazione: una volta che la narrazione prende vita e noi “siamo

dentro”, ci identifichiamo completamente con gli elementi del

racconto. Questi diventano parti integranti delle nostre autobiografie

e si “innestano” nelle nostre memorie fisiche, emotive e cognitive;

D: in quale momento biografico si trova il mio interlocutore e quali

problematiche di vita sta vivendo? (In modo tale da poter innestare

la mia proposta nel suo arco esistenziale);

Emersione: a un certo punto la narrazione giunge al termine, il libro

finisce, il film termina, il comizio si chiude, e piano piano

emergiamo dalla narrazione tornando al “mondo reale” e uscendo da

quello stato piacevole di perdita di noi stessi che aveva caratterizzato

le fasi precedenti;

D:torniamo alla dimensione fisica e chiediamoci quindi: cosa vivrà

l’interlocutore nel momento in cui uscirà dal mio mondo

narrativo?(dove si trova, cosa vedrà e ascolterà, come potrò

ulteriormente influenzare la sua esperienza spazio-temporale: nel

cinema, a scuola, alla stazione, nel punto vendita, e via dicendo);

Distanziazione: il tempo passa, la narrazione è terminata e ne

prendiamo le distanze, ce ne dimentichiamo, ma pur essendoci

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.62

distaccati qualcosa rimane dentro e lavora. Ricordi di ogni tipo ci

seguono: profumi, personaggi, immagini, testi, contesti, figure,

frasi…

D: quali azioni posso fare per ri-attivare le memorie narrative del

mio interlocutore, su quali canali e con quali strumenti? (quali

action sequel progettare e attuare);

Trasformazione (relativa): a distanza di tempo, la narrazione ha

messo in moto alcune dinamiche psicologiche profonde

(assolutamente soggettive) che portano a piccoli o a grandi

cambiamenti interni. Una nuova idea che si insinua dentro di noi, un

nuovo modo di vedere le cose che mi porto sul lavoro, un nuovo

comportamento che decido di adottare. O anche semplicemente un

nuovo stato d’animo che mi porto a casa, che magari dura pochi

minuti ma che è stato comunque sintomo di una mia, pur breve,

trasformazione.

D: come rinforzare l’esperienza del microcambiamento interiore del

mio interlocutore? ( quale Customer user experience positiva ha il

soggetto dei miei prodotti, di me stesso, della mia azienda e come

rinforzare questo tipo di esperienza/percezione)

Questo arco di esperienza si ha quando la storia che ci viene narrata ci

appassiona. E una storia ci appassiona se ha determinate caratteristiche:

realismo, sense of wonder, emozione autobiografica e, soprattutto, resa del

sé, cioè quel processo attraverso cui sospendiamo la nostra incredulità, ci

arrendiamo alla storia e ci identifichiamo con l’oggetto del racconto.

Page 64: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.63

2.3.2 Perché ci piacciono le storie: da un punto

di vista psicologico.

Studi neuro-scentifici dimostrano che il nostro cervello è più incline a

ricordare storie piuttosto che fatti o dati e che, quindi, le informazioni con

cui si è entrati in contatto durante la giornata, vengono facilmente

dimenticate se non sono parte di una narrazione.

Perché?

La nostra mente ragiona narrativamente. Ciò che ci circonda viene

interpretato a livello di narrazione, le esperienze e le situazioni in cui ci

troviamo sono tutte storie in cui i vari elementi si ricollegano (in maniera

più o meno logica).

La nostra identità sociale è definita dalle storie che ci caratterizzano. Ci

poniamo nel mondo come un "carattere", che si definisce in base alle nostre

esperienze, relazioni ed atteggiamenti.

Le connessioni con gli altri si basano su storie ed esperienze vissute

insieme. Ci confrontiamo con la società in base alle storie che si creano

all'interno del nucleo di cui facciamo parte, la profondità dei rapporti che

abbiamo con gli altri è definita soprattutto dal modo in cui le loro storie si

collegano alla nostra.

Rappresentano il perfetto incontro tra logica e creatività. Le storie ci

permettono di dare un senso logico ai fatti, ma anche di interpretarli, di

legarli alle emozioni. In questo senso, la narrazione rappresenta uno stretto

collegamento tra i due emisferi del nostro cervello, tra la ragione e

l'emozione.

Page 65: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.64

Creano ordine, organizzando gli eventi in strutture logiche. Ci permettono

di capire gli eventi che accadono, di trovare spiegazioni, costanti, errori e di

sapere come comportarci in situazioni tra loro simili. Questo principio sta

alla base del senso di "conforto" che deriva dal trovarsi in una situazione

riconosciuta come familiare.

Creano connessione. Ci permettono di legarci emotivamente a persone o

avvenimenti molto lontani sia a livello fisico che culturale, creano empatia

con il personaggio, permettendoci di emozionarci con lui, soffrire, gioire,

piangere.

2.3.3 Perché ci piacciono le storie: da un punto

di vista pubblicitario.

Il valore della narrazione nel marketing sta nel poter sfruttare tutti questi

elementi a vantaggio del messaggio da trasmettere. Le storie non solo si

imprimono molto facilmente nella nostra mente, ma suscitano anche delle

emozioni, creando un legame tra chi le ascolta e chi le racconta (nel nostro

caso, il brand).

Quindi, reinterpretando i punti precedenti in un contesto pubblicitario, le

storie:

• Riproducono strutture di pensiero a noi familiari

• Definiscono "l'identità sociale" del brand

• Inseriscono il brand all'interno di un sistema di valori, umanizzandolo

Page 66: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.65

• Permettono di interpretare il suo senso logico a livello emotivo

• Restituiscono una sensazione di conforto riproducendo strutture narrative

familiari

• Ci legano emotivamente al personaggio della storia, e quindi al brand cui

è collegato

Risonanze magnetiche funzionali hanno mostrato che quando si tratta di

valutare un brand, il consumatore si basa sulle emozioni (sentimenti ed

esperienze personali) che associa alla marca piuttosto che sulle

informazioni (attributi del brand, statistiche, etc.) che ha a sua disposizione.

Inoltre, ricerche di mercato hanno dimostrato che la risposta emotiva ad

una pubblicità influenza l'acquisto molto più del suo stesso contenuto.

Ecco quindi come emerge la necessità per il brand di suscitare delle

emozioni nel consumatore creando un legame con lui.

Quale modo migliore di farlo se non con le storie? Un messaggio esposto

sottoforma di narrazione rende il suo significato immediatamente

percepibile, facilmente ricordabile ed altamente emozionale, superando le

barriere geografiche, linguistiche e culturali.

Page 67: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.66

2.4 Il potere della narrazione e della contro-

narrazione.

Quando decisi di studiare per questa tesi che avete nelle mani l’ho pensata

come un approccio teorico e pratico in modo da ottenere uno strumento

utile al fine di comprendere con esempi l’utilità dello storytelling. Di

seguito saranno descritti due esempi : il potere della narrazione e della

contro narrazione.

Case History: Ferrero- Brand Nutella

Non ci sono solo narrazioni, quello che sta accadendo oggi e che angoscia

le aziende e le organizzazioni corporate, ma fondamentalmente tutti noi, è

il fatto che esistono contro-narrazioni. Io non soltanto posso raccontare

qualcosa incrementandone il valore (economico, sociale ,ideale) a seconda

che questo qualcosa sia un brand, un prodotto, un territorio, una persona

ecc. ma posso anche contro-narrare (in positivo o negativo) e questo è un

altro motivo del perché stiamo parlando di storytelling.

Qui di seguito c’è un frame di un video che ci servirà a capire il potere

delle narrazioni e delle contro-narrazioni. Il video racconta Nutella come

un prodotto salutare: Claudio Silvestri cuoco della Nazionale di calcio “al

mattino non ho dubbi: frutta, latte, pane e nutella…”

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.67

41

2011: Il potere della contro-narrazione. “ a me piac a Nutella”42

2014 Nutella si racconta nuovamente.43

41

Spot Tv Nutella Nazionale Italiana http://www.youtube.com/watch?v=wIN18YTlsXY 42

A' Mè Me Piac A' Nutell - Piccolo Lucio http://youtu.be/7WMaDyA8F0A 43

Nutella - 50 anni di Emozioni insieme http://www.youtube.com/watch?v=XiCgeBX8QfY

Nutella narrata da nutella, lo spot

mette in evidenzia l’aspetto

salutistico del prodotto: al mattino

non ho dubbi: frutta, latte, pane e

nutella…”

Il piccolo Lucio Vario un ragazzino

napoletano, paffutello, lancia un video

molto trash che diventa un cult con

milioni di view ( ad oggi sono

10.581.534) contro l’allora poche

migliaia di like del video original spot

Nutella.

Il potere della contro-narrazione della

Nutella fatta da questo video è una

derubricazione del raccordo primordiale

del prodotto. Lucio Vario riporta il

prodotto ad un abuso quasi smisurato

della Nutella, sicuramente non

salutistico.

Cosa accade oggi(una cronistoria).

Dopo circa tre anni nutella brand

Ferrero cerca di raccontarsi in maniera

diversa dopo l’episodio di contro-

narrazione del proprio prodotto.

Questo dimostra come il racconto di un

prodotto è in mano a tutti e non solo ai

brand. I brand sono costretti a reagire

ai racconti fatti dai consumatori.

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.68

2.5 Il potere dello storytelling: un’infografica

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.69

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.70

2.6 Le storie sono strategie

Per poter generare un ascolto memorabile bisogna conoscere molto bene le

tecniche del racconto. I termini storia, discorso e narrazione, sono spesso

usati come sinonimi; anche io spesso in questa tesi li ho usati come

equivalenti, ma non sono la stessa cosa.

Secondo le definizioni che ci derivano dalle scienze del linguaggio e dalla

critica letteraria possiamo fare una prima distinzione:

Una storia (History) : è l’insieme degli eventi descritti secondo una

successione logica e cronologica, è il contenuto di un certo racconto.

Un racconto (story): è la forma del discorso con cui una certa storia

viene raccontata. E’ un’elaborazione di vicende reali e immaginarie.

E’ la forma del contenuto enunciato.

Una narrazione (narrative) : è l’atto attraverso cui una certa storia è

concretamente veicolata da qualche attore verso qualche pubblico.

Ma soprattutto: Una storia-narrazione è un media.

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.71

La storia, infatti, è un media linguistico, in altre parole, se voglio

raccontare qualcosa a qualcuno devo avere un contenuto che poi elaboro in

una forma particolare di discorso (racconto) che a sua volta possiede una

trama e un genere, e che si posiziona nella memoria dei miei interlocutori

attraverso una procedura linguistica-iconica (immagini, parole, suoni,

atmosfere e così via. Una buona storia non solo risponde alla sete della

ragione, ma fa venire i crampi allo stomaco e fa battere il cuore. Per questo

manda in trance. Per costruire una storia d’impresa occorre avere una

strategia. Lo storytelling è prima di tutto un’attività strategica, perché la

narrazione è sempre un gesto strategico e un evento di interrelazione

sociale e istituzionale che qualche autore produce per qualche destinatario

che ascolta e poi interagisce interpretando. Il nostro obiettivo è generare

attenzione e memoria, e la narrazione produce, in un’audience, curiosità e

ricordo. Abbiamo detto che una storia è un gesto strategico e inventivo è

scritta o orale ed è sempre un prodotto e un processo: in altri termini, una

storia è un “cosa” e un “come”44

E’ un “cosa” perché è un atto comunicativo che contiene:

Un insieme di personaggi: che nel nostro caso potrebbero essere gli

individui, le aziende, i prodotti e i servizi;

Un’articolazione di temi: di base strategici per le intenzioni

comunicative.

Un sistema di azioni: cioè situazioni in cui un personaggio ha un

ruolo attivo, consapevole o inconsapevole;

Un’ambientazione spaziale e temporale: i luoghi e le cronologie in

cui la storia si svolge e viene raccontata;

44

Greimas A.,Courtes J., Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, trad.it. Mondadori, Milano, 2007.

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.72

Una serie di avvenimenti: circostanze che capitano ai personaggi e

che essi subiscono all’interno di certi tempi storici;

Un pubblico specifico: le narrazioni, essendo gesti strategici, si

rivolgono sempre ad un ascoltatore ben definito.

Una storia è anche un “come”, perché a seconda del mezzo o del prodotto

comunicativo che si sceglie si possono avere esiti di efficacia diversi. Si

possono raccontare storie attraverso una docu-fiction, attraverso un

fumetto, una mail, un set di pro-card, un fotoromanzo, un ciclo di affreschi,

il teatro, un sito web, un biglietto da visita e via dicendo.45

E il mezzo il

”come” naturalmente influenza il ”cosa” (vedi figura11)

Figura 11 Le componenti principali di una storia

45

Eco. U., Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, Milano, 2000.

Sto

ria

"Cosa"

Personaggi

Temi

Azioni

Ambienti

Avvenimenti

Come""

Carta

Relazione

Digitale e visuale

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.73

Le storie orientano, motivano, controllano e generano senso portando al

con-senso. Proteggono i confini delle identità. Ma se vogliamo costruire

una storia, oltre a considerare il “come” e il ”cosa”, dobbiamo chiederci,

oltre naturalmente al “chi” che rappresenta il nostro

target/consumatore/lettore a cui ci rivolgiamo, il “perché” di un racconto.

Possiamo affermare che esistono almeno quattro ragioni che orientano la

costruzione di una narrazione (per la promozione del consumo), generando

slancio e quindi motivandola:

Il controllo, che corrisponde alla necessità d sicurezza (narrazioni di

presidio): in questo senso le storie sono strumenti di mantenimento e

di circolazione statica dei saperi all’interno di società sociali

complesse. Quanto più una narrazione rimane stabile, tanto più

genera tradizione storica, controllo e inalterabilità sociale.

Lo sviluppo, che dà potere e che si collega alla necessità di costruire

il reale ( narrazioni di compimento) : in questo senso le storie sono

dispositivi pedagogici per diffondere pratiche morali/consumo, e per

farle diventare attività quotidiane

La cura, che è connessa alla necessità di esplorazione di piacere

(narrazione di dedizione): in questo senso le storie sono mezzi per

sanare, medicare e lenire i malesseri di un individuo o di un gruppo

sociale. Quanto più la narrazione riesce ad attenuare le ferite

dell’anima dell’interlocutore, tanto più questi sarà riconoscente e

fedele;

L’eccitazione, che corrisponde alla necessità di esplorazione e di

piacere (narrazioni di eccitamento): in questo senso le storie sono

strumenti di attivazione emozionale straordinaria per generare

sentimenti positivi e di investimento affettivo sulle cose. Quanto più

Page 75: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.74

la narrazione riesce ad “incendiare gli animi”, tanto più i miei

interlocutori saranno pronti a seguirmi nelle mie imprese.

Come possiamo vedere, la narrazione non è solo una critica letteraria,

ma uno dei modi attraverso cui comunichiamo strategie d’impresa e con

cui costruiamo la nostra identità corporate e ci autosperimentiamo a

livello sociale e organizzativo. La narrazione d’impresa alimenta non

solo la visione identitaria ma costruisce un vero e proprio rapporto

diretto con il lettore/consumatore.

In conclusione potremmo dire che un racconto individuale, d’impresa o

di prodotto è efficace quando : ( vedi figura12)

Figura 12 La narrazione funziona ed è efficace quando:

La narrazione funziona ed è efficace quando:

Intrattiene chi ascolta;

Viene ricordata (se il contenuto è memorabile);

Muove emozioni facendo identificare;

Genera appartenenza (e voglia di lasciarsi coinvolgere);

Aiuta la comprensione di eventi complessi;

Protegge i confini o esalta per superarli (a seconda degli scopi e delle necessità strategiche)

Manda in trance narrativa: generando la fisiologia "esperienza di perdersi"

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.75

La narrazione è ovunque:

“I racconti un punto di accesso….” Christopher Booker

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.76

1. Lo storytelling aumenta la percezione di valore dell’oggetto narrato

(sia esso un brand, un prodotto, un territorio, ecc), questo plusvalore

è calcolabile ed è detto capitale narrativo.

2. Così come può aumentare il valore di un’oggetto, lo storytelling può

anche incidere sul suo disvalore: ciò accade con le contro-

narrazioni.

3. Le storie di vita degli stakeholder (sia interni che esterni) riferite al

brand aumenta il capitale narrativo del brand stesso, per questo

vanno fatte emergere strategicamente.

4. Lo Storytelling funziona perché il nostro modo di pensare è

narrativo: la narrazione dunque è un punto di accesso nella nostra e

nell’altrui mente.

5. La narrazione agisce sulla costruzione dell’identità; fa vivere

esperienze intense; rimane impressa nella memoria

6. Le tecniche di narrazione sono utilizzate in campi molto diversi

(consumi, intrattenimento, politica, ma anche economia, medicina,

didattica…) : la narrazione è ovunque, in ogni fenomeno

comunicazionale evoluto.

Cosa narrare con lo Storytelling ?

Brand

Prodotti/servizi

Persone

Spazi/Store/Mostre

Exhibitions

2.7 Il Potere della Narrazione

Learning Point

L

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.77

3 Lo Storytelling in action

Trame Format Strutture

e organizzazioni sono “comunità umane basate su discorsi umani

che parlano di problemi umani”, e se le imprese, profit o meno

che siano, non organizzano questi discorsi, o muoiono o verranno

prese in ostaggio da altri attori sociali che sapranno organizzare i discorsi a

proprio uso e consumo.

Tutte le organizzazioni generando discorsi verso diversi interlocutori

(interni ed esterni), parlano dentro e fuori i propri confini per diversi e

validi motivi. Ma fondamentalmente comunicano per un’antica esigenza

retorica: convincere l’altro a fare quello che si desidera.

I discorsi che producono le organizzazioni sono sempre declinati secondo

trame più o meno specifiche e orientati a target o pubblici preordinati. E

siccome i discorsi contengono sempre propulsori biografici (vedremo nelle

pagine a seguire cosa sono), essi saranno sempre intessuti di spazio e tempo

e indicheranno come dovrebbe essere la nostra relazione con le cose.

Se queste persone (target/pubblici) sono i clienti interni, cioè il personale

dipendente, i discorsi, con le trame conseguenti, tendono a :

Informare, di solito su politiche e prassi di lavoro;

Motivare, tendenzialmente per accettare nuovi cambiamenti;

Orientare, generalmente verso l’assunzione di certi comportamenti;

Persuadere, abitualmente ad assumere certi atteggiamenti interni;

L

“Story is more powerful than the brand,

best story wins.” Tom Peters

Page 79: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

Pag

.78

Promuovere, molto spesso servizi interni;

Far percepire certe nuove modalità fisiche di lavoro;

Se le persone (target/pubblici) sono clienti esterni, le cose si modificano ma

non più di tanto. I discorsi infatti tenderanno a:

Convincere a comprare i propri prodotti e servizi facendo leva sulla

razionalità e la logica;

Enfatizzare le componenti emozionali dei prodotti e dei servizi;

Persuadere nella legittimazione dei propri valori ideali;

Coinvolgere nell’esperienza di consumo, ormai teatralizzata e

montata ad arte per generare un riconoscimento tra le autobiografie

umane e le autobiografie delle marche-prodotti.

Tutte le organizzazioni hanno un estremo bisogno di comunicare per poter

sopravvivere e svilupparsi sui nostri mercati turbolenti, soprattutto in

questo momento storico – dominato dall’economia immateriale – dove pare

vincere o resistere chi è in grado di governare e raggiungere una

supremazia nel mondo simbolico-discorsivo. Quel mondo da dove

partirebbero gli impulsi all’acquisto.

3.1 Quali sono le trame d’impresa più diffuse?

In effetti le trame sono molteplici ed è sempre difficile generalizzare, ma

osservando la vita organizzativa ravvisiamo almeno quattro trame

ricorrenti e pervasive nei racconti istituzionali d’impresa (sia interni che

esterni). Esse riprendono le classiche trame indicate dalla retorica

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.79

aristotelica, che il management dovrebbe presidiare e decidere di adoperare

più o meno strategicamente.46

Nei racconti infatti rientrano sempre matrici riconducibili:

All’epica

Al dramma

Al melodramma

Alla Commedia

Tuttavia, dobbiamo anche ammettere che le organizzazioni pubbliche o

private, profit e non profit, quando comunicano e generano discorsi lo

fanno attraverso precisi processi narratologici. Le organizzazioni che si

raccontano, e raccontano i loro prodotti e servizi, evocano sensazioni,

tracce emotive, traiettorie affettive che suggestionano la memoria

individuale e collettiva quindi il racconto diventa:

Un dispositivo per organizzare, progettare, dirigere meglio le attività

di lavoro;

Un sistema di manipolazione culturale della percezione.

Naturalmente conoscere il destinatario della mia narrazione è

fondamentale. Le migliori tecniche di persuasione antiche e moderne,

sfruttano l’analisi (auto)biografica. La prima cosa da fare se voglio fare

narrazione d’impresa è una profonda attività di intelligence sulle mie

audience. Conoscere e immaginare tutto del mio interlocutore. Un’attività

che aiuta, tra l’altro, a generare la trance narrativa da ascolto che abbiamo

visto nel capitolo precedente.

46

Garavelli B.M (1988), Manuale di retorica, Bompiani, Milano.

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.80

Pertanto lo Storytelling diventa una strategia che potremmo riassumere con

tre regole basilari:

Quindi arrivare ad una strutturazione della strategia e del processo

specifico di corporate storytelling attraverso un meta-piano che potrebbe

essere questo qui di seguito:

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.81

Primo step: Leggere il proprio lettore

Non esiste più il target anche se spesso ho usato questa parola per definire

o circoscrivere i consumatori. Tutto viene assorbito dal concetto di lettore

che interpreta e modifica, che partecipa attivamente alla narrazione.

Perciò occorre studiare il racconto di vita in cui il lettore è inserito,

Alessandra Cosso 47

nel suo libro “Raccontarsela” scrive: “Noi siamo

storie in continuo divenire, narriamo di noi, di chi incontriamo,

dell’ambiente in cui viviamo e che trasformiamo. Seguiamo un vero e

proprio copione…”In sostanza leggere il proprio lettore significa costruire

il copione di vita dei pubblici di riferimento, comprendere quali sono le

loro paure, quali le tensioni sociali in cui vivono, quali sono i grandi temi

esistenziali. Un esempio per capire meglio.

Quale è il copione di vita di un consumatore oggi in Italia:

Lettori Motivazioni/ spinte

Paure Temi Tesoro

Uomo 35 anni, single, sposato, oggi in attesa di occupazione.

Cura Potere Autoaffermazione Esplorazione Confronto

Donna, 40 anni, single, in carriera, ricopre la carica di marketing director in una grande azienda.

Cura Potere Autoaffermazione Esplorazione Confronto

Uomo, 75 anni in pensione, vedovo.

Cura Potere Autoaffermazione Esplorazione Confronto

47 Consulente d’impresa per i comportamenti organizzativi, è Professional certified counselor e giornalista professionista. Come Executive counselor, trainer e coach interviene nelle organizzazioni di lavoro per potenziare le competenze relazionali, facilitare l’espressione di sé e del proprio talento, favorire il benessere delle persone che lavorano. Il suo approccio è multidisciplinare e fa riferimento ad alcuni main focus: la cultura organizzativa, l’esplorazione e costruzione identitaria (individuale, di gruppo e organizzativa) e gli studi su scrittura efficace, linguaggio e narrazione applicati al mondo corporate. Docente di narrazione organizzativa presso Scuola Holden e di team coaching e counseling di gruppo presso il Centro Berne, dirige l'Osservatorio di corporate storytelling

dell'Università di Pavia. E' cresciuta in un ambiente internazionale e multiculturale ed è bilingue italiano-inglese.

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.82

un possibile risultato…

Lettori Motivazioni/ spinte

Paure Temi Tesoro

Uomo 35 anni, single, sposato, oggi in attesa di occupazione.

Cura Potere

Solitudine Povertà

Lavoro Sostentamento

“Aiuto”

Donna, 40 anni, single, in carriera, ricopre la carica di marketing director in una grande azienda.

Potere Autoaffermazione Esplorazione

Vicinanza Fermarsi Tornare indietro

Presidiare Crescere di più Viaggiare Famiglia?

“Scoperta” “Forza”

Uomo, 75 anni in pensione, vedovo.

Cura

Malattia Povertà

Serenità Stare bene Solidità economica

“Vicinanza”

Secondo step: definire la core story

Ogni narrazione efficace si basa su una storia seminale, essa contiene

determinati elementi ed è sviluppata in base a specifici modelli e linee

narrative. Gli esperti del racconto usano uno specifico format per

organizzare e costruire le basi di una narrazione efficace. Questo schema si

chiama : Schema narrativo canonico.

3.2 Lo schema narrativo Canonico

Alcuni studiosi, come Propp, Bruner, Campbell e Vogler, da diversi punti

di vista disciplinari hanno fatto notare che ogni storia possiede al suo

interno alcuni elementi stabili che sono attivatori di dinamiche psichiche

profonde, che prima abbiamo chiamato: propulsori biografici.

Tali propulsori ricorrono in tutte le nostre narrazioni di vita e di lavoro.

Senza di essi non riusciremmo a riconoscerci e a decidere come agire. In

particolare nelle nostre narrazioni personali e professionali ricorrono spesso

propulsori riconducibili a questi elementi. Utilizziamo il seguente schema

per spiegarli meglio:

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.83

Questi elementi sono propulsori biografici o attivatori di vita perché

mettono in moto dinamiche precise senza le quali non esisterebbe il

consumo contemporaneo (si veda la tabella) 48

48

Fontana A., Storyselling, Rizzoli, Etas, pag.62

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.84

Tabella 3 Lo schema narrativo canonico, elementi e dinamiche.

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.85

Possiamo fare due esempi concreti di schema narrativo canonico: l’uno

riguarda un famoso video degli hotel di lusso Shangri-La Resort49

, molto

bello dove sono ben visibili tutti gli elementi dello schema che abbiamo

appena visto; l’altro riguarda una nota azienda: Ikea.

Cosa racconta Ikea? Di essere protagonista di un’impresa sociale

fondamentale: democratizzare il design per portare felicità e bellezza nelle

case di noi tutti, combattendo di volta in volta contro vari “mostri”.

Certo, questo modello non riduce la complessità della vita umana, di

un’azienda o di un prodotto, e non può essere preso come un’esplicazione

totale dell’esistenza. E’ indubbio però che questo schema fornisce un buon

prototipo di comprensione del funzionamento della nostra vita di consumo

e di impresa.

Oggi un indispensabile format da inserire in tutti i discorsi di

influenzamento, di vendita e apprendimento, che abbiamo intenzione di

fare o attivare.

49

https://www.youtube.com/watch?v=J4jZ1UFR_Wc

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.86

Figura 13 Un esempio di schema narrativo canonico- applicato a Ikea

3.3 Christopher Vogler : Il viaggio dell’eroe

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente è molto importante

considerare lo schema narrativo canonico, perché rappresenta le linee guida

di costruzione del sé (individuale, istituzionale organizzativo).

Lo schema narrativo canonico è una sorta di “metacopione” che

adoperiamo per definirci e raccontarci50

. Magari poi lo stravolgiamo, non lo

consideriamo e scegliamo altre forme di vita, ma esso ci aiuta

implicitamente a spiegarci meglio a noi stessi e agli altri perché “ciascuno

di noi non fa altro che raccontare e raccontarsi interminabilmente una storia

50

Bruner J., la fabbrica delle storie: Diritto, letteratura, vita trad.it. Laterza, Roma-Bari,2006.

Sistema Fornitori

Networ Logistico ecc.

Democratizzare il design.

"Qualità al miglior prezzo"

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.87

di se stesso nel mondo. Quindi possiamo dire che gli schemi narrativi

canonici sono un set di “rappresentazioni schematiche (o sceneggiature) di

natura semi-narrativa che i membri di una certa cultura hanno elaborato

sulla base di ripetute esperienze”51

Da Omero a Obama il format che comprende l’eroe che deve conquistare il

suo tesoro, vincendo le avversità della vita per compiere la sua impresa, è

un fondamento psicologico e dinamico di una narrazione efficace.

Joseph Campbell prima e Christopher Vogler poi hanno analizzato

specificatamente questa dinamica.

Lo studioso di mitologia comprata Joseph Campbell infatti ha sostenuto nel

suo celebre testo L’eroe dai mille volti che diversi miti, hanno in comune la

stessa struttura narratologica (monomito). Si tratta di una serie di eventi e di

episodi in successione invariate in ogni leggenda.

Influenzato dagli studi di Joseph Campbell, e dal suo L'eroe dai mille volti

(The Hero With a Thousand Faces, 1973), Vogler approfondisce la

struttura del mito a uso di scrittori di narrativa e cinema. I miti sono

qualcosa di cui la gente ha bisogno, momenti chiave di passaggio da uno

stadio della vita al prossimo, racconti che segnano la strada (come

nell'intervista di Bill Moyer a Cambell, The Power of Myth, 1988). Ogni

racconto ha quindi degli elementi universalmente rintracciabili nel viaggio

di un eroe, essi consistono di moduli (patterns) e varianti. Dunque è

possibile tracciare un atlante dei comportamenti di un eroe: una mappa per

il suo viaggio di trasformazione (cresce, cambia, fa un percorso da un

modo d'essere a un altro). Sono dodici fasi (stages) sul cui telaio stanno

appunto le molte possibili varianti ma, sintetizzando, si potrebbe dire che la

51

Volli U., Manuale di semiotica, Laterza, Bari-Roma,2007

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Pag

.88

tesi di Vogler sia che la quasi totalità delle storie moderne si basino in

realtà su modelli di storie. Seguendo il modello di Vogler la Disney fu in

grado di uscire dal periodo nero in cui si era ritrovata negli anni Ottanta e

Novanta, producendo i film che l’aiutarono a risollevarsi, a partire dal Re

Leone su cui ha lavorato lo stesso Vogler.52

Secondo Vogler53

esistono delle tappe specifiche nel viaggio che un eroe

deve compiere e sette figure base (archetipi) , simili per certi versi allo

schema narrativo canonico. Queste tappe sono sintetizzate in figura 14

Figura 14 Le tappe del viaggio dell’eroe

52

Rimando per una descrizione dettagliata al testo: Vogler C., Il viaggio dell’Eroe, Dino Audino Editore, Roma, 1999. 53

http://it.wikipedia.org/wiki/Christopher_Vogler

Habitat iniziale del Protagonista

II. Richiamo all’avventura.

Il Protagonista è chiamato ad affrontare una sfida

III. Rifiuto del richiamo

Fase di resistenza al cambiamento

IV. Varco della prima soglia

Momento oltre il quale non si può tornare indietro

V. Prova Centrale

Il punto più pericoloso dell’avventura

VI. Ricompensa

Il protagonista vince un tesoro

superando una prova

VII. Compimento

Il protagonista raggiunge il suo

scopo e “cresce”

Page 90: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.89

Come si può vedere lo schema narrativo canonico, arricchito dalle

riflessioni di Vogler sul viaggio dell’Eroe, è insito nelle nostre dinamiche

educative e di consumo. Lo schema narrativo canonico e il viaggio

dell’eroe sono quindi elementi da considerare nel racconto pubblico.

Queste due componenti generano una ibridazione tra le tecniche della

sceneggiatura e la semiotica di stampo francese. Joseph Sassoon54

è stato il

primo a teorizzare questa ibridazione tra lo screenwriter e la semiotica

francese. A lui si deve questa felice fusione teorica e operativa attraverso il

metodo che Sassoon definisce: semioscreen.

Inoltre, la storia che raccontiamo su noi stessi, sulla nostra azienda o sul

nostro prodotto deve generare una trasformazione e deve parlare di un

cambiamento che sappia far identificare.

“I buoni racconti ci fanno sentire di aver avuto un’esperienza

soddisfacente e completa: abbiamo pianto, riso o fatto entrambe le cose.

Alla fine della storia si ha la sensazione di aver imparato qualcosa sulla

vita o su noi stessi.”(Vogler,1999, p.7)

In una narrazione completa bisogna mettere in moto la storia con un

“sistema di personaggi” per far partire la giusta strategia di

influenzamento, nel prossimo paragrafo a conclusione di questa parte

vedremo un ultimo format o mappa narrativa di Christopher Booker anche

essa geniale per la costruzione di storie di brand: The seven basic plots.

54 Joseph Sassoon ha insegnato a lungo Sociologia della comunicazione all'Università degli Studi di Milano. È presidente di Alphabet, istituto specializzato nella ricerca qualitativa e negli studi sulla comunicazione con sede a Milano. È esperto di semiotica e di storytelling e lavora come consulente e ricercatore su tutte le forme di comunicazione esterna dell'impresa. Opera per molte delle più importanti società nazionali e, per alcune società multinazionali, estende la sua attività a vari paesi europei, agli Stati Uniti ed ai paesi asiatici emergenti.

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.90

3.4 Christopher Booker: The seven basic plots

Raccontare il brand attraverso 7 modelli narrativi .

Per quanto creativa e originale una storia possa sembrare, niente di quanto

viene raccontato è nuovo. Tutti i racconti, che siano quelli di Shakespeare o

quelli di Spielberg, possono essere ridotti a sette tipi di storie, sette trame

archetipiche che ricorrono nella narrazione. (in tabella 4)

La sfida per un creativo, per uno storyteller per un marketer non è quindi

quella di inventare una storia, ma scegliere quale tipo di storia sia più

adatta a raccontare il brand.

Tabella 4 I sette modelli narrativi di Christopher Booker

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.91

Booker ha analizzato i motivi per cui gli esseri umani sono

psicologicamente programmati per immaginare storie in questo modo.

Questo è l’argomento55

del panel organizzato da Advertising Week in

collaborazione con l’agenzia TBWA, il suo presidente Rob Schwartz e i

due relatori, l’executive creative director di Droga5 Ted Royer e la

scrittrice e creativa Kathy Hepinstall .La discussione è stata costruita sugli

argomenti del libro The Seven Basic Plots di Christopher Booker, in cui

l’autore elenca i sette archetipi che ricorrono in ogni tipo di narrazione.

Di seguito sono elencate le sette trame con esempi di advertising che si

adattano a ciascuna di esse:

Sconfiggere il mostro

Tante sono le storie di principi e guerrieri coraggiosi costretti ad affrontare

un mostro, pensiamo a Beowulf o a Davide che sconfigge Golia. La storia

del perdente che, contro tutti i pronostici, sconfigge il suo avversario è un

classico. Questo tipo di plot è presente

anche nell’advertising, pensiamo allo

spot “1984″ di Apple56

contro il

Grande Fratello, e al tentativo di

American Express di affrontare il

Black Friday con “Small Business

Saturday”57

.

55 Quest’articolo è una libera traduzione di “7 Basic Types of Stories: Which One Is Your Brand Telling?” pubblicato in ottobre su ADWEEK da Tim Nudd. - Rob Schwartz, Ted Royer e Kathy Hepinstall ci spiegano come utilizzare i sette archetipi della narrazione per raccontare il brand. Fonte:http://www.ninjamarketing.it/2012/11/19/raccontare-il-brand-attarverso-sette-modelli-narrativi/ 56

http://www.youtube.com/watch?v=fq0fNQQPCrE Spot Apple 1984 contro il Grande fratello. 57

http://www.youtube.com/watch?v=rIYHjs1vEAo “Small Business Saturday – American Exspress”

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.92

La rinascita

La storia di un rinnovamento. “La vita è meravigliosa” del 1946 è un primo

esempio dal cinema. I brand che raccontano storie di rinnovamento sono

Gatorade58

, la cui campagna “Replay” ha permesso a vecchi membri di

squadre sportive di riconquistare la loro giovinezza riaffrontando vecchi

nemici e Prudential59

, che presenta il pensionamento come l’inizio di un

nuovo capitolo, piuttosto che la fine di uno vecchio.

La missione

In quasi tutte le narrazioni, l’eroe deve superare una missione dal punto A

al punto B. “Il Signore degli Anelli” è il classico esempio. IBM60

e Lexus61

sono tra i brand che si sono dati una missione, come rendere il pianeta più

intelligente e perseguire la perfezione.

Missione IBM: L'Italia, insieme al Giappone, è il Paese in cui gli abitanti

sono più longevi. A Bolzano, quasi un quarto della popolazione ha più di

65 anni e quasi la metà del budget dei servizi sociali viene speso per la

terza età. Ci sono strutture dove gli anziani sono assistiti 24 ore al giorno,

ma sono costose per l'amministrazione, così come per agli assistiti e le loro

famiglie. È sicuramente meglio che una persona anziana possa vivere il più

a lungo possibile a casa propria, dove si sente a suo agio. IBM ha aiutato la

città di Bolzano a realizzare un progetto pilota in cui le case di un gruppo di

anziani sono state equipaggiate con un sistema di tele-monitoraggio: una

rete di sensori tiene sotto controllo ambiente, temperatura, presenza di CO2

58

http://www.youtube.com/watch?v=AHACqEjN8Eg - Gatorade Campagna Replay. 59

http://www.youtube.com/watch?v=SiEsm-UOioc - Prudential — Day One: Mujahid Abdul-Rashid 60

http://www.youtube.com/watch?v=NEF585_s7RA - Soluzioni per un pianeta più intelligente. 61

http://www.youtube.com/watch?v=EWQb7oXboh0 Lexus Ibrido per l’ambiente.

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.93

e CO, oltre a eventuali perdite d'acqua, fughe di gas, ecc. In caso di valori

anormali, vengono attivati i processi opportuni e, grazie ad analisi

predittive, è possibile anticipare l'occorrere di alcuni eventi. Gli assistiti

possono inoltre interagire con personale socio-sanitario via touch-screen o

dispositivi mobili. Il risultato? Il Comune gestisce le risorse economiche e

umane in modo più produttivo. E gli anziani si sentono più sicuri.

Il viaggio e il ritorno

Come si suol dire, non è importante la destinazione, ma il viaggio. E ancora

più importante è il ritorno a casa. Tante sono le storie di trasformazione

attraverso un viaggio – e ritorno, dal classico “Il mago di Oz” al più recente

“Nel paese delle creature selvagge”.

La birra Corona62

è uno dei marchi che incoraggia a partire, esortando i

consumatori a “trovare la propria spiaggia” e tornare rinfrescato. Anche

Expedia63

ha costruito la sua nuova campagna attorno all’idea di cambiare

le proprie conoscenze attraverso il viaggio e il ritorno.

La commedia

L’altra faccia della tragedia, e l’ultimo dei grandi topoi della narrazione, è

forse il più difficile da fare bene, ma è anche quello più popolare nella

pubblicità, con Old Spice64

e Geico65

tra i marchi leader nel settore.

62

http://www.youtube.com/watch?v=z23TBvBJsCg - Corona Find Your Beach Campaign Case Study 63

https://www.youtube.com/watch?v=lSraAzQg_oY#t=10 -Expedia+ rewards | Safari :60 64

http://www.youtube.com/watch?v=rDiKff1iXWQ&list=PLoF_PWSjd6xV9Rk3mrNrmT9D0Oi2DNpx2 65

http://www.youtube.com/watch?v=0hWLQxkffFM -GEICO: Guinea Pigs Row Tiny Boat

Page 95: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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.94

La tragedia

Dai Greci a Shakespeare, le tragedie sono storie sul lato oscuro

dell’umanità e sulla natura futile dell’esperienza umana. La pubblicità

raramente utilizza questo tipo di storie, se non nel marketing sociale, dove

racconti deprimenti e scioccanti possono convincere le persone a prendersi

cura di un problema.

Dalle stalle alle stelle

In letteratura: Charles Dickens e Cenerentola. Nei film: “Una poltrona per

due”. In pubblicità: Chrysler66

, che rinasce dalle ceneri di Detroit, e

Johnny Walker67

, la cui storia è quella di un ragazzo di campagna

scozzese arrivato al successo mondiale.

Cosa ci suggeriscono Rob Schwartz, Ted Royer, Kathy Hepinstall ?

Rob Schwartz ha suggerito che le sette trame possono indicare un modello

utile a comprendere come la storia di un brand dovrebbe essere quando non

ce n’è una, o quando non è abbastanza forte. Durante il panel, sia Royer

che Hepinstall hanno parlato dell’importanza di generare storie potenti che

sembrino vere.

Ted Royer, Droga5, ha dichiarato: “Se lo facciamo bene, possiamo

raccontare storie davvero belle. Uno dei miei spot preferiti di tutti i tempi è

quello di Halo con le statuette di metallo. Hanno splendidamente

raffigurato di cosa si tratta il gioco… ho pensato che fosse affascinante,

66

http://video.repubblica.it/motori/caso-fiat-chrysler/86177/84566 Chrysler Detroit 67

http://www.youtube.com/watch?v=MnSIp76CvUI - Johnnie Walker - The Man Who Walked Around The World

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.95

meraviglioso e sorprendente. “Alla base di ogni brand”, Royer ha aggiunto,

“c’è una buona storia in attesa di essere raccontata”.

“Quando si inizia a lavorare con un cliente, non vogliamo fare un brief.

Non vogliamo chiedere semplicemente ‘Qual è il tuo problema?’ Vogliamo

chiedere ‘Perché la tua azienda ha iniziato? Qual è la tua mission?’ Si parla

di mission per tutto il tempo, ed è solo un altro modo di dire ‘Che tipo di

storia stai utilizzando? Che tipo di storia vuoi raccontare?’ Parte del

nostro lavoro come agenzia è quello di trovare quale sia il tipo di storia più

adatto.”

Una nuova difficoltà nell’era digitale è come i consumatori reagiscono e

rispondono alla storia . “La cosa divertente per me è quando una storia non

va secondo i piani“, ha detto Kathy Hepinstall. “Prima era una cosa a

senso unico, in cui l’azienda diceva ‘Noi siamo questo’ senza avere alcun

feedback. Ora, nell’era dei social media, questo è impossibile.”

Si riferisce ai recenti manifesti in crowdsourcing di Shell e l’incidente

Walmart/Pitbull come prova dei disastri che possono accadere quando i

marchi perdono il controllo delle loro storie.

Royer di Droga5 ha parlato poi della campagna “Day One” per

Prudential, che non considera solo la storia del brand, ma anche le storie

individuali delle 10.000 persone che vanno in pensione tutti i giorni, che

nutrono quel timore che Prudential vuole trasformare in ottimismo.

Page 97: La comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling

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“Ci deve essere un modo, abbiamo pensato, di trovare una via di mezzo in

cui è possibile avere una conversazione aperta su questo periodo della vita,

su cosa può essere, su che cosa pensi che sia, e sul suo potenziale. Ecco

perché l’abbiamo chiamato Day One. Si tratta di una etichetta, ma è un

punto fisso nella vita di ognuno di noi. Tutti in questa stanza hanno un Day

one. E se lo vedono come un punto che si muove in avanti, come un punto

in cui ci può essere ottimismo, ci può essere rinnovamento, al lavoro non ci

saranno solo paura e confusione, allora penso che Prudential abbia una

mission al di là dei prodotti che vende. ”

Molte pubblicità sul pensionamento utilizzano il modello narrativo “dalle

stalle alle stelle”, con sacche da golf e yatch. Droga 5 ha cambiato modello,

scegliendo quello della “rinascita” per dare al brand maggiore

riconoscibilità.

I relatori hanno inoltre discusso del fenomeno dell’utilizzo del prodotto

come storia, in particolare, l’esempio di Nike FuelBand. Tale prodotto,

sviluppato dall’agenzia R/GA, incarna la brand mission di Nike, che è la

storia di una missione, quella della ricerca del corpo perfetto.

Le sette trame di base potrebbero dare ai creativi ispirazione quando

devono creare storie. La Hepinstall ha consigliato poi che a volte può

essere utile un focus verso l’esterno, allontanandosi dal marchio, verso i

consumatori, per comprendere le loro esperienze e le loro storie.

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.97

3.5 Gli ambiti di applicazione dello Storytelling

L’impresa con la sua identità specifica e la sua cultura vive, si sviluppa e si

consolida all’interno delle storie che è riuscita a far nascere, creando una

personalità narrante e narrabile, cioè una serie di segni distintivi critici

che contraddistinguono la sua “anima” e permettono il riconoscimento

interno ed esterno del suo valore. Il raccontare storie è parte della

condizione organizzativa, è cosa dannatamente seria che il management

non può lasciare al caso o, peggio, all’istinto. Infatti, chi possiede le

strutture narrative di un’organizzazione possiede i modi di costruire

significati perché – come abbiamo visto nei paragrafi precedenti – le

strutture narrative sono forme universali attraverso cui le persone

comprendono la realtà e la manipolano.68

Ogni impresa recita precisi

copioni condensati in formati specifici, e adopera particolari costrutti

narrativi. Se non si controllano e si governano o meglio non si presidiano

queste posizioni, l’organizzazione verrà inesorabilmente controllata e

dominata dalla supremazia narrativa di qualcun altro.( Salmon, 2008).

Oltre al presidio manageriale la condivisione di significati attraverso la

narrazione contribuisce alla formazione di comunità di riconoscimento

interno ed esterno, comunità di pratiche: perché condivide modi per gestire

i problemi, le situazioni tipiche, le routine; comunità di discorso: perché

condivide modalità comuni per parlare dei problemi, delle situazioni, di

quelle stesse routine. Governare la narrazione in un’impresa significa per il

management diventare “stratega mediatico” capace di favorire la

socializzazione delle conoscenze, la governance delle prassi di lavoro, la

68 Chomsky N. (1987), On power and Ideology, South End Press, Boston

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.98

percezione dei propri prodotti/servizi. Vuol dire insomma affrontare il

mutamento imprevedibile con processi di “management simbolico”69

Pensare all’organizzazione come racconto in cambiamento costante porta

quindi a riformulare le attività di:

Costruzione della corporate identity,

Comunicazione integrata,

Formazione,

Brand management,

Product design.

Attività che non possono più essere interpretate solo come fenomeni che

portano a soluzioni ma come eventi che generano orizzonti di senso in cui

proiettare le credenze individuali e collettive, ciò in cui si crede nonostante

tutto. Storie a cui ci si affeziona per agire. Lo Storytelling può essere

applicato in tante aree o funzioni organizzative. Schematicamente

potremmo vederlo applicato in sei grandi aree (in figura 15)

Queste sei grandi aree corrispondono poi ad attività manageriali specifiche

come:

Governance dell’identità e dell’immagine d’impresa,

Gestione del cambiamento interno/esterno,

Guida complessa delle relazioni istituzionali,

Presidio e sviluppo commerciale.

69 Invernizzi E. (1996), La comunicazione organizzativa nel governo dell’impresa, Giuffrè, Milano.

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.99

STORYTELLING

1. Strategic Statements

2. Brand Management

3.Internal Communication

4.Pubblic relation & advertising

5.Education & Training

5.Product design

Figura 15 Gli ambiti/aree di applicazioni dello Storytelling

Vedere l’organizzazione sotto questo punto di vista porta a ripensare i

ruoli:

Dei vertici aziendali e di chi declina le linee guida valoriali in

strategic statements ( che dovrebbero contenere un’alta densità

epica);

Della comunicazione interna e le sue capacità di orientare e

sensibilizzare i pubblici interni ( che dovrebbe suscitare un interesse

favoloso);

Del training e dello sviluppo organizzativo ( che oggi più che mai ha

l’esigenza di formare comportamenti e indicare atteggiamenti ad

estesa endurance eroica) ;

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.10

0

Del brand management e della possibilità di creare una personalità

narrante capace di parlare all’animo delle persone (il cosiddetto

animadvertising);

Della comunicazione esterna con l’opportunità di fidelizzare i diversi

stakeholder esterni (generando un’identificazione discorsiva);

Della creazione di prodotti ( che necessitano sempre più di un nuovo

ordine narrativo che sappia generare distintività di scelta. Sono ormai

i consumatori che producono – raccontandoli – i propri prodotti o

servizi)

Pensare all’organizzazione come un set complesso di racconti declinati su

trame differenziate, posizionate su specifiche audience porta a rivedere le

attività di comunicazione interna ed esterna, formazione, envisioning,

brand management, marketing, product design, che non sono più

semplicemente funzioni che favoriscono il passaggio di informazioni, la

divulgazione delle conoscenze, l’approfondimento tematico e istituzionale,

l’apprendimento, la vendita di prodotti e servizi, ma diventano garanti

delle storie che accadono all’interno di un’impresa e che vanno raccontate

per generare un accesso profondo nella memoria individuale e collettiva.70

3.6 I canali delle storytelling operations

La flessibilità dello storytelling- in qualità di disciplina e approccio –

permette una sua declinazione molto ampia in una serie di strumenti

diversificata a seconda degli obiettivi e delle funzioni che scelgono di usare

un approccio story-driven. Prima, però, del parlare di l’organizzazione si

deve predisporre nell’ottica di parlare a, e dunque deve essere in grado di

esprimersi attraverso un ampio ventaglio di codici linguistici – nel

70 Fontana A., Manuale di storytelling (2009), Rizzoli, Etas, Milano

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.10

1

prossimo capitolo vedremo visual e digital storytelling come terzo step

della strategia e del processo specifico di corporate storytelling – e

simbolici (brand), sapendo anche trasgredire questi stessi codici,

transitando cioè da un registro discorsivo ad un altro.

Per questo l’esito finale, il prodotto concreto, di una storytelling operation

è essenzialmente un “oggetto” (o serie di oggetti) fisico o virtuale che è la

sintesi di un’elaborazione che può essere declinata su tre canali:

Il canale cartaceo

Il canale relazionale

Il canale digitale

Una precisazione è dovuta, la narrazione non solo dovrà incarnarsi in

oggetti cartacei, relazionali, e/o digitali, ma dovrà tener conto della

temporalità strategica e della coerenza narrativa che ci si darà nel

diffondere e presidiare la propria core-story. La coerenza narrativa serve a

gestire la ripetizione della storia, perché ogni narrazione non solo è

soggetta a un uso, ma anche ad un ri–uso costante71

.

Più la mia coerenza narrativa sarà efficace più la mia storia terrà nel tempo

e non correrà il rischio di essere troppo distorta, visto che una caratteristica

delle narrazioni è anche quella di essere arricchite, integrate e rinnovate nel

divenire del tempo, il che è un bene. E ‘un male, invece, se vengono

alterate. Bisogna vigilare affinché l’uso e il ri-uso di una storia non si

trasformi in abuso. A quel punto occorre cambiare storia, perché non siamo

più noi gli autori della nostra narrazione. Qualcun altro se ne è-

evidentemente – impossessato. Tutto il raccontare è una fiction che ha al

suo interno processi di consenso sociale e politico e tutte le storie sono

71

Esposito E. ( a cura di) , Sul ri-uso. Pratiche del testo e della teoria della letteratura, Franco Angeli, Milano, 2007.

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.10

2

collocate in un tempo storico72

, in uno spazio fisico o virtuale - di spazi

fisici ce ne occuperemo nel paragrafo dedicato al relation storytelling con

Felice Limosani73

- in una cultura specifica.

3.6. 1 Raccontare attraverso il canale cartaceo: il paper storytelling

Gli oggetti cartacei sono prodotti in cui la narrazione diviene elaborazione

letteraria. Possono essere diversi tipi di prodotti, interni o esterni, a seconda

dell’uso che se ne fa e dell’obiettivo di influenzamento che si desidera.

Ecco quindi concretizzarsi forme di racconti brevi sui biglietti da visita, su

promocard (cartoline pubblicitarie) con la storia dei prodotti e le loro

caratteristiche, su collane interne di libri aziendali che raccontano temi

rilevanti, o su opuscoli istituzionali che narrano – autobiograficamente- le

gesta d’impresa. Il canale cartaceo è da usare quando si vuole rendere una

testimonianza definitiva. E’ il più rigido dei canali. Ma è anche quello più

duraturo che colpisce più a lungo la memoria. Ad esempio: se si fa un

cofanetto di promocard in plexiglas- per presentare noi stessi, un prodotto,

un’azienda – difficilmente potrà essere ignorato. Questo è il lato efficace

del canale cartaceo. Il lato problematico risiede nel fatto che un opuscolo o

un biglietto da visita una volta fatti non possono essere più cambiati,

mentre un sito web si può aggiornare continuamente e una convention si

può “improvvisare”.

3.6.2 Raccontare attraverso il canale della relazione: Il relationship

storytelling

Ascoltare e rispondere sono prassi fondamentali per gestire il canale

narrativo della relazione individuale e/o istituzionale. Le situazioni

relazionali sono eventi in cui la narrazione viene usata soprattutto come 72

Denning S., The Spingboard. How storytelling Ignites action in Knowledge – Era Organizations; Boston 2001 73

www. Felicelimosani.com

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.10

3

struttura e processo di lavoro, per esempio in percorsi di training, o in

occasioni sociali tipiche della comunicazione interna alle aziende come una

convention o un workshop che deve avere un alto impatto emotivo, oppure

nelle campagne sociali emotivamente forti come quella fatta da

un’organizzazione no profit libanese Kafa74

“impegnati nel raggiungimento

della parità di genere, contro ogni forma di discriminazione e nella

promozione dei diritti umani delle donne e dei bambini."

Riporto in figura un esempio di campagna sociale75

sulla violenza sulle

donne molto efficace e abbastanza scioccante :

Le cicatrici sono a forma di onde sonore per dimostrare come le parole

spesso sono più violente della violenza fisica.

“Not all violence is physical. The scars are shaped like the sound waves of the

violent words — pretty shocking and effective.”

74 http://www.kafa.org.lb/ 75 http://copyranter.blogspot.it/2011/03/beating-women-with-wordsdomestic.html

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4

Più recentemente il relationship storytelling è stato usato per la costruzione

dei musei aziendali che diventano sia un racconto esterno, sia un processo

di lavoro interno ( perché i pubblici d’impresa adoperano questi luoghi

come laboratori cognitivi per progettare prodotti/servizi o per elaborare

nuove pratiche). Il relationship storytelling è usato anche nella

rappresentazione di progetti culturali e artistici come quello promosso dal

gruppo Sole 24ore “ Il sole sui tetti” terrazze con vista e visioni coordinato

da Felice Limosani. Un’iniziativa culturale che nasce come

rappresentazione di un messaggio: il cambio di prospettiva tra concretezza

e immaginazione!

La prima edizione 2011 è stata ambientata su alcune delle terrazze più

belle di Firenze, tra viste panoramiche e visioni artistiche.

Un percorso di narrazione relazionale con la Città che si rinnova nel 2012

con la duplice installazione “luci e ombre”. Un progetto relazionale e

multimediale come un video mapping - on line - sull'alternanza di luce e

ombra del cortile interno del Palazzo e un evento on-air grazie alla

proiezione di raggi di luce che uniscono simbolicamente le torri e le cupole

di alcune delle piazze più belle di Firenze.

Partendo dal Forte Belvedere, il campanile della Basilica di Santa Croce, la

torre di Palazzo Vecchio e il campanile di Giotto in piazza del Duomo. I

raggi di luce bianca che uniranno i vari punti della città assumono la

valenza metaforica di una rete di energie, di nuovi punti di vista e di

bellezza. Dice Felice Limosani, curatore del progetto: "il Sole sui Tetti

nasce come la rappresentazione di un messaggio, il cambio di prospettiva

tra concretezza e immaginazione. L'installazione vive in due luoghi della

realtà. Quella dall'alto, spaziale, dell'immaginazione e quella dal basso,

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5

architetturale, solido, della concretezza. La vista dall'alto richiama una

prospettiva onnicomprensiva e d'insieme, mentre quella dal basso

suggerisce un'idea di partecipazione e di comunità. Due prospettive diverse

che singolarmente non bastano, perché tutto risulti chiaro e costruttivo. Due

aspetti divergenti ma creativi con al centro le persone, sia fisicamente nelle

piazze, sia virtualmente nella rete.

Due prospettive in equilibrio tra visione e realtà. Spazi d'incontro fisici e

virtuali, per lo scambio di opinioni, pensieri, intenzioni e desideri, per

innovare e migliorare il futuro. Se la luce del sole o di una candela,

muovono ombre, quella del laser è retta, netta, priva di compromessi. "Un

raggio di luce bianca unisce lassù i punti più alti della città, a cercare

laggiù le piazze di Firenze e del mondo".

C’è da dire, però che il canale relazionale è quello più evanescente. Rimane

poco nella memoria ma ha un grande impatto. Di solito si sceglie di

costruire eventi o situazioni sul canale relazionale per infiammare gli

animi, per mettere in evidenza la propria storia di vita, di azienda o di

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6

prodotto con tecniche narrative che impressionano ma che poi richiedono

un rinforzo costante con gli strumenti degli altri due canali: digitale e

cartaceo.

3.6.3 Raccontare attraverso il canale digitale: il digital storytelling

Questo argomento sarà trattato nel prossimo capitolo in maniera più

approfondita al momento possiamo dire che il digital storytelling prevede

la creazione di prodotti molto diversi e articolati, in cui la narrazione

diventa un copione digitalizzato che permette la condivisione di esperienze

e di conoscenze professionali.

Tabella 5 Strumenti di Storytelling declinati sulle diverse aree e canali organizzativi

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7

3.7 Il piano per lo storytelling operations

Cerchiamo di rispondere alla seguente domanda: Quali sono i capisaldi di

un piano di storytelling operations? Riportiamo nella figura una possibile

esemplificazione schematica di un piano narrativo, consapevoli delle

inevitabili mancanze e dei necessari aggiustamenti contingenti.

Un’impresa narrativa è allora una fate-sharing organizzation,

un’organizzazione narrativa in cui si condividono i destini.

Figura 16 Un piano di storytelling operation

L’organizzazione narrante è quindi un’organizzazione che tiene insieme

processi manageriali, letteratura, sviluppo organizzativo.

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8

E’ un’organizzazione che cambia, ma cambia attraverso processi narrativi

che derivano dalle storie di vita dei professionisti che la gestiscono e la

governano. E’ un’organizzazione narrativa perché s’interroga, induce nella

perplessità, senza rinunciare al dovere istituzionale dell’azione.

Interrogandosi, l’organizzazione manipola la simbolizzazione della propria

conoscenza sia esplicita che tacita della propria storia: la mette in dubbio,

la riconquista, la reinventa attraverso interpretazioni e re-interpretazioni.

Un’organizzazione che getta costantemente ponti tra passato e futuro, tra

memoria e progetto, nel tentativo di uscire dal limite omologante di un

“fare affaccendato” privo di scopo.

3.8 Vantaggi dello storytelling

Come abbiamo potuto ampiamente vedere sono finiti i tempi in cui era

la persuasione lo strumento prediletto per colpire i consumatori.

Adesso sono le storie a suscitare emozioni e a coinvolgere il pubblico76

Narrare è una necessità che ci portiamo dietro sin dagli albori della civiltà.

Non stiamo certo parlando di quei “c’era una volta” con i quali i nostri

nonni usavano cominciare le favole, ma dell’atto stesso di comunicare. Le

narrazioni però, hanno molte analogie con il business che, ora più che mai,

ha necessità di trasmettere emozioni per colpire dritto al cuore dei suoi

pubblici.

Eppure non molto tempo fa molti degli esperti in materia credevano al

paradigma antico per cui: il marketing deve essere chiaro, razionale ed

oggettivo, capace di persuadere, senza nessuno spazio per le emozioni. 76

http://www.ninjamarketing.it/2014/11/05/lo-storytelling-e-lo-strumento-giusto-per-creare-brand-value-e-battere-la-concorrenza/

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9

Errore madornale se consideriamo i trends in crescita di quelle azienda

all’avanguardia che hanno capito il vantaggio della “prima mossa”.

Sono molte le aziende che hanno fatto fortuna grazie allo storytelling. Una

fra tutte è Barbie, la famosa bambola della Mattel. La storia d’amore tra

Barbie e Ken, dal primo litigio alla riscoperta dell’amore, ha creato sui

social network un’incredibile interesse dei fans che hanno seguito con

passione le loro vicende amorose. Risultato: fedeltà dei consumatori e

acquisizione di nuovi.

Come sostiene l’autrice Annette Simmons nel suo libro Whoever Tells the

Best Story Wins: How to Use Your Own Stories to Communicate with

Power and Impact, l’obiettivo delle aziende è quello di attivare

l’immaginazione dei clienti (consumatori), così che possano ascoltare,

vedere, sentire, odorare, toccare e assaporare la nostra storia come se fosse

veramente successa loro.

In effetti lo storytelling non è esclusivamente il raccontare storie o

aneddoti, ma la creazione di rappresentazioni (testuali, visive,

sonore, percettive), che un brand o più semplicemente un

prodotto/servizio possono realizzare per emozionare e relazionarsi

meglio con un pubblico.

Uno storytelling può realmente aiutare ad impostare un business capace di

distinguersi dalla concorrenza, donando personalità al brand, con

l’obiettivo di creare engagement con i pubblici attraverso la loro risposta

emotiva e la loro immedesimazione alla storia.

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0

Attraverso la seguente infografica Lou Hoffman Ceo e Fondatore della

omonima agenzia Hoffman77

ci illustra quelle che sono le grandi

differenze tra una comunicazione classica e lo storytelling:

77 http://en.wikipedia.org/wiki/The_Hoffman_Agency

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1

1. Lo storytelling piace più dello spot pubblicitario

La prima sostanziale differenza è che il racconto di una storia è molto più

accattivante ed affascinante di una noiosa réclame pubblicitaria: a

nessuno interessa quanto il tuo brand sia figo, la gente desidera contenuti

interessanti.

Il messaggio deve essere in una forma discorsiva ed intuitiva, basta gerghi

tecnici che siano comprensibili solo dagli addetti ai lavori: in molti casi non

ci interessa il pieno potenziale di ciò che compriamo, ci interessa

l’emozione che il nostro acquisto ci può dare!

2. Lo storytelling mette in comunicazione il brand con il suo pubblico

La narrazione deve essere orientata verso l’esterno, verso il pubblico a

cui si vuole comunicare, non deve essere totalmente incentrata sul brand.

Deve esserci una narrazione, una storia. non si possono emozionare le

persone soltanto attraverso parole e slogan. Una comunicazione

aneddotica è molto più efficace di un banale messaggio pubblicitario.

3. Lo storytelling fa emergere i gusti dei consumatori

Il consumatore medio preferisce una storia eroica ed avventurosa, non un

racconto meccanico di avvenimenti: il messaggio deve mirare ad

intrattenere e non a vendere. Una comunicazione che sia avvincente e

non monotona farà ricordare il nostro brand e le vendite arriveranno dopo

come conseguenza.

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Per colpirci la narrazione deve essere stridente piuttosto che tranquilla, con

una stuttura complessa; deve riguardare la vita reale, non situazioni

surreali e deve contenere gli ostacoli che affrontiamo tutti i giorni.

4. Lo storytelling offre già molte case histories a cui ispirarsi

Molti brand hanno ormai abbandonato la loro tradizionale comunicazione

corporate per tramutare i loro comunicati in racconti, Coca Cola ha

addirittura trasformato il proprio sito in un giornale. Vedremo nelle

prossime pagine 4 brand story tra le quali Coca Cola journey, Jack

Daniel’s, Dove e Papa Francesco con la Misericordina.

3.9 Criticità e problematiche dello Storytelling

Abbiamo parlato dello storytelling come strumento efficace e

dell’organizzazione moderna come impresa-parlante: la narrazione è

ovunque e i flussi comunicativi ci circondano. Tuttavia in questi ultimi anni

numerose sono state le critiche rivolte allo storytelling provenienti da

diversi ambiti, la più celebre delle quali è da attribuirsi allo scrittore e

ricercatore francese Christian Salmon78

.

Vedremo di seguito quali sono le problematiche che si legano alla formula

dello storytelling e ne verificheremo la solidità.

1. Prima critica, e sicuramente, una delle più sentite è quella che fa dello

storytelling una pratica manipolatoria. Lo sottolinea molto bene Salmon nel

78 http://fr.wikipedia.org/wiki/Christian_Salmon

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suo libro, “Storytelling la machine à fabriquer les esprits”, nel quale mette

a nudo i meccanismi della narrazione del nuovo millennio, nelle

organizzazioni ed in politica (Bush, Obama…). Lo stesso Lausberg ci dice:

tutte le storie sono di per sé manipolatorie, ogni messaggio, ogni atto

comunicativo lo è in qualche modo, perché attraverso questo atto si tende a

far sì che il pubblico accetti il nostro punto di vista e compia una data

azione. “Lo storytelling [in particolare] fa perdere l’innocenza a ognuno

di noi quando crede di raccontare cose neutre (Wittgenstein). E chi lo

adopera è altrettanto responsabile di perdere questa innocenza,

assumendosi “la responsabilità prometeica” di generare percezioni e

visioni del mondo”79

. Tale responsabilità deve però essere presa in

considerazione sin da subito per poter operare con coscienza. E’ uno

strumento che deve essere utilizzato con un’etica ben precisa ed una

predisposizione per il vero. E’ fatto per incitare, incoraggiare, creare

coesione non per distorcere o falsare. Se usato in questo senso lo

storytelling può risultare addirittura controproducente.

Nel momento in cui lo storytelling viene utilizzato per piegare piuttosto che

per unire, risulta evidente che esso perde il suo valore, si rompe l’effetto

del meraviglioso ed i pubblici non credono più nella storia, addirittura la

aborrano.

D’altro canto e impossibile per un’organizzazione non comunicare se

stessa, non raccontare la propria storia nello tsunami narratologico odierno:

non lo può fare l’azienda, non può permetterselo il candidato o il politico

(si veda a questo proposito la differenza dell’esposizione mediatica alle

scorse elezioni quella di Matteo Renzi, Berlusconi e Beppe Grillo, in

79 Fontana A., Manuale di storytelling, op. cit. p. 14

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4

allegato alla presente tesi un lavoro di comunicazione politica che ho

svolto con la prof.ssa Enrica Iannuzzi sulla comunicazione politica del

Movimento 5 stelle, alla luce dei risultati raggiunti). Pertanto è necessario

ricorrere alla propria eticità: tener fede ai valori dell’azienda, essere

trasparenti e chiari nel proprio modo di comunicare. Se lo storytelling e uno

strumento di comunicazione, ecco che la linea di confine sta proprio li,

nella differenza tra il verbo comunicare ed il verbo manipolare.

2. Seconda critica insita nel processo di storytelling e la difficoltà di

equilibrare le storie presenti nell’organizzazione. E’ innegabile che se

partiamo dal presupposto che l’azienda comunica, non troveremo soltanto

una voce univoca, una sola storia ufficiale; accanto ad essa corrono una

miriade di altre storie che provengono dalle esperienze interne all’azienda e

dai vissuti degli stakeholder interni80

. Come allineare le storie interne ed

esterne in un unico racconto omnicomprensivo? La novità della pratica

dello storytelling rispetto alle precedenti teorie narrative, sta nel fatto di

dover prendere coscienza del proprio pubblico di riferimento e di poterlo

fare attraverso diverse modalità. Se in narrativa parliamo di lettore

implicito, qui ci riferiamo ad un target preciso che possiamo studiare

attraverso studi qualitativi, indagini interne all’azienda, focus group…

Mentre lo scrittore si costruisce il proprio pubblico immaginandoselo ed in

parte costruendolo, in ambito organizzativo e possibile scannerizzare la

situazione ed una volta interpretati i dati e capite chi abbiamo davanti,

adattarci modellando la nostra storia, il nostro messaggio sul pubblico. Lo

storytelling è prima di tutto storylistening, dalla loro interazione può

80

Si veda BOJE D., Stories of the storytelling organization: a postmodern analysis of Disney as “Tamara-land”, in Academy of Management Journal, volume 38, numero 4, 1995, pp. 997-1035

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risultare un quadro esaustivo della situazione ed un percorso produttivo di

implementazione del racconto.

3. Terza critica, mossa soprattutto dalla classe dirigente, riguarda

l’efficacia dello strumento e la produzione di risultati tangibili in

termini di bilancio aziendale.

Dobbiamo partire dal presupposto che utilizzare lo storytelling in ambito

aziendale in modo serio, per ottenere risultati riconoscibili, richiede tempo,

impegno, dedizione, fiducia e risorse. Il tutto commisurato alla grandezza

dell’obiettivo da raggiungere. Ove l’operazione si stagli su attività di

advertising e di marketing (storytelling per il consumo), e facile trovare

strumentazioni che possano permettere una valutazione seria dei risultati

ottenuti, rispetto agli obiettivi preposti (gli indicatori possono essere

relativi al n° di visualizzazioni della campagna, all’aumento delle vendite

ecc...) Nei casi in cui l’operazione venga applicata a livello di principi

strategici, operazioni di management o training, e necessario attivare sin da

subito un sistema di monitoraggio che consenta di valutare i progressi

rispetto alla situazione aziendale iniziale (interviste, analisi di mercato,

ricerche quali e quantitative all’interno e all’esterno). In questo secondo

caso e difficile preventivare il trend di benefici a livello di bilancio

aziendale, ottenibili tramite un’operazione di storytelling.

Esso fa leva su valori intangibili la cui forza in termini di benefit

finanziario e ancora oggi tema di discussione. Nuovi studi devono essere

condotti per far luce su quest’ultimo punto, ciò che e chiaro e che lo

storytelling permette di strutturare in modo coerente l’insieme dei messaggi

dell’organizzazione, migliorando l’apparato comunicativo e rafforzando

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identità, immagine e reputazione. Un vantaggio competitivo che fa

dell’azienda un’impresa narrante e del leader un gatekeeper narrativo,

creando coinvolgimento ed incitando i diversi pubblici ad unirsi al racconto

in una sorta di narrazione corale.

Siamo giunti sin qui attraversando l’oceano della narrazione .Non vi è certo

qui la presunzione di essere stati esaurienti, sia per la vastità del tema in

questione, sia per gli innumerevoli studi che affrontano la narratologia e le

sue applicazioni: psicologia, letteratura, semiotica, linguistica, scienze

cognitive…

La nostra analisi della struttura narrativa si è basata su uno specifico

obiettivo che fa da sfondo all’intero lavoro: capire la narrazione,

comprenderne le forme e il funzionamento al fine di applicarla alla

comunicazione aziendale attraverso il corporate storytelling.

Vorrei quindi riassumere di seguito le principali caratteristiche proprie del

racconto, utili al nostro scopo, in modo tale da recuperare il filo conduttore

ed accompagnare il lettore nel prossimo capitolo all’insegna della moderna

pratica dello storytelling organizzativo in particolare sulla Brand

Narrative.

Secondo quanto visto sino ad ora, la narrazione:

3.10 Sintesi delle puntate precedenti

Learning Point

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è innanzitutto una metafora;

ma e anche un medium, “perché è lo strumento di mediazione e

riconoscimento tra soggetto ed oggetto della narrazione”;

è una modalità di comunicazione;

è uno strumento d’interpretazione della realtà, in quanto

conferisce senso strutturando i significati ed orientando l’uomo nel

mondo (codifica del reale);

permette di catalogare e comprendere le esperienze (conoscenza

funzionale);

coinvolge il pubblico, attivando una storylistening trance experience

, ovvero una trance narrativa ( meccanismo di auto illusione che ci

porta a credere, esperienza “del perdersi”, concetto che si rifa’ alla

sesta caratteristica individuata da Bruner, la referenzialità);

contiene sempre un messaggio. Per questo “i racconti non sono mai

innocenti: hanno sempre un messaggio, il più delle volte così ben

nascosto che nemmeno il narratore sa quello che sta perseguendo”;

è una forma strategica, coerente e ben strutturata (si veda il

modello vogleriano);

se il contenuto e memorabile, viene ricordata e tramandata;

genera appartenenza;

aiuta la comprensione di eventi complessi, permettendo di ordinare il

reale e coinvolgendo sprona all’azione.

La narrazione è uno strumento di comunicazione molto serio e

complesso: un excursus tecnico che appartiene da sempre all’umanità e che

oggi, nel mondo del web 2.0, dell’intertestualità e della convergenza

mediale, è sempre più attuale.

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Essa rappresenta, oggi più che mai “un sofisticato mezzo retorico di

presidio e scambio del potere, un modo per gestire la percezione dei

pubblici che all’interno delle società conoscitive sono sempre più

sofisticati ma anche più assuefatti”.

Risulta allora chiaro che la narrazione non e soltanto una questione di

letteratura: saperla utilizzare come mezzo di comunicazione efficace apre le

porte a nuove possibilità di costruire significati e raggiungere fette di

lettori, o di pubblico più ampie. Inoltre le storie sono vettori che ci

permettono di creare senso e quindi di mettere insieme i pezzi del puzzle

che costituisce la nostra identità, appoggiandosi alla memoria narrativa

costituita da topoi e schemi narrativi (i frame di cui parlavamo). L’uomo

vive di storie sin da piccolo ed ha un bisogno direi quasi naturale di

inserirsi all’interno di format narrativi: e un dato che non dobbiamo

sottovalutare, perché significa che la narrazione poiché è un qualcosa che ci

cattura e di cui necessitiamo per capire ciò che ci circonda, e un modo per

avvicinarci all’altro e per creare un ponte di contatto, uno spazio di

condivisione. Se le narrazioni ci aiutano a riempire le pagine bianche della

nostra biografia, è facile immaginare come ciò sia possibile anche per

narrare i brand, costituiti da una moltitudine di storie, di vite, aggregate

sotto il nome di una comunità, di un universo di senso particolare:

l’azienda. E ciò che cercheremo di spiegare nelle pagine che seguono,

andando ad analizzare la brand narrative e di come i brand catturano

attraverso le loro storie la vita di milioni di consumatori.

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4. Visual Digital storytelling

4.1 L’evoluzione dello storytelling

acciamo un passo indietro per comprendere fino in fondo

l’evoluzione che ha avuto lo storytelling, quindi consideriamo il

nostro punto di partenza quando , tra il 1930 e ‘40, lo storytelling

(in italiano narrazione) incontra, nella radio prima e nella televisione dopo,

il marketing e la comunicazione. In quegli anni, in America, i primi “Mad

men” strutturano, nei brevi passaggi pubblicitari, piccole storie

(generalmente a puntate) che raccontano qualcosa di un brand, al di là delle

semplici caratteristiche tecniche, in modo da creare, nel pubblico, curiosità,

aspettative, suspense e una forte fidelizzazione, precedente all’acquisto o

alla prova del brand, contribuendo a creare e/o a consolidare la reputazione

dello stesso. Il caso più emblematico di questo genere di storytelling è

rappresentato dalle “Soap Opera”. Nate, in America, come semplici

pubblicità a puntate finanziate dalle società produttrici di detersivi, nel giro

di pochi anni, divengono veri e propri format indipendenti, fino a

rappresentare un pilastro della programmazione del Piccolo schermo a

livello mondiale.

F

"si, tutti moriamo. Solo le storie non muoiono mai.

quelle vere e quelle finte, quelle assurde e quelle

verosimili, quelle tristi e quelle allegre. Non

cesseranno mai di essere raccontate. Le ritroveremo

ancora, leggermente cambiate o sempre uguali a se

stesse… pronte a regalarci nuove emozioni."

Dylan Dog

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0

L’Italia, arrivata con ritardo ai livelli americani, anche a causa degli effetti

devastanti sul territorio della Seconda Guerra mondiale, prima, e della crisi

petrolifera, poi, vede l’apice dello storytelling a metà degli anni settanta,

con la diffusione massiccia nelle case dell’apparecchio televisivo e con il

consacrarsi del Carosello (1957-1977), contenitore di storie (non solo

pubblicità), che per 20 anni, dalle 20.50 alle 21.00, “blocca” ed interessa

intere generazioni di fronte al Piccolo schermo.

Con gli anni ottanta, a causa del boom tecnologico ed economico-culturale

(diffusione di internet negli States, da un lato, e crescita improvvisa e quasi

senza regole del settore terziario nell’economia mondiale, dall’altro), il

successo dello storytelling vede, nell’ambito del marketing e della

comunicazione, una piccola flessione fino a quando il pubblico e lo stesso

advertising non virano prepotentemente, spostando il loro centro di

interesse ed economico sul Web. In un mondo che si muove a ritmi quasi

insostenibili, la stessa comunicazione si adegua e la pubblicità diventa di

tipo spot fatta di immagini e claim, atta a “colpire” (quasi stendere) chi

guarda.

Alla fine degli anni novanta nulla, alla radio, in televisione, sul Web, dura

più di un battito di ciglia. Le canzoni e lo storytelling vengono sostituite da

claim, immagini accattivanti e dai famigerati banner, poiché ora è la

quantità che conta, poiché il numero di persone che possono essere

raggiunte in pochi istanti è assolutamente inimmaginabile. Nel 1999 gli

utenti del web, ad esempio, sono stimati intorno ai 200 milioni.

Così sono la New Age e il Web2.0 che salvano lo storytelling e la

comunicazione di qualità riportando, grazie anche alla massiccia diffusione

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della banda larga e dei Social Network, i ritmi ed i modi ad un livello

sostenibile, esaltando nuovamente i contenuti e le cosiddette storie a

puntate. La quantità concede il giusto spazio alla qualità e la struttura stessa

della comunicazione si modifica. Il pubblico, da semplice fruitore di

informazioni, diviene in un attimo anche creatore delle stesse, potendo

assecondare, con poche semplici azioni (qualche click), quella voglia

irresistibile di condivisione ed interazione che da sempre domina l’animo

dell’uomo, nella sua veste di animale sociale.

Oggi l’enorme incremento del numero di autori porta ad avere all’interno di

tutti i media, web in testa, un notevole affollamento di contenuti, tanto che

le stesse regole dello storytelling si sono inevitabilmente dovute adattare.

Se all’inizio del secolo scorso, come visto, basta avere una storia da

raccontare , ora, la storia stessa deve essere raccontata seguendo delle

regole ben precise che coinvolgono, non solo la durata, la forma, ma anche

la nomenclatura stessa delle parole, dando vita a nuovi stili.

In televisione, alla radio, sui siti video sharing, lo storytelling a puntate

impazza in maniera virale, poiché il brand non è più il soggetto della

comunicazione, ma solo il punto a cui la storia stessa deve giungere per

comunicare il messaggio giusto. Così si diffondono le storie fantastiche,

imprevedibili, articolate, nella maggior parte dei casi intrise di effetti

speciali in grado di catturare il pubblico per la loro trama prescindendo dal

brand stesso. Si va, dunque, dal video realizzato interamente al computer

che racconta di notebook che si animano, dando vita a lotte sanguinarie di

fronte ai proprietari attoniti ed inconsapevoli - come nel caso della

campagna virale sul web di Apple (Mac vs Pc); per passare alla serie di

spot radiofonici della BMW Mini che raccontano un’eterna paradossale

scommessa di due amici circa il prezzo sensazionale della macchina del

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famoso brand tedesco (“Se mi trovi una mini che costa meno di 15k €

lavoro per un mese in un circo”… “signori e signore ecco a voi il

mungitore di elefanti”); per giungere alla geniale campagna “ADIDAS -

Impossible is nothing” che racconta semplici e commuoventi storie di

campioni affidando il legame con il brand al semplice logo che si dissolve

un attimo prima che le immagini svaniscano.

Sul web anche le regole dei testi si modificano. Con la diffusione dei web-

log (più comunemente chiamati blog) e dei social network (facebook in

primis, seguito a ruota da twitter) ogni singolo utente diviene editore e

pertanto lo storytelling sublima nella sua forma più pura: quella scritta. I

testi divengono racconti privati o esperienze di vita vissute, che possono

andare dalla ludica vacanza, alla seria e drammatica rivoluzione. Lo

storytelling acquista in questa sua forma una importanza storica che va al di

là del marketing e della stessa comunicazione, permettendo alle nuove

generazioni di acquisire un nuovo luogo dove poter compiere quelle

rivoluzioni socio-culturali ed economiche che i loro genitori avevano

saputo condurre solo attraverso le piazze, oppure arricchire,

semplicemente, le conoscenze altrui attraverso la diffusione delle proprie

professionalità (tutorial blog), acquisite nel corso del tempo. In questo

contesto i Social Media (blog, Facebook, Twitter, Friendfeed, etc.)

diventano trampolino di lancio di campagne di marketing e comunicazione

personalissime, rappresentando veri e propri aggregatori di notizie, che

invadono la scena del web, lasciando agli utenti il solo imbarazzo della

scelta.

In questo scenario, in cui il surplus di offerta informativa è tale da poter

mettere, addirittura, in crisi lo stesso web, un ruolo fondamentale lo hanno i

motori di ricerca (primo su tutti Google) e i relativi algoritmi, i soli

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veramente in grado di consegnare agli utenti gli strumenti giusti per

permettere loro la scelta ottima. Così anche il modo di presentare i

contenuti dello storytelling cambia la sua forma, assumendo quella tipica

del web, che partendo, comunque, da fattori indiscussi come la qualità ed

originalità vede l’aggiunta di concetti quali keyword, popolarità,

affidabilità, reputazione. Quest’ultima, in particolar modo, prerogativa e

filiazione immediata dello storytelling, contribuisce, in maniera massiva, ad

accrescere la visibilità di un brand all’interno del web, amplificando

esponenzialmente le connessioni, dello stesso, con gli stakeholders, e

determinando, prima, una più incisiva penetrazione all’interno del mercato

e, successivamente, posizioni privilegiate, di lungo periodo, nei confronti di

eventuali competitors81

.

Come abbiamo detto i nuovi media hanno agglomerato immagini, parole e

suoni mentre la nascita del blogging e l’evoluzione dei social network ci

hanno reso tutti copywriter di noi stessi e con la realtà aumentata possiamo

integrare la narrazione alla nostra vita.

Ma da buoni figli – o reduci – degli anni ’80 dobbiamo essere tutti

consapevoli che la vera star dello storytelling sarà per sempre

l’immagine82

, come dimostrato dal successo di Instagram, vimeo e dalle

mille App dedicate all’editing di foto e video.

81

www.comunicazioneitaliana.it 82

http://www.ninjamarketing.it/2014/05/02/levoluzione-dello-storytelling-dalle-pitture-rupestri-alla-realta-aumentata-infografica/

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Questa infografica risponde alla domanda cruciale del nuovo millennio:

come venivano raccontate le storie prima di Facebook, Twitter e Co. ?

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4.2 The power of visual storytelling

Storicamente “un’immagine vale più di mille parole”, questo oggi vale

anche per il web. In quest’ultimo caso però più che il concetto “vale” credo

sia più appropriato affermare che un’immagine “parla” e racconta,

descrive ed emoziona chi la osserva.

L’emozione che prova l’utente non rimane inespressa o un qualcosa di

personale, ma grazie all’azione di condivisione sui social questa immagine

parla ai contatti dell’utente che ha deciso di condividerla instaurando un

meccanismo di “simil-empatia” . Pam Grossman, direttore e visual trend di

Getty Images, conferma: "l'occhio dello spettatore è diventato molto più

sofisticato, ciò che vuole è qualcosa di reale”.

Nell'era dei Selfie e di Instagram la gente vuole qualcosa che le parli

personalmente. Le immagini che appaiono costruite o statiche non hanno

più risonanza. La gente vuole l'imprevedibile ,qualcosa di familiare ma

allo stesso tempo reale, momenti della vita di tutti i giorni. Momenti che

parlano dell'esperienza umana che, con il loro racconto del mondo in uno

scatto, creano emozione. L’immagine è diventata uno specchio di quello

che siamo. Questo tipo di connessione assicura un legame forte e stabile tra

l’utente e l’immagine e attraverso le immagini e le loro storie nascoste si

possono costruire strategie di marketing .

Di tutto questo ne parlano NewsCred e Getty image in uno studio83

,

affermando che le immagini sono determinanti nella costruzione di un

processo di promozione on line solo se l’immagine ha caratteri di:

83 http://www.slideshare.net/NewsCred/the-power-of-visual-storytelling-36047183

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Autenticità

Sensorialità

Archetipi e strutture narrative

Rilevanza

Autenticità

Le immagini autentiche penetrano nelle passioni e nelle emozioni di un

pubblico, permettendo loro di vedere qualcosa di se stessi ,trasformandosi

in veri e propri sostenitori della storia che si sta cercando di raccontare. Le

immagini di tipo User generated content (UGC) rivelano persone e luoghi

reali, veri momenti ed emozioni che stabiliscono un’ accresciuta intimità

digitale. L’utilizzo di immagini (UGC) aiutano i brand a “ mettersi nei

panni dell’utente” a parlare con loro, raccontare il loro mondo e a

rappresentarlo come lui lo rappresenta. Dal punto di vista comunicativo

l’autenticità risponde al concetto di “scendere dal piedistallo” e di mostrarsi

a nudo per come si è, senza artefici particolari.

Un articolo che contiene un’immagine ha il 94% in più di visualizzazioni

rispetto ad uno che non ne contiene.

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Sensorialità

Colpire e stimolare i sensi dell’utente per assicurarsi di generare in lui

emozione rappresenta il secondo elemento da tener presente. Trascorrendo

parecchio tempo immerso in un mondo digitale, l’utente si sposta da un sito

all’altro con una velocità molto elevata ed è sottoposto come abbiamo già

potuto vedere nel primo capitolo ad un overload informativo

impressionante.

Se il 40% delle persone risponde meglio alle informazioni visive rispetto ad

un testo normale, allora non è possibile presentare all’utente una sfilza

sconfinata di informazioni testuali perché non è quello che desidera e

quello di cui ha bisogno, quando è on-line.

Nei siti web, stimolare i sensi attraverso l’uso di immagini grandi, ad alte

risoluzioni evocative permette di migliorare notevolmente l’esperienza

dell’utente, un andare oltre i pixel, facendogli sentire l'odore e il tatto.

Quanti più sensi un visual è in grado di coinvolgere, più attenzioni riceve e

più informazioni conserva. Le nostre menti sono piene di informazioni, una

biblioteca visiva senza fine, che influenza tutto ciò che vediamo e tutto ciò

che abbiamo già visto.

La nostra cultura ha ceduto al sovraccarico di informazioni, ma i nostri

sensi ancora desiderano di essere stimolati. La tecnologia si è sviluppata

intorno a noi ad un ritmo tale che pochi hanno avuto la possibilità di

riprendere fiato. Ma c'è un fervido richiamo a tornare a dove eravamo;

Vogliamo la sensazione del fatto a mano, vogliamo i dettagli dei preziosi

momenti della nostra vita, quella di tutti i giorni. Vogliamo ciò che è reale

o per lo meno, ciò che sembra reale.

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Archetipi

Fondamentale diventa il concetto di archetipo (proprio quello introdotto da

Jung) che narra il mondo reale come fatto di rappresentazioni mentali

collettive innate e predeterminate di oggetti. Consideriamo che l’83% della

conoscenza umana deriva dal vedere, memorizzare e imparare a

conoscere la realtà, per questo è importante sempre presentare dei modelli

senza tempo ed universali che l’utente ha già imparato a conoscere e che

non gli siano stranieri.

Quando si sceglie di comunicare qualcosa attraverso un’immagine, sui siti

o sui social, diventa di vitale importanza considerare come essa venga

percepita dalle diverse tipologie di persone e diventa essenziale evitare di

parlare e narrare basandosi su stereotipi. Tenere conto della sensibilità di

ogni individuo a cui è destinata l’immagine è un passo fondamentale per

un’azienda nel considerare, e non urtare, i potenziali clienti.

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Rilevanza

Infine è importante, a seconda del periodo storico, fornire agli utenti

immagini che raccontino il mondo che li circonda, che siano rilevanti e

pertinenti con quello che si sta vivendo.

Sui social, le aziende che basano il piano editoriale sull’uso di immagini

che abbiano una rilevanza per gli utenti, nel 44% dei casi, li rendono

più propensi ad interagire con i brand. Diventa fondamentale imparare a

conoscere il proprio pubblico di riferimento, capire gli interessi e le

preferenze che mostrano e sulla base di esse, lavorare per costruire un

piano editoriale unico e dedicato a loro.

Questo processo è tanto più semplice da ottenere se ci si basa sui contenuti

più apprezzati sui social. Orientarsi e condividere delle immagini e capire

dove l’utente mostra maggior attenzione, può diventare un buon banco di

prova, essenziale, per poi raffinare una comunicazione più efficace sui siti

o anche nell’offline.

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4.3 Digital Storytelling

Premessa

Se consideriamo il consumatore come risorsa operante (non mero soggetto

passivo) all’interno dei processi di marketing, comunicazione, supporto,

vendita, appare chiaro come sia vitale per brand e marketer relazionarsi con

queste risorse come protagonisti attivi e produttivi di senso. I consumatori

sono integratori di risorse, non semplici destinatari passivi dei prodotti e

dei servizi che comprano: fanno review di prodotti, condividono opinioni,

fanno supporto ad altri consumatori, a volte sono utilizzatori innovativi,

talvolta sono soggetti esigenti o manifestamente critici, altre volte

veicolano e condividono i messaggi del brand o possono aiutare a fare co –

creation. Si comprende, allora, come sia assolutamente rilevante la capacità

di brand e marketer di progettare e implementare, curare e supportare tutte

le iniziative più opportune per coinvolgere e stimolare l’attivismo dei

consumatori e il loro coinvolgimento. Una digital marketing strategy è

chiamata a questo compito prezioso quanto complesso.

Grazie alle attività di engagement, il social customer, potenziato dalle

tecnologie digitali di rete (anche di natura social) e proattivamente

stimolato attraverso esperienze relazionali di natura diversa (storytelling,

contenuti virali, content marketing, attività di seo, sem, digital pr, mobile

app e realtà aumentata, brand community) diventa, inoltre, fonte preziosa

di informazioni e insight. Impiegando tecniche di analisi come il

monitoraggio delle conversazioni, osservazioni netnografiche ( ideatore :

Robert V.Kozinetz) , mappatura dei grafi sociali e degli influencer, brand e

marketer sono in grado di approfondire la conoscenza di preferenze e

attitudini e indagare trend emergenti riuscendo ad arricchire con un layer

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social il tradizionale customer database (social crm). Le opportunità vanno

bilanciate con potenziali ed effettive criticità che possono emergere nel

corso della relazione tra social customer e marketer. Brand e marketer

devono essere preparati e adeguatamente educati ad interfacciarsi con

questi nuovi consumatori potenziali e socializzati. La trasformazione

prodotta dal social business richiede la progettazione e l’adozione di una

social media governance e policy. Trasparenza, autenticità, qualità del

servizio e della relazione devono poggiare su solide linee guida che diano

sicurezza a employee e brand, anche in situazioni di crisi reputazionale.

Introduzione

Il digital storytelling utilizza strumenti digitali per creare storie

multimediali dal forte impatto emotivo da raccontare, condividere,

preservare. Le storie digitali basano il loro potenziale espressivo sulla

commistione di fotografie, abbiamo visto nel paragrafo precedente il potere

delle immagini e delle loro storie, filmati, musica e la voce stessa delle

persone, miscela che permette di rendere e narrare in modo vivido

esperienze, situazioni e riflessioni.

Gli strumenti digitali permettono una grande malleabilità di trattazione

degli elementi narrativi, che possono essere ricombinati e messi in

connessione con quelli di altre ministorie, attraverso il processo interattivo

e trasformativo di cui vengono a disporre gli autori e che dona nuove

sfumature di significato all’esperienza dello storytelling. L’idea

fondamentale del digital storytelling è che creare una storia attraverso

l’utilizzo delle tecnologie digitali possa rappresentare un processo di

riflessione e di apprendimento, intorno a temi e situazioni di svariata

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natura. La tecnologia digitale, questo l’assunto del digital storytelling84

, per

i costi sempre più accessibili, la relativa facilità di utilizzo, l’adattabilità, la

semplicità di correzione e modifica dei contenuti, oltre che di

archiviazione, duplicazione e distribuzione, permette l’accesso a nuove

modalità espressive per il racconto di sé a individui e comunità. Oggi il

digital storytelling viene sempre più utilizzato negli ambiti

dell’intrattenimento, dell’insegnamento e della formazione, per

promuovere e pubblicizzare, e anche le organizzazioni, pubbliche e private,

cominciano a farvi ricorso per motivare il loro capitale umano, per

condividere valori e favorire la partecipazione e l’identificazione, ma anche

per facilitare l’apprendimento di tematiche complesse.

Il digital storytelling è quindi appropriato per le presentazioni aziendali,

così come per il reclutamento di persone attraverso il sito web aziendale,

dove può anche venire utilizzato per far nascere una comunità di clienti

(brand communities ) che partecipino a uno scambio di narrazioni a tema

aziendale o di prodotto. Per questi motivi il digital storytelling viene

sempre utilizzato per la comunicazione del brand, per il marketing, come

strumento di comunicazione interna e/o di knowledge management.

Come abbiamo detto in gran parte della tesi è le scienze della narrazione, e

in particolare lo storytelling, si stanno affermando come strumenti preziosi

per proporre storie di marca (o di azienda) capaci di interessare e

coinvolgere gli utenti della rete.

La condizione perché possano realmente circolare è che non siano basate

sugli stessi presupposti e armamentari concettuali che hanno guidato per

decenni la comunicazione sui mezzi classici.

84 Fontana. A., Manuale di storytelling,(2009) Rizzoli, Etas, Milano

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Lontano dalla pubblicità vecchia maniera e dai suoi intenti persuasivi, lo

storytelling in chiave social deve:

tener conto della natura non lineare delle nuove piattaforme online

sposare le nuove modalità partecipative dando luogo a storie di

marca concepite nella logica della condivisione narrativa

giocare al meglio la declinazione delle storie in rapporto ai vari

media che attraversano (con grande attenzione al transmedia

storytelling)

entrare pienamente nel paradosso del virale, che riprende forme

antiche di comunicazione umana (word-of-mouth, trasmissione

orizzontale e bidirezionale) ma le potenzia con l’energia

moltiplicatrice delle nuove tecnologie

in questa prospettiva, capire e fare proprie le logiche profonde che

collegano storytelling e viralità.

4.3.1 Digital storytelling e Social Media

L’uso dei social media è una tendenza ormai inarrestabile in pressoché tutte

le imprese. Data la pervasività delle nuove piattaforme è assai probabile

che alcuni dipartimenti, linee di offerta o gruppi di dipendenti siano già

attivi in ambienti quali Facebook o Linkedin, con o senza l’approvazione

del management. In assenza di un framework strategico ciò espone

l’azienda a rischi potenziali, e al pericolo di non sfruttare al meglio le

opportunità delle nuove piattaforme.

Nelle imprese di dimensione internazionale un altro problema è dato dalla

possibilità che ogni paese proceda per la sua strada e implementi nei social

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media soluzioni ad hoc, che non consentono all’azienda di maturare una

competenza globale in materia. Tutto questo impone l’esigenza di dare

centralità alla definizione ed all’implementazione di una social media

strategy condivisa. Ecco i passaggi da tenere presenti per riuscire a farlo

con successo:

chiarire le finalità che ci si propone di raggiungere nel sostenere la

presenza online dell’azienda e delle sue marche, in rapporto agli

obiettivi di business;

non trascurare di sottolineare quali benefici possono derivare a tutti i

dipendenti che si impegnano nel supportare la visione strategica

stabilire le metriche e i KPIs che possono consentire di misurare le

performance ottenute, in modo da poter guidare costantemente la

strategia sulle azioni più efficaci.

I social media stanno cambiando profondamente le logiche del marketing e

più in generale della comunicazione, il modo in cui le aziende e i

consumatori si relazionano tra loro. In effetti, la velocità e la profondità

delle trasformazioni sono tali che le stesse nozioni di marketing e

consumatore appaiono largamente superate.

Scegliere cosa fare nei social media non è né ovvio né semplice. Molti

CEO e manager non sanno bene da che parte prenderli, e per buone ragioni.

Le soluzioni automatiche (l’uso di Facebook e Twitter, ad esempio) non

sempre sono le migliori.

Importanti questioni da porsi sono queste:

tutte le piattaforme lasciano spazio a una quantità di iniziative; quali

sono quelle veramente interessanti per i nostri clienti?

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nuovi social media nascono e diventano rapidamente popolari,

mentre altri declinano d’importanza; come affrontare questa marea

montante in continuo cambiamento?

anche le community rivelano una forte tendenza alla mobilità; come

seguirle quando si spostano e si ricostituiscono altrove?

Tenuto conto di tutto ciò, l’atteggiamento da adottare è il seguente:

relazionarsi ai social media in modo flessibile, aperto e aggiornato

monitorare costantemente dove sono i propri consumatori e cosa

stanno facendo

non dimenticare mai che i social media sono piattaforme di

comunicazione a due vie dedicare risorse e impegno adeguati per

stimolare un dialogo che dia voce agli utenti, coinvolgendoli in

conversazioni reali.

Il Social Media Marketing è naturalmente l’esecuzione della Social Media

Strategy, definita precedentemente. Oltre alle iniziative dialogiche coi

visitatori dei canali social, il Social Media Marketing utilizza iniziative di

Seeding, le App facebook, le App mobile, la georeferenziazione, la

Augmented reality.

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4.3.2 I mercati sono conversazioni: Internet

isn’t much without conversation di Felice Limosani

Dal Manifesto di Cluetrain85

prima tesi “i mercati sono conversazioni” a

Felice Limosani che ribadisce l’importanza del ruolo social e del tempismo

delle conversazioni, infatti lo stesso Limosani scrive:

Considerare la rete nel suo profilo social come un canale su cui pianificare

azioni di ogni sorta, non è del tutto sbagliato ma non è nemmeno tutto. Al

di là dei molteplici aspetti che i social network offrono, c’è una

componente, a mio avviso determinante, che è quella del tempismo delle

conversazioni. Non basta essere presenti sulle varie piattaforme.

L’immediatezza e la capacità di agire e interagire, saranno in chiave

creativa, indice di risultato.

Per farsi leggere e trovare quando ci è più congeniale, bisogna essere pronti

nel posto giusto con l’argomento giusto. Attenzione, dico argomento non

prodotto! Se l’obiettivo è farsi leggere con i fini più disparati, tempi e

argomenti, diventano due elementi inscindibili. Nel web un numero

impressionante di individui, postano storie e racconti. Condividono

pensieri ed emozioni ma anche consigli e pareri su prodotti e acquisti. Il

tutto basato sulla fiducia altrui. In questa prospettiva, come si connoterà il

mercato on line più di quanto non lo sia già? Oltre ai viral movie,

immagini e file di ogni sorta, il vero quid sono le conversazioni. Quelle

aperte, oneste, dirette, divertenti o anche scioccanti , stupefacenti e

irriverenti.

85 http://it.wikipedia.org/wiki/Cluetrain_manifesto

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L’importante è che non siano troppo avanti e nemmeno troppo indietro

rispetto al flusso degli argomenti. Lasciarsi andare nel flusso, soddisfa la

necessità di socializzare di cui l’uomo ha tanto bisogno. La scia delle

conversazioni infinite che spiegano o raccontano, con proteste, lamentele o

apprezzamenti, scherzose o seriose, ma sempre più e senza dubbi devono

essere vere e sincere. Attenzione! Non sono ammesse le conversazioni

falsificate e neanche posticipate. Meglio sarebbe se fossero conversazioni

che anticipano temi trasversali, capaci di aprire un flusso partecipativo.

Come al solito i grandi brand sono in ritardo sui costumi digitali,

esattamente come fecero circa 10 anni fa, non cogliendo per tempo l’

opportunità del commercio elettronico. Ritardo dopo ritardo, fatta

eccezione per poche realtà, eccoci che conversazioni “altre” parlano in

modo referenziale, senza umorismo, con monotona cadenza sulla missione

aziendale e altre banalità simili. La loro linea è congestionata, essi stessi

sono occupati in conversazioni dai toni vecchi, vecchie litanie a volte

vecchie bugie per un dialogo unidirezionale, senza vita. Non c’è da stupirsi

se la rete non ha molto rispetto e interesse per queste realtà incapaci di

conversare come si farebbe a cena con un amico. Parlando di tutto,

confrontandosi, scambiandosi idee, commenti, suggerimenti, racconti.

Immaginate come sarebbe se fossimo con qualcuno che ci parla solo di sé e

di quello che fa e noi potessimo solo rispondere “mi piace o non mi piace”.

Non è con un numero elevato di fun o di follower che si ottiene credibilità e

consenso. Il rapporto di fiducia con persone e consumatori si baserà sempre

più sulla verità, sui fatti, sul dialogo. Questo sarà il volano per lo sviluppo

delle imprese e per conquistare nuovi amici o consumatori. E non si creda

che ci sia molto spazio per i furbetti. Le conversazioni virtuali, si

accorgono in un istante quando chi parla è credibile, sincero, creativo, reale

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e viceversa. Un esempio per tutti? I bloggers o presunti tali. Fatta eccezione

di alcuni, per il resto la rete sa che i blogger recensiscono prodotti

“gentilmente offerti come regali”. Altro che innocenza del diario. Eppure si

potrebbe fornire conoscenza vera e propria invece che sfornare digital-talk

sterili o corrotti che sottovalutano i loro interlocutori letteralmente troppo

informati per cadere nella solita trappola. Ma c’è dell’altro. Nelle mie

conversazioni, dialogo sia con il Brand che con i suoi dipendenti.

Incredibile la divergenza che li contraddistingue, è come se non si

parlassero! La prima conversazione dovrebbe essere reale con i propri

collaboratori. Una sorta di collegamento ipertestuale con chi potrebbe

mediare attraverso dialoghi privati, valori comuni. Le aziende a loro volta

dovrebbero saper ascoltare attentamente entrambi. In questo modo essi

potrebbero parlare al mondo attraverso l’esercito dei collaboratori intra e

inter – connessi che dialogano direttamente online. In pratica due binari di

dialogo. Una all’interno dell’azienda, l’altro con il mercato. Grazie a

Internet, le conversazioni stanno aprendo nuovi modi per condividere le

conoscenze utili a una velocità sconcertante.

Ecco perché occorre alimentare questa modalità di scambio. Come diretta

conseguenza a quanto osservo, i nostri interlocutori fisici e virtuali, stanno

diventano sempre più intelligenti e veloci della maggior parte delle aziende.

Svariati milioni di persone che conversano on line vanno prese sul serio

quanto un editorialista “potente”. Parlare con il mercato non è più compito

del marketing ma delle persone, con un segreto: togliersi le scarpe alla

porta come fanno in Austria prima di entrare in casa d’altri.

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4.3.3 Dal digital al Transmedia Storytelling

Contenuti e conversazioni tra brand e persone, tra organizzazione e

individui diventano sempre più transmediali. Tra le varie definizioni con le

quali si analizzano i “consumatori partecipanti” della generazione

transmediale, quella formulata da Robert V. Kozinetz86

risulta ancora oggi

la più versatile e attuale perché identifica il pubblico di un brand, di un

prodotto o di un servizio come un insieme di community articolate ed

ecclettiche, dinamiche polivalenti, composte ciascuna da visitatori

occasionali, esploratori, infiltrati e fedelissimi.

Consumatori che nei “media incrociati” cooperano con diversi gradi di

coinvolgimento su diverse piattaforme e all’interno di storyworld

complessi, con la conseguenza che, rispetto all’advertising e al customer

relationship management tradizionali, il successo dell’azione promozionale

condotta nei loro confronti va valutato non solo in termini di gradimento e

fidelizzazione, ma anche di propositività, di caratteristiche della

performance e dell’engagement. Il rapporto tradizionale tra brand e

repertorio emozionale del consumatore individuato dalla già citata retorica

dei lovemark diviene infatti nel transmedia una relazione finalizzata a

rendere il brand un insieme di più universi narrativi e il consumatore uno

sperimentatore, un tutor, un giocatore, un supporter e altro ancora.

Un esempio?

Creato nel 2012 dall’agenzia newyorkese Barbarian Group per il colosso

americano dell’energia General Electrics, interessato allo sviluppo di

86

Robert V. Kozinets (BBA, MBA, Ph.D.) è un esperto riconosciuto a livello mondiale di social media, ricerche di mercato, e branding. La sua ricerca si è concentrata anche su innovazione, attivismo dei consumatori, e vendita al dettaglio. Le sue opinioni e il suo lavoro sono stati presentati sui media globali dal New York Times e News week alla Discovery Channel. http://kozinets.net/about

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un’immagine più vicina, quotidiana e “amica” per il proprio brand, GE

show87

un contenitore multimediale online che nel tempo ha raccolto al suo

interno finti documentari (mockumentary), giochi e applicazioni chiamati a

mostrare in modo informale e meno istituzionale tutte le attività del gruppo,

dalla motoristica ai servizi alle aziende o agli ospedali, all’aeronautica e

alle energie rinnovabili con il risultato di più di 30 milioni di contatti on

line raggiunti in pochi mesi. Nato come forma di storytelling finalizzata

alla creazione di un’immagine diversa per la corporation, il progetto ha

creato dunque un universo parallelo a quello mostrato dai media ufficiali,

anagraficamente trasversale e più vicino al pubblico, scavalcando

rapidamente il proprio obiettivo e offrendo allo stesso tempo all’azienda

un’ottima opportunità di brand activation88

agli occhi del suo pubblico “di

domani”: giovani famiglie. Influencer della comunicazione e giovani

(young adult) appassionati dei nuovi media.

87 http://www.ge.com/thegeshow/ 88 Giovagnoli M., Trasmedia- storytelling e comunicazione,2013, Apogeo Next Milano

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4.3.6 Transmedia e Brand story

Nel raccontare la storia di un brand o di un’istituzione , di un prodotto o di

un servizio attraverso sistemi comunicativi transmediali basati sullo

storytelling o sulla creazione di microcosmi narrativi, autori e producer

devono lavorare prestando molta attenzione innanzitutto a :

Il nome, il logo e la brand identity del prodotto, rispetto ai quali

possono creare marchi o titoli paralleli, ma non alterare direttamente

quelli originali;

Le idee, le suggestioni e le aspettative ”storiche” dei consumatori del

brand;

Il brand value, ovvero il valore e la reputation dei suoi prodotti,

individuati coerentemente nel proprio ruolo e segmento di mercato.

Il valore aggiunto offerto dai prodotti transmediali dall’uso delle brand

story è misurabile in termini di:

Brand experience, ovvero di sperimentazione diretta dal brand, di

engagement, durata, qualità e caratteristiche del consumo di tutte le

piattaforme del sistema comunicativo;

Brand activation, ovvero di implementazione e produzione

autonoma dei contenuti rivolti al brand da parte dei suoi utenti e

consumatori (sempre all’interno di spazi creativi individuati

dall’azienda);

Brand francise, ovvero di trasformazione del brand in un universo

più complesso e articolato, declinabile in diversi contesti

commerciali e mediali.

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Per intervenire su tutti questi aspetti simultaneamente su più

piattaforme, rispetto all’advertising tradizionale le brand story

transmediali sfruttano:

La strutturazione del racconto in diversi livelli narrativi cui

corrispondono diversi registri di comunicativi e opportunità

esperienziali per il pubblico;

L’uso limitato di personaggi e la presenza di almeno un “ruolo

libero” a disposizione dell’audience;

La valorizzazione degli early adopter89

presenti tra gli storici

fedelissimi del brand, indispensabili come tutor e come casse di

risonanza iniziali per ottenere la giusta interpretazione dell’azione

comunicativa

Facciamo un paio di esempi.

Ideata nel 2008 da Ileana Douglas, la webseries Easy to assemble90

racconta le avventure di un’impiegata Ikea e dei suoi bizzarri colleghi di

lavoro, tutti contraddistinti da insopprimibili ambizioni artistiche o attoriali.

Giunta alla sua quarta stagione e arricchita da presenze di attori e registi

prestigiosi, la serie è una brand story che opera un intelligente merging con

diversi generi televisivi in ogni episodio e punta tutto sulla vicinanza del

brand alle famiglie, pur essendo sostenuta da strategie transmediali solo in

casi particolari quali, per esempio, la proposta di affittare una parte della

89

Il termine early adopter ("utente precoce", a volte indicato come trendsetter) indica un utilizzatore di nuovi prodotti, di nuovi servizi o di nuove tecnologie subito prima della loro diffusione di massa. Quando si fa parla di early adopter, si fa riferimento, tipicamente, a utenti che contribuiscono allo sviluppo e al miglioramento dei servizi sperimentati fornendo un feedback disinteressato, utile per gli eventuali interventi correttivi, al produttore, distributore o agli addetti all'assistenza. Gli early adopter sono considerati dalle aziende e dai fornitori di servizi come una risorsa essenziale per la messa a punto e per la valutazione qualitativa dei prodotti. Il termine fu usato per la prima volta da Everett M. Rogers in Diffusion of Innovations (1962)[1]. http://it.wikipedia.org/wiki/Early_adopter 90 http://www.easytoassemble.tv/index.php

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propria casa al catalogo Ikea, da tenere in bella mostra a pagamento nel

proprio salotto, in camera da letto e così via.

Esempio di vera e propria rigenerazione (brand exploitation) ottenuta

grazie a un progetto di narrazione transmediale è invece quello ideato in

occasione del trentacinquesimo anniversario di uno dei prodotti di punta

della multinazionale del giocattolo Mattel: Hot Wheels91

, per il quale

l’agenzia Starlight Runner creò nel 2003 un massiccio sistema

comunicativo competitivo composto da trentasei fumetti, quarantadue

personaggi, cinque serie animate distribuite su Cartoon Network, una

campagna Happy Meal in partnership con McDonald’s, un gioco di carte,

quattro film, un videogioco, un sito ufficiale e una ricca serie di prodotti di

merchandise che, pur a fronte di grandi investimenti, hanno garantito alla

compagnia un incremento complessivo del 40% nel consumo del prodotto

nei due anni successivi.

Fig. Prodotti Mattel per il trentacinquesimo anniversario del brand Hot Wheels.

91 Hot Wheels è un marchio in scala 1:64 auto giocattolo in pressofuso introdotta dall’ americana Mattel nel 1968. E 'stato il principale concorrente della Matchbox fino al 1997, quando la Mattel ha comprato Tyco Toys , l'allora proprietario della Matchbox. Molte case automobilistiche hanno licenza Hot Wheels per fare modelli in scala delle loro automobili, consentendo l'uso del design originale modelli e dettagli.

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4.3.7 Brand Gamification e advergame

La declinazione transmediale in chiave ludica della brand identity di un

prodotto, di un’azienda o di un’istituzione consiste nell’integrazione di

prodotti o meccanismi di gioco nella sua comunicazione o promozione.

L’obiettivo di questo tipo di strategia è evidente: avvicinare il pubblico a

messaggi complessi in modo più leggero e confortevole; rimodulare temi

poco popolari o al contrario “troppo quotidiani” e, allo stesso tempo,

potenziare e ringiovanire attraverso “il gioco” la familiarità del brand con il

pubblico (customer engagement).

All’interno di sistemi di comunicativi transmediali rivolti alle imprese e

alla comunicazione istituzionale, la componente ludica può essere

esercitata attraverso tre operazioni fondamentali:

1. La creazione di un progetto di brand gamification che reinterpreti

l’attività, il ruolo e l’immagine della compagnia per mezzo di giochi

e videogame usati per illustrare, descrivere o sperimentare

direttamente le sue attività;

2. L’arricchimento dell’offerta pubblicitaria e promozionale del brand

con forme di gioco quali gli advergame, contenuti a carattere

narrativo e ricreativo consistenti in iniziative dal consumo

individuale o competitivo (giochi digitali a squadre, urban quest

ecc.)

3. La creazione di reality game dedicato al lancio di un prodotto o di

una qualsiasi iniziativa.

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5 Felice Limosani

Digital Storyteller

“Testa per aria piedi nel cemento” il suo motto. Ha

messo una fetta d’anguria in bocca al coccodrillo

della Lacoste, trasformato il foulard di Pucci in

enormi mongolfiere e per celebrare il mitico

gommino di Tod’s ha creato un mondo con 10.000

matite infilate nella carta geografica in modo che le

terre emerse risultassero fatte da piccole gomme

marroncine. Felice Limosani92

creativo, un geniale menestrello in grado di

raccontare storie emozionanti che si riverberano positivamente su aziende

e persone. Non a caso ha collaborato anche con marchi come Nokia, Pirelli,

Coca-Cola, Adidas, Alfa Romeo e tanti altri, marchi che entrano nel

quotidiano. Felice spiega: “Faccio lavorare l’immaginazione, utilizzo tutto

quello che ho a portata di mano per toccare le corde segrete

dell’emotività: luci, suoni, forme e colori, la tecnologia come il sogno, la

logica come l’istinto più irrazionale” In poche parole ha la tipica creatività

combinatoria degli artisti contemporanei. Il sociologo Francesco Morace, i

cui testi ho usato anche per scrivere questa tesi, l’ha scelto come suo

partner in uno studio sull’economia dell’emozione, lo definisce “ digita –

story- teller”. Con Lui l’11 novembre 2008 ha partecipato ad un 92 Emozionare per mestiere, l’articolo è di Daniela Fedi, Il Giornale della Domenica 2 novembre’08

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importantissimo seminario in occasione dell’apertura della Barcellona

Design Week dove Limosani ha preparato un’installazione nella prestigiosa

Fondazione Mies Van der Rohe della città Catalana. Sulla carta d’intentità

del nostro eroe alla voce professione c’è scritto “disc jockey” mestiere che

ha fatto ai massimi livelli per 18 anni dall’82 al 2000. E’ stato uno dei miei

Dj preferiti, ricordo benissimo all’inizio della sua carriera le bellissime

serate presso la Discoteca Metropoli e il Club Maracanà di Foggia.

Insomma sono stato un suo fan, oggi è correlatore alla tesi della mia

seconda laurea, forse quella più importante, quella in Marketing.

Felice Limosani nasce a Rignano Garganico provincia di Foggia nel ’66.

Secondo lui è “un posto meraviglioso in cui ci sono solo olive, capre e

Padre Pio”. Sognava di diventare violinista, una cosa davvero

irrealizzabile visto che la sua famiglia non navigava nell’oro e per studiare

musica a livello professionale ci volevano e ci vogliono un sacco di soldi.

Racconta: “vengo da una onesta stirpe di sarti, i nonni paterni erano Ebrei

emigrati dalla Grecia in Puglia e costretti a convertirsi al Cristianesimo

oltre a cambiarsi cognome per sfuggire alle persecuzioni razziali”

L’originario Limos, che in greco significa “fango”, fu trasformato in

Limosani ma il nucleo familiare continuò a lavorare d’ago senza peraltro

arricchirsi. “Ho assorbito la cultura del fare da mia madre, una donna

straordinaria per cui da bambino andavo sempre in merceria a comprare

le stoffe e i bottoni con cui lavorava a ciclo continuo” . Proprio a lei un

giorno disse” da grande voglio fare il Dj” perché aveva sentito parlare che a

New York c’era gente capace di far la musica con le mani poco prima di

vedere la febbre del sabato sera. Ad appena 16 anni è stato assunto al Raya

di Panarea dove sperimenta il genere “chill out” e “ambient”. Insomma

una carriera atipica quella di Limosani. Quando gli si chiede quale sia

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esattamente il suo lavoro si mette a ridere e commenta: “ Sono un direttore

creativo, sono un comunicatore che non usa la pubblicità, che mette

racconti e immaginazione laddove c’è un prodotto93

. Faccio video arte ( i

suoi lavori sono stati esposti alla Tate di Londra, al Centre Pompidou, al

Palais de Tokio) ma fondamentalmente sono un digital storyteller, un

moderno cantastorie” Cosa sia lo Storytelling è lui stesso a spiegarlo: “ E’

una forma di narrazione nata spontaneamente negli ultimi anni grazie alla

diffusione delle tecnologie digitali”. In pratica la storia comincia con le

parole, poi viene scritta e successivamente traslata in immagini, musiche e

testi per essere vissuta e condivisa nel web, nei cellulari, nell’Ipod o nei

computer. Oppure può diventare un’installazione, una performance, una

mostra.

“Nella comunicazione occorre avere qualcosa da dire oltre che da

dare. La brand story prevale sulla brand Image perché la prossima

sfida non sarà il nuovo prodotto ma la storia giusta” “Il lavoro deve

avere senso, deve essere abbinato al tempo e allo spazio in cui si

vive, animare l’immaginario, così la gente trova la scintilla di

connessione.”

Un’idea viene: “ con una buona dose di volontà e poesia” Chi progetta non

mi fa impazzire, preferisco chi lotta per concretizzare cosa ha sentito e

visto a occhi chiusi. Le idee arrivano restando fedeli a se stessi e gestendo

la paura come sentimento costruttivo, di verifica ma non di blocco. Quando

fai qualcosa di speciale, c’è sempre il rischio che non vada per il verso

giusto: sorgono dubbi e timori, ma è segno che sei ancora con i piedi per

93 Limosani, L’artista senza galleria “Sono un cantastorie digitale” - articolo di Repubblica Affari &Finanza del 7 dicembre 2009

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terra, sano” Il mio mondo in tre parole. “Semplice, visionario e ricco di

sentimento”.94

Non per caso è il curatore “ non convenzionale” presso la Fondazione la

Triennale di Milano con un compito non facile: aprire la strada e far

conoscere al pubblico l’Expo 2015, Conoscere, gustare, divertirsi. In

un’intervista a cura di Francesca Lombardi : Toccare con mano su Capri,

The Divine Coast alla domanda: “ E’ possibile assicurare a tutta l’umanità

un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile? Limosani risponde

con due meta parole: Riflessione e Emozione.

Riflessione perché la Terra, dopo aver nutrito per millenni, ha bisogno di

nutrimento, fatto di rispetto, di atteggiamenti sostenibili, di tecnologie

evolute e di visioni nuove.

Emozione perché il nostro cervello è cablato con esse. L’arte e la creatività

sono un detonatore interiore capace di migliorarci e spingerci avanti. Solo

l’uomo, artefice fin qui di uno straordinario percorso d’evoluzione e

intervento sulla natura, può porre nuove domande oltre a dare risposte.

L’imperativo che auspico dopo riflessione e emozione è: azione!

Come dire essere reali con la fantasia.

Felice Limosani scrive: siamo imprigionati in strategie commerciali, in un

diffuso processo di omologazione dove la diversità tende a scomparire a

favore di una cultura commerciale gestita da pochissimi brand. Il 19% del

Pil mondiale è prodotto da soli 100 marchi. Entriamo in luoghi di consumo,

di vita culturale, di azione sociale, e siamo sempre più assediati da un

pensiero unico, monocorde, orientato semplicemente alla vendita e alla

facilità di pensiero. Dove tutto deve essere seducente, luccicante, non 94 Spie Moda a cura di Chiara Tronville, 23 Aprile 2001 d.repubblica.it

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creare problemi, non sviluppare dubbi, essere semplice e diretto. Viviamo

in una enorme prigionia commerciale fruitiva che non produce pensiero

evolutivo. Il risultato è una mortale carenza di diversità dove la ricchezza

tipologica si perde e diventa rarità. "The world is flat", recitava l'ultimo

libro di Thomas Friedman. Ma è davvero così? O in realtà è

incredibilmente ricco di vita, magari lontana dai centri di smistamento?

Quale potrebbe essere una strategia che rovesci l'equazione, dove i clienti

non siano più consumatori, ma siano persone attive, vive, vere trasformate

in ricercatori. Cosa succederebbe se l'esperienza del consumo si

trasformasse in una dimensione di arricchimento, non ovviamente delle

finanze di chi vende, ma di arricchimento culturale? Cosa succederebbe se

le tipologie si rovesciassero e se le funzioni venissero attivate? Se

generassero diversità di pensiero, artisticità, sviluppo di altre funzioni non

legate semplicemente alla vendita di un prodotto? Un approccio diverso

garantirebbe uno straordinario vantaggio in termini di comunicazione,

espansione, reciprocità. Una straordinaria opportunità per preservare

diversità e ricchezze tipologiche, aprendo nuove vie comunicative. La

diversità culturale amplia infatti la gamma di opzioni aperte a tutti; è una

delle radici dello sviluppo, del confronto, della relazione. Il lavoro dell'arte

laterale e dello sviluppo di un pensiero non convenzionale, con una

funzione (anche) economica, apre ad una nuova modalità di introdurre

componenti di cultura indipendente e non massificata anche nel

massmarket. Questo tipo di azione oggi sta diventando una buona pratica

che è in capo ai nuovi narratori contemporanei che utilizzano la globalità e

la potenzialità della diffusione istantanea di messaggi attraverso media

commerciali, per portare messaggio e arte. Su questo Gilles Clement ha

scritto pagine potenti e visionarie che vanno sotto il nome di "Terzo

Paesaggio". Il lavoro che dunque propongo costantemente negli ambiti più

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disparati, cerca proprio in questa diversità di pensiero la sua forza. Sono

opere in cui i soggetti vanno a generare nuove dimensioni estetiche e

stilistiche, nuove modalità di pensiero e di approccio, a rivedere i canoni

usurati e a rigirarli. Il tema infatti non è più di piegare le persone ad un

proprio messaggio ma al contrario invitarle a piegare il messaggio della

marca, del brand, del progetto alla loro curiosità e alla loro immaginazione,

scatenando proprio questa dimensione partecipativa nei processi creativi e

cognitivi. In questo caso non è semplicemente un'azione di comunicazione

ma un'azione profonda, vera e comunicativa. Non si tratta di azioni di

superficie e di grafica, più o meno brillante, quanto di aderire ad un

progetto che si percepisca come memorabile. Il narratore contemporaneo si

pone dunque come medium privilegiato nella creazione di una storia che

abbia i principi della fascinazione ma che contenga anche tutti i pilastri

dell' arte. Quindi nell’era dell’innovazione permanente l’incrocio creativo

tra arte, comunicazione e tecnologia sta tracciando un ampio insieme di

esperienze che caratterizzeranno il futuro, e in parte già delineano il

presente. Questo vale trasversalmente per i luoghi della cultura come per le

brand evolute, divenute veri laboratori di sperimentazione dei nuovi

linguaggi espressivi. In questi ambiti, sia pur diversi ma con denominatori

comuni, il pubblico ha cessato di essere spettatore. Sempre più è parte

integrante dei processi di un engagement atto alla conoscenza e alla

condivisione. In un progetto culturale non noioso o di comunicazione non

banale, diventa indispensabile mettersi in gioco con le idee, realizzare e

condividere narrazioni talentuose, su piattaforme differenti e con linguaggi

multipli. Questa nuova dimensione mi ha permesso si aprire la strada allo

storytelling contemporaneo. Una tecnica nata negli anni '50 come

strumento di “convincimento” politico e industriale trasformata in un atto

di “coinvolgimento” artistico e culturale ricco di estetiche. In questo

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scenario si concretizzano modalità ibride della relazione con il pubblico su

cui riflettere, con approcci dove essere reali con la fantasia è la sfida.

Dopo questa bellissima ed interessantissima lettura ho chiesto a Felice

Limosani: perché abbiamo bisogno di racconti?

In base alla mia esperienza di storyteller posso affermare con certezza che

la narrazione va a braccetto con l’emozione: la stessa che ci introduce alla

comprensione dell’altra metà del mondo cognitivo, cioè di quella patina

immateriale, simbolica, sensibile, affettiva, creativa, che sfugge alla rete

del pensiero razionale. La narrazione è un condensato di emozioni, le stesse

con cui il nostro cervello è cablato. Essere storyteller, prima che un

mestiere, è una vocazione abbinata a una mentalità precisa: cercare di

capire cosa sta per diventare il mondo. Lo storyteller attinge a linguaggi

passati ma scava e scova nel futuro simboli, poetiche, metafore, tecniche,

tecnologie e molto altro ancora. Inoltre, lo storyteller contemporaneo

differisce dal narratore tradizionale perché è cambiato, ed in maniera

radicale, il modo di fare esperienza.

Il mio storytelling si oppone senza riserva ad ogni forma di narrazione

subdola e fuorviante. Che si tratti di un brand, di una galleria d’arte, di una

fondazione o di un gruppo di amici, il ruolo dello storyteller nell’epoca

della produzione immateriale è quello di mettere in cornice un messaggio,

un’idea, una sensibilità, universalizzandola in modo che possa parlare a

tutti e a più livelli.

L’unica regola valida è: ridefinire ogni sapere in vista di un linguaggio

attraente e comunicare qualsiasi messaggio con trasparenza,

immaginazione ed estetica. Successivamente, sarà l’unione di talento ed

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intùito ad assemblare la giusta miscela crossmediale. Per questo, parlare di

“digital” storytelling non è tutto. Digitale, nella mia pratica, definisce solo

la formula di un atteggiamento, uno stile di pensiero che consiste

nell’immaginare la creatività come flusso, come gioco al rilancio, come

spostamento in avanti della soglia di percezione, come atmosfera ludica,

magnifica o semplicemente seduttiva. La trama è tipica

dell’argomentazione: un inizio, uno svolgimento, una fine. Invece, la mia

committenza mi chiede di muovere idee, attivare processi, spingere in

avanti, dare energia ed estetica ai luoghi, agli oggetti, al pubblico. In questa

ottica, la storia rappresenta una strada maestra carica di vissuto umano,

capace di irradiare energia (lo spirito), raccontare (la tecnica), esprimere

talento e unicità (l’arte).

Nulla, forse, è passato indenne attraverso la rivoluzione digitale. È

cambiata la società, noi stessi ci siamo modificati, abbiamo cambiato pelle

e mente, abbiamo acquisito nuovi schemi percettivi. In questa ottica,

l’epicentro è la rivoluzione digitale ma il centro esiste dalla notte dei tempi:

è l’essere umano! Gli strumenti veri dello storyteller sono il desiderio di

comprendere, re-immaginare e creare su scala umana morfologie proprie e

altrui. Con disinvoltura artistica e pragmatismo imprenditoriale

il mio modo di operare è molto diverso da quello che comunemente si

intende per storytelling. Dissociandomi dalla narrazione come tecnica

(spesso manipolatoria) della comunicazione a fini condizionanti, ho sempre

preferito raccontare con l’ampio spettro tonale dell’arte, del gusto e della

bellezza. Così, se lo storytelling, spesso, si appiattisce sulle modalità di

seduzione passiva del fruitore (all’interno di logiche unicamente

economiche), al contrario le mie intenzioni sono rivolte ad una dimensione

progettuale, in cui le tecniche di seduzione diventano proattive,

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coinvolgenti, partecipative. L’asse del giudizio si sposta così dall’autore al

fruitore, perché è chi osserva a decidere cosa e quanto vale.

Se, da una parte, le economie tendono a globalizzarsi, dall’altra tentano di

innovarsi puntando anche su aspetti immateriali che riverberano unicità. I

brand principali, le istituzioni culturali e più in generale le realtà

committenti hanno da poco appreso e compreso che la mancata qualità di

immaginazione nella propria organizzazione interdice l’accesso alle nuove

possibilità offerte dal mercato.

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Case History

La ricetta segreta della Coca Cola?

Coca- Cola Journey: ecco come lo storytelling influisce sulle strategie aziendali

“Se le persone ameranno la storia che racconti, ameranno senz’altro te”.

Niente di più vero nel mondo della comunicazione dei giorni nostri e

questo Coca-Cola lo sa. La grande azienda americana non ha certo bisogno

di presentazioni, il suo successo è “nella bocca di tutti” e vuole continuare

a far parlare di sé con altrettanto grandi campagne di comunicazione,

decidendo di investire sul grande trend del momento, lo storytelling,

portando una ventata di aria fresca sul suo sito aziendale.

Comprendendo a pieno il potere della comunicazione attraverso la

possibilità di raccontare storie, l’azienda ha dato una nuova veste al proprio

website, che ora presenta un nome diverso e non solo. Coca-Cola Journey

si presenta come una rivista digitale interattiva, ricca di contenuti che

toccano “a rotazione” temi come: cultura popolare, social media, brand

identity, marketing strategy, ricette e consigli per la carriera

professionale.

Il progetto Coca Cola Journey è stato definito dalla stessa azienda come «il

progetto digitale più ambizioso che abbiamo mai intrapreso» e si avvale,

oltre al personale interno di Coca Cola, anche del contributo di 40 blogger,

giornalisti e fotografi freelance.

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Il sito si rifà al magazine aziendale pubblicato dal 1987 al 1997 e

navigandolo troviamo, infatti, molto materiale inedito proveniente dagli

archivi Coca Cola.

Coca Cola Journey si presenta quindi come un vero e proprio esempio di

progetto legato al corporate storytelling, e non solo un mero sito “vetrina”.

Ashley Brown, Direttore della comunicazione digitale e dei social media di

Coca Cola Company, sostiene infatti:

“crediamo di essere il primo marchio a mettere in discussione il ruolo che

un sito aziendale dovrebbe avere e a sostituirlo con una rivista interattiva

focalizzata su contenuti reali. E’ un rischio, ma sono ansioso di vedere

cosa riserverà il futuro e come reagiranno i lettori. “

C’è dell’altro oltre le storie: il nuovo sito è nato dopo una moltitudine di

studi e approfondimenti. Coca-cola ha affrontato l’intero anno passato,

cercando di capire quali sono i contenuti più interessanti per il pubblico del

web e ne è uscito un prodotto molto interessante. Come nella maggior parte

degli studi commerciali, diversi sono stati i risultati sorprendenti e allo

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stesso tempo essenziali per lo sviluppo del nuovo sito. È stato proprio

attraverso il blog che il direttore della comunicazione di Coca-cola ha

affermato che: le storie che i lettori hanno amato ci hanno sorpreso del

tutto, e le storie che abbiamo pensato piacessero non sono andate tanto

bene, finendo al di sotto delle nostre attese. Numerose sono state le

modifiche fatte da Coca-Cola in base al feedback dei clienti, come

l’aggiunta di nuove categorie legate al cibo e alla musica.

Il Potere nelle mani del lettore

Caratteristica importante del nuovo sito è che i lettori vengono prima di

tutto. Ogni contenuto e post del sito si basa su un continuo feedback dei

consumatori. Gli articoli più cliccati e più commentati sono presi come

esempio per i post futuri: il sito evidenzia le storie più popolari, che a loro

volta danno una grossa mano ai blogger, i quali correggono il tiro sugli

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argomenti cui ispirarsi per i loro futuri post, al fine di ingaggiare ancora di

più i propri lettori.

La condivisione è sempre al primo posto. Ogni articolo ha i classici

pulsanti di condivisione che hanno lo scopo di promuovere i diversi post

con i social più noti. Tutto questo porta a un risultato finale pazzesco, che

coinvolge sempre di più il pubblico nel mondo Coca-Cola. Non solo

contenuti, ma anche un pacchetto multimediale di grande qualità. Ogni

contenuto, infatti, è continuamente accoppiato con immagini di livello,

agevolando il lettore a carpire i contenuti e invogliandolo così alla lettura.

Questo tipo di esperienza dimostra come, a volte, può essere molto utile per

le aziende fare un restyling del proprio profilo aziendale al fine di

avvicinarsi sempre di più ai clienti, offrendo loro un prodotto curato e

condivisibile. Non a caso i consumatori sono continuamente alla ricerca di

contenuti e informazioni virali, che facciano appello alle loro esigenze, e

qui lo storytelling può essere la risposta.

Coca-Cola è stata una delle società globali a fare da apripista con questo

innovativo metodo di marketing, attendiamo i successori e speriamo che

siano in grado proseguire e, perché no, migliorare in questo progetto.

Lo storytelling sta assumendo un ruolo primario nelle strategie di

marketing aziendali, che attraverso le storie raccontate cercano di

sollecitare il lato emozionale dei contenuti proposti; e Coca Cola Journey è

un esempio lampante di come questo possa diventare, all’estremo, il

cardine della strategia di comunicazione 2.0 aziendale!

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Case History

Jack Daniel’s trasforma i discorsi da bar in

brand storytelling.

L'operazione Tales of Mischief, Revelry and Whiskey parte proprio dai

racconti sentiti nei bar bevendo al bancone.

Esiste una taverna nel centro della mia città, nascosta nel dedalo dei vicoli

più antichi, dove persone di tutte le età si incontrano da centinaia d’anni. Il

pretesto è quello di bersi un bicchiere di vino, ma le vere motivazioni sono

altre. Qui puoi infatti incontrare avventori di ogni tipo, appoggiati ai lunghi

tavoloni di legno, che condividono entusiasti le proprie storie. Giovani

viaggiatori, anziani dal passato avventuroso, viandanti tuttologi di

argomenti sconosciuti ai più.

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L’operazione Tales of Mischief, Revelry and Whiskey parte proprio da

qui, dai racconti sentiti nei bar bevendo al bancone. Girando per locali,

pub, osterie e roadhouse in giro per gli Stati Uniti, Jack Daniel’s ha

raccolto, selezionato e pubblicato alcune delle storie più incredibili.

Ascoltatene qualcuna, navigando il sito favoloso

(www.barstories.jackdaniels.com) creato apposta per l’operazione, farcito

di musiche, suoni e chiacchiericcio tra i tavoli di sottofondo.

Jack Daniel’s si pone così come portavoce della gente comune, creando

uno storytelling multicanale che offre ampie garanzie di intrattenimento

originale.

E’ il trionfo dello storytelling: un buon concept, contenuti esclusivi, ritmo

incalzante, rapporto diretto con l’audience e tanta tanta creatività (si sa che

al bar le storie vengono sempre un po’ esagerate).

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Jack Daniel’s, brand americano leader nella vendita di whiskey, ha capito

il potenziale di questa narrativa da bar, e ne ha fatto un’operazione di

storytelling multicanale che ci proietta tutti per qualche minuto in una

bettola dell’Alabama ad ascoltare le storie del vecchio del paese.

Di seguito alcuni video95

che raccolgono le testimonianze96

(ne sono stati

girati 7 in totale). L’operazione ideale per i copywriter ed editor, che si

sono limitati a trascrivere e registrare le testimonianze della gente comune.

95

http://www.ninjamarketing.it/2014/09/26/jack-daniels-discorsi-da-bar-in-brand-storytelling/ 96

http://www.adweek.com/news/advertising-branding/how-jack-daniels-searched-all-over-country-best-bar-stories-160166

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Case History

Narrazione e identità :

Analizziamo ora un brand che è stato in grado di narrare la sua identità:

“Dove” (http://www.it.dove.com/it/) Questa marca ha saputo ascoltare il

suo pubblico (tendenzialmente femminile), evidenziando un malessere

latente, generato dal divario tra la bellezza femminile vera e quella

proposta dai media, orientata verso canoni estetici basati sulla eccessiva

magrezza, sul fotoritocco per eliminare qualsiasi forma di inestetismo o di

piccolo difetto, diffondendo così l’ideale di una donna perfetta. Trattandosi

esclusivamente di un canone aspirazionale inesistente realmente in natura

(anche le donne più belle qualche piccolo difetto lo hanno), si rileva nel

genere femminile da un lato una sorta di frustrazione dovuta

all’impossibilità di raggiungere questi canoni e dall’altro, un’insicurezza

diffusa, una ridotta capacità ad accettarsi così come sì è.

E “Dove “è stato in grado di rilevare questa percezione distorta della realtà,

egregiamente espressa in un video intitolato “Evoluzione”97

, dove

accompagna il suo pubblico su un set fotografico, svelando la

trasformazione di una bella donna, che, opportunamente truccata e foto-

ritoccata, diventa di una bellezza strepitosa. Si viene così catturati da una

storia creata solo attraverso l’uso di immagini e priva di narrazioni orali, ci

si immerge in questo processo di trasformazione e se ne esce consapevoli

che non sempre la bellezza a cui si assiste è reale.

97 http://www.youtube.com/watch?v=Ol_4UZuEmJA

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Dove ha ulteriormente approfondito il suo processo di individuazione di

messaggi in grado di soddisfare i bisogni latenti del proprio pubblico

femminile, focalizzando l’attenzione sulla mancata percezione della propria

bellezza, inserendo nella propria narrazione di Brand orientato alla

bellezza autentica, la sua natura eroica di paladino che combatte

sottilmente, in profondità per rendere le donne (da quelle ancora in boccio,

a quelle più mature) consapevoli della propria unicità, invitandole ad

imparare ad amarsi di più e ad apprezzarsi maggiormente. Anche questo

messaggio è stato trasformato in un video98

.

Le sequenze sono in grado di evidenziare il gap esistente tra la percezione

di noi stessi e come invece ci vedono gli altri. La prova “scientifica”

avviene grazie ad un ritrattista che disegnava due volte il volto di alcune

98 http://www.youtube.com/watch?v=DrGlJ0odXfM

Percezione distorta della realtà

Bellezza autentica

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donne senza averle precedentemente viste, prima basandosi sulla

descrizione della donna stessa, poi basandosi sulla descrizione fatta da una

terza persona. Ne risultavano due volti ben diversi tra loro: dal primo,

esteticamente meno piacevole, traspariva una maggior criticità delle

modelle verso se stesse, la capacità di individuare solo ed esclusivamente

aspetti negativi dei propri lineamenti e la tendenza anche a descriversi

ancor più negativamente; il secondo ritratto, invece, era rappresentativo di

una bellezza più piacevole e, soprattutto, maggiormente corrispondente alla

realtà.

E in questa opera di evangelizzazione della vera bellezza autentica, la cui

consapevolezza manca alla maggior parte dell’universo femminile, dove

sono i prodotti di Dove? Spariti completamente dal video: resta solo il

Brand a ricordare la narrazione di una marca che presta attenzione alla

bellezza femminile, quella autentica.

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Case History

Dal capo della Chiesa indicazioni e strategie

per chi è a capo di un’azienda. O vuole

convincere un pubblico.

a conquistato tutti con un “buonasera”. Piace perché rinuncia al

lusso. Ha rivoluzionato la Chiesa (fermezza con lo ior, i preti

spendaccioni e i pedofili), ma lo ha fatto senza abbandonare il

suo sorriso gentile. Da cardinale, si spostava solo sui mezzi pubblici. Lo

faceva perché è sempre stato un tipo sobrio, ma anche perché aveva capito

una delle strategie chiave del leader di oggi: ascoltare il proprio pubblico.

Pochi spunti e già si capisce come Jorge Mario Bergoglio, argentino di 77

anni, dal marzo 2013 noto come Papa Francesco, nella sua scalata ai vertici

della Chiesa abbia lasciato poco al caso: In lui istinto e ragione si sposano

in un mix tutto da copiare.

H

Foto del Papa super Eroe twittata dal Vaticano.

A lezione da Papa Francesco: genio del

Marketing e dello storytelling, in una

metafora di Bruno Ballardini.

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La presente intervista, comparsa su Millionaire di Novembre ‘14, a Bruno

Ballardini99

autore del Libro: Leader come Francesco, Piemme editore,

molto significativa per il lavoro che ho svolto in questa ricerca di tesi sulla

Comunicazione strategica e sullo storytelling.

La chiesa come brand, Il Papa come Ceo e la nuova strategia volta ad

un riposizionamento sul mercato. Ci parli di di questo parallelo?

“Seguendo la metafora, la più grande multinazionale della storia

distribuisce un prodotto, che si propone come il migliore: la dottrina. I

punti vendita sono le chiese sparse nei quattro continenti, la più capillare

rete di distribuzione mai vista. Questo prodotto, come il marketing più

avanzato ha escogitato solo alla fine degli anni ’80, è gratis, con garanzia

illimitata. Quello che si paga è la customer care, l’assistenza ai credenti,

che è disponibile solo nei punti vendita e solo con ricambi originali della

marca (il Magistero della Chiesa). Ora, se il prodotto entra in una fase di

crisi perché non è stato aggiornato per troppo tempo, occorre un’operazione

di riposizionamento per adeguarlo alle nuove esigenze della società. Non

basta un restyling. Occorre riunire un concilio, pardon, un consiglio di

amministrazione, in cui vengano tracciate le nuove linee di sviluppo del

prodotto in funzione delle esigenze dei consumatori”

99

Bruno Ballardini Pubblicitario, scrittore nasce a Venezia nel 1954. Mi sono laureato in Filosofia del Linguaggio con Tullio de Mauro e ho studiato composizione e musica elettronica con Franco Evangelisti. Come pubblicitario ho militato nelle più grande agenzie, ora mi occupo di comunicazione strategica e scrivo libri. Quelli a cui sono più affezionato sono due: uno del 1994 in cui ho dichiarato per primo la morte della pubblicità, uscito di nuovo recentemente in edizione aggiornata. E un altro del 2000 in cui ho dimostrato che è stata la Chiesa a inventare il marketing, libro tradotto in 11 paesi. Nel 2011 esce Gesù e i saldi di fine stagione (Piemme) ed è la risposta a una sfida che mi è stata lanciata da un cardinale. Si intitola. Spero di avergli risposto a tono. Il mio ultimo libro è del 2014 e s’intitola Leader come Francesco (Piemme).

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Quali sono le principali qualità di Papa Francesco?

“Il suo carisma e l’enorme preparazione acquisita non solo teoricamente,

ma soprattutto sul campo, che non si ferma all’erudizione e si fa prassi, si

applica alla risoluzione dei problemi, a differenza del Papa precedente che

era solo un teorico. Le azioni del Papa hanno un unico obiettivo: preparare

il terreno per le riforme. Ti conquista con un’irresistibile empatia. E la sua

rapidissima capacità decisionale che deriva da una formazione di tipo

militare, maturata in quella che potrebbe essere definita come la miglior

scuola di management: La Compagnia di Gesù. Questo produce uno stile di

leadership inusuale, efficacissimo, capace di spiazzare.”

Cosa Imparare dal Papa come leader?

“ Saper ascoltare è tutto per un leader. Francesco ha inaugurato il suo

papato con un’enorme operazione di auditing interno, affidandola a

consulenti esterni del calibro di Kpmg, Ernst & Young e McKinsey, per

una maggiore trasparenza. Ma anche a livello personale, ha un modo di

rapportarsi lontano anni luce da quello di chi parla solo ex cathedra”

Il Papa usa perfino lo Storytelling?

“L’ha fatto sin dal suo primo discorso. In quel “Buonasera….” C’era già

tutto il programma: riportare la Chiesa ai valori fondanti, alle cose

semplici, ai sentimenti. E ha continuato a farlo, narrando “un mondo

possibile”. Il fulcro dello Storytelling è “il ponte narrativo” che permette

al pubblico di arrivare nel nuovo mondo, lasciando quello vecchio. La

parola “pontefice” significa “costruttori di ponti”. In questo caso, il

costruttore sa farsi ponte egli stesso per guidare il gregge e portarlo in

salvo”.

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E rispetto ai suoi predecessori?

“Wojtyla ha fatto spettacolarizzazione del prodotto. In marketing si usa

fare così quando un prodotto è in crisi e deve essere aggiornato: si aumenta

la pressione pubblicitaria creando più attenzione intorno alla marca per

continuare a vendere, mentre si mette mano a un aggiornamento. Ma il

successivo amministratore delegato (Ratzinger) non l’ha fatto e ha dovuto

rassegnare le dimissioni: Francesco si è comportato come un “curatore

fallimentare” affiancando l’ultimo Ceo per traghettare la multinazionale

fuori dalla crisi”.

Quale è stata la cosa più rivoluzionaria che ha fatto?

“ Tutto quello che fa è rivoluzionario. Ma, nello stesso tempo, procede in

modo cauto. C’è un’ala conservatrice della Chiesa che non vuole nessun

cambiamento. Francesco parte sempre dalla customer Satisfaction. In

questo senso, il questionario on line inviato a tutte le diocesi del mondo nei

primi mesi del suo papato per conoscere le nuove istanze dei fedeli, è

un’iniziativa di crowdsourcing”

E l’uso di internet e i social?

“ E’ una delle sfide che Francesco ha accettato: usare i social e i

nuovi strumenti offerti da internet come mezzo di

evangelizzazione. Per fare questo occorre anche indicare un modo etico di

utilizzare la Rete: Papa Francesco è su Twitter con @Pontifex_it. Così è

nato Aleteia, il primo aggregatore globale dei Web cattolici, capace non

solo di attrarre pubblico, ma anche di fornire un “timone” etico per la

navigazione in Rete. E poi AdEthic, la prima media agency per la

pubblicità etica”

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Qual’ è la sua lezione più importante?

“ Il potere è, prima di tutto, saper servire. Servire gli altri, servire l’azienda.

Oggi molti manager non sono capaci di fare questo e si limitano a

esercitare il potere senza avere nessuna autorevolezza”

I segreti di Papa Francesco da copiare subito

Tratta tutti allo stesso modo, dal capo di Stato al barbone, dal singolo

alla folla, dal religioso al laico;

Rinuncia al lusso ( per i simboli niente oro, solo argento e semplici

calzature da prete al posto delle scarpine rosse di Prada del suo

predecessore);

Ascolta, si mescola alla gente, rivoluziona il protocollo, non mette

barriere tra se e gli altri;

Da vero leader, è il primo a dare l’esempio;

Pugno di ferro in guanto di velluto: inflessibile, ma anche sorridente

e gentile.

Agisce seriamente, senza prendersi troppo sul serio ( come quando

ha consigliato una “medicina spirituale”: la Misericordina100

100 http://www.youtube.com/watch?v=6orUWushNTk

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CONCLUSIONI APERTE

Siamo alla fine di un percorso, in questo viaggio abbiamo toccato tanti

temi accomunati da due tematiche di fondo: l’impresa e lo storytelling

come nuovo mezzo di comunicazione. Abbiamo parlato di storie e di

racconti, di narrazione e soprattutto di emozioni, atmosfere, suoni e

immagini. Quando si racconta in modo efficace si producono sempre effetti

performativi, estetici, etici. Estetici perché le storie efficaci funzionano e

sono “belle”. Hanno un non so che di perfetto. Generano presenza e non

assenza. Etici perché le storie che funzionano, consegnano sempre qualcosa

all’interlocutore. Se racconto qualcosa di me o dei miei prodotti devo

essere coerente con la narrazione che sto facendo, ma anche perché nessuna

narrazione può essere imposta, ma co-generata. Questo è un passaggio

importante. C’è una certa declinazione dello storytelling che vede oggi, in

questo dispositivo, uno strumento di manipolazione del consenso. In realtà,

essendo la narrazione parte del pensiero e della vita umana il problema non

sta tanto nella manipolazione del consenso quanto piuttosto nel grado di

partecipazione del consumatore, del cliente, del cittadino. Questa è la mia

consapevolezza. Possiamo dire che prima ancora di un bene o di un

servizio, noi compriamo una storia che ci rafforza o consola, inorgoglisce o

riscatta, si fa possedere, possedendoci. Ma le narrazioni, debbono essere

autentiche, coerenti, o meglio dire oneste.

La narrazione onesta, secondo Benjamin, deve essere utile, solida e

irripetibile. L’utilità della storia esiste se essa è tale da poter essere presa

per noi come punto di partenza e non di arrivo. In essa è insito l’invito a

proseguirla, contaminandola con la nostra reale esperienza di vita.

“Solida” è da intendere, invece, come sinonimo di autorevole, laddove

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l’autorevolezza è data dall’essere in grado di riferire il racconto alle storie

ultime, alla storia universale, all’ininterrotto ciclo vitale, costituito da

nascite e morti dall’origine dell’umanità ad oggi. Infine, “irripetibile” va

inteso come tensione all’unicità artistica, che va oltre il luogo e il tempo

della narrazione, verso una dimensione mitica e ideale per il compimento

del rito. Nell’epoca del prosuming e del networking sociale, in cui in un

batter di click le azioni di un’azienda sono rese pubbliche, non ci si può più

sottrarre come in passato. L’architettura della comunicazione aziendale,

dato il nuovo contesto, sta seguendo una parabola evolutiva secondo diversi

step che ne condizionano l’ascesa. Da questo punto di vista le parole chiave

del flusso comunicativo 2.0 sono le seguenti: partecipazione, dialogo,

interazione, ascolto e controllo. Se volessimo riassumere il tutto in un solo

vocabolo parlerei di relazione . Tale concetto è oggi centrale per ogni

attività comunicativa e si basa su un’attività di scambio di informazioni

reciproco. A questa parola aggiungerei poi l’idea di autorità (l’abbiamo

incontrata pocanzi), perché l’azienda non deve mai dimenticare il valore

dei propri messaggi e deve saper dosare con misura le proprie parole. Forse

è proprio l’idea di parola ad essere il centro del culto della comunicazione

oggi: saper comunicare in modo efficace significa dare l’importanza

necessaria ad ogni parola presente nel testo, nel comunicato stampa, nel

video, nel messaggio. Nel nuovo mondo dei social media, caratterizzato da

libertà di scelta, dialogo e partecipazione, le storie conservano tutto il loro

potere e lo storytelling di marca ha nuove opportunità di ispirare e

convincere i consumatori. Le marche tuttavia devono reinterpretare

profondamente il loro ruolo e capire come entrare in relazioni nuove con

gli utenti della rete – anche sul terreno simbolico. L’epoca in cui storie di

marca precostituite e di carattere invasivo potevano spingere

soddisfacentemente le vendite si sta esaurendo. La nuova realtà che il web

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.17

3

rappresenta, specie tra le nuove generazioni, implica una radicale

trasformazione socioculturale nella quale il controllo dei processi

comunicativi si sta spostando in direzione delle audience. Ciò a sua volta

comporta la necessità di modi nuovi di ideare e diffondere storie di marca.

Attraverso i social media i consumatori, i cittadini sono posti ora nella

condizione di esprimersi in merito ai brand in misura mai sperimentata in

precedenza. Invero sulla Rete l’interesse e la passione per marche e

prodotti li inducono a farlo continuamente. Per le aziende la sfida da

raccogliere è quella di imparare a porsi all’ascolto e poi contribuire alle

conversazioni in atto, riposizionandosi come membri attivi di community

vitali, dialoganti, creative.

Il grande vantaggio che le imprese possono ricavare da queste nuove

tendenze è la possibilità che le proprie storie di marca nascano a partire

dalle aspettative sociali diffuse e attingendo pienamente alla ricchezza di

idee, immaginazione e cultura del pubblico. Soprattutto attraverso l’apporto

co-creativo degli utenti della rete, si apre la possibilità che lo storytelling di

marca riesca sempre più a esprimere i significati e i valori simbolici che un

brand possiede. In un processo di questo tipo gli individui componenti le

audience possono diventare non solo coloro che acquistano e consumano i

prodotti, ma anche gli storyteller, coloro che contribuiscono a ideare e

raccontare le storie di marche. Perché gli individui dovrebbero farlo?

Perché lo fanno già producendo forme molteplici di user-generated

content; e per il piacere di far vivere le marche che amano in mondi

immaginari e mitici ma dotati di senso, nei quali identificarsi per dare

maggior valore alle proprie esperienze di consumo. Il brand narrativo sarà

pertanto in grado di fare la differenza, specie in un mercato colmo di

messaggi e contenuti; sarà la molla che indurrà a scegliere un prodotto

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4

piuttosto che un altro. Le persone, infatti, filtreranno sempre di più le

informazioni disponibili, saranno sempre meno attente ad alcune forme di

messaggio, orientandosi verso prodotti con i quali condividono una storia,

verso ciò che è in grado di suscitare in loro più emozioni, con i quali si

identificano di più, in quanto si tratta di un brand che ascolta la sua

audience, che risponde ai suoi bisogni ed è in grado di mutare alcune

sfaccettature della propria personalità, per corrispondere meglio alle

esigenze rilevate. Il brand, la storia del brand, la sua unicità, il modo in cui

viene raccontato si trasforma quindi in un valore economico, in quanto è in

grado di generare ciò che è stato definito “capitale narrativo” (cit. Andrea

Fontana)

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VIDEO

Spot Tv Nutella Nazionale Italiana

http://www.youtube.com/watch?v=wIN18YTlsXY

A' Mè Me Piac A' Nutell - Piccolo Lucio

http://youtu.be/7WMaDyA8F0A

Nutella - 50 anni di Emozioni insieme

http://www.youtube.com/watch?v=XiCgeBX8QfY

Apple - iPad Air - TV Ad -Your Verse

http://www.youtube.com/watch?v=jiyIcz7wUH0

American Stories, American Solutions: 30 Minute Special

http://www.youtube.com/watch?v=GtREqAmLsoA

Shangri-La "It's in our nature" - Bruno Aveillan

https://www.youtube.com/watch?v=J4jZ1UFR_Wc

Every Life Has a Story

https://www.youtube.com/watch?v=2v0RhvZ3lvY

Sito Ikea – analisi di un caso

http://www.ikeafamilylivemagazine.com/it/it/article/31430

The heroe journey (CrisVogler)

http://www.youtube.com/watch?v=SB_Q1gFsvIw

Kerakoll4takent

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http://www.kerakoll4talent.com/site/i-like-you/

Beautiful Lab

http://www.youtube.com/watch?v=ZpjtChOwnnw

Assassin Creed

http://www.youtube.com/watch?v=wmZ9GnY_Ekg

Lost experience

http://www.youtube.com/watch?v=6phwqrqlGwE

Album della gioia (Papa Francesco)

http://www.youtube.com/watch?v=fIHQWKiBN5g

Discorso del Papa sulla misericordina

http://www.youtube.com/watch?v=6orUWushNTk

Cospiracy For Good

http://www.youtube.com/watch?v=11nKB8XP55E

Discorso di Tim Kring(cospiracy for good)

http://www.youtube.com/watch?v=SZnfpaAkn4U

VideoNike

http://www.youtube.com/watch?v=3XviR7esUvo

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4

TOOLS: Dove fare Visual storytelling!

Buzztale: www. buzztale.com

Cityteller: http://www.cityteller.it

Edgar http://edgartells.me/stories

Fotobabble http://www.fotobabble.com/

Frametastic: https://itunes.apple.com/it/app/frametastic/id427063436?mt=8

Hipstamatic: http://hipstamatic.com

Instagram: http://instagram.com

KettleCorn: http://kettlecorn-edit.innovation-series.com

Maptia https://maptia.com/

My parade: www.myparade.com

Picframe: https://itunes.apple.com/it/app/picframe/id433398108?mt=8,

https://play.google.com/store/apps/details?id=nz.co.activedevelopment.picframe_androi

d&hl=it

PicMonkey: http://www.picmonkey.com

Reclog: https://reclog.me

Seejay http://www.seejay.co/

Steller: http://steller.co

Storehouse: https://www.storehouse.co

Storybird: http://storybird.com

Storyboardthat: http://www.storyboardthat.com

Storybyte http://storybyte.com/

Storyjumper http://www.storyjumper.com/

Storytelling for kids http://www.mystoryapp.org/index.html

Tell great story https://contently.com/

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5

Tibecafilm http://tribecafilm.com/online/competitions/6second,

TruScribe: http://www.truscribe.com

twitter: www.twitter.com

Vimeo: http://vimeo.com

Vine: https://vine.co,

Visual.ly: http://visual.ly

Wikihow : http://www.wikihow.com/Main-Page

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1 Il processo di corporate communication 23

Figura 2 Tipologia delle esperienze di consumo 29

Figura 3 La vecchia logica del Marketing (G-D-Logic) 31

Figura 4 La nuova logica del marketing (S-D Logic) 32

Figura 5 Il valore del legame 34

Figura 6 Cultura, impresa e consumatori. 35

Figura 7 Tipologie di collaborazione consumer made 37

Figura 8 La piattaforma : il mulino che vorrei 46

Figura 9 Storylistening trance experience 58

Figura 10 Le tappe di una storylistening trance experience 60

Figura 11 Le componenti principali di una storia 72

Figura 12 La narrazione funziona ed è efficace quando? 74

Figura 13 Schema narrativo canonico- applicato a Ikea 86

Figura 14 Le tappe del viaggio dell’eroe 88

Figura 15 Gli ambiti/aree di applicazioni dello Storytelling 99

Figura 16 Un piano di storytelling operation 107

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6

ALLEGATI

1. Genesi e diffusione del M5S. In un Paper. Quotidiano

L’attacco

2. Storytelling: la nuova pietra filosofale della

comunicazione politica? Huffington post

3. Christian Salmon: "La politica è prigioniera dei

racconti dei suoi leader". Repubblica

4. Felice Limosani da Rignano. Un segno particolare:

artista. Corriere del Mezzogiorno

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Storytelling: la nuova pietra filosofale della

comunicazione politica?

di Huffington Post di Salvatore Santangelo 17 giugno 2014

Facendo una veloce ricerca su wikipedia, scopriamo che lo lo Storytelling

Management è una disciplina ampia e articolata che, basandosi sui principi della

narrazione applicata all'impresa, genera un vasto assortimento di strumenti, cartacei,

digitali e relazionali, che possono essere applicati a diverse aree o funzioni aziendali",

dai principi strategici fino alla formazione passando chiaramente per la comunicazione

integrata. L'estensore della "voce" espande questo concetto fino alla sfera politica,

sottolineando come "Le campagne elettorali - da quella di Clinton fino a quella di

Obama - ne hanno fatto ampio uso", mentre "In Italia il dibattito è ancora allo stato

nascente".

Un nuovo cono di attenzione è stato acceso dopo il discorso del premier Matteo Renzi a

ridosso dell'affermazione elettorale del Pd nelle elezioni europee.In particolare il Primo

ministro ha affermato che "conoscere il diritto amministrativo è importante, ma bisogna

imparare anche un 'racconto' da esprimere all'esterno, per poter tornare all'idealità". Su

questo blog ci siamo già occupati di "supremazie narrative"e del delicato rapporto tra

cultura mainstream e politica.

Per approfondire, e soprattutto per fare chiarezza rispetto a una serie di stereotipi e

semplificazioni, abbiamo deciso di parlarne con Andrea Fontana, che dello

storytelling politico e aziendale in Italia è stato un vero pioniere.

Cosa impariamo dalle ultime elezioni politiche e della netta affermazione

renziana?

Che avere un racconto politico da condividere con i propri elettori è ormai una necessità

fondamentale delle leadership politiche contemporanee. Occorre una narrativa

articolata: una rappresentazione contenutistica e visuale di sé e del destino politico che

si vuole costruire con i propri elettori. A dire il vero, lo sapevamo anche prima. Da

Berlusconi in poi era evidente. Ma rimaneva una verità sullo sfondo, in parte scomoda,

perché rimandava al berlusconismo e alle sue retoriche. Ora Renzi ha dimostrato in

modo definitivo, come d'altronde evidenzia il dibattito internazionale, che per generare

un legame e un'affinità con i propri elettori bisogna tenere presenti alcuni fattori dello

storytelling applicati alla politica quotidiana e al fatto che la personalizzazione narrativa

della sfera politica è ormai un fatto.

Per approfondire meglio, quali questioni?

Innanzitutto per fare un buon racconto politico non servono solo contenuti. Temi,

contenuti e valori sono necessari, ma non più sufficienti. Occorrono anche "persone":

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uomini o donne in carne e ossa che testimonino un racconto. Serve cioè uno storyteller

che sappia porgere i contenuti della propria proposta valoriale, che sia anche un leader e

che manifesti una leadership. Senza un catalizzatore che inneschi la miccia del racconto,

una narrazione politica non è credibile.

Quindi il ritorno dell'identità che conta?

Senza dubbio. È vero che - nella società liquida - è sempre più difficile distinguere le

politiche di centrodestra da quelle di centrosinistra, ma è indispensabile mettere bene in

evidenza la propria distintività (come stavolta ha fatto la Lega rispetto ad altri gruppi).

Poi, per fare un racconto e avere bravi storyteller contano la selezione e la formazione

politica. Un gruppo politico non può essere fatto da un solo leader, ma da una leadership

diffusa che si incarna in un soggetto che racconta e coinvolge, ma che permette ad altri

di portare testimonianza e compiere quel destino che si prefigura. E ancora, l'emozione

diventa fondamentale. I pubblici nell'arena politica contemporanea - purtroppo o per

fortuna - non sono interessati soltanto ai dibattiti, ma sono intercettati dalla "risonanza

emotiva". Che sia la rabbia, che sia la speranza, si vince se si riesce a sintonizzare

l'istinto con l'intuito, il cuore con la testa e poi con la pancia.

Questo perché non si può stare senza un "teatro"...

Occorre mettere in scena il proprio racconto di fronte ai propri elettori. La piazza -

nonostante l'importanza dei social media - torna a essere il luogo del confronto e

dell'ingaggio. Così la "mediasfera" non si sostituisce alla realtà ma l'affianca. E in questi

"teatri" vengono messi in risalto i problemi e le paure reali che contano. Nel proprio

racconto politico, infatti, oltre al destino che si propone ci devono essere i problemi dei

propri elettori. Bisogna dare risposte alla paure delle persone, altrimenti si cade nel

"politichese" inutile. Per sintonizzarsi bisogna stare con le persone e in mezzo alle

persone (forse andare nelle scuole non è la soluzione perfetta, ma sicuramente è un

gesto di vicinanza).

I problemi e le paure contano, ma non bisogna andare oltre un certo limite, giusto?

La rappresentazione del proprio racconto passa anche per le emozioni che si danno e

che si sanno condividere. Però la "dose emotiva" da condividere va calibrata con grande

maestria. Se carichi troppo poco il tuo racconto nessuno ti "sente" col cuore e la pancia

e quindi perdi elettorato. Se al contrario carichi troppo il tuo racconto, il rischio (come

accaduto a Grillo e al suo movimento) è quello di non reggere i traumi, di attivare

cambiamenti non sostenibili a livello emotivo che generano poi delusione e

frustrazione. Certo non parliamo qui degli elettori militanti, di quelli che ci sono

sempre, costi quel che costi, ma di quell'elettorato ondivago e ormai sfuggente a ogni

previsione statistica che decide all'ultimo minuto mettendo in fila in un attimo tutto

quello che ha visto e sentito (nel passato e forse nel futuro). Per cui dosare bene il

richiamo alle paure. Ed essere veloci. La velocità può fare la differenza: Renzi ha vinto

anche per questo. E in questo senso lo storytelling diventa fondamentale. Col racconto

si vince perché in quei pochi minuti è il racconto che viene evocato nella testa, nel cuore

e nella pancia dell'elettorato, e spinge a decidere o non decidere per un leader piuttosto

che per un altro.

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Christian Salmon: "La politica è prigioniera dei

racconti dei suoi leader"

Repubblica di ANAIS GINORI 24 Novembre 2014

Lo studioso francese spiega come i protagonisti di oggi, da Obama a Hollande,

cerchino il consenso solo con espedienti "narrativi"

PARIGI - SIAMO diventati tutti cannibali. Affamati di storie e colpi di scena,

divoriamo i nostri rappresentanti politici come fossero oggetti di consumo,

dimenticando che il piatto finale di questo banchetto funesto è la democrazia, il sistema

istituzionale che abbiamo faticosamente costruito. "Il dibattito delle idee è passato

dall'età della confronto a quello dell'interattivo, del performativo e dello spettrale"

racconta Christian Salmon, autore di numerosi saggi su censura e narrazione.

Dopo aver pubblicato qualche anno fa l'illuminante Storytelling, Salmon torna con un

nuovo libro dedicato all'assoggettamento dei politici alla narrazione e alla performance.

La politica nell'era dello storytelling è un'inchiesta sulla nuova generazione di uomini

pubblici, da Bill Clinton a Matteo Renzi, protagonisti di una commedia mediatica

permanente che li ha lentamente resi nudi e "potenti impotenti" come scrive Salmon.

"La comunicazione politica - continua - non mira più solo a formattare il linguaggio,

ma a incantare gli spiriti e sprofondarli in un universo spettrale di cui i politici sono al

tempo stesso performer e vittime".

L'obbligo della "narrazione" sta uccidendo la politica?

"Quando ho scritto Storytelling volevo allertare sui pericoli della narrazione nel

management, nel marketing, nella comunicazione politica. Ormai è cosa nota. Lo

storytelling ha invaso le nostre vite. È una sorta di pensiero magico usato dai

comunicatori, una vulgata che scredita ancora di più la parola pubblica. In questo nuovo

libro analizzo gli effetti dissolventi e divoranti dello storytelling sull'homo politicus e

sulla sfera pubblica".

Siamo assistendo a una 'cerimonia cannibale', titolo originale del libro?

"Il dramma che si recita non è altro che il divoramento dell'uomo politico per come

l'abbiamo conosciuto negli ultimi duecento anni. Per l'effetto combinato del

neoliberismo, le nuove tecnologie e la rivoluzione della comunicazione, la scena

politica si è spostata dai luoghi tradizionali dell'esercizio del potere verso quelli

performance come i media all news, Internet e i social network".

In cosa consiste la trappola della "insovranità"?

"La simbologia del potere funziona solo con una sovranità reale. La globalizzazione

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neoliberista e la costruzione europea hanno distrutto la sovranità degli Stati. È

scomparso il legame tra l'incarnazione del potere e il potere di agire. Da un lato ci sono

po- teri senza volto - i mercati, le agenzie di rating, Bruxelles - e dall'altro volti di

impotenti. Lo sviluppo dei social network e dei canali all news non ha fatto altro che

aggravare la situazione. Più gli uomini politici sono esposti mediaticamente, più la loro

impotenza è lampante. È un circolo vizioso ".

L'uomo politico è diventato un oggetto di consumo?

"Il tempo lungo delle deliberazioni democratiche ha lasciato il posto al tempo reale dei

canali di informazione. L'uomo di Stato si presenta ormai più come un oggetto di

consumo che come una figura autorevole: è diventato un artefatto della sottocultura di

massa e non è più visto come un'istanza produttrice di norme. Un personaggio di serie

tv sottomesso all'obbligo della performance".

Esistono delle eccezioni?

"Da Bill Clinton a Nicolas Sarkozy, passando per Tony Blair, George Bush e Barack

Obama, ogni capo di Stato è costretto a essere onnipresente fino a banalizzarsi,

sovraesposto sotto alla lente d'ingrandimento dei media. Si crea una distanza ravvicinata

persino oscena. Siamo passati dal 'doppio corpò del Re studiato da Kantorowicz al

'corpo aumentatò dei telepresidenti. È il corpo sudato di Sarkozy, quello spettrale di

Berlusconi. È la silhouette lunga di Obama, sottile quanto un logo. Gli uomini politici

diventano virtuali, angeli digitali. Subiscono fluttuazioni nei sondaggi con la stessa

volatilità di un'azione in Borsa. La simbologia del sovrano scompare".

François Hollande è un pessimo narratore?

"Ha perso la battaglia delle parole, adottando il linguaggio della destra sui temi

economici e senza riuscire a proporre un racconto alternativo che sia capace di dare

senso alla sua azione. Ha fallito anche sull'immagine. È precipitato nel bagno dell'acido

mediatico, com'era già successo a Clinton o a Berlusconi con il bunga bunga. Hollande

ormai appare slavato, senza più credibilità. Nudo".

Cosa pensa della sovraesposizione e del successo mediatico di Matteo Renzi?

"Il Titanic aveva un problema di iceberg. Non un problema di comunicazione. L'ha

detto Paul Begala (ex consigliere di Clinton, ndr.) a proposito dell'amministrazione

Obama. Vale anche per Matteo Renzi. Mi sembra impegnato in una fuga in avanti che

può creare un'illusione ma solo momentanea. Fa parte di quello che definisco 'paradosso

del volontarismo impotente'".

In politica, si tenta di mascherare la mancanza di autorità con il volontarismo? "Il volontarismo è la forma che assume la volontà politica quando il potere è privo di

mezzi. Viene esibita una volontà ancora più forte, raddoppiandone l'intensità, per

tentare di recuperare credibilità. Ma questa prova di forza non fa altro che accentuare il

sentimento di impotenza dello Stato. E si entra così in una spirale di perdita di

legittimità".

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Qual è la responsabilità dei media?

"La mediasfera è il teatro della sovranità perduta. È la ribalta per uno strip-tease in cui

l'homo politicus si spoglia a poco a poco dei suoi poteri, dei suoi attributi, del suo

prestigio, della sua maestà, fino a perdere dignità. È il prezzo da pagare per catturare

l'attenzione sempre più reticente dell'opinione pubblica. La ribalta di questo spogliarello

è la televisione. In verità, l'uomo politico sta forse scomparendo al culmine della sua

sovraesposizione mediatica. Parafrasando una formula di Martin Amis, direi: "He has

vanished into the front page". È scomparso in prima pagina".