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COPIA GRATUITA IN EDICOLA CON IL ROMA numero 11 del 16 giugno 2019 La Città – La Squadra – Gli Eventi LE STORIE IL RITORNO DELLE ‘‘VESPE’’ PUNTO NAVE DANIELE IPPOLITO Foto Salvatore Pastore C APPUCCIO C APPUCCIO L A SCRITTURA ALLA BASE DI TUTTO L A SCRITTURA ALLA BASE DI TUTTO ALL'INTERNO INSERTO SPECIALE

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COPIA GRATUITA IN EDICOLA CON IL ROMA

numero 11 del 16 giugno 2019La Città – La Squadra – Gli Eventi

LE STORIE

IL RITORNO DELLE ‘‘VESPE’’

PUNTO NAVE

DANIELE IPPOLITO

Fot

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alva

tore

Pas

tore

C A P P U C C I OC A P P U C C I OL A S C R I T T U R A A L L A B A S E D I T U T T OL A S C R I T T U R A A L L A B A S E D I T U T T O

ALL'INTERNO INSERTO SPECIALE

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L’EDITORIALEdi Giovanni Gaudiano

Ci manca il campionato e le nazionali ed il

calciomercato non bastano

l campionato è finito da neanche un Imese e già ci manca da morire. Una

volta si diceva che la domenica senza

calcio non era domenica, oggi il concetto si

può tranquillamente trasferire ad almeno

tutto il fine settimana. Il calcio spezzatino

con partite dal venerdì al lunedì a cui siamo

sottoposti per nove mesi provoca di

conseguenza una forte crisi quando la

routine si interrompe e di certo gli impegni

delle nazionali o gli altri sport di stagione

non riescono a riempire il vuoto provocato

dall'assenza del campionato, che per tutti noi

continua ad essere il più bello del mondo.

Certo da ieri in Brasile è iniziata la Copa

América, oggi al nord d'Italia inizia

l'Europeo Under 21, da una settimana si

gioca in Francia il mondiale di calcio

femminile con la nazionale azzurra di Milena

Bertolini in bella evidenza. A fine settimana

inizierà anche la Coppa d'Africa, con il nostro

Koulibaly tra le stelle del torneo, che

quest'anno si giocherà nella terra dei faraoni.

Volendo quindi, ci sarebbe da vedere e da

seguire in televisione ma gli occhi e le

orecchie dei calciofili saranno tutte tese a

raccogliere le notizie, o si dovrebbe dire le

fantanotizie, provenienti dal calciomercato.Il Napoli è atteso da quelli che dovrebbero

essere investimenti mirati e importanti. Si sa

che Ancelotti ha formulato richieste precise,

di sicuro non impossibili da esaudire anche

perché il tecnico emiliano ha due grandi

q u a l i t à t r a l e t a n t e : l a c h i a r e z z a

nell'espressione e l'equilibrio. l presidente I

Aurelio De Laurentiis è impegnato

comunque a migliorare la squadra in senso

qualitativo. Si parla di cedere prima per poi

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L’EDITORIALE

rinforzare la rosa ed è un sistema corretto ed

impeccabile finanziariamente ma non

calcisticamente parlando.Il Napoli di Ancelotti già partirà per Dimaro

con l'handicap di alcuni giocatori che

arriveranno più tardi per gli impegni delle

proprie nazionali e pensare di essere ancora

in Trentino con giocatori che andranno via

ed altri che ancora non sono arrivati ritengo

sia un azzardo, se alla prossima stagione si è

deciso di affidare obiettivi importanti.A proposito di Dimaro, adesso anche il

sindaco Andrea Lazzaroni, contagiato, si

mette a parlare di un mister X che dovrebbe

comparire sui manifesti che tappezzeranno

la ridente cittadina alpina.In realtà chi conosce un po' la situazione sa

bene che il Napoli difficilmente ingaggerà un

nome altisonante, ammesso che ce ne sia

bisogno se dovesse essere confermata

integralmente la rosa attuale, mentre la

politica sposata pienamente dal tecnico è

quella di trovare tanti nuovi Fabian Ruiz da

portare in maglia azzurra.Di Lorenzo, prelevato dall'Empoli, è un

prototipo degli investimenti che il Napoli si

appresta a fare: prezzo accessibile, ingaggio

ragionevole ed età da Napoli.In conclusione, da quello che accadrà da

domani al 6 luglio, data nella quale la

squadra si ritroverà a disposizione del

tecnico in ritiro sulle Alpi, si potrà iniziare ad

ipotizzare cosa ci dovremmo aspettare dal

primo Napoli targato Ancelotti. iuntoli sta G

lavorando tanto. I nomi sulla sua agenda

sono tanti, ci si augura tutti di vedere da

subito coperti i ruoli oramai individuati tra i

punti deboli della rosa per poter partire dalla

prima di campionato prevista per il 24 agosto

con la giusta marcia.

Rodrigo De Paul

Jordan Veretout

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IN QUESTO NUMERO

Il ritorno della Juve Stabia in Bda pag. 34

LA SQUADRA EUROPEOUNDER 21

LE STORIE GLI EVENTIE SOCIETÀ

18 Una vetrina di campioncini di Bruno Marchionibus21 L'Italia punta al successo finale di Marco Boscia

Numero 11 del 16/06/19In copertina:Ruggero Cappuccio, i l direttore artistico del Napoli Teatro Festival Italia - Pag. 44 Foto di Salvatore Pastore

11 Il Napoli al tempo del calciomercato di Mimmo Carratelli 15 Zoff: Puntare sui settori giovanili di Salvatore Caiazza24 Ruiz per una volta contro l'azzurro di Lorenzo Gaudiano29 Luperto – Un punto fermo per Ancelotti di Gianluca Mosca 32 Le plusvalenze: apparenza e realtà di Francesco Marchionibus

66 Punto Nave: Le coordinate del buon gusto di Lorenzo Gaudiano74 Daniele Ippolito: Un produttore “vulcanico” di Lorenzo Gaudiano

LA CITTÀ

49 Tony Laudadio “Il Tempo è veleno” di G. Gaudiano55 La scrittura scenica di Davide Iodice di Lorenzo Gaudiano71 Caravaggio e il suo periodo napoletano di Marco Boscia77 Enza D'Esculapio: “L'ultimo sposatore” di Marina Topa78 Hikikomori di Ciro Chiaro81 Volontariato per stroncare il bullismo di Marina Topa

IL RITORNO

34 Il mare che bagna Castellammare di G. Gaudiano36 Gianni Improta e Il ritorno della Juve Stabia di Marco Boscia

59 Il Palazzo del Re di Domenico Sepe 63 I quattro “buontemponi” di Palazzo Reale di Paola Parisi

L'inserto specialesulle Universiadi è stato

realizzato da G. Gaudiano,L. Gaudiano e B. Marchionibus

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AUT. TRIBUNALE DI NAPOLI N. 50 DEL 8/11/2018

MENSILE A DISTRIBUZIONE GRATUITA CON IL QUOTIDIANO “ROMA”

DIRETTORE RESPONSABILE

GIOVANNI GAUDIANO

COORDINATORE EDITORIALE

LORENZO GAUDIANO

REDAZIONE

MARCO BOSCIA,BRUNO MARCHIONIBUS

PROGETTO GRAFICO

ART DIRECTOR

DANIELA ALTRUDA

HANNO COLLABORATO

A QUESTO NUMERO

SALVATORE CAIAZZA, MIMMO CARRATELLI, CIRO CHIARO, FRANCESCO MARCHIONIBUS, GIANLUCA MOSCA, PAOLA PARISI, DOMENICO SEPE, MARINA TOPA

FOTO DEI SERVIZI SPORTIVI

AGENZIA MOSCA

LA FOTO DELLA COPERTINA DI QUESTO NUMERO È DI

SALVATORE PASTORE

ILLUSTRAZIONI

GIANCARLO COVINO

CONSULENZA AMMINISTRATIVA

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TEL. 0823 149 [email protected]

La Città – La Squadra – Gli Eventi

n.11 del 16 giugno 2019

‘‘NAPOLI’’ SARÀ NUOVAMENTE IN EDICOLA

CON IL QUOTIDIANO ROMA DOMENICA 14 LUGLIO 2019

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TESTIMONE DEL TEMPO

di Mimmo Carratelli

Il Napoli al tempo del calciomercatoLa società azzurra protagonista al ballo dei milioni dell'estate. Rico Colombari il primo colpo. Jeppson mister 105. La trattativa per Altafini. Una pistola per Savoldi. Krol dal Canada. Maradona, un sogno da 13 miliardi. La follia per Fonseca. Con Higuain, l'ultimo top-player

Hasse Jeppson

Luis Vinicio

o l p i d i m e r c a t o , d a CColombari a Higuain , inseguendo oggi James

Rodriguez, il pischello colombiano del Bayern, che non ha certo la maestà del pibe e di Krol, il Napoli è stato sempre in prima linea al ballo milionario del calciomercato, persino negli anni bui di Corbelli quando prese Edmundo in prestito dal Vasco da Gama.

Erano una bella cifra, nel 1930, le 250mila lire pagate al Torino per l'acquisto di Rico Colombari, un mediano di lotta e di governo, soprannominato, prima di Jeppson, “o Banco 'e Napule” per l'alto costo. Inevitabile che i tifosi dell'Ascarelli gridassero è caduto “o Banco 'e Napule” quando Rico ruzzolò per terra dopo l'intervento falloso di un avversario. Fecero epoca, nel 1952, i 105 milioni sborsati per avere Jeppson. Lauro portò di persona il contante al presidente dell'Atalanta Daniele Turani, commerciante bergamasco di pelli, in seguito senatore della Dc. Si incontrarono all'Hotel Excelsior di via Veneto a Roma e il Comandante gli mostrò la valigia contenente 10.500 banconote da diecimila lire: 75 milioni per il trasferimento del giocatore e trenta di ingaggio al centravanti svedese. Vinicio costò la metà del centravanti svedese (50 milioni al Botafogo nel 1955), ma rese il triplo e si legò a Napoli, da giocatore e da allenatore, oggi felice inquilino con donna Flora, la leonessa di casa, di un

Le prime ‘‘follie’’: da Colombari a Sivori

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TESTIMONE DEL TEMPO

José Altafini

Omar Sivori

Beppe Savoldi

appartamento panoramico di via Manzoni con vista sullo stadio San Paolo. Nel 1965, Roberto Fiore prese Altafini dal Milan per 280 milioni con l'impegno, sottoscritto sul contratto del trasferimento, che il Napoli non avrebbe mai ceduto Josè all'Inter. Per avere Sivori, Lauro contattò direttamente Gianni Agnelli, pagandolo 70 milioni più l'acquisto dalla Fiat di due motori marini. Fece cronaca e scandalo l'ingaggio di Savoldi, nel 1975, pagato al Bologna 1.400 milioni più la cessione di Clerici e di metà del cartellino di Rampanti. Dopo l'accordo tra Ferlaino e il presidente del Bologna Luciano Conti, quest'ultimo, minacciato dai tifosi emiliani, cercò di mandare a monte l'impegno. Nell'albergo milanese “Principe di Savoia” pare che Ferlaino costringesse Conti a tenere fede al patto puntandogli una pistola. Se era vero, si trattò di una pistola scarica. Fu Antonio Juliano a portare Krol in maglia

azzurra. L'olandese dei trionfi con il magico Ajax di Cruijff, superati i trent'anni, giocava in Canada. Venne al Napoli (1980) in prestito per sette mesi, 110 milioni versati al Vancouver. Ruud rimase in maglia azzurra quattro anni.

Durò “un'eternità” nell'estate del 1984 la trattativa per il trasferimento di Maradona dal Barcellona al Napoli. Un giugno di voli tra le due città, trattative interrotte e riprese, passi avanti e passi indietro, le acrobazie finanziarie di Ferlaino, la tenacia e il bluff risolutivo di Juliano. ul pibe piombò anche il Racing di SParigi appena promosso nella serie A francese. Il presidente Jean Luc Lagardere, giovane proprietario dell'industria automobilistica Matra, con interessi editoriali e partecipazioni nelle industrie degli armamenti, voleva festeggiare la promozione con l'acquisto del fuoriclasse argentino. l IBarcellona rifiutò tenendo, intanto, il Napoli sulla corda benché il Consiglio del club catalano avesse votato in segreto la cessione di Diego (18 voti favorevoli, uno contrario del vicepresidente Gaspart), ma aveva paura della contestazione dei tifosi e del parere negativo dei 108mila soci del Barça annunciando la rinuncia al giocatore. uliano ebbe Ju n ' i d e a . F i n s e d i abbandonare la trattativa inscenandone una finta con l'Atletico Madrid per avere H u g o S a n c h e z c h e interessava al Barcellona. presidente catalano Nunez tremò. Rischiava di perdere i l l auto r i cavato da l la cess ione d i Diego e i l giocatore dell'Atletico. Alla fine, il club catalano cedette. Gaspert disse a Juliano: “Abbiamo fatto di tutto per scor aggiar v i ” . Tred ic i miliardi di lire per avere

La trattativa infinita per Maradona

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Ruud Krol

Edmundo

Diego, sette anni di felicità, due scudetti, la Coppa Italia e la Coppa Uefa.

Gianfranco Zola fu un colpo di Moggi che lo portò al Napoli per 300 milioni dalla Torres (1989). Zolino è stato un beniamino dei tifosi azzurri. Rimase in maglia azzurra per quattro anni, poi la forte crisi economica in cui venne a trovarsi il Napoli ne provocò la cessione al Parma per 13 miliardi. l dopo- IMaradona fu un tormento per Ferlaino. Come si poteva vincere ancora lo scudetto? L'idea fu di prendere dal Cagliari Fonseca (23 anni) che, in coppia con Careca (32), avrebbe assicurato un forte tandem d'attacco. L'uruguayano costò 15 miliardi nel 1992, prezzo gonfiato per salvare il club sardo dalla crisi economica. a follia per Edmundo L(18 miliardi in prestito dal Boca nel gennaio 2001), con spettacolare presentazione al San Paolo, si concluse con la retrocessione del Napoli (allenato per sette giornate da Zeman, poi da Mondonico) che mancò la salvezza per un punto. l Ifallimento era alle porte. Con Aurelio De Laurentiis cominciò un'altra storia. Gonzalo Higuain è stato il colpo maggiore del nuovo presidente (38 milioni di euro nel 2013). Grazie ai contatti di Benitez, al Napoli arrivarono altri sei giocatori per una spesa complessiva di 94,7 milioni di euro, terzo maggiore investimento della nuova società al calciomercato. Con Higuain giunsero gli spagnoli Albiol (11,3 milioni) e Callejon (8,8), il belga Mertens (9,5), l’italo-brasiliano Jorginho (9,8), l’algerino Ghoulam (5,2) e il colombiano Zapata (7,6).

Gli ultimi colpi

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Il grande Dino detta la ricetta

per la risalita della nazionale

italiana di Mancini

Zoff: “Puntare sui settori giovanili”

di Salvatore Caiazza i calcio se ne intende eccome. La carriera Ddi Dino Zoff è stata lunga. Prima da

portiere (anche campione del Mondo) e

poi da allenatore ne ha visti di campioncini

crescere. È stato anche alla guida della Nazionale

maggiore, dove ha portato su ottimi calciatori.

Zoff sarà spettatore degli Europei Under 21 che

l'Italia ospiterà dal 16 giugno. Si giocheranno

anche dalle sue parti. Infatti uno dei campi di gioco

sarà quello di Trieste. Quale migliore occasione

per tifare per gli uomini di Gigi Di Biagio. Sarebbe

bello poter essere campioni d'Europa in casa

propria.

Bisognerà, però, cominciare a fare bene

all'esordio con la Spagna a Bologna. Poi ci sarà

il confronto con la Polonia ed infine con il

Belgio.

«Sicuramente sarà una bella vetrina – ha

ammesso Zoff – per i nostri ragazzi del futuro».

Quante possibilità ha l'Italia di poter arrivare

fino in fondo?

«Abbastanza. Di Biagio nel corso degli anni ha

saputo creare un ottimo gruppo. Ci sono calciatori

che nelle loro squadre hanno fatto bene».

Beh tra i pali c'è un suo corregionale …

«Meret è un gran bel portiere. Ha solo 22 anni e

già si è imposto in una grande piazza come quella

di Napoli. È stato un peccato quell'infortunio che lo

ha tenuto fuori per quasi mezza stagione. Ma

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L'INTERVISTA

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L'INTERVISTA

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pensato su due volte. Meret poi ha dato

immediatamente dimostrazione del suo valore e

già si sta consacrando ad importanti livelli

prestazionali. Mi auguro che possa essere

protagonista in questo Europeo e continuare

naturalmente a fare bene con la maglia del Napoli,

come ha già fatto vedere in questa prima stagione

alle pendici del Vesuvio».

A proposito di Napoli. Nella prossima stagione

potrà la squadra azzurra avvicinarsi alla Juve di

Cristiano Ronaldo?

«Io ho il cuore diviso a metà avendo giocato

prima nel Napoli e poi nella Juventus. È naturale

che se non vince una mi auguro che possa farlo

l'altra. Di certo con Ancelotti qualcosa in più si può

fare. Non è facile avere a che fare con il giocatore

più forte al mondo ma si può migliorare. Con il

lavoro ma anche con qualche elemento di spicco.

Senza dimenticare i giovani…».

quando è stato utilizzato non ha tradito le attese.

Ha personalità e sicuramente la metterà in campo

da titolare anche in questo Europeo».

Sempre che non arrivi dalla prima squadra

Donnarumma ...

«Ben vengano tutti questi grandi portieri.

L'Italia ha sempre avuto una grossa tradizione. Io

non posso che essere contento visto dove giocavo

prima di allenare. Sia Gigi che Alex sono il futuro

della nazionale maggiore che con Mancini può

raggiungere dei risultati importanti. Soprattutto

dopo l'amarezza per non aver disputato lo scorso

Mondiale».

Secondo lei cosa serve per la svolta?

«Puntare sui settori giovanili. È da lì che

arrivano poi i campioni del domani. Basti pensare a

Barella, Zaniolo, Chiesa, Cutrone, Calabria. Se si

continuano a comprare calciatori già fatti all'estero

facciamo solo un piacere alle nostre avversarie ai

Mondiali o agli Europei».

Ma purtroppo il problema è sempre lo stesso:

nessuno vuole aspettare per vincere ...

«Sinceramente questo discorso non vale perché

in Italia vince sempre la stessa da otto anni. La

verità è che si fa la corsa a qualificarsi per la

Champions, dove poi arrivano tanti soldi per le

casse delle società».

Chi deve temere l'Italia di Di Biagio in questa

importante competizione?

«La Spagna ha sempre comandato negli ultimi

anni. Certo, le due finali di Champions ed Europa

League hanno detto altro. L'Inghilterra oggi va

per la maggiore così come la Francia. Ma starei

attento anche alla Croazia che ha sempre espresso

degli ottimi elementi».

Del Napoli è stato convocato Alex Meret. Con

Ancelotti hanno giocato quasi tutti gli

elementi della rosa ...

«Carlo è uno che conosce il calcio a 360 gradi.

Non a caso ha vinto in tutti i campionati dove ha

allenato. Sa bene anche lui che il futuro sono i

giovani ed è per questo che quando si è trattato di

buttare nella mischia qualche ragazzo non ci ha

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Europeo Under 21 – 2019 Una vetrina di campioncini

di Bruno Marchionibus

LA COMPETIZIONE

Inizieranno il 16 giugno e si concluderanno il 30 gli Europei Under 21 in programma in Italia e San Marino. Per la seconda volta nella storia della rassegna, dopo l'edizione di Polonia 2017, a prendere parte alla manifestazione saranno dodici nazionali, divise in tre raggruppamenti da quattro squadre ciascuno. A qualificarsi per le semifinali saranno le prime classificate di ogni girone più la migliore seconda. Il Gruppo A, in cui sono stati inseriti di diritto gli azzurri di Gigi Di Biagio in quanto padroni di casa, comprende anche la Spagna, giustiziera proprio della selezione italiana due anni fa, la Polonia ed il Belgio. Il Girone B, invece, vedrà i tedeschi, campioni in carica, affrontare Danimarca, Serbia ed Austria, mentre nel Gruppo C a giocarsi il passaggio del turno con Inghilterra e Francia saranno Romania, assente dal 1998, e Croazia. Sei le città nelle quali si giocheranno le ventuno gare in programma: Bologna (Stadio Renato Dall'Ara), teatro dell'esordio dell'Italia contro le Furie Rosse e di una semifinale; Reggio nell'Emilia (Mapei Stadium), dove si disputerà l'altra semi; Udine, con lo stadio “Dacia Arena-Friuli” pronto ad ospitare la finale; Cesena (Stadio Dino Manuzzi); Trieste (Stadio Nereo Rocco) e Serravalle (Stadio Olimpico) per San Marino.

Tra le principali antagoniste dell'Italia nella caccia alla Coppa è da annoverare sicuramente la Spagna, vera e propria bestia nera degli azzurrini e come sempre composta da numeros i g iovan i interessanti. Pretendenti alla vittoria finale sono anche la Germania, vincitrice proprio sugli iberici due anni fa e pronta a difendere il titolo, e l'Inghilterra, desiderosa di sfruttare l'onda dell'incredibile stagione disputata dalle squadre di club inglesi in Europa. Occhio anche alla Francia; i “galletti” mancano dalla fase finale del torneo dal 2006 e senza dubbio affronteranno i quindici giorni italiani vogliosi di ottenere il gradino più alto del podio. ltre alla conquista del titolo di OCampione d'Europa, inoltre, la rassegna continentale assegnerà alle quattro semifinaliste anche i pass per le Olimpiadi di Tokyo della p ros s ima e s t at e , e c ce z ion f at t a pe r l a rappresentativa inglese, non aderente al CIO, che se dovesse raggiungere le semifinali sarà sostituita dalla vincente dello spareggio delle restanti seconde.

Tre gironi per sei città ospitanti

Tante le pretendenti al titolo con l'Italia

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L'attuale format dell'Europeo di categoria affonda le sue radici negli anni '60. Dopo aver subito varie mod i f i che , l a compet i z i one a s sunse l a denominazione attuale a partire dal 1986; nel '94, poi, per la prima volta semifinali e finale si disputarono in un singolo paese organizzatore, mentre è solo dal 2000 che la formula ha iniziato a prevedere dei gironi eliminatori. 'Italia, cinque Lvolte campione, è la nazionale con più titoli in bacheca. Dopo la finale persa nel 1986 contro la Spagna dai ragazzi di Vicini, molti dei quali quattro anni più tardi furono i protagonisti delle indimenticabili Notti Magiche, gli azzurrini si sono aggiudicati tre edizioni consecutive della Coppa tra il '92 ed il '96 sotto la guida tecnica di Cesare Maldini. Tra i tanti campioncini avvicendatisi in quegli anni Peruzzi, Toldo, Panucci, Nesta, Inzaghi, Vieri, Totti, Buso e Fabio Cannavaro, questi ultimi due proclamati migliori giocatori della rassegna rispettivamente nel '92 e nel '96. Successi italiani anche nel 2000, con Tardelli in panchina ed in campo i futuri Campioni del Mondo Pirlo, protagonista assoluto del torneo, Gattuso e Zambrotta, e nel 2004, quando De Rossi e Gilardino guidarono la squadra di Claudio Gentile al trionfo sulla Serbia. Sconfitta in finale per la selezione azzurra, invece, nel 2013, con Verratti, Insigne ed Immobile fermati sul più bello dalla stratosferica Spagna di Alcantara, Isco e Morata. Toccherà ai ragazzi di Di Biagio, dunque, provare a conquistare per la sesta volta l'Europeo, combattendo anche con una tradizione sfavorevole che accompagna le nazionali di casa; solo in una circostanza infatti, l'Olanda nel 2007, la squadra ospitante ha alzato la Coppa al cielo.

È la Challenge Cup, trofeo risalente agli anni '60, la prima competizione internazionale tra selezioni giovanili c h e p u ò e s s e r e c o n s i d e r a t a un'antenata diretta dell 'attuale Europeo Under 21. Tale Coppa, riservata all'epoca alle nazionali Under 23, era basata su una formula simile a quella adottata nel pugilato: la squadra campione in carica poteva mettere in palio il titolo in una partita secca a cadenza non prestabilita. Q u e s t o f o r m at ve n n e p r e s t o abbandonato e sos t i tu i to da i Campionati Under 23, comprendenti più nazionali, che nelle tre edizioni disputate videro un dominio dell'Est E u r o p a c o n i s u c c e s s i d i Cecoslovacchia, Ungheria ed U.R.S.S. Nel 1978 la UEFA, considerando troppo ampio il divario tra Under 18 ed Under 23, abbassò il limite di età all'Under 21, riservando a tali compagini la partecipazione alla rassegna che nel 1986 ottenne la denominazione attuale. A metà degli anni '90, decennio dominato dai colori azzurri dell'Italia, la manifestazione iniziò ad essere disputata in un unico paese ospitante, e dal 2000 nella fase finale furono introdotti anche due g ironi e l iminator i . Le u l t ime modif iche apportate al format dell'Europeo di categoria sono giunte nel 2007, anno a partire dal quale la competizione è stata spostata negli a n n i d i s p a r i p e r e v i t a r e l a concomitanza con Europei UEFA e Mondiali FIFA, e nel 2017, quando nell'edizione in Polonia per la prima volta i raggruppamenti sono diventati tre, con l'innalzamento del numero delle partecipanti a dodici.

Il primato degli azzurri nell'Albo d'Oro

Come si è arrivati al format attuale

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GLI AZZURRINI

Under 21 – L'Italia punta al successo �nale

La squadra di Di Biagio pronta al duro esordio contro la Spagna. Belgio e Po l o n i a l e a l t r e avversarie. Il tecnico si affida ai calciatori già nel giro della nazionale maggiore per provare a vincere il torneo in casa

di Marco Boscia

11 metri. Un pallone che pesa come un macigno. Gigi non si tira indietro e sul dischetto ci va lui. È l'ultimo calcio di rigore, quello decisivo, che o ti porta in paradiso o ti spedisce all'inferno. Un boato dello stadio, riempito in ogni ordine di posto dai tifosi francesi, quando quel pallone si stampa contro la traversa della porta difesa da Barthez. È il mondiale del 1998, in Francia appunto, e l'Italia viene eliminata ai quarti di finale proprio dai galletti, poi vincitori del torneo. Ancora oggi Luigi Di Biagio viene ricordato per quel penalty fallito. Nessuno ha memoria però della semifinale degli Europei di due anni più tardi: con l'Olanda finisce 0 a 0, ancora una volta sono decisivi i rigori e l'ex centrocampista, fra i più bravi e dinamici degli anni '90, si ripresenta sul dischetto. Stavolta segna e si riscatta. Si può riassumere così la carriera del Di Biagio calciatore con la maglia della nazionale. Una storia infinita, con l'azzurro nel destino. Oggi l'avventura continua sulla panchina dell'Under 21, di cui Gigi è allenatore dal 2013.

Il ricordo di mister Di Biagio

“Io dissi subito di sì, quando Maldini mi chiese se volessi tirare il rigore. È nel mio dna, da giocatore non ho mai detto di no a un allenatore

“Ricordo un particolare: inizialmente io dovevo essere il terzo, poi all'ultimo momento il Mister mi disse: “Tiri per ultimo”. La cosa non mi ha scosso, terzo o quinto per me era uguale

“All'ultimo ho deciso solo una cosa: che se Barthez fosse rimasto fermo fino alla fine, avrei dovuto metterla proprio un pelo sotto la traversa. Così, anche se si fosse abbassato di poco, avrei segnato comunque. Per il resto volevo tirare forte, in modo da non fargliela vedere proprio. Da quel giorno ad oggi, comunque, avrò rivisto il mio rigore migliaia di volte

“Azzurro” Di Biagio

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La nazionale che andrà in campo

L'Italia vuole giocarsi tutte le sue carte per provare a tornare al successo che manca dal 2004. Ha concrete possibilità di farlo, perché oltre a contare su una formazione di tutto rispetto, cui si sono aggregati i big convocati da Roberto Mancini per le partite di qualificazione agli Europei, per la prima volta le fasi finali saranno disputate proprio nel Bel Paese. Il mister ha in mente di schierare l'Italia con un 4-3-3 offensivo. Serrato ballottaggio tra Meret e Audero per difendere i pali della porta azzurra. Linea difensiva composta da Adjapong a destra, Mancini e Romagna centrali con Dimarco a sinistra. A centrocampo si contendono una maglia da titolare i due calciatori della Roma, Pellegrini e Zaniolo, per il ruolo di mezzala sinistra. Centralmente dovrebbe agire da playmaker Mandragora, con Barella pronto a ricoprire il ruolo di mezzala destra. In attacco la stella è quella di Patrick Cutrone, che con ogni probabilità sarà supportato sugli esterni da Federico Chiesa e Moise Kean, autentica rivelazione della Juventus. Pronti a dare una mano tutti gli altri azzurrini convocati: importanti comprimari del calibro di Bonifazi, Locatelli, Orsolini ed i baby Tonali, sorpresa del Brescia, e Andrea Pinamonti.

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GLI AZZURRINI

Meret unico ‘ ‘napoletano ’ ’ in nazionale

È lui l’unico calciatore del Napoli su cui Di Biagio ha puntato per gli Europei. Il portiere, dopo un lungo stop, ha esordito in campionato

l'8 dicembre e da quel momento la sua stagione è stata segnata da una c o n t i n u a c r e s c i t a . S i è r e s o protagonista nelle notti di Europa League con una serie di parate esaltanti, anche se ha commesso poi un errore contro l'Arsenal sulla punizione di Lacazette. Il numero uno del Napoli ha però qualità eccelse e potrebbe essere schierato a sorpresa come titolare dal tecnico. Escluso a sorpresa Luperto che, dopo aver fatto parte della lista dei preconvocati, non è stato confermato. Con il Napoli difatti non sono state molte le presenze, chiuso da due mostri sacri come Koulibaly ed Albiol prima, da Maksimovic poi.

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L'AVVERSARIO

di Lorenzo Gaudiano

Ruiz per una volta contro l'azzurro

Spagna 1996. È il mese di aprile e a Los Palacios y Villafranca vede la luce un bambino con la passione per il calcio

nelle vene ed un talento pronto a sbocciare con il passare degli anni. Qualche mese più tardi ai quarti di finale degli Europei di calcio in Inghilterra la sua Spagna fu eliminata dai padroni di casa dopo la lotteria dei rigori. Fabiàn Ruiz era ancora troppo piccolo per comprendere e so f f r i re con i propr i connazionali, in quel momento sfiduciati e inconsapevoli dei grandi traguardi che sarebbero stati conseguiti di lì a poco.

Gli inizi ed i sacrifici della madre. Si allena con il desiderio

di emulare il suo idolo Xavi ed arriva a Napoli

grazie agli Ancelotti

“Mamma è la persona più importante per me.Ha fatto di tutto affinché potessi giocare a calcio”

Con un pallone da calcio sempre tra le mani, anche quando si adagia sotto alle coperte per dormire, Fabiàn cresce. Tra le dritte della scuola calcio vicino casa sua e il divertimento con i suoi coetanei, il dono naturale ricevuto dal giovane spagnolo viene incanalato nella giusta direzione. Le voci sul suo talento cominciano a girare in Spagna e la società più rapida e pronta ad offrirgli un'opportunità di svolta è il Betis di Siviglia. Del resto, Madrid e Barcellona lo avrebbero allontanato troppo dalla sua mamma e dai suoi fratelli, a cui il piccolo Fabiàn, che allora aveva solo 8 anni, è molto legato.

“Mi sono innamorato del calcio grazie a Xavi. Sogno di ripercorrerne le orme”

Nel settore giovanile della squadra biancoverde comincia a spianarsi per il giovane Ruiz la strada verso i campionati più importanti. Inizialmente i suoi pochi centimetri di altezza fanno pensare ad un clone spagnolo di Messi. La sua improvvisa e sorprendente crescita cambia le carte in tavola. Il ruolo più adatto per lui viene individuato nella zona nevralgica del campo, dove Fabiàn aveva un modello a cui ispirarsi: Xavi Hernandez. Oltre alle due finali di Champions nel 2009 e nel 2011 vinte con il Barcellona, arrivano le vittorie agli Europei 2008 e 2012 e il Mondiale nel 2010, tutti success i ottenuti con i l contr ibuto a c e n t r o c a m p o d i u n g i o c a t o r e straordinariamente forte ed unico nel suo genere. Fabiàn allora comincia a cullare un piccolo sogno, ovvero di diventare come il suo grande idolo.

“Napoli è una città che mi piace: la gente ti accoglie come se fossi parte della famiglia. Il modo di vivere il calcio è molto simile a quello di Siviglia”

Nel 2014 il debutto con la prima squadra, il prestito semestrale nel 2017 all'Elche ed infine l'esplosione definitiva grazie ai consigli del tecnico biancoverde Quique Setién, a cui Fabiàn probabilmente deve tutto. È arrivato il momento però per lo spagnolo di evolversi, di misurarsi con un calcio diverso per completare il suo percorso. Il progetto del Napoli lo attira particolarmente, soprattutto dopo l'ingaggio in panchina di Ancelotti. I connazionali Albiol e Callejon lo aiutano ad integrarsi, Mertens gli

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mostra di sera il fascino della città partenopea e lo porta ad assaggiare la pizza, che lo spagnolo stranamente non gradisce. Dopo un ottimo campionato arriva anche la chiamata della Nazionale maggiore, a cui Ruiz non può rispondere per una brutta influenza. Di tempo ce ne sarà in futuro per vestire la maglia un tempo indossata dal suo idolo, al momento invece per il giovane spagnolo c'è l'Under 21 spagnola e l'Europeo. Oggi sfiderà proprio l'Italia e il popolo napoletano appassionato di calcio quasi certamente farà il tifo anche per lui.

L'AVVERSARIO

Ho avuto la sfortuna di ammalarmi e di non poter giocare alla prima

convocazione. Adesso ho davvero tanta voglia ed entusiasmo di rivestire

la maglia della nazionale

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Dicono di luiIl quotidiano Diario de Sevilla: “Dimostra ogni giorno che vuole migliorare sempre di più, continua a fare passi in avanti in tutto (fisico, carattere…), con l'animo del leader del futuro”

Miguel Valenzuela (suo scopritore): “È un giocatore completo. La sua dote migliore è il fatto di essere tremendamente competitivo. Fabián è la fusione tra il lavoro per la squadra di Lampard e la qualità tecnica di Guti”

Quique Setién (suo allenatore al Betis): “Sta diventando un grande calciatore. Ha davanti un futuro molto incoraggiante. Gli piace essere protagonista con il pallone. Ha qualità, sa inserirsi, sa imporre i tempi, si muove bene negli spazi stretti. Mi ricorda molto Glen Hoddle, uno di quei giocatori con grande personalità che non buttavano mai via una palla, nonostante la pressione”

Ancelotti: “È un giocatore continuo, ha grande passo e grande presenza. Per l'età che ha, possiede grande personalità”

L u i s E n r i q u e ( c t d e l l a Spagna): “Ha un tiro bestiale. Ha avuto il grande coraggio di affrontare un campionato difficile come quello italiano e sta crescendo con il Napoli. Ho voglia di vederlo all'opera con noi”

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Luperto

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Azzurro Luperto

PROFILI

Dal Salento a Napoli. Titolare ad Empoli nella stagione 2017-18 con la chiamata in Under 21. Carlo Ancelotti sembra puntare sul lungagnone nato a Lecce

ato a Lecce il 6 settembre 1996, NSebastiano Luperto nutre sin da piccolo una forte passione per il calcio, ma le

partitelle con gli amici nei cortili e nelle strade della città salentina non gli bastano e passa alla scuola calcio San Cesareo, dove comincia l'ascesa che lo porterà nel calcio che conta. Il ragazzo nasce attaccante, all'occorrenza esterno sinistro, e già da subito le sue qualità attraggono il Lecce, che lo

porta nelle sue giovanili. Il suo omonimo allenatore, Claudio Luperto, prima lo sposta sulla fascia di difesa per poi dirottarlo centralmente, sfruttando appieno i suoi 191 cm d'altezza. Dopo tre grandi prestazioni contro Liac New York, Napoli e Honved nel Torneo di Viareggio, Luperto viene acquistato dal Napoli. Fin da subito aggregato alla Primavera di Saurini, Luperto gioca una buona prima stagione, con 3 reti in 25 gare. 21 sono le presenze l'anno successivo, 2014/15, nella quale continua il buon rendimento. Il centrale di difesa viene tenuto d'occhio anche da Rafa Benitez, che lo convoca in campionato e nella Supercoppa vinta ai rigori contro la Juventus. Questa parabola culminerà con l'esordio in Serie A nei minuti finali della 34esima giornata contro il Milan. Per la stagione 2016/17 è in prestito alla Pro Vercelli nel campionato cadetto

Intenso Azzurro

Intenso

di Gianluca Mosca

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italiano, nella quale raggiunge 32 presenze ed un assist. L'anno successivo viene dato in prestito all'Empoli, sempre per disputare il campionato di Serie B. Con il club toscano il giovane leccese colleziona 28 presenze, 1 assist ed una rete. È proprio nella stagione in prestito all'Empoli che mostra appieno tutte le sue potenzialità: ottima scelta di tempo, buon senso dell'anticipo, forza fisica ed un buon piede mancino, qualità che gli procurano la convocazione con l'Under 21. Per la stagione 2018/19 torna al Napoli a disposizione di Ancelotti e, causa infortuni, diventa titolare, con buone prestazioni. Il ragazzo si trova bene nell'ambiente, sia con i tifosi che con i compagni di squadra: “Sono quasi 6 anni che sono qui e mi sono innamorato di questa città. A Napoli come a Lecce si cucina benissimo, sono capitato benissimo”. Ancelotti, essendosi reso conto delle potenzialità del ragazzo e dopo averlo trattenuto da possibili partenze in prestito la scorsa estate, lo ritiene un punto fermo per il futuro della squadra azzurra.

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PROFILI

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L’APPROFONDIMENTO

Le plusvalenze: apparenza e realtà L'argomento è sempre più discusso, anche se non tutti lo conoscono bene. Il Napoli dell'era De Laurentiis è una delle società che meglio ha saputo gestire questa determinante posta di bilancio, senza perdere di vista la competitività della squadra azzurra

di Francesco Marchionibus

ome ogni anno, alla conclusione del Ccampionato l'attenzione generale viene catturata dai temi del calciomercato, e

tra i tifosi oltre che di voci, ipotesi, sogni e speranze, da qualche tempo si discute sempre più di contratti, bilanci e plusvalenze. E in effetti nel calcio di oggi, che è (o dovrebbe essere) caratterizzato dal Fair Play finanziario e dunque da ben precisi equilibri di bilancio, per le società il mercato rappresenta l'occasione, oltre che per migliorare le proprie squadre, anche per ottenere ricavi attraverso le “plusvalenze” generate dalla vendita dei giocatori. Ma cerchiamo di approfondire un po' cosa sono e come maturano le plusvalenze di bilancio in una società di calcio. Tecnicamente la “plusvalenza” sulla cessione di un calciatore è il ricavo che deriva dalla differenza fra il valore di vendita e il valore che è registrato

in quel momento nel bilancio della società dopo aver sottratto gli ammortamenti del periodo in cui è stato di sua proprietà. cquistando un Acalciatore, la società acquisisce il diritto a godere delle sue prestazioni sportive per la durata del contratto sottoscritto: questo vuol dire che il costo di acquisto, per essere correlato correttamente all'utilità che ne deriva per la società, dovrà essere imputato a bilancio suddividendolo negli anni di durata del contratto del calciatore. e ad esempio la società acquista Sun calciatore pagandolo 10 milioni con un contratto di cinque anni, il costo del calciatore andrà “ammortizzato” in cinque anni, imputando a bilancio per ogni anno un costo di 2 milioni. Parallelamente, nel bilancio della società il valore del calciatore diminuirà di un quinto al termine di ogni stagione, perché la sua utilità si

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ridurrà progressivamente all'avvicinarsi della scadenza del contratto. uesto vuol dire che se la Qsocietà cederà il calciatore dopo tre anni di contratto sui cinque previsti, in quel momento il valore di bilancio sarà di 4 milioni: se la cessione avverrà ad un “prezzo” superiore, la società otterrà una plusvalenza, e dunque un ricavo da imputare a bilancio, altrimenti dovrà sopportare una minusvalenza e cioè un costo che andrà a gravare sul bilancio. n altri termini, se la società Idopo tre anni di contratto decide di vendere per 7 milioni il giocatore acquistato a 10, anche se apparentemente “ci perde” tre milioni in realtà ottiene una plusvalenza, e dunque un ricavo, di 3 milioni rispetto al valore residuo del calciatore.Per alcune società i ricavi da plusvalenza in realtà sono complementari se non secondari rispetto a quelli ottenuti da biglietti e abbonamenti, diritti TV, sponsorizzazioni, sfruttamento dei marchi, vendita di gadgets, magliette, ect; per altre invece

le plusvalenze da cessioni diventano una voce fondamentale per mantenere i bilanci in equilibrio. l Napoli, che rientra tendenzialmente Iin questa seconda categoria di società, ha realizzato negli ultimi dieci anni plusvalenze complessive per oltre 250 milioni (al netto delle minusvalenze), supportando così in maniera significativa i risultati di bilancio, ma è riuscito sempre a conciliare l'esigenza di ottenere plusvalenze con quella di mantenere la squadra competitiva. ell'ultimo decennio infatti se da un Nlato le cessioni eccellenti sono state solo cinque (Lavezzi, Cavani, Higuain, Jorginho e Hamsik), tanto che il Napoli statisticamente è la prima squadra in Italia e la nona in Europa per stabilità dell'organico (come certificato da un recente studio del CIES Football Observatory), dall'altro il valore complessivo della rosa è costantemente aumentato e la squadra si è oramai stabilizzata ai vertici del calcio italiano.

Le maggiori plusvalenze realizzate dalla SSC Napoli

Calciatore Prezzo di cessione Plusvalenza

Marek Hamsik 20.000.000 19.995.000

Jorginho 65.000.000 64.730.000

Gonzalo Higuain 90.000.000 86.300.000

Edinson Cavani 67.894.000 64.399.000

Ezequiel Lavezzi 28.947.000 28.632.000

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IL RITORNO

IL CALCIOCHE

BAGNA CASTELLAMMARECastellammare e il calcio. Un binomio che affonda le radici lontano nel tempo. A pensarci, dove poteva cominciare la storia del football dalle nostre parti se non dalla costa partenopea, quella che inizia dai Campi Flegrei e termina proprio a Castellammare? Quel mare, da cui grazie ai mercantili inglesi arrivavano merci, spezie e novità a volte esotiche, è stato il mezzo grazie al quale è arrivato dalle nostre parti quello che sarebbe diventato il gioco più bello del mondo. Gli inglesi, che lo avevano di fatto inventato per come lo si conosce oggi, avevano anche pensato di esportarlo ovunque si fermassero nei continui viaggi con i quali battevano di fatto tutte le rotte possibili. In Italia lo avevano trapiantato in Liguria, ma poi si resero conto che Napoli ed i dintorni avevano più spazio, più respiro ed allora il calcio arrivò sotto il Maschio Angioino, passando per il pullulante e già rinomato mercato del pesce di Pozzuoli per arrivare poi a Torre ed a Castellammare. Il nuovo sport trovò terreno fertile proprio alle pendici del grande Vesuvio e proliferò spingendo la grande città, Napoli, che agli albori del secolo scorso era una vera e propria capitale nonostante tutti i suoi problemi, a prenderlo in seria considerazione. Fermiamoci però questa volta a Castellammare. Lo Stabia Sporting Club nasce nel 1907 e da allora, con vicende altalenanti ma sempre condite dalla passione per questo gioco, ha saputo interpretare

di Giovanni Gaudiano

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la vera essenza del gioco del calcio. Oggi è arrivato uno di quei momenti altisonanti e le “vespe” sono ritornate in serie cadetta. Lo stadio, intitolato all'indimenticato granata Romeo Menti che ha vestito la maglia gialloblù per una sola ma ricordevole stagione, quella del 1944-45, è di nuovo in festa. Per chi non lo ricorda, quella Juve Stabia vinse sul campo lo scudetto dell'Italia liberata dagli alleati che la FIGC non ha mai voluto riconoscerle. È dunque il momento anche di applaudire tutti a partire dal presidente Manniello, oggi dimissionario per il bene e lo sviluppo di questa società tanto amata, che ha saputo costruire in silenzio un ritorno nel calcio che conta per una terra che lo merita assieme alla sua competente tifoseria. Complimenti quindi alle “vespe”, ai dirigenti tutti, al tecnico, ai giocatori, allo staff ed anche alla città ed al pubblico di Castellammare di Stabia impegnati sin da questo momento a fare ancora di più per sostenere il sogno realizzato che può continuare, basta volerlo.

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IL RITORNO

GIANNI IMPROTA:IL “BARONETTO DI POSILLIPO”

di Marco Boscia

Nativo di Napoli, vissuto e cresciuto in una delle

zone più belle della città, più precisamente sulla

collina di Posillipo. Incontro Gianni Improta

proprio al club Virgilio, locale notturno della movida

partenopea che comprende anche il complesso calcistico

Denza, che lo ha visto muovere i primi passi da calciatore e

che oggi gestisce con il figlio.

Se parli con Gianni Improta non puoi non partire dal suo

percorso col Napoli: si emoziona visibilmente quando

ripercorre la propria carriera in azzurro, dal principio fino al

momento in cui dovette lasciare i partenopei. Racconta di una

rivoluzione popolare. Questura e prefettura autorizzarono

cortei contro la sua cessione perché era diventato un

beniamino della tifoseria; spuntò addirittura uno striscione

che recitava: “Il Vesuvio si può vendere, ma Improta no”.

Un passato glorioso dunque nelle file degli azzurri che

ripercorre con classe, eleganza, educazione: qualità che

lo contraddistinguono da sempre e che gli sono valse il

titolo di baronetto che, ancora adesso, lo accompagna e

lo rende fiero di aver vestito i colori della propria città.

«Il titolo di baronetto è nato nel 1971. Dovevamo giocare

una gara fondamentale. Eravamo secondi in classifica ad un

punto dall'Inter e mancavano poche giornate al termine del

campionato. Li affrontavamo in trasferta ed Antonio

Ghirelli, sul “Corriere della Sera”, presentò il match con il

titolo: “ARRIVA IL BARONETTO DI POSILLIPO”. Si

riferiva a me, considerandomi un calciatore

che avrebbe potuto decidere la gara; da lì in

poi hanno continuato a chiamarmi così.

Ghirelli mi ha poi spiegato il motivo di quel

titolo, sottolineando quanto fossi elegante

nel pormi, nelle movenze in campo e nel

vestirmi. Per me, allora ventitreenne, fu

un'emozione indescrivibile: significava

sentirmi importante quanto, anzi di più

rispetto ai campioni di quel Napoli come

Zoff, Altafini, Sormani, Juliano, Bianchi e

tanti altri».

Una piccola pausa ed un gradito caffè

fanno da contorno al ricordo proprio di

quel match con l'Inter.

Una passione smisurata per il calcio ed una carriera segnata dall'amore per la maglia azzurra. Il record di quasi quattro campionati senza mai essere sostituito ma un unico grande rimpianto: non aver vinto il primo storico scudetto con il Napoli nel ‘71 contro l’Inter a Milano

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Io, Gianni Improta

“Ho incontrato due avversari veramente tosti nella mia carriera: un difensore centrale, Franco Baresi, che anticipava quasi sempre le mie mosse; l'altro, un mediano, Andrea Orlandini della Fiorentina, che riuscivo invece a superare ma che aveva un passo che gli permetteva di recuperarmi

“Quando giocavo io con gli azzurri, pur non avendo vinto nulla, al San Paolo ogni domenica venivano sistematicamente in 90.000

“Mi sono tolto tante soddisfazioni, sia da calciatore che poi anche da dirigente del Catanzaro. Nonostante tutto, il mio più grande rimpianto è di non essere riuscito a regalare la gioia dello scudetto ai tifosi napoletani

“Cammino sempre a testa alta. Sono contento di quello che ho fatto e di quello che ancora oggi faccio, guidato da sempre dalla passione

Il Direttore dell'Area Tecnica Ciro Polito

Il presidente Franco Manniello

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IL RITORNO

«A fine primo tempo vincevamo 1 a 0 con

gol di Altafini e con il vantaggio di avere un

uomo in più, vista l'espulsione di Burgnich.

Nell'intervallo ci fu un via vai nello

spogliatoio dell'arbitro Gonella da parte

del presidente e di alcuni giocatori

dell'Inter, fra cui Mazzola e Facchetti.

Quando rientrammo in campo, dopo pochi

minuti, l'Inter usufruì di un rigore

inventato e pareggiò. Non riuscimmo più

ad uscire dalla nostra metà campo,

perdemmo la partita per 2 a 1 ed

ovviamente anche lo scudetto. Arrivammo

poi solo terzi a fine anno».

Giocatore del Napoli ma ancor prima

tifoso. Quanto è difficile differenziare la

passione dalla professione? «Racconto un aneddoto per rispondere a

questa domanda: nel 1979 giocavo nel

Catanzaro e nonostante avessi quasi 32

anni , Inter e Napol i mi volevano

fortemente. Avrei potuto scegliere i

nerazzurri, guadagnare di più e vincere

uno scudetto, ma ho preferito fare ritorno

nella mia città. Per me, anche se oggi spesso

non accade più, ha vinto la passione».

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I l C l u b M a n a g e r I m p r o t a ripercorre la stagione che ha permesso alle “vespe” di ritornare nella serie cadetta grazie all'unione di intenti fra società, squadra e città. Poi lancia un'idea, studiare la p o s s i b i l i t à d i o f f r i r e u n abbonamento unico per i tifosi del N a p o l i e d e l l a s q u a d r a d i Castellammare di Stabia

messo a disposizione degli altri. È stato per tre

anni il presidente del comitato regionale della

F.I.G.C. del settore giovanile e scolastico; quindi

dirigente dell 'amato Catanzaro ed anche

opinionista TV di successo. Quest'anno Improta ha

rivestito il ruolo di “Club Manager” della Juve

Stabia. Mi racconta, con altrettanta emozione, quali

siano stati i principali ingredienti, visto che

nomi e blasone non bastano, che hanno portato

la squadra di Castellammare, pur non partendo

da favorita rispetto a squadre più attrezzate,

alla vittoria del campionato di Serie C. «Innanzitutto non bisogna fare grossi proclami

che molti giocatori non riescono a sostenere. Ci

vuole la fortuna di avere un gruppo di calciatori che

siano prima uomini e poi atleti. Importante quindi

creare un giusto mix fra i più esperti e gli altri più

giovani e sfruttare le occasioni che capitano

IL RITORNO DELLA JUVE STABIA IN SERIE B

Serietà ed impegno, comportamento

esemplare e rispetto verso tutti. Qualità che,

come dicevamo, hanno caratterizzato tutta

la carriera di Gianni Improta. Le stesse che,

assieme alla sua enorme esperienza calcistica,

anche una volta tolti i pantaloncini, il baronetto ha

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durante la stagione. Ovviamente società e pubblico

devono fare la propria parte. Il merito del successo

raggiunto va equamente diviso fra Ciro Polito,

responsabile dell'area tecnica, e Fabio Caserta,

allenatore che ha gestito il gruppo in maniera

eccellente. Alla base ci deve essere sempre la

passione; la Juve Stabia è una società fatta da

persone che lavorano in maniera organizzata, cosa

che, pur non avendo una disponibilità economica

elevata, ci ha permesso di fare un'impresa che tutti

ci invidiano: dal Trapani al Catanzaro, dal Catania

alla Casertana, che hanno investito tanto e più di

noi».Sarà possibile, a partire dal prossimo anno,

stringere rapporti con il Napoli per far crescere

qualche giovane azzurro a Castellammare? «Già in passato sono passati per Castellammare

giovani forti fra cui Zaza, Pavoletti, Biraghi e lo

stesso Simone Verdi, che poi sono riusciti ad

arrivare in squadre più blasonate ed anche a vestire

l'azzurro della nazionale. Quindi per noi sarebbe

un vero piacere collaborare con la prima società

che ci rappresenta non solo in Campania, ma in

tutto il Sud. Ciro Polito già cura i rapporti con il

Napoli in merito al settore giovanile; ben venga

un'ulteriore sinergia che possa permettere ai

giovani azzurri di crescere nella Juve Stabia. La

cosa bella è che Castellammare dista solo 20 km da

Napoli e, difatti, i nostri tifosi, la maggior parte,

sostengono entrambe le squadre. Lancio un'idea

che potrebbe dare sia conforto al calcio Napoli sia,

principalmente, alla Juve Stabia: creare una sorta

di unico abbonamento che consenta ai tifosi

stabiesi di seguire entrambe le squadre e viceversa

a quelli partenopei. Questo permetterebbe di avere

un Romeo Menti sempre pieno ed anche al San

Paolo le presenze potrebbero crescere,

riavvicinando i tifosi alla squadra».

M.B.

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IL RITORNO

L’anno da ricordare di Gianni Improta

“Le emozioni vissute durante la stagione con la Juve Stabia non le avevo mai provate

“Non essendo partiti favoriti, si toccava con mano, gara dopo gara, l'avvicinamento alla realizzazione di un sogno

“Castellammare è una piazza che, nonostante la squadra militi in categorie inferiori, fa sentire i calciatori come se si giocasse in Serie A

“Fabio Caserta ha una qualità fondamentale: legge le partite dopo 10 minuti

“Non ho mai trovato uno spogliatoio unito come quello della Juve Stabia

“Non abbiamo fatto un'impresa per caso. Se andiamo a guardare i numeri, ci si accorge di come, record dopo record, abbiamo meritato il successo

“Non abbiamo mai avuto paura di vedere sfumare l'obiettivo. L'ambiente ci ha aiutato tanto. L'unione fra città e squadra è stata bellissima

“Il gruppo degli ultrà della Juve Stabia non ci ha mollato un attimo. A Bisceglie addirittura i nostri tifosi erano più numerosi di quelli di casa

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COPERTINA

“Costruire un festival è come scrivere un romanzo”

Il Direttore artistico del Napoli Teatro Fest iva l Ruggero Cappuccio parla del teatro e dell'importanza della scrittura, della passione che deve animare qualunque at t iv i tà , de l la manifestazione in corso e del valore eterno della cultura

di Giovanni Gaudiano

Da qualche giorno la nostra città e non solo è pervasa dall'anelito del teatro, degli spettacoli. È la cultura che cancella la consuetudinarietà della routine e che si impossessa per 37 giorni delle prime pagine e che dà sfogo a tutta la sua grande profondità, alla bellezza, grazie al r i c h i a m o d i u n a s e r i e d i r i l e v a n t i rappresentazioni previste nel programma dell'edizione del 2019 del Napoli Teatro Festival Italia. Al di là del fatto che ne è il direttore artistico, con Ruggero Cappuccio se ne potrebbe parlare comunque. Durante l'intervista in un passaggio ha chiaramente detto che la sua passione, il suo entusiasmo crescono quando vede realizzati lavori altrui di qualità, di successo perché il teatro ha bisogno di tutti e forse tutti avrebbero bisogno del teatro, anche se a volte non lo sanno.La prima domanda è scontata ma poi non tanto. Dovendo scegliere, quale ruolo dei tanti che ha

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rivestito e riveste sente più suo? «Non mi sono mai posto il problema delle differenze tra i vari ruoli che ho ricoperto in campo art ist ico. In rea l tà sono ruol i apparentemente diversi ma intimamente congiunti. Ho sempre interpretato il mio lavoro come lo può interpretare un artista che ha una bottega e che vive per alcuni anni un innamoramento per gli oli su tela, viene poi attratto da un periodo di particolare fascino espressivo legato agli acquerelli e poi per due anni della sua vita lavora la terracotta e poi per altri due anni ancora si occupa soprattutto del marmo e così via. In realtà, se ci riflettiamo un momento, tutti i canali espressivi di cui mi sono occupato sono legati dalla scrittura. Per fare teatro bisogna scrivere, così come per fare un romanzo ed anche per fare un film la base è la scrittura. Quindi il comune denominatore di tutte queste attività è sicuramente la scrittura». Forse a questo punto il Direttore artistico può rappresentare la somma, con la sua funzione di organizzazione e raccordo con le istituzioni? «Il Festival lascia pensare ad un uomo d'azione mentre lo scrittore è un immaginario che ci apre una porta sull'uomo di pensiero. Però costruire un festival è come scrivere un romanzo, con la differenza che i personaggi del romanzo sono nel pieno dominio dello scrittore mentre i personaggi di un festival essendo viventi si muovono, si spostano e questo rende le cose più difficili ma anche più affascinanti. In fondo sono uno scrittore, colui che fondamentalmente immagina, poi il fatto che usi una penna per scrivere è relativo. Basta pensare a Socrate che è stato uno dei più grandi scrittori dell'umanità senza aver usato mai la scrittura vera e propria ma è stato tanto bravo da mettere in condizione gli altri di farlo».Analizzando i suoi lavori si nota la volontà di spaziare senza soffermarsi a lungo sullo stesso argomento. Volendo fare dei paragoni si sente

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COPERTINA

più vicino a Lucrezio, ad Epicuro o addirittura al grande eclettico Plinio il Vecchio? «Ho chiuso con il mio narcisismo vent'anni fa (sorride, ndr), non sono più interessato all'ego ma alla co-creazione. Per dirlo in maniera chiara, io sono felice quando posso condividere con altri la felicità. Quando nella vita si arriva al punto in cui lo spettacolo bello lo fai tu o un altro e ciò per te è la stessa cosa, si raggiunge uno stato di pace con se stessi che ti aiuta a vivere molto bene e ti aiuta a fare il direttore di un festival avendo totale disinteresse per se stessi, perché è importante essere interessati alla bellezza del processo che attivi. E qui torna di nuovo Socrate, quando diceva ai suoi discepoli che non è importante chi di noi trovi la verità: l'importante è che la si trovi».Quanto le costa dedicarsi a q u e s t a s p l e n d i d a manifestazione e dovere per forza di cose rallentare le altre sue attività? «Lavoro di notte per cercare di non tralasciare nulla. Un mese fa è uscito un mio libro edito da Feltrinelli, intitolato “Paolo Borsellino - Essendo Stato”. Ho terminato di girare un docufilm incase l l ando lo ne l l ' un i co periodo in cui era possibile farlo ed ora sono in fase di montaggio. Il Festival in una città come Napoli è totalizzante perché bisogna metterci il corpo se si vuole che le cose funzionino».

Nel programma del Napoli Teatro Festival spiccano ovviamente le prime che sono s e m p r e m o l t o a t t e s e . L ' a l l a r g a m e n t o d e l l a divisione in sezioni con l ' i n c l u s i o n e d i s p a z i e laboratori riservati ai giovani e la grande rilevanza della s e z i o n e i n t e rn a z i o n a l e dimostrano una notevole crescita di interesse attorno alla manifestazione. «In realtà la cosa sta così. Se vogliamo continuare a credere che il teatro consista nell'azione in cui qualcuno parla su un palcoscenico a qualcun altro che

ascolta, allora abbiamo capito poco perché il teatro è un crocevia di esperienze. Uno scrittore generalmente a teatro incontra degli attori, quindi la parola scritta diventa parola agita, parola suonata. Queste due e n t i t à i n c o n t r a n o u n o scenografo, che è un artista dell'immagine, e poi queste tre entità incontrano un musicista, un compositore che deve dare vita ad un'intersecazione tra musica e parola. Poi arriva il direttore della fotografia e si p o t r e b b e a n d a r e a v a n t i a l l ' i n f i n i t o , p e n s a n d o a i coreografi, ai maestri d'armi e

foto di Armando Cerzosimo

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poi a tantissime figure per cui il teatro è di fatto un crocevia di tante esperienze artistiche che f a n n o p a r t e d e l l a s t o r i a dell'umanità. Allora ho voluto un festival organico perché io credo fortemente nel concetto di interdisciplinarietà. Il teatro ha a che fare con tutto e tutti hanno a che fare con il teatro».Ci sono due aspetti nel Napoli Teatro Festival Italia che credo vadano evidenziati: il primo riguarda la possibilità concessa ad autori, registi, attori e produttori di mettere in scena i propri lavori; il secondo è volto agli spettatori per i quali un'inusuale politica di contenimento dei costi sta consentendo una maggiore partecipazione. «Queste sono le due cose che mi rendono più orgoglioso. Il nostro è un Festival impostato sulla contemporaneità. Lo s p e c i f i c o d i q u e s t a manifestazione è che l'85% dei lavori rappresentati sono scritti da autori viventi, contemporanei o a p p a r t e n u t i a l l ' u l t i m o cinquantennio del '900. Il secondo aspetto che mi fa piacere rimarcare è che, quando sono venuto qui, ho trovato il costo del biglietto d'ingresso agli spettacoli a 34 euro. A chi ci stavamo rivolgendo con un costo di questo genere, a quale classe sociale? Siccome io amo le cose moderne, che in genere sono le più antiche, e quindi amerei che come nel quarto secolo a.C. la gente come ad Atene entrasse a teatro gratis, ho decimato

sensibilmente il prezzo del biglietto perché il teatro ha uno scopo sociale, civile che ritengo sia una cosa da tenere sempre in d e b i t a c o n s i d e r a z i o n e . Oltretutto siamo molto fortunati perché la Regione Campania è quella che fa l'investimento più corposo per quel che riguarda un festival di teatro. Bisogna r i c o n o s c e r l o , n o n c ' è nessun'altra regione in Italia che investa cinque milioni di euro su una manifestazione di questo genere. Sarebbe quindi una forte

contraddizione destinare questo finanziamento, volto a tutta la cittadinanza, a beneficio di chi può consentirsi il lusso di spendere per un paio d'ingressi 70 euro per una serata al teatro».La manifestazione è alle porte ed è il terzo anno della sua direzione artistica. C'è sempre l'emozione come per il primo giorno di scuola o sta già pensando a cosa proporrà il prossimo anno? «Cosa farò il prossimo anno già lo so. Però debbo ammettere

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COPERTINA

che l'emozione c'è tutta, perché nella nostra attività prevale il concetto di non saperlo fare, di non essere sicuri del risultato. In caso contrario, saremmo degli abitudinari, sarebbe un lavoro fondato sulla consuetudine. L'emozione in questo lavoro c'è sempre perché ogni volta mettiamo in campo una sfida, prima di tutto con noi stessi».Concludendo, due parole sulla splendida esperienza del Premio Strega sfiorato nel 2008 ma forse moralmente vinto. «Fu un'avventura nata completamente a mia insaputa, mi sono svegliato una mattina ed ho scoperto di essere tra i finalisti del Premio e devo ammettere che non ho mai avuto passione per i premi, che mi ricordano qualcosa di scolastico. Ricordo che Gianni Bisiach a quell'epoca intervistato disse che “La notte dei due silenzi” era di gran lunga il l ibro più meritevole di vincere il premio. Mi fu chiesto cosa ne pensassi di tale dichiarazione ed io risposi che allo Strega non concorrono gli scrittori ma gli editori e che le pr ime c inque posiz ioni s i potevano ritenere già assegnate. Il mio libro era edito da Sellerio, che per la prima volta andò tra i finalisti dello Strega, ed arrivò sesto. Vorrei anche sottolineare come i circa 400 votanti del premio ricevono la settimana prima delle votazioni i 12 libri selezionati. Ora ritengo che per leggerli si dovrebbe essere un po' tutt i de i p iccol i Giacomo

Leopardi, avendo così poco tempo. Quindi come si vota? E poi molti giurati sono stati o sono legati alle più importanti case editrici. Ci sono di tanto in t a n t o d e l l e f a v o r e v o l i c o n g i u n z i o n i a s t r a l i c h e

favoriscono libri meritevoli ma sono determinate in buona parte dagli ostruzionismi e dagli ostacoli che le stesse importanti case editrici frappongono tra di loro. In quel caso si verifica la vittoria del milite ignoto».

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LA PRIMA

Tony Laudadio:“Il Tempo è veleno”Una prima di grande effetto al Sannazaro nell'ambito di Napoli Teatro Festival Italia, coprodotta da Teatri Uniti e Fondazione Campania dei Festival da un testo di Tony Laudadio con Francesco Saponaro alla regia e sul palco Andrea Renzi e Teresa Saponangelo

di Giovanni Gaudiano

arà una prima di grande interesse il lavoro Sche Tony Laudadio ha pensato e scritto e

che Ruggero Cappuccio ha voluto per

questa edizione del Napoli Teatro Festival Italia.

“Il Tempo è veleno” andrà in scena al Teatro

Sannazaro, la bomboniera di Chiaia curata da Lara

Sansone, lunedì 1 luglio alle ore 21.00 ed in replica

martedì 2 luglio ma alle 19.00. La regia è stata

affidata a Francesco Saponaro ed in scena con

Laudadio troveremo Andrea Renzi, Teresa

Saponangelo, Eva Cambiale, Angela Fontana e

Lucienne Perreca.La pattuglia ha una chiara matrice di

provenienza, Teatri Uniti, dalla quale si parte

per iniziare una conversazione che potrebbe

durare qualche settimana. «Teatri Uniti è una comunità – spiega Tony

Laudadio – dove esiste una condivisione su quello

che è il teatro ma allo stesso tempo, più che un

modello fisso, il nostro gruppo è stato sempre

capace di esprimere le proprie sensibilità, finendo

per reinventare di volta in volta un modello

personale con il proprio gusto e scegliendo senza

alcun condizionamento cosa fare. Siamo delle

identità che, incastrate insieme, producono il

proprio specifico, il proprio ruolo e questo credo sia

una grande fortuna di Teatri Uniti ed una grande

capacità di questo gruppo».Sull'argomento interviene anche Teresa

Saponangelo.

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LA PRIMA

«Sono ritornata alla mia famiglia d'origine e

quest'opportunità per me è una cosa meravigliosa.

Ho debuttato nel 2000 con Servillo in “Tartufo”,

poi ho anche lavorato con Andrea Renzi ma

ritornare a lavorare qui a Napoli con Tony

Laudadio, Francesco Saponaro e Andrea Renzi è

proprio bello. Mi lascia delle sensazioni

estremamente positive».Gli attori stanno provando da qualche giorno nei

locali dove Renato Carpentieri ha realizzato una

cosa di cui va molto fiero: lo “Spazio Carpentieri”,

che ha voluto qualificare con uno slogan molto

esplicativo: Uno spazio – Un Centro culturale – “

Un Teatro a parte”. È quindi naturale parlare del teatro, della sua

presenza e delle sue ricadute sulla nostra città. «È vero, il teatro è un'arte non particolarmente

diffusa che non produce grandissimi numeri – dice

Tony Laudadio – ma Napoli curiosamente è in

controtendenza. A parte le altre capitali italiane

della cultura noi conserviamo uno spirito ed un

amore per l'arte teatrale che secondo me continua

ad essere in Italia la più fertile, la più vivace, una

scena in continuo rinnovamento, particolare che a

ben guardare si nota. Non a caso a Napoli c'è il

Teatro Festival proprio perché era il luogo più

adatto ed anche quello che lo meritava di più».A questo punto tocca a Francesco Saponaro

parlare del suo vivere quotidiano e dell'attività

che può anche rappresentare un bisogno, una

necessità. «Io penso che partendo dalla compagine dove ci

troviamo, soprattutto a Teatri Uniti, la cosa

divertente è che c'è questa capacità e bellezza allo

stesso tempo di usare e di saltare da diversi

dispositivi. C'è una grande palestra che ci fornisce

l'opportunità di passare dal cinema al teatro, alla

lirica, alla televisione, alla musica che è molto

importante anche nel testo che stiamo preparando

ed anche per ciascuno di noi. Il teatro quindi non è

uno standard di modello legato alla parola o al

teatro di posa perché ci sono i diversi linguaggi che

si intrecciano ed è anche un luogo dove

s'incontrano tante persone, tante esperienze ma

Il Cast de “Il Tempo è veleno” al completo

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anche tante forme di linguaggio diverse. Questo ha

a che fare con Napoli e con il laboratorio di Teatri

Uniti, con questa possibilità di intrecciare tante

cose e la riflessione mi porta a pensare allo

spettacolo che stiamo preparando in cui le

esperienze personali in diverse epoche si

intrecciano come un ricamo, come un filo dentro le

storie di ciascuno degli attori ed anche di ciascuno

di noi».Interviene sull'argomento anche Andrea Renzi. «C'è un discorso comune a partire fortemente

dall'esperienza di Toni Servillo che si è diffuso e

che poi è stato coniugato in modi diversi. Poi

paradossalmente noi siamo in mezzo ad una

rivoluzione tecnologica impressionante e questo

definisce il teatro in maniera più forte anche

rispetto a qualche anno fa. Il teatro e tutto lo

spettacolo dal vivo è in generale in forte crescita

come la musica dal vivo, gli incontri con gli autori,

con gli scrittori e con personalità della cultura.

Sembra come se in una società che sta vivendo un

cambiamento importante non negativo, che poi un

po' ci può spaventare, ci fa smarrire, ci sia il teatro

che ritrova una sua definizione di linguaggio,

ritrova un'identità forte in questi anni».Torniamo a parlare de “Il Tempo è veleno”. «Non mi riesce facile parlare del testo – spiega

Tony Laudadio –. È stata per me una scommessa

raccolta da Ruggero che è stato generoso. Lo ha

letto ed ha voluto che lo presentassimo in prima in

quest'occasione anche se aveva il programma di

quest'anno già definito e la sua apertura non poteva

non essere raccolta da parte mia. Rispetto alle

anticipazioni sulla storia il testo non è proprio

diviso scenicamente in tre epoche o meglio si parla

di tre epoche diverse ma la scommessa è stata

proprio quella di vederle rappresentate tutte

insieme contemporaneamente. Sulla stessa scena,

che è fissa, lo spettatore vedrà due personaggi che

vivono negli anni 70, due negli anni 90 e due ai

giorni nostri. Sarà come vedere con un unico colpo

d'occhio quasi 60 anni di vita di una famiglia. Le tre

generazioni da quella dei genitori a quella

contemporanea utilizzeranno ognuna il proprio

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LA PRIMA

linguaggio e la storia presenterà la ricaduta che le

azioni del passato ribaltano su quelle del futuro. Si

può dire che la scena è anche una sorta di metafora

della città di Napoli, dove la stratificazione

presenta di fatto una convivenza con i suoi

fantasmi. Ed è anche un po' quello il gioco, mettere

ins i eme an ime che vengono da e poche

lontanissime però legate tra loro sia per un luogo,

per una vicinanza genetica, affettiva, familiare e

vederli reagire tutti insieme un po' come succede a

Napoli, dove tu cammini per la strada e trovi dai

greci ai francesi agli spagnoli e poi ti capita di

entrare nel Centro Direzionale. Questo comunque

è un testo che è più facile da vedere che non

parlarne e leggerlo. Il teatro alla fine semplifica ed

io credo che agli spettatori basterà uno sguardo per

cogliere cose che faranno anche sorridere».Interviene sul testo Francesco Saponaro. «C'è addirittura uno stesso personaggio di due

e p o c h e d i v e r s e p r e s e n t e i n s c e n a

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contemporaneamente, da giovane e da adulta, ed è

particolare trovare questa coincidenza in un unico

momento percettivo, in un'unica casa, in cui tutto si

sovrappone. I personaggi di epoche diverse non

parlano tra loro però sono presenti in scena

contemporaneamente, non ci sono divisioni ed a

volte sembra che qualcuno parli e quello di un'altra

epoca ti stia ascoltando. Di fatto non ci sono

segmenti, la storia si intreccia e di fatto si vive una

copresenza. È stato uno spettacolo molto

complesso da costruire, che può essere definito

anche una commedia, nel senso che ha un

particolare aspetto drammatico che si rifà alla

caratteristica dei napoletani che hanno questa via

salvifica di non entrare fino allo spasimo in certe

zone ma di essere capaci di uscirne, guardando con

un attimo di disincanto la propria realtà».Per la chiusura si ritorna a parlare del Festival,

della sua organizzazione, delle sue prospettive

e di come andrebbe valorizzato sempre di più

dai media e non solo. «Il festival è aperto – spiega Andrea Renzi – su

tre fronti: il primo si rivolge alla città con questo

gesto di abbassamento del costo del biglietto, che è

un gesto di politica culturale molto netto; il

secondo è l'apertura della città che si apre al resto

del mondo e accoglie spettacoli con delle prime

importanti anche internazionali; il terzo riguarda

l'inserimento del livello formativo che ha bisogno

di tempo ma inizia ad essere importante. I

laboratori ed i giovani che possono incontrare dei

maestri sono tutte importanti stimolazioni a

disposizione di tutti quelli interessati al teatro. Il

festival è un motore che mette in circolo energie

culturali».Sull'argomento interviene anche Teresa

Saponangelo. «Credo ci voglia una continuità direttiva perché

queste manifestazioni si possano consolidare.

Avignone per esempio ha avuto lo stesso direttore

per anni, può essere un bene o un male però la

continuità, che significa progettazione negli anni e

non finalizzata all'organizzazione dell'edizione

corrente, è fondamentale per la crescita di un

festival. Solo così si può pensare di venderlo

all'estero come immagine e quindi ad attrarre delle

firme tipo Le Monde, il Times che vengano a Napoli

e che ne parlino».

Il Tempo è veleno di Tony Laudadiocon Teresa Saponangelo, Eva Cambiale, Andrea Renzi, Angela Fontana, Lucienne Perreca, Tony LaudadioRegia di Francesco SaponaroCoproduzione Teatri Uniti e Fondazione Campania dei Festival - Napoli Teatro Festival Italia

Prima AssolutaNapoli - Teatro Sannazaro 1 luglio 2019 ore 21.002 luglio 2019 ore 19.00

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La scrittura scenica di Davide Iodice

IL REGISTA

Dalla Scuola Elementare del Teatro al Napoli Teatro Festival Italia con “La Luna”, in prima assoluta a Palazzo Fondi dal 12 al 14 luglio

Qual capolavoro è l'uomo! Come nobile “nell'intelletto! Come infinito nelle sue facoltà! Quale espressione ammirabile e commovente

nel suo volto, nel suo gesto! Un angelo allorché opera! Un Dio quando pensa!”. È l'Amleto di Shakespeare, una tragedia dove il drammaturgo inglese spazia su vari argomenti per focalizzare l'attenzione sui valori che regolano le azioni degli esseri umani e la loro esistenza. È Davide Iodice a proporre, o meglio suggerire, questo riferimento letterario per spiegare chiaramente la sua strada, l'obiettivo principale delle sue scritture sceniche. “La Luna”, che sarà in scena in prima assoluta dal 12 al 14 luglio in occasione del Napoli Teatro Festival Italia, ne costituisce soltanto una voce.

Tanti lavori alle spalle, ma il più imminente è “La Luna”.

«È un progetto inaugurato nella scorsa edizione del Napoli Teatro Festival Italia, che però ha più di qualche anno. Si tratta della terza tappa di un'indagine sociologica, antropologica e poetica sulla crisi del contemporaneo. Dopo La fabbrica dei sogni e Un giorno tutto questo, incentrati sul tema del sogno e dell'eredità spirituale, La Luna affronta la tematica del rifiuto inteso non soltanto nel senso di oggetto rifiutato di cui ci si vuole o ci si deve liberare, ma anche di rifiuto agito e subito. Dall'anno scorso abbiamo cominciato a diffondere una sorta di chiamata pubblica per la quale,

di Lorenzo Gaudiano

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IL REGISTA

chiunque volesse, poteva consegnarmi un oggetto. Mi sono occupato poi di filmare queste storie che andranno a costituire la base costitutiva della drammaturgia».

Il titolo dell'opera ha sicuramente un significato simbolico.

«C'è un passo nell'Orlando furioso dove Astolfo cerca la ragione perduta, la soluzione per la follia del protagonista e la trova sulla luna, vista quindi come un “magazzino di umanità” dove sono custodite le cose perdute sulla Terra».

Palesi richiami alle opere classiche. Una sua peculiarità quindi.

«In realtà no. Sono trent'anni che mi occupo di r i scr i t tura scen ica , ovveros ia par to da un'intuizione per poi trovare le fonti e il materiale poetico e umano. Quando incontro un classico, l'unica cosa che posso fare è dargli la mia vita, piegarlo ad un sentimento del presente. La peculiarità di questo lavoro sta proprio in questo uscire fuori dai confini del teatro per cercare un'intensità e una veridicità in storie che raccolgo nella vita».

E allora usciamo da questi confini. Ritorniamo a quando tutto è cominciato.

«La mia storia con il teatro è un po' da libro Cuore, una favola vera e propria. Sono originario della periferia orientale di Napoli, Cercola e Pollena Trocchia. Sono cresciuto in un contesto difficile e per questo il teatro, oltre alla mia famiglia, ha rappresentato per me una via di salvezza. Avrei potuto intraprendere strade non belle come molti amici fraterni hanno fatto. La mia passione teatrale è venuta fuori per caso. Inizialmente è maturata a scuola, per merito di un insegnante. A cambiarmi la vita poi fu uno spettacolo di Giorgio Barberio Corsetti, La camera astratta. Leggendo il programma, scoprii che aveva frequentato l'Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D'Amico a Roma».

Accademia a cui anche lei si è diplomato poi.

«Allora non sapevo nemmeno cosa fosse e così in

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quel momento decisi che sarebbe stata quella la mia strada. Non c'era Internet a quei tempi, telefonai all'Accademia per avere informazioni. Avevo bisogno del bando di concorso per potermi iscrivere ma non sapevo proprio come fare. Non volevo ancora dirlo ai miei genitori perché allora la cosa mi sembrava impossibile e trasferirmi a Roma non era alla mia portata. Chiamo un mio carissimo amico, Raffaele Romano, che venne a prendermi con una Vespa. Dopo essere entrato, per sette mesi andavo e tornavo da Roma tutti i giorni, tutte le mattine mi svegliavo alle 4. Papà mi accompagnava alla stazione Garibaldi, terminavo le lezioni alle 19 e tornavo a casa a mezzanotte».

Di maestri nel suo percorso ne ha sicuramente avuti.

«Durante i miei anni di Accademia ho conosciuto il mio maestro di regia, Andrea Camilleri. È diventato un secondo padre per me, mi ha pagato l'affitto per tre anni senza che i miei genitori lo sapessero. Determinanti per il mio percorso di formazione sono stati anche Carmelo Bene e Leo de Berardinis, che è stato un padre spirituale ed un riferimento artistico molto importante. Infine ho collaborato anche con Carlo Cecchi. Ho avuto quindi la fortuna di poter lavorare in grande autonomia con gli ultimi grandi maestri del Novecento teatrale».

Tra i suoi progetti anche la Scuola Elementare del Teatro.

«Oltre ad essere il nome dello spazio a San Giovanni dove operava la mia compagnia “Libera mente”, è stato anche uno dei principi teorici del regista polacco Tadeusz Kantor, un riferimento artistico per me e molti registi contemporanei. È un progetto che porto avanti da sei anni all'ex asilo Filangieri, un laboratorio che mette insieme ricerca, produzione ed integrazione e che quest'anno ha raggiunto i 150 iscritti. È gratuito e non è sostenuto ancora da nessun ente. Vi hanno preso parte tanti ragazzi con disabilità, giovani con un passato ed un presente difficili e professionisti di teatro e danza».

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LA CITTÀ

Il Palazzo del ReDa residenza a polo museale e biblioteca

el passeggiare nella zona della Galleria NUmberto, proprio di fronte al bar Gambrinus, si può osservare il lato

posteriore del Palazzo Reale di Napoli, la cui facciata principale s'affaccia su Piazza del Plebiscito. Questo edificio ha conosciuto vari rifacimenti sino a poco prima dell'Unità d'Italia ma originariamente fungeva da residenza per le visite dei re spagnoli e dei viceré nel Cinquecento per poi essere riadattato come residenza ufficiale della capitale del Regno di Napoli. Ora è un polo museale molto importante, è sede della biblioteca nazionale che raccoglie un milione e mezzo di volumi ed è sede di manifestazioni culturali, tra cui la 12^ edizione del Napoli Teatro Festival di quest'anno; per cui vale la pena raccontarne la storia.

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Affaccia su una delle più belle piazze d’Italia. Il palazzo reale di Napoli ha attraversato nella sua storia diverse ere con differenti dominazioni . Oggi è a disposizione dei turisti e da qualche anno del Napoli Teatro Festival Italia

di Domenico Sepefoto di Claudio Morabito

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LA CITTÀ

La storia di questo complesso inizia dopo la conquista spagnola del Regno di Napoli con i primi lavori nel 1543 per il Palazzo Vicereale ma, nel 1600, il viceré Ruiz de Castro decise di costruire un nuovo palazzo in onore del re Filippo III d'Asburgo accanto al Palazzo Vicereale, il cui progetto fu affidato a Domenico Fontana. Nel 1734 Napoli fu conquistata da Carlo di Borbone e divenne capitale di un regno autonomo. Il nuovo re a questo punto decise di ampliare il complesso e di restaurarlo. Furono anche edificati due cortili interni, sistemati i giardini pensili e completata la facciata su via Acton. Nel 1837, a seguito di un incendio, si rese necessario un nuovo restauro dell'intero complesso da parte di Fe r d i n a n d o I I , i n c h i a v e neoclassica. Venne abbattuto il palazzo Vicereale e creato il corpo di fabbrica che oggi ospita la biblioteca nazionale. Questi lavori si conclusero nel 1858. Nel 1919 i Savoia lo cedettero al Demanio ed in questo periodo fu spostata la biblioteca mentre gli appartamenti furono conservati a scopo museale ed aperti al pubblico. Subì gravi danni durante la Seconda Guerra Mondiale, con una bomba che colpì il teatrino di corte e l'utilizzo da parte dei soldati angloamericani come luogo di ritrovo. Venne quindi restaurato negli anni Cinquanta e poi, di nuovo, negli anni 2010 recuperando ciò che era prima dei danni subiti.

Da Palazzo Vicereale adun Palazzo Reale

Il Palazzo Reale sarà la cornice del Napoli Teatro Festival di quest'anno con l'utilizzo di alcuni dei suoi cortili su cui vale la pena soffermarsi. Andranno in scena opere delle Sezioni Italiana ed Internazionale con artisti sia del territorio che esteri, il tutto valorizzando questo splendido complesso che si trova al centro di Napoli come luogo di cultura. Il Cortile d'Onore fa parte del progetto originario del Fontana, che prevedeva tre cortili in corrispondenza dei tre ingressi. Si presenta a forma quadrata, con cinque arcate su ogni lato, intorno, al primo piano, una loggia. In

I cortili e i giardini

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una nicchia nella parte orientale del cortile era posta originariamente una vasca, ma in seguito fu sostituita da una fontana, ornata con una statua della Fortuna. Il Cortile delle Carrozze, così chiamato per la vicinanza ad una rimessa di carrozze, si avvicina architettonicamente allo stile dato al palazzo da Domenico Fontana, ha una forma rettangolare, con al centro una vasca di forma ellittica in marmo, ed è unito al cortile d'onore e alla spianata dei bastioni da due corridoi di servizio. La rimessa delle carrozze è un ambiente voltato con spina centrale che verte su nove colonne in ordine dorico. Il giardino è ciò che rimane degli antichi giardini del palazzo Vicereale: venne realizzato nel 1842 e si trova protetto da un'ala nuova del palazzo, chiamata della Porcellana. È cinto tutto da una cancellata con lance dalle punte dorate; presso il cancello d'ingresso, ai lati è decorato da due Palafrenieri in bronzo, copia di quelli realizzati a San Pietroburgo. Da qui è possibile avere una visuale del Maschio Angioino ed è qui che si terrà il Dopofestival del Napoli Teatro Festival.

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LA STRISCIA DI CENZÌ

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TRADIZIONI E LEGGENDE

di Paola Parisi

I quattro “buontemponi”di Palazzo Reale

di Palazzo RealeLa Regina Margherita, i poveri prigionieri bendati e le quattro

statue dei re pronti a duellare … anche di notte

Castigat ridendo mores.La satira politica non è nata ieri né l'altro ieri ma nel popolo partenopeo è parte integrante del suo DNA sin dalla notte dei tempi. I carnefici diventano vittime di siparietti grotteschi afflosciando tutta la loro ridondante autorità e autocelebrazione, come abbiamo spesso e vo l e n t i e r i av u t o m o d o d i o s s e r va r e passeggiando per Piazza del Plebiscito con le sue celeberrime statue degli otto sovrani che hanno scritto la storia di Napoli e non solo. Di questi otto, solo quattro sono i protagonisti di una leggenda popolare che si tramanda di generazione in generazione. D'impatto si potrebbero paragonare a dei concorrenti di un reality show la cui conduttrice è la Regina Margherita di Savoia che, costipata di stomaco per aver mangiato un numero considerevole di pizze, si inventa il gioco del “non si passa”. Per

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TRADIZIONI E LEGGENDE

avere l'immunità dalla nomination, ciascun concorrente deve percorrere bendato la piazza ... ma purtroppo ... prova non superata per cui i quattro nominati sono costretti al ludibrio quotidiano di un pubblico esigente il quale, per la dura legge del contrappasso, diventa sovrano con palese soddisfazione di vederli almeno per una volta, sudditi e succubi. Ed è così che trascorrono la loro giornata ... sempre in piedi ed immobili nelle loro nicchie e presi di mira da migliaia di turisti di ogni parte del mondo e martoriati dai gas di scarico delle auto e dei motorini. Sono pur sempre cavalli ... cavalli motore ma sempre cavalli sono. Cala la notte ed è giunto il meritato riposo dei condottieri che finalmente scendono dai loro abitacoli per sgranchirsi le ossa. Ecco che il pignolo Carlo V di Asburgo, infastidito, punta il dito in corrispondenza di una pozza d'acqua ed esclama: “Chi ha pisciato ca' n'terra?” Carlo III di Spagna di rimando: “Je nun saccio nient” ... Gioacchino Murat, invece, tronfio e spavaldo:

“So' stat io...e allor?” E dulcis in fundo Vittorio Emanuele II, illudendosi di porre fine alla discussione, tuona perentorio: “Mo' te lo taglio!”. I restanti quattro sovrani, che fino ad allora stoici e fieri erano rimasti muti tutto il tempo, sghignazzando lo sbeffeggiano: “Vitto' ma che vuo' taglia'... stai semp cu' sta spada 'mman ... pensa che poi sarai costretto a tagliarlo ad un tuo lontano discendente al quale involontariamente gli stai spianando la strada per andare a ballare in TV”...

La gogna della Regina Margherita è diventata un gioco per i turisti che visitano Napoli ed anche per gli stessi napoletani. In tanti provano ad attraversare bendati la piazza, partendo dalla porta centrale di Palazzo Reale per passare tra le due statue equestri. Si tratta di un tragitto lungo 170 metri ma la meraviglia all'arrivo di quelli che c i provano è quel la d i aver fa l l i to completamente la prova. La difficoltà risiede nell'irregolarità e nella pendenza che caratterizza la piazza.

La storia che si ripete

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METTI UNA SERA A CENA

“Punto Le coordinate

I fratelli Daniele e Simone Testa raccontano la storia di q u e s t o l o c a l e a Monter usce l lo che ha conquistato il favore di un' importante, vasta e famosa clientela

di Lorenzo Gaudiano

Da piccolo accompagnavo mio nonno

a pescare. Lui non si immergeva con lo

scafandro ma lasciando sulla barca la

bombola che gli dava ossigeno attraverso

un tubo fino a 15-20 metri di profondità per

raccogliere frutti di mare. Il mio compito

all'epoca insieme ai miei cugini era

semplicemente quello di seguirlo nei suoi

movimenti per fare in modo che non si

perdesse oppure che gli potesse passare

sopra un motoscafo. Ogni 20-30 minuti

risaliva in superficie e mi portava frutti di

mare di ogni tipo con un profumo diverso a

seconda della zona dove si immergeva’’. È

Daniele Testa che racconta e che condivide

uno dei suoi primi ricordi legati al mare. La

passione che con il trascorrere degli anni si

è evoluta, la preparazione che si è

consolidata con l'esperienza e lo studio e il

sostegno continuo della famiglia hanno

dato origine nel tempo a quello che

rappresenta oggi ‘‘Punto Nave’’, un

ristorante prestigioso per la sua capacità di

conquistare il cliente a partire dalla

materia prima in esposizione all'ingresso

fino al design del locale, che si presta bene

per ogni richiesta della clientela con i suoi

séparé e i tavoli di ogni misura, il tutto

costellato dal grande universo di vini che si

può ammirare durante il percorso ed una

volta seduti. La storia di questo ristorante

di Monteruscello risale a diversi anni fa ed

‘‘

è un piacere poterla raccontare attraverso le parole pacate

di Daniele, che ama parlare di questa storia anche perché

in questo modo finisce per parlare, oltre che di se stesso,

anche della sua famiglia. Partiamo dal nome del locale. «‘‘Punto Nave’’ è un nome che pensarono mio padre

Domenico e mio zio Sabatino. Dare il punto nave significa

indicare un punto preciso a chi vi deve trovare. In questo

contesto si potrebbe intendere come indicare un punto

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Nave”del buon gusto

dove ritrovarci tutti per mangiare bene». Una storia che quindi parte da lontano. «Mio padre ed i suoi parenti rifornivano gran parte

della ristorazione flegrea. Era il 1990 e decisero di dare

vita a Punto Nave per offrire ai propri clienti quello che

non vendevano. Per 5-6 anni i pescatori che tornavano dal

mare si fermavano da noi per mangiare. Purtroppo tra soci

non andarono d'accordo e mio padre decise di rilevare il

locale. Non avendo più la stessa forza economica di prima,

propose dei menu di mare a circa 25-30

euro, puntando molto anche sulla pizzeria.

Io e mio frate l lo S imone, ancora

adolescenti, cominciammo a dargli una

mano». Siete cresciuti poi e le cose sono

c a m b i at e , c o m e s i p u ò ve d e re

guardandosi un po' intorno. «Passarono circa dieci anni. Mi

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METTI UNA SERA A CENA

mancavano quei profumi del pescato e stava incominciando ad affascinarmi il mondo del vino. Ci innamorammo di una ristorazione diversa, di una materia prima eccellente. Questo di fatto comportò dei cambiamenti al locale. Il numero di coperti d i m i n u ì d r a s t i c a m e n t e , l e s p e s e aumentarono e i costi per la clientela lievitarono di parecchio. Mio padre si

“allontanò” perché, chiudendo la pizzeria, di fatto lo

privammo di quello che era stato fino a quel momento un

po' il suo mondo e poi avevamo abbandonato quello che era

sempre stato il nostro introito certo per un qualcosa di

incerto». C'è voluto qualche anno per consolidarsi dopo un

simile cambiamento. «Eravamo consapevoli della difficoltà e che ci sarebbero

voluti uno-due anni per vedere i frutti del nostro lavoro.

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La clientela doveva trovare presso di noi sempre lo stesso

prodotto e la nostra bravura era fargliela percepire,

adeguando il prezzo. L'obiettivo è sempre stato quello di

diventare il loro chiodo fisso, di far sì che per i nostri

clienti “Punto Nave” diventasse la sicurezza di una serata

di qualità». E quindi arriviamo a quello che rappresenta oggi

Punto Nave. «Viaggia così da cinque anni. In questo periodo

abbiamo fatto tanta gavetta, ampliato le nostre

conoscenze della materia prima, anche per guadagnare la

fiducia dei pescatori che ci riforniscono». Una domanda personale. Il rapporto con tuo fratello

Simone. «È come un matrimonio, non si può andare sempre

d'accordo. Entrambi abbiamo dei difetti ma l'importante è

accettarli sempre. All'inizio ci siamo scontrati spesso ma

tra di noi c'è sempre stato un amore profondo. Insieme a

noi, mia moglie ci dà grandissimo sostegno e mio padre ci

guarda le spalle».

Il vino qui non manca … «A fine anno arriveremo a 900 etichette

circa. Abbiamo vini di diversa provenienza:

dall'Italia alla Francia, passando per la

G r e c i a , l ' A u s t r a l i a e d a n c h e i l

Sudamerica». Chiudiamo sul futuro di Punto Nave,

rivolgendo una domanda a Simone

impegnato in cucina. «Abbiamo avuto proposte in tutta Italia

per replicare il nostro marchio. Sono venuti

da noi con locali siti in piazze importanti di

grandi città per convincerci a duplicare

‘‘Punto Nave’’. Ci siamo rifiutati perché

sarebbe impossibile replicare da lontano

quello che facciamo qui e poi per un

discorso prettamente commerciale

verrebbe a decadere quella passione da cui

siamo partiti per arrivare dove siamo

oggi».

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Caravaggio ed il suo periodo napoletanoÈ visitabile ancora per un mese la

mostra dedicata al grande artista

l o m b a r d o a l M u s e o d i

Capodimonte e … al Pio Monte

della Misericordia

di Marco Boscia

LA MOSTRA

Quale la verità sulla vita di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio? Difficile a

d i r s i . B a s t a c o m u n q u e accantonare ipotesi, aneddoti, storie certificate e guardare semplicemente all'artista che ha lasciato ampia testimonianza della sua grandezza ed ha impresso la sua orma indelebile nella storia dell'arte. In uno dei frequenti periodi turbolenti della sua vita Michelangelo Merisi arrivò per la prima volta a Napoli nel 1606 perché costretto a fuggire da Roma, dove era stato condannato dalla giustizia per l'omicidio di Ranuccio Tommasoni, avvenuto in seguito ad una rissa scaturita da un debito di gioco. L'incontro con la capitale del meridione segnò per Caravaggio una svolta: inaugurò d i f a t t i u n n u ovo m o d o d i d i p i n g e r e , t o r m e n t a t o e drammatico. Ed è proprio questo che si evince, come spiegano i curator i , da i d ip int i ( tut t i realizzati nella città partenopea) ammirati in Caravaggio Napoli. Nella mostra organizzata dalla casa editrice Electa, curata dalla professoressa Maria Cristina

Terzaghi e da Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, vengono messe a disposizione dei visitatori sette importanti opere del Merisi, provenienti da istituzioni italiane ed internazionali, con diciannove opere di altri artisti napoletani, tra i qual i spiccano Batt istel lo Caracciolo e Massimo Stanzione, oltre a quelle di altri importanti precursori del caravaggismo. Èancora possibile per un mese, per chi non lo avesse fatto, visionare i sei dipinti del Merisi al museo di Capodimonte: i primi a rubare l'attenzione, entrando all'interno della Sala Causa al piano terra, sono La Flagellazione, eseguita nel 1607, in prestito dal Musée des beaux arts di Rouen, capoluogo della Normandia, e la seconda prova dello stesso soggetto, dipinta sempre a Napoli tra il 1607 ed il 1608, direttamente per la chiesa di San Domenico Maggiore, p o i s p o s t a t a a l m u s e o d i Capodimonte. Oltre alle due “Flagellazioni”, gli altri quattro

dipinti di Caravaggio che si possono ammirare continuando il percorso sono: il Martirio di

Prendo in prestito dei corpi e degli oggetti, li dipingo per ricordare a me stesso la magia dell'equilibrio che regola l'universo tutto. In questa magia l'anima mia risuona dell'Unico Suono che mi riporta a Dio”

(Caravaggio)

C'è stata l'arte prima di lui e l'arte dopo di lui, e non sono la stessa cosa”

(Robert Hughes su Caravaggio)“

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LA MOSTRA

Sant'Orsola, arrivato al Museo dal Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli; Salomé con la testa di Battista dalla National Gallery di Londra; l'altra Salomé dal Palacio Real di Madrid ed il San Giovanni Battista dalla Galleria Borghese di Roma. La visita termina in sala video, dove in un breve estratto con sottofondo musicale di Enzo Avitabile viene illustrata l'influenza che la città di Napoli ha avuto sul pittore. Il video si conclude con una scritta che in questi mesi ha lasciato interdetti i visitatori: “Caravaggio vi aspetta al Pio Monte della Misericordia”. I due musei difatti hanno sì trovato l'accordo per mettere a disposizione dei turisti navette di trasporto da un luogo all'altro, ma appare abbastanza strano che non si sia riuscita a portare l'opera, stabilmente a Napoli in Via dei Tribunali, a Capodimonte mentre tre opere sono arrivate da parecchio lontano. Questo avrebbe permesso a tutti di visionare fra gli altri, in una sola sede, quello che è forse il più grande capolavoro di Caravaggio: le Sette opere di Misericordia.

Perché Caravaggioè così grande? Perché si stenta a credere che le sue idee siano state

concepite quattro secoli fa. Tutto, nei suoi dipinti, dalla luce al taglio della

composizione, fa pensare a un'arte che riconosciamo, a un calco di

sensibilità ed esperienze che non sono quelle del Seicento ma quelle di ogni

secolo in cui sia stato presente e centrale l'uomo; la si può chiamare

pittura della realtà, e a questo deve la sua incessante attualità. Davanti a un quadro di Caravaggio è come se

fossimo aggrediti dalla realtà, è come se la realtà ci venisse incontro e lui la riproducesse in maniera totalmente mimetica. Stabilendo per ciò stesso

un formidabile anticipo, perché si può dire, in senso oggettivo, che

Caravaggio sia l'inventore della fotografia”

Caravaggio sceglie provocatoriamente i suoi soggetti,

sapendo bene di mettere in crisi non solo i valori tradizionali dell'arte,

ma anche quelli della morale e della religione. Dipinge pezzenti come quelli che si potevano trovare nelle

strade della Roma del suo tempo e li trasforma in santi; converte prostitute

in madonne, ragazzini di facili costumi in personaggi biblici o

mitologici, senza alcun abbellimento, con la loro fisicità schietta, chiassosa,

maleodorante, in un modo straordinariamente realistico,

lavorando dal vero senza disegni preparatori, riproducendo la luce e l'ombra come nessun artista aveva

mai fatto prima”

“I pareri di Vittorio Sgarbi

“Orari Mostra Caravaggio Napoli

Aperta tutti i giorni, compreso il mercoledì giorno di chiusura del museo Sala Causa (8.30-19.30)

La mostra terminerà domenica 14 luglio

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Tonda Gentile S.r.l.Via Passanti, 403 - 80047 San Giuseppe Vesuviano (NA)

Tel./Fax +39 081 8272250 - [email protected]

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LA TRASMISSIONE

Daniele Ippolito: un produttore “vulcanico”

A luglio partirà la seconda stagione della sua creatura, V u l c a n i c i – A r t i s t i Incandescenti , in onda questa volta su 7Gold

di Lorenzo Gaudiano

Il nostro lavoro è un foglio bianco. Non «esiste, lo devi inventare». È questo il primo pensiero di Daniele Ippolito, che

sarebbe riduttivo definire soltanto un produttore esecutivo. Se si pensa a Morire a Napoli, l'antologia fotografica edita da Rogiosi con Nicandro Siravo, al programma televisivo Vulcanici – Artisti Incandescenti e al nuovo progetto lanciato da poco con ‘Mparate a parlà, subito risaltano agli occhi la sua illimitata creatività e la forte ed innata passione per la musica e per il nostro territorio.

Una passione per questa professione di derivazione familiare.

«A trasmettermela sono stati mio padre e mio

zio. Ho sempre creduto con convinzione nei miei progetti ed è per questo che ho cominciato a produrmeli autonomamente. Sono un produttore esecutivo, un deus ex machina che si occupa di mettere insieme i pezzi per la realizzazione di un progetto».

Una delle tue creature, “Vulcanici”, è il frutto di questa tua passione.

«Negli anni Ottanta seguivo la trasmissione di Renzo Arbore in onda su RaiDue (Doc), che andava in onda nel primo pomeriggio, dove grandi artisti del mondo si esibivano dal vivo dinanzi al pubblico in studio. Negli anni Novanta invece c'era RoxyBar di Red Ronnie. Questi programmi musicali mi interessavano particolarmente».

Da qui è nata l'idea di “Vulcanici”?

«In realtà ho pensato a questo progetto in virtù del fatto che Napoli sta vivendo un secondo momento di giovinezza dal punto di vista musicale. Ho notato che nelle reti televisive locali c'è una notevole opulenza di programmi sportivi, mentre ne mancava uno dedicato alla musica dal vivo. Ho quindi realizzato nel 2017 una puntata

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zero con la collaborazione di Mauro Spenillo e Pippo Seno, produttori artistici di Andrea Sannino. L'ho presentata a Canale 9 e il direttore Enzo Coppola è stato un pazzo (ride ndr) ad accogliere questa mia proposta. Ce ne siamo resi conto successivamente perché si tratta di un programma con diverse difficoltà realizzative. Si produce musica dal vivo e questo comporta una serie di esigenze di natura tecnica che necessitano di essere soddisfatte per la buona riuscita di questo lavoro così impegnativo».

Come nasce il nome del programma?

«Il primo era “Napoli Music Live” ma io propendo più per nomi ad effetto. Mi venne in mente “Vulcanici” e Mauro Spenillo apprezzò. Non riuscivo a trovare un sottotitolo giusto. Quando commissionai a Max Laezza la realizzazione del logo, mi propose una grafica con “Artisti Incandescenti” come sottotitolo. Più che ad una caratteristica prettamente partenopea, il nome del programma è dedicato alla creatività degli artisti».

L'anno scorso prima stagione con dieci puntate su Canale 9. A luglio si parte con la seconda.

«Canale 9 fa parte del circuito 7Gold. Considerando che il programma si è rivelato di grande qualità per le riprese, i contributi, il montaggio etc., sarà trasmesso su rete nazionale. Questo importante risultato è stato conseguito anche grazie all'ottimo lavoro svolto dal conduttore Michelangelo Iossa e dalla regista Giada De Gregorio».

Con Pippo Seno e Mauro Spenillo

Con Giada De Gregorio

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SCAFFALE PARTENOPEO

Vincenza D'Esculapio: “L'Ultimo Sposatore”

ocente di storia e filosofia, autrice di testi De trasmissioni televisive per ragazzi, Vincenza D'Esculapio, Enza per gli

amici, quindi per tutti grazie alla sua naturale accoglienza, è la dimostrazione di come sia possibile cogliere tutte le opportunità che la vita offre rimettendosi sempre e comunque in gioco, nonostante gli “inciampi della vita”, per dirla come lei... Nel 2016 esordì con La torre d'Avorio, un romanzo d'inchiesta in cui rivisitava le tappe e i nodi fondamentali della propria vita e la sua esperienza con i testimoni di Geova, offrendo il panorama di un'epoca superata, di fatto, solo negli aspetti più superficiali. Il 27 maggio, in occasione del suo compleanno, ha presentato L'Ultimo Sposatore. Un romanzo che fa conoscere, attraverso la storia della protagonista Dafne e della sua famiglia, antichi rituali della nostra cultura come l'usanza di sposare le ragazze, le esposte, della Real Casa della Annunziata. La lettura affascina sia per l'alternanza di registri linguistici che per improvvise interruzioni del racconto dovute a dei ricordi che riportano Dafne a rivivere episodi del passato con intensità emotiva pari a quella dell'epoca; e poi c'è il finale di cui, ovviamente, non è il caso di parlare ...

«La scrittura per me è il “luogo dell'anima”, dove si è soli con se stessi, dove si fondono e confondono verità, menzogne, banalità, fantasie lecite e illecite e le parole possono scorrere sulla carta come le acque di un fiume in piena che va verso il mare aperto… e l'anima si libera. E la mia anima si è liberata dal dolore. Un dolore inabissato in un passato remoto, rimosso e seppellito nel fondo della memoria emotiva per lunghissimo tempo. Poi d'improvviso, alcuni anni fa, un altro grande dolore mi ha colto di sorpresa e stordita. Allora ho sentito il bisogno di ricucire il mio passato. Ma ero lì a guardare come in un film una vita che non ricordavo fosse la mia. Poi, ora dopo ora, giorno dopo giorno, il passato è tornato e con grande fatica interiore sono uscita allo scoperto e ho scritto. È nato così, quasi per caso, il mio primo lavoro La torre d'Avorio, edito da Homo Scrivens nel 2016. È la storia di uno spaccato di vita dal carattere autobiografico. Ora nel secondo romanzo “L'Ultimo Sposatore”, edito anche questo da Homo Scrivens, ancora una volta ricucio un lontano passato, che appartiene però alla storia di Dafne, la protagonista, discendente di un antico casato su cui vige un misterioso silenzio ...».

di Marina Topa

Che ruolo ha la scrittura nella sua vita?

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LA NOSTRA SOCIETÀ

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Hikikomori

di Ciro Chiaro

Sembra un grido di guerra, invece è la tendenza partita dal Giappone che porta i giovani a restare rinchiusi in casa rifiutando il confronto

con una società eccessivamente competitiva

l G i a p p o n e , u s c i t o

Icompletamente distrutto

dalla Seconda Guerra

Mondiale ha conosciuto poi una

poderosa crescita industriale che

lo ha reso per lungo tempo

l e a d e r m o n d i a l e n e l l a

p r o d u z i o n e d i a u t o ,

apparecchiature fotografiche, hi-

fi ed elettronica in generale. La

nuova ricchezza al paese ha

favorito la crescita demografica

e negli anni 80 Tokyo ha dovuto

modificare la sua struttura

abitativa e potenziare il sistema

dei trasporti. Mentre si palesava

un notevole benessere legato alla

r i c c h e z z a e c o n o m i c a ,

contemporaneamente si stava

minando il patrimonio più

importante per il futuro della

nazione: i suoi giovani. Infatti

nella realtà nipponica diventava

sempre più evidente l'emergere

di varie problematiche, fenomeni

anche abbastanza diffusi, che

a n d a v a n o d a l b u l l i s m o

all'autolesionismo, da varie

forme di disagio psichico ai

s u i c i d i g i ov a n i l i . M a r c o

Crepaldi , specia l izzato in

psicologia sociale, ha condotto

vari studi sul disagio giovanile

ed ha recentemente pubblicato

un testo su una particolare forma

di isolamento sociale, originatasi

e molto diffusa in Giappone ma

che per certi aspetti si sta

espandendo anche in altri paesi

industrializzati: l'Hikikomori.

Come si apprende dal testo

Hikikomori - I giovani che non

escono di casa (Alpes Italia 2019),

il termine in italiano significa

r i t i r a r s i e d è d i v e n t a t o

un'etichetta sociale per indicare

quelli che si tengono in disparte

da tutto e da tutti, cercando

conforto al loro disagio nella

solitudine più totale. L'autore

descrive così questo tipo di

d i s a g i o : u n a p u l s i o n e

a l l ' i s o l a m e n t o f i s i c o ,

continuativa nel tempo, che si

innesca come reazione alle

e c c e s s i v e p r e s s i o n i d i

realizzazione sociale, tipiche

delle società capitalistiche

economicamente sviluppate. Ma

perché questa autoesclusione?

Sicuramente per sfuggire alle

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p r e s s i o n i d e l l a

autorealizzazione. Viviamo in

u n a s o c i e t à f o r t e m e n t e

competitiva e per alcuni la paura

di fallire diventa insostenibile.

Non è tanto il fallimento in sé

che spaventa quanto il giudizio

negativo da parte degli altri.

Come s i d i ceva pr ima , i l

fenomeno è diffuso nei paesi

ricchi e socialmente evoluti per

almeno tre motivi: innanzitutto

vi è un motivo pratico, nel

momento del ritiro sociale il

ragazzo deve avere una famiglia

alle spalle che può mantenerlo,

nonostante la sua inattività; il

secondo di carattere sociale

riguarda il fatto che a ognuno di

n o i v e n g o n o r i c h i e s t e

p e r f o r m a n c e s e m p r e

migliorative, l'asticella viene

posta sempre più in alto e quindi

a l ive l lo soc ia le vengono

richieste competenze sempre

maggiori per mantenere il

proprio status e la propria

immagine; infine vi è una

componente psicologica legata

a l l a p i r amide d i Mas low,

secondo la quale nella scala di

soddis faz ione de i b isogni

individuali si parte da quelli

fisiologici (mangiare, bere,

dormire) – che stanno alla base

della piramide – per poi salire più

in alto dove si incontrano i

bisogni di sicurezza e quelli

relazionali, fino ad arrivare alla

punta che è l'autorealizzazione.

Qualcuno potrebbe ricordare

che in passato ci sono stati gli

eremiti ma quello che stiamo

descrivendo è un qualcosa di

completamente diverso. Gli

hikikomori si isolano con il

corpo, non con la mente. Pur

s t a n d o c h i u s i n e l l a l o r o

abitazione, mantengono un

legame con la società costruendo

relazioni digitali ma non bisogna

cons ider ar lo un in t e r ne t

addiction. Chiaramente da un

punto di vista esperienziale le

comunicazioni via internet non

hanno la stessa valenza delle

relazioni personali. Per gli

eremiti inoltre vi era anche la

motivazione a intraprendere un

percorso spirituale mentre nel

caso che ci occupa è solo una

necessità di sfuggire ad uno

sperimentato malessere sociale.

Secondo l'autore è importante

capire cosa origina questa forma

di negatività e sfiducia delle

nuove generazioni nei confronti

delle relazioni interpersonali, la

quale si traduce poi in un

s e n t i m e n t o d i r i f i u t o

nell 'accettarsi come parte

integrante della società. Il

rischio è che da un lato il giovane

vada a strutturare un concetto

negativo di sé, di bassa autostima

con una ricerca spasmodica di

quello che ha di sbagliato e

dall'altro la solitudine che si

autoalimenta. Più ci si isola, più è

difficile uscirne.

Marco Crepaldi

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Volontariato e sensibilizzazione dei giovani per stroncare il bullismo

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LE ASSOCIAZIONI

Volontariato e sensibilizzazione dei giovani per stroncare il bullismo

di Marina Topa

Il problema che riguarda molti giovani è presente nella nostra soc ietà e stenta ad essere debellato. Don Aldo Scatola e l'assessore della V^ municipalità Valentina Barberio parlano delle loro esperienze personali

li esiti degli studi sociologici sul Gcambiamento dei valori che regolano le relazioni umane oggi sono preoccupanti.

Per questo è opportuno sentire anche la voce di persone che operano concretamente sia a livello istituzionale che nelle associazioni di volontariato. La loro attività, purtroppo, ha un'eco inferiore a quella dei casi di bullismo ma è confortante quanto afferma Don Aldo Scatola, parroco della Parrocchia di Santa Maria del Soccorso, dove il volontariato è attivo e ben organizzato da anni.

Quali cambiamenti nota nell'approccio al volontariato da parte dei ragazzi di oggi?

«Certamente maggiore consapevolezza! Prima vivere le attività parrocchiali era una fase della routine di crescita dei figli di molte famiglie. Oggi,

invece, i giovani che si avvicinano liberamente alle organizzazioni di volontariato seguono un percorso di crescita umana che li stupisce; gioiscono nello scoprire il potenziale che hanno nello svolgere un ruolo sociale, cosa che li stimola ad un coinvolgimento più responsabile. Ecco perché credo che la scuola e tutti i centri di aggregazione, oggi più che mai, abbiano la possibilità di educare a quei valori umani condivisi, che molte famiglie non sono più in grado di dare». Valentina Barberio, Assessore alle Politiche sociali e legalità della 5^ municipalità, riporta i successi delle iniziative prese riguardo al tema del bullismo

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e del cyberbullismo. Organizzato un team di figure professionali atte ad affrontare la questione nei vari aspetti (la psicologa Daniela Speranza, docente e referente per il bullismo per il MIUR; la prof. Renata Gemi, membro della consulta della Legalità della Municipalità; Roberto Bratti, autore del libro “Bulli con un click” e l'artista Mauro Maurizio Palumbo), ci sono stati degli incontri nelle scuole che ne hanno fatto richiesta e nella sala consiliare della municipalità per spiegare che gli atti di bullismo nascondono una fragilità emotiva risolvibile se discussa e analizzata. L'utilizzo di video e giochi dedicati al tema ha permesso di ben interagire con il linguaggio dei ragazzi, chiarendo la differenza tra atto di bullismo, violenza e scherzo; ne è prova il numero crescente di ragazzi des ideros i d i r accontare event i v i ssut i personalmente o da amici alla fine di ogni incontro.

Come valuta questa esperienza e quali programmi ha per il prossimo anno?

«La maggiore difficoltà è stata l'impossibilità di raggiungere i ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado per dare a tutti gli stessi strumenti. L'emozione più bella è stata vedere, durante gli incontri, i ragazzi rapiti dalle parole dei relatori e realmente partecipi: la quantità delle loro mani alzate per esprimere le emozioni ci faceva comprendere di andare nella direzione giusta. Per il nuovo anno puntiamo ad estendere tali laboratori a tutte le scuole medie del territorio, aggiungendo la figura di un avvocato che spieghi, con semplicità, i risvolti legali del bullismo e del cyberbullismo. Sono numerose le adesioni al progetto, cosa che ci motiva a fare sempre di più e meglio».

Valentina Barberio

LE ASSOCIAZIONI

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