[john horgan] la mente inviolata. una sfida per la psicologia e le neuroscienze

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Divulgatore scientifico di prestigio internazionale e autore di best seller, John Horgan accompagna il lettore in un viaggio nell’arcipelago della mente umana. Davvero la mente è poco più di un computer? Siamo totalmente determinati dai nostri geni? Sono meglio gli antidepressivi o la terapia della parola? Nessun approccio pare a Horgan così soddisfacente da imporsi sugli altri, in una materia in cui sono in gioco non solo principi filosofici ma anche le gioie, le speranze e le paure della nostra vita quotidiana.“Freud, il Prozac, i geni, l’evoluzione, le macchine intelligenti - John Horgan offre un sano antidoto ai facili entusiasmi che gli enigmi della mente umana possano essere risolti - o dissolti - da un approccio scientifico univoco”.

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  • John Horgan

    La mente inviolata Una sfida per la psicologia

    e le neuroscienze

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    ~ Raffaello Cortina Editore

  • www.raffaellocortina.it

    Titolo originale The Undiscovered Mind 1999 by J ohn Horgan

    Traduzione di Davide Zoletto

    ISBN 88-7078-710-9 2001 Raffaello Cortina Editore

    Milano, via Rossini 4

    Prima edizione: 2001

  • INDICE

    Introduzione ali' edizione italiana. Lo studio della mente tra neurobiologia e letteratura IX (Giuseppe Porzionato) Introduzione. lo-testimoniante 3

    1. Il gap esplicativo delle neuroscienze 19

    2. Perch Freud non ancora morto 57

    3. La psicoterapia e l'ipotesi del dodo 89

    4. Del Prozac e di altri placebo 119

    5. Il gene strappa applausi 159

    6. Darwin alla riscossa! 195

    7. Senso comune artificiale 233

    8. L'enigma della coscienza 269

    Epilogo. Il futuro delle scienze della mente 303

    Note 317

    Bibliografia scelta 351

    Ringraziamenti 357

    Indice analitico 359

    VII

  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    LO STUDIO DELLA MENTE TRA NEUROBIOLOGIA E LETTERATURA

    1. L'edizione americana di The Undiscovered Mind stata pubblicata nel settembre 1999 con il sottotitolo: How the Hu-man Brain Defies Replication, Medication, and Explanation. 1 L'edizione inglese uscita l' 11 novembre 1999 con un sottoti-tolo accorciato: Hnw the Bra in Defies Explanation .2 Prima della pubblicazione, Horgan aveva scritto un ampio riassunto del suo libro e, 1'8 giugno 1999, lo aveva inviato a una delle pi interessanti riviste di psicologia dell'ultima generazione: Psychological Science. Il lavoro venne immediatamente accet-tato e pubblicato nel novembre 1999.} Horgan concludeva l'articolo con un paio di previsioni ottimistiche per evitare che il lettore, una volta letto il libro, avesse una crisi depressi-va: "La prima che se noi accettiamo che la mente umana sia per certi versi irriducibile diventiamo pi diffidenti nei con-fronti di ideologie scientifiche basate sul freudismo, sul darwinismo, sul DNA, il Prozac o i computer. La seconda pi rilevante per i lettori di questa rivista: i problemi posti dalla mente umana sono cos importanti, sia intellettualmente che praticamente, che la societ non cesser di impegnarsi per ri-solverli. Inoltre, il fatto che questi problemi possano dimo-strarsi insolubili significa che la scienza della mente potrebbe durare per sempre. Il nostro mondo interiore l'ultima - e forse eterna - frontiera della scienza".

    L'avere addolcito la pillola non muta l'architettura delle convinzioni epistemologiche di Horgan cos come stata de-lineata nel suo precedente libro La fine della scienza, pubbli-

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  • INTRODUZIONE ALI.:EDIZIONE ITALIANA

    cato negli Stati Uniti nel 1996.4 In esso, Horgan ci riferisce che nell'estate del 1989 ha cominciato a pensare che la scien-za pura, quella "volta a comprendere che cosa siamo e da do-ve veniamo gi entrata in una fase di rendimenti decrescen-ti" (tr. it. p. 35).

    Il carburante culturale che lo ha portato a persistere su questa idea stato un libro del biologo statunitense di origine tedesca Gunter S. Stent, pubblicato vent'anni prima: The Co-ming of the Golden Age.5 In esso, Stent elabora una teoria sul-la fine della scienza, come pure dell'arte e di tutte le attivit progressive e cumulative. La scienza avrebbe potuto estin-guersi, sosteneva Stent, proprio perch funzionava cos bene. Alcuni settori della ricerca scientifica, come l'anatomia o la chimica, erano delimitati dai confini del proprio oggetto di studio. Dopo Darwin e dopo la scoperta della struttura del DNA ai biologi rimanevano soltanto tre importanti problemi da indagare: come iniziata la vita, in che modo una singola cellula si trasforma in un organismo pluricellulare e come il sistema nervoso elabora l'informazione. A differenza dei bio-logi, continuava Stent, i fisici e gli astronomi possono sondare sempre pi a fondo la materia e spingere lo sguardo sempre pi lontano nell'universo, ma, prima o poi, si imbatteranno in limitazioni di carattere fisico, economico e anche cognitivo, sicch quando queste scienze diventeranno teoricamente sempre pi astruse e praticamente sterili, la societ cesser di finanziarle.

    L'elaborazione di queste idee, oltre ai riscontri avuti nel corso della sua attivit di giornalista scientifico, ha portato Horgan alla decisione di scrivere un libro "valutativo, pole-mico e personale", La fine della scienza, appunto. Il leitmotiv del libro la sua teoria della scienza ironica. Secondo Horgan, non potendo emulare Newton, Darwin ed Einstein, gli scien-ziati contemporanei tendono a fare scienza in modo specula-tivo, postempirico: "La scienza ironica assomiglia alla critica letteraria in quanto offre punti di vista e opinioni che sono, almeno nei casi migliori, interessanti e fonti di ulteriori dibat-titi. Tuttavia non converge sulla verit, non in grado di offri-

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    re sorprese empiricamente verificabili tali da costringere gli scienziati a compiere revisioni sostanziali della loro descrizio-ne fondamentale della realt. La strategia tipica dello scien-ziato forte consiste nell'individuare tutti i punti deboli della conoscenza scientifica corrente, mettendo in evidenza gli in-terrogativi rimasti senza risposta. Ma tali interrogativi sem-brano non poter mai avere una risposta definitiva, dati i limiti della conoscenza umana" (tr. it. pp. 22-23). Questo non signi-fica che la scienza ironica sia priva di valore, ma essa non pu raggiungere il suo scopo di andare oltre la verit che gi pos-sediamo. Non vi saranno in futuro grandi rivelazioni come quelle che, nel giro di un secolo, ci hanno fornito Darwin, Einstein o Watson e Crick. La scienza applicata attuale, an-che se rimarr attiva per molto tempo, non riuscir a mettere in discussione i paradigmi teorici prevalenti, aggiunger sol-tanto dettagli.

    Ironicamente, due anni dopo la pubblicazione di La fine della scienza, John Maddox, per un trentennio direttore della prestigiosa rivista Nature, pubblic un ponderoso libro inti-tolato Che cosa resta da scoprire. Esso spaziava dallo studio delle origini dell'universo e della materia all'origine della vita; dai futuri progetti sul genoma umano alla natura del cervello dell'uomo e alla sua pi elegante invenzione: la matematica. 6 Lo scopo del libro era chiaramente definito nella Prefazione: "Nonostante si affermi spesso il contrario, il filone della sco-perta ben lungi dall'essere esaurito. Questo libro fornisce un programma per i prossimi decenni (o addirittura per i prossimi secoli) di scoperte costruttive che indubbiamente cambieranno il modo in cui pensiamo il nostro posto nel mondo almeno quanto questo mutato dai tempi di Coperni-co a oggi" (tr. it. p. 11).

    Ancora pi ironicamente, sia la concezione di Gunter Stent sia quella di Horgan compaiono (rispettivamente alle pp. 388-389 e 215-216) nell'Enciclopedia delle scienze anoma-le, compilata da Paolo Albani e da Paolo della Bella,7 dove trovano posto segnalazioni e frammenti di scienze e teorie che sfuggono all'ortodossia del pensiero scientifico dominan-

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    te, riconosciuto e sanzionato dalla comunit dei ricercatori e dalle Accademie.

    2. Perch il lettore possa avere un quadro di riferimento pi ampio all'interno del quale situare questo libro utile considerare un altro personaggio che Horgan cita nei Ringra-ziamenti: J ohn Brockman. Questi uno dei pi noti agenti letterari americani, i suoi clienti sono notissimi scienziati o di-vulgatori scientifici (come Horgan). Brockman fond nel 1981 il Reality Club con lo scopo di favorire incontri tra arti-sti, scienziati, politici e uomini d'affari. Il Club incarn quello che era un suo chiodo fisso: rompere una tradizione, che du-rava dagli anni Trenta del Novecento, secondo cui soltanto i letterati potevano definirsi "intellettuali"; a causa di ci, una ristretta cerchia di persone ha avuto il privilegio di pensare per tutti gli altri. Ora, per, quella che veniva chiamata "scienza" diventata "cultura pubblica" e ci ha favorito il passaggio (epocale, secondo Brockman) di consegne da un gruppo di pensatori, i cosiddetti letterati, a un nuovo gruppo: gli artefici della Terza cultura.

    Quando si parla di "culture" il riferimento va immediata-mente a una conferenza che lo scienziato e romanziere inglese Charles Percy Snow tenne, nel maggio 1959, a Cambridge. Il titolo era innocuo, "Le due culture e la rivoluzione scientifi-ca", ma diede origine a un putiferio. Come scrisse pi tardi lo stesso Snow: "Non pass un anno, che cominciai a sentirmi nella scomoda posizione di un apprendista stregone. Fui sommerso da una valanga di articoli, citazioni, lettere, invetti-ve, elogi, spesso provenienti da paesi nei quali sarei stato altri-menti sconosciuto". 8

    In verit, la conferenza di Snow aveva un taglio pi "socio-logico" che "epistemologico". Egli prendeva atto, anche per-ch apparteneva a entrambe, dell'esistenza di due comunit, quella dei letterati e quella degli scienziati, che non comuni-cavano quasi pi tra di loro. All'interno della stessa comunit degli scienziati, Snow notava come vi fosse un'ulteriore frat-tura tra scienziati "puri" e "applicati"; sosteneva che i primi

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    non mostravano molta comprensione per i fatti sociali, come d'altra parte i letterati non avevano mai accettato la rivoluzio-ne industriale. Bisognava quindi, attraverso l'educazione, sa-nare la frattura tra le due culture. In pieno periodo di guerra fredda, egli auspicava che fosse favorita la rivoluzione scienti-fica anche nei paesi poveri. In effetti voleva intitolare la con-ferenza "I ricchi e i poveri", con considerazioni che sarebbe-ro ampiamente sottoscritte oggi dal cosiddetto "popolo di Seattle".9

    Nel 1963, Snow pubblic un altro saggio con cui spiegava meglio il proprio pensiero e cominciava a intravedere l'emer-gere di una terza cultura che si sarebbe sviluppata nell'imme-diato futuro. Essa era formata da intellettuali appartenenti a campi diversi (storici della societ, economisti, psicologi, me-dici, architetti) ma che si rassomigliavano nell'affrontare quello che lui riteneva essere il problema pi controverso: le conseguenze della rivoluzione scientifica sul piano umano. 10

    Secondo Brockman, la profezia di Snow si avverata sol-tanto in parte, perch i letterati non si sono mai messi seria-mente a comunicare con gli scienziati e questi ultimi hanno preferito dialogare direttamente con il pubblico. La forza di quella che egli definisce La terza cultura sta invece proprio nella sua capacit di tollerare il dissenso e la pluralit dei pun-ti di vista. Per terza cultura Brockman intende "l'attivit di quegli scienziati che sanno dire cose nuove e interessanti sul mondo e su noi stessi; che le sanno raccontare a un pubblico vasto, diffondendo la conoscenza oltre i confini angusti del-l'accademia", e la configura come "l'abbozzo di una nuova fi-losofia naturale, incardinata sui concetti di complessit e di evoluzione" .11 Tra questi "nuovi intellettuali" ci sono perso-naggi ben noti al pubblico italiano: Paul Davies, Richard Dawkins, Stephen Jay Gould, Daniel Dennett, Marvin Min-sky, Howard Gardner e Steve Pinker, per citarne solo alcuni.

    Nel gennaio 1997 i membri del Reality Club, gli intellet-tuali della terza cultura, che solevano tenere i loro incontri nei ristoranti cinesi, nelle soffitte degli artisti, nei musei, alla New York Academy of Science e in altri posti hanno trovato

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  • INTRODUZIONE ALI:EDIZIONE ITALIANA

    una sede stabile in un sito internet curato dallo stesso Brock-man.12 L'epigrafe del sito significativa: "Arrivare ai limiti della conoscenza del mondo, scovare le menti pi complesse e sofisticate, riunirle insieme in una stanza e invitarle a parlare l'un l'altra dei problemi che pongono a s stesse". Da pi di cinque anni questo sito si imposto come un forum per colo-ro che pensano di avere qualcosa di importante da dire o da criticare. Una recensione alla traduzione tedesca del libro di Brockman si concludeva con queste parole: "La scienza po-polare e la Terza cultura si sono radicate in America. Esse non hanno sostituito le scienze dure [Naturwissenschaften] e le scienze umane [Geisteswissenschaften], sono invece diven-tate una piattaforma per un pensiero creativo, non conven-zionale e interdisciplinare. Per questo motivo esse sono una parte essenziale della conoscenza che abbiamo di noi stessi".

    3. Il presente libro figlio di questo clima culturale che, come si pu facilmente intuire, di matrice quasi esclusiva-mente anglosassone. In esso, Horgan vuole dimostrare un as-sunto che aveva enunciato nei capitoli sesto e settimo di La fi-ne della scienza che riguardavano rispettivamente "La fine delle scienze sociali" e "La fine delle neuroscienze": "Gli scienziati che tentavano di spiegare la mente umana sarebbe-ro stati semplicemente sopraffatti dalla complessit del loro oggetto di studio" (questo volume, pp. 4-5). Lo studio della mente una facile preda per la scienza ironica, ne una prova l'accavallarsi di paradigmi, mode, lifting e restyling accademi-ci che pervadono il suo ambito di ricerca; non sorprende quindi che esso sia un settore pi complesso e litigioso di altri ambiti del sapere. Perfino la psicoanalisi, una disciplina a met strada fra scienza e letteratura, riuscita a uscirne in-denne: "Un secolo di ricerche in psichiatria, genetica, neuro-scienze e campi limitrofi non ha ancora prodotto un paradig-ma abbastanza potente da ovviare a Freud una volta per tut-te" (questo volume, p. 11).

    Lo scopo di Horgan di fornire una "critica costruttiva" alle scienze della mente assumendo un atteggiamento di scet-

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    ticismo fiducioso, anche se, "Data la scarsit dei risultati rag-giunti sin qui, temo che le neuroscienze, la psicologia, la psi-chiatria e gli altri campi che si dedicano allo studio della men-te stiano cozzando contro i limiti essenziali della scienza. For-se, gli scienziati non riusciranno mai a curare, riprodurre o spiegare la mente umana. Le nostre menti potrebbero rima-nere per sempre, almeno in una certa misura, inviolate" (que-sto volume, pp. 13-14).

    Gli argomenti trattati nel libro sono pervasi da tre ampi problemi, strettamente connessi e di grande rilevanza episte-mica, sui quali invito il lettore a riflettere: a) il problema delle "culture" e della formazione culturale; b) il problema della produzione scientifica; c) il problema delle prospettive della ricerca nelle scienze della mente.

    a) Il problema delle "culture" emerso, in ambito euro-peo. verso la met dell'Ottocento; parlare di date anteriori anacronistico, perch significa imporre rigide categorie e va-lori che sono invece venuti definendosi soltanto da allora. Il Il sociologo Wolf Lepenies ha dimostrato in modo convincente che proprio in quel periodo le scienze sociali avevano assunto il ruolo di una terza cultura che si contrapponeva agli orienta-menti scientifici e letterari. Essa rivendicava il diritto di poter spiegare il mutamento sociale che port alla formazione della moderna societ industriale e di poterne prevedere le conse-guenze di vasta portata. Questa pretesa fu contestata da altre discipline accademiche. Inoltre, a partire dalla met dell'Ot-tocento, una intellighenzia sociologica si contrappose a una intellighenzia letteraria nello sforzo di interpretare adeguata-mente la societ industriale e di offrire all'uomo moderno una sorta di dottrina della vita. 14

    Soltanto verso la fine dell'Ottocento divenne di uso comu-ne una distinzione fra Naturwissenscha/ten e Geisteswissen-scha/ten intese come equivalenti, rispettivamente, alle scienze della natura, compresa la matematica, e alle scienze umane (le scienze sociali e le discipline umanistiche). La distinzione si deve a Wilhelm Dilthey ed una distinzione di oggetto. 15

    Wilhelm Windelband respinse la distinzione operata da

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    Dilthey, che considerava metafisica perch contrapponeva la "natura" allo "spirito". Nell'opera Storia e scienza naturale, pi che una distinzione di oggetto propose una distinzione di metodo, distinguendo le discipline in scienze nomotetiche (dal greco nomotheticos = che d o promulga le leggi) e scienze idiografiche (dal greco idios e graficos =rappresentazione gra-fica di s stesso, dunque specifico di, individualizzato). Le scienze naturali, che comprendono sia la psicologia sia le di-scipline che studiano con metodo "generalizzante" i processi sociali, sono dunque nomotetiche; le scienze storiche, che si propongono di cogliere i processi nella loro individualit, poco importa se della natura o dell'uomo, sono invece idio-grafche.16

    Nel libro di Horgan il rapporto tra approccio nomotetico e approccio idiografico complesso e conflittuale. Le neuro-scienze, la psicofarmacologia, la genetica del comportamento e l'intelligenza artificiale tendono a essere nomotetiche; la psicoanalisi, come in genere le psicoterapie e la psicologia evoluzionistica, oscilla tra un atteggiamento nomotetico (leg-gi comuni stanno alla base dei comportamenti degli indivi-dui) e un atteggiamento idiografico (l'individuo unico, per-ch unica la sua storia esistenziale, e quindi la sua struttura mentale). Neurobiologia e genetica tendono a imporsi come scienze hard e relegano il resto al rango di ancelle, se non ad-dirittura di racconti mitologici. Mi sembra che Horgan inviti un po' tutti a riflettere: la scienza hard fa spesso flop; d'altra parte le scienze so/t fanno poco per darsi una dignit metodo-logia, e spesso non ne sentono neppure il bisogno. 17

    Per quanto riguarda invece la terza cultura secondo gli in-tenti di Brockman, penso che in Italia il problema non si pon -ga. Da anni ormai la diffusione della cultura scientifica, di cui questo libro un ottimo esempio, un fatto compiuto grazie ai mass media (ho in mente note trasmissioni televisive e vari periodici) e all'impegno di molti editori italiani (ho in mente le collane che sono volte a combattere "lanalfabetismo scien-tifico"). strano piuttosto che il problema sia cos sentito nel mondo anglosassone, se fino a una decina di anni fa il filosofo

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  • INTRODUZIONE AU:EDIZIONE ITALIANA

    americano Alan Bloom, in un libro di successo, si lamentava proprio del contrario: le universit americane, secondo la sua analisi, non erano pi in grado di garantire un insegnamento dignitoso delle materie filosofiche e letterarie.18

    Quello che manca da noi, ed invece il manifesto della ter-za cultura, il confronto tra cultura letteraria, filosofica e scientifica. Ognuno tende a coltivare il proprio specifico, e spesso superspecialistico, orticello culturale e si dimostra sor-do al confronto interdisciplinare, tranne poi a scendere in campo come "esperto" quando i quotidiani strombazzano l'ultima grande scoperta "scientifica" .19 I ricercatori devono sforzarsi di parlarsi di pi, ascoltarsi di pi, ma soprattutto ri-spettarsi di pi.

    b) Per merito di uno di quei colpi di ... serendipit che ca-ratterizzano talvolta l'attivit di ricerca, ho trovato tra le mie scartoffie un articolo che un fisico francese. G.-A. Boutry, ha pubblicato trent'anni fa, ma che risulta di snervante attua-lit.20 Boutry osservava che la parola "ricerca" era ormai logo-rata dall'uso e non evocava altro che imprecise e ampie mera-viglie realizzate da una casta separata e quasi sacerdotale. Egli divideva gli scienziati in tre categorie: coloro che cercano l' or-dine (i grandi teorici), coloro che sono interessati alle applica-zioni e coloro che cercano spiegazioni.

    La prima categoria di studiosi ricerca un certo tipo di or-dine che domina l'universo. Essi "sanno" che questo ordine esiste, e la loro ricompensa la gioia contemplativa che que-sta armonia provoca in essi. Di solito sono ricercatori solitari che usano il meditare come metodo di ricerca. Come esem-pio di questo tipo di scienziati Boutry cita Newton, Carnot ed Einstein.

    Il secondo tipo di ricercatori si rif al mito di Dedalo: sono mossi dalla volont di potenza, e la loro gioia consiste nel co-struire macchinari che accrescano il controllo che l'uomo ha sulla natura. Nel medioevo venivano chiamati engeigneur, cio costruttori di congegni, parola che la radice comune dell'inglese "engineer", del francese "ingnieur" e dell'italia-no "ingegnere". Essi mantengono con la terza categoria di

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    scienziati, coloro che cercano spiegazioni, dei rapporti molto stretti, ma solitamente non si interessano alla validit delle spiegazioni che vengono loro fornite. Da parte loro, gli scien-ziati che cercano spiegazioni reagiscono con entusiasmo alle nuove applicazioni, ma soltanto perch esse rinforzano il va-lore delle loro teorie esplicative.

    Il terzo tipo di ricercatori si rif invece al mito di Prome-teo: cerca di imporre un ordine alla natura (Cartesio stato l'ultimo esempio, secondo Boutry). Essi scompongono eri-compongono continuamente i meccanismi della loro mac-china esplicativa; mettono in cantiere ricerche per controlla-re le loro credenze, ne tirano le conseguenze che si traduco-no in ulteriori ricerche, e il ciclo si ripete all'infinito. Le ri-cerche che progettano richiedono apparecchiature sempre pi sofisticate e squadre di ricercatori sempre pi numerose. Secondo Boutry, questo tipo di ricerca potrebbe non avere mai termine.

    Quello che pi rilevante, nel suo articolo, il rapporto tra quantit e qualit delle pubblicazioni all'interno delle tre categorie di ricercatori. Per quanto riguarda il primo tipo, niente pi a buon mercato (nel senso di denaro investito dalla societ) della ricerca dell'ordine. Viene portato l'esem-pio di Einstein, che ha elaborato la teoria della relativit ri-stretta, nel 1905, grazie al tempo libero di cui usufruiva a cau-sa delle sue modeste funzioni presso l'Ufficio Brevetti di Ber-na. In questo dominio del pensiero esistono ben pochi rischi di sprechi: i mediocri si scoraggiano presto e le pubblicazioni insignificanti sono rare.

    Gli "ingegneri", a loro volta, hanno bisogno di cospicui in-vestimenti, perch non soltanto devono cercare di costruire cose "utili", ma anche cose sempre pi "aggiornate". In que-sto ambito la concorrenza gioca un ruolo determinante, come avviene in campo commerciale. Gli USA sono la nazione che ha dato i migliori esempi nella gestione della ricerca applica-ta. La riuscita delle spedizioni lunari un esempio di efficien-za collettiva. Si pu dunque affermare che la ricerca in fun-zione delle applicazioni non se la passa male in fatto di finan-

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    ziamenti e che, anche se i mediocri sono presenti in tutti i la-boratori industriali, il rendimento medio della ricerca accet-tabile.

    la terza categoria che inquieta. Boutry riporta un grafico che illustra la quantit di ricerche pubblicate tra il 1896 e il 1966 da 13 riviste dell' American Institute o/ Physics e fa no-tare che tra il 1922 e il 1966 il numero dei ricercatori che pubblicano aumentato del 2500-5000 %, senza che ci ab-bia comportato scoperte di un certo rilievo per la teoria fisi-ca. Se ne deduce quindi che la quantit delle cose pubblicate indipendente dal valore delle stesse. Questo fatto lo ha por-tato a enunciare un teorema: "La quantit di pubblicazioni dell'insieme dei ricercatori stipendiati rischia di essere deter-minata non tanto da ci che hanno da dire di nuovo e di uti-le, ma dal fatto che devono pubblicare qualcosa (non ho la crudelt di dire qualsiasi cosa) a intervalli regolari". Ci ha spesso condotto i laboratori europei a mettersi a rimorchio di quelli americani.

    Un'ultima considerazione di Boutry mi sembra rilevante: diversamente da ci che accadeva in passato, non l'emula-zione (cio il desiderio di uguagliare e di essere migliori) che domina all'interno dei gruppi di ricerca, ma la rivalit. L'emu-lazione genera un pensare e un agire di qualit, mentre lari-valit cerca essenzialmente di assicurare il successo e la so-pravvivenza dei gruppi pi aggressivi.

    Il libro di Horgan, in fondo, un indiretto atto di accusa contro lo spreco culturale. L'ansia del publish or perish sem-bra soprattutto pervadere quei settori di ricerca delle scienze della mente che si definiscono "di punta". Quelli pi vicini al-lo stile letterario sembrano meno agitati, anche perch hanno spesso, a loro volta, pazienti/clienti da calmare. Negli ultimi quindici anni il numero di ricercatori di tutto il mondo cre-sciuto del 50% e circa centomila riviste si spartiscono il mer-cato dell'informazione scientifica.21 Il teorema di Boutry sem-bra trovare quindi piena conferma.

    Nell'ambito della psicologia italiana, il problema stato posto gi due anni dopo l'apertura dei corsi di laurea a Pado-

    XIX

  • INTRODUZIONE ALI:EDIZIONE ITALIANA

    va e a Roma. "Ogni volta che scorro una qualunque rivista di psicologia, italiana o straniera, sono colpito dal divario fra la vastit dei problemi tuttora irrisolti e la povert in idee e in ri-sultati degli studi condotti", scriveva Gian Franco Minguzzi nel 1974, dando vita a un dibattito che continuato per un decennio e che si esaurito perch probabilmente qualcuno ha deciso che le proprie ricerche sono molto rilevanti e quelle degli altri invece meno.22

    La ricerca italiana ha per una giustificazione che altri pae-si non hanno: il denaro che lo Stato ad essa destina vera-mente da pitocchi! Ci non elimina per il fatto che la ricerca richiede soprattutto curiosit e passione. Come ha scritto qualche giorno fa Renato Dulbecco: "Chi vuole, o deve, por-re un limite al tempo o ali' energia dedicati al proprio lavoro, non deve fare lo scienziato" .23

    c) In chiusura, vorrei richiamare l'attem:ione sul problema pi rilevante posto da Horgan: le prospettive della ricerca nell'ambito delle scienze della mente. Il vero gap esplicativo che deve essere colmato il rapporto tra una struttura biolo-gica, il cervello umano, e il prodotto principale di questa struttura: la mia esclusiva esperienza fenomenica. Ci com-porta la sintesi tra neuroscienze e fenomenologia, tra le as-semblee neuronali e la cultura prodotta dall'uomo. L' ontolo-gia del cervello umano ha almeno quattro milioni di anni. Nel corso di questo lungo arco di tempo l'anatomia e la fisiologia del cervello non sono cambiate granch, ci che sorprende come sia cambiata la mente, come essa sia stata forgiata dagli ambienti e dalle culture. La cultura e la tecnologia modifica-no continuamente la struttura neuronale. La neurobiologia non ha a che fare con funzioni psicologiche immutabili: da un lato deve descrivere eventi neuronali, dall'altro deve spiegare il mutamento che l'esperienza determina in essi. La continua interazione tra scienze "statiche", come le neuroscienze, e scienze "dinamiche", come la psicologia, la via pi accorta per poter arrivare alla comprensione della mente, che in molti dettagli mi sembra "violata".

    Quando ragiono su questi complessi problemi mi viene

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    spesso in mente il principio di indeterminazione di Heisenberg: quanto pi accuratamente si misura la posizione di una parti-cella, tanto meno accuratamente si pu misurare la sua velo-cit. Per analogia: quanto pi ci isoleremo per misurare accu-ratamente gli eventi cerebrali, tanto meno riusciremo a com-prendere l'importanza della cultura nel determinarli; quanto pi ci concentreremo sugli eventi culturali, tanto meno sare-mo in grado di comprendere la struttura biologica che li produce.

    Padova, Dipartimento di psicologia generale, luglio 2001

    NOTE

    Giuseppe Porzionato

    1.]. Horgan, The Undiscovered Mind: How the Human Brain Defies Re-plication, Medication, and Explanation, Tue Free Press, New York 1999.

    2. J. Horgan, The Undiscovered Mind. How the Brain Defies Explana-tion, Weidenfeld & Nicolson, London 1999.

    3. J. Horgan, "The Undiscovered Mind: How the Human Brain Defes Replication, Medication, and Explanation", in Psychological Science, 1999, 10 (No.6), pp. 470-474.

    4.]. Horgan, The End o/ Science. Facing the Limits o/ Knowledge in the Twilight o/ the Scienti/i.e Age, Helix Books, Reading, Mass., 1996 (tr. it. La fine della scienza, Adelphi, Milano 1998).

    5. G. Stent, The Coming o/ the Golden Age, Natural History Press, Garden City, New York.

    6.]. Maddox, What Remains to Be Discovered, Free Press, New York 1998 (tr. it. Che cosa resta da scoprire, Garzanti, Milano 2000).

    7. P. Albani, P. della Bella, Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale, Zanichelli, Bologna 1999.

    8. C. P. Snow, The Two Cultures: and a Second Look. An Expanded Ver-sion o/ the Two Culture and the Scienti/i.e Revolution, Cambridge Univer-sity Press, London 1959 e 1963 (tr. it. Le due culture, Feltrinelli, Milano 1964, p. 54).

    9. "Non si possono sottovalutare i bisogni elementari quando i propri sono stati soddisfatti ma quelli degli altri non lo sono stati ancora [. .. ]. La rivoluzione scientifica il solo metodo in virt del quale la maggior parte degli uomini pu raggiungere le cose di primaria importanza (anni di vita, libert dalla fame, sopravvivenza dei fanciulli), quelle cose di primaria im-portanza che noi consideriamo ovvie e naturali, ma che in realt abbiamo

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    conquistato attraverso la nostra rivoluzione scientifica da tempo non poi cos immemorabile. La maggior parte degli uomini sono ancora privi di queste cose di importanza primordiale. La maggior parte degli uomini, dovunque ne venga offerta loro I' occasione, si affrettano a realizzare la lo-ro rivoluzione scientifica." Cfr. Snow, op. cit., la citazione a p. 80.

    10. " probabilmente troppo presto per parlare di una terza cultura come gi esistente. Ma sono convinto che ci si verificher nell'immediato futuro [. .. ],tale cultura, proprio per assolvere al suo compito, deve man-tenersi in contatto con la cultura scientifica [ ... ]. Vi sono segni che ci si sta verificando. Alcuni storici della societ, mantenendosi quanto pi possibile in contatto con gli scienziati, hanno sentito di rivolgere la loro at-tenzione ai letterati, o pi esattamente ad alcune manifestazioni della cul-tura letteraria nelle sue forme pi estreme." C. P. Snow, op. cit. p. 71.

    11. J. Brockman, La terza cultura, tr. it. Garzanti, Milano 1995. Le cita-zioni sono rispettivamente alla p. 7 e alla p. 11.

    12. Il sito, citato anche da Horgan, http://www.edge.org. 13. Cfr. l.B. Cohen, Scienze della natura e scienze sociali, tr. it. Laterza,

    Roma-Bari, 1993, soprattutto le pp. 165-174. 14. W. Lepenies, Die drei Kulturen. Soziologie zwischen Literatur und

    Wissenschaft, Carl Hanser Verlag, Miinchen 1985 (tr. it. Le tre culture. So-ctlogia tra letteratura e scienza, il Mulino, Bologna 1987).

    15. W. Dilthey (1883 ), Introduzione alle scienze dello spirito, tr. it. La nuova Italia, Firenze 1974. W. Dilthey (1894), "Idee per una psicologia descrittiva e analitica", tr. it. in Per una fondazione delle scienze dello spiri-to. Scritti editi e inediti, 1860-1896 (Franco Angeli, Milano 1985).

    16. W. Windelband (1894), "Storia e scienza naturale", tr. it. in P. Rossi (a cura di), Lo storicismo tedesco, UTET, Torino 1977.

    17. Posso portare due esempi. Il primo riguarda J udah Folkman, noto chirurgo pediatrico e biologo cellulare presso la Harvard Medica! School. I.:Espresso del 15 ottobre 1998 gli aveva dedicato un dossier, con una lun-ga intervista di Daniela Minerva. Il titolo era lapidario: "Cos batter il cancro. Parla il ricercatore dell'anno". Folkman aveva scoperto due mole-cole, l' angiostatina e l' endostatina, capaci di fare regredire il 98 % dei tu-mori in ratti da laboratorio. L'evento ebbe risonanza mondiale. Soltanto quattro mesi dopo, 1'11 febbraio 1999, usc su la Repubblica un mesto arti-colo di Vittorio Zucconi intitolato "Il Di Bella USA non fa miracoli", che inziava con queste parole: "Questa la cronaca di un'enorme delusione e di una grande vergogna. La delusione per un'ennesima speranza sfumata, la vergogna di avere contribuito a crearla. Un'altra cura miracolosa contro il cancro intravista in un laboratorio, annunciata dallo scopritore, pompa-ta dagli speculatori di Borsa, strombazzata dai giornali e dalle televisioni del mondo senza pensare, si rivela, a pochi mesi di distanza, soltanto un buco nell'acqua delle nostre angosce[ ... ]. Un'altra occasione di prudenza, di umanit e di scetticismo _perduta da scienziati e mass media alleati og-gettivi nel complesso scientifico-giornalistico per macinare scoop, pubbli-cit, finanziamenti". Il secondo esempio riguarda un'intervista di Luciana Sica a Fausto Petrella, presidente della Societ psicoanalitica italiana, pub-

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  • INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

    blicata su la Repubblica del 7 giugno 1998. In essa, tra l'altro, Petrella af-ferma: "Non promettiamo la felicit [. .. ]. Non promettiamo neppure la guarigione, e del resto chiunque lo faccia un cialtrone, dice sciocchezze anche vistosamente interessate [. .. ]. L'analisi in senso stretto un'espe-rienza destinata a un numero ristretto di persone, decise a un viaggio nel-l'inconscio, a toccare i nuclei pi profondi del S. La sconsiglierei comun-que a chi non ha i soldi per pagarsela". Una felice eccezione a questo stato di cose mi sembrato il tentativo di Giovanni Maria Pace di mettere a confronto un genetista con la passione per le implicazioni filosofiche della scienza, Edoardo Boncinelli, con un filosofo attento agli sviluppi della scienza, Umberto Galimberti. Cfr. E ora?. La dimensione umana e le sfide della scienza, Einaudi, Torino 2000. Anche la rubrica "Forum" all'interno di Le scienze va in questa direzione, ma da qualche tempo mi sembra che la rubrica stia languendo.

    18. "I migliori studenti di oggi sanno tanto meno, sono tanto pi di-staccati dalla tradizione, sono intellettualmente tanto pi pigri, da far ap-parire i loro predecessori dei mostri di cultura. Prendiamo invece l'educa-zione che tuttora resiste, in forma molto attenuata, in Francia. Esagerando appena un po' ci sono due scrittori che insieme formano e pongono limiti alla mente dei francesi colti. Ogni francese nasce, o almeno diventa presto, cartesiano o pascaliano. (Qualcosa del genere si potrebbe dire di Shake-speare come educatore degli inglesi, di Goethe dei tedeschi, di Dante e Machiavelli degli italiani)". Cfr. A. Bloom, The Closing o/ American Mind, Simon and Schuster, New York 1987, tr. it. La chiusura della mente ameri-cana, Frassinelli, Milano 1988, pp. 40-41.

    19. Si leggano i commenti di Alberto Oliverio e di Umberto Galimber-ti, apparsi su la Repubblica del 9 maggio scorso, alla notizia che ricercatori dell'Universit di San Francisco avrebbero individuato, nel lobo frontale destro, la sede della nostra identit personale.

    20. G.-A. Boutry, "Quantit et qualit en matire de recherche scienti-fique. Il. Le raz de mare des publications", in Impact: science et socit, vol. XX (1970), n. 3, pp. 211-222.

    21. Cfr. L. Plvert, R. Cuillierier, P. De Brem, "Pubblicare o perire", in Internazionale, n. 368, 12 gennaio 2001, pp. 40-44.

    22. Cfr. G.F. Minguzzi, "La ricerca irrilevante", in Giornale italiano di Psicologia!Italian ]ournal o/ Psychology, 1974, voi. I, pp. 3-8, e la risposta di P. Bozzi, "Sui tipi e le cause delle 'ricerche irrilevanti'", in Giornale ita-liano di psicologia/Italian Journal o/ Psychology, 197 4, vol. I, pp. 115-130. Si vedano inoltre: D. Parisi, "Ricerca scadente in psicologia: cause e qual-che rimedio'', in Giornale italiano di psicologia, 1984, vol. XI, pp. 181-190; C. Umilt, "La ricerca in psicologia proprio cos scadente?", in Giornale italiano di psicologia, 1984, vol. XI, pp. 557-561; G.V. Caprara, "A propo-sito di 'Ricerca scadente in psicologia': cause e qualche rimedio", in Gior-nale italiano di psicologia, 1984, vol. XI, pp. 563-565.

    23. R. Dulbecco, "La rivoluzione in provetta", www.repubblica.it/spe-ciale/universit, 27 giugno 2001.

    XXIII

  • A mio padre

  • INTRODUZIONE

    IO-TESTIMONIANTE

    Le scienze si sono sviluppate nell'ordine contrario a quello che ci sa-remmo aspettati. Da principio sono state assoggettate a una legge le cose pi lontane da noi, e poi, gradualmente, quelle pi vicine; prima i cieli, poi la Terra, poi la vita animale e vegetale, poi il corpo umano, e infine (ma ancora in modo molto imperfetto) la mente umaria.'

    nrnTRAND RIJSSELL

    Negli ultimi decenni gli antropologi hanno adottato uno stile di resoconto in cui mettono a nudo tutte le preferenze culturali, intellettuali o emotive che potrebbero distorcere le loro osservazioni. Clifford Geertz, che insegna all'Institute far Advanced Study di Princeton e ha contribuito ad avviare questa tendenza, l'ha chiamata "io-testimoniante" .2 Osten-tando la loro soggettivit e riconoscendo in questo modo che ogni pretesa di oggettivit ingenua, se non ingannevole, l'io-testimoniante spera di guadagnarsi maggiormente la fiducia di chi legge. L'effetto, molto spesso, non solo di infastidire il lettore, che presumibilmente pi interessato alla vita sessua-le dei figiani che alle nostalgie di un dottorando di Harvard, ma di aumentare, invece di fugare, i sospetti sulle priorit di chi scrive. La confessione una tattica pericolosa per gli scienziati, non meno di quanto lo sia per i politici o gli aman-ti. O per quanti, semplicemente, scrivono di scienza.

    Ci detto, sento comunque di dover iniziare questo libro con un po' di io-testimoniante, perch l'argomento di cui esso tratta solleva alcuni problemi rispetto ai limiti dell'oggettivit,

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  • LA MENTE INVIOLATA

    ben pi di quanto capiti, per esempio, alla fisica delle particel-le o alla teoria del caos. Verso l'inizio degli anni Novanta del Novecento, quando ormai erano gi dieci anni che scrivevo di scienza, cominciai a provare un certo fastidio per il modo in cui questa veniva ritratta dalla maggior parte degli scienziati e dei giornalisti, me compreso. Per ragioni comprensibili ricer-catori e giornalisti preferiscono, infatti, concentrarsi su quelle frontiere della scienza che stanno producendo i maggiori pro-gressi, non importa se questi siano autentici o ipotetici.

    Quest'enfasi fa sembrare la scienza pi potente e pi velo-ce di quanto realmente sia. E paradossalmente, concentran-dosi sulle sue frontiere, si finisce per portare acqua alla posi-zione postmoderna secondo cui la scienza non potrebbe mai raggiungere verit assolute e permanenti, perch ogni teoria provvisoria e soggetta al cambiamento. Entrambe queste con-cezioni trascurano tutti quei settori della scienza in cui vi poco o nessun progresso perch i problemi maggiori sono gi stati risolti e non rimane quindi alcun mistero fondamentale o perch quei problemi hanno resistito finora a tutti gli assalti. Nei miei articoli per Scientific American, la rivista per cui allo-ra lavoravo, iniziai pertanto a spostare la mia attenzione dai risultati raggiunti dalla scienza ai suoi limiti.

    La mia ossessione per i limiti della scienza culminata in La fine della scienza, uscito negli Stati Uniti nel 1996. In quel libro esaminavo i principali campi della scienza pura, incluse la fisica delle particelle, la cosmologia e la biologia evoluzioni-stica. Queste discipline, sostenevo, erano rimaste vittime dei loro stessi fenomenali successi. I fisici non avrebbero mai po-tuto superare la potenza delle teorie della meccanica quanti-stica e della relativit, che insieme descrivono tutte le forze e le particelle della natura; i cosmologi non sarebbero mai riu-sciti ad arrivare a qualcosa di altrettanto profondo della nar-razione unificante della teoria del Big Bang; e i biologi non avrebbero potuto sperare di raggiungere i vertici della teoria darwiniana dell'evoluzione e della genetica basata sul DNA. Nei capitoli "La fine delle scienze sociali" e "La fine delle neuroscienze" mi basavo.invece su un argomento un po' di-

  • IO-TESTIMONIANTE

    verso: gli scienziati che tentavano di spiegare la mente umana sarebbero stati semplicemente sopraffatti dalla complessit del loro oggetto di studio.

    In questo, come in altri casi, prendevo spunto da Gunther Stent dell'Universit di Berkeley in California.3 In libri che precorrevano i tempi come The Coming o/ the Golden Age e Paradoxes o/ Progress, Stent sosteneva che la scienza era desti-nata a restare vittima dei propri successi nonch dei propri li-miti. Stent si rendeva conto dell'importanza del campo delle neuroscienze, al punto di abbandonare negli anni Settanta la biologia molecolare per passare alle scienze della mente e di-ventare responsabile del dipartimento di neurobiologia della National Academy of Sciences. Tuttavia, Stent era rimasto pessimista sul grado di profondit che le neuroscienze erano in grado di raggiungere nella spiegazione della coscienza e di ;iltri misteri della mente. Sospettava anzi che, "in ultima ana-lisi, il cervello potesse non essere in grado di fornire una spie-gazione di se stesso" .4

    Alcuni critici di La fine della scienza, pur ammettendo che la fisica delle particelle, la cosmologia e la biologia evoluzioni-stica potessero ormai aver raggiunto se non superato il punto pi alto della loro parabola, trovavano, per dirla con un eufe-mismo, non convincenti le mie analisi delle scienze collegate alla mente. Lewis Wolpert, un pilastro della biologia britanni-ca, si risent particolarmente per il trattamento che avevo ri-servato alle neuroscienze.5 Quando nel 1997, durante un in-contro scientifico, feci la sua conoscenza a Londra, Wolpert si infuri a tal punto che per un attimo temetti stesse per colpir-mi. Con il volto paonazzo mi url che il capitolo sulle neuro-scienze in La fine della scienza era "scandaloso! Assolutamen-te scandaloso! ". Per la maggior parte, infatti, non si concen-trava su veri neurobiologi, ma su arrivati dell'ultim'ora come Gerald Edelman che era un immunologo, o Francis Crick che originariamente era un fisico! Come potevo affermare che le neuroscienze fossero sulla via del declino, quand'era evid~nte che erano appena all'inizio?

    Wolpert se ne and a grandi passi, prima che potessi ri-

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  • LA MENTE INVIOLATA

    spondere. Se la nostra conversazione fosse proseguita, avrei cercato di ammansirlo riconoscendo che le sue obiezioni al mio libro non erano del tutto ingiustificate. In effetti, avevo gi deciso che il trattamento che avevo riservato alle scienze collegate alla mente era del tutto insufficiente, data la vastit e l'importanza del settore. La fine della scienza si concentrava soprattutto sui tentativi di spiegare il pi inevitabile e ineffabi-le di tutti i fenomeni mentali, e cio la coscienza. Ma la co-scienza, se da un lato il problema pi filosofico sollevato dal-la mente, dall'altro anche quello pi difficile da affrontare.

    La maggior parte dei ricercatori nel campo delle scienze della mente sta lavorando su altri problemi molto pi tangibi-li: quali processi cerebrali ci permettono di vedere, udire, ri-cordare, ragionare, emozionarci, decidere, agire? Perch cos tanti di noi sono affetti da disturbi mentali come la depressio-ne e la schizofrenia? Quanto sono efficaci i farmaci, le psico-terapie e gli altri rimedi utilizzati per trattare questi terribili mali? Come interagiscono la natura e l'educazione nella for-mazione della personalit individuale? Qual stato il ruolo della selezione naturale nel plasmare i nostri cervelli e le no-stre menti? Fino a che punto siamo vincolati dalla nostra ere-dit biologica? Riusciranno i calcolatori a riprodurre le fun-zioni della mente umana?

    La mia tesi secondo cui la scienza avrebbe ormai superato il proprio apice si basava inoltre su una definizione di scienza che implicitamente trascurava i campi collegati alla mente e insisteva sulla fisica e sulla cosmologia. Secondo questa defi-nizione, che avevo preso in prestito da fisici delle particelle come Steven Weinberg e Murray Gell-Mann, le verit scienti-fiche sarebbero classificabili in base all'ampiezza delle loro applicazioni nello spazio e nel tempo. La meccanica quanti-stica e la relativit generale sarebbero le teorie pi fondamen-tali perch, per quel che ne sappiamo, sono vere per l'intero universo. Nell'ambito della biologia la teoria darwiniana del-1' evoluzione e la genetica basata sul DNA sarebbero invece le verit pi fondamentali perch valgono, anche qui per quel che ne sappiamo, per tutti gli organismi che siano mai vissuti

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  • IO-TESTIMONIANTE

    sulla Terra. Per contro, campi come la psicologia, la psichia-tria e la genetica del comportamento riguardano solo un sin-golo organismo e per di pi un organismo che esiste da appe-na qualche centinaia di migliaia di anni o gi di l.

    D'altra parte, queste discipline, che cercano di aiutarci a comprendere meglio le nostre menti e il nostro comporta-mento, sono per la maggior parte di noi molto pi significati-ve della fisica o della cosmologia. Come ha scritto il medico Sherwin Nuland in Come moriamo, la sua meditazione sul morire, "sono interessato pi al microcosmo che al macroco-smo, pi al modo in cui un uomo vive che a quello in cui una stella muore, pi al modo in cui una donna si fa strada nel mondo che a quello in cui una cometa attraversa l'universo ... Il mistero che mi affascina non la condizione del cosmo, ma quella dell'uomo".6 Narcisisti come siamo, non c' tema che ci affascini pi di noi stessi.

    Le scienze collegate alla mente non sono per solamente significative. Da un punto di vista strettamente pratico lo stu-dio dell'Homo sapiens la pi importante di tutte le imprese scientifiche. Proclami anche solo pseudoscientifici sulla natu-ra umana hanno il potere di modificare il corso della storia. Lo hanno dimostrato i movimenti fondati da Karl Marx e da Sigmund Freud (e anche quelli fondati da Ges, Buddha e Muhammad, dal momento che le loro teologie contenevano tutte delle teorie implicite della natura umana).

    La guerra, la povert, l'inquinamento, il crimine, il razzi-smo e quasi tutte le nostre calamit sociali hanno origine, al-meno in parte, all'interno dei nostri cervelli. E lo stesso vale pl!r la depressione, il panico, la schizofrenia e l'alcoolismo. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanit pi di 1,2 miliardi di persone soffre di qualche tipo di disturbo neuro-psichiatrico o comportamentale.7 Nei soli Stati Uniti la spesa unnuale per i disturbi legati al cervello supera i 300 miliardi di dollari, pi della spesa stimata complessivamente per can-no, malattie cardiache e AIDS.8

    Le soluzioni per questi problemi possono derivare solo dalla mente umana. Se neuroscienziati, psicologi, ricercatori

  • LA MENTE INVIOLATA

    dell'intelligenza artificiale e altri studiosi della psiche realiz-zassero tutti i loro sogni, potremmo vivere un giorno in una cultura modellata da teorie vere della natura umana. Non do-vremmo pi logorarci sul mistero delle relazioni fra natura ed educazione o sul problema del rapporto mente-corpo, perch essi sarebbero stati risolti per la soddisfazione di tutti. Po-tremmo sapere abbastanza sulla nostra natura da progettare un sistema politico che minimizzi la sofferenza e massimizzi la felicit. Potremmo disporre di farmaci capaci di scacciare la disperazione e accrescere la memoria, di terapie genetiche in grado di abolire le sindromi maniaco-depressive e aumen-tare l'intelligenza. Potremmo essere serviti da robot intelli-genti e affascinanti come il comandante Data di Star Trek. E potremmo persino diventare robot intelligenti e affascinanti come il comandante Data di Star Trek.

    Per tutte queste ragioni ho dunque deciso di scrivere un altro libro che esaminasse la scienza collegata alla mente in modo pi approfondito di quanto non avesse fatto La fine della scienza. Un libro che non riguardasse solamente gli sfor-zi compiuti dagli scienziati per spiegare le propriet della mente, coscienza compresa, ma che esaminasse anche i tenta-tivi di curare o trattare le menti affette dalla malattia mentale e di riprodurre le propriet della mente nelle macchine.

    Scienza versus scienza della mente

    In La fine della scienza ho coniato il termine scienza ironica per descrivere quella scienza che non giunge mai a una presa salda sulla realt e che quindi non converge verso la verit. La scienza ironica non produce riguardo al mondo quel tipo di asserzioni precise e fattuali che possono essere confermate o confutate per via empirica; quindi pi affine alla filosofia, al-la critica letteraria o addirittura alla letteratura che non alla vera scienza. La scienza ironica spunta inaspettatamente nelle cosiddette scienze dure, come la fisica, l'astronomia o la chi-mica. (Un chiaro esempio di scienza ironica la teoria che po-stula l'esistenza di altri universi oltre al nostro.) Ma la scienza

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  • IO-TESTIMONIANTE

    ironica tende a diffondersi soprattutto in quei campi che si ri-volgono alla mente umana.

    La scienza collegata alla mente, un termine piuttosto brutto che talora contrarr in scienza della mente, pone una sfida particolare ai ricercatori che cercano verit tangibili e duratu-re. Il biologo evoluzionista Ernst Mayr dell'Universit di Harvard ha sottolineato che nessun campo della biologia pu eguagliare la precisione e la forza della fisica, perch, a diffe-renza di elettroni o neutroni, ogni organismo unico.9 Tutta-via, le differenze fra, poniamo, due batteri Escherichia coli o due formiche tagliafoglie sono banali, se confrontate con le differenze fra due esseri umani, quand'anche si tratti di due esseri umani geneticamente identici. Inoltre, ogni singola mente pu cambiare improvvisamente quando il suo proprie-tario viene sculacciato, impara l'alfabeto, legge Cos parl Za-rathustra, prende l'LSD, si innamora, divorzia, si sottopone a un'analisi dei sogni junghiana, viene colpito da un ictus. La variabilit e la malleabilit della mente complicano enorme-mente la ricerca dei principi generali della natura umana.

    Per di pi, le ricerche sulla mente non sono riuscite a pro-durre quel genere di applicazioni che ci spingono a credere in questo o quel paradigma. I fisici possono vantare laser, transi-stor, radar, jet, bombe nucleari. I biologi possono esibire vac-cini, antibiotici, clonazioni e altre meraviglie. Gli effetti delle scienze della mente sono invece molto meno suggestivi: la te-mpia cognitivo-comportamentale, la clorpromazina, il Prozac, la terapia di shock, i presunti marcatori genetici dell' omoses-sualit, i test d'intelligenza, i computer che giocano a scacchi.

    Il filosofo Thomas Kuhn sosteneva che le teorie scientifi-che moderne non sono pi vere delle teorie che da esse ven-gono soppiantate, ma semplicemente diverse. 10 In realt, la proposta di Kuhn semplicemente non vale per campi della scienza come l'astronomia. Sul finire del diciannovesimo se-colo gli astronomi credevano infatti che quelle macchie lumi-nose nel cielo note come nebulose fossero nubi di gas all'in-terno della nostra galassia, la Via Lattea. Quando i telescopi chvcnnero pi potenti, gli astronomi si resero invece conto

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  • LA MENTE INVIOLATA

    che ogni nebulosa era una galassia a s stante, situata ben ol-tre i confini della Via Lattea. In questo caso non si tratta sem-plicemente di una concezione diversa, ma della concezione corretta.

    Tuttavia, il modello di non progresso scienti.fico di Kuhn funziona molto bene nel caso della scienza della mente. Clifford Geertz, lo stesso antropologo che ha coniato il termi-ne io-testimoniante, ha scritto di recente che la psicologia "ha preso le direzioni pi disparate a seconda di quello che ha ri-tenuto essere il suo 'oggetto': a seconda del tipo di conoscen-za che ha ritenuto di poter produrre, del suo grado di realt, del suo scopo [. .. ]. I paradigmi, cio i modi completamente nuovi di occuparsi delle cose, non compaiono a distanza di secoli, ma di decenni; a volte quasi di mese in mese" .11

    In realt, le teorie della natura umana non muoiono mai; semplicemente passano o tornano di moda. Spesso vecchie idee vengono semplicemente riconfezionate in forme pi gra-devoli. La frenologia si reincarnata nel modularismo cogni-tivo. La sociobiologia si trasformata in psicologia evoluzio-nistica. L'eugenetica, liberata dalla maggior parte dei suoi pi disgustosi corollari politici, si evoluta nella genetica del comportamento. Anche le vecchie forme di trattamento tar-dano a scomparire. L'elettroshock e la lobotomia, per quanto negli ultimi decenni siano stati spinti dal Prozac e dal litio ai margini della psichiatria, continuano a tutt'oggi a venire pre-scritti in caso di gravi malattie mentali.

    Un paradigma che ha mostrato una capacit di sopravvive-re degna di Rasputin la psicoanalisi, inventata da Freud un secolo fa. Bench negli ultimi decenni la psicoanalisi abbia perso parte del suo prestigio, a milioni di persone continua a venire somministrata una psicoterapia basata, almeno indiret-tamente, su principi freudiani. Per di pi, molti intellettuali, non solo filosofi. francesi, ma anche neuroscienziati, ricercato-ri nell'ambito dell'intelligenza artificiale e altri che si presume dovrebbero saperne di pi, continuano a professare la loro ammirazione nei confronti della psicoanalisi.

    Come mai la psicoanalisi, che una volta stata definita il

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  • IO-TESTIMONIANTE

    "trattamento dell'inconscio con l'incongruo", 12 continua a es-sere cos influente? I freudofobi rispondono accusando Freud di essere stato il capo di una setta, abilissimo solamen-te a promuovere se stesso; i freudofli lo acclamano invece co-me un genio le cui intuizioni sulla psiche, bench difficili da accertare empiricamente, continuano a sembrare fondate. Entrambi questi punti di vista sono difendibili, ma entrambi si lasciano anche sfuggire l'elemento cruciale che sottost a questa persistenza della psicoanalisi: l'incapacit da parte del-la scienza di proporre una spiegazione della mente e dei suoi disturbi che sia chiaramente pi convincente della psicoanali-si. Se i freudiani non sono in grado di dimostrare in un modo non ambiguo la superiorit del loro paradigma, non vi riesco-no nemmeno i fautori di paradigmi pi recenti.

    Secondo gli antifreudiani la psicoanalisi non avrebbe in pratica maggior consistenza scientifica dcl flogisto, la pscudo-sostanza che i filosofi della natura del diciottesimo secolo cre-devano venisse rilasciata nel corso della combustione. Ma la ragione per cui gli scienziati non discutono pi dell'ipotesi del flogisto che la scoperta dell'ossigeno e altri progressi della chimica e della termodinamica l'hanno resa ormai com-pletamente obsoleta. Un secolo di ricerche in psichiatria, ge-netica, neuroscienze e campi limitrofi non ha invece ancora prodotto un paradigma abbastanza potente da ovviare a Freud una volta per tutte. Se, come sostengono gli antifreu-diani, la psicoanalisi l'equivalente del flogisto, altrettanto lo sono tutti i suoi presunti successori. Come direbbe Thomas Kuhn, le varie alternative alla psicoanalisi non sono pi vere o migliori di essa, ma semplicemente differenti.

    Un certo antagonismo fondamentale per la scienza, cos come per il diritto. Ma la litigiosit che caratterizza le scienze della mente le distingue da tutti gli altri campi. I ricercatori si uccingono spesso con maggior entusiasmo e zelo a colpire i paradigmi altrui che non a propagandare il proprio. Cos per .i I. neuroscienziato la psicologia evoluzionistica poco pi che un'accozzaglia di storielle, mentre il sostenitore dell'elettro-shock si accanisce sugli effetti collaterali del Prozac sul sesso

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  • LA MENTE INVIOLATA

    e chi si occupa di genetica del comportamento si fa beffe del-le fantasie sui robot dei fautori dell'intelligenza artificiale. E persino fra i ricercatori che seguono lo stesso paradigma il fuoco incrociato pu essere letale.

    Ho sfruttato per i miei fini questa guerra intestina. Alcuni lettori troveranno forse ingiusto e incoerente da parte mia cri-ticare, per esempio, la genetica del comportamento in un ca-pitolo, e poi utilizzarla nel capitolo successivo per sollevare dubbi sul conto della psicologia evoluzionistica. Ma quando si ha a che fare con le teorie della natura umana, il criterio di prova dovrebbe essere contrario a quello applicato nei tribu-nali. Le teorie dovrebbero venire considerate colpevoli, cio erronee o insicure, fino a quando la loro correttezza non ven-ga stabilita al di l di ogni ragionevole dubbio. Si dovrebbe perci consentire ai critici di mettere in questione una teoria introducendo un'ipotesi contraria per quanto questa possa essere altrettanto dubbia. Per di pi, il fatto stesso che scien-ziati competenti aderiscano a paradigmi differenti e recipro-camente contraddittori costituisce un motivo sufficiente per essere scettici verso tutti i paradigmi.

    Spesso gli scienziati difendono le neuroscienze e i campi a esse collegati sostenendo che si , per dirla con il mio detrat-tore britannico Lewis Wolpert, "appena all'inizio". In realt, le neuroscienze hanno una storia paragonabile a quella di ogni altro campo della scienza. Gi nel quinto secolo prima di Cristo Ippocrate aveva ipotizzato che il cervello fosse la sede della percezione e del pensiero umano, una supposizione confermata da Galeno circa sei secoli pi tardi. B Verso la fine del diciottesimo secolo Luigi Galvani mostr che i nervi emettono e rispondono alla corrente elettrica, e pi o meno nello stesso periodo Franz Joseph Gall invent la frenologia, l'antenata della teoria della mente modulare oggi patrocinata da scienziati cognitivi e non. Intorno alla met del dicianno-vesimo secolo Francis Galton cerc di risolvere il dibattito natura-cultura studiando i gemelli con identico patrimonio genetico. William .J ames scrisse i suoi Principi di psicologia nel 1890 e Freud inizi a esporre la sua teoria psicoanalitica poco

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  • IO-TESTIMONIANTE

    tempo dopo, quando aveva gi scritto una solida monografia sui disturbi del linguaggio prodotti dalle lesioni cerebrali. Nel frattempo Camilla Golgi, Santiago Ramon y Cajal e altri sta-vano scoprendo la struttura e la funzione dei neuroni.

    L'affermazione secondo cui le neuroscienze sarebbero "appena all'inizio" non si basa dunque sull'effettiva et del settore, ma sulla sua produttivit. Anche Wolpert lo ha rico-nosciuto nel suo libro del 1993, La natura innaturale della scienza. La ricerca collegata alla mente ancora a uno stadio "primitivo", scriveva quiWolpert, paragonata a campi scien-tifici pi maturi come la fisica nucleare e la biologia moleco-lare. Come prova egli citava l'incapacit da parte dei neuro-scienziati di confermare o falsificare gli enunciati della psi-coanalisi: "al momento, non neppure possibile compiere esperimenti a un livello inferiore - cio, al livello della fun-zione cerebrale, o neurofisiologica - che potrebbero smentire la teoria psicoanalitica" .14 Wolpert tuttavia rifiutava ferma-mente la concezione pessimistica secondo cui "il comporta-mento e il pensiero umano non potranno mai essere sottopo-sti al genere di spiegazione che ha tanto successo nelle scien-ze fisiche e biologiche". Egli sosteneva che "non sappiamo c:he cosa non sappiamo e, di conseguenza, che cosa avverr in futuro".

    Concordo con Wolpert per quanto riguarda l'attuale sta-dio "primitivo" delle neuroscienze e degli altri campi legati nlla mente. Il punto : quanto potranno spingersi lontano in futuro le scienze della mente, dati gli scarsi progressi compiu-ti sinora? Come la maggior parte degli altri scienziati Wolpert t un ottimista. In sostanza la sua tesi che la mancanza fino a oggi di progressi nelle scienze della mente non significa altro d1c ci aspettano grandi cose. Ovvero, i fallimenti passati la-sciano prevedere i successi futuri. Ma questo pi un atto di fede che una vera e propria argomentazione. Data la scarsit di risultati raggiunti sin qui, temo che le neuroscienze, la psi-cologia, la psichiatria e gli altri campi che si dedicano allo stu-dio della mente stiano cozzando contro i limiti essenziali della r;denza. Forse, gli scienziati non riusciranno mai a curare, ri-

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  • LA MENTE INVIOLATA

    produrre o spiegare la mente umana. Le nostre menti potreb-bero rimanere per sempre, almeno in una certa misura, invio-late.

    Qual il lato positivo?

    Prima di iniziare a scrivere questo libro, ne parlai con un agente letterario specializzato in testi di scienza. "Va bene, ho capito", disse quando ebbi finito di snocciolargli tutti i campi che intendevo criticare. "Tu ci rifili tutte queste cose negative. Ma poi, quale dovrebbe essere il lato positivo?" Lato positi-vo?, chiesi. "S, sai, il messaggio positivo. Che cosa dai alla gente alla fine del libro, perch non si deprima del tutto?" La domanda mi prese alla sprovvista. "Non fornisco lati positi-vi", dissi, prima di farfugliare qualcosa sulla verit in s come ricompensa. L'agente mi guard perplesso, ma non insistette.

    Quando iniziai a scrivere il libro non divenni meno pessi-mista sullo stato attuale delle scienze della mente. Al contra-rio. Ma cominciai a sentire un maggior bisogno di giustificare il mio atteggiamento critico, di trovare quel "lato positivo". Nei primi tempi della mia ricerca osservai alcuni pazienti del New York State Psychiatric Institute mentre venivano sotto-posti all'elettroshock. Tra essi vi era una donna minuta e dal-l'aspetto delicato con i capelli castani corti. Era distesa sul let-tino in attesa del suo turno e io ero in piedi a pochi passi da lei che prendevo appunti su un blocco di carta gialla. Mentre un tecnico le massaggiava sulle tempie un gel conduttore, la donna improvvisamente volt la testa, e mi fiss. Sembrava nello stesso tempo sorpresa, impaurita e arrabbiata, come se stesse pensando: chi diavolo sei e perch sei qui a guardarmi soffrire?

    Provai un senso di colpa analogo quando durante un party incontrai un vecchio amico d'infanzia, che qui chiamer Harry. Non ci vedevamo da anni. Mi chiese che cosa stessi fa-cendo e io gli raccontai del progetto del libro, sottolineando, come faccio spesso con i non scienziati, la critica che volevo muovere a farmaci come il Prozac. Mentre parlavo, Harry si

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  • IO-TESTIMONIANTE

    mostr sempre pi a disagio e alla fine me ne spieg la ragio-ne. Alcuni anni prima era sprofondato in una depressione cos acuta da aver preso in considerazione il suicidio. Ne era uscito grazie al Prozac. Senza Prozac avrebbe potuto essere morto. Che cosa speravo di ottenere, mi chiese con garbo, denigran-do il farmaco che aveva salvato lui e molte altre persone?

    Un'altra obiezione sorse quando esposi alcuni dei temi del libro durante una lezione all'Universit della California. Du-rante il dibattito un genetista mi chiese arrabbiato quale fosse il mio intento.15 Pensavo forse che lui e i suoi colleghi doves-sero semplicemente arrendersi? Forse il Congresso doveva tagliare loro i fondi? Questi incontri distolsero la mia atten-zione dal tema di cui mi stavo occupando e mi spinsero ari-volgerla al mio atteggiamento. Perch era cos negativo? Per quale ragione? Volevo davvero che queste ricerche fallissero? Posto che la mia visione delle scienze della mente fosse cor-retta, che cosa speravo di ottenere formulandola? Che cosa ne sarebbe potuto venire di buono? Per dirla con le parole Jell'agente letterario: qual era il lato positivo?

    Consideriamo innanzitutto le preoccupazioni del mio ami-co Harry. Mi turbava l'idea che la critica del Prozac, della psi-coterapia e di altri simili rimedi potesse indebolire la fiducia nei loro confronti diminuendone cos l'efficacia per persone come Harry; dopotutto, la scienza aveva mostrato che la fidu-cia in una determinata terapia poteva favorirne la riuscita. Ma per un giornalista sarebbe irresponsabile, forse addirittura crudele, esagerare deliberatamente l'efficacia di un tratta-mento perch qualcuno possa trarne maggiori benefici. Con 11n ragionamento di questo tipo un giornalista potrebbe pari-menti propagandare le virt curative delle sanguisughe, dei rristalli o dell'omeopatia. Ma la fiducia non pu tutto, n sempre benigna. La fede religiosa molto probabilmente la pi.li efficace terapia psicologica mai inventata, ma ha anche fomentato l'ignoranza e l'intolleranza. Gli effetti benefici del-lu scienza devono avere maggior peso di quelli della fede. Al-1 l'imcnti, perch fare scienza?

    Le dichiarazioni sui limiti delle neuroscienze, della geneti-

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  • LA MENTE INVIOLATA

    ca del comportamento e dei campi a queste collegati potreb-bero inoltre scoraggiare gli scienziati dal perseguire tale tipo di ricerche e dissuadere le amministrazioni pubbliche dal fi-nanziarne di ulteriori. Ma, ancora una volta, questa possibi-lit non pu giustificare il fatto che vengano ignorati o travi-sati i fatti. Il mio intento nello scrivere il libro stato quello di fornire una critica costruttiva delle scienze della mente, cio di una che potenzialmente la pi importante di tutte le im-prese scientifiche. proprio per la loro importanza che que-ste ricerche richiedono un esame minuzioso. A volte la mia critica potrebbe sembrare troppo severa, ma la ragione che voglio ristabilire un certo equilibrio: per la maggior parte i li-bri sulle scienze della mente sono scritti, infatti, con tono pi celebrativo che critico.

    Alcuni problemi affrontati dalle scienze della mente pos-sono essere difficili da trattare, ma non vorrei mai che questa prognosi finisse per avverarsi. Malgrado i loro passi falsi e i loro limiti, le neuroscienze, la psicologia, la psichiatria, la ge-netica del comportamento, la psicologia evoluzionistica, l'in-telligenza artificiale e, s, persino la psicoanalisi sono tutt'altro che prive di valore. Ciascuna di esse ci ha fornito degli indizi sulla nostra natura, anche se si tratta di indizi ambigui e addi-rittura contraddittori. Se non altro, ognuno di questi campi pu fungere da contrappeso agli altri, cos da assicurare che nessuno diventi mai troppo potente. In pi, un giorno gli scienziati potrebbero davvero cominciare a comprendere la natura umana e a trovare dei modi per migliorarla.

    Tuttavia, la fiducia e l'ottimismo di cui gli scienziati hanno bisogno per proseguire in una ricerca cos difficile possono anche metterli nei guai. In passato una fiducia eccessiva nei poteri della scienza e della ragione ha portato a ideologie pseudoscientifiche come il darwinismo sociale, l'eugenetica e il totalitarismo comunista. Mi piacerebbe credere che ogni scienziato, e ognuno di noi, abbia ormai imparato a non attri-buire credito eccessivo ad alcuna teoria, ma vedo troppi se-gnali che mi fanno pensare il contrario. Mi preoccupano il proliferare della recovered-memory therapy; il sempre pi dif-

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  • IO-TESTIMONIANTE

    fuso utilizzo degli psicofarmaci sui bambini; la persistenza di teorie razziste dell'intelligenza; il propagarsi di descrizioni ca-ricaturali della sessualit maschile e femminile. E un danno pi sottile pu derivare dalle posizioni di prestigiosi ricerca-tori secondo cui noi umani saremmo un mero ammasso di neuroni, o un mero veicolo per la trasmissione dei geni, o me-re macchine. Questo genere di riduzionismo nuoce sia agli umani sia alla scienza.

    Quando si ha a che fare con la natura umana, la nostra bra-ma di verit assolute, di teorie unificate, di panacee pu avere conseguenze pericolose. Il trucco sta nel rimanere scettici sui prodotti della scienza, continuando per a sostenere l'impre-sa scientifica. Il filosofo Karl Popper stato la personificazio-ne di questo tipo di atteggiamento. Non possiamo mai prova-re che le nostre teorie sono vere, ha suggerito Popper; possia-1110 solo confutarle o falsificarle. Ogni conoscenza quindi temporanea e provvisoria, e la ricerca scientifica diviene cos, per la felicit di un amante della scienza come Popper, un'im-presa immortale. In La fine della scienza ho per sostenuto che lo schema di Popper non regge se applicato alla totalit della scienza.16 Gran parte della conoscenza che abbiamo ac-rnmulato attraverso la fisica, l'astronomia e la biologia non temporanea, ma duratura e assoluta, proprio come il fatto che la Terra sia rotonda e non piatta. Ma, applicata a una scienza come quella della mente che ha una presa relativa-mente debole sulla realt, la filosofia di Popper acquista un notevole significato.

    Popper ha chiamato la sua filosofia razionalismo critico. lo preferisco il termine scetticismo fiducioso. Troppo poco scetti-dsmo ci lascia alla merc dei venditori ambulanti di scienza. Troppo scetticismo pu portare al solipsismo, a un postmo-dernismo radicale che nega la possibilit di raggiungere non solo la conoscenza completa di noi stessi, ma qualsiasi cono-scenza in generale. La giusta quantit di scetticismo, unita al-1.n giusta dose di speranza, pu invece proteggerci dalla bra-lllH di risposte, mantenendo la nostra mente abbastanza aper-ltl da riconoscere, quando si presenta, la verit autentica. Se

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  • LA MENTE INVIOLATA

    questo libro riuscir anche solo un po' nel suo intento, per-suader i lettori a guardare le scienze della mente con uno scetticismo fiducioso. Questo un primo lato positivo.

    Anche se la mente continuer a sfidare gli sforzi degli scien-ziati che cercano di spiegarla, curarla o riprodurla, anche seri-marr inviolata, ci sar comunque un altro lato positivo. La scienza ha dato all'umanit uno scopo importante ed edifican-te; se questa ricerca della conoscenza si arrestasse, perderem-mo qualcosa di prezioso. I traguardi della scienza della mente sono cos affascinanti che i ricercatori non smetteranno certo di inseguirli, n governi, societ e filantropi cesseranno mai di finanziarne la ricerca. Il fatto che questi traguardi non possa-no forse venire mai pienamente raggiunti significa, parados-salmente, che la scienza collegata alla mente potrebbe conti-nuare per sempre. Fino a quando continueremo a essere un mistero per noi stessi, fino a quando soffriremo, fino a quando non sprofonderemo in un'utopica indifferenza, continueremo a soppesare e a investigare le nostre menti con gli strumenti della scienza. Come potremmo farne a meno? Ci che den-tro di noi sar forse l'ultima ed eterna frontiera della scienza.

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  • 1 IL GAP ESPLICATIVO

    DELLE NEUROSCIENZE

    Nel 1979 la psicologia freudiana veniva ormai considerata poco pi di un'interessante nota storica. La nuova frontiera era lo studio clini-co del sistema nervoso centrale [ ... ] . I dotti di oggi indagano, affetta-no, illuminano vetrini e considerano le invenzioni mentali di Freud-la "libido", il "complesso di Edipo" e tutto il resto-poco pi che ec-centriche e antiquate ciarlatanerie, alla stregua del "magnetismo ani-male" diMesmer.1

    TOMWOLFE

    Nel Pedone Platone ha descritto le ultime ore di Socrate, illlprigionato e condannato a morte dalle autorit ateniesi. Socrate spiega agli amici radunatisi presso di lui nel carcere perch, invece di fuggire, ha accettato la condanna. A un cer-i o punto ridicolizza l'idea che il suo comportamento possa es-:icrc spiegato in termini fisici. Chi lo pensasse, sostiene Socra-1 c, affermerebbe che,

    siccome le ossa sono come sospese e oscillanti nelle loro pro-prie giunture, e i nervi, allentandosi e tendendosi, fanno s che io ora sia in grado di piegare in qualche modo le mie gambe, questa appunto la causa per cui ho potuto piegarmi e seder-mi qui. E lo stesso anche sarebbe di questo mio conversare con voi per chi lo attribuisse ad altrettali cause, allegando, per esempio, la voce, l'aria, l'udito ... senza curarsi affatto di dir quelle che sono le cause vere e proprie: e cio che, siccome agli Ateniesi parve bene votarmi contro, per questo anche a me llctrso bene restarmene a sedere qui, e ho ritenuto mio dovere

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  • LA MENTE INVIOLATA

    non andarmene via, e affrontare quella qualunque pena che costoro abbiano decretato.2

    Si tratta della pi antica allusione che io conosca a ci che i filosofi odierni chiamano gap esplicativo. Il termine stato co-niato daJoseph Levine, un filosofo della North Carolina State University. In "Materialism and Qualia: The Explanatory Gap" ,3 apparso nel 1983 sul Pacific Philosophical Quarterly, Levine prendeva in esame la sconcertante incapacit da parte delle teorie fisiologiche di spiegare i fenomeni psicologici. Le-vine si riferiva principalmente alla coscienza o ai "qualia", cio le nostre sensazioni soggettive del mondo. Ma il gap esplicativo pu essere riferito anche a funzioni mentali come la percezione, la memoria, il ragionamento, le emozioni e, pi in generale, a tutto il comportamento umano.

    Il campo in cui sembrano esservi maggiori possibilit di colmare questo gap esplicativo sono le neuroscienze, cio lo studio del cervello. Quando Platone scrisse il Fedone, nessu-no ancora sapeva che il cervello era la sede delle funzioni mentali. (Aristotele, osservando che spesso le galline conti-nuano a correre anche una volta tagliata loro la testa, giunse a escludere il cervello come possibile centro di controllo del corpo.) Ma oggi i neuroscienziati cercano i collegamenti fra il cervello e la mente con strumenti sempre pi potenti: con la tomografia a emissione di positroni e con la risonanza magne-tica riescono a osservare l'intero cervello in azione; grazie a microelettrodi possono monitorare con precisione gli impulsi elettrici che passano tra le singole cellule nervose; sono in grado di individuare gli effetti di geni e neurotrasmettitori specifici sul funzionamento del cervello. I ricercatori sperano che alla fine le neuroscienze possano fare per le scienze della mente quello che la biologia molecolare ha fatto per la biolo-gia evoluzionistica: collocarle cio su una solida base empiri-ca che le porti a nuove e potenti acquisizioni e applicazioni.

    Le neuroscienze sono senza dubbio un settore in crescita. I membri della Society for Neuroscience, che ha sede a Wa-shington, D.C., sono aumentati vertiginosamente, passando dai

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  • IL GAP ESPLICATIVO DELLE NEUROSCIENZE

    cinquecento del 1970, anno della sua fondazione, agli oltre venticinquemila del 1998. 4 Le riviste di neuroscienze sono proliferate, e altrettanto accaduto per quanto riguarda la co-pertura del settore nelle principali riviste scientifiche come Science e Nature. Nel 1998, lanciando il nuovo periodico Natu-re Neuroscience, Nature dichiar che le neuroscienze "sono una delle aree della biologia pi vigorose e in pi rapida espan-sione. La comprensione del cervello non solamente una delle grandi sfide scientifiche della nostra epoca, ma ha anche impli-cazioni importanti per la societ: dai fondamenti della memo-ria e dalle cause del morbo di Alzheimer fino alle origini delle emozioni, della personalit e persino della stessa coscienza" .5

    f~ chiaro che le neuroscienze stanno avanzando e che stanno tmdando da qualche parte. Ma dove?

    Una volta chiesi a Gerald Fischbach,6 direttore del Diparti-111cnto di Neuroscienze di Harvard e gi presidente della So-ciety /or Neuroscience, di indicarmi quello che a suo giudizio era il risultato pi importante raggiunto nel suo campo. Fisch-lrnch sorrise per l'ingenuit della domanda. Le neuroscienze, mi spieg, sono un'impresa di grande portata. Spaziano dagli illudi sulle molecole che facilitano la trasmissione neurale al-i' utilizzo della risonanza magnetica per ottenere immagini del-1 'in tera attivit cerebrale. impossibile, prosegu, individuare 1111'unica scoperta, o anche un insieme di scoperte, che emerga < lnlle neuroscienze. La caratteristica pi evidente del settore proprio la produzione di tale enorme e sempre crescente nu-1 ncro di acquisizioni. I ricercatori continuano a "fare scoper-l t' 11: nuovi tipi di cellule cerebrali, cio di neuroni; neurotra-smettitori, cio sostanze chimiche con cui i neuroni comunica-110 fra loro; neurorecettori neurali, cio ammassi di proteine nulla superficie dei neuroni che legano i neurotrasmettitori; far tori neurotrofici, cio sostanze chimiche che guidano la cre-;dta del cervello dallo stadio embrionale all'et adulta.

    Non molto tempo fa, continu Fischbach, i ricercatori cre-1 kvuno esistesse solo un recettore per il neurotrasmettitore lrl'likolina che controlla il funzionamento dei muscoli; oggi :10110 stati identificati almeno dieci diversi recettori. E gli

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  • LA MENTE INVIOLATA

    esperimenti hanno rivelato almeno quindici recettori per il cosiddetto neurotrasmettitore GABA (acido gamma-amino bu-tirrico) che inibisce l'attivit neurale. Anche la ricerca sui fat-tori neurotrofici sta "esplodendo", aggiunse Fischbach. I ri-cercatori hanno scoperto che i fattori neurotrofici continuano a plasmare il cervello non solo nell'utero e durante l'infanzia, ma per tutto il corso della vita. Purtroppo, i neuroscienziati non hanno ancora capito come combinare tutte queste sco-perte in un unico e coerente quadro di riferimento. In effetti, concluse Fischbach, "non siamo ancora prossimi a una con-cezione unitaria della vita mentale umana".

    Fischbach aveva messo in luce una delle caratteristiche pi paradossali del suo campo. Bench il termine riduzionista venga spesso usato come spregiativo, la scienza riduzionista per definizione. Come ha detto una volta il filosofo Daniel Dennett: "lasciare fuori qualcosa non una caratteristica del-le spiegazioni sbagliate, ma di quelle riuscite" .7 Nei casi mi-gliori la scienza isola un unico elemento comune che alla base di diversi fenomeni apparentemente distinti. Newton, per esempio, ha scoperto che la tendenza degli oggetti a ca-dere al suolo, il salire e il calare del mare e il movimento nello spazio della Luna e dei pianeti possono venire spiegati da un'unica forza, la gravit. I fisici del Novecento hanno mo-strato che tutta la materia costituita fondamentalmente da due tipi di particelle, i quark e gli elettroni. Darwin ha rivela-to che tutte le diverse specie sulla Terra sono state create nel corso di un unico processo, l'evoluzione. Negli ultimi cin-quant'anni Francis Crick, James Watson e altri biologi mole-colari hanno scoperto che tutti gli organismi condividono es-senzialmente lo stesso metodo basato sul DNA per trasmettere l'informazione genetica alla prole. A differenza di tutti costo-ro, i neuroscienziati devono ancora trovare la loro rivelazione riduzionista. Invece di arrivare a una grande visione unifican-te, continuano a scoprire una complessit sempre maggiore. Il progresso delle neuroscienze , in realt, una specie di anti-progresso. Quante pi cose i ricercatori imparano sul cervel-lo, tanto pi difficile diventa immaginare come tutti questi

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  • IL GAP ESPLICATIVO DELLE NEUROSCIENZE

    diversi dati possano essere organizzati in un tutto coeso e coerente.

    Il dilemma di Humpty Dumpty

    Nel 1990 la Society for Neuroscience convinse il Congres-so degli Stati Uniti d'America a dichiarare gli anni Novanta il "Decennio del cervello". L'obiettivo di questa dichiarazione era da un lato celebrare i risultati delle neuroscienze, dall' al-tro sostenere gli sforzi per comprendere disturbi mentali co-me la schizofrenia e le sindromi maniaco-depressive (altri-menti note come disturbo bipolare). Un neuroscienziato che si oppose a quest'idea fu Torsten Wiesel, gi vincitore del premio Nobel nel 1981 e successivamente presidente della Rockefeller University di New York (carica dalla quale si di-messo per dedicarsi nuovamente alla ricerca alla fine del 1998). Nato e cresciuto in Svezia, Wiesel un uomo affabile e riservato; ma, quando lo intervistai alla Rockefeller University all'inizio del 1998,8 si accalor di colpo non appena menzio-nai il "Decennio del cervello".

    un'idea "assurda", grugn. "Ci serve almeno un secolo, l'orse addirittura un millennio" per comprendere il cervello. "Non capiamo ancora come funzioni il C. elegans", prosegu l'ncendo riferimento a un minuscolo verme che funge da labo-l'Utorio per i biologi molecolari e cellulari. Gli scienziati hanno scoperto alcuni "semplici meccanismi" all'interno del cervel-lo, ma in realt non sono ancora in grado di comprendere co-me il cervello si sviluppa prima e dopo la nascita, come invec-diia, come funziona la memoria. "Siamo ancora ai primissimi Hladi della scienza del cervello." (Ciononostante nel 1998 gli :1dc.nziati del comportamento, una categoria piuttosto vasta che include fra gli altri psicologi, genetisti e antropologi, han-uo iniziato a esercitare pressioni perch il primo decennio del I )ucmila venisse dichiarato "Decennio del comportamento"9).

    Wicsel stesso ha contribuito a una delle scoperte che han-no concorso a cambiare il paradigma delle neuroscienze. Co-me per molti altri successi scientifici, anche in questo caso si

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  • LA MENTE INVIOLATA

    tratt della combinazione di molto duro lavoro e di un po' di serendipit. Nel 1958 Wiesel e un altro giovane neuroscien-ziato, David Hubel, stavano conducendo degli esperimenti sulla corteccia visiva di un gatto e si trovavano (a quanto si di-ce) in "una stanza piccola, tetra e priva di finestre nello scan-tinato" della Johns Hopkins Medica! School. 10 Wiesel e Hu-bel avevano inserito un elettrodo nella corteccia visiva del gatto e proiettavano alcune immagini sulla retina dell'animale con un proiettore per diapositive collegato a un oftalmosco-pio. Fornivano al gatto due semplici stimoli: un punto lumi-noso su uno sfondo scuro e un punto scuro su uno sfondo lu-minoso. Ogni volta che l'elettrodo avesse rilevato una scarica elettrica da parte di un neurone, un dispositivo simile a un contatore Geiger avrebbe dovuto emettere un forte clic.

    Wiesel e Hubel stavano ottenendo risultati piuttosto delu-denti, quando una delle loro diapositive si incepp. La sbloc-carono e la reintrodussero con ogni precauzione nell'apposita fenditura del proiettore. Improvvisamente il monitor dell' e-lettrodo inizi a sparare come una "mitragliatrice". Wiesel e Hubel si resero conto che il neurone stava rispondendo al contorno della diapositiva che attraversava il campo visivo del gatto. In alcuni esperimenti successivi scoprirono alcuni neuroni che rispondevano alle linee solo se queste erano orientate in determinate direzioni rispetto alla posizione della retina. Spostando l'elettrodo in altri punti della corteccia visi-va, l'orientamento delle linee a cui rispondevano i neuroni continuava a cambiare come l'orientamento della lancetta di un orologio. Per le loro ricerche Wiesel e Hubel ricevettero il Nobel nel 1981.

    Le scoperte di Wiesel e Hubel sono emblematiche di una tendenza pi ampia all'interno delle neuroscienze. La scoper-ta pi importante che emerge dal settore infatti che diverse aree del cervello sono specializzate nello svolgimento di fun-zioni diverse. Difficile dire che si tratti di un'assoluta novit; due secoli or sono F ranz Gall aveva sostenuto la stessa cosa inventando la frenologia (degenerata poi in un metodo pseu-doscientifico per determinare il carattere di una persona a

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  • IL GAP ESPLICATIVO DELLE NEUROSCIENZE

    partire dalla forma del suo cranio). Ma i ricercatori di oggi continuano a suddividere il cervello in pezzettini sempre pi piccoli, senza che si intraveda la fine del processo.

    Ancora negli anni Cinquanta del Novecento molti scienzia-ti credevano che la memoria fosse una funzione unica, bench altamente versatile. Karl Lashley era un importante fautore di questa tesi. 11 Sosteneva infatti che i ricordi venivano elaborati e immagazzinati in tutto il cervello e non solo in una sua singola area. Come prova aveva addotto degli esperimenti in cui le le-sioni inferte al cervello di alcuni ratti non incidevano in modo significativo sulla loro capacit di ricordare il modo in cui pro-cedere all'interno di un labirinto. Ci di cui Lashley non si ren-deva conto era che i ratti possedevano molti metodi di riserva per procedere all'interno del labirinto; se veniva danneggiata la capacit del ratto di richiamare alla mente i suggerimenti vi-'i"i, l'animale poteva basarsi su quelli olfattivi o tattili.

    Esperimenti successivi, sia con esseri umani sia con altri animali, rivelarono l'esistenza di diversi tipi di memoria, cia-scuno dei quali era collegato a differenti aree del cervello. Le

  • LA MENTE INVIOLATA

    conosciuto come priming, simile alla vecchia idea di influsso subliminale. I soggetti vengono esposti a stimoli come un suono o un'immagine per un tempo cos breve da non poter-ne diventare consapevoli e da non poterlo ricordare in segui-to. Tuttavia, i test mostrano che lo stimolo si imprime comun-que nel cervello a qualche livello. Esiste una serie di esperi-menti in cui ai soggetti viene mostrato un elenco di parole per un tempo troppo corto perch possa venire immagazzinato nella loro memoria a breve termine. In seguito i soggetti ven-gono invitati a prendere parte a un gioco simile al quiz televi-sivo "La ruota della fortuna". Sulla base di un suggerimento iniziale, per esempio "o-t-p-s", essi devono indovinare la pa-rola intera. I soggetti ai quali in precedenza era stato mostrato un elenco di parole contenente il termine "octopus" avranno molte pi possibilit di indovinare la parola giusta, anche se non sono in grado di ricordare esplicitamente se l'elenco comprendeva o meno quel termine.

    Tecniche come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica (RMN) hanno accelerato questo pro-cesso di frammentazione del cervello e della mente. Le scan-sioni PET monitorano isotopi di ossigeno radioattivo ad alto decadimento inoculati nel sangue. Livelli elevati di isotopi in-dicano un flusso sanguigno maggiore e quindi una maggiore attivit neurale. La RMN permette invece di non inoculare so-stanze radioattive. Un potente impulso elettromagnetico fa s che un certo numero di atomi si allineino in una determinata direzione, un po' come accade alla limatura di ferro intorno a un magnete. Quando il campo magnetico viene ridotto, gli atomi emettono radiazioni a frequenze caratteristiche.

    Gli studi con la RMN si focalizzano spesso su soggetti impe-gnati a eseguire qualche compito: risolvere un enigma mate-matico, ordinare alcune immagini in base a determinate cate-gorie, memorizzare un elenco di parole. Si presume che le aree del cervello che si rivelano pi attive siano cruciali per i vari tipi di attivit. Karl Friston, specialista di RMN all'Istituto di neurologia di Londra, 12 ha paragonato questa catalogazio-ne dei "punti caldi" neurali alla paziente raccolta da parte di

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  • IL GAP ESPLICATIVO DELLE NEUROSCIENZE

    Darwin dei dati sugli animali di tutto il mondo. "Senza que-sto catalogo della specializzazione funzionale", mi disse Fri-ston, "non penso che si possa andare molto lontano nell' ela-borazione di una teoria utile e giustificabile dell' organizzazio-ne del cervello."

    Tuttavia, secondo F riston questa tendenza alla localizzazio-ne si sta spingendo alquanto in l. Troppi studi si limitano ad associare una determinata area con una data funzione "senza alcun riferimento a un quadro concettuale e senza una com-prensione appropriata o approfondita dell'architettura fun-zionale del cervello". chiaro che le diverse parti del cervello sono interconnesse fra loro e che la comprensione di queste connessioni neurali cruciale per la mappa della mente. La conclusione di F riston che " stata data in realt troppa poca importanza alla ricerca delle correlazioni tra le diverse aree".

    Ancora pi critico sulla maniera in cui sono state usate, so-prattutto in psichiatria, queste immagini neurali Rodolfo Llinas, neuroscienziato della New York University. 13 "Si trova ~1ualcuno con un determinato problema, si scopre un punto t'osso sulla parte frontale della sua corteccia e se ne conclude: 'Okay, ecco la sede di tutti i tuoi cattivi pensieri'. assoluta-mente incredibile! Il cervello non funziona come un organo fotto di aree a s stanti." Per Llinas si tratta di studi paragona-hili alla frenologia, pseudoscienza del diciottesimo secolo che divideva il cervello in porzioni distinte destinate a svolgere determinate funzioni. "Si prende un paziente, lo si mette nel-hi macchina e si scrive un articolo solo perch si vede qualco-ti:t: frenologia!"

    Llinas mi fece presente che in passato le neuroscienze ave-vnno attraversato una fase in cui i ricercatori inoculavano al-l'Ulli farmaci nelle scimmie o nei ratti e pubblicavano poi un al'ticolo sui risultati che ottenevano, a prescindere dal fatto dic questi fossero o meno significativi. Con le nuove tecniche d Il' permettono di ottenere immagini della mente, sostenne l ,linas, "siamo pi o meno nella stessa situazione". "La ten-dtnzfl quella di pubblicare alcuni casi e dire