intersoggettivitÀ e neuroscienze: meccanismi neurocognitivi del mind-reading”
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Capitolo 1
INTERSOGGETTIVITÀ:
I DIVERSI APPROCCI NELLE
NEUROSCIENZE
1
1.1 INTRODUZIONE
L’espressione “Teoria della Mente” (Theory of Mind, ToM) indica una
delle componenti che tipicamente contraddistinguono lo sviluppo della
mente umana, cioè la sua caratteristica di attribuire a sé e agli altri
individui stati mentali quali desideri, intenzioni, pensieri e credenze e
di spiegare e prevedere i comportamenti sulla base di queste inferenze.
La tradizione di ricerche sulla ToM inizia con la pubblicazione nel
1978 di un lavoro sperimentale di Premack e Woodruff sulla rivista
“Behavioural and Brain Sciences”. In seguito a ricerche condotte con
scimpanzé, fu coniata l’espressione “Teoria della Mente” e definita
come la capacità di questi primati di intuire e di rappresentare gli stati
mentali propri e altrui. I due ricercatori attribuirono a tale concetto il
carattere di teoria perché questi stati non possono essere osservati in
modo diretto, ma devono essere dedotti a partire da azioni la cui
comprensione permette di prevedere i comportamenti futuri degli altri
esseri.
Sia negli esseri umani che nelle scimmie antropomorfe la neocorteccia
occupa più di un terzo dell'intera capacità cerebrale. Secondo l'ipotesi
più largamente diffusa, l'accrescimento della massa cerebrale
rappresenta un tratto adattativo che si è evoluto nei primati in risposta
2
alle pressioni selettive, proprie dei complessi sistemi sociali in cui si
sono evoluti.
Dunbar definisce Ipotesi del cervello sociale (1998, 2003) questa
espansione della neocorteccia in risposta alle molteplici informazioni
relative alla sfera sociale: l'evoluzione avrebbe favorito gli individui
cognitivamente capaci di fare uso di articolate strategie per la
formazione di alleanze e la gestione di complessi pattern di interazione
sociale, capaci dunque di risolvere problemi come la capacità di fare
previsioni sul comportamento altrui e di manipolare gli altri individui
del gruppo.
Elkhonon Goldberg (2004), uno dei maggiori studiosi dei lobi frontali,
si è chiesto in che misura l'emergere delle capacità cognitive superiori
sia legato allo sviluppo di quest'area cerebrale: Goldberg, facendo
riferimento alle tesi di Jaynes1, avanza due ipotesi: “la prima è che
l’evoluzione biologica dei lobi frontali non sia di per sé stessa
sufficiente a completare il differenziamento cognitivo tra sé e non sé e
che occorra quindi, come suggerisce Jaynes, qualche altro effetto
culturale aggiuntivo e cumulativo. La seconda è che l’evoluzione
biologica dei lobi frontali si sia protratta nella storia estendendosi fino
1Secondo Jaynes la coscienza del sé sarebbe emersa piuttosto tardi nell'evoluzione culturale dell'uomo, forse addirittura solo nel II millennio a.C. e il linguaggio sarebbe stato parte di un adattamento culturale complessivo e di una più ampia architettura cognitiva.
3
a tempi più recenti di quanto lascerebbero presumere gli assiomi
evoluzionisti attualmente accettati. Il processo di umanizzazione della
grande scimmia antropomorfa potrebbe avere richiesto un periodo
ancora più lungo di quanto pensassimo”. L'uomo, a differenza delle
altre specie, avrebbe evoluto la capacità di sviluppare le proprie
interazioni sociali rappresentandosi gli stati mentali sottostanti il
comportamento altrui. Da questo punto di vista, un disturbo del
comportamento come la sociopatia acquisita, derivata appunto da
lesioni frontali, e la relativa alterazione della modulazione del
comportamento sociale ed emotivo che la caratterizza possono derivare
da un'incapacità di rappresentazione degli stati mentali altrui.
Walter e colleghi (2004) hanno dimostrato che la corteccia
paracingolata anteriore (aPCC) è attiva non solo durante la
comprensione degli stati mentali di due agenti in interazione sociale ma
anche durante la comprensione degli stati mentali di una persona che
pur agendo privatamente sta preparandosi a un'interazione sociale
futura. Questi risultati sono stati confermati da un altro studio di
Enrici et al. (2004) in cui si ipotizza inoltre che la comprensione degli
stati mentali di un singolo agente impegnato in azioni non prodotte al
fine di un’interazione, non dipenda dal reclutamento della aPCC ma da
4
quello delle parti posteriori del circuito neurale della ToM: nel circuito
neurale sottostante la risoluzione di compiti ToM, distinte aree
cerebrali potrebbero essere specializzate nella elaborazione di classi
distinte di stimoli sociali.
1.2 Modelli teorici a confronto
Il sistema della lettura della mente è un sistema di fondamentale
importanza per quanto riguarda il comportamento interpersonale2, per
l'efficenza comunicativa3, sia verbale che non verbale e, come
suggerisce Baron-Cohen [3], anche per altre funzioni come l'inganno,
l'empatia e la consapevolezza e la riflessione su di sé. Vivere senza questa
capacità di leggere la mente, quindi, porta inevitabilmente a
un'invalidante alienazione verso il mondo esterno e verso gli altri.
2 Dennett è stato tra i primi a considerare la lettura della mente indispensabile nella comprensione del mondo umano, perché attribuire alle persone degli stati mentali è certamente il modo più semplice per “capirle”: “[...] noi usiamo sempre la psicologia quotidiana per spiegare e prevedere il comportamento reciproco; ci attribuiamo reciprocamente con disinvoltura e senza accorgercene minimamente opinioni e desideri e trascorriamo una parte importante della nostra vita a modellare il mondo e noi stessi in questi termini [...]. Ogni volta che ci avventuriamo sull'autostrada, per esempio, noi mettiamo in gioco le nostre vite contando sulla validità dei nostri convincimenti circa le opinioni percettive, i desideri normali e le propensioni decisionali generali degli altri automobilisti. Verifichiamo [...] che questa teoria ha molto potere e una grande efficacia. Se per esempio guardiamo un film con una trama imprevedibile e senza stereotipi e vediamo che l'eroe sorride di fronte al cattivo tutti noi arriviamo rapidamente e senza sforzo alla stessa complessa diagnosi teorica: «Aha», deduciamo forse inconsciamente, «lui vuole che lei pensi che lui non sa che lei intende ingannare suo fratello!»[1]
3 Secondo il filosofo del linguaggio Grice la mossa chiave che noi facciamo quando cerchiamo di dare un significato a ciò che qualcuno ha detto consiste nell'immaginare quale possa essere l'intento comunicativo della persona in questione. Grice ha inoltre affermato che lo stesso identico procedimento che avviene nel linguaggio, viene usato anche nella comunicazione non verbale.[2]
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La ToM è stata nelle ultime decadi l'approccio predominante allo
studio dell'intersoggettività e considera la comprensione della mente
basata sulla psicologia del senso comune (Folk-psychology) che consiste
in un quadro di concetti approssimativamente adeguato alle richieste
della vita di tutti i giorni, una raccolta di conoscenze psicologiche
ottenute tramite un processo deduttivo, un'inferenza logica. Viene
anche considerata una metodologia fredda in quanto non coinvolge le
emozioni e la ragion pratica.
Churchland (1988), uno dei più forti sostenitori della Folk Psychology,
suggerisce che i princìpi fondanti questo quadro teorico vengano
appresi “sulle ginocchia della madre così come apprendiamo il nostro
linguaggio”; sono regole imparate in modo implicito, passo dopo passo,
interagendo socialmente con chi ci sta intorno. Di parere
diametralmente opposto è Carruthers (1996) che, al contrario,
suggerisce che la Folk Psychology sia di natura innata piuttosto che
appresa durante la crescita: se ci figuriamo i bambini come dei piccoli
scienziati che formulano una teoria, è strano che tutti arrivino alla
medesima conclusione teorica nello stesso momento, all'età di quattro
anni. Sarebbe inoltre sconosciuta, secondo Carruthers, la modalità
secondo la quale il bambino apprenderebbe dall'adulto senza che vi sia
6
un esplicito insegnamento.
Generalmente vengono identificate tre principali teorie: l'approccio
modularista, il modello della Teoria della Teoria e il modello della
Simulazione. Come suggerito da Flavell (2000) ciò che accomuna queste
tre posizioni è una prospettiva di tipo costruttivista, considerano cioè
lo sviluppo di una teoria della mente segnato da fasi regolate in base
alle varie esperienze di tipo sociale, culturale e affettivo. Ciò che invece
le differenzia è il diverso approccio alla modularità della ToM (questo
argomento sarà trattato nel capitolo quarto).
1.2.1 Approccio modularista
Secondo le teorie modulariste, l'acquisizione dei vari meccanismi
modulari dominio-specifici necessari nella comprensione sociale,
dipende dalla maturazione di specifiche aree neurali.
1.2.1.1 Architettura modulare di Baron-Cohen
Nell'architettura modulare della mente proposta da Baron-Cohen
(1995), viene messa particolarmente in evidenza l'importanza della
lettura della direzione dello sguardo nel rilevare le intenzioni. Questo
modello è costituito da quattro meccanismi che riflettono le quattro
7
proprietà innate del mondo psichico, ovvero l'atto di volontà, la
percezione, l'attenzione partecipata e gli stati epistemici.
Il sistema di mind-reading ipotizzato da Baron-Cohen è costituito
da quattro moduli:
1. Modulo EDD (Eye Direction Detector): elabora
rappresentazioni diadiche relative alla percezione visiva e ha tre
funzioni di base:
I. rileva la presenza degli occhi o di stimoli come gli occhi,
II. permette di riconoscere se gli occhi sono rivolti verso di
sé o verso qualcun altro (contatto mutuale),
III. permette di sapere se gli occhi di un altro organismo
sono diretti su qualcosa e di dedurre che cosa stia vedendo
2. Modulo ID (Intentionality Detector): è il meccanismo
rilevatore dell'intenzionalità, rappresenta il comportamento in
termini di stati volitivi; interpreta gli stimoli in movimento
come dei primitivi stati mentali che rivelano uno scopo, per cui
è attivato ogni qualvolta vi è un input percettivo (visione, tatto,
udito), il cui movimento autoindotto porta a identificarlo come
8
un agente e ad attribuirgli appunto una finalità.
3. Modulo SAM (Shared Attention Mechanism): consente di
rappresentare relazioni triadiche che coinvolgono allo stesso
tempo il sé, l'agente e un oggetto: il legame tra ID e EDD
permette alla direzione degli occhi di essere letta in termini di
stati volitivi. Questo meccanismo di attenzione congiunta si
sviluppa tra i 9 e i 14 mesi (il bambino gira gli occhi nella stessa
direzione in cui una persona sta guardando).
4. Modulo ToMM (Theory of Mind Mechanism): costituisce il
sistema per inferire l'insieme completo degli stati mentali
osservati nel comportamento umano e animale, rappresentando
il set di stati mentali epistemici (immaginazioni, sogni,
conoscenze, credenze) e combinando i differenti concetti
(volitivi, percettivi ed epistemici) in una conoscenza razionale
degli stati mentali relativi alle azioni altrui. Si sviluppa tra i 2 e i
4 anni di età e consente la realizzazione dei giochi di finzione, la
comprensione delle false belief e delle relazioni tra gli stati
mentali.
9
Fig.1.1 Modello di Baron-Cohen.
Questo modello descrive l'ontogenesi della ToM nei primi quattro
anni di vita, in particolare l'emergere dell'attenzione congiunta come
condizione necessaria ma non sufficiente per la comprensione degli
stati mentali epistemici: il bambino autistico sembra essere capace di
rappresentare le relazione diadiche degli sguardi e delle volontà ma
mostra un significativo ritardo nell'attenzione condivisa e nella
comprensione delle false belief, nell'acquisizione quindi dei moduli
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ID(Intentionality detector)
EDD(Eye-Direction Detector)
SAM(Shared Attention Mechanism)
ToMM(Theory of Mind Mechanism)
Stimoli dotati di movimento spontaneo
Stimoli visivi
SAM e ToMM. Questo ritardo nello sviluppo lascia supporre che
questi ultimi due meccanismi siano funzionalmente dissociati da EDD.
Recentemente Baron-Cohen (2005) ha proposto una versione
revisionata di questa teoria, non più basata sul concetto del mind-
reading, che non faceva riferimento agli stati emozionali, ma bensì
basata sul concetto di empatia. Questo nuovo modello empatico appare
più completo perché comporta allo stesso tempo aspetti percettivi,
interpretativi e affettivi: in questa ottica, le maggiori capacità
empatiche delle donne rispetto agli uomini, sono lette come un chiaro
esempio di differenze individuali nell'empatia. Al modello precedente
si aggiungono due nuove componenti:
● Modulo TED (The Emotion Detector): costruisce
rappresentazioni diadiche di stati affettivi, è di natura amodale e
può essere rilevata dall'espressione facciale, dall'intonazione
vocale o dal tatto (questo implica che i bambini che soffrono di
cecità congenita trovano informazioni affettive attraverso la
modalità tattile e quella uditiva). In genere i neonati riescono a
rappresentarsi gli stati affettivi intorno ai primi tre mesi di vita.
● Modulo TESS (The Empathizing System): permette una
reazione empatica verso uno stato emozionale altrui, non una
11
semplice predizione comportamentale e, a differenza del ToMM
che impiega M-rappresentazioni nella forma agente-attitudine-
proposizione , il modulo TESS impiega una nuova classe di
rappresentazioni, le E-rappresentazioni nella forma sé-stato
affettivo-proposizione.
In un articolo del 1994, Perrett e Emery (Perrett e Emery, 1994)
propongono una versione riadattata del modello teorizzato da Baron-
Cohen e focalizzata maggiormente sugli aspetti attentivi, sostenendo
che il modulo SAM richieda la sinergia di altri due processi
indipendenti: il MAM (Mutual Attention Mechanism) che si attiva se
l'attenzione degli agenti è rivolta l'un l'altro e il DAD (Direction of
Attention Detector), meccanismo che calcola geometricamente la
direzione dello sguardo dell'altro.
1.2.1.2 Architettura modulare di Leslie
Il modulo ToMM proposto da Leslie opera in un dominio-
specifico, su di una precisa classe di informazioni (le inferenze sociali)
ma presenta delle differenze rispetto alla concezione fodoriana di
organizzazione modulare della mente: Leslie “attribuisce un carattere
modulare esclusivamente ai sistemi di input (percezione visiva ed
12
elaborazione del linguaggio) e di output (il controllo motorio). Tuttavia
il meccanismo cognitivo alla base della capacità di costruire M-
rappresentazioni elabora input concettuali e non percettivi. Infatti
ToMM non si applica ai movimenti corporei in quanto tali, bensì ad
azioni, che sono movimenti volti a fini specifici. Inoltre il modulo può
essere attivato, oltre che dalla percezione esterna e dai meccanismi
propriocettivi, anche da input linguistici (e dunque
paradigmaticamente concettuali), come avviene quando qualcuno ci
descrive le azioni di un'altra persona, o leggiamo un romanzo e
cerchiamo di comprendere le azioni e i movimenti dei personaggi”
(Marraffa e Meini, 2005).
Questa forma revisionata di modularismo è stata definita in
psicologia evoluzionistica “Ipotesi della modularità massiva”: la mente
sarebbe completamente (o quasi) composta da moduli distinti per
specificità di dominio e la cognizione centrale opererebbe
sull'interazione tra i moduli, secondo vari gradi di incapsulamento. È
importante sottolineare che da un punto di vista evoluzionistico, il
ToMM rappresenta il prototipo di modulo darwiniano che utilizza
conoscenze innate specifiche e non disponibili ad altri sistemi cognitivi
e il tipo di architettura è soltanto moderatamente massivo in quanto fa
13
parte di un network neurale che comprende anche meccanismi
dominio-generali e strutture ancora diverse.
Leslie e Thaiss (Leslie e Thaiss, 1992) hanno postulato l'esistenza di
un meccanismo dominio-generale in grado di inibire le risposte
automatiche del ToMM nel caso in cui la credenza sia falsa (False
Belief). Questo meccanismo è stato definito “Elaboratore di selezione”
(SP). Leslie e Thaiss sostengono infatti che siano necessarie due
componenti distinte per risolvere un compito di false belief, una più
verticale, la ToMM, e una più orizzontale, la SP. Indagando la
comprensione di false belief e la comprensione di rappresentazioni
pubbliche erronee in bambini normali e autistici, questi studiosi hanno
trovato che i bambini di 3 anni non risolvono questo compito
standard, probabilmente perché la componente SP non è ancora del
tutto sviluppata; i soggetti autistici invece falliscono nel compito
esibendo un danno al ToMM ma mantengono un SP intatto e
sufficientemente maturo per svolgere un compito di rappresentazioni
pubbliche.
Il bambino prima di sviluppare una capacità
metarappresentazionale è già equipaggiato di un insieme di strumenti
che gli permettono di interagire col mondo sociale su una base di
14
informazioni percettive; non è ancor in grado, allo stesso modo dei
primati non umani, di elaborare rappresentazioni astratte riguardo a
stati non osservabili e quindi di meta-rappresentare le credenze. Infatti
come sottolinea Leslie, “meta-rappresentare i propri stati mentali non
può essere un processo automatico o di routine nella memoria di
eventi” (Leslie, 1988).
Fig. 1.2 Modello di Leslie e Thaiss.
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Livello comportamentale (compiti)
False belief non-standard (look-first)
False belief standard
Compiti di false rappresentazioni esterne (standard)
Livello cognitivoToMM
Processore di
selezione
Foto,mappe,
disegni...
Fig 1.3 Raffigurazione di un ipotetico network comprendente il ToMM.
Fonte: Murphy e Stich (2000)
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1.2.2 Approccio costruttivista: Teoria della Teoria
Secondo la prospettiva della “Teoria della Teoria” (Theory Theory, TT)
la ToM si sviluppa allo stesso modo di una qualsiasi teoria scientifica
(Gopnik e Meltzoff, 1997). “Grazie a questa sua «teoria ingenua» il
bambino, in qualità di «piccolo scienziato», è in grado di fare previsioni
sulla condotta degli altri e di discriminare con sufficiente attendibilità
varie categorie dei loro comportamenti” (Anolli, 2002). Secondo questa
posizione, a differenza degli approcci modularisti, l'attribuzione di uno
stato mentale necessita dell'acquisizione di una Teoria della Mente che
con l'esperienza può essere falsificata, ampliata e riformulata. Bartsch e
Wellman (1995) sostengono che lo sviluppo della ToM comprenda 3
passaggi: intorno ai 2 anni i bambini iniziano a spiegare il
comportamento dell'altro rifacendosi ai desideri, a 3 anni parlano di
credenze e a 4 anni arrivano a riconoscere le false credenze e a
comprendere che il pensiero è una rappresentazione mentale.
In un articolo del 2003, Gallese afferma che la Teoria della Teoria può
essere legittimamente considerata una variante del cognitivismo
classico nel quale si “... concepisce la mente come un sistema funzionale
i cui processi possono essere descritti come manipolazioni di simboli
informazionali, sulla base di una serie di regole sintattiche formali”.
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Aggiunge poi che: “l'approccio caratteristico della Teoria della Teoria
sottolinea la fondamentale discontinuità cognitiva tra essere umani e
primati non umani. La ToM è considerata come una sorta di Rubicone
mentale che sanziona l'unicità della capacità cognitive della nostra
specie. L'approccio simulazionista, al contrario, sembra più incline ad
ammettere una continuità evolutiva tra comportamentismo e
mentalismo.”
1.2.3 Teoria della Simulazione
La Teoria della Simulazione (Simulation Theory, ST) proposta
inizialmente da Harris (1992) e oggi al centro del dibattito dei filosofi
della mente, prevede che la comprensione degli altri non avvenga
attraverso l'uso di una teoria del senso comune, in modo simile allo
sviluppo di una teoria scientifica ma piuttosto, per mezzo del nostro
apparato mentale, ci formiamo predizioni e spiegazioni per simulare
appunto le loro menti. Ci configuriamo dunque una rappresentazione
interna. In altre parole, in questa ottica l'attribuzione degli stati
mentali non si basa su meccanismi inferenziali e su processi di
concettualizzazione ma sulla capacità di calarsi nei panni dell'altro in
una determinata situazione, per poi proiettarne l'esperienza da noi
percepita: la teoria della simulazione non prevede perciò il formarsi di
18
una “teoria” mentale e sostiene che la comprensione dei propri stati
mentali preceda la comprensione di quelli altrui, a differenza della
Theory-Theory, secondo la quale entrambi i tipi di comprensione della
mente emergono contemporaneamente. Per queste sue caratteristiche,
spesso questa teoria viene descritta come simulazione off-line, che
rimane subconscia, e anche come metodologia calda.
Nelle neuroscienze cognitive il termine simulazione è usato
generalmente per indicare un'attivazione automatica e inconscia di un
sistema di meccanismi neurali, innescata dall'osservazione del
comportamento degli altri.
Secondo il fisiologo Hesslow nel modello della simulazione, il pensiero
consiste in una serie di interazioni simulate con l'ambiente e si basa su
tre assunti di base:
1. Simulazione dell'azione: si attivano le strutture motorie del
cervello senza che vi siano movimenti manifesti.
2. Simulazione della percezione: immaginare di percepire qualcosa
equivale alla percezione reale, tranne il fatto che l'attività
percettiva è generata dal cervello stesso piuttosto che da stimoli
esterni.
19
3. Anticipazione: esistono meccanismi associativi che permettono
che l'attività percettiva e comportamentale di elicitare altre
attività percettive nelle aree sensoriali.
Secondo Decety e Grézes (2006), queste tre nozioni di simulazione non
differiscono tanto nella natura quanto piuttosto nel grado,
considerando che condividono lo stesso processo computazionale di
base. In questo senso, il livello automatico e il livello conscio non sono
indipendenti l'uno dall'altro ma rappresentano differenti aspetti di un
processo comune.
Gordon (1995) considera fondamentale la simulazione per avere una
padronanza dei concetti psicologici mentre secondo Goldman (2005),
altro sostenitore di questa teoria, la simulazione pur rimanendo la
risorsa fondamentale dell'interpretazione, interagisce con la conoscenza
e le generalizzazioni, le quali giocano un ruolo altrettanto importante.
Goldman ritiene plausibile che l'evoluzione abbia permesso ben più di
una strategia di sviluppo: la simulazione non sarebbe altro che un
primo metodo di comprensione della mente altrui e laddove questo
fallisce, l'utilizzo di un quadro teorico potrebbe essere una possibile
strategia.
Secondo Currie e Ravenscroft (2002) la simulazione ci permette di
20
effettuare un certo tipo di processo mentale per predire il
comportamento altrui: non si tratterebbe solamente di
un'immaginazione percettiva ma piuttosto di un tipo proposizionale di
immaginazione contenente certe proposizioni riguardo alle persone
immaginate. La ST risulta anche più economica rispetto alla ToM e alla
TT, in quanto diminuisce il peso di una complessa teoria psicologica
basata sulla conoscenza di credenze e desideri di una persona,
semplicemente con l'immaginazione di noi stessi nella medesima
situazione. L'idea di questi studiosi è che una patologia come l'autismo
può essere considerata un disordine dell'immaginazione, inteso come
uno strumento che ci assiste nella comprensione e nella risoluzione di
problemi attraverso una gamma di differenti domini: l'”immaginazione
ricreativa” ci permetterebbe, in sintesi, di pianificare il corso di
un'azione e di lavorare su questa senza effettuarla realmente. Il paziente
autistico sarebbe così sprovvisto di una capacità quasi-percettiva per il
riconoscimento delle emozioni (la simulazione sarebbe basata su abilità
percettive di base) e per questo incapace di sviluppare abilità più
complesse legate al processo immaginativo.
La scoperta nei primi anni novanta dei neuroni specchio (Mirror
Neurons, MN) da parte di un gruppo di neurofisiologi di Parma
21
coordinato da Giacomo Rizzolatti, ha infine dato una solida
dimostrazione dei meccanismi simulativi di base, a favore quindi della
teoria della simulazione. Il sistema Mirror (descritto nel secondo
capitolo) potrebbe essere, come suggerito da Gallese e Goldman (1998),
parte o un precursore di una più generale abilità di mind-reading. Il
concetto dei processi mentali di simulazione è stato ampliato,
mostrando come alcuni neuroni presentano proprietà mirror multi-
modali, rappresentando non solo il carattere motorio ma anche
sensoriale, come ad esempio l'udito. Questi singoli neuroni sarebbero
implicati in alcune azioni indifferentemente dalla modalità attraverso la
quale l'azione è inferita (Decety e Grèzes, 2006).
22
Capitolo secondo
MECCANISMI COGNITIVI
E PERCETTIVI
DELL'INTERSOGGETTIVITÀ
23
Parte prima
Nell'uomo e negli animali in generale, la comunicazione
intersoggettiva si basa su una vasta gamma di canali sensoriali e senza
dubbio quello che ha una maggiore importanza nei vertebrati è il
canale visivo. Questa modalità sensoriale offre una gran quantità di
informazioni rilevanti nel processo di comunicazione come l'aspetto
corporeo (segnala la specie, lo stato di arousal sessuale, le emozioni,
l'aggressività, l'eccitazione), i comportamenti spaziali, le espressioni
facciali (di particolare importanza nei primati),la direzione dello
sguardo, la gesticolazione e la postura. I movimenti degli occhi sono
intimamente legati al modo in cui l'attenzione viene controllata e
indirizzata, e in condizioni naturali la direzione dello sguardo coincide
con quella dell'attenzione. É stato anche dimostrato che il movimento
dell'attenzione precede e guida il movimento oculare su un certo
stimolo, per portare la fovea a coincidere con questo e per avere quindi
una percezione conscia delle informazioni sensoriali.
24
2.1 IMITAZIONE, SIMULAZIONE E PRIME FORME DI
INTERAZIONE
Abbiamo visto come le rappresentazioni mentali di natura
multimodale, sia statiche che dinamiche, sia visive che motorie, siano
un elemento fondamentale nell'interazione tra uomo e ambiente.
Queste rappresentazioni fanno parte di un sistema che simula
l'informazione necessaria per l'atto motorio e inoltre permette di
rappresentarla prima della stimolazione esterna. Come avviene questa
simulazione? Si è parlato di simboli astratti amodali, sono stati fatti dei
tentativi di riprodurre nel computer, tramite computazioni, tutti i
meccanismi corporei ma le difficoltà di ricreare questo complesso
sistema hanno spostato l'attenzione verso i simulatori, l'imitazione e
l'emulazione. Simulare significa appunto ri-assemblare una replica
interna di un evento, riattivando almeno parzialmente i pattern di
attivazione neurale legati all'esperienza dell'evento.
Prima di arrivare a trattare i meccanismi neurofisiologici
dell'intersoggettività nei primati e nell'uomo, è giusto delineare seppur
in modo riassuntivo, le principali forme di interazione del bambino fin
dai primi giorni di vita.
25
2.1.1 Intersoggettività primaria e Early Imitation (imitazione
precoce)
Le relazioni interpersonali sono stabilite fin dall'esordio della vita.
L'intersoggettività primaria è la capacità innata (o molto precoce) del
bambino di interagire con gli altri. Consiste in un progressivo aumento
di interesse nei confronti della madre con la quale il bambino piccolo
entra in relazione come soggetto autonomo e condivide scambi
comunicativi coerenti, empatici. È la prima forma di interazione
diretta con l'adulto, faccia a faccia e non mediata da oggetti; è anche
una caratteristica riscontrabile in tutte le culture e per questo
considerata innata.
A questa fase segue l'intersoggettività secondaria, cioè la capacità di
condividere attenzione e intenzioni in una relazione triadica
(compaiono cioè gli oggetti). Cominciano a manifestarsi
comportamenti di segnali più convenzionali, come il gesto di indicare
che può avere una valenza richiestiva o dichiarativa.
I neonati hanno la capacità innata di riprodurre i movimenti altrui,
specialmente la mimica facciale e di sintonizzarsi sui comportamenti
osservati partecipando all'esperienza altrui (Altero Centered
Partecipation). Il sistema sensori-motorio è quindi già predisposto per
26
essere coordinato in una comunicazione diadica circolare dove avviene
un reciproco scambio bi-direzionale di informazioni sociali. Il soggetto
cosciente non è ancora costituito, ciò nonostante il neonato condivide
una primitiva forma di spazio intersoggettivo “sé\altro”.
Non è ancora molto chiaro come possa avvenire questo
trasferimento di prospettiva personale della madre (o di un qualunque
altro dimostratore) all'interno della prospettiva corporea del bambino
senza che vi sia in questo un feedback visuale della propria faccia.
Secondo la teoria della simulazione il bambino simulerebbe il corpo
dell'adulto, non come un semplice meccanismo ad arco riflesso, ma
tramite quello che Meltzoff e Moore definiscono “mappatura
intermodale attiva” (active intermodal mapping, AIM) che definisce a
sua volta uno “spazio reale sovramodale” (supramodal actual space, SAS)
(Meltzoff & Moore, 1998; Meltzoff, 2002).
Il meccanismo di risonanza del sistema motorio sostenuto dai
neuroni specchio sembra calzare a pennello con le teorie di Meltzoff e
Moore: il diretto collegamento tra l'azione osservata e l'azione eseguita
sarebbe dovuto al trasferimento della prospettiva personale del
dimostratore all'interno della prospettiva corporea del bambino
tramite uno specifico stato fenomenico di consonanza intenzionale
27
(come descritto successivamente in questo capitolo).
Oltre che nell'uomo, la early imitation è stata studiata anche nei
primati, principalmente con lo scopo di comprendere questa funzione
da un punto di vista evolutivo: sono state osservate delle risposte
comportamentali in un macaco di appena una settimana di fronte a
gesti umani della faccia (apertura della bocca, labbra protese, lingua
protesa) e delle mani ma si sono osservati solo dei tentativi di
imitazione esclusivamente in relazione alle azioni oro-facciali.
È stato più volte descritto come la early imitation scompaia
intorno al terzo mese di vita lasciando spazio a una successiva forma di
imitazione più matura consistente nella capacità di comprendere il
significato di ciò che viene imitato. Gallese sottolinea come queste due
forme di imitazione condividano una caratteristica comune: la presenza
di uno spazio noi-centrico, multi-modale e indipendente da facoltà
cognitive sofisticate come il linguaggio.
28
2.2 ESPRESSIONI EMOTIVE, COMUNICAZIONE EMOTIVA
ED EMPATIA
La comunicazione emotiva, come descrive Trevarthen (1990),
coinvolge una serie di segnali visivi, gestuali e acustico-prosodici che
agiscono con modalità istantanea. Buck (1994) sottolinea a proposito il
carattere spontaneo e biologicamente determinato di questa forma di
comunicazione, che attiva nel destinatario una pre-sintonizzazione
emotiva e va a costituire una “conversazione tra sistemi limbici”. La
risonanza emotiva, pur essendo una forma elementare di empatia, offre
senza dubbio dei vantaggi ai singoli organismi: permette loro di
riconoscere velocemente possibili pericoli e di stabilire i primi legami
interindividuali. I bambini sviluppano, intorno ai 2-3 mesi, una
“consonanza affettiva” con la madre, sapendone distinguere e
riprodurre le espressioni facciali e le vocalizzazioni.
Questo sistema è localizzato nell'emisfero destro, in particolar
modo nel sistema limbico destro, dove gli stimoli sono decodificati in
base alle reazioni emotive suscitate e percepite a livello somatico. Il
meccanismo empatico fornisce perciò la capacità di leggere e provare
ciò che provano gli altri e allo stesso tempo permette di differenziare le
proprie dalle altrui esperienze. L'osservazione di immagini contenenti
29
espressioni emotive nei volti, genera nell'osservatore la simulazione
delle stesse espressioni facciali (rapide risposte elettromiografiche nei
corrispettivi muscoli facciali) e, in misura minore, la simulazione
dell'emozione stessa.
Secondo l'interpretazione della comprensione delle emozioni di
Antonio Damasio (Damasio, 2003), i sentimenti (definiti come
consapevolezza delle emozioni) sono correlati alla mappatura neurale
degli stati del corpo e sia la percezione delle proprie emozioni che il
riconoscimento emotivo negli altri, dipendono da due particolari
strutture, la corteccia somatosensoriale e l'insula. Come specificato da
Rizzolatti, l'osservazione delle emozioni nei volti provoca
un'attivazione dei neuroni specchio della corteccia premotoria, i quali
inviano alle aree somatosensoriali e all'insula “una copia del loro
pattern di attivazione (copia efferente), simile a quello che inviano
quando è l'osservatore a vivere quell'emozione”. Damasio usa
l'espressione “circuito come se” per definire funzionalmente queste aree,
capaci di bypassare il corpo con delle reazioni veloci e spontanee.
Rizzolatti e Sinigaglia fanno notare comunque che questo meccanismo
di risonanza agisce anche di fronte a movimenti facciali che non hanno
valenza emotiva e perciò giudicano pleonastica l'ipotesi del
30
coinvolgimento della corteccia sensoriale nel riconoscimento delle
emozioni altrui: come ammesso anche da Damasio, è l'insula l'organo
centrale del “circuito come se”, cioè di questo meccanismo specchio “in
quanto non solo è la regione corticale in cui sono rappresentati gli stati
interni del corpo, ma costituisce un centro di integrazione viscero-
motoria la cui attivazione provoca la trasformazione degli input
sensoriali in reazioni viscerali” (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006).
Il ruolo delle cortecce somatosensoriali nel processo empatico è
stato indagato in uno studio di Adolphs et al. (2000), dove sono stati
confrontati 108 pazienti neurologici con differenti lesioni cerebrali a
cui veniva chiesto di indicare l'emozione espressa da foto di individui. I
pazienti con le prestazioni più basse erano risultati gli individui con
danni alle cortecce associative visive (essenziali nella stima delle
configurazioni visive) e perciò incapaci di percepire l'integrità
dell'immagine e quelli con danni alle cortecce somatosensoriali di
destra (inclusi insula, area S1 e area S2). Queste ultime aree sono
risultate essere dominanti nella rappresentazione corporea integrata e
perciò spesso associate a deficit della sfera emotiva.
Wicker e colleghi (Wicker et al., 2003) hanno condotto uno studio
per verificare se ci fossero aree comuni durante l'esperienza emotiva
31
diretta e indiretta, per poter parlare quindi di un meccanismo specchio.
I soggetti dell'esperimento (volontari sani), sottoposti a fMRI, sono
stati prima esposti a odori che provocano disgusto o piacevolezza e in
seguito all'osservazione delle stesse emozioni espresse da degli attori. I
risultati hanno dimostrato che la parte anteriore dell'insula sinistra e in
misura minore la regione anteriore della corteccia del cingolo
dell'emisfero destro, si attivavano in entrambi i tipi di compiti: è
probabile che queste aree contengano dei neuroni viscero-motori
costituenti un meccanismo mirror. In un altro esperimento con fMRI,
Singer e colleghi (Singer et al., 2004) hanno dimostrato che queste stesse
aree si attivavano sia durante la percezione della sofferenza (shock
elettrico doloroso indotto da un elettrodo posto sulla mano) che
durante la sua evocazione (i soggetti osservavano una mano a cui
sarebbe stata applicato il medesimo elettrodo). Un'ulteriore conferma
del ruolo dell'insula anteriore viene dall'esame di alcuni specifici casi
clinici in cui quest'area risultava lesionata: i pazienti non solo erano
incapaci di provare disgusto ma anche di riconoscere questo tipo di
emozione espressa nei volti degli altri (Calder et al., 2001).
32
2.3 PERCEZIONE E CONDIVISIONE DELLO SPAZIO
Muoversi nello spazio presuppone una conoscenza sia statica che
dinamica dell'ambiente che ci circonda, una cognizione spaziale
rappresentata internamente, basata su un quadro di coordinate e base
dell'interazione ambiente-corpo. È facile immaginare cosa succede
quando ci troviamo in un ambiente a noi nuovo: iniziamo
immediatamente ad esplorare affidandoci alle informazioni che
provengono dal nostro sistema senso-motorio. L'integrazione e la
cooperazione tra le varie modalità sensoriali (vista, udito, tatto, olfatto,
movimento) e quindi la raccolta degli input afferenti dai relativi
recettori sensoriali, permettono la formazione di una struttura spaziale
contenente informazioni metriche statiche e informazioni dinamiche.
Secondo Shepard e Hurwitz (Shepard e Hurwitz, 1984) esiste
una :”primarietà della dimensione verticale dall'asse gravitazionale da cui
derivano le dimensioni orizzontali”.
L'organismo, quindi, per interagire con l'ambiente necessita di
conoscere la posizione degli oggetti immobili e di predire le traiettorie
di quelli in movimento per evitare possibili ostacoli utilizzando dei
principi statici e cinematici “intuitivi”.
33
Nella formazione di una mappa topografica mentale intervengono
due tipi di coordinate:
● coordinate egocentriche: hanno come riferimento centrale
l'asse corporeo dell'osservatore in base al quale, secondo la
prospettiva, si definiscono le varie posizioni sia nello spazio
“personale” (occupato dal corpo dell'osservatore) che in quello
spazio “peripersonale” (al suo interno possiamo raggiungere e
toccare gli oggetti); servono a pianificare e ad eseguire le azioni;
● coordinate allocentriche: sono indipendenti dal corpo
dell'osservatore, utili per una conoscenza dell'ambiente su larga
scala e per calcolare posizioni e pianificare all'interno dello
spazio “extrapersonale” (comprende l'area al di fuori delle nostre
capacità di raggiungimento e da cui riceviamo informazioni solo
per mezzo del sistema sensomotorio).
Evidenze scientifiche di neuroimaging confermano l'ipotesi che le
codifiche di questi due tipi di coordinate sono funzioni specializzate di
aree cerebrali distinte:
● codifica egocentrica = circuiti fronto-parietali
● codifica allocentrica = corteccia parietale posteriore e dorsale premotoria
34
Nelle trasformazioni sensori-motorie, alla base della localizzazione
e del raggiungimento di un oggetto, entrano in gioco a livello neurale i
neuroni bimodali (somatosensoriali e visivi). È stato scoperto che
nell'area F4 della corteccia ventrale premotoria e nell'area
intraparietale ventrale (VIP) “i campi recettivi visivi della maggior
parte dei neuroni bimodali restano ancorati ai rispettivi campi recettivi
somatosensoriali e risultano pertanto indipendenti dallo sguardo”
(Rizzolatti e Sinigaglia, 2006).
Questo significa che in queste aree le coordinate non sono riferite a una
precisa parte del corpo ma esistono in realtà vari sistemi di riferimento
corporei che codificano lo spazio visivo, ognuno di questi legato a un
determinato campo recettivo sensoriale intorno al quale sono appunto
localizzati i campi recettivi visivi dei neuroni bimodali. A questo
proposito, Rizzolatti e Sinigaglia fanno notare che le varie aree del lobo
parietale operano in modo diverso a seconda dello scopo motorio a cui
sono deputate e a seconda dello spazio da cui sono attivate: ad esempio
nel circuito LIP-FEF, formato dall'area intraparietale laterale e dai
campi oculari frontali, “i neuroni rispondono a stimoli visivi e si
attivano durante certi tipi di movimento”, ma nonostante questa
analogia con VIP-F4 i due circuiti impiegano sistemi di coordinate
35
diversi (in LIP-FEF i campi recettivi hanno coordinate retiniche) e
controllano il movimento in porzioni di spazio differenti: studi su
deficit indotti da lesioni confermano che l'area FEF si occupa dello
spazio lontano, extrapersonale, mentre l'area F4 riguarda lo spazio
vicino, personale e peripersonale.
Figura 2.1 Visione mesiale e laterale della corteccia motoria e della corteccia parietale posteriore nel cervello della scimmia. A destra le aree nascoste all'interno del solco intraparietale. (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006.)
36
Insieme a questi meccanismi cerebrali che integrano le proprietà
spaziali, la mente ha bisogno di “figurarsi” una visione di alto livello
(guidata dalla conoscenza e non più dallo stimolo) per interagire con lo
spazio; in altre parole necessita di rappresentarsi un immagine mentale
per simulare o pianificare un'azione, considerando i vincoli spaziali e
quelli biomeccanici del corpo. Le immagini mentali conservano le
proprietà metriche dell'ambiente osservato e condividono alcune delle
aree neurali della percezione visiva, le quali sono quindi attivate non
solo da stimoli sensoriali ma anche dall'informazione conservata in
memoria. Riguardo alla natura delle rappresentazioni è tutt'ora aperto
il dibattito se queste abbiano un carattere analogico-pittorico, come
sostiene Kosslyn (Kosslyn et al, 2001) o possano essere spiegate in
termini proposizionali secondo un codice astratto.
Da un punto di vista funzionale si possono distinguere tre tipi di
immagini mentali:
● immagini visive statiche
● immagini visive dinamiche (oggetti in movimento)
● immagini motorie (rappresentazione della biomeccanica del movimento)
Anche nei processi di imagery motoria, le azioni mentali
condividono molte aree con la percezione di azioni reali: area motoria
37
supplementare SMA (area supplementare motoria), corteccia
premotoria, cervelletto, gangli della base, area motoria primaria M1 (è
attiva durante la rotazione mentale di mani o di oggetti tenuti in
mano). Secondo la definizione di Jeannerod, l'imagery motoria è la
simulazione mentale di un movimento in assenza di macroscopica
attivazione muscolare (Jeannerod, 1995).
L'imagery motoria rappresenta uno degli elementi cardine per
comprendere le intenzioni motorie e i piani motori, in quanto
permette la rappresentazione interna di un azione senza che vi siano
manifesti output motori. Per questo motivo, questa capacità simulativa
necessita di una stretta equivalenza funzionale con la messa in atto delle
azioni: la condivisione della rappresentazione motoria tra simulazione
mentale delle azioni ed esecuzione motoria è supportata da esperimenti
su pazienti che presentavano deficit di imagery motoria in seguito a
lesioni parietali (Sirigu et al., 1996).
La rappresentazione del movimento provoca dei cambiamenti a
livello fisiologico:
● intensificazione dello scambio gassoso
● accelerazione della respirazione e della frequenza cardia ca
● aumento della pressione sanguigna
● maggiore sensibilità della visione periferica
38
● aumento dell'eccitabilità dei nervi periferici
Grèzes e Decety (2001) hanno condotto una meta-analisi per
valutare l'estensione dell'equivalenza anatomico-funzionale
rappresentata dal network neurale attivato durante la generazione
motoria, la simulazione delle azioni, la verbalizzazione delle azioni e la
percezione di queste. Lo studio ha mostrato un'ampia sovrapposizione
di questi quattro processi nelle seguenti aree: SMA (area supplementare
motoria), corteccia premotoria dorsale, giro sopramarginale e lobo
parietale superiore. La simulazione mentale era inoltre associata alla
corteccia premotoria ventrale e questo è stato interpretato in termini di
mediazione verbale, poiché l'osservazione dell'azione è associata con
l'aumento di rCBF nelle aree temporali, che consistono con
l'elaborazione delle scene visive.
39
2.4 MOVIMENTO BIOLOGICO E COMPRENSIONE
DELLE INTENZIONI
La mera osservazione di qualcosa che si muove può rivelare ai
nostri occhi se si tratta di un essere vivente o di un oggetto inanimato:
possiamo quindi valutare percettivamente se dietro al movimento
osservato ci sia o meno un aspetto semantico dell'azione, uno scopo,
un'intenzione. Riconoscere la forza intenzionale che ha generato il
movimento e saper distinguere tra movimenti biomeccanici e biologici,
sono alla base della capacità di un organismo vivente di prevedere le
azioni e gli spostamenti altrui, capacità indispensabile per la
sopravvivenza.
Nel 1973 Johansson ha condotto una serie di esperimenti che
hanno suscitato un forte interesse per lo studio del movimento da lui
definito appunto “biologico”. Ha dimostrato come 12 indicatori
luminosi attaccati alle principali giunture del corpo di una persona,
bastino a uno osservatore per identificare la categoria di un'azione
eseguita, per riconoscere alcune espressioni emozionali espresse dal
movimento corporeo e per distinguere l'identità di una persona (per
esempio il sesso) o di una specie animale durante il movimento di
40
locomozione, e anche per interagire con esso. I meccanismi che
permettono la percezione del significato dei movimenti biologici sono
essenzialmente due: il riconoscimento della struttura corporea rigida
(guidata dalla coerenza del moto dei punti) e la ricostruzione della
dinamica di un evento sulla base della sua cinematica.
Questa capacità di riconoscere il movimento biologico sembra
emergere piuttosto precocemente nell'uomo: già a quattro mesi il
neonato preferisce osservare il movimento di un corpo umano
rappresentato da 10 punti luminosi piuttosto che il movimento casuale
di uno stesso numero di punti.
In uno studio di Neri, Morrone e Burr (Neri et al, 1998), sono state
ottenute delle misure quantitative di questa capacità, che hanno
confermato e integrato lo studio di Johansson: la percezione del
movimento viene facilitata dall'aumento del numero degli stimoli
luminosi, anche in presenza di elementi di disturbo posizionati a caso,
ma questo non vale per i movimenti non biologici dove la percezione
del moto raggiunge presto una soglia di saturazione.
In un recente articolo (2006), Peelen e colleghi dell'Università del
Galles, hanno riportato i risultati di una serie di esperimenti con fMRI:
a differenza della detezione del movimento non biologico, nella
41
detezione del movimento biologico si attivavano, oltre alle regioni
destinate a identificare il movimento in generale, anche le aree che
rispondevano alle forme umane statiche, come l'area EBA (Extrastriate
Body Area), situata nella parte posteriore del solco temporale superiore
(pSTS), che è selettiva per le immagini statiche di corpi umani e parti
del corpo, e come l'area FBA (Fusiform Body Area) selettiva per le facce.
L'osservazione del movimento di raggiungimento e di prensione di
una mano verso un oggetto, porta l'osservatore a rappresentarsi
l'intenzione motoria dell'agente, e a confrontarlo automaticamente col
repertorio di atti motori che già possiede. Questo di per sé non elicita
l'attribuzione di un'intenzione sociale, anche se l'atto di osservare
stimoli geometrici che si muovono verso un altro stimolo, provoca
nell'uomo un'illusione percettiva di interazione sociale, ma data la
natura non biologica del movimento degli stimoli geometrici, il
processo di attribuzione e di rappresentazione delle intenzioni sociali
non può essere una diretta conseguenza del confronto col repertorio
motorio, né tanto meno di una simulazione motoria. È importante a
questo punto sottolineare che un'intenzione motoria è un intenzione
di eseguire un'azione di base, da distinguersi dunque da una forma più
generale di intenzione antecedente o primaria. Inoltre, è possibile
42
distinguere tra intenzioni sociali e non-sociali, le prime dirette a
interagire con un conspecifico mentre le seconde verso un oggetto
inanimato.
Molte interazioni sociali consistono in azioni a distanza che
coinvolgono i movimenti degli occhi e della testa ma non un diretto
contatto corporeo. Già a 7 mesi i bambini riescono a prevedere le
interazioni umane che non coinvolgono il contatto corporeo, a
differenza delle relazioni causali tra oggetti. È pur vero anche che ci
sono evidenze di brainimaging e di registrazioni da singole cellule nel
cervello del macaco che suggeriscono l'esistenza di un sistema
puramente percettivo di percezione sociale che può essere sollecitato da
illusioni percettive (Allison et al., 2000). Questo sistema, che dimostra
di non avere proprietà motorie, coinvolge l'area STS (solco temporale
superiore), l'amigdala e la corteccia orbitofrontale.
In uno studio di Falck-Ytter, Gredeback e von Hofsten (2006) è
stato dimostrato come a 12 mesi i neonati siano già in grado di
anticipare lo scopo di azioni compiute da altri se essi stessi sono capaci
di compiere le stesse azioni. Tramite una tecnica di registrazione dei
movimenti oculari (gaze-recording technique), sono stati messi a
confronto le prestazioni di adulti, bambini di 12 mesi e bambini di 6
43
mesi durante la presentazione video di nove sessioni identiche di una
delle tre possibili condizioni (movimento dell'attore, movimento degli
oggetti e movimento automatico). È risultato che i movimenti oculari
proattivi e goal-directed (orientati verso uno scopo) sembrano
richiedere la presenza visiva di un'interazione tra la mano di un agente
e un oggetto, supportando così l'esistenza di un meccanismo mirror.
Jacob e Jeannerod (2004) hanno messo in discussione la rilevanza
dei neuroni specchio nell'intelligenza sociale e, in particolare, nel
riconoscimento delle intenzioni altrui. Questi studiosi sostengono che
il riconoscimento delle intenzioni sociali dipenda da alcuni neuroni di
STS che hanno la caratteristica di rispondere alla percezione di azioni
altrui dirette verso conspecifici, diversamente dai neuroni specchio di
F5 e del lobulo parietale inferiore che rispondono ad azioni orientate
verso un oggetto e forniscono una rappresentazione dell'intenzione
motoria e non di un'intenzione primaria, sociale. Jeannerod distingue
infatti tra rappresentazioni percettive dello stimolo visivo, che
corrispondono a un'analisi semantica, e rappresentazioni motorie,
ovvero analisi pragmatica, coscienza dello stimolo e risposta in base
agli scopi dell'azione.
In uno studio di Walter e colleghi (2004), al fine di comprendere
44
meglio la natura funzionale della ToM viene proposta una distinzione
tra due classi di stimoli sociali: la prima richiede la comprensione degli
stati mentali di due o più agenti che interagiscono socialmente, mentre
la seconda richiede la comprensione dello stato mentale di un solo
agente non impegnato in una interazione sociale. Questi studiosi
hanno poi condotto uno studio con fMRI per valutare se le aree
prefrontali fossero sempre coinvolte nei processi di mentalizzazione o
esclusivamente nella comprensione delle interazioni sociali. A questo
scopo sono state testate due diverse categorie concettuali: l'intenzione
comunicativa4 (l'intenzione di comunicare un significato e l'intenzione
che tale intenzione venga riconosciuta dal partner) e l'intenzione
privata. I risultati dell'esperimento indicavano che la corteccia
paracingolata anteriore era significativamente attiva durante la
comprensione di intenzioni comunicative ma non nella comprensione
delle intenzioni private. In un secondo esperimento, è stata registrata
un'attività della corteccia paracingolata anteriore anche nella
comprensione di una terza categoria concettuale, le intenzioni sociali
prospettiche (intenzione privata finalizzata però al raggiungimento di
un'interazione sociale).
4 Bara ha proposto una definizione formale dell'intenzione comunicativa:CINTA,B p = INTA SharedA,B (p ^ CINTA,B p)
dove A e B sono i due agenti e A intende comunicare p a B.
45
Parte seconda
2.5 LA SCOPERTA DEI NEURONI SPECCHIO
Il correlato neurale della simulazione della mente nella comprensione
delle azioni prodotte dagli altri è costituito dai “Mirror Neurons”
(Neuroni Specchio), una particolare classe di neuroni visuomotori
premotori scoperti nei primi anni novanta dal gruppo di
neuroscienziati dell’università di Parma, coordinato da Giacomo
Rizzolatti.
I Mirror Neurons (MN) sono stati scoperti indagando un altro tipo
di neuroni con proprietà visuo-motorie presenti in F5, i neuroni
canonici, in situazioni sperimentali in cui la scimmia non era
condizionata a compiti fissi. Le proprietà funzionali che caratterizzano
principalmente i neuroni canonici sono tre:
1. si attivano durante l'esecuzione di specifici atti motori e una
parte di essi rispondono anche a stimoli visivi;
2. rivelano una congruenza tra le proprietà motorie e la loro
selettività visiva;
3. svolgono un ruolo decisivo nel processo di trasformazione
46
dell'informazione visiva relativa a un oggetto negli atti motori
necessari per interagire con esso.
Ciò che invece contraddistingue principalmente i Mirror Neurons è
il fatto che si attivino sia quando un'azione è osservata, sia quando
questa stessa azione viene eseguita. I MN mantengono le stesse
proprietà motorie dei neuroni canonici (si attivano selettivamente
durante specifici atti motori) ma presentano differenti proprietà visive:
la loro attivazione non dipende dalla presentazione di generici oggetti
tridimensionali, né dalla distanza e dalla localizzazione spaziale
dell'atto osservato, ma dall'osservazione di atti in cui avviene una
specifica interazione effettore-oggetto (gesti intransitivi). La maggior
parte di questi neuroni è infatti selettivo a un solo tipo di atto e solo
una piccola percentuale risponde a due o al massimo tre atti motori.
Alcuni esempi di MN in base all'effettivo atto motorio osservato:
● neuroni specchio-afferrare
● neuroni specchio-tenere
● neuroni specchio-manipolare
● neuroni specchio-collocare
● neuroni specchio-interagire con le mani
47
I MN possono essere distinti anche in base al grado di congruenza
tra l'atto motorio codificato e quello osservato in grado di attivarlo: ci
può essere una congruenza in senso stretto quando un'azione osservata
corrisponde esattamente all'azione eseguita altrimenti si parla di
congruenza in senso lato (circa il 70% dei MN nella scimmia) quando gli
atti codificati sono connessi secondo vari gradi di generalità.
I primi MN ad essere scoperti durante registrazioni in situazioni
sperimentali nelle scimmie, erano collocati nella convessità corticale di
F5 (parte rostrale della corteccia ventrale premotrice): si attivavano sia
quando la scimmia eseguiva delle azioni-meta con la mano, come
afferrare un oggetto e sia quando osservava altri individui compiere le
stesse azioni. Studi successivi hanno mostrato che i MN si attivano
anche quando la parte finale dell'azione osservata rimane nascosta:
questo dato ha evidenziato come la codifica non riguarda solo l'evento
e i vari modi in cui questo si presenta ma, a un livello più astratto,
viene codificata la meta intenzionale dell'azione anche se la scimmia
non è in grado di riprodurre l'azione quando questa non rientra nel
suo repertorio motorio (avviene una generalizzazione della meta
dell'azione).
È stato individuato un altro tipo di MN, i Mouth Mirror Neurons.
48
La maggior parte di questi neuroni è associata al sistema combinatorio
osservazione/esecuzione per l'azione della bocca (azioni ingestive),
comprende anche una piccola percentuale di neuroni che sono selettivi
per le azioni facciali comunicative (Neuroni Comunicativi), come lo
schioccare delle labbra (lipsmacking) o la protusione di queste. È stato
ipotizzato che questi atti comunicativi si possano essere evoluti dalla
pratica del grooming, la pulizia e lo spulciamento reciproco delle
scimmie, che rappresenta in questa specie “la modalità principale di
affiliazione e di coesione sociale”, e che costituiscano perciò un
elemento significativo nella comprensione reciproca bi-direzionale, alla
base cioè dell'intersoggettività.
Alcuni esperimenti condotti sulle scimmie hanno messo in
evidenza le diverse aree del lobo frontale dove sono rappresentate,
secondo modalità più o meno dettagliate, le azioni eseguite dagli altri.
Riassumendo le aree coinvolte:
● Area F5 l'area F5c dipende dal contesto ed è attivata solo→
con la visione completa del soggetto agente; l'area F5a
corrisponde a una descrizione più astratta ed è indipendente
dalla presenza dell'oggetto, dalla visione completa del soggetto
agente e da chi compie l'azione;
49
● Area 45b si attiva insieme alle aree 45a e 46; risponde→
all'osservazione dell'azione e all'osservazione di immagini di
oggetti.
2.6 SIMULAZIONE INCARNATA (EMBODIED
SIMULATION) E SISTEMA MULTIPLO DI
CONDIVISIONE (SHARED MANIFOLD)
Per descrivere la funzione dei M.N., Gallese ha introdotto il
concetto di Simulazione Incarnata:
“The notion of simulation is at present employed in many different
domains, often whit different, not necessarily overlapping meanings.
Simulation is a functional process that possesses a certain representational
content, typically focussing on the temporal evolution or on possible states
of its target object. [...] We will use the term “simulation” as the core
element of an automatic, unconscious, and pre-reflexive control functional
mechanism, whose function is the modelling of objects, events, and other
agents to be controlled” (2003).
“Il sistema sensorimotorio appare cruciale per il riconoscimento
delle emozioni altrui…media infatti il processo di ricostruzione di
come ci sentiremmo se fossimo noi a provare quelle stesse emozioni.
50
Riconosciamo così le emozioni degli altri mediante la simulazione
incarnata degli stati corporei ad esse correlati.”
Con la teoria della simulazione incarnata si propone così di
definire la base neuroanatomica dell'interazione sociale e nello
specifico della consonanza intenzionale, offrendo un modello completo
di funzionamento a livello del substrato neurale e delle
interconnessioni fra aree diverse, poggiando su considerazioni di
carattere teorico neuroscientifico e filosofico. Infatti sia Gallese che
Rizzolatti fanno spesso riferimento alla prospettiva teorica
fenomenologica, in particolare alle riflessioni di Husserl e più in
generale alla Fenomenologia della Percezione di Merleau-Ponty, secondo
cui la dimensione pragmatica dell'esperienza fornisce “un modo di
accedere [...] all'oggetto [...] originale”5 senza una mediazione riflessiva,
concettuale o linguistica, ma “si tratta di una co-costruzione del
rapporto intersoggettivo attraverso la corporeità vivente” .
Citando Rizzolatti: “L'atto dell'osservatore è un atto potenziale,
causato dall'attivazione dei neuroni specchio in grado di codificare
l'informazione sensoriale in termini motori e di rendere così possibile
quella reciprocità di atti e di intenzioni che è alla base dell'immediato
5«La comunicazione o la comprensione dei gesti avviene attraverso la reciprocità delle mie intenzioni e dei gesti degli altri, dei miei gesti e delle mie intenzioni comprensibili nel contesto di altre persone. È come se l’intenzione dell’altro abitasse nel mio corpo e la mia nel suo». (Merleau-Ponty M., 1945)[m]
51
riconoscimento da parte nostra del significato dei gesti degli altri. La
comprensione delle intenzioni altrui non ha qui nulla di teorico, bensì
poggia sull'automatica selezione di quelle strategie d'azione che in base
al nostro patrimonio motorio risultano di volta in volta più
compatibili con lo scenario osservato.”
I neuroni di F4 sembrano fornire le basi empiriche della natura
motoria della codifica spaziale basata sulla simulazione incarnata.
Gallese (Gallese, 2007) confronta due possibili tipi di codifica di questi
neuroni: una codifica spaziale “visiva” basata su un sistema geometrico
cartesiano centrato su un punto e una codifica in cui il neurone riflette
l'azione potenziale simulata creando uno spazio motorio congruente
alla posizione spaziale dello stimolo visivo, mappandolo quindi in
termini motori. L'ipotesi della codifica visiva è supportata sia dallo
stretto legame temporale tra la presentazione dello stimolo e l'inizio
della scarica neurale, che dalla costanza di risposta e dalla presenza di
ciò che sembra essere un campo recettivo visivo. Ciò nonostante,
l'ipotesi dello spazio motorio sembra essere ancor più convincente dal
momento che è stato dimostrato (Fogassi et al., 1996) che la mappatura
spaziale non è tradotta in modo statico (si mantengono le medesime
distanze reali nell'organizzazione del campo recettivo) ma in realtà
52
segue proprietà dinamiche (varia in funzione dell'andamento temporale
relativo alla locazione spaziale dell'oggetto). L'estensione, quindi, del
campo recettivo dei neuroni di F4 aumenta con la velocità con cui uno
stimolo si avvicina.
L'azione risulta essere un elemento indispensabile nel processo di
consapevolezza spaziale (spatial awareness) perché il meccanismo della
simulazione incarnata permette di integrare le diverse modalità
sensoriali all'interno del circuito F4-VIP: la visione di un oggetto in
una determinata posizione spaziale o la percezione di un suono
proveniente da questo, innescano automaticamente un piano motorio
per una specifica azione diretta verso l'oggetto.
Recentemente è stato anche ipotizzato che la simulazione incarnata
possa essere il correlato funzionale dell'empatia e quindi uno
strumento utile per indagare i disturbi tipici dell'autismo e per una
nuova concettualizzazione di questo disturbo non più come
conseguenza del difetto di un ipotetico modulo ToM (vedi pag...) ma
come un malfunzionamento delle consonanza intenzionale.
La simulazione incarnata è alla base anche di un altro concetto
introdotto da Gallese per spiegare le dinamiche di uno spazio
intersoggettivo di senso condiviso, il Sistema Multiplo di Condivisione.
53
Questo meccanismo ci permette di comprendere il comportamento
altrui, il lato emozionale e di imitare un'altra persona,
caratterizzandosi come una relazione d'identità sé-altro trasversale a
ogni genere di relazione interpersonale: imitazione, empatia e
mentalismo, seppur differenti, dipenderebbero infatti da un medesimo
spazio intersoggettivo. Gallese propone una spiegazione del Sistema
Multiplo di Condivisione definita a tre livelli:
1. Livello Fenomenologico: è un livello empatico,
caratterizzato dalla condivisione delle azioni eseguite e delle
emozioni e sensazioni esperite da altri.
2. Livello Funzionale: permette di creare modelli del sé-altro
secondo la modalità “come-se” di interazione; le azioni proprie e
altrui esprimono entrambe dei modelli d'interazione basati su
medesimi nodi funzionali relazionali che identificano coerenza,
predicibilità e regolarità.
3. Livello Sub-personale: è il correlato neurale del Sistema
Multiplo di Condivisione ed è costituito da una serie di circuiti
mirror.
54
Fig.2.2 Raffigurazione delle aree principali del sistema Mirror.
55
2.7 Sistema Specchio nell'uomo
Il sistema dei M.N. è stato osservato e studiato sperimentalmente
anche nell'uomo per mezzo di metodiche non invasive come la
magnetoencefalografia (MEG), la stimolazione magnetica transcranica
(TMS) (con la quale si può registrare i potenziali motori evocati, MEP)
e tecniche di brain imaging come la tomografia a emissione di positroni
(PET) e la risonanza magnetica funzionale per immagini (fMRI) che
permettono di avere una maggiore risoluzione spaziale.
Il sistema Mirror è risultato essere più esteso nell'uomo che nella
scimmia e presenta alcune differenze di carattere funzionale.
In uno studio di Fadiga e colleghi (1995) sono stati registrati i MEP
stimolando la corteccia motoria sinistra durante l'osservazione di atti
transitivi (azioni finalizzate) e intransitivi (senza oggetto e scopo): i
risultati ottenuti evidenziavano che, a differenza dei MN nella
scimmia, i MN nell'uomo si attivavano in entrambi i tipi di atti,
indipendentemente dalla presenza o meno di uno scopo e/o di un
oggetto.
È possibile riassumere in quattro punti le principali differenze tra
sistema Mirror nell'uomo e nella scimmia:
56
1. differentemente dai primati, nell'uomo i MN possono
codificare sia atti motori transitivi che intransitivi;
2. i MN nell'uomo possono distinguere sia il tipo di atto, sia la
sequenza dei movimenti che lo compongono; il sistema dei MN
presenta pattern di attivazione diversi per uno stesso atto a
seconda della concatenazione di azioni in cui di volta in volta è
inserito;
3. i MN rispondono non solo quando avviene una reale
interazione con gli oggetti ma anche quando questa azione viene
semplicemente mimata;
4. i MN nell'uomo sono in grado di codificare sia lo scopo
dell'atto motorio che gli aspetti temporali dei singoli movimenti
che lo compongono.
Le aree F5 e 45 del lobo frontale che si attivano nel cervello della
scimmia durante l'osservazione di azioni, descritte nel precedente
paragrafo, sembrano avere una corrispondenza con le aree 44 (area di
Broca) e 45 del cervello dell'uomo, importanti nel linguaggio. Questo
fa supporre che il duplice controllo di queste aree sulle azioni ingestive
e sul comportamento espressivo-comprensivo nelle scimmie, sia alla
base dello sviluppo evolutivo della comunicazione verbale:
57
l'interindividualità potrebbe essersi evoluta da una combinazione di
modalità diverse (gesti facciali, brachiomanuali e vocali) dovuta alla
sovrapposizione delle diverse rappresentazioni motorie nell'area F5.
Secondo Mac Nelage la continua alternanza di apertura e chiusura
della bocca nel linguaggio umano deriverebbe appunto dal ciclo
mandibolare tipico della masticazione e dell'ingestione del cibo.
Da un esperimento di Buccino e colleghi (2001), condotto con
fMRI, è emerso che il sistema dei MN, pur mantenendo un notevole
grado di sovrapposizione, presenta un'organizzazione somatotopica
per cui le azioni compiute con la mano, con la bocca e col piede
attivano siti corticali dedicati; è emerso inoltre che l'attivazione
dell'area di Broca riflette il caratteristico comportamento dei MN in
quanto detiene proprietà motorie slegate dalle funzioni verbali.
Alcuni esperimenti di TMS hanno messo in evidenza lo stretto
legame tra linguaggio e sistema motorio: ad esempio, l'eccitabilità
relativa alla rappresentazione motoria della mano destra (e non
dell'intera area motoria destra comprendente la gamba) aumenta
durante la lettura o il parlare, con molta probabilità a causa della
coattivazione di quest'area motoria e del circuito del linguaggio. Dagli
studi di Gentilucci (2003) si è visto anche che i gesti manuali (es: ampi
58
movimenti della mano) sono intimamente connessi con gli atti
orolaringei (es: ampi movimenti della bocca) e che condividono una
comune organizzazione neurale.
La scoperta dei neuroni specchio ha comportato una
trasformazione concettuale del sistema motorio: alle aree motorie non
viene più attribuito semplicemente un ruolo esecutivo passivo ma sono
considerate adesso parte integrante di un sistema più complesso e
specifico per le funzioni sociali. Le connessioni fra la corteccia frontale
agranulare e la corteccia parietale posteriore (un tempo considerata
ricevere solamente afferenze sensoriali) formano dei circuiti
intracorticali specializzati che lavorano in parallelo e integrano
informazioni sensoriali e motorie riguardo specifici effettori. Il sistema
motorio non è quindi ritenuto periferico ma può rappresentare il
substrato neurale primario non solo per l'organizzazione dei piani
motori ma anche per processi più complessi come la percezione, il
riconoscimento e l'imitazione delle azioni compiute dagli altri.
59
2.8 MECCANISMI DELL'INTENZIONALITÀ CONDIVISA
In un esperimento di Marco Iacoboni e colleghi (Iacoboni et al.,
2005), condotto con la tecnica fMRI, sono state studiate le aree coinvol-
te nella comprensione dell'intenzione confrontando tre diverse condi-
zioni:
1. contesto (i soggetti osservavano un tavolo come appare prima e
dopo la colazione)
2. azione (veniva mostrata una mano che afferrava una tazza con
presa di forza o con presa di precisione, in assenza di contesto)
3. intenzione (i due tipi di presa apparivano nell'ambito del contesto
“prima del tè” e “dopo il tè” come se indicassero rispettivamente
l'azione di “prendere la tazza per bere” e quella di “prendere la tazza
per rimetterla a posto”).
È emerso che nella condizione intenzione si attivava la porzione
dorsale del settore posteriore del giro frontale inferiore (al centro del
sistema specchio frontale) in misura maggiore rispetto alle altre due
condizioni sperimentali, il che suggeriva che ci fosse una codifica
dell'intenzione in aggiunta alla codifica dell'atto osservato, come
60
anticipazione dei possibili atti motori consecutivi. Nell'area frontale
inferiore destra invece c'era una significativa differenza di attivazione
tra l'osservazione del “portare alla bocca per bere” e quella di “prendere
la tazza per rimetterla a posto”: probabilmente il gesto di afferrare la
tazza per portarla alla bocca aveva un'attivazione maggiore perché
rappresentava una strategia motoria che corrispondeva meglio al
nostro vocabolario di atti. Come descritto precedentemente (pag....)
Jacob e Janneraud hanno proposto che il sistema mirror possa rilevare
solamente le intenzioni motorie e non sia sufficiente a comprendere le
intenzioni sociali: un diverso sistema, definito ”sistema di percezione
sociale” (social perception system), sarebbe reclutato per rilevare questo
genere di intenzioni, come per esempio quelle relative al
comportamento di un conspecifico. Una risposta a questa critica viene
da un articolo di Pierno, Ansuini e Castiello (2007), dove viene
sostenuto un approccio maggiormente unificato alla comprensione
dell'azione sociale: una distinzione meno netta tra intenzioni motorie e
sociali, dato che le prime si rivelano spesso importanti per la sfera
sociale (per es. la comunicazione attraverso lo sguardo). Altri
argomentazioni a favore di questa tesi provengono da evidenze di
carattere neurofisiologico, neuropsicologico e di neuroimaging. È stato
61
dimostrato che i neuroni dell'area STS rispondono selettivamente sia ai
movimenti delle mani che alla direzione dello sguardo, quindi
complessivamente alla direzione dell'attenzione verso gli oggetti.
Keysers e Perrett (2004) da studi sui primati hanno descritto un
network neurale definito “sistema di osservazione dell'azione” (action
observation system) deputato all'analisi e alla comprensione delle azioni
altrui: questo circuito comprende tre aree principali, la corteccia
premotoria (F5), il lobulo parietale inferiore (PF) e il STS che proietta
a sua volta all'amigdala e alla corteccia orbitofrontale. Si tratterebbe in
sintesi di un sistema capace di imparare a distinguere tra le proprie e le
altrui azioni.
2.9 EMPATIA, COMPRENSIONE E CONDIVISIONE
DELLE EMOZIONI
Così come nel riconoscimento delle azioni, anche la nostra
capacità di cogliere le reazioni emotive degli altri è correlata a un
determinato insieme di aree caratterizzate da proprietà specchio. Il
sistema sensori-motorio, inoltre sembra essere particolarmente
importante per il riconoscimento delle emozioni altrui, permettendo di
ricostruire un particolare stato emotivo, simulandone lo stato
62
corporeo. Studi recenti hanno mostrato come dietro alla sensazione di
disgusto, sia provata soggettivamente che riconosciuta dalla mimica
facciale di un'altra persona, vi sia il sistema dei neuroni specchio in una
particolare zona del lobo frontale, l'insula anteriore. Questa regione è
fortemente connessa con i centri dell'olfatto e del gusto (esterocezione
chimica), con la regione ventrale della parte anteriore del STS (contiene
neuroni che rispondono alla vista delle facce) e riceve, attraverso il
midollo spinale e il talamo, segnali relativi agli stati interni del corpo.
La stimolazione elettrica di questa regione, sia nella scimmia che
nell'uomo, provoca delle reazioni viscero-motorie (nausea, vomito,
aumento del battito cardiaco, dilatazione delle pupille). Sia negli studi
di Phillips e colleghi (1997) che in quelli di Krolak-Salmon e colleghi
(2003) è emerso che la regione anteriore dell'insula si attiva alla vista di
espressioni facciali di disgusto: è perciò plausibile pensare che anche per
le emozioni ci sia un meccanismo neurale condiviso dall'osservatore e
dall'osservato e che questo comporti una comprensione esperienziale
diretta simile al meccanismo simulativo della “Risonanza non mediata”
proposto da Goldman e Sripada (2005).
È stato dimostrato che il sistema sensori-motorio è intimamente
legato anche alla percezione del dolore. Nella complicata rete neurale
63
definita “matrice del dolore” sono rappresentati diversi aspetti
dell'esperienza dolorosa: le componenti emozionali sono codificate dal
nodo affettivo di questa rete, mentre le componenti sensoriali dal nodo
sensori-motorio.
È stato descritto il caso di un paziente con una particolare forma di
allodinia (gli stimoli tattili non nocivi vengono percepiti come
dolorosi): il soggetto sembrava provare le stesse esperienze dolorose
osservate nella moglie ma questo non avveniva se l'esperienza gli
veniva raccontata.
In uno studio di Hutchinson e colleghi (1999) è stato osservato,
tramite dei microelettrodi, l'attività di un neurone in un paziente
neurochirurgico. Questo neurone rispondeva selettivamente
all'anticipazione, alla somministrazione di stimoli dolorosi e anche
all'osservazione del medesimo stimolo applicato sullo sperimentatore.
In un recente studio di Avenanti e colleghi (A2005) sono state
esplorate, mediante la TMS, le rappresentazioni cortico-spinali di
soggetti che osservavano un evento doloroso. È stata osservata una
forte riduzione dell’eccitabilità dei sistemi motori cortico-spinali in
associazione con diversi tipi di stimolazione nocicettiva. Si trattava
però di un'inibizione legata solamente agli aspetti sensoriali e non a
64
quelli affettivi del dolore. Questi risultati dimostrano che l'empatia per
il dolore non è esclusivamente basata su rappresentazioni affettive ed
emozionali ma anche su rappresentazioni somatiche, suggerendo che,
oltre a una forma più complessa di empatia legata alla risonanza
affettiva, può esserci anche una forma di empatia fondata sulla
risonanza somatica, che coinvolge a sua volta una rappresentazione
degli stimoli esterni sul corpo stesso.
2.10 NEURONI SPECCHIO E PSICOPATOLOGIE
Considerando la consonanza intenzionale come uno dei
meccanismi principali dell'intersoggettività e la sua integrità come
requisito fondamentale di un normale sviluppo della capacità di
interagire socialmente, è possibile avanzare ipotesi circa le cause di
alcune patologie che riguardano l'intelligenza sociale.
Nel Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) il bambino già a un
anno di vita dimostra di avere scarse o addirittura assenti capacità
cognitive indispensabili nello stabilire dei legami con gli altri: non
riesce a orientarsi in base alle indicazioni fornitegli dagli altri, né a
condividere l'attenzione o a riconoscere le emozioni nei visi umani. È
probabile che all'origine di tutto ciò vi sia una disfunzione dei MN
65
(danni funzionali o di connessioni fra sistemi mirror) dalla quale
deriverebbe un alterato funzionamento del meccanismo della
simulazione incarnata e un conseguente deficit della consonanza
intenzionale. Nel sostenere questa ipotesi Gallese si avvale di alcuni
dati sperimentali. È stato osservato che negli aggiustamenti posturali i
bambini autistici utilizzano strategie motorie basate principalmente su
informazioni a feedback piuttosto che a feedforward (strategie
anticipatorie), mostrando un chiaro deficit di simulazione all'interno
del dominio del controllo motorio esecutivo.
I deficit di imitazione sembrano dovuti all'incapacità di stabilire
un'equivalenza motoria tra sé stessi e la persona da imitare. In uno
studio di Dapretto (Dapretto et al., 2006) durante l'osservazione e
l'imitazione delle espressioni facciali emotive in soggetti autistici HF
non sono state rilevate, con fMRI, attivazioni del sistema mirror nella
pars opercularis del giro frontale inferiore (area 44 di Broadmann): il
sistema mirror premotorio rimane ipoattivo insieme all'amigdala,
all'insula e alla corteccia orbitofrontale e il riconoscimento mimico
avviene attraverso l'iperattivazione delle aree visive (la disattivazione
dei circuiti mirror è proporzionale al grado di autisticità).
Da altri studi è emerso inoltre che nei soggetti autistici, rispetto ai
66
controlli, i muscoli della mimica facciale non si attivano
automaticamente alla vista di espressioni facciali emotive di base.
Un altra importante conferma di un deficit del sistema Mirror nei
soggetti autistici viene da un lavoro di Ramachandran e Oberman
(2006). In questo studio è stata misurata l'attività EEG di un bambino
autistico high-functioning durante l'azione di aprire e chiudere la mano
e durante l'osservazione di un video della stessa azione. È emerso che
l'onda Mu durante la fase di osservazione, a differenza della fase del
movimento volontario, non presentava desincronizzazione, non
avveniva cioè il classico blocco di questa onda come avviene nei
soggetti normali. L'esperimento è stato poi ripetuto con successo su un
campione di 10 individui con autismo high-functioning, paragonabili
per età e sesso.
Uno studio recente di Hadjikhani e colleghi (2007) è stata
confrontata l'attivazione cerebrale (con tecnica fMRI T3) del network
neurale per l'elaborazione delle facce tra soggetti ASD e soggetti di
controllo. I dati ottenuti hanno rivelato che il cervello dei soggetti
autistici presentava delle alterazioni strutturali soprattutto nelle regioni
del sistema mirror (IFC, STS). Inoltre è emersa una correlazione tra la
compromissione della competenza sociale (misurata col Autism
67
Diagnostic Observation Schedule) e lo spessore (grado di
assottigliamento) dell'area IFC di destra e con l'attivazione funzionale
di quest'area. Questi risultati dimostrano che le aree appartenenti al
sistema mirror sono coinvolte nel deficit di elaborazione delle facce,
tipico dei soggetti ASD.
Nel caso dei disturbi psicotici, la possibilità di descriverne la natura come una
rottura dell'identità sociale intersoggettiva, legata appunto al concetto di
condivisione multipla dell'intersoggettività, appare molto vicina all'ipotesi della
sintonizzazione difettosa derivata dalla psichiatria fenomenologica: questo
difetto di sintonizzazione potrebbe essere causato da un malfunzionamento del
processo di simulazione multi-livello descritto dal sistema multiplo di
condivisione, per cui all'origine del disturbo potrebbe esserci l'impossibilità di
stabilire con gli altri dei legami interpersonali pre-cognitivi e non-inferenziali.
68
Fig 2.3 Hadjikhani et al., 2006.
69
70
Capitolo terzo
BASI ANATOMO-FISIOLOGICHE
DELL'INTERSOGGETTIVITA'
71
3.1 INTRODUZIONE
La capacità di inferire stati mentali di altri individui, come suggerito da
Brothers, si è sviluppata probabilmente nei primati in funzione della
pressione selettiva dovuta all'ambiente sociale e da meno sofisticate
capacità cognitive come la detezione del movimento biologico e da
comportamenti di imitazione fino ad arrivare a forme qualitativamente
più avanzate come il riconoscimento delle espressioni emotive e delle
intenzioni delle azioni. A livello anatomico questa evoluzione ha
richiesto un'espansione di strutture come i lobi frontali e parietali per
affinare il controllo motorio e il controllo delle relazioni sociali.
La capacità di leggere nelle mente si sviluppa nel bambino non prima
dei 3 - 4 anni. Come dimostrano i risultati ai test delle false belief, l'età
di comparsa di tale capacità coincide con il processo di mielinizzazione
e di maturazione dei lobi frontali. Questi dati hanno portato vari
ricercatori e filosofi della mente a supporre che a questa età si attivi
innatamente nel bambino un modulo ToM dedicato, secondo la
concezione fodoriana, cioè un modulo specifico, automatico,
incapsulato e funzionalmente indipendente (o semi-indipendente) dalle
altre capacità intellettive dell'individuo. Questo tuttavia non esclude
che il contesto sociale in cui il bambino cresce non influenzi lo
72
sviluppo di queste capacità derivate da una predisposizione innata. Al
contrario, un ambiente sociale sfavorevole e povero di input
(interazioni sociali) potrebbe ostacolare il normale sviluppo della ToM.
Sono stati proposti vari modelli di circuiti neuroanatomici
corrispondenti a questo modulo della ToM, modelli che generalmente
prevedono collegamenti fra le strutture posteriori del cervello (solco
temporale superiore), quelle anteriori (porzione ventromediale della
corteccia prefrontale) e il sistema limbico e paralimbico (corteccia
orbitofrontale e amigdala).
Brothers (1990) nella sua ipotesi di “cervello sociale” ha proposto
un insieme circoscritto di regioni cerebrali dedicate alla cognizione
sociale, basato su tre distinte aree, la corteccia orbitofrontale, il solco
temporale superiore e l'amigdala: la rottura di un qualsiasi punto del
circuito provocherebbe un deficit significativo delle abilità della ToM.
Questa ipotesi poggia su studi condotti sui primati: le scimmie sulle
quali venivano praticate lesioni nell'amigdala tendevano a isolarsi
socialmente (Kling & Brothers, 1992), mentre le lesioni alla corteccia
orbitofrontale portavano ad alterazioni del comportamento sociale
(Raleigh & Steklis, 1981). È stato visto anche che i neuroni del solco
temporale superiore rispondono all'espressione facciale e alla direzione
73
dello sguardo (Perrett et al., 1992). Studi più recenti hanno permesso di
estendere l'insieme di queste aree alla corteccia prefrontale mediale e
alla corteccia paracingolata adiacente (Amodio & Frith, 2006).
Fig. 3.1 Principali aree coinvolte nella ToM.
74
3.2 Modello di Abu-Akel: circuito funzionale sotteso alla
rappresentazione e all'attribuzione dei propri e degli altrui stati
mentali
Nel panorama delle popolazioni psichiatriche e dei pazienti con
lesioni cerebrali, sono state osservate varie forme di deficit riguardanti
la sfera della cognizione sociale, ognuna delle quali consiste in una
compromissione di abilità mentali come la rappresentazione di uno
stato mentale o l'applicazione di questa nel contesto socio-relazionale.
Patologie come autismo e schizofrenia sono state spesso considerate
come elementi diametralmente opposti lungo un continuum
sintomatologico.
Fig.3.2 Continuum sintomatologico tra Autismo e Schizofrenia nel contesto delle rappresentazioni di stati mentali.
75
AutismoDeficit nella
comprensionerappresentazionale\
concettuale degli stati mentali
Sindrome di Asperger e Schizofrenia
con sintominegativi
Comprensionerappresentazionale degli stati mentali
con inabilità di applicazione
Schizofrenia paranoide e maniacale
Comprensionerappresentazionale degli stati mentali
con errata applicazione \attribuzione
Schizofrenia con esperienze di passività
Comprensionerappresentazionale
intatta degli stati mentali altruima non dei propri
In ognuna di queste sintomatologie è presente una particolare
forma di alterazione delle capacità metacognitive. Lo scopo è stato
anche quello di indagare quali fossero le aree che presentavano
anormalità funzionali e anatomiche nei singoli disturbi.
Abu-Akel (2003), sulla base di una revisione di un vasto numero
di studi clinici, bio-comportamentali e neuroanatomici, ha proposto tre
differenti gruppi di aree coinvolte nella rappresentazione degli stati
mentali:
● sistema parietale posteriore destro, precisamente il lobulo
parietale inferiore (IPL) → rappresentazione dei propri stati
mentali
● solco temporale superiore (STS) → rappresentazione degli
stati mentali altrui
● amigdala, giro cingolato anteriore (ACG), corteccia
orbitofrontale (OFC), corteccia prefrontale ventro-mediale e
dorso-mediale (VMPFC e DMPFC) e corteccia frontale infero-
laterale (ILFC) → rappresentazione dei propri e degli altrui
stati mentali
76
Fig. 3.3 Modello di Abu-Akel.
77
L'integrazione di queste aree permette di distinguere tre
componenti principali:
● regioni posteriori (IPL, STS) → componente
rappresentazionale
● regioni limbiche-paralimbiche (amigdala, OFC, VMPFC
e ACG) → componente emozionale
● regioni prefrontali (DMPFC e ILFC) → componente
esecutiva/applicativa
Fig.3.4 Schema delle connessioni neuroanatomiche nel processo di rappresentazione degli stati mentali propri e altrui: lobulo parietale inferiore (IPL), solco temporale superiore (STS), amigdala, corteccia orbitofrontale (OFC), corteccia prefrontale ventro-mediale (VMPFC), corteccia cingolata anteriore (ACG), corteccia prefrontale dorso-mediale (DMPFC), corteccia frontale infero-laterale (ILFC).
78
IPL
STS
AMIGDALAOFC
VMPFCACG
DMPFCILFC
SELF
OTHER
SELF &
OTHER
SELF &
OTHER
Le connessioni tra queste regioni suggeriscono che questa rete
sia controllata da processi feedback (dalle strutture limbiche e
paralimbiche alle regioni pre e post-rolandiche) e feedforward (dalle
strutture posteriori verso quelle anteriori attraverso le aree limbiche e
paralimbiche). Le reciproche interconnessioni tra sistema limbico e
paralimbico e sistema neurocorticale dimostrano come emozione e
cognizione interagiscano e si influenzino a vicenda, come già aveva
sottolineato Le Doux (1995) e Damasio (2003) con il concetto dei
“marcatori somatici”. L'integrazione delle rappresentazioni emotive
con quelle motivazionali permette in questo modo una valutazione
delle conseguenze comportamentali riferita alla situazione sociale in cui
si trova l'individuo. L'area in cui si svolge l'integrazione sembra essere
il complesso OFC/VMPFC in cui convergono i dati sensoriali di tutte
le modalità e dove l'informazione viene elaborata per poi essere inviata
alle varie regioni della corteccia prefrontale, necessarie per l'esecuzione
e l'applicazione degli stati mentali. L'ultima fase di questo processo
avviene in ILFC: quest'area contiene un circuito di neuroni specchio
che permette il confronto tra i propri e gli altrui stati mentali. Questo
confronto comporta delle implicazioni teoriche: l'approccio
simulazionista pone come prerequisito della “lettura della mente” la
79
capacità introspettiva e inoltre comporta che questa funzione
metacognitiva dipenda non solo dal calarsi nei panni dell'altro ma
anche dall'identificazione nell'altro.
Le caratteristiche funzionali dei neuroni specchio fanno di questi i
candidati migliori per svolgere questo compito anche se, come fa
notare Abu-Akel, sorgono due problemi: i neuroni specchio non
indicano esplicitamente se un atto è auto-generato o è prodotto da un
altro agente; in secondo luogo, il loro funzionamento, descritto
minuziosamente da Rizzolatti e Gallese, non sembra comportare la
possibilità di un deficit specifico nella comprensione dei propri atti
mentali senza che sia compromessa la capacità di comprendere gli altri
(nonostante sia evidente questo tipo di dissociazione nella schizofrenia
con esperienze di passività).
3.2.1 Regioni cerebrali specifiche per la rappresentazione dei
propri stati mentali
Prove che l'area IPL destra sia responsabile della rappresentazione
dei propri stati mentali, vengono da numerosi studi. Vogeley e colleghi
(2001) osservarono una significativa attivazione delle regioni
tempoparietali destre in compiti che richiedevano la rappresentazione
80
del sé ma non quando era richiesto di inferire stati mentali altrui. In
uno studio con la PET, (Spence et al., 1997) rilevarono un'anormale
iperattivazione nella regione IPL destra durante l'esecuzione di
movimenti volontari in pazienti schizofrenici. Infine, anche Iacoboni e
colleghi (Iacoboni et al., 1999) hanno riportato l'attivazione
dell'opercolo parietale destro durante l'esecuzione di atti (imitazione di
specifici movimenti delle dita) ma non durante l'osservazione degli
stessi movimenti eseguiti da un altro individuo. Gli autori hanno
commentato questa attivazione come il coinvolgimento dell'area IPL
nella preservazione dell'identità corporea durante l'imitazione, cioè la
consapevolezza che “è il mio corpo che si sta muovendo”.
3.2.2 Regioni cerebrali specifiche per la rappresentazione
degli altrui stati mentali
Numerosi studi sui primati e sull'uomo suggeriscono che il STS sia
specializzato in questo genere di compito: per esempio è stato visto
nelle scimmie che le cellule di quest'area rispondono selettivamente ai
suoni e ai movimenti della faccia e delle mani generati dagli altri
individui ma non a quelli propri.
Jellema e colleghi (2000) hanno individuato due distinte popolazioni di
81
cellule nel STS del macaco, una delle quali è responsabile della
detezione dell'attenzione degli altri e un'altra è responsabile della
detezione dei movimenti degli altri. Secondo questi autori, l'effetto
combinato di queste funzioni permette la detezione dell'azione
intenzionale nell'altro. Sono stati ottenuti dei risultati simili negli studi
sull'uomo.
Puce e colleghi (1998) hanno riportato che la parte posteriore del STS è
coinvolta nelle percezione dello sguardo e dei movimenti della bocca e
che quindi potrebbe essere funzionalmente collegata all'adiacente
regione temporale superiore che sembra essere coinvolta nella
percezione dei movimenti della mano e del corpo negli altri. In più, il
STS risponde selettivamente all'osservazione dell'azioni finalizzate,
come i movimenti intenzionali diretti verso degli oggetti.
Complessivamente, queste abilità sono importanti specialmente per
inferire stati mentali negli altri e più in generale nelle interazioni
sociali: la rappresentazione delle azioni e dei loro obiettivi (come l'eye-
gaze che è utilizzato nel controllo del turno nel dialogo ed è coinvolto
nel reciproco orientamento e nell'attenzione condivisa) sono
prerequisiti per lo sviluppo della mentalizzazione sia da un punto di
vista filogenetico che ontogenetico.
82
3.2.3 Regioni cerebrali comuni alla rappresentazione degli
stati mentali propri e altrui
Le regioni implicate in entrambi i tipi di rappresentazione
sembrano includere le seguenti aree: amigdala, giro cingolato anteriore
(ACG), corteccia orbitofrontale (OFC), corteccia prefrontale ventrale
e dorso-mediale (VMPFC e DMPFC) e corteccia frontale infero-laterale
(ILFC). È possibile classificare queste regioni in due gruppi principali:
il primo comprende strutture del sistema limbico-paralimbico
(amigdala, OFC, VMPFC ventrale e ACG), mentre il secondo gruppo
comprende strutture nella corteccia prefrontale (DMPFC e ILFC).
Kling e Brothers (1992) hanno mostrato che la rimozione
bilaterale dell'amigdala produce una grave perdita del comportamento
sociale e affettivo nelle scimmie. Allman e Brothers (Allman e
Brothers, 1994) hanno mostrato che nell'uomo l'amigdala è sensibile
alla direzione dello sguardo e all'espressione delle emozioni nelle facce.
In uno studio con la tomografia computerizzata a emissione di un
singolo positrone (SPECT), Baron-Cohen e colleghi (1994) hanno
rilevato l'attivazione della OFC destra durante il riconoscimento di
termini riguardanti stati mentali, mentre Stone e colleghi (1998) hanno
83
trovato che i pazienti con lesione bilaterale in OFC hanno una
performance peggiore nel raccontare storie, compito che richiede una
comprensione del comportamento sociale appropriato (faux pas) e
dell'effetto del comportamento sugli stati mentali degli altri.
Riguardo all'area VMPFC, Stuss e collaboratori (2000) hanno
visto che lesioni sia alla parte destra che sinistra (sebbene più in quella
destra) comportano un deficit nelle abilità della ToM e in particolare
nella capacità di inferire stati mentali. Infatti, Ohnishi e collaboratori
(2000) hanno osservato delle anormalità metaboliche nel VMPCF nei
bambini autistici. Il coinvolgimento di queste strutture
nell'attribuzione degli stati mentali a sé stessi rimane ancora poco
chiaro, anche se Gusnard e Raichle (2001)) hanno mostrato
un'attivazione durante un compito di giudizio autoreferenziale .
Sono molte le evidenze (studi PET e fMRI su pazienti autistici e
pazienti schizofrenici) che associano anche l'area ACG alla
rappresentazione di entrambi i tipi di stati mentali.
Circa le aree del secondo gruppo, Happé e collaboratori (1996)
utilizzando il disegno sperimentale di Fletcher et al. (misurazione
dell'attività corticale durante la presentazione di una narrazione
contenente riferimenti a stati mentali, confrontata con una narrazione
84
senza riferimenti), hanno trovato un'attivazione nella corteccia
cingolata e nell'area 9 di Broadmann (la DMPFC sinistra corrisponde
alle aree 8 e 9 di Broadmann) sia in pazienti con sindrome di Asperger
che in soggetti di controllo, sebbene nei primi l'attivazione fosse
minore. Infine, Russell e collaboratori (2000) hanno mostrato che
durante un compito di attribuzione mentale, i pazienti schizofrenici,
rispetto al gruppo di controllo, avevano una minore attivazione nella
corteccia frontale inferiore sinistra. In più, anche in ILFC è stata
accertata la presenza dei neuroni specchio.
Nei paragrafi successivi sono prese in esame quattro specifiche
aree cerebrali, lobo frontale, amigdala, solco temporale superiore e
giunzione temporo-parietale e i relativi ruoli nel processo di mind-
reading.
85
3.3 LOBO FRONTALE
“Il lobo frontale occupa la porzione rostrale di ciascun emisfero e
mostra tre superfici, «laterale», «mesiale» e «orbitaria», delimitate ri-
spettivamente dalla scissura centrale di Rolando, dal solco del cingolo e
dal solco dell'insula. [...] Le connessioni della corteccia frontale, in par-
ticolare di quella prefrontale, sono tali da porla in condizione di riceve-
re informazioni di qualunque genere dall'ambiente sia esterno che in-
terno all'organismo e di controllare qualunque altra funzione”.
(Il lobo frontale, Parte VII Disturbi dell'attenzione, Manuale di
Neuropsicologia, a cura di G. Denes e L. Pizzamiglio, 2000, Zanichelli)
Le regioni frontali coprono circa 1/3 dell'intera corteccia cerebrale,
sono estremamente ricche di connessioni afferenti ed efferenti e costi-
tuiscono l'area maggiormente sviluppata rispetto agli altri primati,
nonché una delle strutture filogeneticamente più recenti. Hanno la fun-
zione di integrare una serie di informazioni percettive complesse pro-
venienti dalle cortecce sensoriali e motorie e dalle cortecce associative
parietali e temporali. Sono anche coinvolte in svariate funzioni inibito-
rie. Questo sofisticato sistema di connessioni consente la corretta piani-
ficazione ed esecuzione del comportamento, consente cioè al sé di en-
trare in relazione col mondo.
86
Fig. 3.5 Rappresentazione laterale, mesiale e orbitaria del cervello raffigurante le aree motorie, premotorie prefrontali e limbici
87
Esistono quattro aree funzionalmente distinte nei lobi frontali:
● Area frontale mediale: è importante nell'arousal e nella
motivazione e sembra far parte di un sistema di controllo che si
attiva ogni qualvolta è rilevato un conflitto tra risultato atteso e
quello stimato di un movimento. Pazienti con estese lesioni nel
lobo frontale mediale presentano spesso abulia, apatia, deficit di
attenzione e lentezza a rispondere. Fletcher et al. hanno trovato
un’attivazione nell’area frontale mediale di sinistra
(specificamente dell’area 8 di Brodmann) quando i soggetti
dovevano considerare i pensieri ed i sentimenti dei personaggi
protagonisti di alcune storie. Le lesioni del lobo frontale
mediale, in particolare nella parte ventrale di destra, sono invece
associate all’incapacità di riconoscere ed utilizzare l’inganno.
● Area frontale laterale: l'area frontale inferolaterale (corrisponde
all'area di Broca) è specializzata nella funzione dell'espressione
linguistica e, se lesionata, può causare afasia; la parte dorsolatera-
le del lobo frontale partecipa all'elaborazione in tempo reale e
alla ritenzione di informazioni acquisite recentemente (memoria
di lavoro).
● Area orbito-frontale: aiuta a modulare il comportamento sociale;
88
pazienti con lesioni in quest'area mostrano labilità emotiva e in-
differenza riguardo a implicazioni e conseguenze delle proprie
azioni. Possono in alternativa presentare euforia, uso di espres-
sioni volgari e indifferenza alle sfumature sociali. Traumi bilate-
rali possono rendere il paziente chiassoso, inquieto e socialmen-
te invadente. Con l'età e specialmente in molti tipi di demenza,
le degenerazioni del lobo frontale portano a disinibizione e ad
alterazioni del comportamento.
● Corteccia motoria primaria M1(nel giro pre-centrale): ha la
funzione di generare gli impulsi motori per tutti i muscoli
corporei; le cellule sono organizzate in una mappa motoria
topografica (Homunculus motorio di Penfield) e la loro
stimolazione con una debole corrente elettrica può provocare il
movimento della parte corrispondente nella porzione corporea
controlaterale. L'area M1 è attiva anche durante la rotazione
mentale di mani o di oggetti tenuti in mano (Kosslyn et al.,
2001). Alcuni studi con TMS hanno anche dimostrato
un'abnorme eccitabilità corticale di quest'area in pazienti con
OCD (Disturbo Ossessivo Compulsivo).
89
Circuiti fronto-corticali:
● fascicolo arcuato longitudinale superiore
● fascicolo fronto-occipitale superiore (subcallosale)
● fascicolo fronto-occipitale inferiore
● fascicolo uncinato
● cingolo
Circuiti fronto-sottocorticali:
● circuito motorio → funzioni motorie (selezione, preparazione,
programmazione e esecuzione dei movimenti volontari)
● circuito oculomotore → funzioni motorie (pianificazione dei
movimenti saccadici, inibizioni degli spostamenti dello sguardo
verso stimoli non rilevanti e innesco di movimenti oculari
intenzionali)
● circuito prefrontale dorsolaterale attenzione e memoria,→
90
linguaggio, abilità visuospaziali, funzioni esecutive
● circuito laterale orbitofrontale regolazione del→
comportamento sociale (comportamenti finalizzati
all'acquisizione di rinforzi e gratificazioni e controllo inibitorio)
● circuito del cingolo anteriore motivazione, rilevazione di er→ -
rori e risoluzione di conflitti
3.3.1 Lobo frontale, funzioni esecutive e ToM
Date le caratteristiche anatomiche, il lobo frontale riveste un ruo-
lo fondamentale nella regolazione del comportamento umano ed è de-
putato a funzioni particolarmente complesse che danno origine a ciò
che viene chiamato “controllo esecutivo”. Le funzioni esecutive (Execu-
tive Functions, EF) rappresentano capacità mentali superiori come la
progettazione, l'astrazione delle regole e l'inibizione di risposte inade-
guate e servono a selezionare e ad attivare processi cognitivi per ottene-
re un comportamento coerente nel raggiungimento di uno scopo speci-
fico: coinvolgono principalmente la pianificazione, l'auto-monitorag-
gio, la memoria di lavoro e l'attenzione. Per questo motivo, una com-
promissione di quest'area non comporta solo deficit di natura cognitiva
ma anche alterazioni del comportamento sociale, della personalità e
91
dell'auto-consapevolezza.
Uno dei casi più famosi di lesione del lobo frontale nella letteratu-
ra neuropsicologica, quello di Phineas Gage, è un esempio di come un
danno a questa regione coinvolga la sfera decisionale, le inibizioni so-
ciali e i processi emozionali connessi. Hannah Damasio e colleghi nel
1994 hanno condotto uno studio per ricostruire la traiettoria esatta del-
la barra di ferro che nel 1848 aveva trapassato il cranio di Gage e per in-
dividuare con precisione le aree che erano state danneggiate. Per mezzo
delle tecniche di neuroimaging e di una ricostruzione tridimensionale
del cranio, la Damasio ha potuto affermare che vi era stato un danno
selettivo delle cortecce prefrontali, in modo maggiore sul lato sinistro e
in particolare della regione orbitaria o regione ventromediana del lobo
frontale, mentre erano rimaste pressoché intatte le cortecce laterali,
queste ultime deputate al controllo dell'attenzione, allo spostamento
attentivo da uno stimolo all'altro e all'esecuzione di calcoli. Per contro,
il danno al settore ventromediano non permetteva più l'integrazione
delle informazioni cognitive con quelle emotive che provengono dal si-
stema limbico (nuclei dell'amigdala e dell'ipotalamo) e di conseguenza
risultava compromessa la capacità di elaborare decisioni razionali e
mancava l'opportuna inibizione dei comportamenti inappropriati, spe-
92
cialmente quelli di natura aggressiva. Altri casi di lesione alla corteccia
prefrontale hanno confermato le funzioni di quest'area. Antonio Da-
masio ha descritto il caso di un paziente, conosciuto con lo pseudoni-
mo di Elliot, che presentava un quadro sintomatologico molto simile a
quello di Gage dovuto alla rimozione di un tumore benigno che aveva
colpito la parte ventromediana della corteccia prefrontale: “ I risultati
suggerivano con forza che non bisognava attribuire il deficit decisiona-
le di Elliot a scarsità di conoscenza sociale, o a difficoltà di accesso a
tale conoscenza, o ad una menomazione elementare del ragionamento;
né, ancora meno, a un deficit elementare dell'attenzione o della memo-
ria operativa riguardante l'elaborazione della conoscenza fattuale neces-
saria per prendere decisioni nel dominio personale e in quello sociale. Il
deficit appariva collocarsi agli stadi più avanzati del ragionamento, in
prossimità o in corrispondenza del punto in cui deve essere fatta la scel-
ta o deve emergere la risposta.”
Da questi e dai successivi casi studiati di lesioni prefrontali è emer-
so quindi un quadro complesso di funzioni superiori: l'attività decisio-
nale legata alla sfera emozionale, soprattutto nel dominio personale e
sociale, sembra essere espletata dal settore ventromediano, mentre i set-
tori dorsale e laterale si occuperebbero della capacità attentiva e della
93
memoria di lavoro.
3.3.2 Lobi frontali e autismo
Ormai è consolidato il fatto che le persone con autismo non
presentano lesioni di alcun tipo nelle regioni dei lobi frontali,
nonostante possano presentare deficit cognitivi, comportamenti
inadeguati al contesto, isolamento sociale e difficoltà di mettersi nei
panni dell'altro. Tutti sintomi caratteristici delle lesioni frontali. È
stato però riscontrato che gli autistici presentano anomalie
morfologiche a carico del cervelletto, del sistema limbico, dei lobi
temporali, parietali e frontali; in quest'ultima area sono state trovate
anomalie metaboliche, un ridotto flusso ematico cerebrale e una ridotta
captazione di glucosio, probabilmente dovuti a una incompleta
maturazione delle strutture frontali e prefrontali.
In uno studio del 2000, Ohnishi e colleghi (2000) hanno trovato nei
bambini autistici una ridotta irrorazione nell'insula, nella corteccia
temporale, nella corteccia mediale prefrontale, nel giro cingolato
anteriore e nell'ippocampo, anormalità che sembrano essere collegate
alla disfunzione cognitiva tipica dell'autismo (descritte dalla ToM) con
risposte anormali agli stimoli sensoriali e comportamento ripetitivo
94
afinalistico. È probabile quindi che alla base dell'autismo vi sia una
disfunzione a livello prefrontale che vada ad incidere in particolare sul
funzionamento delle funzioni esecutive. La mancanza di una
organizzazione dell'attività affettiva e di un completo controllo su di
essa, possono spiegare i comportamenti tipici nell'autismo, come la
rigidità e la ripetitività dei modelli mnestici e l'incapacità di frenare
certe esplosioni emotive a volte innescate da stimoli poco significativi.
3.3.3 Lobi frontali e schizofrenia
Studi di neuroimaging funzionale e studi di visualizzazione strutturale
del lobo frontale hanno indicato la presenza nei pazienti schizofrenici
di un'alterata attività della corteccia prefrontale (ipo-funzionalità
riscontrata in alcuni studi e iper-funzionalità in altri) generalmente
associata a un ridotto funzionamento della componente esecutiva della
memoria di lavoro. Inoltre, esistono delle somiglianze tra i sintomi
negativi della schizofrenia e alcune manifestazioni della sindrome del
lobo frontale, anche se le disfunzioni esecutive non sono presenti in
tutti i pazienti.
Christopher Frith (1995) ha proposto che le anomalie
comportamentali della schizofrenia siano la conseguenza di difetti nel
95
meccanismo generatore delle azioni intenzionali, laddove i meccanismi
che guidano le azioni stimolo-guidate rimangono intatti. Infatti, simili
anomalie comportamentali sono state riscontrate in pazienti che
presentavano lesioni alle principali strutture implicate nelle azioni
volontarie (corteccia prefrontale dorsolaterale, parte anteriore della
corteccia del cingolo, area supplementare motoria e gangli della base).
Frith ipotizza anche che le compromissioni associate alle espressioni
comportamentali degli schizofrenici possano dipendere da
disconnessioni tra la corteccia frontale e le regioni sottocorticali (gangli
della base) che governano il controllo dell'azione, e aggiunge che la
corteccia temporale e l'amigdala forniscono un informazione cruciale
per il contenuto delle proposizioni, mentre la metarappresentazione
complessiva richiede un'interazione tra queste aree e la corteccia
frontale.
96
3.4 SISTEMA LIMBICO E PARALIMBICO
Esistono due sistemi principali che proiettano al sistema limbico:
il primo è situato intorno all'ippocampo e comprende la corteccia
cingolata posteriore e il giro ippocampale, i nuclei talamici anteriori e
le corteccie prefrontale dorsolaterale e parietale. Questo circuito
dorsale permette un monitoraggio online degli eventi sensoriali e delle
azioni nel contesto del dominio visuo-spaziale e della memoria
operativa. Il secondo è un circuito ventrale, localizzato intorno
all'amigdala e comprende la corteccia cingolata anteriore, la corteccia
orbitofrontale e i nuclei mediodorsali del talamo. Questo circuito è
implicato nel monitoraggio degli stati emozionali e della cognizione
sociale così come nell'auto-regolazione del comportamento all'interno
della dinamica intersoggettiva delle risposte emozionali e
dell'intenzionalità. L'amigdala perciò riceve un elevato numero di
informazioni sensoriali come le espressioni facciali, la direzione dello
sguardo, la postura, i movimenti e informazioni di natura uditiva come
l'intonazione vocale, ma allo stesso tempo modula i processi corticali
proiettando un feedback attraverso i nuclei basali verso le aree
associative e le aree sensoriali primarie. I nuclei centrali collegano il
midollo allungato e l'ippocampo, influenzando così il sistema
97
autonomo e quello endocrino, mentre i nuclei basali proiettano al
corpo striato ventrale permettendo infine agli stati affettivi di accedere
agli elementi sottocorticali del sistema motorio regolandone le azioni.
Fig. 3.6 Raffigurazione del sistema limbico.
98
Come l'amigdala, anche la regione orbitale della corteccia prefrontale
riceve informazioni già elaborate da tutte le modalità sensoriali: la
parte mediale è connessa con l'ippocampo e il giro del cingolo, mentre
la parte laterale riceve afferenze nel settore caudale dall'amigdala, dalla
linea mediana del talamo e dal lobo temporale e nel settore rostrale
dall'insula, dal nucleo mediodorsale del talamo, dal lobulo parietale
inferiore e dalla corteccia prefrontale dorsolaterale.
In sostanza, “l'organizzazione anatomica e le relazioni reciproche
tra l'amigdala e la corteccia orbitofrontale implicano che queste regioni
cerebrali condividano una relazione strettamente funzionale all'interno
di un sistema essenziale per il mantenimento delle relazioni sociali
intra-specifiche e l'auto-regolazione degli stati emozionali.”
(Bachevalier e Loveland, 2001)
3.4.1 Amigdala e ToM
Prove del coinvolgimento dell'amigdala nei processi che riguardano la
ToM provengono da numerosi studi. Nelle scimmie (rhesus monkeys)
si è osservato una tendenza a isolarsi e ad ignorare tutti i segnali sociali
(la lesione eliminava anche il comportamento materno). Sono stati
anche riportati casi di pazienti autistici che presentavano alterazioni
99
anatomiche e funzionali di quest'area ed è stato osservato che in
soggetti con lesione dell'amigdala, compaiono sintomi simili a quelli
dell'autismo (in particolare riguardanti la sfera affettiva) e in generale
una pressoché totale scomparsa del comportamento sociale.
È interessante notare come si riscontri spesso negli autistici un
aumento della densità cellulare dell'amigdala (ma non sempre del
volume) e una minore attivazione quando devono riconoscere le
emozioni espresse dalla mimica facciale. Varie linee di evidenza
implicano anormalità del cervello sociale in HFA/AS (High-
functioning autism and Asperger Syndrome), in particolare riguardanti
l'amigdala. Alcuni studi fMRI riportano deficit dell'attività
dell'amigdala in pazienti HFA/AS durante compiti di elaborazione
delle espressioni facciale, dove emerge che il gruppo dei pazienti
autistici mostra addirittura un aumento dell'attività nell'area STG
(giunzione temporale superiore). Per esempio in una ricerca del 2006
Ashwin e colleghi (2006) hanno confrontato un gruppo di autistici con
un gruppo di controllo durante la percezione di espressioni facciali di
paura. Il primo gruppo mostrava una minore attivazione nell'amigdala
sinistra e nella corteccia orbitofrontale sinistra, mentre solo il gruppo
di controllo mostrava una variazione di risposte al variare dell'intensità
100
dell'espressione di paura. Queste differenze potrebbero riflettere un
deficit nell'abilità di etichettare gli stimoli sociali come dotati di
significato sociale oppure nell'abilità di utilizzare propriamente e
integrare le informazioni affettive. Infatti, come hanno dimostrato
recentemente Dapretto e colleghi (2006), i soggetti autistici ad alto
funzionamento, per riconoscere e imitare le emozioni di base,
impiegano un sistema di aree diverso dal circuito mirror premotorio
(l'insula e l'amigdala rimangono inattive), mostrando invece
un'iperattivazione delle cortecce visive.
Come spiega Gallese, “Ciò che manca negli autistici è la simulazione
operata da quei circuiti nervosi verosimilmente responsabili dei
contenuti fenomenici così cruciali nell’attribuzione di un senso alle
emozioni altrui. In altre parole, senza la simulazione incarnata
permessa dai neuroni specchio manca loro la capacità di dare un
contenuto esperienziale al mondo affettivo degli altri, che rimane
unicamente accessibile (quando è possibile) mediante una ricostruzione
teorico-cognitiva” (Gallese, Migone e Eagle, 2006).
Un'ulteriore prova a favore dell'implicazione di un'anormalità
funzionale dell'amigdala nell'autismo, è data dalla sindrome di Kluver-
Bucy, causata da un'ampia lesione del lobo temporale anteriore,
101
comprendente l'amigdala, la formazione ippocampale e la corteccia
temporale. Questo disturbo presenta i seguenti sintomi: tendenza
esagerata all'esplorazione orale (iperoralità) e tattile degli oggetti, ipo-
emotività e perdita della paura, ipersessualità e a volte agnosia visiva.
La somiglianza tra gli aspetti comportamentali delle scimmie con
sindrome di Kluver-Bucy e quelli dei bambini autistici potrebbe così
riflettere un comune fattore eziologico, l'anormalità dell'amigdala.
Altri studi hanno portato all'idea che potrebbe esserci una
lateralizzazzione tra i ruoli dell'amigdala sinistra e quella destra:
l'amigdala sinistra sarebbe coinvolta nell'elaborazione di stimoli con
caratteristiche avverse (come un imminente pericolo) in condizioni di
comprensione conscia, mentre l'amigdala sinistra opererebbe fuori dal
dominio della consapevolezza. Ancora però, l'ipotesi della
lateralizzazzione non è stata confermata da ulteriori ricerche.
Baron-Cohen e colleghi hanno rilevato con la fMRI in soggetti sani,
un'attivazione dell'amigdala sinistra in compiti di inferenza mentale
nell'osservazione dell'espressione degli occhi (Baron-Cohen et al.,
2000). Altri studi hanno riportato attivazioni dell'amigdala durante
l'osservazione di movimenti di figure astratte, come nel paradigma di
Heider e Simmel (Castelli et al., 2002; Schultz et al., 2003).
102
Esistono però varie posizioni riguardo al preciso ruolo dell'amigdala
nell'elaborazione degli stati mentali. Alcuni studiosi sostengono che
rivesta un ruolo centrale nel circuito neurale che è alla base della ToM
e che sia necessaria sia per lo sviluppo che per le prestazioni online di
queste capacità negli adulti. Disturbi della ToM sono stati osservati sia
in casi di soggetti con lesioni precoci che in casi in cui l'amigdala era
rimasta lesionata in età adulta.
Una seconda posizione sostiene che l'amigdala non sia una
componente critica del circuito della ToM ma piuttosto supporti lo
sviluppo (e le performance online) di abilità percettive sociali di base,
intese come precursori delle conoscenze metacognitive (Frith e Frith,
2003).
Secondo una terza posizione invece, non è necessario invocare un
modulo dominio-specifico della ToM, dal momento che questi deficit
possono presentarsi nonostante le funzioni esecutive siano intatte.
Fine, Lumsden e Blair (2001) hanno indagato il caso di un paziente,
B.M., che mostrava un forte isolamento sociale e al quale era stato
diagnosticato inizialmente un disordine schizo-affettivo e in seguito la
sindrome di Asperger. Le analisi condotte con fMRI avevano rivelato
delle anormalità nella parte laterale dei nuclei basali dell'amigdala
103
sinistra a causa di una lesione, probabilmente di origine genetica.
Vennero poi sottoposti vari test, sia per valutare la capacità di
rappresentazione degli stati mentali altrui, che per investigare quanto la
compromissione della ToM fosse indipendente dalle funzioni esecutive.
B.M. ottenne dei bassi punteggi ai test dei compiti ToM (false belief,
comprensione di cartoon e comprensione di espressioni non-letterali)
mentre rientrava nella normalità ai test sulle funzioni esecutive. Questi
risultati rafforzano l'ipotesi che il sistema neurocognitivo che media la
ToM, funziona e si sviluppa indipendentemente dai sistemi
neurocognitivi che mediano le funzioni esecutive. La dissociazione fra
abilità ToM e funzioni esecutive, riportata anche in altri casi di danni
all'amigdala, depone a favore di una modularità dei meccanismi della
ToM.
104
3.5 SOLCO TEMPORALE SUPERIORE
E GIUNZIONE TEMPORO-PARIETALE
3.5.1 Solco temporale superiore
Le aree di STS sono connesse con le aree corticali visive, occipitali e
temporali (circuito in parte parallelo al sistema ventrale) e contengono
cellule sensibili sia all'identità che all'espressione del volto e risponde a
variazioni emozionali dalle caratteristiche multimodali.
Studi neurofisiologici hanno rivelato l'esistenza di un gruppo di
neuroni nella parte anteriore del solco temporale superiore (aSTS) del
macaco che si attivano selettivamente durante l'osservazione di azioni
di raggiungimento solo quando l'attenzione dell'agente osservato è
focalizzata sul bersaglio dell'azione.
Nello studio di Perrett e colleghi (1990) è emerso come alcuni di questi
neuroni rispondono quando l'animale osserva un individuo muovere la
testa o gli occhi, altri quando lo vede piegare il tronco o camminare e
altri ancora codificano specifiche interazioni mano-oggetto. Questi
neuroni hanno diverse proprietà in comune con i neuroni specchio,
infatti codificano all'incirca gli stessi atti osservati con vari livelli di
105
astrazione (afferrare con la mano e afferrare con una presa di
precisione) e non rispondono ai movimenti intransitivi, neppure
quando l'azione viene mimata senza l'oggetto.
Fig. 3.7 Raffigurazione del Solco Temporale Superiore (STS).
106
Nonostante queste somiglianze, i neuroni di STS rimangono dei
neuroni puramente visivi e non integrano informazioni visive e
motorie, ma permettono di comprendere come l'identificazione dei
movimenti biologici cominci nel sistema visivo per poi arrivare al
sistema motorio dove si attivano gli atti motori potenziali, codificati
appunto dai neuroni specchio, consentendo una comprensione
immediata in prima persona del significato delle azioni osservate. È
stato poi ipotizzato che la direzione dello sguardo moduli la risposta di
queste cellule, in modo che l'intensità della risposta rifletta
l'intenzionalità dell'azione. È stato inoltre osservato che la percezione
del movimento degli occhi fornisce informazioni sulle azioni e sulle
intenzioni, senza che avvenga alcun movimento reale (Jellema et al.,
2002). Questo suggerisce che il meccanismo di attenzione condivisa
può essere sufficiente ad innescare nell'osservatore strategie imitative
basate sull'inferenza.
Citando Gallese:
“questi neuroni potrebbero teoricamente essere la sorgente
dell’informazione visiva riguardante i movimenti biologici che
verrebbe convogliata alle aree premotorie. Tuttavia tale regione del
STS non possiede connessioni anatomiche dirette con le aree
107
premotorie, ma le ha con la corteccia del lobulo parietale inferiore, a
sua volta fortemente connessa con le aree premotorie. Il lobulo
parietale inferiore appare quindi essere la via tramite cui l’informazione
visiva relativa al movimento biologico raggiunge le aree premotorie,
rendendo possibile la creazione del sistema neurale specchio di
confronto osservazione/esecuzione.”
La porzione posteriore del solco temporale superiore (pSTS) si attiva
quando il soggetto osserva qualcuno muovere gli occhi e questa attività
è modulata dal contesto. Per esempio, c'è una risposta maggiore
quando l'agente osservato sposta via gli occhi da un bersaglio, piuttosto
che quando la sua attenzione si rivolge su questo. È possibile che
quest'area si occupi di predire la traiettoria del movimento e che un
aumento di attività sia associato alla rilevazione degli errori e quindi
dei movimenti inaspettati. Schultze colleghi (2004, 2005) hanno
registrato un'attività di pSTS quando il soggetto osservava due sfere
muoversi secondo traiettorie definite matematicamente, quindi non
riferibili a uno specifico movimento biologico, nel momento in cui
queste sembravano interagire. Questi risultati sembrano indicare un
coinvolgimento di quest'area nella previsione di traiettorie di
movimenti complessi di qualsiasi genere e nella rappresentazione degli
108
atti intenzionali nella relazione tra azioni e contesto ambientale locale,
e non specificamente nella rappresentazione dei movimenti biologici,
come emerso appunto nello studio di Saxe e colleghi (2004).
3.5.2 Giunzione temporo-parietale
Fig. 3.8 Giunzione tempo-parietale (TPJ).
109
TPJ
Evidenze scientifiche di brainimaging e di studi su lesioni cerebrali
indicano che la giunzione temporo-parietale (temporal-parietal junction,
TPJ) gioca un ruolo importante nell'assunzione della prospettiva
spaziale di un altro individuo, ad un livello in cui c'è la consapevolezza
che i differenti punti di vista, e quindi i differenti angoli visivi, portano
a diverse conoscenze e interpretazioni della scena, e più in generale un
ruolo nelle performance in compiti che dipendono dalla comprensione
delle false belief.
Svariati studi hanno riportato un aumento delle risposte in TPJ quando
i soggetti leggevano storie verbali o guardavano dei cartoon che
richiedevano inferenze riguardo al carattere delle false belief, rispetto
agli stimoli fisici di controllo. Non tutti gli studiosi però considerano il
TPJ come uno dei nodi principali del circuito anatomico sottostante
alla ToM. Alcuni autori suggeriscono che quest'area sia coinvolta solo
nelle fasi preliminari della cognizione sociale e non prenda parte nella
rappresentazione degli stati mentali altrui. Saxe e colleghi (2003) hanno
pubblicato vari studi di fMRI in cui dimostrano una forte attivazione
della parte destra di TPJ (RTPJ) alla presentazione di storie che
richiedono inferenze sulle credenze di un'altra persona, piuttosto che
con storie che contenevano altri tipi di contenuti sociali. Questi dati
110
sembrano indicare l'RTPJ come un'area altamente specifica
nell'attribuzione degli stati mentali.
In un recente studio Mitchell (2008) sostiene che i risultati di Saxe e
colleghi potrebbero essere attribuiti semplicemente a processi
attenzionali, non specifici nel contesto sociale. Infatti sono state
osservate forti attivazioni di RTPJ in compiti dove i partecipanti
dovevano interrompere l'attività attenzionale indirizzata verso una
posizione sbagliata per ri-orientarla verso nuovi stimoli rilevanti
(Corbetta et al, 2000). In aggiunta, Mitchell sottolinea che per essere
coinvolta nella mentalizzazzione, l'area RTPJ sarebbe dovuta essere
insensibile alla distinzione tra stimoli sociali e stimoli non-sociali. I
risultati del suo studio mostrano invece un'attività modulata anche da
compiti attenzionali non-sociali.
Recentemente, è stato anche mostrato un ruolo critico del TPJ nella
percezione del proprio corpo nello spazio. Un'attività elettrica
abnorme in quest'area può creare una sensazione di extracorporeità
(Out of Body Experience, OBE). Inoltre, un disordine dell'attività
provocato dalla stimolazione magnetica transcranica (TMS) in soggetti
sani può alterare la prestazione in compiti in cui è richiesto di
immaginare il proprio corpo come se fosse osservato da fuori. Questa
111
capacità di immaginarsi fisicamente in un'altra posizione nello spazio
può essere importante per la cognizione sociale ma anche per la
memoria spaziale.
112
Capitolo quarto
TEORIA DELLA MENTE, MODULARITÀ E
FUNZIONI ESECUTIVE
113
In questo capitolo saranno messi a confronto i principali modelli
teorici dell'intersoggettività e le loro architetture cognitive alla luce
delle evidenze neuroscientifiche e al fine di vagliare la possibilità
dell'esistenza di un modulo specifico di questa capacità. Sarà quindi
esaminata la Theory of Mind nel contesto più ampio dello studio sulla
metarappresentazione e nella relazione con le funzioni esecutive (EF).
4.1 TEORIE MODULARI E TEORIE NON MODULARI:
I DIVERSI APPROCCI ALLA TOM
Descrivere la capacità umana di attribuire stati mentali porta
inevitabilmente a concettualizzare le caratteristiche funzionali, i
processi e l'architettura di questo meccanismo, fornendo delle
argomentazioni che rispondano ad una prospettiva filosofica,
neuroscientifica ed evoluzionistica.
Un punto chiave della ricerca delle neuroscienze sociali è verificare
l'esistenza di specifici substrati neuroanatomici sottostanti al
comportamento sociale e attivi nelle relazioni sociali. È importante a
tal fine studiare le relazioni funzionali e le possibili aree anatomiche in
comune tra la ToM e altre capacità cognitive, come le funzioni
esecutive.
114
La nostra capacità di mentalizzare, cioè la capacità di costruire ed
elaborare rappresentazioni mentali di rappresentazioni mentali, è un
sottoinsieme di una più generale capacità metarappresentazionale che
permette di elaborare rappresentazioni di rappresentazioni sia mentali
che pubbliche.
Marraffa e Meini distinguono quattro categorie di
metarappresentazioni (Marraffa e Meini, 2005):
1. rappresentazioni mentali di rappresentazioni mentali (ad es.
il pensiero “S crede che la birra sia nel frigo”)
2. rappresentazioni mentali di rappresentazioni pubbliche (ad
es. il pensiero “S ha detto che la birra è nel frigo”)
3. rappresentazioni pubbliche di rappresentazioni mentali (ad
es. il proferimento “S crede che la birra sia nel frigo”)
4. rappresentazioni pubbliche di rappresentazioni pubbliche (ad
es. il proferimento “S ha detto che la birra è nel frigo”).
In questa ottica, l'approccio della Theory of Mind risulta
concettualmente diverso da quello della Metacognition: la ToM studia
specifici meccanismi che riguardano l'atteggiamento proposizionale
dello stato mentale, mentre la Metacognition studia altre sotto-funzioni
115
della metarappresentazione, come la regolazione e il monitoraggio.
L'approccio innatista e modularista alla ToM ha avuto un forte
impatto sulla ricerca della psicologia infantile e più in generale sulle
scienze cognitive. L'ipotesi centrale di questa metodologia è la
modularità della mente, una scomposizione in moduli determinati
geneticamente, ognuno dei quali si attiva in modo specifico e
automatico, è incapsulato informazionalmente, ha una precisa
collocazione a livello cerebrale all'interno di circuiti neurali fissi ed è
dedicato a un dominio specifico. Ciascun modulo costituisce inoltre un
dispositivo periferico della mente e permette di trasformare gli input
sensoriali in rappresentazioni (Fodor, 1983); il sistema centrale è invece
amodulare, cioè dominio-generale, non incapsulato e aperto alle
influenze top-down.
Il concetto di modularità è stato negli anni interpretato in diversi
modi: secondo alcuni la modularità non implica necessariamente una
localizzazione anatomica; la specializzazione funzionale può dipendere
sia da circuiti neurali distribuiti che localizzati. È anche importante
sottolineare che se gli esami di neuroimaging indicano il
coinvolgimento di un set di neuroni nella performance di una certa
funzione cognitiva, questo non significa che sia specifico per tale
116
funzione. La caratterizzazione di un meccanismo dominio-specifico
deve quindi basarsi principalmente su la specificità e la necessità di un
circuito neurale nell'esecuzione di un particolare compito cognitivo.
Come descritto nel primo capitolo, il modello di mind-reading
teorizzato da Baron-Cohen (Baron-Cohen, 1995) si compone di quattro
sottosistemi, ognuno dei quali elabora una diversa categoria di
rappresentazioni: EDD (Eye-Direction Detector), ID (Intentionality
Detector), SAM (Shared Attention Mechanism), ToMM (Theory of Mind
Mechanism).
Un altro modello di stampo modularista è quello di Leslie (Leslie,
1995), secondo cui il bambino acquisisce tre diversi meccanismi
dominio-specifici, il ToBY (Theory of Body Mechanism), Il ToMM1
(Theory of Mind Mechanism) e il ToMM2 (vedi pag...). Entrambi i
modelli fanno riferimento a un sistema innato che emerge con la
maturazione delle strutture cerebrali che non consiste in una capacità
acquisita e non può essere influenzato dall'esperienza. Sono inoltre
modelli fortemente ispirati alle ricerche sull'autismo e ne considerano i
deficit comunicativi come la conseguenza diretta di un danno al
modulo della ToM.
Altri approcci hanno messo in discussione la modularità, la specificità
117
di dominio della ToM e si sono invece focalizzati sullo studio dello
sviluppo dell'acquisizione di questa capacità.
La Theory-Theory, secondo cui la ToM si sviluppa nel bambino allo
stesso modo di una teoria scientifica, si pone in contrapposizione alla
posizione modularista sostenendo che lo sviluppo cognitivo di questa
capacità proceda per gradi e che la teoria sia pronta a essere falsificata e
riformulata in base ai dati dell'esperienza.
La teoria della simulazione si discosta dall'approccio modularista
essenzialmente perché sostiene una continuità evolutiva tra primati
non umani ed esseri umani e quindi non una differenza qualitativa “tra
specie che si limitano a leggere il comportamento e specie che invece
sono in grado di leggere la mente” (Gallese, 2003): in questa ottica il
modulo ToM selezionato in modo specifico dall'evoluzione, viene
riconcettualizzato nei termini più ampi di una rete di meccanismi
cognitivi in parte condivisi dai progenitori non umani e, da un punto
di vista funzionale, descritto non solo in termini di logica inferenziale
ma soprattutto come meccanismo di integrazione multimodale sensori-
motoria (codificata a sua volta dal sistema Mirror nella simulazione di
azioni).
In generale, è possibile riassumere due forme teoriche rivedute
118
dell'architettura modulare dell'intersoggettività e in particolare della
ToM (McKinnon et al., 2007). La prima (Moses, 2001), mette l'accento
sul ruolo delle EF nella costruzione iniziale della comprensione
concettuale dei desideri e delle credenze altrui, funzione che va
gradualmente diminuendo fino a scomparire man mano che va
formandosi il nuovo modulo della ToM. La seconda (Leslie et al., 2004)
invece sostiene un contributo online e duraturo delle EF al social
reasoning: le abilità ToM nel bambino riflettono l'apporto congiunto
di un sistema modulare innato (Theory of Mind Mechanism, ToMM) e di
EF non modulari (Selection Process, SP) probabilmente di natura
inibitoria. Secondo questa teoria, le EF che contribuiscono alla ToM si
distinguono totalmente o parzialmente dal dominio generale delle EF
impiegate in altri tipi di compito.
4.2 RELAZIONE TRA TOM E EF: STUDI A CONFRONTO
4.2.1 Studi sull'autismo
Alcune ricerche hanno indagato specificamente la relazione tra processi
di mentalizzazione e funzioni esecutive di controllo. Come precedente-
mente descritto, le prime concezioni della ToM sostenevano un proces-
119
so modulare dominio-specifico, escludendo il coinvolgimento dei pro-
cessi dominio-generali come le EF (almeno negli adulti). In questi primi
studi sono state analizzate le correlazioni tra i due tipi di compiti, ToM
e EF, principalmente in popolazioni con ridotte capacità sociali: i bam-
bini con autismo o con sindrome di Asperger dimostravano di avere
difficoltà a interpretare i vari cues (segnali) degli stati mentali mentre
non avevano difficoltà in compiti che richiedevano l'impiego delle EF
senza coinvolgere gli stati mentali.
Altri studi empirici indicano che le performance dei bambini tra i 3 i 5
anni nei compiti EF sono fortemente correlate con i compiti ToM,
come emerge anche dai risultati della meta-analisi di Perner e Lang
(Perner e Lang, 1999). La correlazione tra i due diversi compiti potreb-
be essere dovuta a una sorta di interdipendenza funzionale e i due pro-
cessi potrebbero dipendere da un comune sistema neuroanatomico,
come evidenziato da studi su lesioni e studi di neuroimaging (Stuss, Gal-
lup e Alexander, 2001) .
In alternativa, potrebbe esserci una generale sovrapposizione tra le ri-
sorse attenzionali, cioè una condivisione dei meccanismi dell'attenzio-
ne piuttosto che una specifica sovrapposizione tout court tra ToM e EF
(Lough et al., 2006) .
120
Esistono anche studi condotti su pazienti autistici che non solo non
mostrano correlazioni ma rivelano una doppia dissociazione tra le due
forme di deficit, il che indicherebbe un'indipendenza tra i due processi.
Ad ogni modo, come suggerito da German e Hehman (2006), questi
studi potrebbero sottostimare il frazionamento tra i processi esecutivi e
quindi l'associazione tra ToM e EF potrebbe dipendere semplicemente
dalle misure scelte. Questi autori hanno inoltre riportato che il declino
della capacità di attribuire stati mentali e non-mentali dovuto all'invec-
chiamento coincide statisticamente col decremento del controllo inibi-
torio, entrambe manifestazioni della ridotta attività dei lobi frontali.
Mc Kinnon e Moscovitch hanno infatti osservato che incrementando le
richieste esecutive nei compiti ToM, aumentavano i deficit nei soggetti
anziani (2007) .
Apperly e colleghi in uno studio hanno esaminato la specificità di do-
minio della ToM alla luce dei dati neuropsicologici e delle varie meto-
diche di indagine. In particolare sono stati presi in esame i compiti del-
le false belief come paradigma sistematico nella valutazione della com-
prensione delle credenze. Apperly e colleghi sostengono che questo ge-
nere di metodo non permetta di separare efficacemente il belief reaso-
ning da altri processi cognitivi, motivo per cui ne risulterebbe una non
121
chiara evidenza della specificità di dominio (Apperly et al, 2005). Infat-
ti, i compiti standard di false belief confondono la necessità di inferire
una falsa credenza con la necessità di resistere alle interferenze delle no-
stre conoscenze sulla realtà (capacità compromessa nei pazienti con di-
sfunzione esecutiva): è quindi necessario adottare una metodologia che
permetta di confrontare un compito standard sulla realtà conosciuta
(reality-known task) con un compito di false belief sulla realtà sconosciu-
ta (reality-unknown false belief task).
In un recente studio, Bull et al (2007) hanno utilizzato un doppio-com-
pito su un campione di soggetti sani per esaminare il ruolo delle funzio-
ni di controllo negli stati mentali e non mentali e per investigare la so-
vrapposizione di risorse tra compiti ToM e EF. La metodologia usata
ha permesso di delineare il coinvolgimento delle EF presentando com-
piti separati di inibizione, spostamento dell'attenzione (switching) e ag-
giornamento dell'informazione (updating). L'Eyes Pictorial Test of Theo-
ry of Mind ha mostrato degli specifici costi dovuti al doppio-compito
quando veniva presentato insieme a un compito secondario inibitorio:
questo potrebbe significare che l'interferenza tra ToM Eyes e EF-Inhibi-
tion sia dovuta al processo inibitorio nella mentalizzazione piuttosto
che a generali richieste attenzionali. Diversamente, gli effetti di interfe-
122
renza nel Verbal Stories Task risultavano piuttosto generali in quanto
presenti sia per gli stati mentali che per gli stati non-mentali e con ogni
tipo di EF. In sintesi, i risultati ottenuti in questo studio indicano che
le abilità ToM non sono automatiche: i processi esecutivi erano recluta-
ti sia in semplici compiti di comprensione delle emozioni da informa-
zioni visive (Eyes Task) che in complessi compiti di comprensione so-
ciale (Stories Task e false belief task) dove è richiesto l'impiego di pro-
spettive multiple, dell'inibizione dell'auto-conoscenza e delle credenze
in relazione alle emozioni o alle azioni.
4.2.2 Studi sulla schizofrenia
Alla luce dei recenti studi nel campo delle neuroscienze cognitive, è
evidente come la schizofrenia sia caratterizzata da un'alterazione
specifica della capacità di rappresentare i propri e gli altrui stati mentali
(tra cui le intenzioni e le emozioni) e di saper distinguere
accuratamente sé stessi dagli altri.
Secondo il modello neuropsicologico della schizofrenia proposto da
Frith (1992; 1996), i pazienti con esperienze psicotiche presentano delle
gravi difficoltà di metarappresentazione e in particolare di
mentalizzazione. Frith ipotizza che la schizofrenia e l'autismo
123
condividano un comune danno cognitivo della ToM, tranne il fatto
che, mentre gli autistici non sviluppano mai le abilità ToM, nei
pazienti psicotici lo sviluppo avviene normalmente e il deficit si
manifesta solo con l'emergere delle crisi acute.
In un lavoro di Langdon e colleghi (2001) è stato analizzato il rapporto
tra mentalizzazione e EF nei pazienti schizofrenici: i pazienti e i
controlli sono stati sottoposti ad alcuni test (Picture-sequencing task e
Tower of London task) per valutare la comprensione delle false belief,
l'abilità di “sganciarsi” da informazioni di carattere saliente (e di
inibirle) e la pianificazione esecutiva. I dati di correlazione hanno
mostrato una forte associazione tra performance nei compiti ToM e
performance nei capture task; ciò nonostante, le basse prestazioni ToM
nelle condizioni in cui venivano tenute sotto controllo le EF,
supportavano l'esistenza di un modulo specifico per la
mentalizzazione, selettivamente danneggiato negli schizofrenici.
In una recente review di Pickup (2008), è stata condotta un'analisi
sistematica della relazione tra ToM e EF passando in rassegna una serie
di ricerche in cui erano stati sottoposti a pazienti schizofrenici sia test
riguardanti la ToM che test riguardanti le EF. Tutti e 17 gli studi
mostravano come i pazienti avessero dei deficit in entrambi i domini
124
cognitivi, rispetto ai controlli. Inoltre, gli studi in cui venivano
esplorati gli effetti indipendenti, contribuivano a dimostrare come le
compromissioni riguardanti la ToM e le EF fossero indipendenti. I
risultati di questo lavoro sembrano indicare che i deficit della ToM
nella schizofrenia siano il riflesso di una disfunzione di un sistema
cognitivo dominio-specifico, piuttosto di un danno esecutivo dominio-
generale.
Questo lavoro è in linea con due precedenti review: sia nel lavoro di
Brüne (2005) che in quello di Harrinton et al. (2005) è stato discusso se
i deficit di mentalizzazione in schizofrenia siano specifici o conseguenti
a un più generale danno cognitivo ed entrambi concordano
sull'esistenza di uno specifico danno della ToM caratterizzante questo
disturbo.
Nonostante l'evidenza di questi risultati, è possibile sollevare alcune
obiezioni a questa interpretazione. È possibile che i ToM task, allo
stesso modo di molti test neurocognitivi, misurino diverse componenti
di uno stesso processo cognitivo (per esempio: comprensione
linguistica di base, abilità espressive del linguaggio). Le abilità cognitive
generali, potrebbero quindi rappresentare “una necessaria ma non
sufficiente condizione per un'adeguata mentalizzazione” (Sprong et al.,
125
2007). Ad esempio, Brunet sottolinea come ogni sotto-regione della
corteccia prefrontale coinvolta nel processo di mentalizzazione, possa
essere implicata anche nel mantenimento e nell'aggiornamento di una
rappresentazione contestuale globale delle proprie e delle altrui
rappresentazioni mentali. In altre parole, come nell'ipotesi di Stone e
Gerrans, la ToM sarebbe il risultato dell'interazione tra abilità
dominio-generali e meccanismi a basso livello rappresentanti le
informazioni sociali.
4.3 EVIDENZE A FAVORE DI UN INTERDIPENDENZA TRA
TOM E EF
Da un punto di vista evoluzionistico, il grado di controllo esecutivo
raggiunto dalle capacità cognitive umane (dovuto all'espansione dei
lobi frontali e temporali) segna un netto salto qualitativo rispetto ai
primati non umani. Da un punto di vista genetico però, come
suggerisce Belmonte (2008), coi soli 20000-25000 geni stimati nell'uomo
sembra dubbio che ogni dettaglio di ogni singolo modulo cognitivo
dominio-specifico sia codificato geneticamente.
Processi dominio-generali come il linguaggio o le funzioni esecutive
contribuiscono indubbiamente alla performance del belief reasoning.
126
Ad esempio, pazienti con deficit della memoria di lavoro (processo do-
minio-generale) potrebbero fallire nelle false belief semplicemente per-
ché non possono mantenere e aggiornare informazioni cruciali per lo
svolgimento del compito. È fondamentale dunque sviluppare un serie
di strumenti più potenti, capaci di dissociare le performance nei compi-
ti di false belief dalle performance in compiti che richiedono una simile
combinazione di processi dominio-generali (ma non di belief reasoning).
Una delle maggiori critiche alla specificità di dominio relativa alla ToM
è stata avanzata da Gerrans e Stone: secondo questi studiosi, l'emergere
della capacità di comprendere gli stati mentali non sarebbe
semplicemente il frutto dell'evoluzione nell'homo sapiens di questo
meccanismo dominio-specifico ma piuttosto, la nostra capacità di
mentalizzare sarebbe dovuta all'interazione tra capacità dominio-
generali e precursori dominio-specifici della ToM (Gerrans e Stone,
2008).
Questi precursori comprendono i seguenti meccanismi:
● elaborazione delle facce
● rappresentazione della direzione dello sguardo
● monitoraggio dello sguardo
127
● detezione del movimento (animacy)
● monitoraggio delle intenzioni e degli obiettivi
● attenzione condivisa
Si tratta di meccanismi cognitivi a basso livello che hanno il compito di
mediare nel bambino le prime forme di interazione sociale con gli altri.
Il set di strumenti cognitivi dominio-generali che si sviluppano tra i 2 e
i 4 anni (sebbene possano continuare a svilupparsi anche dopo)
comprende:
● funzioni esecutive avanzate (memoria di lavoro, inibizione e
controllo flessibile dell'attenzione)
● rappresentazioni secondarie (le capacità di afferrare e
confrontare due diverse rappresentazioni)
● ricorsioni (le abilità di computare rappresentazioni incorporate)
● metarappresentazioni (comprensioni della natura
rappresentazionale della relazione tra rappresentazione e
referente).
Come accennato precedentemente, secondo la tesi di Gerrans e Stone il
risultato dell'interazione tra capacità dominio-generali e precursori
dominio-specifici non è la creazione di un modulo extra ma il
128
collegamento di un circuito metarappresentazionale distribuito (fig....),
che utilizza le informazioni sociali come input ed elabora
rappresentazioni astratte e sovramodali di stati mentali, pressoché con
le stesse modalità con cui vengono manipolate altre rappresentazioni
astratte come la ricorsione o il linguaggio. È evidente come secondo
questo punto di vista i deficit nei compiti ToM (come quelli osservati
nell'autismo) derivino essenzialmente da un danno o da un
malfunzionamento delle capacità dominio-specifiche di più basso
livello e non da un deficit metarappresentativo. L'evidenza
neuropsicologica dimostra che una compromissione della ToM è
sempre accompagnata da deficit delle abilità sociali di livello inferiore o
di altre abilità di dominio-generale: i pazienti con danno alla corteccia
orbito-frontale mostrano alterazioni sia nei compiti ToM che nel
riconoscimento delle espressioni facciali.
Le osservazioni di Gerrans e Stone sembrano inoltre avere molte cose
in comune con la teoria di Turner della centralità della “miscela
narrativa” nel pensiero umano: rappresentare sé stessi e gli altri in una
continua narrazione porterebbe ad applicare alle altre menti gli stessi
meccanismi dominio-generali del ragionamento. In questa prospettiva,
la ToM è vista come un particolare processo narrativo, un modello di
129
intersoggettività col quale leggiamo le altre persone come un libro,
interagiamo con loro in seconda-persona senza simularle esplicitamente
in prima-persona (Theory of Simulation) o tanto meno teorizzarle
descrivendole in terza-persona (Theory-Theory).
Fig. 4.2 Modello di metarappresentazione degli stati mentali senza uno specifico modulo ToM. Fonte: Stone e Gerrans (2006).
130
In questo senso, la risonanza motoria e intenzionale del sistema dei
Mirror Neurons rifletterebbe semplicemente il riconoscimento dell'atto
in seconda-persona, il quale costituirebbe l'input narrativo della ToM.
A livello neuroanatomico, il processo narrativo coinvolgerebbe un
vasto numero di regioni cerebrali e di sottosistemi cognitivi
anatomicamente e computazionalmente distribuiti, che hanno il
compito di unire i diversi aspetti percettivi per creare un'astrazione: in
questi termini, il deficit dell'autismo deriverebbe da un danno al
trasferimento dell'informazione tra queste specifiche regioni.
Come descritto nel secondo capitolo, Leslie e Thaiss hanno avanzato
l'ipotesi che nel belief reasoning il ToMM lavori in congiunzione con
un “Elaboratore di Selezione” (Selection Processor, SP), avente la
funzione di inibire le risposte automatiche e le attribuzioni di default
nel caso dei false belief tasks. Come risulta da numerose indagini
neuropsicologiche, esistono varie popolazioni di pazienti (sindrome
prefrontale, ADHD) che presentano disfunzioni di carattere esecutivo,
come appunto la capacità di inibire alcune risposte motorie ed emotive
a stimoli esterni per il raggiungimento di un obiettivo. L'idea di base
del processo di selezione è la scelta della più plausibile credenza tra un
set ridotto di possibili candidati forniti in automatico da un processo
131
modulare. L'SP non sarebbe altro che un processo di controllo
esecutivo.
Leslie, German e Polizzi sostengono che il meccanismo di
apprendimento sia in parte modulare (ToMM) e in parte penetrabile
(SP): l'SP sarebbe particolarmente importante nello sviluppo della
mentalizzazione, dato che sembra penetrabile all'istruzione e alla
conoscenza. I sistemi modulari risulterebbero invece ideali per un
primo sviluppo perché hanno una bassa richiesta di conoscenze
generali e di abilità generali di ragionamento. ToMM e SP, in sintesi,
permetterebbero a un “cervello giovane” di occuparsi degli invisibili
stati mentali e di iniziare ad apprendere da questi.
Mc Kinnon, Levine e Moscovitch (2007) in un recente studio dual-task
hanno osservato gli effetti di interferenza su soggetti adulti sani in due
compiti di social reasoning: compiti ToM di primo e di secondo ordine
e compiti di selezione deontica (Deontic Selection task). L'attenzione
divisa provocava un peggioramento della performance in entrambi i
compiti, in funzione della richiesta di risorse dominio-generali: questi
risultati sono stati interpretati come una dimostrazione diretta del
contributo attivo delle risorse dominio-generali al social reasoning e del
suo perdurare oltre il primo sviluppo. Per questo motivo Mc Kinnon e
132
colleghi si oppongono all'idea che le EF specifiche del dominio ToM
siano totalmente o parzialmente dissociate dalle EF dominio-generale,
come ipotizzato da Leslie.
133
134
Note conclusive
Sono molte le evidenze sull'esistenza di una relazione tra la nostra
capacità di mentalizzare e gli aspetti più ampi della cognizione umana,
che hanno portato negli ultimi anni a riconcettualizzare l'insieme delle
dinamiche intersoggettive nella globalità delle funzioni percettivo-
cognitive, dai meccanismi mentali più complessi fino a quelli più
elementari. La singolarità di questa capacità cognitiva l'ha resa soggetta
a molte interpretazioni e a disquisizioni di natura multidisciplinare,
filosofica, psicologica e neuroscientifica.
Lo studio di Premack e Woodruff, che ha aperto la strada al lungo
dibattito (tuttora aperto) sulla natura della ToM, ha introdotto anche
la questione della continuità dello sviluppo delle competenze sociali in
una chiave evoluzionistica. Purtroppo però, molte ricerche si sono
concentrate sullo studio delle abilità sociali tipicamente umane,
focalizzandone per lo più l'unicità e l'innatezza. Il concetto stesso di
ToM è, a parere di Gallese, retaggio di una concezione cognitivista
classica che “concepisce la mente come un sistema funzionale i cui
processi possono essere descritti come manipolazione di simboli
informazionali sulla base di una serie di regole sintattiche formali”.
135
L'attribuzione degli stati mentali è di conseguenza interpretata dai
sostenitori della ToM in termini di logica inferenziale e rimane quindi
prerogativa della razza umana. Approcci teorici diversi, come quello
della Teoria della Simulazione, affrontano il tema dell'intersoggettività
misurandone la qualità delle relazioni sociali (contesto competitivo vs
contesto collaborativo), valutandone il ruolo dell'esperienza (così come
la Theory-Theory) e avvalendosi di una delle più importanti scoperte a
livello neuroscientifico degli ultimi decenni, i Mirror Neurons.
Gli studi sugli scimpanzé hanno permesso di avvicinarsi a comprendere
i meccanismi cognitivi e percettivi, nonché il loro substrato neurale,
all'interno di un quadro di funzioni che va oltre la mera
rappresentazione degli stati mentali.
Se finora uno degli argomenti più dibattuti è stata la presenza o meno
di una Teoria della Mente nei primati, adesso sarebbe più pertinente
chiederci quali capacità specifiche condividiamo con essi, quali sono le
similarità a livello di sistemi neuronali e quali elementi “aggiuntivi”
(alle già notevoli capacità cognitive dei primati superiori) hanno
permesso all'uomo di raggiungere una forma così complessa di abilità
sociale.
Studi provenienti da ambiti relativamente diversi (autismo,
136
schizofrenia, lesioni cerebrali) hanno indagato il ruolo della ToM in
relazione a quello delle funzioni esecutive nel processo di
mentalizzazione. Le metodiche e gli strumenti diagnostici adottati
hanno portato a risultati non concilianti, se non addirittura opposti;
per questo motivo sono state proposte varie formulazioni teoriche
circa la natura della ToM.
Elemento cardine del dibattito rimane il concetto di modularità e di
specificità di dominio di questa capacità cognitiva, originariamente
proposto da studiosi come Baron-Cohen e Leslie e ispirato ai principi
del modularismo di Fodor. L'opinione più largamente diffusa è che
esista uno specifico modulo (ToMM) specializzato nella
rappresentazione e nell'attribuzione degli stati mentali, sia propri che
altrui.
Varianti della concezione modularista hanno poi considerato il
contributo di alcune sottoclassi di funzioni esecutive di dominio
generale (Selection Processor); altre hanno invece suggerito
un'architettura del ToMM moderatamente massiva (Marraffa e Meini,
2005). Altri ancora hanno proposto un modello basato sull'interazione
tra capacità dominio-generali e precursori dominio-specifici della ToM
(Gerrans e Stone, 2008).
137
Riguardo all'eterogeneità dei risultati ottenuti nei vari studi, è stato
suggerito che gli strumenti adottati non abbiano permesso fino ad ora
di indagare separatamente e in modo adeguato le singole espressioni
della cognizione umana e in particolar modo di chiarire il legame tra
funzioni cognitive di carattere esecutivo e la capacità di mentalizzare.
Sarà perciò necessario in futuro disporre di strumenti di ricerca in
grado di garantire un'indagine più precisa.
L'unico punto fermo in cui convergono le varie posizioni teoriche, è
che esistano dei meccanismi specializzati nel mind-reading e che alcune
aree cerebrali siano coinvolte (anche se in modo non necessariamente
specifico) nell'elaborazione di tali funzioni. I ricercatori concordano
sull'ipotesi che questo sistema comprenda le seguenti aree: corteccia
prefrontale ventro-mediale e dorso-mediale, corteccia frontale
inferolaterale, amigdala, corteccia orbitofrontale, corteccia del cingolo
anteriore, lobo parietale inferiore e solco temporale superiore.
In conclusione, di fronte alle evidenze derivate dai recenti studi
neuroanatomici e in base alle critiche sopra esposte, risulta legittimo
dubitare di una concezione modularista della ToM, secondo cui
l'attribuzione di uno stato mentale avviene per mezzo di un sistema
concettuale “teorico”. Come è stato dimostrato dalla scoperta dei
138
Mirror Neurons, siamo in grado di simulare in modo interattivo le
esperienze reali tramite reazioni corporee automatiche e senza
ricorrere a espliciti sforzi cognitivi. È perciò plausibile supporre che
tutte le modalità di interazione interpersonale si basino su uno stesso
meccanismo funzionale come la Simulazione Incarnata proposta da
Gallese, in cui l'atto stesso di osservare un azione rappresenta una
forma di simulazione.
139
140
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