italianistica antica straniera e italiana 1 · e la canzone a firenze di guido del palagio ........

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Italianistica antica straniera e italiana

Collana diretta da

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Comitato scientifico

Michail Andreev (Mosca), Zygmunt Guido Barański (Cambridge), Guglielmo Gorni (Roma), Bodo Guthmüller (Marburgo), Antonio Illiano (University of North Carolina), Christopher Kleinhenz (Madison), Richard Lansing (Brandeis), Marina Marietti (Parigi), Lino Pertile (Harvard), Francisco Rico (Barcellona),Piotr Salwa (Varsavia), John A. Scott (Perth),

Karlheinz Stierle (Costanza), Gerasimos Zoras (Atene)

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ANTONIO LANZA

SPIGOLATUREDI LETTERATURAITALIANA ANTICA

ARACNE

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Copyright © 2010ARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A-B00173 Roma

(06) 93781065

isbn 978-88-548-3514-6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

i edizione: maggio 2010

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A Gianvito Resta,con profondo affetto

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I N D I C E

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

1. Elementi luminosi e cromatici nelle Laude di Jacopone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

2. In margine ad un libro recente sulla poesia italiana antica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

3. Il Dante di Guglielmo Gorni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41

4. Il Decameron secondo Michelangelo Picone . . . . . . 61

5. Considerazioni sul testo del Trecentonovelle e delle opere minori di Franco Sacchetti . . . . . . . . . . . . . . . 81

6. L’impegno etico-politico di Bruscaccio da Rovezzano e la canzone a Firenze di Guido del Palagio . . . . . . 121

7. Le polemiche tra umanisti e tradizionalisti nella Firenze tardogotica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

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10 antonio lanza

8. Il giardino tardogotico del Paradiso degli Alberti . . . 211

9. Il Geta e Birria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231

10. Per un’edizione del Burchiello autentico . . . . . . . . 265

11. La visione del mondo arabo nelle relazioni dei pellegrini scrittori toscani in Terrasanta del Quattrocento . . . . 483

12. L’ispirazione sacra ed elegiaca della poesia di Francesca Turrini Bufalini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 539

13. Francesco Saverio Quadrio e la poesia italiana antica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 551

14. La Storia della letteratura italiana di Vittorio Rossi . . . 575

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P R E M E S S A

È questa la mia terza raccolta di saggi sulla letteratu-ra italiana antica dopo Primi secoli . Saggi di letteratura ita-liana antica, Roma, Archivio Guido Izzi, 1991; e Freschi e minii del Due, Tre e Quattrocento, Firenze, Cadmo, 2002.

Diamo qui le sedi originarie di pubblicazione, avver-tendo che tutti i saggi si presentano in forma riveduta e aggiornata:

1. Elementi luminosi e cromatici nelle laude di Jacopone, in *Jacopone poeta. Atti del Convegno promosso dall’Accade-mia dei Filomartani e dal Comune di Stroncone, 10-11 set-tembre 2005, a c. di F. Suitner, Roma, Bulzoni, 2007, pp. 165-72.

2. In margine ad un libro recente sulla poesia italiana antica, inedito.

3. Il Dante di Guglielmo Gorni, in Leggere Dante oggi, Con-vegno internazionale, Roma 24-26 giugno 2010, Accade-mia d’Ungheria, in corso di stampa.

4. Il Decameron secondo Michelangelo Picone, inedito.

5. Considerazioni sul testo del Trecentonovelle e delle opere minori di Franco Sacchetti, in *Letteratura e filologia tra Svizzera e Italia . Miscellanea di studi in onore di Guglielmo Gorni, a c. di

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A. Asor Rosa, M.A. Terzoli, G. Inglese, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010, ii, pp. 111-35.

6. L’impegno etico-politico di Bruscaccio da Rovezzano e la Canzone a Firenze di Guido del Palagio, in *Firenze alla vigi-lia del Rinascimento . Antonio Pucci e i suoi contemporanei, a c. di M. Bendinelli Predelli, Firenze, Cadmo, 2006, pp. 157-80.

7. Le polemiche tra umanisti e tradizionalisti nella Firenze tardogotica, in L’Humanisme italien de la Renaissance et l’Eu-rope, a c. di Th. Picquet, Aix-en-Provence, PUP, 2010, pp. 53-79. Saggio dedicato all’amico Giuliano Tanturli.

8. Il giardino tardogotico del Paradiso degli Alberti, in «Ita-lies. Revue d’études italiennes de l’Université de Provence», 8, 2005, pp. 135-50.

9. Il Geta e Birria, in *Il cantare italiano fra folklore e lettera-tura, Atti del Convegno di Zurigo, 21-23 giugno 2005, a c. di M. Picone e L. Rubini, Firenze, Olschki, 2007, pp. 235-57.

10. Per un’edizione del Burchiello autentico, in «Letteratura italiana antica», ix, 2008, pp. 251-335. Saggio dedicato alla memoria dell’amico Ruggero Stefanini.

11. La visione del mondo arabo nelle relazioni dei pellegri-ni scrittori toscani in Terrasanta del Quattrocento, in «Carte di viaggio», i, 2008, pp. 11-33. Saggio dedicato agli amici John e Simone Scott.

12. L’ispirazione sacra ed elegiaca della poesia di Francesca Tu-rina Bufalini, in «Pagine altotiberine», xi, 2007, 33, pp. 105-18.

13. Francesco Saverio Quadrio e la poesia italiana antica, in *La figura e l’opera di F .S . Quadrio, a c. di C. Berra, Milano, Cisalpino, in corso di stampa.

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premessa 13

14. La Storia della letteratura italiana di Vittorio Rossi. È la Premessa alla riedizione riveduta e aggiornata del manuale del Rossi, Padova, Piccin, 2009.

* * *

Avverto che le seguenti opere sono citate dappertutto abbreviate:

DEI = C. Battisti - G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, Firenze, Barbera, 1950-57.

GDLI = Grande dizionario della lingua italiana, a c. di S. Batta-glia, Torino, U.T.E.T., 1961-2002.

Repetti = E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze, presso l’Autore e Editore coi tipi di G. Mazzo-ni, 1833-45.

Rohlfs = G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966-69 (si cita per paragrafo).

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ELEMENTI LUMINOSI E CROMATICINELLE LAUDE DI JACOPONE

Nel 1994 pubblicai il volume La letteratura tardogoti-ca . Arte e poe sia a Firenze e Siena nell’autunno del Medioe-vo.1 Scopo di quel saggio era quello di ricercare i punti di contatto tra letteratura e arti figurative e scopri-re l’eventuale esistenza di una letteratura gotico-fiori-ta speculare all’omonima arte figurativa attraverso lo studio degli elementi fiammeggianti comuni ai pro-dotti artistici – figurativi e letterari – coevi. Nella pri-ma parte sottoponevo ad un’indagine a tappeto la pro-duzione poetica dugentesca e del primo Trecento, da me definita “gotica”, per tentare di ravvisare dei pre-cedenti della maniera tardogotica, evidentissimi nella pittura senese trecentesca e segnatamente in Simone Martini, il più “internazionale” dei pittori pre-fiam-meggianti. Tale ricerca si rivelò estremamente frut-tuosa e dimostrò che nella lirica siciliana, siculo-tosca-na, stilnovistica, post-stilnovistica e petrarchesca gli elementi fiammeggianti erano numerosissimi, anche se di volta in volta impiegati in forme differenti e ben caratterizzate. Sia pure allo stato embrionale, sorse

1 Anzio, De Rubeis, 1994.

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già in quegli anni, per affermarsi poi compiutamente nell’arte tardotrecentesca e della prima metà del Quat-trocento, la figura della donna-sole o donna-luce, che, con la sua perfetta venustà, ritratta nei minimi partico-lari dagli artisti del tempo, irradiava della sua fulgente luce tutto il mondo circostante. Gli autori più avanza-ti in questa direzione prefiorita sono sicuramente La-po Gianni e Folgóre da San Gimignano – il primo di cultura fiorentina; il secondo di cultura senese –, i qua-li rivestono un’importanza notevole in questa trasfor-mazione della poesia italiana.

La suddetta ricerca escludeva deliberatamente la poesia religiosa, in quanto il mio interesse era con-centrato sulla poesia profana di natura erotica. Stu-diare approfonditamente pure questo tipo di pro-duzione però sarebbe utile per meglio precisare la portata globale della trasformazione, che fu vasta ed imponente.

La natura scabra e severa dell’ispirazione jacoponi-ca è agli an tipodi del gusto altoborghese, raffinato, to-talmente esteriore e mon dano della poesia di un La-po Gianni o di un Folgóre da San Gi mignano, per non parlare dei prodotti della stagione aurea della poesia fiammeggiante. E comunque persino nelle laude del massimo poeta religioso della nostra letteratura com-paiono degli elementi che rivelano come l’austera mu-sa di Jacopone non fosse insensibile alle suggestioni della pittura contemporanea, che di quegli elementi era repleta. Certo, circonfondere Cristo o Dio o la Ver-gine di un’aura di luce splendente è un motivo cano-nico delle Scritture, della produzione religiosa poetica e prosastica non solo occidentale, ma anche bizantina,

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e segnatamente dell’innografia mariana; tuttavia è in-dubbio che Jacopone subisse in qualche modo il fasci-no dell’architettura e della pittura gotica. Quando al principio degli anni Novanta egli passeggiava per To-di, restò certamente ammirato dagli imponenti lavo-ri urbanistici per il rinnovamento della città: del 1292 è il Tempio di San Fortunato e all’anno successivo risa-le il mirabile Palazzo del Capitano, entrambi in perfet-to stile gotico, quest’ultimo con deliziose finestre a tri-fora e a quadrifora. E dopo i cinque anni di prigione, cui lo costrinse il suo nemico Bonifacio viii, dal 1303, anno in cui fu scarcerato da Benedetto xi, al 1306, an-no della morte, poté, con ogni probabilità, dal conven-to di Collazzone, dove viveva, recarsi nella vicina Assi-si ed ammirare i capolavori realizzati da Giotto entro il 1300, prima del suo trasferimento a Roma per il giu-bileo voluto da Bonifacio viii: gli affreschi delle Storie dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento e soprat-tutto quelli della Leggenda di san Francesco, tutti nella Basilica Superiore di San Francesco.

Al contempo Jacopone non disdegnava affatto nep-pure la lirica coeva, che nei componimenti dei più avanzati esponenti della scuola siciliana, siculo-tosca-na e stilnovistica si rivela ricca di elementi luminosi; lo dimostrano alcuni luoghi delle sue laude, in cui egli adotta un tipo di linguaggio più consono alla poesia amorosa; tali interscambi tra poesia religiosa e poesia lirica, del resto, erano tutt’altro che infrequenti. Si leg-ga, ad esempio, questo illuminante passo della lauda 2 (Fugio la croce, cà mme devora), costruita a mo’ di dialo-go tra due personaggi che disquisiscono dei prodigio-si effetti della croce:

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«Eo era ceco, et or veio luce;questo m’avenne per sguardo de croce;ella m’è guida, che gaio m’aducee senza lei so’ en tormentare».

«E me la luce sì mm’à cecato;tanto lustrore de lei me fo datoche me fa gire co’ abacinnato,c’à li belli occhi e non pòte amirare» (vv. 15-22).2

La prova che Jacopone fosse attratto dalla poesia profa-na è ul teriormente offerta dall’adozione di certi moduli ti-pici della poesia giullaresca o, meno frequentemente, co-mico-realistica, co me, ad esempio, il vanto. Mi riferisco alla celebre lauda 47 (Pover tat’ennamorata), costruita in manie-ra perfetta alla stregua di un vanto giullaresco. Sembra di leggere i versi di Ruggieri Apugliese o il Bisbidis di Imma-nuel Romano. La struttura di base è quella dell’elenco, ti-pica dell’arte gotica e, ancor di più, di quella tardo go tica; dapprima una lista di nazioni e di popoli, quindi di cose, animali e astri, in linea con la tendenza enciclopedica che, inaugurata da Brunetto Latini, si affermerà compiutamen-te, in campo non più insegnativo ma lirico, con la poesia tradizionalista di fine Trecento e del primo Quattrocento:

Terra, erbe con lor coluri;arbori, frutti con sapuri,bestie m’è en serveturi,tutti en mea bevolcaria.

Acque, fiumi, lachi e mare,pesciatelli en lor notare,

2 Le citazioni sono tratte da Jacopone da Todi, Laude, a c. di F. Mancini, Roma-Bari, Laterza, 1974.

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1. elementi luminosi nelle laude di jacopone 19

aere, venti, ocel’ volare,tutti me fo giollaria.Luna e sole, celo e stelle’nfra me’ tesaur’ non so’ chevelle (vv. 35-44).

In un’altra celeberrima lauda, la 7 (Audite una ’nten-zone), costruita come una tenzone tra l’anima e il cor-po, quest’ultimo rammenta nostalgicamente una bella donna cui Jacopone attribuisce le peculiarità cromati-che fondamentali proprie dell’incarnato tipico delle donne effigiate dai pittori e dai poeti gotici e tardogo-tici, pur se manca un altro colore costitutivo quale il giallo oro dei capelli:

Recordo d’una femena ch’era bianca e vermiglia,vestita ornata morveda ch’era una maraviglia!Le so belle fattezze lo pensier m’assuttiglia;multo te me simiglia de poterli parlare (vv. 63-66).

Non istupisce, pertanto, di veder trasferiti a Cristo i medesimi colori caratteristici delle donne gotiche nel capolavoro di Jacopone, la lauda 70 (la celeberrima Don-na de paradiso), dove al v. 116 leggiamo, per l’appunto:

Figlio bianco e vermiglio.3

E sùbito appresso, al v. 120, ecco che quella lacuna cromatica che avevamo sottolineato nella lauda prece-dente viene colmata con una generosa pennellata di giallo oro sulla chioma di Cristo:

3 Di san Francesco nella lauda 40 (O Francesco povero) è parimenti sottolineata la «carne bianchissema» (v. 93).

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Figlio bianco e biondo.

Sempre nella lauda 70 Cristo è tradizionalmente definito «a moroso giglio» (v. 41) – «giglio fiorito» nella 52 (Plagne, dolente alma predata), v. 9 –; ma quel che più conta è che, per esprimere il dolore straziante di Maria davanti alla passione del figlio, Jacopone ricorra ad un aggettivo – scura – che consente di lèggere la tragedia in termini visivi, ossia come totale perdita di lumino-sità, proprio come avverrà in àmbito diametralmen-te opposto a questo, in quanto assolutamente profa-no, nel Corbaccio, dove alla sensualità sfolgorante della donna-luce si sostituisce l’oscurità repellente della ve-dova struccata, sorta di buco nero dal quale qualsiasi uomo sensato deve tenersi il più possibile lontano per non esserne rovinosamente inghiottito:

Figlio de mamma scura (v. 101).

Proprio come faranno in séguito i lirici fiammeg-gianti con le loro donne, anche in Jacopone Cristo è circonfuso di luce, anzi è addirittura definito «vera lu-ce» sempre nel cosiddetto Pianto della Madonna (v. 50). Di lui il poeta sottolinea costantemente la «claritate» (vd., ad es., la lauda 51, O vita de Iesù Cristo, v. 51) e, nella lauda 89 (Amor de caritate), indugia sullo splendo-re indescrivibile del volto, in grado di oscurare il sole:

luce de sole sì me pare obscura,vedendo quella faccia resplandente (vv. 55-56).

Ribaltando la tradizionale identificazione della don-na amata con il sole o con la luce, Jacopone nella lauda 6

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(Or se parerà chi averà fidanza?), sulla scorta di una collau-data tradizione, identifica Cristo con il sole:

Lo sole è Cristo (v. 11).

Proprio come farebbe il Dante stilnovistico o qual-siasi lirico gotico-fiorito nel descrivere gli effetti mira-colosi della donna amata sulla natura, Jacopone sotto-linea a più riprese la trascendentale potenza luminosa dell’Amore divino. Un esempio particolarmente pro-bante è offerto dall’importante lauda 39 (O Amor, devino Amore), in cui le prerogative luminose della divinità so-no precisate compiutamente:

Amore, che dài lucead omnia c’à luce,la luce non n’è4 luce, lum’è ’ncorporeato.

Luce lumenativa,luce demustrativa,non vene all’amativachi no n’è en te lumenato.

Amor, lo tuo effettodà lume a lo ’ntelletto;demustrili l’obiettode l’amativo amato.

Amor, lo tuo ardoread inflammar lo core,uniscel per amoreen l’obietto encarnato (vv. 71-86).

4 Ma leggi nonn è; al v. successivo lum è; e al v. 78 non è.

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A proposito dell’Amor di carità, nella lauda 89 (Amor de caritate) egli parla di «luce pia» (v. 73), di «luc’esmesura-ta de sì dolce sprandore» (v. 82); e nella 72 (O castetate, flo-re) di «luce spland ïante / lucerna sì preclara» (vv. 15-16). E in termini assolutamente luminosi sono descritti gli effetti dell’Amore di carità sulle menti pure:

Sì como ferro ch’en tutto è ’nfocato,ai〈e〉r de sole fatto relucente,de lor forma perdente so’ per altra figura,cusì la mente pura de tte è vistita, Amore (vv. 167-70).

Certo, la condizione indispensabile perché tale pro-digioso influsso penetri nell’anima è che questa sia ben disposta ad accoglierlo, proprio come, in campo stilno-vistico, il «cor gentile» è naturalmente incline alla pe-netrazione dell’amore beatificante che scaturisce dalla donna angelicata; Jacopone lo afferma a chiare note nel-la lauda 46 (Amore contraffatto):

non pò veder la luce chi fuge claretate (v. 24).

Come scrive nella lauda 92 (Sopr’onne lengua Amo-re), l’Amore è «lume for de mesura» che «resplende» nel cuore del poeta (vv. 3-4), «enfigurabel luce» che fa sì che la notte diventi «dia», poiché lo «splendore» che emana è assolutamente indescrivibile (vv. 17 e 25-28).

Ovvio che nel raffigurare lo stato di totale beatitu-dine che si prova nell’Empireo Jacopone ricorra anco-ra una volta alle abusate immagini luminose sempre nella medesima lauda:

En questo celo empirosì alto è quel che trova

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che non ne pò dar prované cun lengua narrare;e multo plu m’amirocomo sì se renovae ’n fermezza s’ennovache no ’l pò’ figurare;e ià non pò errare,cadere en tenebria,la notte è fatta dia,defetto, granne amore.

Como aier dà lluce,s’en isso è lume fatto,como cera, desfatto,a gran foco mustrata,en tanto sì relucea quello lume tratto,perde tutto so atto,voluntat’è passata;la forma che lli è datatanta sì ll’à absortoche viv’estanno mortoet è vvénto e vittore (vv. 293-316).

Ricchissima di rutilanti immagini luminose è anche la lauda 84 (Fede, spen e caritate), in cui il Paradiso è concepito, in modo del tutto ortodosso, come «eterna claritate» (v. 144); quindi sono descritti dapprima, rapi-damente, un «angelo di luce» (v. 145) e poi, più analiti-camente, i cieli:

Questo è lo celo cristaldino,c’a speranza sì ven meno,cà de lo sprendore è pleno,regna con le Potestate.

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Al terzo cel po’ pusi mente,plu che lo sole era lucente;tutta s’enflammò mea mentede volere lassù andare (vv. 161-68).

La maggiore accelerazione nella direzione di una poesia pienamente gotica è offerta dalla lauda 86 (All’Amor, ch’è vinuto), che si risolve in un pressan-te invito all’anima a seguire Cristo, che per farsi uo-mo lasciò le stupefacenti bellezze del paradiso; e pro-prio a Cristo Jacopone si rivolge in questi versi, che potrebbero essere stati vergati da un qualunque liri-co fiammeggiante:

La sedia d’auro fino,de gemme resplandente,corona relucente,or perché l’ài lassata? (vv. 29-32).

Ma il vertice della linea gotica della poesia jacopo-nica è raggiunto in questi versi della medesima lauda, nei quali, per ritrarre le ineffabili bellezze paradisiache alle quali sarà destinata l’anima eletta, il poeta ricorre a piene mani, in termini ben altrimenti scaltriti rispet-to ai coevi poeti gnomici lombardo-veneti, non solo all’elemento luminoso, ma anche a quegli oggetti pre-ziosi e raffinati di cui ameranno circondarsi gli espo-nenti della ricca borghesia tardogotica per appagare le loro aspirazioni nobiliari:

De luce te vestireplu ca ’l sole sì voglio;però ’mprima t’espogliode colpa e de fetore.

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1. elementi luminosi nelle laude di jacopone 25

De corona de stellesirai encoronata,en sedia collocatade gemme e d’auro fino; de margarit’e pernesirà to vesta ornata,la ciambra apparecchiatade drappi e baldacchino.Tutto sirà divino(ma pàrlote en figura,perché no n’ài5 valurapensar ’n isso candore) (vv. 325-40).

L’austero Jacopone, dunque, non è insensibile al fa-scino di quegli oggetti lussuosi, dei quali comunque si serve strumentalmente, ossia per illustrare il più effetti-sticamente possibile ai lettori i vantaggi della condizio-ne paradisiaca, effigiata a tinte giallo oro, il colore predi-letto tanti anni dopo dai pittori gotico-fioriti. Su questa strada, ulteriormente arricchita di elementi fiammeg-gianti, proseguirà il più fecondo autore di laude trecen-tesco in pieno clima tardogotico: il Bianco da Siena.

5 Leggi non ài .