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DOTTORATO DI RICERCA IN “ALIMENTAZIONE E NUTRIZIONE UMANA” XXII CICLO - SSD MED/42 COORDINATORE PROF. SSA CATERINA MAMMINA Sicurezza alimentare degli alimenti in polvere per la prima infanzia: indagine epidemiologica, microbiologica e ambientale e sviluppo di linee guida per la prevenzione delle patologie infettive associate Tutor:

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DOTTORATO DI RICERCA IN “ALIMENTAZIONE E NUTRIZIONE UMANA”

XXII CICLO - SSD MED/42

COORDINATORE PROF. SSA CATERINA MAMMINA

Sicurezza alimentare degli alimenti in polvere per la prima infanzia: indagine

epidemiologica, microbiologica e ambientale e sviluppo di linee guida per la

prevenzione delle patologie infettive associate

Tutor:

Prof.ssa Caterina Mammina

Dottoranda:

Dott.ssa Ivana Guida

Triennio 2008-2010

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Ad Angelo e Manfredi“…verso l’infinito ed oltre”

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INDICE

Abstract Pag. 4Riassunto Pag. 51.Background Pag 7

Caratteristiche generali di Cronobacterspp Pag 101.1Caratteristiche morfologiche Pag 101.2 Caratteristiche biochimiche Pag 111.3 Caratteristiche Colturali Pag. 121.4 Caratteristiche di resistenza alle condizioni

ambientali e fattori di virulenzaPag. 13

1.5 Fonti e modalità di trasmissione Pag. 141.6 Epidemiologia e manifestazioni cliniche Pag. 14

2. Obiettivi Pag. 183.Materiali e Metodi Pag. 19

Indagine microbiologica Pag. 193.1 Campioni analizzati Pag. 193.2 Esame colturale Pag. 193.3 Sensibilità agli antibiotici Pag. 243.4 Metodi genetici per l’identificazione degli

enterobatteriPag. 26

Indagine epidemiologica Pag. 334. Risultati Pag. 35

Indagine microbiologica Pag. 354.1 Risultati dell’esame colturale Pag. 354.2 Risultati dell’identificazione biochimica

delle EnterobacteriaceaePag. 37

4.3 Risultati dell’antibiogramma Pag. 384.4 Risultati della PCR per il gene che

codifica l’enzima α-1,6 glucosidasi di Cronobacter

Pag. 39

4.5 Risultati del sequenziamento del gene universale 16S rDNA di Enterobacterspp

Pag. 40

Indagine epidemiologica Pag. 434.6 Risultati dell’ indagine svolta sui genitori

e sul personale degli asili-nido della città di Palermo

Pag. 43

4.7 Risultati dell’ indagine svolta su un campione di neo-mamme ricoverate nel post-parto

Pag. 48

4.8 Risultati dell’indagine svolta sugli operatori sanitari di tre ospedali siciliani

Pag. 54

4.9 Risultati dell’ indagine svolta sui Pediatri di libera scelta della provincia di Palermo

Pag. 63

5. Discussione Pag. 725.1 Indagine microbiologica Pag. 725.2 Indagine epidemiologica Pag. 73

Bibliografia Pag. 80

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Abstract

Background

Recent studies have highlighted the role of Cronobacter spp. and other microrganisms

belonging to the family Enterobacteriaceae as emerging pathogens, responsible for very

severe illnesses in infants at risk.

Materials and methods

During the research project, the activities were aimed at:

- bacteriological detection of Enterobacteriaceae on various samples of ‘‘powdered infant

formula’’ (PIF)

- epidemiological investigations with the aim to assess, through self-administered

questionnaires, the awareness of parents, hospital personnel and pediatricians, and staff

of day care centres, about the risk of particularly severe diseases (meningitis, neonatal

necrotizing enterocolitis, sepsis) in infants, related to incorrect procedures of handling

and storage, both at home or at the hospital level, of the PIFs.

Results and discussion

The microbiological tests were performed on 122 samples of powdered infant foods: 90

samples were positive (74%). The analysis allowed for identification of bacterial

contamination by Cronobacter spp. in 14 samples and, more generally, a very high

proportion of samples contaminated with Enterobacteriaceae.

The identification through the biochemical API20E-system of 14 strains of Cronobacter

spp. was confirmed by polymerase chain reaction (PCR) gene of the 'α-1,6-glucosidase in

only 11 cases; on the contrary, three strains identified by the API20E-system as E. cloacae

were instead confirmed by PCR as Cronobacter spp. In addition, through sequencing, the

most frequently isolated species within Enterobacter genus was E. hormaechei subsp.

hormaechei, while three further strains were in fact Citrobacter freundii.

These results emphasized the superiority of genotyping methods in comparison with

phenotypic identification (traditional and miniaturized biochemical methods).

The epidemiological surveys conducted on different groups of respondents highlighted the

common belief that PIF is sterile (84.4% of parents, 73.2% of workers of the child care

centres in Palermo, 48.8% of new mothers, 54.4% of hospital staff members and 46.6% of

pediatricians).

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The survey results showed consistently that awareness that PIFs, once reconstituted, may

be a favorable medium to microrganism’s growth is very common and, consequently, all

measures should be observed to minimize any risk after the reconstitution (good hygienic

practices and strict control of time and temperature). Awareness of the primary

contamination is not diffuse, and therefore the use of water at T >70 ° C with the purpose

to inactivate Cronobacter spp. is not widely agreed. Nevertheless, our data confirm a close

attention to good hygiene practices during handling and storage of reconstituted PIFs.

Conclusions

The research activities have highlighted a frequent contamination of the PIF samples under

investigation and stressed the need for frequent training and information about the hazards

related to PIF, targeted not only to consumers/parents, but also to pediatricians and other

health professionals, who should be specifically trained in order to play an appropriate

role in education of parents.

Riassunto

Background

Recenti studi hanno evidenziato il ruolo di Cronobacter spp. ed altri microrganismi

appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae come patogeni emergente, responsabili

di patologie anche molto severe nei neonati a rischio.

Materiali e metodi.

Nel corso del progetto di ricerca, le attività sono state finalizzate a:

- ricerca di enterobatteri su campioni di vari alimenti in polvere per lattanti

- indagini epidemiologiche con l’obiettivo di valutare, attraverso questionari

autosomministrati, la consapevolezza da parte di gruppi di genitori, di operatori sanitari

ospedalieri e pediatri di libera scelta (PLS) e di operatori degli asili-nido, del rischio

dell’insorgenza nei neonati di patologie particolarmente severe (meningite neonatale,

enterocolite necrotizzante, sepsi), connesso alle errate modalità di preparazione,

manipolazione e conservazione, sia a livello domestico, sia a livello ospedaliero, del latte

formulato in polvere (PIF).

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Risultati e discussione

Le analisi microbiologiche sono state effettuate su 122 campioni di alimenti in polvere, di

cui 90 sono risultati positivi (74%). L’analisi ha permesso anche di individuare una

preseunta contaminazione da Cronobacter in 14 campioni e, più in generale, una

proporzione molto elevata di campioni contaminata da batteri appartenenti alla famiglia

delle Enterobacteriaceae. L’identificazione attraverso il sistema API20E di 14 ceppi di

Cronobacter è stata confermata dalla polymerase chain reaction (PCR) del gene dell’α-1,6

glucosidasi solo in 11 casi; al contrario, tre stipiti che l’API20E aveva identificato come E.

cloacae sono stati, invece identificati dalla PCR come Cronobacter. Inoltre, mediante il

sequenziamento, la specie di Enterobacter spp. più frequentemente isolata è risultata E.

hormaechei subsp. hormaechei, mentre tre presunti ceppi di Enterobacter spp. sono stati

attribuiti alla specie Citrobacter freundii. Questi risultati hanno sottolineato la superiorità

dei metodi di tipizzazione genotipica rispetto ai metodi fenotipici (biochimici tradizionali e

miniaturizzati).

L’indagine epidemiologica condotta su diversi gruppi di intervistati ha evidenziato la

comune convinzione che il latte formulato in polvere sia sterile (84,4% dei genitori e

73,2% degli operatori degli asili nido comunali di Palermo, 48,8% delle neo-mamme,

54,40% del personale ospedaliero, 46,60% dei PLS). I risultati dell’indagine hanno invece

dimostrato che è cognizione molto diffusa che i prodotti in polvere, una volta ricostituiti,

possano essere un terreno di moltiplicazione favorevole per i microrganismi e,

conseguentemente, vadano prese tutte le misure per evitare o minimizzare il rischio di

moltiplicazione dopo la ricostituzione (igiene e rispetto di tempi e temperature). Non

essendo diffusa la consapevolezza della contaminazione primaria, non viene

adeguatamente presa in considerazione l’utilizzazione di acqua a T >70°C, la cui finalità è

l’inattivazione di Cronobacter. I dati raccolti confermano un’attenzione elevata verso la

buona prassi igienica di manipolazione durante le fasi di ricostituzione del latte in polvere

Conclusioni

L’attività di ricerca svolta ha messo in evidenza una frequente contaminazione dei prodotti

in polvere per l’infanzia e sottolinea la necessità di interventi di formazione/informazione

sui rischi del latte in polvere mirati, non solo per i consumatori/genitori, ma anche per i

pediatri e per gli altri operatori sanitari che specificatamente dovrebbero essere istruiti in

modo da poter svolgere un ruolo educativo adeguato nei confronti dei genitori.

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1. BACKGROUND

In Italia, sia il Ministero della Salute (Circ. 24-10-200 n° 16), sia la Società Italiana di

Neonatologia raccomandano l’uso esclusivo del latte materno fino al sesto mese di vita.

Dopo tale periodo i neonati necessitano, oltre al latte materno anche di prodotti alimentari

complementari, sicuri dal punto di vista igienico e adeguati sotto il profilo nutritivo, per

soddisfare le crescenti esigenze nutrizionali. Così, dopo il 6° mese di vita, durante il periodo

dello svezzamento, vengono gradualmente introdotti nell’alimentazione del neonato alimenti sia

di origine animale che vegetale, che spesso vengono commercializzati come liofilizzati. Gli

alimenti in polvere per l’infanzia sono regolati dal D.P.R. 7 aprile 1999, n. 128. Regolamento

recante norme per l’attuazione delle direttive 96/5/CE e 98/36/CE sugli alimenti a base di cereali

e altri alimenti destinati a lattanti e a bambini. (pubbl. in Gazz. Uff. n. 109 del 12 maggio 1999).

Qui l’articolo 2 recita “2. (II) I prodotti di cui all'art. 2, comma 1 non devono contenere residui di

singoli antiparassitari superiori a 0,01 mg/kg, ad eccezione delle sostanze i cui livelli specifici di

residui figurano nell'allegato VII, alle quali si applicano pertanto tali livelli specifici, né devono

contenere prodotti geneticamente modificati. Nella composizione di tali prodotti è necessario

prestare una particolare attenzione alla conservazione, alla freschezza e all'assenza di sostanze

nocive negli ingredienti utilizzati. Mentre l’articolo 6 ribadisce che “6. (III) 1. Gli alimenti a base

di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini non devono contenere alcuna

sostanza in quantità tale da mettere a rischio la salute dei lattanti e dei bambini.”

Attualmente in Italia il mercato di distribuzione di tali formule di proseguimento liofilizzate vede

una situazione di predominanza delle farmacie. La presenza di tali alimenti nell’ambito di

vendita delle farmacie può indurre i genitori a considerare sterili gli alimenti di proseguimento

per l’infanzia, reputando erroneamente che anche a questi prodotti si applichino le disposizioni in

ambito igienico sanitario cui sono sottoposti i farmaci. In realtà, i produttori di alimenti per

l’infanzia non garantiscono l’assenza di patogeni in queste preparazioni e nessuna legge obbliga

all’uso di etichette che indichino chiaramente che i loro prodotti potrebbero contenere batteri,

pericolosi in determinate situazioni per soggetti a rischio.

L’uso di alimenti in polvere richiede un’adeguata conoscenza delle corrette modalità di

preparazione e dei rischi igienici che possono derivare da pratiche di manipolazione e

conservazione improprie. Diversamente dal latte formulato liquido, che risulta sterile per effetto

dei trattamenti tecnologici subiti prima della commercializzazione, le formulazioni in polvere

hanno una flora microbica residua composta generalmente da germi saprofiti e da specie

batteriche appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae.

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Negli ultimi anni sono stati segnalati numerosi casi di malattia, a carattere invasivo, associati ad

Enterobacteriaceae quali Panthoea spp, Hafnia alvei, Klebsiella pneumoniae, Citrobacter

koseri,, Citrobacter freundii, in neonati e lattanti, le cui cause potevano essere ricondotte

all’assunzione d’alimenti in polvere per l’infanzia.

Di emergente importanza Cronobacter spp (precedentemente noto come Entrobacter

sakazakii) che l’International Commission on Microbiological Specifications for Foods (ICMSF

) 2002, ha descritto come “una grave minaccia per particolari categorie di persone, delle quali il

batterio mette a rischio la stessa vita o comunque ne può alterare significativamente la qualità a

causa dei postumi, anche a lungo termine, dovuti all’infezione”.

Recentemente è stata proposta una riclassificazione tassonomica di E. sakazakii, che

prevede l’istituzione di cinque specie, sakazakii, turicensis, muytjensii, dublinensis e

genomospecies 1, all'interno di un nuovo genere, "Cronobacter"; tutte le specie esprimono

l’attività α-glucosidasica.

L'aggiornamento dell’originale tassonomia contribuisce ad una maggiore specificità

dell’identificazione nelle procedure diagnostiche in ambito clinico e nel controllo

microbiologico dei prodotti alimentari e rende più affidabile l’attribuzione del rischio nelle

indagini epidemiologiche. (11,12,13)

Cronobacter è considerato un patogeno opportunista a carattere invasivo responsabile di

importanti malattie quali sepsi, meningite e, più raramente, enterocolite necrotizzante (NEC),

soprattutto nei neonati prematuri, nati con basso peso, affetti da deficit del sistema immunitario e

di infezioni nosocomiali, specialmente nei reparti di terapia intensiva pediatrica (4).

Le fonti e le modalità di trasmissione di questo microrganismo non sono ad oggi completamente

chiarite. Dal momento che non è un normale componente della flora intestinale degli animali e

dell’uomo, si suppone una sua diffusione soprattutto a livello ambientale, nelle acque, nei

vegetali, nel suolo, veicolato da insetti e roditori. Da queste fonti Cronobacter potrebbe

giungere a contaminare gli alimenti.

Non ci sono evidenze epidemiologiche che permettono di stabilire il valore preciso della dose

minima infettante; tuttavia, si stima che già 103 cellule di Cronobacter siano capaci di provocare

l’infezione. (1,2,3,4)

L’attenzione sulla gravità di tale evidenza è messa in luce dalle indicazioni contenute nel

regolamento CE n° 2073/05 della Commissione Europea del 2005 sui “Criteri microbiologici

applicabili ai prodotti alimentari”, in cui si individuano i criteri di sicurezza alimentare di diverse

categorie di prodotti dietetici in polvere ai fini medici speciali e destinati ai bambini di età

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inferiore a sei mesi. In particolare sono stati stabiliti i limiti microbiologici per Salmonella ed

Enterobacter sakazakii che devono risultare assenti, rispettivamente in 25g e 10 g di ciascuna

unità campionaria per lotto (in totale 30 unità campionaria per lotto) durante il periodo di

conservabilità del prodotto immesso sul mercato. I risultati sono considerati soddisfacenti se in

tutte le unità campionarie non si rileva la presenza del microrganismo, e insoddisfacenti se anche

una sola unità campionaria risulta contaminata da Enterobacteriaceae. In quest’ultimo caso il

lotto deve essere sottoposto alla ricerca di E. sakazakii e Salmonella enterica. (25, 29,22)

La presenza di Cronobacter nelle formulazioni di latte in polvere può essere dovuta sia a

contaminazioni post-pastorizzazione a livello di industria produttrice, sia a contaminazioni

durante la preparazione per il consumo finale del prodotto, poiché il microrganismo presenta

elevata resistenza all’essiccamento e capacità di aderire tenacemente e produrre biofilm in

utensili e contenitori di uso abituale, ma anche superfici di materiale usato nella produzione,

preparazione e somministrazione di prodotti alimentari come plastica, silicone, lattice e cloruro

di polivinile, policarbonato (Lehner et al. 2005; Iversen et al., 2004; Zogaj et al., 2003), meno

frequentemente su vetro (Lehner et al. 2005) e acciaio inossidabile (Iversen et al., 2004).

Nonostante il ruolo patogeno occasionale di Cronobacter, la particolare gravità delle

manifestazioni cliniche, unita all’alto tasso di letalità ed alla particolare categoria di pazienti

implicati, spiegano la necessità di adottare rigorose misure di controllo.

A causa della severità delle infezioni sostenute da Cronobacter è necessaria una riduzione del

rischio da esso rappresentato, intraprendendo una serie di rigorose misure di controllo sia a

livello industriale, per prevenire la contaminazione del prodotto lungo la filiera produttiva sino al

consumatore, sia a livello domestico per ridurre la contaminazione del prodotto ricostituito

durante la preparazione, manipolazione, conservazione, nonché a livello legislativo per stabilire

linee guida e raccomandazioni, per garantire la sicurezza degli alimenti destinati all’infanzia.

Va sottolineato, però, che la necessità di regolamentare adeguatamente il settore degli alimenti

destinati all'infanzia è da sempre stata oggetto anche dell'attenzione della comunità

internazionale e, attraverso la commissione Codex Alimentarius della FAO (Food and

Agriculture Organization) e della WHO (World Health Organization), è stato elaborato un

insieme di norme, di codici d'uso, di direttive e di raccomandazioni, cui tutti gli Stati membri

della FAO/WHO hanno aderito, da utilizzarsi come punto di riferimento normativo in materia di

produzione e commercializzazione degli alimenti destinati all'infanzia. L'obiettivo, duplice, era

rappresentato dall'esigenza di facilitare gli scambi dei prodotti a livello mondiale e, nel

contempo, di proteggere la salute dei bambini.(10, 22, 29)

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Il volume 4 della “Codex Alimentarius Commission” raccoglie le raccomandazioni sulla

nutrizione e la descrizione dei cibi destinati ad "un'alimentazione particolare", includendo in

questa definizione gli alimenti destinati ai neonati e ai bambini e le relative norme igieniche di

produzione. Contribuendo al miglioramento delle condizioni igieniche negli stabilimenti di

produzione delle formule in polvere per lattanti (PIF), determinando un abbassamento del livello

di contaminazione dei prodotti con Cronobacter spp. In questo volume inoltre sono riportate le

norme di etichettatura di questi prodotti (CODEX-STAN 146-1985), i principi generali per

l’aggiunta dei nutrienti essenziali nei cibi (Codex Alimentarius Commission Guideline 09-1987,

emendata nel 1989 e nel 1991), gli standard per le “infant formula” (CODEX STAN 72-1981,

emendati nel 1983, nel 1985 e nel 1987), norma per gli standard sugli alimenti diversificati

dell’infanzia “canned baby foods” (CODEX STAN 73-1981, emendato nel 1985, nel 1987 e nel

1989), standard per gli alimenti a base di cereali per lattanti e bambini nella prima infanzia

(CODEX STAN 74-1981, emendato nel 1985, nel 1987, nel 1989 e nel 1991, e attualmente in

corso di ulteriore revisione) e infine gli standard per le formule di proseguimento (CODEX

STAN 156-1987, emendati nel 1989). In questo volume possiamo trovare anche le linee guida

per la produzione di preparati alimentari di complemento destinati a lattanti a partire da sei mesi

fino ad un anno e a bambini da uno a tre anni (Codex Alimentarius Commission Guideline 08-

1991). (10,22,29)

La velocità con la quale le conoscenze scientifiche e tecnologiche condizionano la produzione di

questi alimenti è tale da rendere necessario un adeguamento altrettanto rapido della normativa

nel regolamentare produzione e commercializzazione di prodotti ritenuti da sempre

particolarmente delicati, sia per la tipologia di utenza alla quale vengono destinati, sia per la loro

stessa natura.

CARATTERISTICHE GENERALI DI Cronobacter spp.

1.1. Caratteristiche morfologiche

Cronobacter spp è un bacillo Gram-negativo, asporigeno, mesofilo, patogeno opportunista

appartenente alla Famiglia delle Enterobacteriaceae, genere Enterobacter, recentemente

collocato all’interno di un nuovo genere “Cronobacter”. (11,12)

I microrganismi appartenenti a questo genere sono caratterizzati dalla forma bastoncellare

allungata, con dimensioni di 0,6-1x1,2-3 µm e sono mobili in quanto dotati di flagelli

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peritrichi. In quanto batterio Gram negativo, possiede le endotossine, componenti

lipopolisaccaridiche della membrana cellulare, termoresistenti e responsabili di attività

tossica, effetto pirogeno e danni all’apparato circolatorio. Cronobacter può presentare

anche una capsula composta da eteropolisaccaridi (29-30% acido glucuronico, 23-30%

glucosio, 19-24% galattosio, 13-22% fucosio, 0-8% mannosio) a cui probabilmente si deve

la lunga sopravvivenza, fino a 24 mesi, del microrganismo nel latte in polvere. La capsula

inoltre è responsabile dell’adesione a superfici di lattice, silicone e persino acciaio

inossidabile, sulle quali determina la formazione di un biofilm che lo rende più resistente

agli agenti disinfettanti. (3,20,22)

1.2 Caratteristiche biochimiche

I microrganismi del genere Enterobacter sono anaerobi facoltativi e generalmente ossidasi

negativi, fermentano il glucosio con produzione di acido e gas, sono positivi alla reazione

di Voges-Proskauer, alle reazioni della α-glucosidasi (caratteristica che differenzia

Cronobacter dalle altre specie di Enterobacter) e di assimilazione del citrato, negativi al

test del rosso metile.

Tabella 1:caratteristiche principali dei più comuni generi di enterobatteri. Da: Framer e Kelly 1992

+ = positivo; V = variabile; - = negativo

Le caratteristiche biochimiche che possono essere utilizzate per distinguere

fenotipicamente le specie di Cronobacter dalla specie E.cloacae (specie tipo del genere

11

PRINCIPALICARATTERISTICHE DIFFERENZIALI

Salm

onel

la

Kle

bsie

lla

Ent

erob

acte

r

Serr

atia

Prot

eus

Esch

eric

hia

Shig

ella

Citr

obac

ter

Mobilità - - + + + + - +Produzione di H2S + - - - + - - +V-P - + + + V - - -Produzione di indolo - - - V V + + -β-galattosidasi - + + + - + V +Ureasi - + - V + - - VLisina decarbossilasi + + + + - V - -Fermentazione del lattosio - + + V - + - +Fermentazione del glucosio - + + + V V - V

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Enterobacter), sono rappresentate dall’assenza di attività fermentativa sul D-sorbitolo e

dalla mancata produzione di ossidasi e fosfoamidasi da parte di Cronobacter, unitamente

alla sua capacità di produrre α-glucosidasi e Tween80 esterasi ed infine alla presenza di

un’attività DNAsica ritardata.(3,20,22)

1.3 Caratteristiche colturali

Cronobacter cresce facilmente sui comuni terreni di coltura, producendo una

pigmentazione giallo-brillante non diffusibile, in particolare, su Trypticase Soy Agar,

Diagnostic Sensivity Test Agar, Brain Heart Infusion Agar e Agar sangue, dopo 24-48 ore

di incubazione; il pigmento giallo è più evidente dopo incubazione a 25°C piuttosto che a

37°C e le colonie presentano un diametro che va da 1mm a 1,5mm.

Proprio sulla base di tale caratteristica, Cronobacter era stato originariamente incluso nella

specie E. cloacae come “E. cloacae pigmentato in giallo”, data la peculiare caratteristica di

formare colonie di colore variabile dal giallo brillante al giallo pallido.

Negli anni ‘80 Farmer et al.(11,12,22) hanno proposto l’elevazione a livello di specie sulla

base delle differenze individuate con il metodo della DNA ibridazione, oltre che in base a

reazioni biochimiche ed appunto alla produzione di colonie di colore giallo brillante.

Dopo subcultura si possono osservare due tipi di colonie morfologicamente diverse:

colonie dentellate, rugose e asciutte, e colonie lisce. Non è noto se questo diverso aspetto

sia correlato a variazioni di virulenza o a differenze fenotipiche o genotipiche. Dato che

altre specie di Enterobacteriaceae, tra cui E. vulneris e Pantoea agglomerans, producono

pigmento giallo, questa caratteristica da sola non può essere utilizzata per differenziarlo

dalle altre specie senza ricorrere ad ulteriori test.

In base ai risultati di diverse reazioni biochimiche di Cronobacter è stato diviso in 15

biogruppi (Farmer et al.1980), di cui il biogruppo 1 è il più diffuso e si caratterizza per la

positività alle seguenti reazioni biochimiche: test dell’inositolo e dell’ornitina, produzione

di gas e di nitrati/nitriti, reazione di Voges-Proskauer e dell’α-metilglucoside; dà invece

reazione negativa al test dell’indolo, all’utilizzazione del malonato e alla fermentazione del

dulcitolo. Attualmente, viene tipizzato con tecniche di biologia molecolare: PFGE

(Pulsed-Field Gel Elettrophoresis), RAPD (Random Amplification of Polymorphic DNA),

sequenziamento e ribotipizzazione che permettono una efficiente differenziazione tra ceppi

(Bruce,1996; Clark et al.,1990; Nazarowec-White e Farber,1999).

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Si può utilizzare la tipizzazione biochimica come strumento di screening in seguito ad

episodi di infezione da Cronobacter, e i metodi di tipizzazione molecolare (RAPD e

PFGE) per una più accurata caratterizzazione degli isolati.

1.4 Caratteristiche di resistenza alle condizioni ambientali e fattori di virulenza

Per quanto riguarda la resistenza di Cronobacter alle basse temperature, il limite inferiore

di sviluppo è 5,5°C. Questo dato è importante per quanto riguarda la possibilità di

moltiplicazione del microrganismo nel latte formulato in polvere conservato mediante

refrigerazione in ambiente domestico od ospedaliero una volta ricostituito, anche se a

questa temperatura Cronobacter presenta un tempo di duplicazione piuttosto lungo,

quantificato in circa 10 ore.

A temperatura ambiente invece il tempo di duplicazione è risultato di 40 minuti nelle

condizioni saggiate da Nazarowec-White e Farber (1997); secondo Havelaar e Zwietering

(2004) questi valori sarebbero tali da determinare il rischio di infezione da Cronobacter di

crescere su vari terreni di coltura non selettivi e in latte in polvere ricostituito a diverse

temperature, rilevando in tutti i ceppi esaminati la capacità di svilupparsi in un range tra 6

e 47 °C.

Nazarowec-White e Farber (1997) hanno studiato la resistenza al calore di Cronobacter nei

prodotti in polvere per l’infanzia e hanno riscontrato una maggiore termotolleranza rispetto

alle altre Enterobacteriaceae, anche se non sufficiente a garantire la sopravvivenza alle

alte temperature raggiunte durante la pastorizzazione. La contaminazione avverrebbe,

dunque, durante il processo di disidratazione e quello di confezionamento degli alimenti. A

questo riguardo è importante sottolineare che il microrganismo dimostra un’elevata

resistenza all’essiccamento, in quanto sopravvive anche a bassi valori di aw (0,2), quali

quelli degli alimenti in polvere, grazie all’effetto protettivo dallo stress osmotico

determinato dal trealosio che funge da stabilizzante della membrana (Breewer et al., 2003).

La buona sopravvivenza delle cellule di Cronobacter sottoposte ad essicazione ad elevate

temperature (45°C) e la capacità di crescere fino a 47°C, dimostrano che in condizioni di

ambiente caldo e secco, come si possono avere ad esempio in prossimità delle industrie, il

batterio si trova competitivamente avvantaggiato rispetto ad altre Enterobacteriaceae

(Breewer et al., 2004). Inoltre, alcuni ceppi di Cronobacter sono capaci di sopravvivere ad

elevate concentrazioni di sorbitolo soprattutto se il microrganismo si trova in fase

stazionaria piuttosto che in fase di moltiplicazione.

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I fattori di virulenza di Cronobacter sono poco noti: alcuni ceppi producono sostanze

simili ed enterotossine o dimostrano un effetto citotossico.

I diversi generi della famiglia delle Enterobacteriaceae possiedono numerosi fattori di

virulenza, tra i più importanti: antigeni somatici, adesine, resistenza al siero, enterotossine,

cicline, siderofori, emolisina, lipasi e DNAsi. Affinché i fattori di patogenicità possano

entrare in azione è necessario che il microrganismo sopravviva nell’ambiente acido

gastrico e superi l’epitelio intestinale. Ciò è ovviamente molto più semplice nell’ambiente

gastrico di un bambino prematuro piuttosto che in un adulto e quindi anche bassi livelli di

contaminazione possono dare luogo all’infezione. Le adesine spesso sono anche

emoagglutinine e possono essere localizzate nelle fimbrie. E’ stato visto che, in coltura di

tessuto di mammifero, Cronobacter può aderire a cellule intestinali, ma sono ancora noti i

recettori cellulari e le adesine batteriche specifiche coinvolti in questo processo.

1.5 Fonti e modalità di trasmissione

Come riportato da Kandhai et al. (2004), Cronobacter non è stato isolato da acque di

superficie, suolo, fango, legno in decomposizione, granaglie, letame di avicoli, roditori,

bovini, latte bovino non trattato, ma da miscelatori e spazzole per la pulizia dei contenitori

per il latte, oltre che da vari alimenti di origine animale come latte e formaggi, carne

macinata, pesce e alimenti di origine vegetale come cereali, frutta e verdura, prodotti di

leguminose, erbe e spezie, ma anche acque e bevande, utilizzate per la preparazione di

prodotti alimentari, sono stati ritrovati contaminati da Cronobacter.

1.6 Epidemiologia e manifestazioni cliniche

I microrganismi del genere Enterobacter sono comunemente considerati patogeni

opportunisti e raramente causano patologie negli individui sani. Tuttavia Cronobacter si è

reso responsabile di focolai con un alto tasso di mortalità in neonati e bambini nati

prematuri (Farber et al. 2004).

Attualmente non ci sono evidenze epidemiologiche che permettono di stabilire il preciso

valore della dose infettante, ma si stima che già 1000 cellule siano capaci di provocare

un’infezione (Fiore A. e al., Rapporto ISTISAN 04/13, 2004). E’ molto improbabile che i

bassi livelli di contaminazione, comunemente riscontrati negli alimenti in polvere (0,22-

1,61 CFU/100g) (21), possano causare infezione, tranne se lasciati a temperatura d’abuso

per lungo tempo prima del consumo, come precedentemente detto.

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I limiti microbiologici stabiliti per Enterobacteriaceae per questi prodotti non sembrano

rappresentare livelli di sicurezza sufficienti, come testimoniano scoppi di malattie causate

da concentrazioni di enterobatteri sotto questi limiti.

Il primo caso di meningite neonatale attribuito a questo microrganismo risale al 1961 nel

Regno Unito. Da allora il microrganismo è risultato responsabile di un numero crescente

sia di casi sporadici che di piccoli focolai d’infezione in neonati e in nati pre-termine sia

negli USA , in Canada e in vari paesi dell’Europa.

Nel 1988 Muytjens H et al.(33) esaminarono 141 campioni di latte artificiale proveniente

da 35 paesi e il 52,5% risultò contaminato da enterobatteri. Da allora ci sono state

numerose segnalazioni di casi sporadici ed epidemici d’infezione e malattia (sepsi,

meningite, diarrea enterocolite necrotizzante, infezione delle vie urinarie) provocate dalla

contaminazione batterica nel latte artificiale. Tale contaminazione era intrinseca, cioè

dovuta alla presenza di enterobatteri prima che i contenitori venissero aperti (Suthienkul O.

et al. 1999).

Nel 1989 fu segnalata un’epidemia nel Tennessee, USA, dove su 49 neonati presenti nel

reparto di terapia intensiva neonatale (TIN), 1 morì di meningite, 2 contrassero infezione e

malattia, ed altri 7 risultarono colonizzati da Cronobacter (Centers for Disease Control

and Prevention, Atlanta USA). (3,20,22,23)

Un allarme di maggiore importanza è stato sollevato nel corso del 2001 quando si è

verificata la stessa infezione e malattia in un neonato a termine, sano, dell’età di 5 giorni

morto di meningite in Belgio. (20,22,23)

Negli ultimi anni sono aumentate le segnalazioni di infezione di Cronobacter in tutto il

mondo, probabilmente per l’aumento dei soggetti a rischio e le migliorate capacità

diagnostiche. Sulla base dei dati raccolti dal Centers for Disease Control and Prevention, si

stima che ci sono approssimativamente 6 nuovi casi di infezione da Cronobacter riportati

ogni anno in tutto il mondo (20). In Francia nel 2006 sono stati segnalati due casi di

meningite ad esito mortale, riconducibili a un’infezione da Cronobacter, in due neonati

prematuri alimentati con latte in polvere.

L’allarme sollevato dalla contaminazione del latte in polvere e dalle elevate percentuali di

letalità nella casistica (dal 33% al 75%), ha portato al ritiro di partite sospette di latte

formulato da parte della Nestlè in Belgio e da parte della Mead Johnson negli USA. Nel

novembre del 2002, la Wyeth ha ritirato una partita completa di prodotti (11 marchi

differenti), prodotta in una delle sue fabbriche negli USA che si era scoperta contaminata.

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L’allarme ha anche condotto le autorità sanitarie del Belgio e degli USA alla emanazione

di norme di sicurezza rivolte agli operatori sanitari, in gran parte sulla preparazione,

manipolazione, conservazione e somministrazione di latte in polvere. (3,20,22,23)

Cronobacter spp. è stato principalmente associato con le infezioni neonatali, ma recenti

dati hanno fatto emergere un elevato rischio di infezione per gli adulti

immunocompromessi, particolarmente per gli anziani. Jimenez and Gimenez (34) nel 1982

riportarono il primo caso di infezione da Cronobacter spp. isolandolo da un soggetto

adulto con batteremia. Altri 19 casi di infezione in soggetti adulti sono stati osservati in

Irlanda, i cui sintomi clinici erano: polmonite, sepsi, ulcere nei piedi, ferite infette,

osteomieliti, e ascessi splenici. Gosney et al. nel 2006 hanno esaminato 203 soggetti con

ictus ed hanno isolato dalla cavità orale di 7 di questi Cronobacter spp . See et al. nel 2007

riportano il primo caso di infezione da Cronobacter spp. in soggetto adulto non

immunocompromesso, era una donna di 75 anni con un ascesso splenico. Questo caso

suggerisce che i soggetti anziani possono essere molto suscettibili all’infezione da

Cronobacter spp. (20)

Negli adulti non sono stati finora segnalati casi mortali o di interessamento del sistema

nervoso centrale, come invece si osservano nei neonati.

Per quanto riguarda la situazione italiana, ad oggi non si segnalano casi clinici, ma

mancano un sistema di sorveglianza efficiente e indagini che analizzino in maniera precisa

il grado di esposizione al rischio, accertando il livello di contaminazione degli alimenti,

degli ambienti ospedalieri e domestici, delle industrie di tali prodotti alimentari. Inoltre in

ambito di diagnostica microbiologica di routine, la capacità di diagnosticare l’infezione di

Cronobacter è scarsa o nulla.

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Tabella2: principali casi sporadici ed epidemici di infezioni neonatali da Cronobacter nel mondo. Da A.B. Bowen, C.R. Braden Enterobacter sakazakii disease and epidemiology. Enterobacter sakazakii. Edited by J.M. Farber and S.J. Forsythe, 2008, p 113. ASM Press, Washington, D.C.

Anno di

pubblicazione Paes

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in p

olve

re

impl

icat

i

com

e

sorg

ente

1961 Regno

Unito

2 N.S. N.S. N.S. 2 NO

1983 Olanda 5 N.S. N.S. N.S. 4 SI

1987 Grecia N.S. N.S. 11 N.S. 4 NO

1989 Islanda 3 N.S. 1 N.S. 1 SI

1989 USA N.S. 2 2 N.S. N.S. SI

2001 Belgio 1 1 N.S. 12 2 SI

2002 Israele 1 2 3 N.S. 0 SI

2002 USA 1 N.S. 8 N.S. 1 SI

2006 Francia 2 0 7 N.S. 2 SI

2. OBIETTIVI17

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Alla luce di quanto è emerso dai recenti studi sul ruolo di Cronobacter come patogeno

emergente e responsabile di patologie anche molto severe nei neonati a rischio, si è voluto

procedere alla ricerca di tale microrganismo su campioni di vari alimenti in polvere per

lattanti, provenienti da negozi specializzati nel settore, dagli asili nido comunali di Palermo

e dalla Unità di Terapia Intensiva Neonatale di un ospedale palermitano.

Nei formulati in polvere per neonati oltre Cronobacter possono trovarsi altri

microrganismi Gram-negativi come Klebsiella pneumoniae, Citrobacter freundii, K.

oxytoca, E.cloacae, Pantoea agglomerans, Escherichia vulneris, E. agglomerans.

Raoultella ornithinolytica, E.coli.

Poiché non è ancora definito l’eventuale ruolo patogeno esplicato da altre specie di

Enterobacteriaceae in ambito neonatale, l’indagine è stata estesa anche alla ricerca di altre

specie appartenenti a questa famiglia.

Pertanto gli obiettivi da raggiungere sono stati:

Effettuare una valutazione della qualità igienica dell’alimento, attraverso la rilevazione

della presenza di microrganismi della famiglia Enterobacteriaceae, tramite tecniche di

isolamento colturale standardizzate (Chen Y. et al., 2009);

Verificare la prevalenza di Cronobacter ed altri enterobatteri opportunisti o

potenzialmente patogeni in campioni di alimenti in polvere destinati all’alimentazione

dei neonati;

Ottenere informazioni sulla consapevolezza del rischio microbiologico connesso

all’uso del latte in polvere per neonati da parte di operatori sanitari (reparti di

neonatologia e Terapia intensiva neonatale), operatori degli Asili-nido e genitori

Sviluppare linee-guida per un uso sicuro dei prodotti in polvere per neonati, basate

sulle evidenze scientifiche, destinate alle varie tipologie di utenti

3. MATERIALI E METODI

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Indagine microbiologica

3.1.Campioni analizzati

Da gennaio 2008 a novembre 2010 sono stati raccolti 122 campioni di prodotti in polvere

per lattanti (creme di riso e cereali, semolino, pappe lattee, liofilizzati di carne, latte in

polvere, bevande, crema di legumi, passati di verdure, brodi di verdure e di carne) delle 5

marche più comuni (Plasmon, Mellin, Milupa, Mio, Dieterba, Humana): acquistati presso

un negozio palermitano specializzato nel settore o pervenuti dagli asili nido comunali della

città, di questi, 3 campioni di latte in polvere per lattanti di diversa marca e per patologie

specifiche (reflusso gastro-esofageo, intolleranza al lattosio) sono stati raccolti presso

l’Unità di Terapia Intensiva Neonatale di un’Azienda Ospedaliera della città di Palermo.

Le confezioni erano integre, non manomesse e conservate lontano da luce e fonte di calore;

l’analisi è stata effettuata entro i tempi di scadenza.

3.2. Esame colturale

I metodi tradizionali di identificazione delle Enterobacteriaceae prevedono l’isolamento

di colture pure seguito da test che analizzano alcune caratteristiche fenotipiche, quali i

caratteri biochimici e morfologici.

Tra i diversi protocolli di isolamento attualmente disponibili, il procedimento che è stato

seguito è quello proposto dalla Food and Drug Administration (FDA) nell’agosto del 2002

e confermato dall’OMS nel 2004, che permette di isolare i microrganismi, anche se

presenti nel campione a bassi livelli di carica batterica (<100/g). Nel metodo FDA le

colonie sospette vengono identificate per mezzo di test biochimici tradizionali e di sistemi

miniaturizzati (API20E, BioMèrieux).

L’intera procedura può essere divisa in 4 fasi:

Fase di pre-arricchimento:

prevede il prelievo di 100 g di campione e la sua reidratazione in 900 ml di acqua distillata

sterile pre-riscaldata a 44,5±0,2°C, segue la successiva omogeneizzazione manuale ed

incubazione in camera termostatata a 37±1°C overnight- per le creme, le pappe lattee, le

bevande, i brodi ed il latte in polvere 100 gr di campione sono stati prelevati e trasferiti in

900 ml di acqua distillata sterile preriscaldata a 45°C

Per i liofilizzati di carne 30 gr di campione sono stati prelevati e risospesi in 270 ml di

acqua distillata sterile preriscaldata a 45°C

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Figura 1. Fase di pre-arricchimento: la figura mostra 3 aliquote di polvere da 100 g sospese in 900 ml di acqua distillata sterile a 45°C.

Fase di arricchimento selettivo:

dopo incubazione vengono prelevati 10 ml di ciascuna delle brodo colture ottenute e

trasferiti in 90 ml di brodo di arricchimento selettivo per Enterobacteriaceae, EEbroth

(Enterobacteriaceae Enrichment broth), che contiene sali biliari e verde brillante che

sopprimono la crescita di batteri non appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae e

favorisce la rivitalizzazione delle cellule batteriche danneggiate dalla disidratazione. I

brodi di arricchimento vengono incubati in camera termostatata a 37±1°C overnight. Per

aumentare la sensibilità e l’attendibilità, questa fase viene effettuata in doppio per ogni

campione.

20

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Figura 2: fase di arricchimento in 0,90 ml di EE broth

Fase di selezione: una prima selezione avviene mediante semina in doppio per

spatolamento di 0,1ml delle colture di arricchimento in agar VRBG (Violet Red

Bile Glucose Agar), poi le piastre seminate vengono incubate a 37°C overnight in

camera termostatica. Per la presenza del cristal violetto e di sali biliari nel terreno,

che inibiscono la crescita dei batteri Gram positivi, viene operata una selezione

dei Gram negativi.

Le colonie tipiche di Cronobacter sono rosso porpora circondate da un alone di acidi

biliari, grazie alla capacità delle Enterobacteriaceae di fermentare il glucosio producendo

acidi e/o gas, che fanno virare il pH del terreno provocando una variazione della sua

colorazione. In caso di osservata eterogeneità delle colonie nella stessa piastra di Petri

viene operata una subcultura di queste ultime in una piastra di agar Mac Conkey n.3

(substrato selettivo per Gram negativi fermentanti il lattosio e non fermentanti, usato per la

crescita differenziata delle colonie isolate che appaiono rosse per il viraggio all’acido

dell’indicatore rosso neutro) e incubando a 37°C overnight in camera termostatica.

La bassa affidabilità come prova di conferma è data dal fatto che oltre ad

Enterobacter,anche i batteri dei generi Klebsiella ed Escherichia possono formare colonie

di colore rosso. Le colonie così isolate possono così essere sottoposte alla fase di

identificazione.

21

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Figura 3: isolamento colturale dopo semina e incubazione su piastra di VRBGA

Fase di identificazione: le tecniche di identificazione esposte nel metodo FDA prevedono

l’utilizzo di piastre di DST (Diagnostic Sensivity Test) agar, prove biochimiche

tradizionali del sistema API 20E.

PRODUZIONE DI PIGMENTO GIALLO SU DST AGAR: per la valutazione della

produzione di pigmento giallo caratteristico di Cronobacter le colonie presuntive vengono

prelevate e trasferite per striscio in piastre DST e incubate a 25°C per 48-72 ore. Poi si

procede alla conferma biochimica delle colonie gialle mediante prove biochimiche

tradizionale o API 20E.

Figura 4: crescita di Cronobacter in terreno DST, è visibile la produzione di pigmento giallo brillante tipico

del batterio

22

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PROVE BIOCHIMICHE TRADIZIONALI: l’identificazione biochimica prevede una fase

di screening effettuata attraverso prove biochimiche tradizionali “in house”,seguita

dall’utilizzazione dell’API 20E sulle colture con caratteristiche predittive del genere

Enterobacter.

I test biochimici tradizionali prevedono: KIA (Kliger Iron Agar), agar citrato, MIL

(Motility Indole-Lisine Medium), il test Voges-Proskauer e la prova dell’indolo. Questi

test si basano su prove biochimiche colorimetriche enzima-substrato. La colonia da

identificare è stata prelevata e seminata per infissione o semina in superficie, sui terreni

contenenti diversi substrati. Il viraggio colorimetrico dovuto all’aggiunta di specifici

reattivi permette di valutare specifiche caratteristiche biochimiche come la presenza di

enzimi citrato decarbossilasi, lisina decarbossilasi, lisina deaminasi, la motilità e la

produzione di indolo.

Figura 5: terreni per le prove biochimiche

API20E: sistema di identificazione per Enterobacteriaceae, che utilizza 23 test biochimici

standardizzati e miniaturizzati. Il sistema consiste di una striscia di plastica con 20 celle

miniaturizzate contenenti i substrati disidratati in cui viene aggiunta una sospensione del

microrganismo in esame, una camera di incubazione in plastica con un coperchio non a

chiusura ermetica. La lettura viene fatta dopo 24 ore di incubazione overnight a 37°C in

camera termostatica osservando le reazioni colorate avvenute nelle cellette.

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Le reazioni prodotte durante il periodo di incubazione si traducono in viraggi di colore. La

ditta produttrice fornisce schemi di lettura che permettono di convertire le interpretazioni

visive delle reazioni colorate in un codice di biotipo a sette cifre che, tramite l’assistenza di

un software dedicato, fornisce l’identificazione dei diversi ceppi con le percentuali di

probabilità relative ad ogni specie che può generare lo stesso codice.

(http://www.cfsan.fda.gov/~comm/mmesakaz.html).

Figura 6: Test API 20E per l’identificazione biochimica delle Enterobacteriaceae. Il test mostrato nella figura evidenzia le reazioni biochimiche che permettono l’identificazione di Cronobacter.

3.3 Sensibilità agli antibiotici

Nonostante Cronobacter sia sensibile alla terapia antibiotica comunemente impiegata per il

trattamento dell’infezione, alcuni autori (Burgos e Varala, 2002) hanno segnalato casi di

antibiotico-resistenza.

Un primo studio condotto nel 1986, per valutare la concentrazione minima inibente (MIC)

di 29 molecole, con il metodo della “diluizione in agar”, ha dimostrato che Cronobacter

era sensibile a tutti gli agenti testati, tranne che alla cefalotina e al sulfametoxazolo

(Muytjens e Van Der Ros-Van Der Repe, 1986).

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Tabella 3: Cronobacter : sensibilità agli antibiotici. Muytjens e Van Der Ros-Van Der Repe, 1986

Farmaco

MIC (µg/ml) per Cronobacter (195 ceppi)

Range 50% 90%

Ampicillina 0,25->128 2 4

Cefaloridina 2-128 8 16

Cefalotina 2->128 64 128

Cefamandolo ≤0,125-128 2 4

Cefoperazone ≤0,125-16 1 2

Ceforanide ≤0,125->128 1 2

Cefotaxime ≤0,03-0,5 0,125 0,125

Cefoxitin 0,5->128 8 16

Cefsulodin 2->128 32 32

Ceftazidime ≤0,03-1 0,125 0,25

Ceftizoxime ≤0,125-1 ≤0,125 ≤0,125

Ceftriaxone ≤0,03-0,5 0,06 0,125

Cefuroxime 0,25-32 4 8

Cloramfenicolo 1->128 8 16

Ciprofloxacin ≤0,06-0,25 ≤0,06 ≤0,06

Doxiciclin 1-32 4 4

Gentamicina 0,06-1 0,25 0,25

* MIC necessaria per inibire la crescita del 50% dei ceppi e il 90% dei ceppi

Nel 2001 un lavoro di Lai (22,32) dimostra che Enterobacter sakazakii è resistente

all’ampicillina, alla cefazolina e alle penicilline ad ampio spettro, sensibile agli

aminoglicosidi e al trimetropim- sulfametoxazolo, mentre risulta variabile la sensibilità alla

cefalosporine di terza generazione e ai chinoloni. (22)

Per questa ragione Lai ha proposto il ricorso ai carbapenemi e alle cefalosporine di terza

generazione associate ad un aminoglicoside o al trimetropim-sulfametoxazolo per il

trattamento della meningite. Tuttavia, un successivo lavoro (Block et al., 2002), su un

ceppo di Cronobacter isolato da un’infezione, riportava la resistenza del microrganismo a

vari antibiotici quali: ampicillina, gentamicina, cefotaxime.

Nello stesso anno, 2002, è stato condotto uno studio per verificare la sensibilità naturale di

107 ceppi di Cronobacter nei confronti di 69 agenti antimicrobici. Tutte le specie sono

risultate sensibili a: tetracicline, aminoglicosidi, antibiotici β-lattamici, chinoloni,

antifolati, cloramfenicolo e nitrofurantoina; mentre sono risultate resistenti ad: oxacillina,

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penicillina G, alcuni macrolidi, lincosamidi, streptogramine, rifampicina e acido fusidico

(Stock e Wiedemann, 2002).

L’antibiotico resistenza di Cronobacter sembra essere sotto il controllo di un plasmide e un

integrone (Girlich et al., 2001)

3.4 Metodi genetici per l’identificazione degli enterobatteri

Accanto ai metodi fenotipici tradizionali, un notevole contributo per un’ attendibile

identificazione batterica deriva dalle tecniche di biologia molecolare basate sulla PCR

(Polymerase Chain Reaction) che si sono rivelate un mezzo estremamente veloce ed

efficace per l’identificazione, la tipizzazione e il monitoraggio dei batteri presenti nei

diversi campioni (ambienti naturali, acqua, suolo, aria, tratto intestinale, alimenti, ecc.).

3.4.1. PCR

La PCR permette una rapida identificazione del batterio presente nell’alimento: essa,

infatti, conoscendo la sequenza nucleotidica delle estremità del gene da amplificare,

permette di sintetizzare rapidamente in vitro grandi quantità di DNA, anche a partire da

una singola molecola presente nel campione in esame.

Vista la crescente importanza di Cronobacter come potenziale patogeno, recentemente è

stato sviluppato un protocollo specifico per la sua identificazione, che prevede, mediante

l’utilizzo di primers specie-specifici, l’amplificazione della sequenza del gene responsabile

dell’attività dell’enzima 1,6 α glicosidasi, che idrolizza il substrato 4-metilumbelliferil α

D-glucoside, un enzima presente nel 100% dei ceppi di Cronobacter studiati, mentre non è

presente nelle altre specie di Enterobacter. Questo protocollo offre quindi il vantaggio di

una specificità molto elevata a livello di identificazione di specie.

I primers utilizzati sono:

forward: EsAgf: 5’- TGA AAG CAA TCG ACA AGA AG - 3’

reverse: EsAgr: 5’- ACT CAT TAC CCC TCC TGA TG - 3’

I campioni di acidi nucleici sottoposti alla reazione di amplificazione sono stati ottenuti da

un processo di estrazione del DNA delle colonie batteriche identificate presuntivamente

come appartenenti al genere Enterobacter.

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ESTRAZIONE DEL DNA CELLULARE MEDIANTE IL METODO DELLA LISI

CELLULARE:

una coltura batterica viene trasferita in 2,5 ml di brodo nutritivo per

Enterobacteriaceae LB broth (Luria Broth) e incubata a 36°C overnight.

1 ml di LB viene trasferito in provette tipo Eppendorf da 1,5 ml e centrifugato a 1300

rpm per 5’.

il pellet viene risospeso in 50 µl di soluzione tampone TE (Tris/EDTA 10/1 mM) per

neutralizzare l’attività della DNAsi, grazie all’EDTA che è un chelante degli ioni

Mg²+, necessari per l’attività enzimatica.

trasferire la sospensione in provette da 0,5 ml e bollire per 5’, poi aggiungere 10 µl di

lisozima (0,6 mg/ml) e lasciare in ghiaccio per 15’.

aggiungere 20 µl di Proteinasi K (0,5 mg/ml) e incubare 10’ a 55°C.

aggiungere 20 µl di RNAsi (0,5 mg/ml) e incubare 15’ a 37°C.

conservare a -20°C fino al momento dell’utilizzo.

Metodo per l’identificazione molecolare di Cronobacter: PCR del gene dell' α-1,6

glucosidasi.

Un notevole contributo per una identificazione e caratterizzazione di Cronobacter più

attendibile rispetto all’identificazione biochimica, è derivato dalla creazione di un

protocollo specifico per l’isolamento del microrganismo mediante la tecnica di PCR. La

sequenza-bersaglio da amplificare è quella del gene che, in Cronobacter, codifica per

l’enzima α-1,6 glucosidasi (Lehner et al., 2006). Infatti, il 100% dei ceppi di Cronobacter

studiati, sono risultati positivi per questo enzima mentre, le altre specie di Enterobacter

sembrano non possederlo (Muytjens et al., 1984). Questo protocollo di amplificazione

offre quindi il vantaggio di una specificità a livello di specie ed è stato da noi utilizzato

come conferma all’identificazione biochimica. I primer “specie-specifici” applicati per la

PCR del gene a cui si deve l’attività dell’enzima presente in Cronobacter sono i seguenti:

per il filamento forward, il primer EsAgf: 5’-TGA AAG CAA TCG ACA AGA AG- 3’ e

per il filamento reverse il primer EsAgr: 5’-ACT CAT TAC CCC TCC TGA TG- 3’ che

generano un amplificato della lunghezza di 1680 bp. La reazione a catena della polimerasi

si esegue, per ciascun campione in esame, in un volume totale di 50 µl. La miscela di

reazione contiene: 5 pmol di ciascun primer; Taq polimerasi buffer 1X; cloruro di

magnesio 1,5 mM; desossiribonucleosidi trifosfato (dNTPs) 100 µM; Taq polimerasi 2 U

(Promega); acqua distillata sterile; 1µl di DNA. La quantità di DNA necessaria per

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ciascuna miscela di reazione è stata prelevata dai campioni di DNA di microrganismi

appartenenti al genere Enterobacter, precedentemente estratti e conservati a -20°C. Tutte le

procedure sono state eseguite nel rispetto delle condizioni di sterilità richieste dalla tecnica

PCR che, essendo molto sensibile ed efficiente, è facilmente soggetta a contaminazioni da

materiale genetico estraneo alla reazione. Le precauzioni adottate per evitare

contaminazioni sono state quelle di adoperare un’area di preparazione delle miscele

separata da quelle per l’inoculo e per l’analisi dei campioni, l’uso di attrezzature trattate

con UV dedicate solo alla PCR ed una particolare attenzione alla massima pulizia e sterilità

in ogni operazione. Dopo la preparazione, le miscele di reazione sono state caricate nel

termociclatore (Thermal Cycler Perkin Elmer, GeneAmp PCR System 2400, fe Applied

Biosystems, GeneAmp PCR System 9007, che è stato programmato per eseguire il

seguente ciclo termico di amplificazione: 94°C per 2 minuti per la fase iniziale di

denaturazione (per ottenere la separazione dei due filamenti, la doppia elica di DNA viene

denaturata con il calore); quindi 29 cicli termici a 3 fasi così composte: 94°C per 30

secondi per la fase di denaturazione; 58°C per 60 secondi per la fase di appaiamento dei

primers alle sequenze complementari dei filamenti di DNA denaturati; 72°C per 90 secondi

per la fase di allungamento o estensione (sintesi di un nuovo filamento ad opera della Taq

polimerasi). Il ciclo termico viene completato con un allungamento finale a 72°C per 5

minuti.

I prodotti di amplificazione sono stati analizzati con la tecnica dell’elettroforesi su gel di

agarosio, il più comune metodo di separazione di molecole di DNA da 0,1 Kb a 30 Kb. Il

gel per la separazione dei frammenti di DNA è stato preparato a partire da una soluzione di

agarosio all’1% in tampone TBE 1X (Tris/Acido Borico/EDTA). La soluzione è stata

versata su uno stampo e, raggiunta la solidificazione, il gel di agarosio è stato posizionato

sul vassoio della vaschetta elettroforetica, riempita con tampone TBE 1X. Sono stati

miscelati 5µl di ciascun campione di DNA amplificato con 1 µl di colorante “Blu/Orange

6X Loading Dye” (Promega) e sono stati caricati nei rispettivi pozzetti ricavati nella parte

superiore del gel. La corsa elettroforetica è avvenuta in un campo elettrico continuo e

omogeneo a 100V che obbliga il DNA, carico negativamente, a spostarsi verso il polo

positivo attraverso la complessa rete delle maglie del gel. Per valutare l’avvenuta reazione

e le dimensioni dei frammenti amplificati, i pesi molecolari delle bande amplificate sono

stati confrontati con un marker di DNA di riferimento, fatto migrare contemporaneamente

ai campioni. Come marcatore di peso molecolare è stato utilizzato il marker “DNA ladder

1 Kb” (Promega; 5 µl per corsa) che comprende bande tra 250 e 10.000 bp. Considerando

28

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che la velocità di migrazione è inversamente proporzionale al logaritmo del numero di paia

di basi dei frammenti e le molecole più piccole migrano più rapidamente di quelle più

grandi, avendo caricato su ciascun gel un marcatore di dimensioni note, è stato possibile

risalire alle dimensioni dei frammenti amplificati. Dopo la corsa elettroforetica, il gel

contenente le bande di amplificato è stato colorato per immersione in una soluzione di

bromuro di etidio. Lo ione etidio ha la capacità di legarsi al DNA duplex, intercalandosi,

cioè scivolando tra le coppie di basi e, se illuminato con luce UV, emette una fluorescenza.

Così, dopo la migrazione, illuminando il gel con UV a 302 nm è possibile evidenziare

facilmente il DNA sotto forma di bande fluorescenti. Le immagini delle migrazioni

elettroforetiche sono state catturate e stoccate su supporto digitale. La visualizzazione della

banda specifica di DNA amplificato della lunghezza di 1680 bp indica la presenza del gene

dell’ α-1,6 glucosidasi nel campione di DNA batterico analizzato.

Metodo per l’identificazione molecolare di Enterobacter spp.: PCR del gene

universale 16S rDNA .

L’identificazione biochimica di tutti i microrganismi appartenenti al genere Enterobacter è

stata integrata con una conferma genetica dei ceppi isolati. L’identificazione genetica della

specie di appartenenza e lo studio comparativo di sequenza sono stati effettuati analizzando

il gene codificante per l’rRNA 16S, amplificato mediante la tecnica della PCR. I campioni

di DNA estratti dalle cellule batteriche di Enterobacter spp. sono stati amplificati nella

regione del gene 16S rDNA utilizzando primer “universali”, specifici per le sequenze

conservate del gene (Chen et al., 1989; Relman, 1999). L’utilizzo della PCR consente di

ottenere una grande quantità del gene da utilizzare per la reazione di sequenziamento. I

primer di “geni universali“ applicati per l’amplificazione del gene 16S rDNA sono i

seguenti: per il filamento forward il primer 27 F: 5’ -AGA GTT TGA TC(AC) TGG CTC

AG- 3’ e per il filamento reverse il primer 1492R: 5’-TAC CG(CT) TAC CTT GTT ACG

ACT T -3’ che generano un prodotto di amplificazione della lunghezza di 1500 bp. Le

PCR sono state condotte in un volume finale di 50 µl. La miscela di reazione contiene: Taq

polimerasi buffer 1X (Promega); cloruro di magnesio 2,5 mM; 0.2 µM di ciascun primer;

desossiribonucleosidi trifosfato (dNTPs) 0.2 mM; Taq polimerasi 2.5 U (Promega); acqua

distillata sterile; 1 µl di DNA estratto. Sono stati calcolati i volumi dei reagenti necessari

per il rispettivo numero di campioni da analizzare e con questi volumi è stata preparata

un’unica miscela di reazione (Master Mix) in una provetta sterile Eppendorf da 1,5 ml. Di

questa miscela, ne sono stati distribuiti 49µl in provette sterili Eppendorf da 0,5 ml e a

ognuna di queste è stato aggiunto 1µl di DNA. Sono stati sottoposti alla reazione di

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amplificazione i campioni di DNA di tutti i ceppi batterici isolati appartenenti al genere

Enterobacter, precedentemente estratti e conservati a -20°C. Le miscele di reazione sono

state caricate nel termociclatore per l’esecuzione del seguente ciclo termico di

amplificazione: 94°C per 5 minuti per la fase iniziale di denaturazione; quindi 35 cicli di 3

fasi così composte: 94°C per 1 minuto per la fase di denaturazione; 54°C per 1 minuto per

la fase di appaiamento; 72°C per 1,5 minuti per la fase di estensione. La reazione di

amplificazione viene completata da un ultimo ciclo di estensione a 72°C per 5 minuti.

Dopo la reazione, i prodotti di amplificazione ottenuti sono stati sottoposti a migrazione

elettroforetica in gel di agarosio. La migrazione dei frammenti di DNA è avvenuta in

presenza del marcatore di peso molecolare “DNA ladder 1 Kb” (Promega; 5 µl per corsa)

che comprende bande tra 250 e 10.000 bp. Dopo la corsa elettroforetica a 100 V, il gel

contenente le bande di amplificato è stato colorato con bromuro di etidio, osservato al

transilluminatore a raggi ultravioletti e quindi fotografato. Conoscendo la dimensione di

ogni banda dello standard è stato sempre possibile risalire alla dimensione dei frammenti

presenti negli altri pozzetti. La visualizzazione della banda specifica di DNA amplificato

della lunghezza di 1500 bp indica la presenza del gene 16S rDNA nel campione di DNA

batterico analizzato.

Figura 7: Elettroforesi su gel di agarosio di alcuni amplificati del gene 16S rDNA. La figura mostra le bande amplificate della lunghezza di 1500 bp, confrontate con un marker di DNA di riferimento (1° pozzetto del gel).

30

1500 bp

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Sequenziamento del gene 16S rDNA di Enterobacter spp.

Il protocollo PCR utilizzato per l’amplificazione della sequenza del gene 16S rDNA

produce in tutti i campioni di DNA di Enterobacter spp. in esame, lo stesso prodotto di

amplificazione della lunghezza di 1500 bp, indipendentemente dalla specie batterica di

appartenenza. Per identificare la specie batterica è necessario procedere alla reazione di

sequenziamento e alla lettura della sequenza nucleotidica a livello dei primi 550 nucleotidi

nella regione variabile del gene 16S rDNA. Il metodo coinvolge una combinazione di

analisi di biologia molecolare e di calcolo computerizzato. Prima di effettuare il

sequenziamento, i prodotti di amplificazione sono stati purificati con delle colonnine

“Montage PCR centrifugal filter devices” (Millipore), dispositivi costituiti da filtri per

centrifuga che permettono di purificare il DNA eliminando tutti i residui della reazione di

amplificazione presenti, che possono compromettere l’esito della reazione di

sequenziamento, ovvero i sali, i primer e i nucleotidi non utilizzati. Per la purificazione

sono stati aggiunti 45 μl di reazione PCR a 355 μl di acqua distillata sterile (il volume

finale deve essere 400 μl) all’interno del filtro montato su una Eppendorf fornita dal kit. I

tubi sono stati centrifugati a 1000 g per 15 minuti, il filtro è stato rimosso e montato su un

Eppendorf sterile. Sono stati aggiunti 20 μl di acqua distillata sterile, il filtro è stato

invertito e centrifugato a 1000 g per 2 minuti. Per verificare che il DNA sia stato purificato

sono stati caricati 5 µl di prodotto PCR in un gel all’1% di agarosio.

Il sequenziamento automatizzato è stato effettuato con “ABI Prism 3730 XL DNA

sequencer” (Applied Biosystems) presso la MWG-Biotech (Germania) a partire da 15 µl di

ciascun campione di DNA batterico amplificato per il gene 16S rDNA e purificato. Per il

sequenziamento è stato utilizzato il metodo a terminazione di catena che sfrutta

didesossinucleotidi come “terminatori” della reazione associati a primer marcati con

coloranti fluorescenti. I prodotti della reazione di polimerizzazione vengono separati per

elettroforesi automatica utilizzando un sistema a capillari e le bande fluorescenti nell’area

di rilevazione vengono riconosciute direttamente durante la corsa elettroforetica. I risultati

vengono analizzati automaticamente al computer e la sequenza viene stampata con un

codice colorato, che identifica i 4 nucleotidi in base alla marcatura indicata dai diversi

coloranti fluorescenti e mostra graficamente l’intensità di ciascun segnale nel cosiddetto

elettroferogramma . Le sequenze nucleotidiche dei campioni in esame ottenute da questo

metodo sono state allineate e confrontate con quelle presenti nel database genetico

GenBank, una banca dati pubblica presente su Internet che contiene circa 50 milioni di

sequenze geniche note delle più varie regioni di moltissimi organismi viventi

31

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(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/). Per l’identificazione delle specie batteriche presenti nei

campioni attraverso le sequenze ottenute sono stati utilizzati due appositi programmi di

calcolo computerizzato, il software DAMBE e il software Mega. Le tappe seguite per lo

studio della sequenza del gene sono state: l’allineamento della sequenza; l’analisi

comparativa della sequenza; il calcolo della distanza evolutiva; la costruzione degli alberi

filogenetici. Il software DAMBE ci ha permesso di allineare le sequenze ottenute con

quelle presenti nel database di sequenze di riferimento GenBank e di calcolare la loro

distanza evolutiva (formula ClustalW, Higgins e Sharp, 1988). Successivamente, il

software Mega ci ha permesso di effettuare l’analisi comparativa delle sequenze ottenute

attraverso la costruzione di alberi filogenetici. La posizione occupata nell’albero

filogenetico dalle sequenze provenienti dai ceppi isolati dai nostri campioni ci ha permesso

di identificarne la specie batterica di appartenenza. Il programma utilizza la sequenza

nucleotidica allineata per confrontare i suoi primi 550 nucleotidi con quelli di sequenze già

presenti nel database genetico e calcolare la percentuale di omologia filogenetica. Il grado

di omologia tra due sequenze è indice della relazione evolutiva tra due microrganismi.

L’identificazione della specie è stata considerata attendibile quando la sequenza presentava

una percentuale di omologia con una sequenza di riferimento depositata in banca dati,

superiore al 98% (Clarridge, 2004). Nei casi in cui si è verificata questa condizione è stato

possibile affermare che i due ceppi appartengono alla stessa specie. Quindi, seguendo

questo metodo di analisi per tutte le sequenze nucleotidiche è stato possibile assegnare una

precisa identificazione della specie di appartenenza ai microrganismi del genere

Enterobacter. Il software Mega utilizza le sequenze allineate per l’analisi comparativa cioè

confronta ogni coppia di sequenze nucleotidiche e calcola la “distanza evolutiva”, ovvero

la percentuale di nucleotidi non omologhi presenti tra gli RNA ribosomiali di ogni coppia

di microrganismi. Basandosi sulle distanze evolutive di tutte le coppie di sequenze

analizzate, il software è in grado di costruire un albero filogenetico in cui la lunghezza dei

rami che separano i microrganismi è direttamente proporzionale alla distanza evolutiva

esistente tra loro (metodo Neighbor-Joining, Saitou e Nei, 1987).

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Figura 8: durante la corsa, un raggio laser eccita i fluorocromi nell’area di rilevazione. Il colore della luce emessa viene rivelato da un fluorimetro che identifica la base in posizione terminale del frammento amplificato. Le informazioni vengono trasformate in picchi di colore diverso con aree proporzionali all’intensità di emissione formando un elettroferogramma. La figura mostra il risultato di un sequenziamento.

Indagine epidemiologica

Nel corso dei tre anni sono state condotte alcune indagini epidemiologiche il cui obiettivo,

attraverso questionari autosomministrati, è stato quello di valutare la consapevolezza da

parte dei genitori, degli operatori sanitari e degli operatori degli asili-nido, del rischio

dell’insorgenza nei neonati di patologie particolarmente severe (meningite neonatale,

enterocolite necrotizzante, sepsi), connesso alle errate modalità di preparazione,

manipolazione e conservazione, sia a livello domestico, sia a livello ospedaliero, dei PIF.

Le indagini hanno coinvolto:

1. tutti gli operatori e i genitori dei bambini frequentanti 24 asili nido comunali della

città di Palermo;

2. un campione di neo-mamme ricoverate nel post-parto presso una struttura

ospedaliera della Sicilia occidentale;

A queste categorie è stato distribuito un questionario anonimo auto-somministrato

diviso in 2 parti, la prima riguardante i dati anagrafici e la tipologia dei prodotti in

polvere per lattanti (PIF) da loro utilizzati, la seconda è costituita da 13 domande

sulle conoscenze e sulle corrette prassi igieniche di gestione dei PIF suggerite

dall’OMS. Le risposte sono state formulate secondo una scala di Likert a 5 item

3. gli operatori sanitari di tre ospedali siciliani, due della città di Palermo e uno della

città di Trapani, riguardante le loro conoscenze e le pratiche relative ai latti

formulati in polvere.

A tutto il personale medico e infermieristico in servizio nei reparti di pediatria,

terapia intensiva neonatale, ostetricia e neonatologia è stato distribuito un

questionario

33

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anonimo auto-somministrato con domande sulle conoscenze e sulle corrette prassi

igieniche di gestione dei PIF suggerite dall’OMS (9, 10), diviso in 4 parti:

Prima parte: riguardante le generalità del soggetto intervistato quali, sesso, età,

anni di anzianità di servizio, titolo di studio professionale conseguito, anno di

laurea, reparto in cui espleta attualmente servizio, turno di lavoro e tipo di rapporto

lavorativo.

Seconda parte riguardante le opinioni che gli operatori sanitari hanno sulla

prevenzione delle Malattie a trasmissione Alimentare (M.T.A). e l’efficacia dei

programmi di prevenzione.

Terza parte riguardante le conoscenze e opinioni che il personale sanitario

possiede sui prodotti in polvere per l’infanzia ed in particolare sul latte in polvere.

Quarta parte riguardante le conoscenze e opinioni sulla modalità di preparazione,

conservazione e manipolazione dei latti in polvere al fine di prevenire le M.T.A.

Le risposte sono state formulate secondo una scala di Likert a 5 item

4. i pediatri di libera scelta (PLS) della provincia di Palermo dai quali ci si è

proposti di raccogliere informazioni su percezioni e pratiche rispetto alla

prevenzione delle malattie trasmesse da alimenti (MTA) con particolare riguardo

alla gestione dell’alimentazione del neonato e lattante. È stato utilizzato un

questionario con una sezione anagrafica e due sezioni relative a:

percezione del rischio di acquisizione di MTA da parte dei propri assistiti,

fiducia nelle proprie conoscenze e consapevolezza del ruolo del PLS

nell’educazione all’adozione di comportamenti sicuri;

conoscenze e pratiche relative alla gestione dei prodotti formulati in

polvere (PIF).

Le domande sono state modulate in accordo con le linee guida FAO/OMS sulla

gestione dei PIF in ambiente domestico e le risposte organizzate secondo una scala

di Likert a 5 item.

34

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4. RISULTATI

Indagine microbiologica

4.1. Risultati dell’esame colturale

Le analisi condotte sui 122 campioni di alimenti in polvere hanno dato i seguenti risultati:

I campioni positivi per la crescita di colonie batteriche sono stati 90 su 122.

Tutte le marche analizzate presentano almeno un campione positivo

I risultati sono illustrati nella Tabella n°4

Tabella n°4: risultati esame colturale

Campioni esaminati N°

cam

pion

i

cam

pion

i

posi

tivi

%

cam

pion

i

posi

tivi

% su

l

tota

le d

ei

cam

pion

i

posi

tivi

Crema di riso 15 9 60 10

Crema multi cereali 8 4 50 5,6

Crema di mais e tapioca 14 9 64,3 10

Semolino 10 9 81,2 10

Pappa lattea 21 19 90,5 21,1

Liofilizzati 20 20 100 22,2

Altro 6 5 83,3 5,5

Latte in polvere 8 3 37,5 3,3

Estratti granulari 8 0 0 0

Passati di verdure 4 4 100 4,4

Brodo di verdure 5 5 100 5,5

Brodo di carne 2 2 100 2,2

Crema di legumi 1 0 0 0

Totale 122 90

35

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Dai 90 campioni positivi sono stati ottenuti 130 ceppi batterici, visto l’ isolamento di

diversi ceppi batterici in singoli campioni.

Il metodo FDA ha permesso di evidenziare, attraverso la crescita di colonie batteriche su

terreno VRBGA, la presenza di contaminazione in 90 campioni, in 37 dei quali sono stati

identificati batteri Gram negativi non fermentanti. La percentuale di campioni positivi è

del 74%.

74%

26%

% campioni positivipositivi negativi

Figura9: diagramma che mostra le percentuali dei campioni positivi e negativi sul totale dei campioni.

I campioni positivi possono essere classificati in due raggruppamenti, in base alla presenza

di Enterobacteriaceae da una parte e di altri microrganismi dall’altra. I campioni che

hanno sviluppato colonie gialle nel terreno DST sono stati 27, con una percentuale di

campioni positivi del 27%. Di questi campioni positivi due hanno sviluppato un pigmento

giallo intenso (campioni n°71 e n°72).

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4.2. Risultati dell’identificazione biochimica delle Enterobacteriaceae

La specie batterica più frequentemente isolata è rappresentata da E. cloacae, 45 campioni

positivi, seguita da Cronobacter, 14 campioni positivi (tabella 5) .

Tabella 5: specie e ceppi batterici identificati dal sistema API20E nei campioni analizzati, alcuni dei quali hanno presentato contaminazione da parte di più specie batteriche

37

Enterobacteriaceae NUMERO DI CEPPI IDENTIFICATI

GENERE ENTEROBACTERSPECIE: E cloacaceae

45

SPECIE: Cronobacter 14SPECIE: E. amnigenus 3GENERE SERRATIASPECIE: S. marcescens

1

SPECIE: S. liquefaciens 2GENERE PROTEUSSPECIE: P. mirabilis

1

GENERE KLEBSIELLASPECIE: K. oxytoca

2

SPECIE: K. pneumoniae 3GENERE CITROBACTERSPECIE: C freundi

5

SPECIE: C. koseri 1GENERE PANTOEASPECIE: P. ssp3

7

SPECIE: P.ssp4 11GENERE RAOULTELLASPECIE: R. terrigena

3

Altri 6Non fermentanti 37TOTALE 141

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4.3 Risultati dell’antibiogramma

Tutti i ceppi di Cronobacter sono stati sottoposti a saggio di sensibilità con i diversi

antibiotici, mediante il metodo della diffusione in agar di Bauer-Kirby.(22, 35)

Essi sono risultati sensibili a tutti gli antibiotici saggiati. Tabella 6: Sensibilità del microrganismo agli antibiotici: amc=amoxicillina+ ac.clavulanico; ak=amikacina,

amp=ampicillina; prl= piperacillina; ipm= imipenem; te= tetraciclina; caz= ceftazidime; ctx= cefotaxime; c=cloramfenicolo; cip=ciproflaxicina; cn=gentamicina; w=trimetropim; fep=cefepime.

* Il valore numerico indica il diametro, espresso in mm, dell’alone di inibizione.

cam

pion

e

Fep

Am

c

Caz

Ctx

Am

p

Prl

Ipm

Ak

C Cip

Cn

W Te

2b 22 26 32 32 24 28 32 26 20 30 22 32 24

6° 24 26 32 32 22 28 32 22 26 30 24 30 26

23° 24 26 32 36 24 32 36 20 26 34 22 30 26

43a1 22 26 32 32 22 26 32 24 24 40 22 32 22

50b 24 26 32 32 24 30 30 24 24 38 22 30 26

52a1 22 24 30 28 22 26 40 22 24 30 22 30 26

55° 22 24 32 30 20 30 40 22 26 34 22 30 28

56a1 24 24 32 30 24 28 30 22 24 32 22 28 24

68b 22 28 30 30 24 28 32 22 24 32 22 30 24

71b2 24 28 36 34 24 30 32 22 26 38 22 30 26

71a2 24 28 34 34 24 28 34 22 24 38 22 30 26

77b 22 26 34 32 22 28 32 24 22 36 22 28 28

93a1 22 24 32 30 20 30 40 22 26 34 22 30 28

93a2 24 26 32 36 24 32 36 20 26 34 22 30 26

38

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4.4 Risultati della PCR per il gene che codifica l’enzima α-1,6 glucosidasi di Cronobacter.

Mediante il sistema API20E, 14 ceppi di Enterobacteriaceae sono risultati essere presunti

Cronobacter. Per conferma, su questi ceppi identificati biochimicamente, è stata effettuata

la PCR per valutare la presenza del gene che codifica per l’enzima α-1,6 glucosidasi,

specifico della specie batterica.

In 11 dei 14 ceppi, identificati come Cronobacter, è stata evidenziata la presenza della

banda elettroforetica della lunghezza di 1680 bp, predittiva della presenza del gene.

In 3 dei 45 ceppi, che l’API20E ha identificato come appartenenti alla specie E.

cloacae (campioni: 20, 56, 57), è stata evidenziata la presenza della banda

elettroforetica della lunghezza di 1680 bp.

In nessuno dei 3 ceppi identificati come E. amnigenus è stata evidenziata la presenza

della banda elettroforetica della lunghezza di 1680 bp.

Tabella 7: ceppi identificati biochimicamente nei campioni.IDENTIFICAZIONE

BIOCHIMICA

N° di ceppi N° positivi al pigmento

giallo

N° positivi PCR

Cronobacter spp 14 11 11

E. cloacae 45 2 3

E. amnigenus 3 1 0

Totale 62 14 14

Quindi la PCR ha identificato un totale di 14 ceppi, attribuibili alla specie Cronobacter,

isolati da 13 campioni diversi.

Tabella 8: tipologie di campioni positivi.Tipo di campione N° campioni positivi

Crema di riso 2

Pappa lattea 2

Crema di riso e verdura 1

Semolini 3

Crema di mais e tapioca 1

Liofilizzato coniglio 2

Liofilizzato 1

Liofilizzato 1

Totale 13

39

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L + 11 12 13 14 15 16 17 18 1920

L +1 23 4 56 78 9 10

L +31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 +

1680 bp

1680 bp

L +222324 25 26 2728 29 30

1680 bp

1680 bp

L’elevata positività dei campioni esaminati, l’isolamento di 14 ceppi di Cronobacter e la

coesistenza di diversi ceppi batterici in singoli campioni da confezioni integre conferma la

contaminazione intrinseca, cioè dovuta alla presenza di microrganismi prima dell’apertura

delle confezioni.

4.5. Risultati del sequenziamento del gene universale 16S rDNA di Enterobacter spp.

Su 11 ceppi che mediante l’API 20E erano stati identificati come appartenenti,

rispettivamente, 7 alla specie E. cloacae, 3 alla specie Cronobacter e 1 alla specie E.

amnigenus, è stato effettuato il sequenziamento del gene universale 16S rDNA di

Enterobacter spp.

Mediante il sequenziamento i microrganismi, presenti nei nostri campioni, sono risultati

appartenere alla specie E. hoermaechei subsp. hormaechei e alla specie Citrobacter

freundii.

Figura 10 : Analisi elettroforetiche dei prodotti di amplificazione del gene codificante per l’1,6--glucosidasi di E. sakazakii su gel di agarosio colorato L: DNA ladder 1 Kb (marcatore di pesi molecolari) a cui le bande amplificate vengono confrontate : controllo positivo che mostra la banda di 1680 bp, specifica del gene amplificato. In turchese i campioni positivi.

40

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Tabella 9: risultati del sequenziamento del gene universale 16S rDNA di Enterobacter spp.n°

cep

po

PCR

cepp

o

iden

tific

azio

ne

bioc

him

ica

Tipo

di

cam

pion

e

Iden

tific

azio

ne

bioc

him

ica

con

API

20E

PCR

pos

itiva

per

Cro

noba

cter

sequ

enzi

amen

to

3 30b1 Pappa

lattea

E. sakazakii No E.hormaechei

subsp.hormaechei

6 77 a1 Liofilizzato

di vitello

E. sakazakii No E.hormaechei

subsp.hormaechei

9 70b3 Liofilizzato

di pollo

E. amnigenus No Citrobacter

freundii

11 32 a Farina

lattea

E. cloacae No E.hormaechei

subsp.hormaechei

19 65b Liofilizzato

di manzo

E. cloacae No E.hormaechei

subsp.hormaechei

23 51 a E. sakazakii No E.hormaechei

subsp.hormaechei

28 18b Crema di

riso

E. cloacae No Citrobacter

freundii

36 44b Crema di

riso mais e

tapioca

E. cloacae No E.hormaechei

subsp.hormaechei

37 56 a2 Crema di

mais e

tapioca

E. cloacae No Citrobacter

freundii

45 76 a Liofilizzato

di pollo

E. cloacae No E.hormaechei

subsp.hormaechei

59 94 a1 Pappa

lattea

E. cloacae No E.hormaechei

subsp.hormaechei

41

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Figura11: albero filogenetico che mostra le distanze reciproche tra le sequenze del 16S rDNA dei ceppi isolati nel nostro studio e i rapporti filogenetici tra questi ceppi ed altri membri della famiglia delle Enterobacteriaceae in banca dati.

42

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I risultati ottenuti sono stati pubblicati: Giammanco GM, Aleo A, Guida I, Mammina C. “

Molecular epidemiological survey of Citrobacter freundii misidentified as Cronobacter

spp. ( Enterobacter sakazakii) and Enterobacter hormaechei isolate from powered infant

milk formula.” Foodborne Pathog Dis. 2011 Jan 4.

Indagine epidemiologica

4.6 Risultati indagine svolta sui genitori e sul personale degli asili-nido della città di Palermo

Da aprile a giugno 2008 sono stati distribuiti dei questionari a tutto il personale e a tutti i

genitori dei bambini degli asili-nido della città di Palermo.

Dei 442 operatori dei 24 asilo-nido comunali di Palermo hanno risposto 314 (71,0%). Di

questi 314 rispondenti il 95,2% era di genere femminile, l’età media era di 44,0 anni

(±6,85), numero medio di figli era 1,8, l’8,9% possedeva un diploma di laurea, il 68,7%

possedeva un diploma di scuola media superiore, il 20,8% un diploma di scuola media

inferiore, l’1,6% un diploma di scuola elementare.

Dei 983 genitori invitati, 417 hanno risposto alle domande del questionario, il 90,8% era di

genere femminile, l’età media era di 35,09 anni (±5,23), numero medio di figli era 1,94, il

19,1% possedeva un diploma di laurea, il 49,1% un diploma di scuola media superiore, il

26,4% un diploma di scuola media inferiore, l’4,9% un diploma di scuola elementare.

Di seguito è riportato il confronto tra i due gruppi di intervistati.

Alle 13 domande hanno così risposto:

1) “Il latte formulato in polvere è sterile”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 38.1 23.6Sono d’accordo 46.3 49.6Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 10.4 19.1Non sono d’accordo 4.6 7.2Sono fortemente in disaccordo 0.7 0.5

43

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2) “Lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone prima di maneggiare biberon, misurini, latte o altri prodotti è necessario”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 76.7 79.1Sono d’accordo 21.2 19.3Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 1.7 1.2Non sono d’accordo 0.2 0.1Sono fortemente in disaccordo 0.2 0.1

3) “Biberon, tettarelle e tutto quello che è stato usato devono essere accuratamente lavati con acqua potabile, sapone e spazzolino e poi risciacquati con acqua abbondante”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 55.5 67.7Sono d’accordo 31.6 19.4Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 3.9 3.2Non sono d’accordo 7.8 7.7Sono fortemente in disaccordo 1.2 1.9

4) “Biberon, tettarelle ecc. dopo la pulizia devono essere sterilizzati con uno sterilizzatore o facendoli bollire”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 61.7 74.4Sono d’accordo 32.9 21.7Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 3.4 3.5Non sono d’accordo 1.9 0.3Sono fortemente in disaccordo 0 0

5) “Il latte in polvere deve essere sciolto in acqua potabile bollita e raffreddata a temperatura uguale o superiore a 70°C”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 24.0 41.7Sono d’accordo 40.1 38.1Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 15.6 7.9Non sono d’accordo 18.1 10.6Sono fortemente in disaccordo 2.3 1.7

44

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6) “Dopo averlo fatto raffreddare, controllando la temperatura facendone cadere una goccia sulla faccia interna dell’avambraccio, polso, il latte deve essere dato al neonato immediatamente”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 34.8 57.4Sono d’accordo 52.8 38.1Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 8.1 3.2Non sono d’accordo 3.5 1.3Sono fortemente in disaccordo 0.7 0

7) “Il latte che rimane deve essere eliminato”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 67.4 71.7Sono d’accordo 28.7 23.6Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 2.0 2.2Non sono d’accordo 1.5 1.0Sono fortemente in disaccordo 0.5 1.6

8) "Se è necessario preparare il latte in anticipo, per es. per la notte, deve essere conservato in frigorifero”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 22.4 34.9Sono d’accordo 29.5 24.8Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 9.8 7.8Non sono d’accordo 26.0 20.2Sono fortemente in disaccordo 12.3 12.4

9) “Il latte che è stato conservato in frigorifero deve essere riscaldato in bagnomaria”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 17.7 35.6

45

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Sono d’accordo 46.5 32.4Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 11.2 7.2Non sono d’accordo 17.9 17.0Sono fortemente in disaccordo 6.7 7.8

10) “Il latte che è stato conservato in frigorifero non deve essere riscaldato nel forno a microonde”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 18.0 27.5Sono d’accordo 29.1 23.2Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 17.5 11.1Non sono d’accordo 28.3 27.9Sono fortemente in disaccordo 7.1 10.4

11) “ Il latte che è stato conservato in frigorifero deve essere usato entro 24 ore”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 37.2 56.1Sono d’accordo 41.9 28.2Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 6.7 4.3Non sono d’accordo 10.4 7.9Sono fortemente in disaccordo 3.7 3.6

12) “Le confezioni che sono state aperte devono essere conservate ben chiuse, al riparo dall’umidità e devono essere consumate entro i tempi previsti in etichetta”

RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 59.7 68.6Sono d’accordo 37.0 27.9Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 1.0 0.3Non sono d’accordo 1.4 1.9Sono fortemente in disaccordo 1.0 1.3

13) “Tutti i prodotti in polvere per l’infanzia, dopo che sono stati sciolti, costituiscono un ambiente favorevole per la moltiplicazione dei germi”

46

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RisposteGenitori(%)

Operatori degli asili nido(%)

Sono completamente d’accordo 27.5 51.0Sono d’accordo 42.3 35.1Non sono nè d’accordo nè in disaccordo 22.5 9.1Non sono d’accordo 7.3 4.9Sono fortemente in disaccordo 0.5 0

Sono state riscontrate differenze significative tra genitori e operatori sull’età e sul livello di

istruzione che hanno significativamente influenzato le risposte al questionario di entrambi i

gruppi.

Dai risultati emerge la convinzione di una elevata percentuale di genitori pari all’84,4% e

di operatori pari al 73,2% che il latte formulato in polvere sia sterile.

Rispettare il lavaggio accurato delle mani con acqua e sapone prima di maneggiare

biberon, misurini, latte o altri prodotti, trova d’accordo quasi tutti i genitori (97,9%) e gli

operatori (98,4%). Al contrario, per quanto riguarda la necessità che la temperatura

dell’acqua da addizionare ai latti formulati in polvere sia superiore o uguale a 70°C, una

proporzione pari al 20,4% dei genitori e al 12,3% degli operatori dichiara di non essere

d’accordo. Inoltre per la eventuale necessità, di dover preparare il latte in anticipo, per es.

per la notte, e di conservarlo in frigorifero, solo il 51, 9% dei genitori e il 59,7% degli

operatori si dimostrano d’accordo contro il 38,3% dei genitori e il 32,6% che affermano il

loro disaccordo, ed una percentuale inferiore al 10% di entrambi i gruppi che non sono nè

d’accordo nè in disaccordo. Così come l’uso di elettrodomestici di largo uso quotidiano,

come il forno a microonde mette in evidenza un’ elevata percentuale di genitori, il 17,5%,

che non sono nè d’accordo nè in disaccordo, anzi solo il 47,1% dei genitori e il 50,7%

degli operatori erano consapevoli del rischio di ustioni alla bocca del bambino dovute al

riscaldamento del biberon nel forno a microonde. Alcune risposte sono state inoltre

influenzate dall’età: in particolare, i genitori con età media < 35 anni erano più

consapevoli della presenza di microorganismi in PIF (media del punteggio 2,04 vs 2,21, P

= 0,05),mentre i genitori con età media > 35 anni erano più consapevoli dell'importanza di

lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone prima di maneggiare biberon, misurini,

latte o altri prodotti(media del punteggio 1,21 vs 1,31, P = 0,04), e che la sterilizzazione di

biberon, tettarelle ecc., dopo la pulizia va effettuata con uno sterilizzatore o facendoli

bollire ( media del punteggio 1,54 vs 1,88, P < 0.001)

Dal confronto del livello di istruzione, i genitori con ≤8 anni sono risultati consapevoli

dell'importanza della dissoluzione dei PIF in acqua riscaldata a non meno di 70 ° C (media 47

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del punteggio 2,50 vs 2,05, P < 0.001) mentre i genitori con un livello di istruzione > 8

anni aderivano maggiormente alla raccomandazione WHO , di dover preparare il latte in

anticipo, per es. per la notte, e di conservarlo in frigorifero ( media del punteggio 2,65 vs

2,98, P = 0,02), e di conservare i PIF in un luogo fresco e asciutto dopo l’apertura della

confezione fino alla data di scadenza( media del punteggio1,38 vs 1,63, P < 0.001)

L'analisi ha rivelato anche una significativa associazione tra l’età degli operatori e le

risposte ad alcune domande. Gli operatori con età media > 45 anni erano più consapevoli

dell'importanza di lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone prima di maneggiare

biberon, misurini, latte o altri prodotti, della sterilizzazione di biberon, tettarelle ecc.

(media punteggio 1,16 vs 1,35, P = 0,02), e che dopo la pulizia, va effettuata una

sterilizzazione degli stessi con uno sterilizzatore o facendoli bollire (media del punteggio

1,27 vs 1,59, P = 0.003), e che subito dopo il raffreddamento il latte può essere dato al

lattante media del punteggio 1,46 vs 1,78, P = 0,01).

Gli operatori con età media > 45 anni erano anche più consapevoli del fatto chela PIF, una

volta ricostituito, è un ottimo terreno di coltura per molti microrganismi (media del

punteggio1,64 vs 2,04, P = 0,02)

Inoltre un'associazione significativa tra le risposte e il livello di istruzione nel gruppo degli

operatori si è evidenziata per due quesiti: gli operatori con un livello di istruzione ≤8 anni

erano più consapevoli del fatto che i PIF non sono un prodotto sterile (media del punteggio

1.78 vs 2,03, P = 0,03), mentre gli operatori con un livello di istruzione ≥8 anni erano più

consapevoli della raccomandazione WHO , di dover preparare il latte in anticipo, per es.

per la notte, e di conservarlo in frigorifero (media del punteggio 2,40 vs 2.81, P = 0,04).

In generale, è stata osservata una migliore performance degli operatori rispetto ai genitori,

addebitabile ai corsi di formazione obbligatoria sull’igiene degli alimenti cui sono

sottoposti gli operatori del settore alimentare sulla base della normativa vigente.

I dati raccolti sono stati pubblicati “A survey on knowledge and self- reported formula

handling pratices of parents and child care workers in Palermo, Italy”. Giuseppe Calamusa,

Rosalia Maria Valenti, Ivana Guida and Caterina Mammina. BMC Pediatrics 2009 Dec

10;9:75

4.7 Risultati dell’ indagine svolta su un campione di neo-mamme ricoverate nel post-parto.

48

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Delle 43 neo-mamme che hanno risposto al questionario nel periodo compreso tra maggio

e dicembre 2009, l’età media era di 31.6± 5.9 anni, erano tutte di nazionalità italiana, il

numero medio di figli è di 1,4; il 41.9% possedeva un diploma di scuola media inferiore, il

51.2% un diploma di scuola media superiore e il 7% dei casi un diploma di laurea. Il

43.6% svolgeva mansioni casalinghe il restante 56,4% svolgeva attività al di fuori del

contesto domestico.

Alle 13 domande hanno così risposto:

1) “Il latte formulato in polvere è sterile”

sono completamente d’accordo 11,6%

sono d’accordo 37,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 39,5%

non sono d’accordo 4,7%

sono fortemente in disaccordo 0,0%

2) “Lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone prima di maneggiare biberon, misurini e latte o altri prodotti è necessario”

sono completamente d’accordo 72,1%

sono d’accordo 23,3%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 2,3%

non sono d’accordo 0,0%

sono fortemente in disaccordo 0,0%

3) “Biberon, tettarelle e tutto quello che è stato usato devono essere lavati accuratamente con acqua potabile e sapone e uno spazzolino e poi risciacquati con acqua abbondante”

sono completamente d’accordo 51,2%

sono d’accordo 20,9%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 4,7%

non sono d’accordo 20,9%

sono fortemente in disaccordo 2,3%

49

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4) “Biberon, tettarelle, etc. dopo la pulizia devono essere sterilizzati (con uno sterilizzatore o facendoli bollire)”

sono completamente d’accordo 72,1%

sono d’accordo 23,3%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 2,3%

non sono d’accordo 0,0%

sono fortemente in disaccordo 0,0%

5) “Il latte in polvere deve essere sciolto in acqua potabile bollita e raffreddata a temperatura uguale o superiore a 70°C”

sono completamente d’accordo 11,6%

sono d’accordo 34,9%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 20,9%

non sono d’accordo 16,3%

sono fortemente in disaccordo 2,3%

6) “Dopo averlo fatto raffreddare, controllando la temperatura facendone cadere una goccia sulla faccia interna dell’avambraccio (polso), il latte deve essere dato al neonato immediatamente”

sono completamente d’accordo 25,6%

sono d’accordo 60,5%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 14,0%

non sono d’accordo 0,0%

sono fortemente in disaccordo 0,0%

50

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7) “Il latte che rimane deve essere eliminato” sono completamente d’accordo 53,5%

sono d’accordo 44,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 0,0%

non sono d’accordo 0,0%

sono fortemente in disaccordo 0,0%

8) “Se è necessario preparare il latte in anticipo, per es. per la notte, deve essere conservato in frigorifero”

sono completamente d’accordo 16,3%

sono d’accordo 30,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 20,9%

non sono d’accordo 25,6%

sono fortemente in disaccordo 7,0%

9) “Il latte che è stato conservato in frigorifero deve essere riscaldato in bagnomaria”

sono completamente d’accordo 4,7%

sono d’accordo 53,5%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 7,0%

non sono d’accordo 25,6%

sono fortemente in disaccordo 2,3%

51

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10) “Il latte che è stato conservato in frigorifero non deve essere riscaldato nel forno a microonde”

sono completamente d’accordo 9,3%

sono d’accordo 44,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 20,9%

non sono d’accordo 20,9%

sono fortemente in disaccordo 2,3%

11) “Il latte che è stato conservato in frigorifero deve essere usato entro 24 ore”

sono completamente d’accordo 11,6%

sono d’accordo 53,5%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 20,9%

non sono d’accordo 11,6%

sono fortemente in disaccordo 2,3%

12) “Le confezioni che sono state aperte devono essere conservate ben chiuse, al riparo dall’umidità, e devono essere consumate entro i tempi previsti in etichetta”

sono completamente d’accordo 34,9%

sono d’accordo 55,8%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 0,0%

non sono d’accordo 7,0%

sono fortemente in disaccordo 0,0%

52

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13) “Tutti i prodotti in polvere per l’infanzia, dopo che sono stati sciolti, costituiscono un ambiente favorevole alla moltiplicazione dei germi”

sono completamente d’accordo 4,7%

sono d’accordo 46,5%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 39,5%

non sono d’accordo 4,7%

sono fortemente in disaccordo 0,0 %

I dati raccolti confermano una scarsa percezione del rischio microbiologico associato al

latte in polvere per l’infanzia da parte delle neo-mamme ed una attenzione elevata verso la

buona prassi igienica di manipolazione durante le fasi di preparazione del latte in polvere:

infatti, solamente il 4,7% delle intervistate sembrava consapevole della non sterilità dei PIF

mentre il 39,5% non era in grado di esprimere un giudizio a riguardo.

Inoltre il 95.3% sosteneva la necessità di lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone

prima di maneggiare biberon o altri prodotti e che questi, dopo la pulizia, debbano essere

sterilizzati.

In generale, le neomamme hanno condiviso le indicazioni riportate nelle linee guida

WHO/FAO riguardo l’importanza di consumare il latte immediatamente dopo averlo fatto

raffreddare (l’86%) e di eliminare il rimanente (il 97.7%), il 90.7% era convinto che le

confezioni aperte debbano essere conservate ben chiuse ed al riparo dall’umidità. Solo il

46,5% sosteneva che il latte preparato in anticipo debba essere conservato in frigorifero,

anche se il 65,1% riteneva necessario consumarlo entro le 24 ore successive. Riguardo le

modalità di riscaldamento del latte, solo il 58.1% riteneva che debba essere fatto a

bagnomaria mentre il 23.2% pensava che il riscaldamento si possa eseguire nel forno a

microonde. Per quanto riguarda le modalità di ricostituzione, solo il 46,5% è d’accordo sul

fatto questa debba essere fatta con acqua potabile bollita e raffreddata a temperatura di

70°C. Infine, soltanto il 51.2% sembrava consapevole che i PIF, dopo la ricostituzione,

costituiscono un ambiente favorevole alla moltiplicazione batterica.

Questi risultati sono stati presentati come poster al 44° Congresso Nazionale SItI, tenutosi

a Venezia dal 3 al 6 ottobre 2010.

53

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4.8 Risultati dell’indagine svolta sugli operatori sanitari di tre ospedali siciliani

Nel periodo compreso tra gennaio e maggio 2010 sono stati raccolti 67 questionari tra il

personale medico e infermieristico in servizio nei reparti di pediatria, terapia intensiva

neonatale, ostetricia e neonatologia dei tre ospedali siciliani. Di questi 67 rispondenti il

70,10% erano di genere femminile, l’ età media era di 44,38 anni, il 61,20% erano

infermieri, il 7% erano medici, l’anzianità di servizio media era di 20,3 anni ed il 37% era

un turnista fisso.

Alle 27 domande hanno così risposto:

Prevenzione delle Malattie a Trasmissione Alimentare (M.T.A.)

1) Molti dei miei pazienti sono a rischio di contrarre Malattie a Trasmissione Alimentare (M.T.A.)?

sono completamente d’accordo 32,4%

sono d’accordo 52,9%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 5,9%

non sono d’accordo 5,9 %

sono completamente in disaccordo 1,5 %

2) Le M.T.A. sono un serio problema di salute per i soggetti di età compresa tra 0 e 12 mesi, in particolare per i nati pre-termine, con basso peso alla nascita, da madri HIV +, immunocompromessi, ospedalizzati in reparti di terapia intensiva.

sono completamente d’accordo 36,8%

sono d’accordo 57,4%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 10,4%

non sono d’accordo 4,6 %

sono completamente in disaccordo 0,0%

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3) Dare informazioni sulla prevenzione delle M.T.A. è compito di primaria importanza per il medico/infermiere

sono completamente d’accordo 41,2%

sono d’accordo 45,6%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 4,4%

non sono d’accordo 2,9 %

sono completamente in disaccordo 5,9 %

4) I genitori dei miei pazienti sono interessati a conoscere come prevenire le M.T.A

sono completamente d’accordo 11,8%

sono d’accordo 45,6%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 23,5%

non sono d’accordo 10,3%

sono completamente in disaccordo 1,5 %

5) E' importante creare l'occasione per affrontare con i genitori dei propri pazienti le problematiche correlate alla prevenzione delle M.T.A.

sono completamente d’accordo 27,9%

sono d’accordo 54,4%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 10,3%

non sono d’accordo 2,9%

sono completamente in disaccordo 1,5%

6) Dare ai genitori informazioni sulla "sicurezza alimentare" è un intervento di prevenzione efficace per la riduzione delle M.T.A.

55

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sono completamente d’accordo 32,4%

sono d’accordo 48,5%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 8,8%

non sono d’accordo 4,4%

sono completamente in disaccordo 1,5 %

7) Per realizzare un'efficace intervento di informazione dei genitori su come prevenire le M. T.A. è necessario molto tempo

sono completamente d’accordo 8,8%

sono d’accordo 35,3%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 14,7%

non sono d’accordo 33,8%

sono completamente in disaccordo 2,5%

8) Sono soddisfatto delle mie conoscenze generali (epidemiologia, modalità di trasmissione e prevenzione) riguardo le M.T.A. in età neonatale/infantile

sono completamente d’accordo 8,8%

sono d’accordo 35,3%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 14,7%

non sono d’accordo 33,8%

sono completamente in disaccordo 2,5%

9) I genitori tengono in grande considerazione le mie indicazioni per la prevenzione delle M.T.A.

56

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sono completamente d’accordo 13,2%

sono d’accordo 52,9%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 20,6%

non sono d’accordo 5,9%

sono completamente in disaccordo 1,5 %

Sui prodotti in polvere per l’infanzia

10) Che tipo di prodotti alimentari in polvere si utilizzano nel reparto in cui lavori? (è possibile dare più di una risposta)

latte in polvere 63% crema di riso 3% creme di cereali( mais, tapioca, etc) liofilizzati di carne(pollo, tacchino, agnello, vitello,etc) 1%

11) I prodotti in polvere per lattanti sono sterili

sono completamente d’accordo 26,5%

sono d’accordo 27,9%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 10,3%

non sono d’accordo 22,1%

sono completamente in disaccordo 4,4 %

12) Le informazioni riportate nelle etichette dei prodotti in polvere per lattanti sono sufficienti a garantire un loro corretto uso e l'adozione di comportamenti idonei a prevenire le M.T.A.

sono completamente d’accordo 7,4%

sono d’accordo 35,3%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 25,0%

non sono d’accordo 25,0%

sono completamente in disaccordo 1,5%

13) Prima di consigliare un prodotto in polvere per l'infanzia è necessario valutare che le informazioni riportate in etichetta riguardo le modalità di preparazione e di conservazione siano corrette e complete

57

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sono completamente d’accordo 22,1%

sono d’accordo 57,4%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 5,9%

non sono d’accordo 7,4%

sono completamente in disaccordo 1,5 %

14) Quando si consiglia l'utilizzo di prodotti in polvere è necessario dedicare qualche minuto per dare informazioni sul loro corretto uso e sui comportamenti da adottare per prevenire le M.T.A.

sono completamente d’accordo 26,5%

sono d’accordo 60,3%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 1,5%

non sono d’accordo 2,9%

sono completamente in disaccordo 1,5 %

15) Tutti i prodotti in polvere dopo la loro ricostituzione costituiscono un ambiente favorevole allo sviluppo microbico

sono completamente d’accordo 26,9%

sono d’accordo 59,7%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 6,0%

non sono d’accordo 1,5%

sono completamente in disaccordo 4,5 %

Sull’uso del latte in polvere

16) E' necessario lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone prima di maneggiare biberon, misurini, tettarelle e latte

58

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sono completamente d’accordo 60,8%

sono d’accordo 35,4%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 6,0%

non sono d’accordo 1,5%

sono completamente in disaccordo 3,5 %

17) Biberon, tettarelle e tutto ciò che viene utilizzato deve essere sempre lavato accuratamente utilizzando sapone e spazzolino, e risciacquando abbondantemente con acqua potabile

sono completamente d’accordo 41,8%

sono d’accordo 28,4%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 6,0%

non sono d’accordo 10,4 %

sono completamente in disaccordo 4,5 %

18) Biberon, tettarelle, etc., devono essere sterilizzati tramite l'uso di uno sterilizzatore o facendoli bollire

sono completamente d’accordo 49,3%

sono d’accordo 31,3%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 3,0%

non sono d’accordo 10,4%

sono completamente in disaccordo 1,5 %

19) In ambiente sanitario, è necessario disporre di un locale esclusivo, separato dalle degenze, adibito alla sola preparazione degli alimenti in polvere

sono completamente d’accordo 45,6%

sono d’accordo 39,7%

59

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non sono nè d’accordo nè in disaccordo 4,4%

non sono d’accordo 2,9%

sono completamente in disaccordo 1,5 %

20) In ambiente sanitario, il locale adibito alla preparazione degli alimenti in polvere, deve essere anche provvisto di un'area per lo stoccaggio dei prodotti

sono completamente d’accordo 35,3%

sono d’accordo 42,6%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 10,3%

non sono d’accordo 1,5%

sono completamente in disaccordo 4,4 %

21) In ambiente sanitario, il locale adibito alla preparazione degli alimenti in polvere deve essere frequentato unicamente da personale autorizzato

sono completamente d’accordo 35,3%

sono d’accordo 42,6%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 10,3%

non sono d’accordo 1,5%

sono completamente in disaccordo 4,4 %

22) Il latte in polvere deve essere diluito in acqua potabile, bollita e raffreddata sino ad una temperatura uguale o superiore a +70°C

sono completamente d’accordo 17,6%

sono d’accordo 44,1%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 5,9%

60

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non sono d’accordo 22,1%

sono completamente in disaccordo 4,4 %

23) Il latte ricostituito, dopo idoneo raffreddamento, deve essere immediatamente somministrato al bambino

sono completamente d’accordo 32,4%

sono d’accordo 47,1%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 2,9%

non sono d’accordo 7,4%

sono completamente in disaccordo 1,5 %

24) Il latte che eventualmente rimane al termine della poppata, se non consumato entro due ore, deve essere eliminato

sono completamente d’accordo 45,6%

sono d’accordo 41,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 1,0%

non sono d’accordo 8,8%

sono completamente in disaccordo 2,9 %

25) Se è necessario preparare il latte in anticipo rispetto al consumo, questo deve essere sempre conservato in frigorifero ad una temperatura uguale o inferiore a +5°C

sono completamente d’accordo 25,0%

sono d’accordo 42,6%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 4,4%

non sono d’accordo 19,1%

sono completamente in disaccordo 1,5 %61

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26 ) Il latte conservato in frigorifero deve essere utilizzato entro 24 ore dalla preparazione

sono completamente d’accordo 26,5%

sono d’accordo 36,8%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 4,4%

non sono d’accordo 14,7%

sono completamente in disaccordo 5,9 %

27) Le confezioni aperte devono essere conservate ben chiuse, al riparo dall'umidità e consumate entro i tempi previsti riportati in etichetta

sono completamente d’accordo 36,8%

sono d’accordo 44,1%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 1,5%

non sono d’accordo 11,8%

sono completamente in disaccordo 4,4 %

La maggior parte degli intervistati ha la consapevolezza che le malattie a trasmissione

alimentare rappresentano un rischio ed un reale problema di salute, soprattutto per i

soggetti immuno-compromessi.

E’ comune, inoltre, la convinzione che sia possibile fare prevenzione dando un’adeguata

informazione ai genitori; intervento ritenuto efficace, di primaria importanza e di

competenza del medico/infermiere.

Tuttavia, vi è qualche dubbio sul reale interesse da parte dei genitori dei pazienti ad essere

informati, anche se si ritiene che è assolutamente necessario creare delle occasioni per

affrontare il problema.

La maggior parte degli intervistati(più del 50%), pur ritenendo di avere una buona

formazione sulle tematiche oggetto dell’indagine, afferma che i prodotti in polvere per

lattanti sono sterili.

62

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Vi è sostanzialmente una sottovalutazione del rischio di contaminazione intrinseca

dell’alimento a favore invece di una ferma consapevolezza dei rischi di contaminazione

estrinseca che possono concretizzarsi a causa della cattiva gestione dei momenti di

ricostituzione ed uso del latte in polvere.

4.9 Risultati indagine svolta sui Pediatri di libera scelta della provincia di Palermo.

Da giugno 2009 a giugno 2010 solamente 74 dei 262 Pediatri di libera scelta della

provincia di Palermo hanno risposto al questionario.

Le principali caratteristiche di questo gruppo di rispondenti erano:

età media 53,3±6,5 anni,

49,3% genere maschile,

50,7% di genere femminile

media degli anni di attività di 22,9±6,4,

numero medio di assistiti 761±124,2.

Di questi l’11,80% esercitava in provincia mentre l’88,10% svolgeva la propria attività

nella città di Palermo.

Alle 25 domande hanno così risposto:

Sulla Prevenzione delle Malattie a Trasmissione Alimentare (M.T.A.)

1) Molti dei miei pazienti sono a rischio di contrarre Malattie a Trasmissione Alimentare (M.T.A.)?

sono completamente d’accordo 9,6%

sono d’accordo 45,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 20,5%

non sono d’accordo 24,7 %

sono completamente in disaccordo 0,0 %

2) Le M.T.A. sono un serio problema di salute per i soggetti di età compresa tra 0 e 12 mesi, in particolare per i nati pre-termine, con basso peso alla nascita, da madri HIV +, immunocompromessi, ospedalizzati in reparti di terapia intensiva.

sono completamente d’accordo 41,1%

sono d’accordo 53,4%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 4,1%

non sono d’accordo 1,4 %

sono completamente in disaccordo 0,0 %

63

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3) Dare informazioni sulla prevenzione delle M.T.A. è compito di primaria importanza per il medico Pediatra

sono completamente d’accordo 41,1%

sono d’accordo 56,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 2,7%

non sono d’accordo 0,0 %

sono completamente in disaccordo 0,0 %

4) I genitori dei miei pazienti sono interessati a conoscere come prevenire le M.T.A

sono completamente d’accordo 15,1%

sono d’accordo 61,6%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 16,4%

non sono d’accordo 6,8%

sono completamente in disaccordo 0,0 %

5) E' importante creare l'occasione per affrontare con i genitori dei propri pazienti le problematiche correlate alla prevenzione delle M.T.A.

sono completamente d’accordo 28,8%

sono d’accordo 68,5%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 1,4%

non sono d’accordo 1,4%

sono completamente in disaccordo 0,0%

6) Dare ai genitori informazioni sulla "sicurezza alimentare" è un intervento di prevenzione efficace per la riduzione delle M.T.A.

sono completamente d’accordo 37,0%

sono d’accordo 63,0%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 0,0%

non sono d’accordo 0,0%

sono completamente in disaccordo 0,0 %

7) Io voglio essere consapevole del rischio di M.T.A. in un mio paziente affetto da patologie associate a compromissione del sistema immunitario

64

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sono completamente d’accordo 47,9%

sono d’accordo 50,7%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 1,4%

non sono d’accordo 0,0%

sono completamente in disaccordo 0,0 %

8) Per realizzare un'efficace intervento di informazione dei genitori su come prevenire le M.T.A. è necessario molto tempo

sono completamente d’accordo 9,7%

sono d’accordo 30,6%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 15,7%

non sono d’accordo 44,4%

sono completamente in disaccordo 0,0%

9) Sono soddisfatto delle mie conoscenze generali (epidemiologia, modalità di trasmissione e prevenzione) riguardo le M.T.A. in età neonatale/infantile

sono completamente d’accordo 8,8%

sono d’accordo 35,3%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 14,7%

non sono d’accordo 33,8%

sono completamente in disaccordo 2,5 %

10) I genitori tengono in grande considerazione le mie indicazioni per la prevenzione delle M.T.A.

sono completamente d’accordo 13,2%

sono d’accordo 52,9%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 20,6%

non sono d’accordo 5,9 %

sono completamente in disaccordo 1,5 %

Sui prodotti in polvere per l’infanzia

11) I genitori dei tuoi pazienti, che tipo di prodotti alimentari in polvere utilizzano? (è possibile dare più di una risposta)

65

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Latte in polvere: 97,26%

Crema di riso: 91,78%

Creme di cereali (mais, tapioca, etc.): 93,15%

Liofilizzati di carne (pollo, tacchino, agnello, vitello, etc.):78,08%

Pappa lattea (biscotti, riso, frutta mista): 71,23%

Estratti granulari o solubili di camomilla, tè : 64,38%

Estratti granulari o solubili di tisana (finocchio, erbe): 65,75%

12) I prodotti in polvere per lattanti sono sterili

sono completamente d’accordo 8,2%

sono d’accordo 38,4%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 20,5%

non sono d’accordo 31,5 %

sono completamente in disaccordo 1,4 %

13) Le informazioni riportate nelle etichette dei prodotti in polvere per lattanti sono sufficienti a garantire un loro corretto uso e l'adozione di comportamenti idonei a prevenire le M.T.A.

sono completamente d’accordo 1,4%

sono d’accordo 37,0%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 27,4%

non sono d’accordo 31,5 %

sono completamente in disaccordo 2,7 %

14) Prima di consigliare un prodotto in polvere per l'infanzia è necessario valutare che le informazioni riportate in etichetta riguardo le modalità di preparazione e di conservazione siano corrette e complete

sono completamente d’accordo 28,8%

sono d’accordo 56,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 9,6%

non sono d’accordo 5,5 %

sono completamente in disaccordo 0,0 %

15) Quando si consiglia l'utilizzo di prodotti in polvere è necessario dedicare qualche minuto per dare informazioni sul loro corretto uso e sui comportamenti da adottare per prevenire le M.T.A.

66

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sono completamente d’accordo 28,8%

sono d’accordo 67,1%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 2,7%

non sono d’accordo 1,4 %

sono completamente in disaccordo 0,0 %

16) Tutti i prodotti in polvere dopo la loro ricostituzione costituiscono un ambiente favorevole allo sviluppo microbico

sono completamente d’accordo 35,6%

sono d’accordo 57,5%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 5,5%

non sono d’accordo 1,4 %

sono completamente in disaccordo 0,0 %

Sull’uso del latte in polvere

17) E' necessario lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone prima di maneggiare biberon, misurini, tettarelle e latte

sono completamente d’accordo 61,6%

sono d’accordo 38,4%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 0,0%

non sono d’accordo 0,0 %

sono completamente in disaccordo 0,0 %

18) Biberon, tettarelle e tutto ciò che viene utilizzato deve essere sempre lavato accuratamente utilizzando sapone e spazzolino, e risciacquando abbondantemente con acqua potabile

sono completamente d’accordo 49,3%

sono d’accordo 34,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 5,5%

non sono d’accordo 9,6 %

sono completamente in disaccordo 1,4 %

19) Biberon, tettarelle, etc., devono essere sterilizzati tramite l'uso di uno sterilizzatore o facendoli bollire

sono completamente d’accordo 56,2%

67

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sono d’accordo 32,9%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 4,1%

non sono d’accordo 5,5 %

sono completamente in disaccordo 1,4 %

20) Il latte in polvere deve essere diluito in acqua potabile, bollita e raffreddata sino ad una temperatura uguale o superiore a +70°C

sono completamente d’accordo 16,7%

sono d’accordo 43,1%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 11,1%

non sono d’accordo 25,0%

sono completamente in disaccordo 4,2%

21) Il latte ricostituito, dopo idoneo raffreddamento, deve essere immediatamente somministrato al bambino

sono completamente d’accordo 41,1%

sono d’accordo 52,1%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 4,1%

non sono d’accordo 2,7%

sono completamente in disaccordo 0,0%

22) Il latte che eventualmente rimane al termine della poppata, se non consumato entro due ore, deve essere eliminato

sono completamente d’accordo 39,7%

sono d’accordo 53,4%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 2,7%

non sono d’accordo 2,7 %

sono completamente in disaccordo 1,4 %

23) Se è necessario preparare il latte in anticipo rispetto al consumo, questo deve essere sempre conservato in frigorifero ad una temperatura uguale o inferiore a +5°C

sono completamente d’accordo 30,1%

sono d’accordo 56,2%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 5,5%

68

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non sono d’accordo 5,5%

sono completamente in disaccordo 2,7%

24 ) Il latte conservato in frigorifero deve essere utilizzato entro 24 ore dalla preparazione sono completamente d’accordo 27,4%

sono d’accordo 41,1%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 6,8%

non sono d’accordo 21,9%

sono completamente in disaccordo 2,7%

25) Le confezioni aperte devono essere conservate ben chiuse, al riparo dall'umidità e consumate entro i tempi previsti riportati in etichetta

sono completamente d’accordo 45,2%

sono d’accordo 54,8%

non sono nè d’accordo nè in disaccordo 0,0%

non sono d’accordo 0,0%

sono completamente in disaccordo 0,0%

Dalle risposte emerge che il 56,83% si è mostrato consapevole del rischio frequente di

contrarre MTA tra i propri pazienti, in particolare nei soggetti con ben definiti fattori di

rischio (d’accordo 94,50%). Il 97,30% è d’accordo nel ritenere che fornire informazioni

sulla prevenzione delle MTA è un compito di primaria importanza per il PLS ed il 100%

sull’efficacia di tale intervento, ma soltanto il 44,10% si dichiara soddisfatto delle sue

conoscenze generali sull’argomento.

Soltanto il 32,90% è risultato consapevole della presenza di microrganismi, alcuni dei quali

patogeni, nei PIF, ma soltanto il 38,40% ha ritenuto adeguate ad un’utilizzazione sicura le

informazioni contenute nelle etichette.

In generale, i PLS intervistati hanno condiviso le indicazioni delle linee-guida FAO-OMS,

ad eccezione dei due punti riguardanti, rispettivamente, l’opportunità di utilizzare per la

ricostituzione acqua a temperatura ±70°C e sulla necessità di conservare il latte preparato

in anticipo rispetto al consumo a temperatura ± 5°C e di utilizzarlo entro 24 ore: in

particolare, il 59.80% dei PLS erano d’accordo sulla preparazione anticipata del latte e il

68,50% erano d’accordo al limite massimo di 24 ore per la conservazione in frigorifero del

latte ricostituito.

69

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Questi risultati consentono alcune interessanti osservazioni:

i PLS, infatti, sottovalutano il rischio dell’acquisizione di MTA tra i loro assistiti e

contemporaneamente è stata individuata un’importante carenza percepita nella formazione

dei PLS relativa ad epidemiologia e prevenzione delle MTA.

La sottostima del rischio associato a procedure inadeguate di gestione dei PIF potrebbe

generare conseguenze negative, per quanto apparentemente infrequenti, su neonati e

lattanti affetti da condizioni favorenti l’acquisizione di patologie infettive soprattutto di

tipo opportunistico.

Questi risultati sono stati presentati come comunicazione all’XI Conferenza Nazionale di

Sanità Pubblica (SItI), tenutosi a Napoli dal 15 al 17 ottobre 2009.

I risultati ottenuti dai questionari dei 74 pediatri di libera scelta sono stati messi a

confronto con i risultati ottenuti dai questionari dei 67 operatori ospedalieri (pediatri,

vigilatrici d’infanzia ed infermieri professionali) in servizio presso tre strutture ospedaliere

della Sicilia occidentale e sono stati presentati come poster al 44° Congresso Nazionale

SItI, tenutosi a Venezia dal 3 al 6 ottobre 2011

La contaminazione intrinseca ed estrinseca del latte con enterobatteri, è possibile

soprattutto in ambito ospedaliero e ciò determina un rilevante problema di salute pubblica.

Le infezioni da enterobatteri possono causare infezioni gravi e letali ed è pertanto

assolutamente necessario attuare delle idonee misure preventive, riformulando anche le

direttive riguardanti la preparazione e l’uso del latte in polvere, sia in ospedale che in

ambiente domestico, e diffondendole tra gli addetti ai lavori.

È inoltre sicuramente auspicabile che i regolamenti emanati in sede europea e riguardanti

le etichette dei prodotti in polvere, includano norme riguardanti la chiarezza e la

comprensibilità delle istruzioni, nonché la loro standardizzazione al fine di evitare qualsiasi

confusione.

Un’avvertenza ben leggibile sul fatto che non si tratta di un prodotto sterile richiamerebbe

l’attenzione dei consumatori ed aumenterebbe probabilmente il grado di adesione alle

istruzioni.

Nasce così la necessità di interventi di formazione/ informazione sui rischi del latte in

polvere mirati, non solo per i consumatori/genitori, ma anche per i pediatri e per gli altri

operatori sanitari che specificatamente dovrebbero essere istruiti in modo da poter dare

consigli adeguati ai genitori.

70

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5. DISCUSSIONE

5.1 Indagine microbiologica

I risultati confermano che i prodotti alimentari in polvere per la prima infanzia non sono

prodotti sterili e che, una volta reidratati, rappresentano un buon terreno di crescita per i

microrganismi, tra cui Cronobacter.

L’analisi ha permesso di individuare una contaminazione batterica varia nei campioni

analizzati e, più in generale, una proporzione molto elevata di campioni contaminata da

batteri appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae. In particolare, si segnala

l’identificazione di E. hoermaechei subsp. hormaechei microrganismo, anch’esso,

implicato nell’insorgenza di meningiti, NEC e sepsi, nei neonati di basso peso alla nascita,

nati pre-termine, o anche nati a termine ma ricoverati nei reparti di terapia intensiva.(19)

Inoltre i risultati ottenuti hanno potuto confermare anche la superiorità dei metodi di

tipizzazione genotipica rispetto ai metodi biochimici tradizionali che spesso, come

abbiamo visto, hanno difficoltà a distinguere specie batteriche simili tra loro, come quelle

71

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appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae. Inoltre, mediante il sequenziamento,

si è visto che la specie di Enterobacter più frequentemente isolata è stata E. hormaechei

subsp. hormaechei, mentre 3 presunti ceppi di Enterobacter erano in realtà Citrobacter

freundii.

Dal confronto tra i due metodi di identificazione, fenotipica e molecolare, appare chiaro

che i metodi di tipizzazione fenotipica presentano il vantaggio di:

esser utilizzabili da tutti laboratori;

essere poco dispendiosi;

fornire risposte immediate;

ma presentano anche dei limiti:

danno solo indicazioni preliminari;

sono poco discriminativi;

in genere, sono poco riproducibili;

I metodi genetici, che amplificano geni specie-specifici, pur essendo dotati di un’elevata

capacità discriminativa, presentano anch’essi alcuni limiti:

richiedono esperienza;

prevedono costi relativamente elevati, soprattutto in termini di specifica

strumentazione;

possono avere tempi non immediati di risposta;

in alcuni casi sono di difficile standardizzazione e/o di non semplice

interpretazione.

L’integrazione dei risultati ottenuti dai metodi fenotipici con quelli molecolari è spesso

necessaria per un’attendibile identificazione microbica a fini diagnostici ed epidemiologici.

5.2 Indagine epidemiologica

Le MTA sono patologie molto frequenti: l’85.30% del personale ospedaliero ed il 44.80%

dei PLS si è mostrato consapevole del rischio che i propri assistiti possano contrarre MTA.

Il 96.80% del personale ospedaliero ed il 97.30% dei PLS è risultato d’accordo nel

ritenere che dare informazioni sulla prevenzione delle MTA ai genitori dei pazienti sia un

compito di primaria importanza del personale sanitario.

Il 100% dei PLS e l’ 80.90% del personale ospedaliero era d’accordo sull’efficacia di tale

intervento, ed il 44.3% dei PLS e del personale ospedaliero si è dichiarato soddisfatto

delle proprie conoscenze generali sull’argomento. Tuttavia vi è qualche dubbio sul reale

72

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interesse da parte dei genitori dei pazienti ad essere informati, anche se si ritiene che è

assolutamente necessario creare delle occasioni per affrontare il problema.

Nell’ambito degli operatori sanitari, i PLS sottovalutano il rischio dell’acquisizione di

MTA tra i loro assistiti ed è stata individuata un’importante carenza percepita nella

formazione dei PLS relativa ad epidemiologia e prevenzione delle MTA.

L’indagine epidemiologica condotta su campioni di diverse tipologie di soggetti evidenzia

la comune convinzione che il latte formulato in polvere sia sterile (l’84,4% dei genitori e

il 73,2% degli operatori degli asili nido comunali di Palermo, il 48,8% delle neo-mamme,

il 54,40% del personale ospedaliero, il 46,60% dei PLS), e che, quindi, tale alimento sia

sicuro per l’alimentazione dei neonati e sottovalutando i rischi che possono derivare

dall’uso improprio e scorretto. Per quanto riguarda la corretta procedura di gestione dei PIF

dal confronto tra le diverse categorie di soggetti intervistati è cognizione molto diffusa che

i prodotti in polvere, una volta ricostituiti, possano essere un terreno di moltiplicazione

favorevole per i microrganismi.

I dati raccolti confermano una attenzione elevata verso la buona prassi igienica di

manipolazione durante le fasi di preparazione del latte in polvere: infatti uno dei criteri

WHO fondamentali da rispettare è il lavaggio accurato delle mani con acqua e sapone

prima di maneggiare biberon, misurini, latte o altri prodotti, e di ciò sono a conoscenza

quasi tutti i gruppi degli intervistati.

Al contrario, per quanto riguarda la necessità che la temperatura dell’acqua da addizionare

ai PIF sia superiore o uguale a 70°C, non tutti gli intervistati sembrano essere pienamente

d’accordo(il 59,80% dei PLS, il 61,70% degli operatori sanitari, il 46,50% delle neo-

mamme, il 79,80% degli operatori degli asili nido e il 60,10% dei genitori), così come sulla

necessità di conservare il latte preparato in anticipo rispetto al consumo a temperatura ±

5°C(l’ 86,30% dei PLS, il 67,60% degli operatori sanitari, il 46,50% delle neo-mamme, il

59,70% degli operatori degli asili nido e il51,90% dei genitori).

D’altra parte, molto spesso le etichette dei prodotti in polvere per lattanti non menzionano

la temperatura dell’acqua da utilizzare per la ricostituzione di tali prodotti, ma parlano

semplicemente di acqua riscaldata, trascurando una procedura necessaria per

l’inattivazione di eventuali microrganismi patogeni, tra cui Cronobacter.

La sottostima del rischio associato a procedure inadeguate di gestione dei PIF potrebbe

generare conseguenze negative, per quanto apparentemente infrequenti, su neonati e

lattanti affetti da condizioni favorenti l’acquisizione di patologie infettive soprattutto di

tipo opportunistico: sostanzialmente viene sottovalutato il rischio di contaminazione

73

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intrinseca dell’alimento a favore invece di una ferma consapevolezza dei rischi di

contaminazione estrinseca che possono concretizzarsi a causa della cattiva gestione dei

momenti di preparazione ed uso del latte in polvere.

Sebbene i livelli di contaminazione riscontrati siano verosimilmente bassi, la presenza di

enterobatteri potenzialmente patogeni o opportunisti nei PIF, come è stato documentato in

letteratura, ma anche negli altri prodotti alimentari in polvere per la prima infanzia, come è

stato dimostrato in questa ricerca, si deve considerare un fattore di rischio, soprattutto per

quei soggetti che, a causa del loro stato patologico, non possono fare a meno di consumarli

e non hanno alternative: malattia materna molto grave, uso di farmaci controindicati in

corso di allattamento al seno, rare malattie metaboliche congenite del neonato, patologie

del giunto gastro-esofageo, etc.

Data la sua capacità di moltiplicarsi nel prodotto ricostituito, se non si rispettano i criteri di

igiene e di mantenimento a temperature appropriate per i tempi consentiti, il controllo del

patogeno negli alimenti per l’infanzia ha assunto negli ultimi anni un’ importanza sempre

maggiore.

A tale scopo sono state elaborate delle apposite linee guida, stilate nel 2004 a cura di

FAO e WHO (1,21,22,23), sui microrganismi patogeni ritenuti più importanti, al fine di

ridurre il rischio di contaminazione nel latte formulato in polvere per neonati a livello

domestico, del processo produttivo e dell’ informazione agli utilizzatori del prodotto.

I punti principali sono elencati di seguito.

A livello produttivo:

La presenza di microrganismi può realizzarsi in due modi:

a) contaminazione attraverso l’utilizzo di ingredienti non sottoposti a trattamento termico

durante il processo di produzione;

b) contaminazione dall’ambiente di produzione durante i passaggi “asciutti” del processo,

come la contaminazione post – trattamento termico, acquisita durante la disidratazione

(attraverso il sistema spray-drying) o il confezionamento del prodotto.

Partendo dal presupposto che il trattamento termico che il prodotto subisce effettua un

risanamento del prodotto dal punto di vista microbiologico, si può desumere che

probabilmente la contaminazione può avvenire in qualche punto tra il processo di

essiccamento ed il confezionamento. Quindi un aspetto cruciale per la prevenzione della

contaminazione batterica del prodotto finito è il controllo dei microrganismi di derivazione

enterica negli ambienti di essiccazione, post-essiccazione e preconfezionamento.

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Un ulteriore elemento essenziale per la prevenzione è il mantenimento di opportune

“condizioni di assenza di umidità” (dry conditions) in tutta l’area ad elevata igiene, in

quanto l’umidità ha un effetto immediato sull’aumento numerico delle

Enterobacteriaceae. Devono quindi essere assicurate condizioni di assenza di umidità

attraverso l’eliminazione di ogni possibile fonte di idrica (ingresso accidentale, condensa

nei tubi di conduzione, acqua di lavaggio, ecc.) e l’applicazione di procedure di lavaggio

a secco per le linee di produzione, attrezzature e tutto l’ambiente di produzione.

L’efficacia di queste misure di controllo deve essere verificata attraverso l’applicazione di

piani di monitoraggio microbiologico, di Buone Pratiche di Lavorazione (GMP), di Buone

Pratiche Igieniche (GHP) e dell’HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points),

che sono misure preventive volte ad identificare e controllare le varie possibilità di

contaminazione degli IFM sia a livello di produzione che di lavorazione, in modo da

rispettare i limiti critici prefissati ed eliminare o ridurre al minimo il rischio di

contaminazione dell’alimento, come indicato dal Regolamento CE 852/2004 “il

responsabile dell’industria alimentare deve individuare ogni fase che potrebbe rilevarsi

critica per la sicurezza degli alimenti e deve garantire che siano individuate, applicate,

mantenute e aggiornate le adeguate procedure di sicurezza avvalendosi dei principi su cui è

basato il sistema di analisi dei rischi e di controllo dei punti critici HACCP.”

A livello domestico:

Per la prevenzione del rischio, a livello domestico vengono fornite le seguenti

raccomandazioni:

quando possibile utilizzare, al posto del latte in polvere, latti liquidi disponibili sul

mercato che non necessitano delle operazioni di ricostituzione pericolose per la

contaminazione microbica del prodotto;

attenersi scrupolosamente alle istruzioni riportate sulle confezioni;

utilizzare acqua calda ( ≥70°C) per la ricostituzione degli alimenti in polvere. Tale

temperatura è in grado di assicurare una riduzione della carica batterica di

Cronobacter pari o superiore a 4 logaritmi ma potrebbe avere conseguenze per

quanto riguarda l’aspetto nutrizionale (distruzione di principi nutritivi termolabili,

come le vitamine) e può creare problemi nella manipolazione e somministrazione

del prodotto. Per tali ragioni non sempre questa condizione viene rispettata e, di

conseguenza, la temperatura prescelta spesso non è in grado di inattivare

Cronobacter;

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adottare rigorose norme igieniche utilizzando contenitori puliti e disinfettati,

nonché un’adeguata igiene personale (lavaggio delle mani);

preparare solo la quantità necessaria per il pasto, evitando di preparare in anticipo

quelle dei pasti successivi. Le ditte produttrici invitano ad eliminare il prodotto

rimanente dopo il pasto, ma non è da escludere che a livello domestico vengono

preparati più porzioni pronte all’uso da riscaldare al momento della

somministrazione. Considerando la buona resistenza termica di Cronobacer, questa

abitudine è da ritenere altamente a rischio;

assicurare il raffreddamento rapido del prodotto ricostituito e la sua conservazione

in frigorifero se non utilizzato immediatamente e limitare a periodi di tempo non

superiori alle 4 ore l’intervallo di tempo tra la ricostituzione del prodotto ed il suo

consumo (hang time) per evitare che il batterio raggiunga valori di carica microbica

tali da determinare l’infezione. E’ importante sottolineare che nonostante sia stata

dimostrata la cessazione della crescita di Cronobacter a temperature di

refrigerazione (4°C), non sempre la temperatura dei frigoriferi domestici

corrisponde a questo valore, principalmente per le ripetute operazioni di apertura e

chiusura dell’elettrodomestico che possono susseguirsi nell’arco di una giornata;

evitare di reidratare con acqua calda una grande quantità di alimento in polvere per

ottenere grandi quantitativi di alimento ricostituito, come può avvenire negli asili

nido, in quanto la temperatura della miscela può diminuire e può risultare

insufficiente ad inattivare Cronobacter. Sebbene i produttori raccomandino che i

PIF vengano ricostituiti subito prima di ogni poppata, nei reparti neonatali a volte

vengono preparati anticipatamente ed in seguito mantenuti a temperature di

refrigerazione per soddisfare le necessità alimentari dei bambini nell’arco

dell’intera giornata.

Nel 2007 la FAO/WHO (21) ha emesso delle nuove linee guida per la manipolazione dei

PIF a livello domestico e a livello ospedaliero/asili nido.

A livello domestico:

adottare stringenti norme igieniche utilizzando contenitori puliti e disinfettati;

preparare solo la poppata necessaria per il pasto evitando di preparare in anticipo

quelle dei pasti successivi o in caso di necessità limitare a 1-2 quelle preparate in

anticipo;

evitare di lasciare a temperatura ambiente il latte ricostituito se non utilizzato;

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assicurare il raffreddamento rapido del prodotto ricostituito e la sua conservazione

in frigorifero;

limitare il più possibile l’intervallo di tempo tra la ricostituzione del prodotto e il

suo consumo.

A livello ospedaliero/asili nido:

adottare buone pratiche di igiene nelle aree di preparazione;

disporre di una stanza adibita solamente alla preparazione, che sia separata dai

reparti di degenza (negli ospedali), provvista di un’area per lo stoccaggio del

prodotto e frequentata unicamente da personale autorizzato;

se la struttura manca di un’apposita stanza per la preparazione, predisporre

comunque un’area da destinarsi unicamente a tale scopo;

disporre da utensili e attrezzature costituiti in modo tale da poter essere facilmente

sanificati;

sottoporre a trattamento termico (esempio: lavaggio in lavastoviglie) o ad

autoclavaggio tutti gli utensili adoperati per la preparazione;

utilizzare, quando possibile, utensili monouso;

disporre di personale qualificato e specializzato (per esempio: dietisti);

assicurare il raffreddamento rapido del prodotto ricostituito e la sua conservazione

in frigorifero;

limitare il più possibile l’intervallo di tempo tra la ricostituzione del prodotto e il

suo consumo;

evitare di lasciare a temperatura ambiente il latte ricostituito se non utilizzato;

richiudere opportunamente i contenitori dei latti non utilizzati completamente,

riporli in frigorifero, apponendo la data di scadenza;

utilizzare, quando possibile, latte in forma liquida;

applicare un corretto piano di autocontrollo.

A livello di formazione e di comunicazione:

A tale proposito appare auspicabile un’opera di educazione diretta tanto al personale dei

reparti neonatali, quanto a coloro che utilizzano il prodotto in ambiente domestico. Nel

contesto della strategia di prevenzione particolare importanza è rivestita dal momento

informativo attraverso avvertenze indirizzate ai consumatori. E’ necessario, infatti, che essi

sappiano che i prodotti che comprano o ricevono in ospedale e negli ambienti sanitari, non

sono sterili e sono portatori di un rischio piccolo, ma significativo, e tali avvertenze

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dovrebbero essere ben evidenziate sulle etichette su tutto il materiale promozionale

progettato per la commercializzazione del prodotto. I consumatori e le associazioni per la

protezione dell’allattamento al seno hanno esercitato pressione sui produttori e sui governi

perché vengano modificate le regole del Codice Alimentare (Codex Alimentarius) per

comprendere un tale provvedimento. Queste regole sono attualmente in corso di revisione

per prevedere la riduzione del grado accettabile di contaminazione batterica del latte in

polvere per poter stimolare processi produttivi più rigorosi e più sicuri.

Infine, in assenza di garanzie di sterilità assoluta sul prodotto al momento del consumo,

l’unico strumento di prevenzione veramente efficace risulterebbe l’esclusione dell’utilizzo

per i soggetti sensibili.

Si può aggiungere, inoltre, che nonostante gli alimenti in polvere per la prima infanzia

diversi dal latte presentino sicuramente un profilo di rischio minore, in quanto destinati a

consumatori appartenenti ad una fascia di età più elevata. Essi possono essere proprio per

questo manipolati con una maggiore disinvoltura rispetto a tempi e temperature e costituire

anch’essi un pericolo potenziale, se assunti da soggetti affetti da situazioni patologiche

particolari, come deficit del sistema immunitario, patologie del tratto gastro-intestinale,

assunzione prolungata di antibiotici, ecc.

Considerazioni simili possono essere fatte per i microrganismi appartenenti alla famiglia

delle Enterobacteriaceae (ad esclusione di Salmonella ed Cronobacter), che si riscontrano

con una notevole frequenza negli alimenti in polvere per la prima infanzia. La loro

presenza, infatti, non è stata in modo univoco associato a casi di malattia nei neonati, ma

testimonia senz’altro una qualità igienico-microbiologica non ottimale ed è predittiva della

possibile presenza di patogeni ad ecologia enterica. Inoltre, l’associazione tra la

contaminazione e patologie neonatali o della prima infanzia necessita senz’altro di ulteriori

studi ed approfondimenti, sia per quanto riguarda l’esposizione (tipologia di alimenti

coinvolti, aspetti qualitativi e quantitativi della contaminazione) che per quanto riguarda gli

esiti (colonizzazioni ed infezioni eventuali nell’ospite sano ed immunocompromesso). Le

difficoltà con cui finora è stata affrontata la ricostruzione dei circuiti di trasmissione,

dovute anche alla bassa affidabilità dell’identificazione di microrganismi e specie

batteriche con i metodi disponibili, sono state in larga parte superate con l’evoluzione dei

metodi molecolari di identificazione e caratterizzazione.

Nel 2004 la commissione del Codex Alimentarius per l’igiene degli alimenti (Codex

Committee for Food Hygiene, CCFH) , come precedentemente citato, ha concordato nel

procedere il più velocemente possibile con la revisione del codice internazionale di

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pratiche igieniche per l’alimentazione di neonati e bambini, compresi i criteri

microbiologici su Cronobacter e su altri rilevanti microrganismi. Sulla base di quanto

raccolto nel rapporto tecnico FAO/WHO, è auspicabile che vengano sviluppate ricerche in

modo più ampio e organico, con il fine di chiarire gli elementi di caratterizzazione del

rischio utili alla definizione di precise misure di prevenzione che coinvolgano ditte

produttrici ed utilizzatori, al fine di ridurre il rischio di contaminazione del prodotto e

ridurre la possibilità di moltiplicazione dei microrganismi dopo la ricostituzione dei

prodotti in polvere, tale da garantire un alto livello di qualità microbiologica del prodotti

finali.

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