il management in sanità. riflessioni per la governance nell'epatite c
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CASE-FINDING EPIDEMIOLOGIA DELL’INFEZIONE CRONICA HCV: SCREENING VERSUS “CASE FINDING” ALGORITMI DI GESTIONE DEL PAZIENTE UN MODELLO DI PERSONALIZZAZIONE DEGLI ESITI DI CURA PROSPETTIVE DI CAMBIAMENTO NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE HCV MODELLO ORGANIZZATIVO PER LA GESTIONE DEL PAZIENTE AFFETTO DA HCV RAZIONALIZZAZIONE DELLE INDAGINI DI LABORATORIO IL RIGORE METODOLOGICO NEL WORK-UP DIAGNOSTICO E PROGNOSTICO DI LABORATORIO RAZIONALIZZAZIONE DEI TEST NELLE DIVERSE TAPPE DEL PERCORSOTRANSCRIPT
Il “TECHNICAL REPORT Hepatitis B and C in the EU
neighbourhood: prevalence, burden of disease and screening
policies September 2010” riporta che l’Italia è il Paese europeo
con il maggior numero di soggetti HCV positivi e detiene il
triste primato di mortalità in Europa per tumore primitivo del
fegato (HCC). In Italia circa un milione e mezzo di persone
è infetto dal virus dell'epatite C (HCV), la più comune
indicazione per il trapianto di fegato.
Dall'introduzione dell’interferone pegilato e ribavirina, quasi
10 anni fa, i tassi di risposta sono stati poco soddisfacenti, con
meno della metà dei pazienti trattati capaci di raggiungere una
risposta virologica sostenuta. Quasi un decennio dopo, ci
troviamo all’inizio di una nuova era della terapia anti-HCV.
I dati degli studi clinici registrativi dei farmaci antivirali diretti
(DAAs) dimostrano una maggiore efficacia rispetto all’attuale
standard of care e questo ci permetterà di curare molti più
pazienti.
Una maggiore comprensione della storia naturale dell’HCV, e
l'individuazione di fattori di rischio per la progressione della
malattia epatica avanzata, ha permesso a molti medici di
raccomandare il differimento di cura standard in attesa della
disponibilità dei DAAs. La scarsità delle risorse sarà un
problema, una volta che la terapia con i DAAs diventerà
disponibile, in quanto le Agenzie regolatorie nazionali
porranno delle limitazioni all’uso degli stessi ed i medici si
vedranno costretti a negare la terapia ai pazienti a cui
avevano promesso questa nuova “panacea”.
Storicamente, l'entusiasmo su un'innovazione scientifica ha
causato al medico dei problemi di sostenibilità. Nel 1922,
Frederick Banting e Charles Best con l'insulina e vent'anni
dopo con la penicillina.
Nel 2011, quasi un secolo dopo la scoperta dell'insulina,
continuiamo a lottare con problemi di scarsità di risorse.
Con l'arrivo dei DAAs, saremo in grado di trattare tutti i
pazienti che avranno necessità di questa terapia?
Bisogna considerare farmaci e vaccini un investimento, che va
valutato in ottica di costo/valore/beneficio, ovvero tenendo
conto, oltre che delle spese sostenute per garantire l’accesso
ai farmaci, anche dei loro risultati in termini di miglioramento
delle cure. Un investimento per la vita nella società attiva; per
la crescita economica senza la quale concetti quali benessere
e sostenibilità perdono di significato.
Il nuovo Welfare vedrà un cambiamento di approccio: da uno
impositivo di tipo top down, a uno fondato su una
maggiore responsabilità di tutti gli attori del sistema (cittadini,
medici, aziende, istituzioni). Una responsabilità di tipo
intergenerazionale, verso il presente, ma anche verso il
futuro, per garantire alle giovani generazioni la sostenibilità del
sistema. In quest’ottica si orienta il manoscritto che ho il
piacere di introdurre che è un esempio di collaborazione tra
i vari attori coinvolti nella cura dell’epatite C.
Raffaele Bruno
Dipartimento di Malattie Infettive
Università degli Studi di Pavia-Fondazione IRCCS
San Matteo Pavia
Segretario AISF
(Associazione Italiana per lo Studio del Fegato)
INTRODUZIONE
AP EpatiteC 16-11-2011 12:12 Pagina 1
Editore:AboutPharma S.r.l. a socio unicoVia Cherubini, 6 - 20145 MilanoTel. 02 78623650Fax. 02 78623669REA 1685941
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Coordinamento Editoriale:Walter [email protected]
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In redazione:Adiam [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected]
Hanno collaborato:Alfredo Alberti - Università degli Studi di PadovaMaurizia R. Brunetto - Azienda Ospedaliero Universitaria PisanaFerruccio Bonino - Azienda Ospedaliero Universitaria PisanaAntonio Craxì - Università di PalermoGiovanni Battista Gaeta - Seconda Università di NapoliMario Angelico - Università di Roma Tor VergataAntonino Picciotto - Università di Genova
Stampa:Promografica – Paderno Dugnano
Autorizzazione:Tribunale di Milano n. 451 del 20/09/2002
I contenuti della presente pubblicazione nascono dal ProgettoJanssen-Cilag/IMS e sono di proprietà di Janssen-Cilag.
Immagine di copertina: copyright Vertex
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CASE-FINDING
EPIDEMIOLOGIA DELL’INFEZIONE CRONICA HCV:SCREENING VERSUS “CASE FINDING”Alfredo Alberti 4
ALGORITMI DI GESTIONE DEL PAZIENTE
UN MODELLO DI PERSONALIZZAZIONE, OTTIMIZZAZIONE EVALUTAZIONE DEGLI ESITI DI CURAFerruccio Bonino
Maurizia R. Brunetto 7
PROSPETTIVE DI CAMBIAMENTO DELL'ALGORITMO DI GESTIONE DEL PAZIENTE HCVAntonio Craxì 12
MODELLO ORGANIZZATIVO PER LA GESTIONE DEL PAZIENTE AFFETTO DA HCVGiovanni Battista Gaeta 16
RAZIONALIZZAZIONE DELLE INDAGINI DI LABORATORIO
IL RIGORE METODOLOGICO NEL WORK-UP DIAGNOSTICO E PROGNOSTICO DI LABORATORIO DEL PAZIENTE CON INFEZIONE CRONICA DA HCVMario Angelico 19
RAZIONALIZZAZIONE DEI TEST NELLE DIVERSE TAPPE DEL PERCORSO DEL PAZIENTE PER OTTIMIZZARE LE RISORSEAntonino Picciotto 22
SOMMARIO
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L’infezione cronica da HCV rappresenta oggi in molte parti del
mondo, particolarmente nei Paesi industrializzati occidentali e
certamente in Italia, un’importante causa o concausa di
malattia cronica del fegato, di cirrosi e di epatocarcinoma, con
tutte le conseguenze cliniche e gli oneri sociali ed economici di
queste condizioni morbose.
L’infezione presenta alcuni aspetti peculiari che condizionano
la scelta delle strategie più opportune per un efficace controllo
della malattia nella popolazione, in primis delle strategie volte
alla identificazione dei portatori di infezione e di quelli con
malattia evolutiva.Va infatti sottolineato che:
a) la maggior parte dei portatori cronici non
presenta sintomi o segni evidenti di malattia, con un
numero di casi non ancora identificati che è stimato
essere molto elevato in tutti i Paesi del mondo.
b) Solo una parte dei portatori cronici di HCV presenta
evoluzione sfavorevole della patologia epatica e sviluppa le
complicanze della malattia.
c) La terapia antivirale, d’altra parte, è più efficace nella fase
asintomatica, in assenza di complicanze.
L’epidemiologia dell’infezione cronica da virus dell’epatite C
presenta alcune caratteristiche ben definite:
1) variazioni geografiche molto evidenti tra le varie
regioni del mondo che riflettono fattori di rischio,
modalità di trasmissione, condizioni socio-economiche
ed anche differenze razziali e genetiche.
2) Tassi di incidenza e di prevalenza anch’essi molto
variabili geograficamente, e per i quali si sono
verificate negli ultimi decenni e si verificheranno nel
futuro importanti modifiche, non necessariamente
sincronizzate nelle diverse regioni del mondo, con
profondi riflessi sugli scenari epidemiologici attuali e
futuri.
3) Dati ancora molto incompleti sui reali tassi di
prevalenza nella popolazione generale, con stime
spesso non aggiornate o solo parziali, derivate da studi
di sottogruppi selezionati con conseguente sottostima
(es.: donatori di sangue) o sovrastima (es.: categorie ad
alto rischio) dei reali tassi di prevalenza globale. A tale
proposito un gruppo di esperti internazionali,
affiancati da un’agenzia specializzata in modelli
epidemiologici e di outcome clinico, ha deciso
recentemente di tentare una revisione estensiva dei
dati disponibili sulle incidenze e prevalenze delle
infezioni da HCV nel mondo, utilizzando per la prima
volta non solo pubblicazioni su riviste internazionali ma
anche documenti e fonti locali. I primi risultati di
questo studio collaborativo sono stati oggetto
nell’estate 2011 di pubblicazione di un supplemento
di Liver International e possono rappresentare
un primo punto di partenza per sviluppare modelli più
“realistici” di quelli disponibili sull’attuale e futuro
impatto dell’infezione da HCV, sulla patologia cronica
del fegato e, più in generale, sulla salute pubblica nelle
diverse regioni del mondo.
Il peso dell’epatite C in Europa e in Italia
Come conseguenza delle varie lacune ancora presenti nella
definizione di una precisa mappatura epidemiologica
dell’epatite C e delle patologie croniche ad essa correlate, ci
sono stati incertezze e ritardi nel riconoscimento da parte
delle organizzazioni ed autorità sanitarie ed internazionali
dell’epatite C come problema di salute pubblica di rilevanza
prioritaria. Solo recentemente Oms ha inserito le epatiti
virali (B e C) tra i problemi sanitari di grande impatto globale,
approvando una prima risoluzione volta allo sviluppo di un
network collaborativo tra Stati per rendere più efficace la lotta
contro queste patologie.
Anche la comunità europea, in una recente conferenza di
esperti, ha posto l’attenzione sulla necessità di dare priorità ad
interventi volti al miglioramento del riconoscimento e
al trattamento più precoce dei pazienti con epatite virale da
HCV ed HBV in Europa. Gli elementi più significativi che
emergono da questi documenti riguardano:
1) il fatto che l’infezione cronica da HCV abbia decorso del
tutto asintomatico per decenni sino al raggiungimento
EPIDEMIOLOGIA DELL’INFEZIONE CRONICA HCV:SCREENING VERSUS “CASE FINDING”
Alfredo AlbertiDipartimento
di Medicina MolecolareUniversità degli Studi
di Padova
4IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
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delle complicanze più avanzate rendendone pertanto
improbabile un riconoscimento precoce sulla base dei soli
elementi clinici.
2) La considerazione che la malattia cronica da HCV abbia
decorso evolutivo in almeno il 30-40% dei soggetti
cronicamente infettati, e ciò è del tutto indipendente dalla
presenza di sintomatologia avendo, come diretta
conseguenza, il fatto che in molte parti d’Europa e
certamente in Italia la maggior parte dei portatori cronici
a reale rischio di sviluppare patologie invalidanti ed
eventualmente letali non risultano essere stati ancora
identificati.
3) La conclusione che una diagnosi “precoce” dell’infezione
cronica da HCV sia pertanto fondamentale per prevenire
con efficacia lo sviluppo di complicanze in quanto
permette: a) di fornire al portatore tutte le
raccomandazioni sui fattori di malattia modificabili
(abitudini di vita, alcol, alimentazione, fumo, obesità,
farmaci, ecc); b) di identificare i soggetti a maggior rischio
e velocità di progressione; c) di iniziare eventualmente
un’adeguata terapia antivirale, con possibilità di
eradicazione del virus che è ben dimostrata essere
inversamente correlata alla durata dell’infezione e allo
stadio di malattia raggiunto dal paziente.
4) La convinzione che i bassi tassi di prevalenza dell’infezione
cronica HCV attualmente stimati nella popolazione
generale e la conoscenza di fattori di rischio ben definiti
favoriscano senz’altro l’implementazione di strategie
basate sul “case finding” piuttosto che sullo screening
universale come metodo più efficace ed economicamente
vantaggioso per identificare i portatori cronici da HCV
ancora non diagnosticati e rendere possibile un più
efficace controllo delle patologie correlate attraverso
il “counselling” e le terapie antivirali.
In Italia l’infezione cronica da HCV rappresenta oggi
un’importante causa o concausa di malattia cronica del fegato,
ed è senz’altro al primo posto nella eziologia delle cirrosi
epatiche e degli epatocarcinomi. Per quanto concerne la
prevalenza dell’infezione cronica da HCV nella popolazione
italiana, i dati ottenuti sono stati ovviamente influenzati dal
campione analizzato. Studi condotti in donatori di sangue,
tipicamente associati a sottostima della reale prevalenza nella
popolazione generale, hanno spesso evidenziato prevalenze
<1%, mentre gli studi più rappresentativi hanno riportato
prevalenze tra 2,5% e 5%.
Esiste in Italia un importante gradiente Nord-Sud nella
prevalenza dell’infezione cronica HCV, e un gradiente ancor
più marcato relativo alle diverse fasce di età. Cosicchè, nelle
Regioni del Nord, la prevalenza dei portatori di HCV nella
popolazione passa da valori < 0,5% negli adolescenti a valori
attorno al 3-5% negli ultrasessantenni, mentre al Centro-Sud
la prevalenza in quest’ultima categoria può superare il
15-20%, soprattutto in aree non urbane. Ciò è una conseguenza
dei tassi molto elevati di prevalenza osservati in soggetti di età
superiore ai 60 anni, come effetto coorte per un’infezione che
ebbe grande diffusione negli anni ‘50-60 attraverso
modalità iatrogene di trasmissione ed in particolare per l’uso
“promiscuo” di siringhe in vetro utilizzate seriatamente
“porta a porta” nella somministrazione di polivitaminici,
epatoprotettori, ricostituenti e di altre terapie parenterali.
Nella popolazione più giovane, l’infezione da HCV è invece
strettamente correlata ai vari fattori di rischio, storicamente
associati all’infezione da HCV.
Allo scopo di definire le prevalenze dell’infezione cronica da
HCV nella popolazione italiana e nei diversi gruppi a rischio,
l’Istituto Superiore di Sanità organizzò nel 2005 a Roma una
“Expert Consensus Conference” che aveva anche lo scopo di pro-
porre le strategie più adeguate da implementare per un miglior
controllo della malattia da HCV. Le prevalenze di
infezione cronica da HCV descritte nelle conclusioni di questa
Conferenza nella popolazione generale e nei diversi gruppi a
rischio analizzati sono descritte nella tabella 1.
5IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
TABELLA 1: Prevalenza di infezione cronica da HCV in Italia
POPOLAZIONE GENERALE
nati prima del 1940 >5%nati 1940-1949 >3%nati 1950-1959 <1.5%nati dopo il 1959 <1%
SOGGETTI CON ESPOSIZIONE PARENTERALE
di droga 32-84%emodializzati 13-35%trasfusi prima del 1992 >10%riceventi emoderivati prima del 1987 >10%
FAMILIARI DI SOGGETTI HCV+ 6-15%SOGGETTI CON ATTIVITÀ SESSUALE PROMISCUA >3%OPERATORI SANITARI <3%SOGGETTI CON ALT ELEVATE (INDIPENDENTEMENTE DAL RICONOSCIMENTO DI FATTORI DI RISCHIO) 20-47%SOGGETTI ISTITUZIONALIZZATI 5-50%
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Screening vs case finding
In considerazione dei dati epidemiologici disponibili in Italia sulla
prevalenza dell’infezione cronica da HCV e delle fasce di età
e categorie più interessate, le conclusioni della Conferenza di
Roma del 2005 furono orientate a raccomandare strategie di
“case finding” piuttosto che una implementazione di screening
su vasta scala.
Nonostante le evidenze di elevata prevalenza di infezione
cronica da HCV nei soggetti di età superiore a 65 anni, la
Conferenza ha ritenuto questi soggetti non candidabili ad uno
screening di massa in quanto generalmente non eleggibili ad
una terapia antivirale a causa di controindicazioni, patologie
associate o scarsa tollerabilità.
Anche per i nati dopo il 1950 lo screening per HCV fu ritenuto
non appropriato, questa volta in quanto in questi soggetti la
probabilità di essere portatori cronici di HCV è molto bassa
al di fuori di casi appartenenti a specifici gruppi di rischio.
In accordo con queste conclusioni sono disponibili in
letteratura vari studi, anche con analisi del rapporto
costo-efficacia, che hanno sottolineato come lo screening
universale per HCV non sia razionale in presenza di prevalenze
di infezione cronica globalmente basse (<1-3%), con netta
indicazione a strategie di “case finding” in sottogruppi con ben
definiti fattori di rischio.
La tabella 2 descrive le categorie di soggetti per le quali la
Conferenza di Roma ritenne giusto raccomandare la ricerca
di infezione cronica da HCV, aggiornate in base ad una
successiva raccomandazione dell’Associazione Italiana per lo
Studio del Fegato (AISF), condivisa dalla Società Italiana di
Medicina Generale (SIMG).
TABELLA 2: Gruppi per i quali è raccomandato lo screening per epatite C, secondo l’Istituto Superiore di Sanità; l’Associazione ItalianaStudio Fegato e la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG)
1. Chi fa o ha fatto uso di stupefacenti per via endovenosa2. Soggetti sottoposti ad emodialisi3. Chi ha ricevuto emotrasfusioni o trapianti d’organo prima del 19924. Chi ha ricevuto fattori della coagulazione emoderivati prima del 19875. I conviventi o chi abbia convissuto con individui con infezione da HCV6. Soggetti con attività sessuale promiscua7. Soggetti che presentano una storia di malattie sessualmente trasmesse8. Nati da madre anti-HCV positiva9. Soggetti con crioglobulinemia mista essenziale10. Soggetti con tatuaggi e body piercing
(se eseguiti in ambienti non igienicamente protetti, ad esempio carceri o istituti non certificati)11. Soggetti con infezione da HIV12. Soggetti immigrati provenienti da Regioni ad endemia elevata
6IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
A quanto riportato in tabella 2 vanno senz’altro aggiunti tutti
i soggetti con alterazioni, anche minime, delle transaminasi,
persistenti o altalenanti, o con segni clinici o ecografici
suggestivi per epatopatia (compresi i casi di steatosi epatica).
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AP EpatiteC 16-11-2011 12:12 Pagina 6
7IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
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Maurizia R. BrunettoUnità di Epatologia
(out-patient liver clinic)Unità di Medicina Generale 2,
Epato-Digestiva (in-patient liver clinic)Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana,
Pisa
Ferruccio Bonino Unità di Medicina Generale 2,Epato-Digestiva (in-patient liver clinic)Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana,Pisa
UN MODELLO DI PERSONALIZZAZIONE,OTTIMIZZAZIONE E VALUTAZIONE DEGLI ESITI DI CURA
La grave crisi economica mondiale attuale mette alla corda i
sistemi sanitari e impone la ricerca del miglior risultato di cura
al minor costo, ovvero la cura giusta al momento giusto. Il
personale sanitario acquisisce perciò un nuovo ruolo: proporre
e attuare un’efficace strategia di diagnosi e terapia precoce
dell’epatite cronica virale C per ridurre l’incidenza di
malattia, la morbilità e mortalità e i costi relativi.
Oggi, grazie alla combinazione di peg-interferone e ribavirina,
l’epatite cronica C guarisce dal 55% al 95% dei casi, in
dipendenza dal tipo di infezione e della gravità di malattia.Tale
risposta potrà essere migliorata con l’introduzione di nuovi
farmaci antivirali, che però aumenteranno gli effetti indesiderati
di cura che sono già elevati con l’attuale schema terapeutico.
Inoltre l’efficacia terapeutica potrebbe essere significativamente
aumentata se, anziché attendere di curare l’epatite cronica
virale quando si è già sviluppata la cirrosi del fegato, si
intraprendesse la terapia nella fase pre-cirrotica, oggi
identificabile con metodiche non invasive.
Nel 1998 nell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana è
stata istituita un’Unità Operativa di Gastroenterologia a
indirizzo Epatologico, il cui target assistenziale prevalente è
stato individuato nel paziente epatopatico in fase asintomatica
(condizione che caratterizza circa l’80% dei pazienti con
epatopatia cronica: cioè il paziente affetto da epatite cronica,
cirrosi compensata e neoplasia epatica in stadio iniziale). Per
rispondere alle esigenze assistenziali sopra indicate è stato
sviluppato un modello organizzativo di Unità Clinica ad
indirizzo Fisiopatologico, con forte specializzazione in
Medicina di Laboratorio. L’attività di elevata complessità
clinica è svolta in regime di bassa intensità di cura, utilizzando
il regime ambulatoriale e di Day Hospital (DH), integrato
con il laboratorio di fisiopatologia. Tutta l’attività è stata
organizzata in percorsi diagnostico-terapeutici a pacchetti
mirati a rispondere alle specifiche esigenze assistenziali del
paziente epatopatico (inquadramento diagnostico del paziente
con epatite cronica virale, epatopatia non virale, tumore del
fegato; gestione del trattamento antivirale e del tumore del
fegato; monitoraggio del paziente epatopatico non trattato)
sviluppando modelli organizzativo-assistenziali ad hoc.
Per le specifiche competenze clinico-organizzative e il know
how scientifico l’UO è diventata nel 1999 Centro di
Riferimento Regionale per la diagnosi e cura delle epatopatie
e del tumore di fegato.
Un’importantissima attività, necessaria alla realizzazione del
Centro è stata la formazione ad hoc degli operatori sanitari, in
particolare degli infermieri professionali. Infatti, la cura con
elevata complessità specialistica di pazienti in fase di malattia
asintomatica "pre-acuta" in regime ambulatoriale comporta un
nuovo approccio diagnostico e terapeutico ed un trattamento
personalizzato. Fondamentale è il lavoro di squadra del
personale medico ed infermieristico nei ruoli innovativi,
rispettivamente, di case manager e case tutor dei percorsi di
diagnosi e cura, con il coinvolgimento del territorio e medici
di medicina generale e, in modo direttamente partecipativo,
del paziente e suoi famigliari.
Il modello organizzativo-assistenziale è realizzato e gestito
tramite un programma dedicato di information technology. Il
programma consente la gestione, in bassa intensità di cura
(ambulatorio), di malati ad alta complessità, ovvero con
epatite cronica, cirrosi e neoplasia del fegato in fase
asintomatica.
L'applicazione di questo chronic care model per i malati di
fegato non necessita di costose strutture ad alta intensità di
cura (in quanto l’attività è svolta in regime ambulatoriale e di
Day e Week Hospital), ma l’alta formazione della squadra degli
operatori sanitari.
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FIGURA 1: CRONICITÀ
8IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
La cura dell’epatite cronica C riconosce due momenti
fondamentali: la fase di malattia pre-sintomatica e la fase
post-sintomatica. Il passaggio dalla prima alla seconda fase
identifica la transizione da una condizione nella quale la cura
della patologia d'organo deve essere sempre valutata nel
contesto delle esigenze globali del paziente, ad una fase nella
quale la cura della lesione coincide con la cura della persona.
Le competenze specialistiche, i percorsi assistenziali ed i
modelli organizzativi che devono essere utilizzati nelle 2 fasi
sono sostanzialmente diversi e vedono il medico specialista
lavorare in sinergia con il medico di medicina generale e
l’infermiere.
Il modello organizzativo operativo di cura della fase
asintomatica è centrato sulla persona e non sulla malattia, per
rispondere al meglio al bisogno di cura, grazie alla costante
integrazione dell'attività assistenziale di tutto il personale
dell’Unità. Un'efficace azione preventiva è particolarmente
difficile, in quanto comporta un’elevata complessità
diagnostico-terapeutica per garantire appropriatezza. Da ciò
deriva l’importanza della formazione, in quanto soltanto
specifiche competenze mediche e infermieristiche integrate
sinergicamente tra loro sono in grado di evitare che erronei
progetti di cura, applicati in modo sistematico senza
personalizzazione della cura, si ripercuotano sulla salute dei
pazienti e comportino costi per i sistemi sanitari regionali,
inducendo pericolose e incurabili resistenze ai farmaci antivirali.
Per il paziente con epatite cronica C la personalizzazione del
trattamento antivirale richiede la valutazione dell’eterogeneità
genetica di virus e ospite e dei diversi co-fattori di
malattia con specifici algoritmi.
Nel Laboratorio di Fisiopatologia Epatica e Digestiva è stato
costituito un gruppo multi-competente di esperti (medici,
biologi molecolari, fisici, matematici e bio-informatici) per lo
studio e la messa a punto di modelli bio-matematici di
simulazione della dinamica dell’infezione (es. cellule infette) in
corso di trattamento.
Tale approccio è in grado di modulare la durata della terapia
nel singolo paziente con risparmio significativo (fino al 40%) dei
costi. La logica e la struttura dei processi operativi principali
dell’UO è riassunta nei successivi schemi e figure.
• Target assistenziale: paziente epatopatico in fase
asintomatica (epatite cronica, cirrosi compensata e
neoplasia epatica in stadio iniziale).
• Modello organizzativo: Out Patient Clinic, Unità Clinica
ad indirizzo Fisiopatologico con forte specializzazione in
Medicina di Laboratorio.
• Attività di elevata complessità clinica svolta in regime di
bassa intensità di cura (Ambulatorio e DH), integrato con
il laboratorio di fisiopatologia.
• Attività organizzata in percorsi diagnostico-terapeutici a
pacchetti mirati a rispondere alle specifiche esigenze
assistenziali del paziente epatopatico.
In sintesi l'attività assistenziale dell’UO si svolge secondo un
orario compreso fra le 8 e le 19. Nel pomeriggio
(ore 14.30-19) vengono effettuate le prime visite, cioè le
prime valutazioni di pazienti inviati dal Medico di Medicina
U.O. di Gastroenterologia a prevalente indirizzo Epatologico
Centro di Riferimento Regionale per la Diagnosi e Trattamento delle Epatopatie Croniche e del Tumore di Fegato
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FIGURA 2: PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO DEL PAZIENTE AFFERENTE ALL’UO EPATOLOGIA
9IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
Generale o da altri Epatologi per second opinion. Al mattino
(ore 8-13.30), invece, viene svolta l'attività di approfondimento
diagnostico o di gestione terapeutica dei pazienti per i quali
durante la prima visita si è ritenuta necessaria una presa in
carico da parte dello specialista epatologo.
Le prima valutazione avviene attraverso visite specialistiche
con pacchetto diagnostico complesso (esami emato-chimici +
ecografia epatopancratica + elastometria).
L’ approfondimento diagnostico include:
- accertamenti specialistici in day service (esami
ematochimici e strumentali mirati dopo la prima visita
specialisitica);
- accertamenti specialistici e terapie invasive in day hospital
(es. biopsia epatica, paracentesi,..);
La presa in carico assistenziale comprende il monitoraggio
con controllo clinico specialistico (presa in carico da parte
dell’equipe medica dell’ UO del paziente per periodi di 12-24
mesi in fasi di particolare criticità diagnostico-terapeutica).
Una tale organizzazione dell'attività assistenziale rispecchia
le diverse necessità diagnostico-terapeutiche del paziente
con epatite cronica C e cerca di ottimizzarne il percorso
sanitario.
Controllo Clinico Specialistico (CCS)
Il paziente per il periodo di presa in carico presso il Centro
(12-24 mesi):
• è seguito da un Medico di Riferimento e dal personale
infermieristico.
• Effettua gli esami (ematochimici o strumentali) e le visite
di controllo secondo le frequenze richieste dal programma
di monitoraggio/terapia e con una pianificazione su base
semestrale o annuale.
• In caso di urgenza specialistica, questa è coperta
dall’equipe medica secondo 2 modalità: reperibilità
telefonica (in fasce orarie prestabilite) e pronta
disponibilità medica (visita entro 24 ore).
• Gli esami sono visionati entro 24 ore dal medico di
riferimento, che richiama il paziente se sono necessarie
variazioni nel monitoraggio, per garantire continuità
assistenziale.Tutta la documentazione clinica del paziente
risiede in un database dedicato e in cartella clinica
cartacea.
• Il paziente partecipa ai progetti di ricerca in corso presso
il Centro, in quanto in occasione dei controlli un’aliquota
di siero viene raccolta e conservata nella sieroteca
dell’UO (gestione informatizzata).
Personale infermieristico (Capo Sala, 2 infermiere tempo
pieno e 2 part-time):
• accoglienza del paziente e preliminare valutazione delle
sue condizioni cliniche.
• Accettazione amministrativa del paziente*.
• Gestione dei prelievi (preparazione schede, effettuazione
prelievi, invio, monitoraggio del ritorno degli esiti,
smistamento degli esiti).
• Prenotazione di tutta l’attività su agende informatizzate
dedicate (secondo le direttive dell’UO GASPS).
• Organizzazione dei programmi diagnostico-terapeutici.
• Assistenza dei pazienti in ricovero diurno.
• Attuazione delle procedure invasive.
• Registrazione dell’attività infermieristica (cartella) e del
reparto (post-erogazione)*.
• Gestione del farmaco: richiesta, consegna al paziente,
rendicontazione*.
• Programmazione dei turni di attività dei medici.
* Tutta l’attività è informatizzata
Prima visitaPrenotazione CUP I Livello - Attività svolta il pomeriggio
Risoluzione del problema clinico
PAZIENTE RITORNA AL MEDICO
INVIANTE
Necessità di approfondimento diagnostico
IN REGIME DI D.H. OAMBULATORIALE (DAY SERVICE)
Necessità di monitoraggio nel tempo presso l’UO Epatologia
APERTURA DEL CONTROLLO CLINICO SPECIALISTICO (CCS) IN REGIME DI RICOVERO (DH) O AMBULATORIALE
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10IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
FIGURA 3: LE INTERFACCE DEL SISTEMA
In occasione della prima visita il medico specialista valuta se,
sulla base dei dati a sua disposizione (gli esami già effettuati dal
paziente in occasione dell'identificazione del problema di
salute e gli approfondimenti diagnostici strumentali, ecografia
ed elastometria, eventualmente effettuati in corso di visita) sia
possibile giungere alla definizione di un programma di
monitoraggio gestito dal medico di medicina generale
oppure sia necessario procedere con ulteriori
approfondimenti diagnostici o si passi alla diretta presa in carico
del paziente per la terapia antivirale. Circa l'80% dei pazienti
con questa singola visita ambulatoriale (in genere corredata di
indagine strumentale) possono tornare al medico inviante con
un programma compiutamente definito. Nei restanti casi la
gestione del problema diagnostico o terapeutico verrà
direttamente presa in carico dal personale dell'UO: il paziente
verrà rivisto il mattino per l'approfondimento diagnostico (in
regime ambulatoriale, Day Service o di ricovero diurno,
Day Hospital diagnostico) o la presa in carico assistenziale
(controllo clinico specialistico, CCS: in regime ambulatoriale o
di DH). L'approfondimento diagnostico (Day Service o DH
diagnostico) è finalizzato a garantire il completo inquadramento
della patologia epatica (biopsia epatica, etc..) grazie ad un
programma diagnostico personalizzato, pianificato, gestito e
eseguito dal personale dell'UO. A seconda dell'esito
dell'inquadramento il paziente ritornerà al medico inviante o
verrà preso in carico presso l'UO.
Interfaccia con i servizi diagnostici ed importazione diretta dei dati
Interfaccia con Amministrazione Aziendale
Laboratorio chimica-clinica
Analisi
Modulo Esami
Bioumorali
Modulo Anagrafica
ModuloGestioneSieroteca
Modulo DatiClinici
Modulo Terapia
ModuloRegistrazionePrestazioni
Modulo AnalisiModello
Biomatematico
Modulo Gestione del Farmaco
Modulo Programmazione eprescrizione esami
CUPControllo di
Gestione
MMG
e
SpecialistiArea Vasta
Laboratorio diFisiopatologia
Epatica e Digestiva
Altri laboratori eAnatomie
PatologicheRadiologie
Accesso con IDe PW. ScadenzaPW trimestrale,tracciabilitàaccessi e modifiche
Cartella Clinica Epatologica
InterfacciaWEB
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Attività assistenziale
Controllo di gestione Area
amministrativa
Organizzazione/gestione del rischio clinico
Area sanitaria
Flussoinformativo
11IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
FIGURA 4: FLUSSO INFORMATIVO
I risultati del progetto
L'efficacia applicativa del modello di Pisa è oggi testata per una
valutazione oggettiva della riduzione dei costi di gestione
dell’epatite cronica, cirrosi e tumore del fegato dal
Laboratorio di Ricerca e Formazione per il Management dei
Servizi alla Salute della Scuola Superiore S.Anna di Pisa. Il
progetto ha permesso:
a) il diretto coinvolgimento dei pazienti, medici di famiglia e
specialisti del territorio e dei centri di riferimento
collegati in rete tra loro;
b) la sperimentazione allargata (in corso) di un modello di
controllo di gestione e analisi dei costi indirizzati per
pacchetti diagnostici ed esiti di cura piuttosto che per
semplice somma di uso strumentale di test diagnostici e
farmaci e il confronto in termini di qualità e costi dei due
sistemi gestionali, quello innovativo e quello tradizionale.
L’analisi e il monitoraggio, sia della qualità e dei costi dei
risultati, che di qualità ed esiti di cura conseguenti al modello
gestionale innovativo e alla modalità corrente, è condotta
utilizzando come indicatore i costi complessivi per esito
(outcome), la persistente normalizzazione di transaminasi e
negativizzazione di HCV-RNA sierico (sustained response) per
le diverse tipologie cliniche di pazienti infettati con
diversi genotipi virali (ovvero numero di sustained responders
divisi per il costo globale della gestione di tutti i pazienti
trattati, intention to treat analysis).
I risultati generali evidenziati sono stati:
a) utilizzo corretto del modello di Out Patient Clinic;
b) miglioramento del grado di appropriatezza delle indagini
dopo l’applicazione del modello e conseguente riduzione
dei costi;
c) riduzione dei tempi necessari alla diagnosi dopo
applicazione del modello organizzativo.
Bibliografia
• Bonino F, Brunetto MR, Casati S, Manca L.
Complessità in Medicina 2010
Edizioni Universitarie Plus, Pisa
• Brunetto MR, Colombatto P, Bonino F.
Personalized therapy in chronic viral hepatitis
2008 Molecular Aspects of Medicine 29: 103–111.
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Antonio CraxìProfessore Ordinario di Medicina Interna e Gastroenterologia,Direttore della Scuola di Specializzazione in GastroenterologiaUniversità di Palermo
PROSPETTIVE DI CAMBIAMENTO DELL'ALGORITMODI GESTIONE DEL PAZIENTE HCV
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12IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
L’attuale Standard di Cura (SoC) e sviluppo di nuove terapie
Il principale obiettivo della terapia dell’HCV è la cura
dell’infezione, risultante nell’eliminazione del virus erpetico
circolante dopo la fine del trattamento. L’eradicazione
dell’infezione deve essere ricercata al fine di prevenire le
complicazioni epatiche correlate all’HCV, che includono
l’infiammazione con necrosi, la fibrosi, la cirrosi, il carcinoma
epatocellulare (HCC) ed infine la morte.
Esistono alcuni indicatori utili nell’identificazione della risposta
al trattamento, la Sustained Virological Response (SVR), ad
esempio, rappresenta l’endpoint primario e viene raggiunto
quando i livelli di HCV RNA sono impercettibili (<50 IU/ml)
a distanza di 24 settimane dal termine del trattamento (Figura.1).
Nei pazienti che ottengano questo risultato, la probabilità di
recidiva è inferiore al 5%, pertanto si può ritenere con buona
approssimazione che l’infezione da HCV sia stata eradicata.
FIGURA 1: LIKELIHOOD OF SVR ACCORDING TO VIRAL RESPONSE IN THE FIRST WEEKS OF THERAPY
Diversi endpoints intermedi vengono comunemente utilizzati
al fine di valutare la probabilità di raggiungere l’SVR e, in
secondo luogo, per personalizzare al meglio la terapia. Questi
indicatori, tramite la misurazione dei livelli di HCV RNA a 4, 12
e 24 settimane dalla terapia, permettono di compare i valori
con quelli dell’HCV RNA basale ed interpretarne i risultati.
Le modalità di gestione del paziente HCV possono variare
sensibilmente a seconda del centro trattante; è comunque
opportuno analizzare i seguenti parametri:
Follow up in terapia (monitoraggio):
Visita ed esami 1 volta al mese:
• Transaminasi ALT
• Emocromo completo
• Acido urico
• Glicemia
• Azotemia
• Creatinina, clearance creatinina
• Viremia HCV RNA dopo 1 mese, 3 mesi, 6 mesi e a fine
terapia
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13IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
TABELLA 1: MONITORING OF ON THERAPY RESPONSE TO PEG IFN PLUS RIBAVIRIN
Follow up conclusa la terapia:
Il paziente viene visto dopo 3 mesi, al 6°, al 12° mese, 1 volta
anno per 5 anni:
• Transaminasi al 3° e al 6° mese di follow up per gli ETR
• Viremia se negativizzato per valutare la SVR al 3°, al 6°, al
12° mese. A seconda del centro considerato, il paziente
può essere monitorato anche ogni 6 mesi per i primi 3
anni.
Quando l’HCV viene eradicato in pazienti non cirrotici, sia
l’infiammazione con necrosi sia la fibrosi si arrestano.
Nei pazienti in cui non sia presente cirrosi, l’SVR è solitamente
associata alla cura dalla malattia epatica (Tabella 1). Quando
invece il paziente è caratterizzato da uno stadio cirrotico,
purtroppo rimane in pericolo di vita, in quanto il carcinoma
epatocellulare può verificarsi anche a seguito dell’eradicazione
del virus.
L’attuale Standard di Cura (SoC) dell’Epatite C Cronica è
rappresentato dalla terapia in combinazione di ribavirina ed
interferone pegilato (PEG-IFN-a). (1,2)
Nei pazienti in cui sia identificato un HCV con genotipo 1, i
tassi di SVR nella maggior parte degli studi, raggiungono il 40%
nel Nord America ed il 50% nell’Europa Occidentale.
Decisamente più alti sono i livelli di SVR nei pazienti affetti dai
genotipi 2, 3, 4, 5 e 6, i quali raggiungono l’80%.
Ad oggi sono disponibili due molecole di IFN-a pegilato,
l’IFN-a2a e l’IFN-a2b, e sono entrambe utilizzabili nella terapia
con ribavirina. Nonostante abbiano una differente
farmacocinetica, non esistono ancora delle solide evidenze su
quale tra le due molecole sia da preferire nella terapia di
prima linea.
Trattamento ripetuto dei pazienti non-sustained virological
responders alla terapia con IFN-a pegilato e ribavirina
Nei pazienti che non abbiano ottenuto una SVR al primo ciclo
di terapia, devono essere valutati alcuni fattori specifici che
possono influenzare l’efficacia del ritrattamento. Come per i
pazienti naive, devono essere analizzati la tollerabiltà,
l’aderenza, la severità della malattia, il genotipo e la carica
virale, inoltre è opportuno prendere in considerazione anche
il precedente tipo di risposta e la maggiore potenza della
nuova terapia rispetto alla precedente.
I pazienti con infezione da HCV con genotipo 1, non SVR
reponders alla terapia standard, hanno una scarsa probabilità di
raggiungere una SVR. Quando questi pazienti vengono trattati
nuovamente con la terapia standard, la probabilità di SVR non
supera il 10-15% nei non responder ed il 30-40% nei recidivi.
I pazienti appena descritti dovrebbero avere un trattamento
differito ed essere rivalutati per la nuova terapia, non appena
sarà disponibile, con IFN-a pegilato e ribavirina in combinazione
con gli antivirali ad azione diretta (es. inibitori delle proteasi
dell’HCV).
Gli inibitori delle proteasi di prima generazione saranno
approvati per il trattamento esclusivamente dell’HCV genotipo
1, in quanto non risultano efficaci contro le altre forme.
I pazienti con HCV non-genotipo 1 e non responders alla SoC,
potranno quindi essere trattati esclusivamente con un nuovo
ciclo della medesima terapia quando essi presentino l’urgenza
o nel caso in cui vi sia stata scarsa aderenza o
problemi con il regime posologico durante il primo ciclo di
trattamento.
Dovrebbe essere consigliabile un altro trattamento la
cui durata sia implementata (48 settimane per i genotipi 2
e 3, 72 settimane per il genotipo 4), in particolare, nei
pazienti con DVR e con recidiva durante il primo ciclo di
trattamento. (2,3,4,5)
Si raccomanda che i pazienti non-responders alla SoC,
qualora sia possibile, vengano inseriti all’interno degli studi
clinici con i nuovi farmaci per il trattamento della HCV
cronica.
Sustained virological response (SVR) Undectable HCV RNA level (<50IU/ml), 24 weeks after treatmentRapid virological response (RVR) Undectable HCV RNA in a sensitive assay (lower limit of detection ≤50 IU/ml) at week 4 of
therapy, maintained up to end of treatmentEarly virological response (EVR) HCV RNA detectable at week 4 but undetectable at week 12, maintained up to end of treatmentDelayed virological response (DVR) More than 2 log10 drop but detectable HCV RNA at week 12, HCV RNA undetectable at week 24,
maintained up to end of treatmentNull response (NR) Less than 2 log10 IU/ml decrease in HCV RNA level from baseline at 12 weeks of therapyPartial nonresponse (PR) More then 2 log10 IU/ml decrease in HCV RNA level from baseline at 12 weeks of therapy
but detectable HCV RNA at weeks 12 and 24Breakthrough (BT) Reappearance of HCV RNA at any time during treatment after virological response
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14IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
Infatti, la terapia di mantenimento con basse dosi di IFN-a
pegilato non è solitamente raccomandata, in quanto è stata
dimostrata una generale mancanza di efficacia nel prevenire le
complicazioni da epatite C cronica nel lungo periodo. (6)
Terapia dei pazienti con cirrosi compensata
I pazienti con cirrosi compensata devono essere trattati ,
in assenza di controindicazioni, al fine di prevenire le
complicazioni dell’infezione cronica da HCV che in questo
gruppo si verificano nel breve/medio periodo.
I tassi di SVR con IFN-a pegilato e ribavarina risultano inferiori
nei pazienti con fibrosi avanzata o cirrosi, rispetto a quelli con
fibrosi lieve o moderata. Per questo motivo può essere
comunque opportuno aspettare l’approvazione delle triplici
terapie con inibitori delle proteasi (genotipo 1), quando alla
disponibilità manchino pochi mesi.
Prospettive relative alla triplice terapia con interferone
pegilato, ribavirina e inibitori delle proteasi
Sono stati riportati importanti passi avanti negli studi relativi
ai nuovi trattamenti per l’epatite C, i quali si basano su inibitori
specifici ed inibitori diretti antivirali.
E’ in corso un notevole numero di studi clinici su inibitori delle
proteasi, inibitori delle polimerasi, inibitori della ciclofillina, nuove
tipologie di Interferone, derivati della ribavirina e
vaccini. La maggior parte di questi trial sono rivolti a pazienti
con HCV di genotipo 1. (7)
Sono stati invece già completati studi clinici di fase III sulla
combinazione di IFN-a pegilato, ribavirina ed inibitori diretti
dell’HCV proteasi.
Tali nuovi farmaci, assunti per via orale nei soggetti infetti,
hanno la capacità di inibire il virus dell’epatite C determinando
una caduta dei livelli del virus nel sangue.Tuttavia, se utilizzati
da soli, determinano la rapida insorgenza di mutazioni che
conferiscono la resistenza al farmaco utilizzato. (8,9)
Per tale motivo essi sono stati sperimentati in associazione a
IFN-a pegilato e ribavirina.
Grazie ai dati derivanti dagli studi, è molto probabile che sia
approvata una tripla terapia nei pazienti infettati da HCV
genotipo 1 che siano naïve o che non abbiano risposto in
precedenza alla terapia standard.
Gli studi pivotali di cui sopra, hanno evidenziato che una parte
di pazienti ha ottenuto precocemente una risposta
soddisfacente ed in questo caso, la durata del trattamento è
stata significativamente più breve. (10,11)
I due inibitori delle proteasi che hanno completato gli studi di
fase III, vengono somministrati tre volte al giorno; uno
necessita di una fase di lead-in di 4 settimane con IFN-a
pegilato e ribavirina.
Nei pazienti naïve la percentuale di SVR è stata del 27-31%
più alta con la terapia triplice.
Sono utilizzati trattamenti adattati alla risposta; a seconda del
farmaco considerato, una terapia di 24 settimane è
somministrata ai pazienti che diventino HCV RNA negativi
alla quarta ed alla dodicesima settimana (eRVR), o a quelli che
diventino negativi dall’ottava alla ventiquattresima settimana.
Per i pazienti che non raggiungano un eRVR è richiesto un
trattamento di 48 settimane.
E’ probabile un trattamento più breve nel 50-66% dei
pazienti; in quelli con una recidiva precedente è stato
evidenziato un tasso molto alto di SVR 75-86%, mentre è
risultata inferiore per i pazienti in cui la risposta fosse parziale
50-60% e per quelli non-responder 33%. (12)
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15IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
Bibliografia
1) Ghany MG, Strader DB,Thomas DL, Seeff LB.
Diagnosis, management, and treatment of hepatitis C:
an update.
Hepatology 2009;49:1335–1374.
2) Sarrazin C, Berg T, Ross RS, Schirmacher P,Wedemeyer H,
Neumann U, et al.
Prophylaxis, diagnosis and therapy of hepatitis C virus
(HCV) infection: the German guidelines on the
management of HCV infection.
Z Gastroenterol 2010;48:289–351.
3) Hadziyannis SJ, Sette H, Morgan TR, Balan V, Diago M,
Marcellin P, et al.
Peginterferon-alpha 2a and ribavirin combination therapy in
chronic hepatitis C – a randomized study of treatment
duration and ribavirin dose.
Ann Intern Med 2004;140:346–355.
4) Jensen DM, Marcellin P, Freilich B, Andreone P, Di Bisceglie
A, Brandao-Mello CE, et al.
Re-treatment of patients with chronic hepatitis C who do not
respond to peginterferon-alpha 2b a randomized trial.
Ann Intern Med 2009;150:W97–W528.
5) Zeuzem S, Berg T, Moeller B, Hinrichsen H, Mauss S,
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Expert opinion on the treatment of patients with chronic
hepatitis C.
J Viral Hepat 2009;16:75–90.
6) Di Bisceglie AM, Shiffman ML, Everson GT, Lindsay KL,
Everhart JE,Wright EC, et al.
Prolonged therapy of advanced chronic hepatitis C with low-
dose peginterferon.
N Engl J Med 2008;359:2429–2441.
7) Flisiak R, Parfieniuk A.
Investigational drugs for hepatitis C.
Expert Opin Invest Drugs 2010;19:63–75.
8) Reesink HW, Zeuzem S,Weegink CJ, et al.
Rapid decline of viral RNA in hepatitis C patients treated with
VX-950: a phase Ib, placebo-controlled, randomized study.
Gastroenterology 2006; 131: 997-1002.
9) Zeuzem S, Hezode C, Ferenci P, et al.
Telaprevir in combination with peginterferon-alpha-2a with or
without ribavirin in the treatment of chronic hepatitis C: final
results of the PROVE2 study.
Hepatology 2008; 48 (suppl): 418A-419A.
10)Bacon BR, Gordon SC, Lawitz E, Marcellin P,Vierling JM,
Zeuzem S, et al.
HCV RESPOND-2 final results: high sustained virologic
response among genotype1 previous nonresponders and
relapsers to peginterferon/ribavirin when retreated with
boceprevir plus PegIntron/ribavirin.
Hepatology 2010;52:430A.
11)Sherman KE, Flamm SL, Afdhal NH, Nelson DR, Sulkowski
MS, Everson GT, et al.
Telaprevir in combination with peginterferon alfa2b and
ribavirin for 24 or 48 weeks in treatment-naive genotype 1
HCV patients who achieved an extended rapid viral
response: final results of Phase 3 ILLUMINATE study.
Hepatology 2010;52:401A.
12)Zeuzem S, Andreone P, Pol S, Lawitz EJ, Diago M, Roberts
S, Focaccia R,Younossi ZM, Foster GR, Horban A,
Pockros PJ,Van Heeswijk R, de Meyer S, Luo D, Picchio G,
Beumont M.
Realize trial final results: telaprevir-based regimen for
genotype 1 hepatitis C virus infection in patients with prior
null response, partial response or relapse to
peginterferon/ribavarin.
Abstracts of the International Liver Congress™ 2011.
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16IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
Giovanni Battista GaetaMalattie Infettive,
Seconda Università di Napoli
MODELLO ORGANIZZATIVO PER LA GESTIONE DEL PAZIENTE AFFETTO DA HCV
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Centri abilitati alla gestione dei nuovi farmaci indicati per
cura dell’epatite C e requisiti minimi da rispettare
Gestire in maniera ottimale i pazienti affetti da HCV con
l’impiego dei nuovi farmaci antivirali implica sicuramente una
grande competenza, intesa non solo come la preparazione dei
singoli medici, presupposto comunque imprescindibile in ogni
area d’intervento, ma anche come capacità di ogni struttura di
riuscire a gestire e pianificare le molteplici sfaccettature
organizzative che il governo di questa tipologia di pazienti
comporta.
Un esempio di problematica, associata alla gestione del
paziente con epatite C, può essere rappresentato dalla
capacità di programmazione ed organizzazione del
laboratorio d’analisi; punto, spesso focale, del percorso
diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) di questi
pazienti.
FIGURA 1: IL PROFILO DI UN CENTRO PRESCRITTORE
Requisiti di un centro prescrittore
STRUTTURA
LogisticaNumero pazienti/annoRete con altri centri
PERSONALE
Numero specialistiAmbulatori
DegenzaAltri specialisti
Figure non mediche
LABORATORIO
Diagnostica immagini
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17IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
In questa sede è opportuno evidenziare, in particolare, due
punti critici che un laboratorio deve affrontare in sede di
revisione dell’organizzazione dei servizi diagnostici, erogabili
durante la gestione del paziente affetto da HCV: il primo è
rappresentato dalla scelta della metodologia per la
determinazione della viremia HCV , in quanto il test ottimale
dovrebbe avere un limite inferiore di sensibilità pari a 10-12
unità internazionali per millilitro, che solo una PCR Real Time
può fornire; il secondo elemento da considerare attentamente
è la capacità del laboratorio di fornire delle risposte in tempi
rapidi.
Infatti, le tempistiche di follow-up del paziente con epatite C in
trattamento con i nuovi antivirali sono estremamente
rigorose e stringenti, con lo scopo primario di evitare
l’esposizione al farmaco in presenza di viremia persistente,
cosa che comporta un rischio elevato di insorgenza di
resistenze. In pratica, il livello di viremia determinato
periodicamente tra le settimane 4 e 24 di terapia (a seconda
del farmaco e del protocollo utilizzato) costituisce la base per
le decisioni cliniche, quali l’interruzione della terapia
(“stopping rule”) o la durata della stessa. E’ quindi
indispensabile che il laboratorio fornisca l’esito dei test di
risposta virologica in tempi estremamente ristretti per
giungere ad una decisione clinica tempestiva ed efficace.
Per esempio, se prendessimo in considerazione un tempo
medio di due settimane (rilevato come tempistica media in
molte delle strutture considerate) per la consegna dei risultati
d’indagine, sarebbe evidente l’impossibilità di prendere una
decisione in tempi utili. Gli esami necessari alla quarta settimana
verrebbero consegnati alla sesta, comportando così un ritardo
decisionale che, quanto meno, può comportare una inutile se
non dannosa esposizione a farmaci in pazienti non responsivi.
Ritardare la possibilità di decisione e di conseguenza la scelta
della terapia più opportuna, può esporre i pazienti, che non
abbiano risposto adeguatamente al trattamento somministrato,
a potenziali rischi di sviluppare resistenze ai farmaci, che allo
stato attuale non sono gestibili con terapie alternative e le cui
conseguenze nel tempo non sono pienamente conosciute.
A tale proposito sarebbe opportuno identificare un centro di
riferimento regionale al fine di permettere lo studio e
l’identificazione, tramite il sequenziamento del virus, delle
mutazioni di resistenza.
Un altro elemento chiave del modello organizzativo per la
presa in carico ed il trattamento del paziente con HCV è la
cooperazione tra centri nella prevenzione e nel controllo
delle possibili resistenze. E’ necessario, infatti, organizzare
la scelta dei centri di riferimento, secondo un chiaro
modello organizzativo a rete, su scala regionale, o addirittura
FIGURA 2: PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO
AmbulatorioElegibilità
Dati relativi a trattamentiprecedenti
Rete conaltri centri
Counselling
NaiveNon-responder/relapser
Trattamento
MonitoraggioLaboratorio di riferimento
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18IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
sovra-regionale. Uno scambio di informazioni è particolarmente
importante per la gestione dei pazienti già precedentemente
trattati con la terapia standard e risultati non responsivi, per i
quali le probabilità di risposta ad un nuovo trattamento con
gli antivirali diretti dipende dalla cinetica virale mostrata al
precedente trattamento (null responder? partial responder?
relapser?) e potrebbe essere determinante in futuro per la
gestione con terapie di seconda o terza linea dei casi risultati
resistenti agli attuali trattamenti.
Modello organizzativo per la scelta e la supervisione dei
pazienti eleggibili alla nuova terapia. Impegno richiesto con
l’utilizzo dei farmaci di nuova generazione rispetto a quello
necessario con l’utilizzo dell’attuale Standard of Care (SoC)
L’organizzazione del reparto, del Day Hospital o
dell’ambulatorio, a seconda del regime assistenziale
considerato, diventa un fattore di notevole rilevanza per il
processo di scelta del paziente e, maggiormente, nel follow-up
in corso di terapia. A tal proposito, devono essere
attentamente valutati non solo l’organizzazione del controllo
virologico, ma anche la gestione di tutte le problematiche
legate alla diagnosi e alla gestione degli eventi avversi dovuti
alla tossicità del farmaco.
Mentre l’utilizzo dello Standard of Care (Peg-IFN + ribavirina)
è associato ad un’enorme e diffusa esperienza nella rilevazione
e nella gestione degli effetti collaterali ad esso associati, con
l’introduzione di una nuova terapia bisogna essere preparati
ad affrontare un “territorio nuovo”, praticamente inesplorato
nella pratica clinica.
Bisogna considerare che con il passaggio dai clinical trials alla
pratica clinica il bacino di pazienti aumenta enormemente e,
con esso, anche la possibilità che emergano nuovi effetti
collaterali, che possono anche non essersi verificati durante gli
studi clinici, visto il limitato numero di persone arruolate.
Altro elemento differenziante la pratica clinica è la variazione in
termini qualitativi della casistica dei pazienti, che, essendo
meno selezionati, di solito sono più anziani, con malattia
epatica in stadio più avanzato e con differenti comorbilità.
L’individuazione di referenti medici e di personale
infermieristico a supporto, che abbiano effettuato un training
specifico, è un elemento cardine per il follow-up dei pazienti.
Fin dalla fase pre-terapia un counselling adeguato serve a
rendere consapevole il paziente delle fasi e delle aspettative
della terapia, istruendolo sulle modalità di somministrazione
dei farmaci (può essere necessaria l’assunzione di 12 pillole al
giorno!) e sui possibili eventi avversi. In aggiunta, un altro
valido strumento di supporto è la predisposizione di una linea
telefonica dedicata che permetta al malato di contattare il
proprio referente all’interno del centro ed esporre le sue
problematiche. L’entità di quest’ultime potrebbe rendere
necessaria una visita del paziente in tempo reale, per la quale
il centro deve poter garantire un accesso prioritario al fine di
evitare un turno di appuntamento ambulatoriale che potrebbe
non essere adeguato. E’ chiaro che queste proposte si pongono
in forte contrasto con l’attuale realtà organizzativa che, vede
particolarmente diffusa una generale ristrettezza di personale.
Ulteriore punto chiave che deve caratterizzare un centro
preposto alla gestione del paziente affetto da epatite C è la
costruzione di una rete interna di consulenze cliniche.
L’intervento di un dermatologo potrebbe essere molto utile
nella diagnosi e nel supporto ai pazienti che presentino effetti
collaterali come il rash. Ad altre figure professionali come lo
psichiatra invece, avendo già un importante ruolo anche
durante il supporto al trattamento con lo Standard of Care,
sarebbe richiesto di estendere il loro appoggio anche durante
l’utilizzo della nuova terapia.
Da un punto di vista prettamente tecnico, per affrontare la
criticità relativa all’eleggibilità dei pazienti, bisogna affidarsi
all’approfondita conoscenza, da parte dello specialista, delle
problematiche legate alla gestione dei pazienti con HCV, che
in questo contesto, risulta essere il fattore maggiormente
discriminante.
“Scegliere” un paziente implica, infatti, fargli intraprendere un
percorso terapeutico non semplice, nel quale investire risorse
rilevanti. Tutto ciò presuppone l’avere un quadro ben chiaro
di tutte le sue caratteristiche, delle reali probabilità di
successo ed, in particolare, essere estremamente preparati a
tutti gli eventi che si potrebbero verificare durante la durata
del trattamento.
In questo caso, oltre alle molteplici possibilità di trattamento
dovrebbe essere anche valutata l’opzione del non-trattamento,
in attesa che si rendano disponibili ulteriori nuovi farmaci.
Il delicato momento decisionale appena esposto presume
appunto una conoscenza estremamente approfondita dei
trattamenti disponibili, delle possibilità d’efficacia, delle
controindicazioni e dei possibili eventi avversi.
Infine, ulteriore aspetto organizzativo che dovrà essere
attentamente preso in considerazione al fine di ottenere
un’ottimale gestione del paziente affetto da epatite C, sarà
quello regolatorio/amministrativo per l’erogazione dei nuovi
farmaci.
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19IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
L’utilizzo delle indagini di laboratorio finalizzate alla definizione
diagnostica e all’inquadramento clinico del paziente con
epatite cronica C è notevolmente cambiato negli ultimi anni.
Si sono infatti progressivamente sviluppati nuovi test
diagnostici, sempre più sofisticati, precisi ed affidabili, che
utilizzando metodologie d’indagine diverse, hanno consentito
una più fine caratterizzazione del paziente, processo che
d’altra parte ha richiesto un crescente livello di
specializzazione dei laboratori che si occupano di infezione da
HCV.
Ai giorni nostri le indagini diagnostiche di laboratorio
necessarie per la corretta gestione del paziente con infezione
da HCV comprendono principalmente: analisi virologiche, sia
di tipo qualitativo che quantitativo, analisi biochimiche, analisi
molecolari e genetiche, il cui utilizzo integrato consente di
monitorizzare le diverse fasi di malattia, sia nel corso della sua
storia naturale che durante i cicli di trattamento. A queste
indagini “di laboratorio” si aggiungono valutazioni strumentali
oggi sempre più indispensabili, quali ad esempio la
fibroelastometria epatica mediante Fibroscan, uno strumento
molto utile per stimare con ragionevole approssimazione
l’entità della fibrosi tissutale.
L’evoluzione tecnologica occorsa in questi ultimi anni ha avuto
un profondo impatto in tutte le fasi della gestione clinica del
paziente con infezione cronica da HCV, sia nell’iniziale
work-up diagnostico, che nel monitoraggio in corso di terapia,
sia nella verifica di avvenuta guarigione. Questo processo,
grazie alla messa a punto di test sempre più sofisticati, ha
permesso di rilevare livelli di viremia molto inferiori rispetto a
quelli misurabili 5-10 anni fa, e di conseguenza di
identificare con molta maggiore accuratezza stati di infezione
persistenti, o di ripresa/riattivazione virologica, o di effettiva
eradicazione virale. Naturalmente l’uso corretto di queste
metodiche ha richiesto un livello crescente di specializzazione
ed un particolare rigore metodologico, fattori fondamentali
nel definire l’affidabilità di un laboratorio. I test di biologia
molecolare per la determinazione di HCV-RNA utilizzano
tecniche di amplificazione del segnale (bDNA) o dell’acido
nucleico. Fino ai primi anni 2000 si utilizzava il sistema Cobas
Amplicor come test di massima sensibilità per la misurazione
dell’HCV-RNA; questo strumento utilizza il principio della
PCR (Polymerase Chain Reaction) per l’amplificazione delle
molecole “target” ed una reazione enzimatico-colorimetrica
per la rilevazione delle molecole amplificate. Il limite di
sensibilità di questa metodica era inizialmente di 600 copie
virali per millilitro, valore estremamente alto rispetto al livello
di sensibilità diagnostica dei metodi di real-time PCR oggi
disponibili (Taqman), che raggiungono 10-15 unità
internazionali/IU di HCV-RNA per millilitro. Ciò ha di fatto
cambiato profondamente le modalità di gestione e di
interpretazione dei risultati della terapia antivirale dell’epatite
C, soprattutto in relazione agli aspetti di maggior rilievo che
sono rappresentati dalla verifica degli outcomes virologici, cioè
la sustained virological response (SVR), la ripresa virologica in
corso di terapia (break-through) o al termine del trattamento
(relapse virologico). E’ oggi del tutto evidente, ad esempio, che
molti pazienti categorizzati in passato erroneamente come
“relapsers virologici”, lo erano perché il dato era basato
sull’utilizzo di test di misurazione di HCV-RNA di sensibilità
insufficiente, e che oggi questi pazienti sarebbero stati
verosimilmente classificati come partial non responders.
L'importanza del laboratorio di virologia
Oggigiorno il laboratorio di virologia è innanzitutto di
fondamentale importanza nella caratterizzazione dei genotipi
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Mario AngelicoCattedra di GastroenterologiaUniversità di Roma Tor Vergata
IL RIGORE METODOLOGICO NEL WORK-UP DIAGNOSTICO E PROGNOSTICO DI LABORATORIO DEL PAZIENTE CON INFEZIONE CRONICA DA HCV
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20IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
virali e nella quantificazione dei livelli di HCV-RNA nel siero.
La maggiore linearità dei test attuali consente una maggiore
accuratezza nella valutazione delle cariche virali alte, che
erano in precedenza quasi sempre sottostimate, fattore
rilevante perché l’alta carica virale rappresenta un predittore
sfavorevole di risposta al trattamento convenzionale con
Peg-interferone alfa e ribavirina. Il laboratorio ha acquisito una
importanza crescente anche nel monitoraggio virologico in
corso della terapia, soprattutto nella fase di valutazione della
risposta virologica precoce, dopo 4 settimane di terapia, o
rapid virological response (RVR); e dopo 12 settimane di
terapia, o Early virological response (EVR). Una accurata ed
affidabile valutazione di RVR ed EVR è di fondamentale
importanza perché rappresenta il principale predittore di
risposta favorevole alla terapia, e può consentire di modularne
la durata ed ottimizzarne i risultati ed il rapporto
costo/beneficio. Il principio della “Response Guided Therapy” si
basa infatti sulla possibilità di personalizzazione della terapia
antivirale sulla base della valutazione della risposta virologica a
4 settimane (RVR) o a 12 settimane, sia completa (cEVR) che
parziale (pEVR). Questo approccio assumerà grande rilevanza
anche nella gestione dei nuovi schemi di terapia basati
sull’utilizzazione di tre farmaci, cioè con l’introduzione dei
cosiddetti Direct Antiviral Agents (DAAs), i quali consentono di
ottenere migliori livelli di SVR anche in conseguenza del fatto
che inducono una più rapida negativizzazione della viremia.
Ulteriori momenti di grande importanza dove è necessario
l’utilizzo di metodiche di alta sensibilità ed elevato rigore
metodologico, onde minimizzare il rischio di misclassificazione
delle risposte terapeutiche, sono quelli della valutazione di
HCV-RNA al termine della terapia (end-of treatment response,
ETR) e soprattutto a 24 settimane dal suo termine (sustained
virological response SVR).
Il trattamento antivirale dell’infezione da HCV è oggi
diversificato in base a molteplici fattori. Tra questi ha una
notevole importanza la determinazione del genotipo virale.
I genotipi 1 e 4 sono abitualmente considerati genotipi
“difficili”, e per questo richiedono schedule di trattamento più
estese, mentre il genotipo 3 è oggi considerato un genotipo
“intermedio” ed il genotipo 2 è considerato “facile”, perché
molto più responsivo al trattamento. Accanto a queste
distinzioni virologiche di massima, è oggi ben accertato che
altri fattori possono influenzare in modo rilevante la risposta
alla terapia antivirale, fattori correlati all’ospite piuttosto che al
virus, e che è altrettanto importante ben caratterizzare nella
stadiazione iniziale del paziente con infezione da HCV.
Queste considerazioni assumono oggi ancor maggiore
attualità in previsione del prossimo utilizzo esteso dei DAA.
Con l’introduzione di questa nuova classe di farmaci sarà
necessario, ad esempio, sequenziare alcune porzioni del
genoma virale per evidenziare possibili resistenze, sia presenti al
baseline che insorte a seguito del trattamento. In questo
ambito è stata di grande utilità l’esperienza virologica fatta
negli scorsi anni nel trattamento poli-farmacologico
dell’infezione da HIV e, più recentemente, da HBV, condizioni
nelle quali lo studio sistematico delle resistenze virali ha
infatti assunto un ruolo cruciale per la gestione globale della
terapia. Questo tema, ancora relativamente nuovo o poco
conosciuto per l’infezione da HCV, è prevedibile che
diventerà di grande attualità dal momento che la selezione
di quasi-specie virali resistenti ai DAA, anche di tipo
cross-reattivo, si profila come uno degli aspetti più
determinanti per il successo delle nuove terapie. E’ quindi
evidente che occorrerà poter disporre di un laboratorio
capace di monitorizzare l’insorgenza delle resistenze
attraverso il sequenziamento dell’HCV-RNA virale. Questa
metodica non sarà certamente di utilizzo allargato, così come
ormai sono divenute la misurazione dell’HCV-RNA e la
determinazione del genotipo, ma sarà, almeno inizialmente,
ristretta a laboratori di biologia molecolare selezionati e di
solida esperienza (HUB).
Il work-up diagnostico e prognostico del paziente
Il work-up diagnostico del paziente con infezione cronica da
HCV deve sempre comprendere anche un’attenta stadiazione
clinica della malattia HCV relata, che necessita anch’essa di
avvalersi dell’uso metodologicamente corretto del
laboratorio biochimico e di specifiche indagini strumentali e,
ove necessario, istologiche. Ciò è fondamentale per definire in
modo adeguato lo stato di evoluzione ed attività della
malattia. In questo ambito, accanto alla valutazione sequenziale
dei comuni parametri di citolisi epatica, rappresentati dalle
transaminasi, tradizionalmente considerati come il più semplice
indicatore surrogato di attività di malattia, e della cosiddetta
funzionalità epatica, altre valutazioni di laboratorio hanno
assunto notevole importanza, anche di tipo prognostico,
come lo studio di fattori metabolici associati all’infezione da
HCV. In particolare, è sempre buona norma oggi valutare
l’eventuale presenza di tutte le componenti della cosiddetta
“sindrome metabolica”, e più specificamente l’entità della stea-
tosi epatica e dell’insulino-resistenza, fattori potenzialmente
correggibili capaci di influenzare l’outcome della terapia
antivirale.
Un altro aspetto diagnostico di grande importanza nel
work-up diagnostico e prognostico del paziente con infezione
cronica da HCV è la misurazione almeno semi-quantitativa
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21IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
dell’evoluzione irreversibile della malattia, attraverso la
valutazione della fibrosi epatica, la cui evoluzione è noto
essere inversamente correlata con la probabilità di risposta
alla terapia antivirale. Ciò si avvale modernamente, accanto ad
alcuni test bioumorali, oggi di modesta utilità, soprattutto della
già citata fibro-elastometria epatica mediante Fibroscan. Questa
metodica, la cui corretta utilizzazione richiede personale
qualificato e un adeguato training, permette di studiare i livelli
di progressione della fibrosi epatica e l’eventuale transizione
del paziente da un quadro di epatite cronica ad un quadro di
cirrosi. Come già accennato, l’estensione della fibrosi e la sua
progressione nel tempo, influenzano la prognosi e la gestione
clinica dei pazienti, ed anche le scelte terapeutiche, che
richiedono sempre nel caso di fibrosi avanzata una maggior
livello di “personalizzazione”basata sulle caratteristiche cliniche,
bioumorali, ematologiche e prognostiche di ciascun paziente.
In questo ambito, sino a poco tempo fa, la biopsia epatica
rappresentava l’unico strumento di valutazione della fibrosi
epatica ed ancor oggi in effetti rappresenta il gold standard per
questa valutazione.Tuttavia, essendo la biopsia una procedura
invasiva, non esente da rischi, seppur minimi, essendo
difficilmente ripetibile sequenzialmente e richiedendo
comunque un elevato livello di expertise nella sua valutazione
anatomopatologica, in questi ultimi anni si è assistito ad un
progressivo decremento del numero di biopsie epatiche
eseguite nei pazienti con epatite cronica C. La biopsia diventa
poi inutile, o controindicata, nei pazienti con chiari segni di
evoluzione fibrotica, o con iniziali segni di ipertensione portale
o cirrosi franca. Ecco perché l’introduzione della fibro-elastometria
con Fibroscan ha avuto ed avrà sempre maggior utilizzo,
proponendosi come metodica utile per la valutazione
sequenziale del paziente durante e dopo la terapia.
Naturalmente, anche la fibroelastometria epatica non è esente
da imprecisioni e/o problemi metodologici che ne possono
falsare i risultati, e di cui l’operatore deve essere ben
consapevole. Tra questi particolare importanza hanno la
concomitante presenza di steatosi epatica o di marcata
infiammazione epatica, motivo per il quale l’interpretazione
del dato elastometrico (misurato in K-Pascal) deve essere
sempre effettuata nel contesto di una valutazione clinica
complessiva.
Un ulteriore test di laboratorio che sta assumendo grande
rilevanza nella caratterizzazione del paziente con infezione da
HCV, e la cui disponibilità aiuta nella gestione del paziente e
nelle scelte terapeutiche, è rappresentato dalla determinazione
del pattern dell’Interleuchina 28B (IL28B), un determinante
genetico la cui tipologia di espressione (CC, CT o TT) si
correla fortemente sia con la probabilità di risposta alla
terapia antivirale con PegIFN e ribavirina che con la risoluzione
spontanea dell’infezione da HCV. Anche se al momento
esistono relativamente pochi dati circa l’influenza del pattern
di IL28B sulla risposta alle terapie triple comprensive dei nuovi
DAA, è verosimile che a breve questa valutazione assumerà
notevole importanza anche in questo contesto. E’ quindi
necessario che chi gestisce il paziente con infezione cronica da
HCV, ed è responsabile delle scelte terapeutiche, disponga
della possibilità di misurare questo predittore genetico di
risposta, la cui conoscenza, come già nel caso sopra discusso
del genotipo virale e della fibrosi epatica, può essere di
rilevante ausilio nella personalizzazione ed ottimizzazione
della terapia.
Conclusioni
Con il passare degli anni il laboratorio diagnostico ha assunto
molteplici sfaccettature permettendo, a seconda dell’area di
competenza e delle strumentazioni disponibili, la realizzazione
di un ampio spettro di test divenuti oggi indispensabili per la
caratterizzazione iniziale del paziente, per la sua valutazione
prognostica, e quindi per le scelte terapeutiche e la
monitorizzazione della terapia. Questo approccio
multidisciplinare richiede un costante aggiornamento ed un
particolare rigore metodologico in tutte le sue componenti, e
ciò diventerà sempre più ineludibile con la prossima
introduzione dei DAAs nella terapia della malattia HCV-relata.
Tabella 1: Fattori indispensabili nel algoritmo decisionale e nellagestione terapeutica del paziente con infezione cronica da HCV
• Conoscenza dei livelli di transaminasi, con valutazioni sequenziali nel tempo
• Test di funzione epatica• Valutazione emocitometrica completa• Studio dell’insulino-resistenza, con particolare attenzione alla
presenza di sindrome metabolica e della funzione tiroidea• Misurazione semiquantitativa della fibrosi epatica
(fibroelastometria)• Misurazione clinica e strumentale dell’ipertensione portale• Marcatori sierologici di infezione da HCV e di coinfezioni
HBV e HIV• HCV-RNA quantitativo e qualitativo• Genotipo HCV• Pattern di IL28B• Studio delle resistenze di HCV
(eventuale sequenziamento virale)
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22IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
La diagnosi e la caratterizzazione dell’infezione da HCV si basa
su specifici test virologici. Il loro impiego deve rispondere alle
esigenze diagnostiche nell’ambito del contesto clinico del
paziente: screening per sospetta infezione da HCV, conferma
di infezione, gestione terapeutica.
Test virologici (Figura 1)
Anticorpi anti-HCV
Si tratta del più comune test di screening, effettuato con
tecnica immunoenzimatica, che determina la presenza di
anticorpi diretti verso antigeni ricombinanti del core (c22) e
delle proteine non-strutturali 3 (c33), 4 (c100, c200) e 5. La
procedura diagnostica ha molti vantaggi tra cui la facilità di
esecuzione ed il basso costo. La specificità e la sensibilità dei
test di terza generazione sono alte, rispettivamente del 98% e
del 97%. Il tempo medio della loro comparsa nel siero del
paziente è di 2-3 settimane, ridotto rispetto a quello dei test
di seconda generazione che era di circa 4-6 settimane
dall’infezione.
La presenza di anticorpi anti-HCV di tipo IgM non ci permette
di distinguere un’epatite acuta da un’epatite cronica. In effetti
non tutti i pazienti con epatite acuta da virus C producono
anti-HCV IgM ed inoltre i pazienti con epatite cronica possono
saltuariamente produrre anti-HCV IgM. Dopo molti anni dal
termine di un ciclo di terapia antivirale che ha indotto una
risposta virologica sostenuta gli anticorpi anti-HCV possono,
raramente, risultare negativi.
HCV-RNA
Si tratta del test, effettuato con tecniche di biologia molecolare,
che permette di identificare il portatore cronico del virus C,
completando così lo screening. Inoltre, l’esecuzione dell’HCV-
RNA è essenziale per la gestione della terapia dell’epatite C.
Il test “qualitativo” ha un cut-off di 50 UI/ml, quello
“quantitativo” di 500 UI/ml. I più recenti test si basano
sull’impiego della Reazione Polimerasica a Catena (PCR)
real-time, che fornisce con un unico esame il livello della
viremia, variabile da minime quantità (inferiori a 15 UI/ml) sino
a livelli di 107 UI/ml. Questo range di quantizzazione risponde
adeguatamente alle esigenze cliniche per la diagnosi ed il
monitoraggio. Con l’avvento dei nuovi farmaci antivirali che
agiscono direttamente sul virus C (DAAs) l’alta sensibilità del
test è indispensabile per la caratterizzazione della risposta
virologica e quindi per il conseguente approccio terapeutico.
Genotipo dell’HCV
Il genotipo dell’HCV può essere determinato per mezzo di
vari metodi: l’analisi della sequenza virale, l’ibridizzazione, la
PCR real-time specifica per il genotipo. I test commerciali
disponibili sono in grado di identificare accuratamente i sei
genotipi dell’HCV. La determinazione è solo in funzione della
terapia antivirale. Non deve quindi essere effettuata se non
quando si avvia il processo di valutazione della terapia. Il
genotipo dell’HCV fornisce informazioni sulla teorica
percentuale di risposta virologica sostenuta e sulla durata del
trattamento. La determinazione dei sottotipi dell’HCV non ha
rilevanza clinica per l’attuale terapia standard con PEG-IFN e
ribavirina. Potrebbe diventare importante nella futura pratica
clinica quando si definiranno i profili di resistenza dei nuovi
agenti DAAs in accordo ai genotipi ed ai sottotipi dell’HCV.
Antonino PicciottoU.O. s “Diagnosi e Terapia delle Epatiti”
Cattedra di GastroenterologiaUniversità di Genova
RAZIONALIZZAZIONE DEI TEST NELLE DIVERSE TAPPE DEL PERCORSO DEL PAZIENTE PER OTTIMIZZARE LE RISORSE
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FIGURA 1: TEST IMPIEGATI PER LA CARATTERIZZAZIONE VIROLOGICA DELL’HCV
FIGURA 2: IMPIEGO SEQUENZIALE E RAZIONALE DEI MARCATORI DEL VIRUS C
Applicazione dei test virologici nella terapia dell’epatite
cronica da virus C
E’ fondamentale nel contesto terapeutico definire esattamente
il tipo di risposta virologica del paziente. Il monitoraggio
dell’HCV-RNA è considerato come un parametro chiave nella
gestione della terapia guidata in base alla risposta virologica.
Nella Tabella 1 sono riportate le varie definizioni. Da essa si
evince che l’esecuzione dell’ HCV-RNA è di cruciale importanza
alle settimane di terapia 4, 12 e 24 e a 24 settimane dal
termine, per definirne la risposta virologica sostenuta.
Dovrebbe essere impiegato un test sensibile, accurato, con un
ampio range dinamico di quantizzazione: idealmente un test
basato sulla PCR real-time eseguito nello stesso laboratorio.
I livelli delle transaminasi dovrebbero essere valutati
contemporaneamente a quelli dell’HCV-RNA. La risposta
biochimica (normalizzazione delle ALT) segue generalmente
di alcune settimane quella virologica. La negativizzazione
dell’HCV-RNA dopo 4 settimane di terapia pone in
discussione un’eventuale riduzione della durata della terapia.
Genotipo
HCV-RNAAnti-HCV
Non-responder/relapser
Infezione con ilvirus C
Il virus replica?
Nella Figura 2 è rappresentata una flow-chart diagnostica che,
partendo dalla positività dell’anti-HCV, suggerisce l’esecuzione
sequenziale degli altri marcatori. Dalla figura si evince che
l’HCV-RNA quantitativo ed il genotipo virale si debbano
riservare al contesto terapeutico. Nell’immediato futuro è
auspicabile che diventi di routine l’impiego della PCR
real-time. In tal modo un solo test fornirà il livello di viremia
con una soglia minima estremamente bassa.
Anti-HCV
Negativo Positivo
HCV-RNAQualitativo
Positivo
Terapia
HCV-RNAQuantitativo
Genotipo
Quanto virus è presente?
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24IL MANAGEMENT IN SANITÀ – RIFLESSIONI PER LA GOVERNANCE NELL’EPATITE C
La disponibilità a breve termine nella pratica clinica di agenti
DAAs (boceprevir e telaprevir) rende indispensabile la
disponibilità di una PCR real-time con un cut-off di almeno 15
UI/ml.
Devono essere analizzati i risultati dei livelli dell’HCV-RNA
durante la terapia per tracciare algoritmi che si basino sulla
correlazione della carica virale basale con la Risposta
Virologica Rapida e la Risposta Virologica Sostenuta. Gli
algoritmi di trattamento dei due inibitori delle proteasi
saranno diversi.
In particolare, l’extended rapid viral response (eRVR) dovrà
essere valutata alla 4a e 12ma settimana con telaprevir ed alla
8a e 24ma settimana con boceprevir. Sarà cruciale in entrambi
la valutazione dell’HCV-RNA per la sospensione o il
proseguimento della terapia. Le problematiche da affrontare
rappresentano una sfida per il clinico: 1) la rapida emergenza di
farmaco resistenza, in particolare nei pazienti non responder alla
terapia standard con PEG-IFN e ribavirina; 2) soggetti non
pienamente aderenti alla terapia; 3) soggetti che non tollerano
le dosi ottimali della terapia standard con PEG-IFN e ribavirina.
Punti chiave
• La diagnosi e la terapia dell’epatite cronica da virus C
richiedono l’esecuzione di test virologici.
• Per razionalizzarne l’impiego, riducendo quindi i costi, è
necessario conoscere il loro significato e l’utilità che può
derivare dalla loro esecuzione.
• L’HCV-RNA è un test fondamentale sia per la diagnosi che
per il contesto terapeutico.
• E’ auspicabile che entri nella pratica clinica la ricerca
dell’HCV-RNA con PCR real-time, per ottenere una
standardizzazione dei risultati tra i vari laboratori ed anche
per semplificare la diagnostica: un unico test che
permetta sia la diagnosi qualitativa che quantitativa.
• L’anti-HCV è un test di screening e la sua positività deve
indurre all’esecuzione dell’HCV-RNA per confermare lo
stato di portatore cronico del virus C.
• E’ superfluo ripetere il test quando si procede al
monitoraggio del paziente: non vi è spontanea clearance
del virus C nè la carica virale correla con l’andamento
clinico della malattia.
• Solo quando si prende in considerazione la terapia
antivirale è necessario conoscere il livello della viremia ed
il genotipo dell’HCV.
• Il genotipo correla con la risposta virologica sostenuta
• L’HCV-RNA assume un ruolo fondamentale durante la
terapia: ne condiziona la gestione, la durata, la risposta
virologica sostenuta.
• E’ cruciale il “timing” di esecuzione del test.
• I nuovi antivirali, associati alla terapia standard, necessitano
di standardizzazione del test e di rapidità nel fornire i
risultati.
TABELLA 1: DEFINIZIONE DI RISPOSTA VIROLOGICA ALLA TERAPIA ANTI-HCV STANDARD
RISPOSTA VIROLOGICA DEFINIZIONE
RVR HCV-RNA negativo a 4 settimane inteso come HCV-RNARapid Virologic Response < 50 IU/mLEVR HCV-RNA negativo o calo di HCV-RNA > 2 log10 a 12Early Virologic Response settimane- Complete EVR (cEVR) No RVR ma HCV-RNA negativo (< 50 IU/mL)
a 12 settimane- Partial EVR (pEVR) No RVR e HCV-RNA rilevabile ma calo > 2log10
di HCV-RNA a 12 settimaneEoTR HCV-RNA negativo alla fine del trattamentoEnd of Treatment ResponseSVR HCV-RNA negativo 24 settimane dopo la fine delSustained Virologic Response trattamentoRelapse HCV-RNA negativo alla fine del trattamento e
positivizzazione dell’HCV-RNA immediatamente dopoil termine della terapia
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