essere nel fuoco

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Un libro prezioso per chiunque si senta impegnato a costituire un nuovo modello di società, indipendentemente dalla propria professione e dal proprio ruolo nel mondo. Una guida per imparare a gestire i conflitti nei gruppi di lavoro e di affinità al fine di migliorare la società.

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Page 1: Essere nel fuoco
Page 2: Essere nel fuoco

Titolo originale:SITTING IN THE FIRE

Large group transformation using conflict and diversity

© Copyright 1995 Arnold MindellLao Tse Press, Portland, Oregon

Copyleft 2011 Animamundi e Terra Nuova EdizioniPrima edizione: agosto 2010Seconda edizione: maggio 2011ISBN 978-88-88819-93-8

a cura di Giuseppe Conocicon il supporto di Gianpaolo Fiorentini e Anna Maria Torriglia,traduzione redazionale,progetto grafico e impaginazione di Valentina Sansò.

Animamundi EdizioniVia Majorano, 8 - 73028 Otranto (Lecce)www.suonidalmondo.com [email protected]

Editrice Aam Terra Nuovavia Ponte di Mezzo, 1 - 50127 Firenzetel. 055 3215729, fax 055 [email protected]

stampa: Lineagrafica, Città di Castello (Pg)

©

Page 3: Essere nel fuoco

Arnold Mindell

Essere nel fuocogestire la diversità e il conflitto nel lavoro di gruppo

come strumenti di trasformazione sociale

Anima Mundi e Terra Nuova Edizioni

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Introduzione

Alla base di tutti i problemi del mondo ci sono delle per-sone, gruppi di persone in conflitto. Possiamo accusare icrimini, la guerra, le droghe, l’avidità, la povertà, il capita-lismo e l’inconscio collettivo, ma la realtà è che i proble-mi derivano dalle persone.I miei insegnanti mi hanno sempre avvertito di evitare illavoro con gruppi numerosi, perché indisciplinati e peri-colosi. Secondo loro è possibile lavorare solo con piccoligruppi, dove prevalgono le regole e l’ordine. Ma il mondonon è composto di piccoli, docili gruppi. Rafforzare leregole e l’ordine non è l’unica strategia per risolvere i pro-blemi.Molti di noi hanno paura della violenza. Preferiamo insi-stere su comportamenti pacifici: tutti disciplinatamente infila uno per uno, applicando le cosiddette Robert’s Rules ofOrder1. Parlare uno alla volta. Esaurire un argomentoprima di passare al successivo.Un ordine imposto non mette fine alle rivolte, non impe-disce le guerre e non riduce i problemi mondiali. Al con-trario, rischia di soffiare sul fuoco del caos collettivo. Se

1 Robert’s Rules of Order, opera americana scritta da Henry MartynRobert che tratta la procedura parlamentare, ossia le regole e le con-venzioni necessarie al buon svolgimento di un’assemblea deliberanteo di una riunione. (n.d.r.)

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non offriamo all’ostilità un modo legittimo di esprimersi,essa imboccherà strade illegittime.Intento di questo libro è dimostrare che affrontare ilfuoco del conflitto, invece di evitarlo, è uno dei modi piùefficaci per risolvere le divisioni presenti a ogni livellodella società: nei rapporti interpersonali, nel mondo degliaffari e nel mondo in generale.Le pagine seguenti vi introdurranno al lavoro interiorecome via per superare la paura del conflitto. Vi offriran-no una visione dei problemi individuali, storici e culturaliche stanno alla base della violenza multiculturale, e alcunistrumenti necessari per lavorare con gruppi numerosi.Il fuoco che divampa nella dimensione sociale, psicologi-ca e spirituale dell’umanità può distruggere il mondooppure trasformare il conflitto in comunità. Sta a noi sce-gliere. Possiamo evitare il conflitto oppure stare nel fuocosenza paura, intervenendo e impedendo che venganoripetuti i più terribili errori della storia.Il Process Work, che verrà descritto nel primo capitolo,definisce l’uso creativo del conflitto come worldwork.Quando terminai la prima stesura di questo libro, feci unsogno sull’inizio del nuovo millennio. Gli amministrato-ri delle principali città del mondo si erano riuniti perdiscutere. A Vladivostok, Anchorage, Seattle, Chicago,Montreal, New York, Londra, Berlino, Helsinki,Stoccolma, Varsavia e Mosca si diceva: “Abbiamo prova-to di tutto e niente è servito. Proviamo questo nuovoworldwork. Apriamoci a ciò che sta accadendo nellecomunità, può darsi che possiamo dare inizio a unnuovo ordine mondiale”. Nel mio sogno, le personeimparavano realmente a lavorare assieme.

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Introduzione

Nel mondo reale attuale, benché i paesi del “primo”mondo abbiano sviluppato sofisticati sistemi di telecomu-nicazione che collegano qualunque punto del globo, iconflitti continuano a impedire la comunicazione vera.Nel sud del mondo, la voce soffocata degli oppressi rendedifficili le interazioni e crea rivolte. Questa voce è il rug-gito di sottofondo della vendetta dei popoli che non ven-gono ascoltati dai gruppi maggioritari del “primo”mondo. Quando l’energia di queste voci trabocca, i risul-tati vengono etichettati come ‘rivolte locali’ o ‘proteste diuna minoranza’. Chi prende le difese delle rivendicazionidi una minoranza viene spesso minacciosamente invitatoda chi detiene il potere a cambiare direzione, come se ilconflitto e la violenza latente, ignorandoli, scomparissero.Ma la repressione porta a ulteriori rivolte e a ulteriori sof-ferenze.Questa è l’essenza del vecchio paradigma multiculturale:neghiamo i problemi e i problemi scompariranno.Allontaniamo e puniamo gli agitatori.Il mio sogno presagiva l’emergenza di un nuovo paradig-ma che sta già tentando di farsi strada nella coscienza deipiù. Spero che questo libro vi stimoli a partecipare allarealizzazione di questo sogno.

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1.Fuoco: il prezzo della libertà

Creare libertà, comunità e rapporti sostenibili ha un prez-zo. Richiede il tempo e il coraggio necessari per impararead essere nel fuoco della diversità. Significa rimanere cen-trati nel fuoco del conflitto. Richiede che si impari a cono-scere le piccole e grandi organizzazioni, i forum cittadiniaperti e le tensioni di strada.Se volessimo fare i leader o i facilitatori senza questaconoscenza, potremmo sprecare il tempo, ripetendo i piùterribili errori della storia.Il nuovo paradigma del worldwork ci offre invece un insie-me di prospettive nuove:

Caos. Nel worldwork il conflitto e i momenti di caos sonoconsiderati positivi nei processi di gruppo perché posso-no creare rapidamente un senso di comunità e una orga-nizzazione durevole.

Apprendimento. Il worldwork considera il conflitto come ilpiù stimolante dei maestri.

Apertura del cuore. Il worldwork si basa su un’attitudine diapertura del cuore in modo tale da poter affrontare ilfuoco del conflitto senza venirne bruciati. L’intensità delfuoco viene usata per creare comunità.

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Consapevolezza di Sé. Il worldwork sottolinea l’importanza diriconoscere che siamo parte di tutti i conflitti in atto attor-no a noi e utilizza gli strumenti e le capacità derivanti dallaconsapevolezza di sé come fattore determinante per laloro risoluzione.

Ignoto. Il worldwork riconosce che la comunità sostenibile siè sempre basata sul rispetto dell’ignoto.

A coloro che aspirano a creare comunità e organizzazionisostenibili il mio suggerimento è: iniziate dall’essere umili.Tornate a scuola. Imparate la consapevolezza, imparate ariconoscere l’abuso di potere, il potere dei privilegi. Inquesto modo risparmierete a voi stessi e alla vostra comu-nità molta sofferenza.Thomas Jefferson, un presidente degli Stati Uniti del pas-sato, sarebbe stato d’accordo. Il prezzo della libertà, affer-mava, è la vigilanza. Ma la sua idea di vigilanza non inclu-deva un occhio protettivo per le diversità.Nella mia accezione, ‘vigilanza’ significa consapevolezzadella molteplicità dei modi di pensare e di sentire, nelmondo che ci circonda e in noi stessi. Questa consapevo-lezza fa parte del prezzo della democrazia e della pace.Tutto il resto consiste nell’apprendere ad utilizzare gli stru-menti per gestire i conflitti personali, etnici e mondiali.La democrazia è molto più di questa consapevolezza e delcoraggio di stare nel fuoco del conflitto quando è neces-sario, pochi però sono disposti a pagare anche questo pic-colo prezzo. Chi ha voglia di affrontare la rabbia e leminacce? Ciò nonostante le organizzazioni devono impa-rare ad affrontare il caos e la complessità, se vogliamo

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1. Fuoco: il prezzo della libertà

sopravvivere ai cambiamenti sempre più rapidi. Se anchesolo una persona su cento è disposta a pagare questoprezzo, le nostre città e il mondo si evolveranno più velo-cemente di quanto riteniamo possibile. Ci sarà sempremeno bisogno di rivolte e di guerre.Molti vogliono che il mondo cambi, ma non sono dispo-sti a lavorare per favorire questo cambiamento. È moltopiù facile fantasticare di leader carismatici che si impegni-no a favore della società e dei diritti, dell’aumento o delladiminuzione della protezione da parte dell’esercito e dellapolizia, del risanamento dell’economia e del miglioramen-to delle condizioni di vita. Il comunismo sogna l’abolizio-ne delle differenze di classe e dello sfruttamento econo-mico. La democrazia sogna l’uguaglianza e i diritti umani.Le tradizioni spirituali invitano all’amore reciproco.Alcuni sperano che la società elimini il potere e le classisociali, altri vedono la soluzione nella ‘bontà’ e nella capa-cità di donare che sostituiscano l’avidità. Sono tutte visio-ni che rivelano la sfiducia negli esseri umani e il desiderioche cambino.Tanto il mondo degli affari che gli individui affermano:“Prima noi e dopo gli altri, sempre che siano utili ai nostriscopi”. Nazioni e organizzazioni agiscono come se fosse-ro costituite da parti separate, come le rotelle dei vecchiorologi: dirigenti, manager, dipendenti e così via. Qui ilworldwork fa più di quanto facciano le parti o i partiti. Nonè una ricetta su come le persone dovrebbero comportarsi.Prescrizioni di questo genere finiscono sempre per ridurreal silenzio l’opinione delle minoranze e degli individui prividi potere. Nella risoluzione dei conflitti e nello sviluppodelle organizzazioni, il nuovo paradigma crea invece rapi-

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di cambiamenti politici e psicologici basati sul modo in cuile persone interagiscono effettivamente tra di loro.Il nuovo paradigma muove dal concetto che le personeche formano un gruppo non siano necessariamente ‘cat-tive’ o pericolose, ma che, al contrario, siano capaci digrande saggezza e consapevolezza. Invece di tentare dicontrollare i gruppi, il worldwork aiuta le persone ad aprir-si reciprocamente all’atmosfera del gruppo.

Lavorare con il campo

Il worldwork lavora direttamente sull’atmosfera del gruppo:la sua umidità o aridità, le tensioni e le tempeste. Questaatmosfera, o campo, ci permea come individui e si allargaai gruppi, alle città, alle organizzazioni e all’ambiente.Questo campo è percepibile: può essere ostile o amichevo-le, represso o fluido. È composto non solo da fattori evi-denti, visibili e tangibili come programmi di incontri, piat-taforme partitiche e dibattiti razionali, ma anche da pro-cessi emotivi nascosti, invisibili e intangibili come invidie,pregiudizi, ferite e rabbie.In qualunque gruppo, alcuni problemi vanno risolti inmodo lineare, razionale e strutturato; ma queste soluzionisono valide solo se prima si è lavorato ai disturbi dell’at-mosfera emotiva.Ad esempio, i facilitatori del worldwork vengono a voltechiamati a risolvere problemi che riguardano una città,conflitti etnici, crisi finanziare o crolli di strutture econo-miche. Il campo è generalmente perturbato dalla dispera-zione e dall’impotenza. Se un facilitatore tenta di risolve-

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1. Fuoco: il prezzo della libertà

re la situazione con strumenti legali o misure finanziarieanche efficaci, è come se fornisse dell’ottimo cibo a per-sone talmente depresse da voler soltanto morire. Gliinterventi strutturali sono solo un cerotto posticcio seprima non sono state guarite le emozioni.A volte l’atmosfera emotiva è così tesa o depressa che lepersone non sono in grado di lavorare sui problemi. Ilworldworker che si trova di fronte a questa situazione puòchiedere: “Com’è l’atmosfera che percepite nel gruppo?Qualcuno è in grado di descriverla? Chi può esprimerequello che sente individualmente?” Può trattarsi di un’at-mosfera di rabbia dei dipendenti nei confronti dei dirigen-ti, che negano loro una parte di potere. I dirigenti hannopaura. Quando qualcuno esprime questa rabbia, i senti-menti dei dirigenti cambiano e loro si rilassano.Immediatamente come risultato spontaneo tutti ritrovanouna maggiore fiducia ed ottimismo e iniziano a lavorareassieme come un’unità. Anche se il worldworker non haancora toccato alcun problema strutturale, è bastatoaffrontare i problemi emotivi perché dipendenti e dirigen-ti assieme iniziassero a ricrearsi come unità nel giro dipoche ore.

Portare alla luce i messaggi nascosti

La rabbia dei dipendenti, molto comune in caso di crisisocietaria, è un esempio di messaggio nascosto nel campo.I dipendenti non ne parlano e possono esserne persinototalmente inconsapevoli. Eppure quella rabbia permea ilcampo ed impedisce qualunque atteggiamento costruttivo.

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I messaggi nascosti sono potenti fattori di disturbo nelledinamiche di gruppo.Queste attitudini, opinioni e predisposizioni sottili e ine-spresse possono riguardare la competizione per la leader-ship, i privilegi gerarchici, i rapporti interetnici, interses-suali o tra fasce diverse di età, gli abusi; problemi spiritua-li o bisogni individuali in conflitto con gli scopi dichiaratidel gruppo. Di fatto, i messaggi nascosti possono crearsiattorno a qualunque tipo di diversità. I problemi derivan-ti dalla diversità influiscono su qualunque tipo di organiz-zazione, sia che abbia come scopo la vendita di detersiviche la lotta alla fame nel mondo.Spesso la visione, il modello e la struttura dichiarati diun’organizzazione sono irrilevanti rispetto alla sua capaci-tà di integrare differenze di opinione e stili diversi dicomunicazione. Se un gruppo riesce a integrare le diversi-tà, diventa una comunità efficiente e funzionale. Se non ciriesce, fallisce al livello più profondo di comunità, diven-ta internamente non sostenibile e può fare ben poco peril mondo circostante.

Democrazia: una forma primitiva di worldwork

In momenti privi di difficoltà, il worldwork è facile; ma inmomenti di crisi diventa un processo democratico infuo-cato. I facilitatori devono portare alla luce e riconoscere ilpunto di vista delle persone che detengono il potere o delgruppo maggioritario, affrontando nello stesso tempo ipregiudizi e i fattori nascosti (sociali, storici e psicologici)che creano l’esperienza dell’ingiustizia.

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