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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 9 - numero 7 (88) - Lug.- Ago. 2012

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22 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia

esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola maiin nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la

redazione Queste, insieme alla proprietà,si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di

pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni.

Articoli, fotografie ed altro materiale, anche senon pubblicati, non si restituiscono.

E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita

autorizzazione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaboratoinoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, don CesareChialastri, mons. Luigi Vari, mons. Franco Risi, don DarioVitali, mons. Franco Fagiolo, don Antonio Galati, Sr. ApostolineVelletri, don Marco Nemesi, don Daniele Valenzi, Sr. ApostolineVelletri, p. Vincenzo Molinaro, Sr. Monastero “Madonnadelle Grazie” Velletri, Maurizio e Sandra Ben Isa Ben Ali, ClaudioCapretti, Fabricio Cellucci, Pier Giorgio Liverani, AntonioVenditti, Sara Gilotta, Simona e Gabriele Maira, Maria AntoniettaColabucci, Antonella e Milena - Catechiste S. Giuseppee Vitaliano papa di Segni, arch. Alfredo De Filippis, Paola Lenci.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:Il logo del prossimo

Convegno Diocesano

- La Pastorale diocesana nel solco

degli “Orientamenti” della Chiesa Italiana,

+ Vincenzo Apicella p. 3

- Papa sportivo e Papa eucaristico,

S. Fioramonti p. 4

- L’attualità del “De Civitate Dei” di S. Agostino, Sara Gilotta p. 5

- I dati di un anno di attività dei Centri di Aiuto alla Vita del MpV, Pier Giorgio Liverani p. 6

- Convegno Catechistico Regionale - Lazio:Come pietre vive (1PT2,4-8) ...

Ufficio catechistico p. 7

- La Porta della Fede: lettera apostolica informa motu proprio di papa Benedetto XVI,

a cura di S. Fioramonti p. 9- Anno della Fede / 2: Il simbolo della Fede,

don Dario Vitali p. 10- Testimoni della fede dei nostri giorni Don Luigi Plebani, S. Fioramonti p. 11

- Il Paralitico e la Misericordia, Claudio Capretti p. 12

- Cos’è per un cristiano la Libertà?Sr. Monastero Madonna delle Grazie Velletri p. 13

- Libri sacri: possiamo essere tranquilli sul loro contenuto? / 3, mons. Luigi Vari p. 14

- L’Eucaristia / 3: Aspetti pastorali,don Antonio Galati p. 15

- II. incontro Caritas diocesana - Vie d’Uscita, Storie di rifugiati, don C. Chialastri p.16

VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE

MILANO 2012:

- One world, one Family, one Love...,Simona e Gabriele Maira p.17

- Sabato 2 giugno: La veglia a Bresso, M. Antonietta Colabucci p. 18

- A Milano piccolo gruppo della diocesi di Velletri-Segni: “Famiglia, lavoro e festa”

p. Vincenzo Molinaro p. 19

- R.C.A.... ritmo... coinvolgimento... affettività.

Il nostro percorso di catechesi verso i sacramenti, Antonella e Milena - Catechiste

S. Giuseppe e Vitaliano papa di Segni p. 21

- Il valore necessario della Preghiera per

l’evangelizzazione, mons. Franco Risi p. 22

- Per scegliere ... La Missione,

Sr. Apostoline Velletri p. 23

- La Vocazione è personale, Fabricio Cellucci p. 24- Diaconato. Vocazione: cammino di conversione e di fede, Maurizio e Sandra Ben Isa Ben Ali p. 25

- Per una scelta di canti per la celebrazione dei funerali, mons. F. Fagiolo p. 26

- Velletri: La Madonna pellegrina di Fatima visitai suoi figli carcerati, C. Capretti p. 27

- Il Convento di S. Maria del Carmine in Velletri,arch. Alfredo De Filippis p. 28

- Dalla Comunità di Segni: Feste Patronali nei mesi di luglio e agosto p. 30

- Nel pensiero di San Bruno: La via della misericordia, don Daniele Valenzi p. 32

- I fedeli di Colleferro (parr. S. Bruno) e di Segni pellegrini nei luoghi natii di San Bruno,

tratto da Alessandria news p. 33

- Il Santo dei poveri: S. Vincenzo de’ Paoli. La Compagnia delle Sorelle della Carità a Gavignano, Francesco Canali p. 34

- Artena 16 giugno 2012. Io canto Dio, Soeur Marie Keyrouz sbc,

Paola Lenci p. 36

- Tragedia della scuola: la morte di Melissa, Antonio Venditti p. 37

- Mass di Leonard Bernstein, Mara della Vecchia p. 38

- Il Toro visto da... lontano, Tonino Parmeggiani p. 38

- Perugino, La Consegna delle chiavi, 1481-82, Cappella Sistina in Vaticano

don M. Nemesi p. 39

p. 39

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33Luglio - Agosto Luglio - Agosto 20122012

� Vincenzo Apicella, vescovo

PPer le nostre comunità il mese di giugno è, di solito, tempodi bilanci, le normali attività concedono un po’ di respiro,non per questo ci si ferma: ci sono le iniziative estive, le

feste patronali, i campi scuola…ma il clima è diverso e l’estate si ponecome uno spartiacque tra due anni pastorali, offrendoci l’occasione perriflettere e fare il punto della situazione.Abbiamo cercato di far questo anche nel Consiglio pastorale diocesa-no e nell’ultimo incontro del Presbiterio, che si sono tenuti all’Acero e,come ogni bilancio che si rispetti, anche questo ha un aspetto di con-suntivo e uno di preventivo.Il nostro cammino si sta svol-gendo in sintonia con gli orien-tamenti proposti dalla Chiesaitaliana per questo decennio:Educare alla vita buona delVangelo e, nel Convegno dio-cesano dello scorso settembre,abbiamo preso come figura diriferimento per comprendere ilnostro compito quella di Giovanniil Precursore, colui che indicacon la sua testimonianza la venu-ta e la presenza del Regno inmezzo al popolo.Nel prossimo, si ha l’intenzio-ne di proseguire, cercando divedere come il piccolo seme diquesto Regno di Dio inizia a ger-mogliare nell’opera e nellaproposta di Gesù di Nazareth,che, nella potenza dello Spirito,è nella sua stessa persona semee frutto, vite e vino. Rimane la scelta di invitare adaiutarci nella nostra riflessionedei testimoni, piuttosto che deiprofessori, cristiani che sappianotrasmetterci speranza e prospettivea partire anzitutto dalla propriaesperienza di vita e di fede; così,come l’anno passato abbiamoavuto tra noi Ernesto Olivero,fondatore ed animatore del Sermigdi Torino, questa volta potremoascoltare Enzo Bianchi, il Prioredel Monastero di Bose, una del-le voci più stimolanti del catto-licesimo italiano.Il Convegno di settembre è il pri-mo dei tre momenti che sono stati individuati come punti di incontro edi comunione per tutta la diocesi, insieme alla Messa crismale del Mercoledìsanto e alla Festa della famiglia, che il 1° maggio ha avuto all’Acero lasua prima edizione. Il tema della famiglia è stato anche al centro degliincontri del Consiglio pastorale, che sta esaminando, in particolare, l’a-spetto della preparazione al Matrimonio nella prassi delle nostre par-rocchie ed ha trovato un suo primo concreto riscontro nell’apertura adArtena di un Centro di ascolto della Caritas.Sono anche iniziati gli incontri di zona del Presbiterio , non solo per coor-dinare meglio la pastorale in un determinato territorio, ma anche per pro-muovere iniziative comuni, come già si è cercato di fare a Velletri duran-

te la Quaresima.Sta anche procedendo, secondo le tappe previste, il Progetto Policoro,con la sensibilizzazione dei gruppi giovanili sul drammatico problemadella mancanza di lavoro, nella convinzione che un vero cambiamentodella situazione può iniziare partendo dal basso e dal piccolo, facendoappello alle energie nuove, all’intraprendenza e alla fantasia proprie deigiovani. E’ rimasto, invece, ancora allo stadio delle buone intenzioni lapromozione degli Oratori, intesi come spazi educativi destinati ai ragaz-zi, anche se in alcune parrocchie già esistono realtà positive in questo

settore.Ma ciò che ci vedrà maggior-mente impegnati nel prossimofuturo è la preparazione alla Visitapastorale, programmata a par-tire dall’inizio del 2013 e di cuisi stanno predisponendo gli stru-menti operativi, a cominciare dalQuestionario conoscitivo preli-minare. La decisione di artico-larlo sulla traccia dei cinque ambi-ti di vita, definiti nell’Assembleaecclesiale di Verona, rispondeall’esigenza di dare alla Visitanon solo il carattere di verificadell’esistente, ma anche di sti-molo a pensare in modo nuo-vo l’impegno pastorale, prendendoin considerazione i momenti ei luoghi concreti in cui le per-sone vivono e si incontrano.Sono le varie sfaccettature e situa-zioni dell’esistenza quotidiana:gli affetti e la famiglia, il lavoroe la festa, la debolezza e la sof-ferenza, la socialità e la citta-dinanza, la trasmissione dellafede e l’educazione delle nuo-ve generazioni.Su questi campi siamo chiamatiad essere presenti con la pro-posta cristiana, facendoci cari-co dei problemi da cui tutti sia-mo interpellati e cercando di dareconcretezza alla vita buona acui l’Evangelo vuole educarci.Tre eventi, infine, tra loro con-nessi, daranno un carattere spe-ciale al prossimo anno: il cin-quantesimo anniversario del-

l’apertura del Concilio Vaticano II, il Sinodo dei Vescovi di tutto il mon-do sull’impegno ad una Nuova Evangelizzazione e, soprattutto, la deci-sione di Benedetto XVI di indire l’Anno della Fede, un invito rivolto atutti i cristiani a riscoprire i contenuti inesauribili e il valore inestimabiledi un dono ricevuto senza alcun merito, ma che richiede la nostra pie-na partecipazione per diventare fecondo e fonte di gioia. Ci preparia-mo a tutto questo, ringraziando il Signore per quanto ha operato in mez-zo a noi fino ad oggi e per il tempo di pausa e di recupero che ci con-cede in questi mesi estivi, ma, soprattutto, chiedendogli di aprire i nostriocchi e il nostro cuore perché possiamo continuare a camminare nellesue vie, nella comunione tra noi e nella carità per tutti i fratelli.

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Stanislao Fioramonti

II l papa che parla di calcio è una rarità. Tuttiperciò – specie i gestori e i fruitori dellescuole-calcio, compresi i genitori dei pic-

coli calciatori - dobbiamo attentamente medi-tare il messaggio che il 6 giugno BenedettoXVI ha inviato al vescovo Jozef Michalik, Presidentedella Conferenza Episcopale Polacca, per l’a-pertura dei campionati europei di calcio 2012.

“Fra poco inizieranno i Campionati Europei di cal-cio, che si svolgeranno in Polonia e in Ucraina.Quest’evento sportivo coinvolge non solo gli orga-nizzatori, gli atleti e i tifosi, ma – in diversi modie nei diversi campi della vita – tutta la società.Anche la Chiesa non rimane indifferente a tale even-to, in particolare alle necessità spirituali di colo-ro che ne prendono parte. Con riconoscenza accol-go le informazioni che giungono di programmatiincontri catechetici, liturgici e di preghiera.Il mio amato Predecessore, il Beato Giovanni PaoloII, ha detto: «Le potenzialità del fenomeno spor-tivo lo rendono strumento significativo per lo svi-luppo globale della persona e fattore quanto maiutile per la costruzione di una società più a misu-ra d’uomo. Il senso di fratellanza, la magnanimi-tà, l’onestà e il rispetto del corpo - virtù indubbiamenteindispensabili ad ogni buon atleta - contribuisco-no all’edificazione di una società civile dove all’an-tagonismo si sostituisca l’agonismo, dove allo scon-tro si preferisca l’incontro ed alla contrapposizioneastiosa il confronto leale. Così inteso, lo sport non è un fine, ma un mez-zo; può divenire veicolo di civiltà e di genuino sva-go, stimolando la persona a porre in campo il megliodi sé e a rifuggire da ciò che può essere di peri-colo o di grave danno a se stessi o agli altri» (Discorsoai partecipanti al Convegno Internazionale «Neltempo del Giubileo: il volto e l’anima dello sport»,28 ottobre 2000).Lo sport di squadra, poi, qual è il calcio, è unascuola importante per educare al senso del rispet-to dell’altro, anche dell’avversario sportivo, allo spi-rito di sacrificio personale in vista del bene del-l’intero gruppo, alla valorizzazione delle doti di ognielemento che forma la squadra; in una parola, asuperare la logica dell’individualismo e dell’egoi-smo, che spesso caratterizza i rapporti umani, perlasciare spazio alla logica della fraternità e del-l’amore, la sola che può permettere – a tutti i livel-li – di promuovere l’autentico bene comune. Con questi brevi pensieri incoraggio tutti coloroche sono impegnati nell’evento a operare con sol-lecitudine, affinché esso sia vissuto come l’espressionedelle più nobili virtù e azioni umane, nello spiritodi pace e di sincera gioia. Nella preghiera affidoa Dio i Pastori, i volontari, i calciatori, i tifosi e tut-ti coloro che si impegnano nella preparazione enello svolgimento dei Campionati. A tutti impartola mia Benedizione”.

Forse le parole più belle pronunciate da papaBenedetto XVI in questo mese sono state quel-le dell’Angelus in piazza S. Pietro, domenica

10 giugno, sia per il commento alla festa delCorpus Domini, sia per il riferimento ai dan-ni del terremoto dell’Emilia Romagna.Ascoltiamole: “Oggi, in Italia e in molti altri Paesi, si celebra ilCorpus Domini, cioè la festa solenne del Corpoe Sangue del Signore, l’Eucaristia. E’ tradizionesempre viva, in questo giorno, tenere solenni pro-cessioni con il Santissimo Sacramento, per le stra-de e nelle piazze. A Roma questa processione siè già svolta a livello diocesano giovedì scorso, gior-no preciso di questa ricorrenza, che ogni anno rin-nova nei cristiani la gioia e la gratitudine per lapresenza eucaristica di Gesù in mezzo a noi.La festa del Corpus Domini è un grande atto diculto pubblico dell’Eucaristia, Sacramento nel qua-le il Signore rimane presente anche al di là deltempo della celebrazione, per stare sempre connoi, lungo il trascorrere delle ore e delle giorna-te. Già san Giustino, che ci ha lasciato una del-le testimonianze più antiche sulla liturgia eucari-stica, afferma che, dopo la distribuzione della comu-nione ai presenti, il pane consacrato veniva por-tato dai diaconi anche agli assenti (cfr Apologia,1, 65). Perciò nelle chiese il luogo più sacro è pro-prio quello in cui si custodisce l’Eucaristia. Non posso a questo proposito non pensare concommozione alle numerose chiese che sono sta-te gravemente danneggiatedal recente terremoto inEmilia Romagna, al fattoche anche il Corpo euca-ristico di Cristo, nel taber-nacolo, è rimasto in alcu-ni casi sotto le macerie. Con affetto prego per lecomunità, che con iloro sacerdoti devonoriunirsi per la SantaMessa all’aperto oin grandi tende; le rin-grazio per la lorotestimonianza e perquanto stanno facen-do a favore dell’inte-ra popolazione. E’una situazione che farisaltare ancora dipiù l’importanza diessere uniti nel

nome del Signore, e la for-za che viene dal Paneeucaristico, chiamato

anche «pane dei pellegrini». Dalla condivisione di questo Pane nasce e si rin-nova la capacità di condividere anche la vita e ibeni, di portare i pesi gli uni degli altri, di essereospitali e accoglienti. La solennità del Corpo e Sanguedel Signore ci ripropone anche il valore dell’ado-razione eucaristica. Il Servo di Dio Paolo VI ricor-dava che la Chiesa cattolica professa il cultodell’Eucaristia «non solo durante la Messa, maanche fuori della sua celebrazione, conservandocon la massima diligenza le ostie consacrate, pre-sentandole alla solenne venerazione dei fedeli cri-stiani, portandole in processione con gaudio del-la folla cristiana» (Enc. Mysterium fidei, 57). La preghiera di adorazione si può compiere siapersonalmente, sostando in raccoglimento davan-ti al tabernacolo, sia in forma comunitaria, anchecon salmi e canti, ma sempre privilegiando il silen-zio, in cui ascoltare interiormente il Signore vivoe presente nel Sacramento. La Vergine Maria è maestra anche di questa pre-ghiera, perché nessuno più e meglio di lei ha sapu-to contemplare Gesù con sguardo di fede e acco-gliere nel cuore le intime risonanze della sua pre-senza umana e divina. Per sua intercessione si diffonda e cresca in ognicomunità ecclesiale un’au-tentica e profondafede nel Misteroeucaristico”.

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55Luglio - Agosto Luglio - Agosto 20122012

Prof.ssa Sara Gilotta

NN ella immensa opera di Sant’Agostino ed accanto alle “Confessioni”,un posto di rilievo è occupato senza dubbio dal “De civi-tate Dei”, composta dopo che i Visigoti di Alarico nel 410

erano entrati a Roma mettendola a ferro e fuoco,rinfocolando, così,le polemiche anticristiane. Al Cristianesimo, infatti, era attribuita laresponsabilità della decadenza dello stato romano e, quindi, dellesuccessive invasioni barbariche. Un’ accusa molto più reale di quan-to oggi possa apparire, anche perché essa era presente, almenocome domanda, nelle stesse comunità cristiane, che non potevanonon considerare come la fede in Cristo non li avesse salvati , né aves-se impedito quella terribile tragedia. Questa, dunque, la causa occasionale, ma lo scopo dell’opera supe-rò ampiamente l’ intento primitivo, per divenire a giusta ragione unavera e propria guida per i cristiani che vissero e vivono nella sto-ria.Già nella prefazione, del resto,Agostino afferma di aver voluto guar-dare “alla gloriosissima città di Dio, considerata in questo corso di tem-po, in cui, vivendo secondo la fede, cammina tra gli empi.” E qui, nonsolo si deve considerare che gli empi, cui l’autore si riferisce sono colo-ro che egli ritiene incapaci di vera pietas, cioè, coloro che non ripongo-no la loro speranza nella misericordia e nella grazia del vero Dio, maancor che quelle che il Santo definisce “città di Dio” è la città degli uomi-ni che, appunto, vivono secondo la fede.Ma questa “distinzione” non è un giudizio di condanna per chi ancoranon ha conosciuto il vero Dio, né Agostino parla del mondo con ranco-re, giacché vuole constatare solo che in quel momento la città di Dio cam-mina tra coloro che non sono ancora stati beneficati, toccati dalla fortu-na di riporre la loro speranza in Dio.Agostino sa che la città di Dio sarà capace di conquistare l’ultima vit-

toria e la pace totale del Paradiso, ma sa anche che deve difendere conla sua opera la città terrena che già conosce la fede, contro coloro che“preferiscono i propri dei” e sa che si tratta di un compito”grande ed arduo”che egli potrà affrontare perché”deus adiutor noster est”.Ma quel che mi sembra assolutamente attuale è il fatto che Agostino benha compreso quanto sia difficile persuadere “i superbi”, quelli, cioè, chenon hanno ricevuto la grazia dell’umiltà e lo fa, secondo me, per distin-guere non solo chi è cristiano da chi ancora non lo è,ma per suggerirela strada da seguire a chi da cristiano vive ed opera nella società civi-le, riconoscendo di essere povero peccatore, perché solo così potrà agi-re per il bene comune anche quando si trovasse a svolgere compiti digoverno. A differenza dei superbi, che vivono la città del mondo e sononemici della città di Dio. E mentre Agostino auspica continuamente che”i superbi pur per gra-zia immeritata” possano passare nella città di Dio ,anche per-ché convinto che gli abitanti delle due città seguono spes-so le stesse virtù, tra cui spicca senza dubbio il desi-derio di pace, ma sa che esse per alcuni trove-ranno la loro conclusione nel mondo, men-tre la letizia generata dalla fede troverà la suavera conclusione nel mondo perfetto di Dio. Verso cui si può tendere conquistati dalla sua bellezzae fortificati da un impegno e da una dedizione che nasco-no da noi stessi, ma che deve saper rifiutare ogni atteggia-

mento di superiorità nei confronti degli altri, di chiunque altro. Se non altro perché, come continuamente ribadisce la Chiesa, da allo-ra fino ad oggi, nella città di Dio non mancano i peccatori, che, sottraendosialla grazia, cadono nel male e nei disordini di diverso tipo. Mali che sipossono sconfiggere, se si sarà pronti a resistere con “patientia” al malestesso. Un male che nel nostro tempo sembra aver concesso ampio pote-re al demonio,(sotto diverse vesti e diversi inganni) ma che non potràcerto, se si vuole seguire l’insegnamento di Agostino, distruggere dav-vero la fede. Anzi a questo proposito mi sembra interessante ricordareun sogno di San Giovanni Bosco, secondo il quale ci sarebbe stata unascommessa tra Dio stesso e il diavolo, che dice che sarebbe stato capa-ce di distruggere la fede in un secolo.Un secolo che il Signore gli accorda, lasciando che il diavolo faccia ciòche vuole. Ebbene mi sembra davvero che sia oggi quel secolo, ma lafede, ne sono certa, non sarà distrutta, perché, come ha insegnato il gran-de Santo di Ippona, essa deriva agli uomini, che la vogliano scegliereed accettare, da Dio stesso.

Immagine del titolo: Caino e Abele: città terrena e città celeste, anonimo amanuense francese 1450, G.N. ParigiIn basso : De civitate Dei, manoscritto, 1470 Libreria Spencer New York

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66 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Pier Giorgio Liverani

DDiciassettemilabambini sal-vati dall’a-

borto, insieme con le loromamme, in un soloanno: è il risultato del lavo-ro svolto nel 2011 in tut-ta Italia dai Centri di Aiutoalla Vita ed è anche unnumero mai raggiunto pri-ma in un anno. Il Movimento per la Vitaha pubblicato sul propriomensile Sì alla Vita unbilancio lusinghiero. Senza aiuti di Stato nédi Regione, a volte sol-tanto con qualche con-venzione con Asl od ospe-dali, i volontari di que-ste straordinarie strutturedi volontariato riesconoa fare ciò che sarebbedovere dello Stato di fare:vale a dire, secondo laCostituzione dellaRepubblica, «agevola-re con misure economichee altre provvidenze la for-mazione della famigliae l’adempimento deicompiti relativi». Così dice l’articolo 31 del-la Carta fondamentaledella Repubblica, che pro-segue: la Repubblica «pro-tegge la maternità, l’in-fanzia e la gioventù, favo-rendo gli istituti neces-sari a tale scopo».E questa sembra quasi un’amara beffa, giacchégli «istituti necessari» sono quelli che raggiun-gono lo scopo opposto: il divorzio, l’aborto, la cosid-detta “contraccezione d’emergenza” o “del gior-no (dei cinque giorni) dopo” e la fecondazioneartificiale, che incoraggia e realizza (sappiamoin qual modo) i desideri dei genitori, ma favori-sce la morte (fino a dieci volte di più) invece chela nascita e il rispetto dei diritti figli nascituri.Al contrario la fantasia, la generosità, la dispo-nibilità, la capacità di condivisione dei Cav e deiloro volontari (in maggioranza volontarie) rivol-ta alle madri in difficoltà o già decise all’abortoe a ai loro figli ancora da poco tempo in grem-bo sono davvero straordinari. Basta pensare agli strumenti inventati e messiin opera a questo fine: oltre ai Centri di aiuto allavita, il telefono verde 800.81.3000 aperto 24 oreal giorno e 365 giorni l’anno per ascoltare le richie-ste di aiuto e indirizzare chi ne ha bisogno; il ProgettoGemma, che realizza adozioni temporanee a distan-za (per diciotto mesi: sei di gravidanza più il pri-mo anno di vita) tra la donna che, per ragionieconomiche non ha il coraggio di mettere al mon-do il figlio concepito, e un lontano “benefattore”

che si fa carico di quelle ragioni e di quelle dif-ficoltà e che può essere una singola persona,una famiglia, un gruppo di amici, un’associazioneparrocchiale, anche una parrocchia. A Roma cen’è una che ha fatto finora una quarantina di ado-zioni l’una dopo l’altro, a Massa c’è stata un’a-dozione da parte di un gruppo di carcerati, tragli adottanti ci sono persone di tutti i tipi: qual-che vescovo, per esempio, ma soprattuttofamiglie. E ci sono molti sposi che, nella lista dinozze, chiedono ai parenti e agli amici di sosti-tuire al soliti doni una raccolta di denaro a que-sto fine. La spesa da sostenere è di 160 Euroal mese per 18 mesi, in tutto 2880 Euro: una som-ma non indifferente, ma che, suddivisa tra mol-ti nei modi accennati, diventa sopportabile e faci-le da realizzare. Con questo sistema il Progetto ha salvato mil-le “gemme di bambino” soltanto nel 2011, e piùdi 16mila in questi ultimi anni. E poi ci sono le46 Case di accoglienza gestite direttamente dalMovimento per la vita o con l’aiuto si altre asso-ciazioni o fondazioni: 283 donne accolte nel 2011,quasi duemila negli anni precedenti, più altre 1160ospitate da famiglie o in appartamenti disponi-

bili. Infine le culle per lavita (una quarantina inaltrettante città d’Italia),dove deporre, comeun tempo nelle “ruote”,i neonati invece diabbandonarli sui gradinidi una Chiesa o nei cas-sonetti dei rifiuti.Maecco alcuni dati com-plessivi tratti da quelli pub-blicati sul “Sì alla vita”.Sono attivi in Italia 329Cav, che nel 2011 han-no salvato circa 17milabambini, con una mediadi 62 per ciascuno di essi.In tutto, dal 1975, le gra-vidanze salvate da unaborto molto spesso giàdeciso e con prenota-zione dell’intervento giàfatta in ospedale sonostate 140mila; le don-ne assistite nell’annoappena passato circa60.000 (450mila dal1975, anno di nascita deiprimi Centri). I volontari che operanonei Cav stabilmente espesso con alte quali-fiche professionali (medi-ci, avvocati, infermieri…)sono quattromila; aquesti vanno aggiunti73mila “sostenitori”(media di 22 per Cav)che mettono a disposi-zione denaro o assistenzaspecializzata o materialenecessario per l’alle-

vamento dei neonati o medicinali per le mam-me. Chi sono le donne che si rivolgono ai Cav,molte volte disperate, scoraggiate, avvilite, altrevolte fiduciose e speranzose?Il 60 per cento sono coniugate (dato che con-ferma come il problema dell’aborto tocchi diret-tamente la famiglia e, spesso, anche le parroc-chie); hanno per il 53 per cento fra i 25 e i 34anni di età, per il 24 dai 18 ai 24 anni, poche leminorenni (il 2%). Sono per il 37% casalinghe,per il 33 disoccupate, per il 27 occupate, per il3% studentesse. Le loro difficoltà a portare a ter-mine la gravidanza sono in prevalenza di natu-ra economica. Ma talvolta anche ideologica.Salvare una mam-ma dall’aborto non è certamente impresa faci-le: occorrono esperienza, psicologia, competenzedi diverso tipo, ma soprattutto dedizione e amo-re. Con ben poche “armi”, ma soprattutto con lacondivisione e l’accoglienza, e in molti casi anchesenza alcuna spesa o sussidio, il lavoro dei Cavraggiunge il successo (ma questo termine è ina-datto a definire ciò che si ottiene) nell’85 per cen-to dei casi e ciò anche quando le donne hanno

continua a pag. 7

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già nella borsetta il certificato del Consultorio odel medico di base. Più interessante, per la com-prensione del dramma vissuto dalle donne ten-tate di abortire, è l’atteggiamento del partner (ilmarito, il “compagno”). Il 36 per cento di costo-ro è decisamente contrario all’aborto e questoè un dato quantitativamente, culturalmente e moral-mente assai significativo, anche perché soltan-to il 10 per cento è composto di partner che isti-gano la donna ad abortire; il 9 è consenzientee un altro 10% è indifferente.È utile ricordare che proprio la legge di aborto194 del 1978 spinge le donne a fare ciascunadel proprio disagio, delle proprie paure, delle pro-prie difficoltà una questione esclusivamente e fem-minile mentre la mentalità radicale di tanti ope-ratori e anche di tante donne ne fa una rivendi-cazione e un risultato – l’aborto! – di cui esse-re orgogliose. La legge non ha alcun riguardoper il padre del nascituro (che non nascerà) estabilisce per costui che, per intervenire nelle pro-

cedure preliminari presso un Consultorio o il medi-co di base debba esserci la richiesta o, alme-no, il consenso della donna. Eppure la sua par-tecipazione al concepimento dovrebbe attribuirglise non “diritto di veto”, almeno quello di inter-vento o di parola. Purtroppo la Costituzione, chesancisce anche gli obblighi e i doveri dei geni-tori, è messa in un cantone quando si parla diaborto, cioè di diritto alla vita o di condanna amorte di un, sia pure fisicamente piccolissimo,cittadino della Repubblica. E invece tutto il gran-dioso lavoro dei Centri di Aiuto alla vita e quel-lo culturale del Movimento dimostrano che si trat-ta di un dramma della solitudine, spesso dell’i-gnoranza di “chi è” il bambino in grembo e di unagrande domanda di accoglienza e di solidarie-tà quasi sempre più morale che materiale. E sem-pre di un bisogno di amore.È frequente che sol-tanto il sapere che, con il Progetto Gemma, cisono uno o più sconosciuti, magari dall’altra par-te dell’Italia, che pensano a te che ne hai biso-gno e che ti vogliono bene, sia sufficiente a far

mutare un aborto già deciso in una nascita feli-ce. Sta di fatto che nessuna delle 140mila madriche hanno rinunciato ad abortire se ne è mai pen-tita e che, invece, molte madri che hanno rifiu-tato il loro figlio in grembo operano adesso peraiutare le altre a non abortire, se non altro pernon doversene amaramente pentire...

Ufficio Catechistico

IIl 22-23 giugno a VillaCampitelli a Frascati si èsvolto il Convegno cate-

chistico regionale dal titolo “Come pietre vive(1PT 2,4-8). Rinnovare l’iniziazione cristiananelle nostre Chiese”. Hanno aperto il con-vegno S.E. Mons. Martinelli Vescovo delladiocesi di Frascati e S.E. Mons. SemeraroVescovo della diocesi di Albano e incarica-to regionale per la catechesi. Quattro sono stati i momenti salienti: la rela-zione “Tra memoria e profezia: ultimodecennio, nuove sfide, questioni aperte e attese” di Don Ubaldo Montisci,docente di catechetica presso l’Università Pontificia Salesiana, la rel-zione “Il rinnovamento dell’Iniziazione Cristiana nelle nostre Chiese:Punti focali per un’agenda regionale” di Mons. Andrea Lonardo, diret-

tore dell’UCD di Roma, il dibattito in assemblea e i lavori di gruppo.Il convegno era rivolto ai sacerdoti e ai membri delle èquipe degli uffi-ci catechistici delle diocesi del Lazio; hanno partecipato anche i mem-bri della consulta nazionale, gli esperti e membri della consulta regio-nale, i rappresentanti delle Associazioni educative, i rappresentantiregionali della pastorale della famiglia, dei giovani della liturgia e del-le comunicazioni sociali. Nell’introduzione ai lavori Don Jourdan Pinheiro,direttore dell’Ufficio Catechistico Regionale, scrive:<< Il nostro “stare insieme” è un segno tangibile del movimento cheè stato generato da quando abbiamo accolto le indicazioni dell’UfficioCatechistico Nazionale perché, insieme alle altre 15 regioni eccle-siastiche della nostra Chiesa che è in Italia, realizzassimo anche noiun appuntamento tra le 18 Chiese del nostro Lazio, con l’obiettivo,come dicono gli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona delVangelo n. 54, di “discernere, valutare e promuovere una serie di cri-teri che possono delineare il processo di rinnovamento della cate-chesi, soprattutto nell’ambito dell’iniziazione cristiana.>> [...] Abbiamo creduto e ci siamo impegnati, come “pietre vive”, nel con-

Nella Foto, da sinistra: mons. Marcello Semeraro e mons. Lino Fumagalli, vescovo di Viterbo

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fronto sincero e abbiamo cercato di creare l’opportunità distare insieme, cercando così di evitare il rischio di stagna-zione che discretamente o apertamente è sempre in aggua-to, a dispetto di tante attività e iniziative per generare nuo-vi figli e figlie nella fede. Ci siamo messi in movimento, cercando di ridare energie eorizzonti nuovi alle nostre fatiche, con l’obiettivo di accoglierele sfide e fare delle proposte per il nostro tempo nel nostroterritorio.[...] Questo convegno pertanto non vuole essere celebrativo néaccademico e tanto meno un raduno di “massa”, bensì untempo per approfondire e fortificare i legami e discernere insie-me alcuni criteri per poi proseguire ancora più spediti nellastrada già intrapresa. Col bisogno e l’urgenza di rinnovamento,è cresciuta tra noi la consapevolezza che rinnovare l’inizia-zione cristiana nelle nostre Chiese esige una revisione del-l’insieme della catechesi e, conseguentemente, dell’impostazionedell’azione pastorale. La Nota Pastorale Il volto missionario delle parrocchie in unmondo che cambia riporta con chiarezza tale esigenza: “Una pasto-rale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della

comunità cristiananon basta più. È necessaria unapastorale missio-naria, che annuncinuovamente i lVangelo, ne sosten-ga la trasmissione digenerazione in gene-razione, vada incon-tro agli uomini ealle donne del nostrotempo testimonian-do che anche oggiè possibile, bello, buo-no e giusto vivere l’e-sistenza umana con-formemente a lVangelo e, nel nomedel Vangelo, contri-buire a rendere nuo-va l’intera socie-tà...”.È questa oggi la“nuova frontiera” del-la pastorale per laChiesa Italiana.

C’è bisogno di una vera e propria “conversione” che guarda l’insie-me della pastorale... Dalla liturgia alla carità, dalla catechesi alla testi-monianza della vita, tutto nella Chiesa deve rendere visibile e rico-noscibile Cristo Signore ”(n.1).E per quanto riguarda l’iniziazione cristiana:“Con l’iniziazione cristiana la Chiesa madre genera i suoi figli e rige-nera se stessa. Nell’iniziazione esprime il suo volto missionario ver-so chi chiede la fede e verso le nuove generazioni... Un ripensamentosi impone, se si vuole che le nostre parrocchie mantengano la capa-cità di offrire a tutti la possibilità di accedere alla fede, di crescerein essa e di testimoniarla nelle normali condizioni di vita” (n. 7). E perché tutto ciò non rimanga soltanto un bel proposito è fondamentaleche rafforziamo la convinzione che dobbiamo essere tutti correspon-sabili in questa ricerca e in questo impegno di “conversione».

Certamente, come dice Don Jourdan Pinheiro, questo appuntamen-to regionale “ha favorito l’identificazione del momento in cui ci troviamo,tra memoria e profezia, e ha incoraggiato l’individuazione di alcuni pun-ti di un’agenda regionale che indichi i prossimi passi da compiere.”Il convegno si è concluso con una lettura sinottica dei punti emersidai lavori svolti da parte di Mons. Gualtiero Isacchi, vicario episco-pale per la pastorale della Diocesi di Albano.

Tavolo della Presidenza del Convegno Regionale Lazio : S.E. mons. Martinelli, vescovo di Frascati e il vescovo di Albano, S. E. mons. Semeraro; intervento di Don Daniele Valenzi, Direttore Ufficio Catechistico della nostra diocesi.

L’aspersione di mons. Marcello Semeraro

L’assemblea dei partecipanti al convegnoUno dei gruppi di lavoro

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SS critta da Romafin dall’11 otto-bre 2011, la let-

tera si compone di 15 para-grafi e si può suddivide-re in due parti ben pre-cise: la prima parte (para-grafi 1-9) sul perché unanno della fede; la secon-da (paragrafi 10-15) sulcome vivere l’anno della fede. Analizzeremo inquesto numero della rivista la prima parte, nelprossimo la seconda.

1. PERCHE’ UN ANNO DELLA FEDE

La porta della fede – esordisce il papa –, chemette in comunione con Dio e fa accedere allaChiesa, per noi è sempre aperta. Possiamo attra-versarla quando si annuncia la Parola di Dio eil cuore è plasmato dalla grazia. Comincia cosìun cammino che inizia con il Battesimo, duratutta la vita terrena fino alla morte e proseguenella vita eterna, dono di Gesù risorto a chi cre-de in Lui. Credere nella Trinità è credere in un solo Dio– Padre, Figlio, Spirito Santo – che è Amore.Riscoprire il cammino della fede è un’esigen-za che Benedetto XVI ricorda fin dalla sua ele-zione, sette anni fa. Gli uomini sempre più spes-so si preoccupano delle conseguenze sociali,culturali e politiche del loro impegno; la fede,che un tempo era considerata un presuppostoovvio della loro vita, ora viene spesso perfinonegata: in grandi settori della società, una pro-fonda crisi di fede tocca molte persone.Il papa non può accettare questo, convinto cheanche l’uomo di oggi può sentire il bisogno –come la Samaritana del Vangelo – di ascolta-re la parola di Gesù e di credere in Lui, di nutrir-si di quella Parola e del Pane di Vita che ci halasciato. Credere in Gesù Cristo è infatti la viaper giungere alla salvezza.Per questo Benedetto XVI indice un Anno del-la Fede, che inizia l’11 ottobre 2012 (50° anni-versario dell’apertura del Concilio Vaticano II)e termina il 24 novembre 2013, solennità di GesùCristo Re dell’Universo. La data di apertura ricor-da anche il 20° anno dalla pubblicazione delCatechismo della Chiesa cattolica, frutto auten-tico del Concilio, voluto come strumento per lacatechesi e realizzato con la collaborazione ditutto l’Episcopato cattolico. E ancora nell’otto-

bre 2012 il papa ha convocato l’Assemblea gene-rale del Sinodo dei vescovi sul tema “La nuo-va evangelizzazione per la trasmissione dellafede cristiana” , occasione per la Chiesa inte-ra di riflessione e riscoperta della fede.Anche Paolo VI indisse nel 1967 un Anno del-la Fede, nel 19° Centenario del martirio degliApostoli Pietro e Paolo. Volle che in tutta la Chiesavi fosse una “autentica e sincera professionedella medesima fede”, per ravvivarla e profes-sarla con più vigore. La conclusiva solenneProfessione di fede del popolo di Dio voleva atte-stare che il secolare patrimonio dei credenti deveessere confermato e approfondito in forma sem-pre nuova e adeguata alle proprie condizioni sto-riche.L’inizio dell’Anno della Fede nel 50° anniver-sario dell’apertura dell’ultimo Concilio Ecumenicoè stato voluto dal papa per ricordare che i testiconciliari non perdono di valore, sono sempreattuali, perciò vanno conosciuti e considerati nor-mativi del Magistero. Il Concilio, ripete BenedettoXVI, è la grande grazia di cui la Chiesa ha bene-ficiato nel secolo XX , è la bussola per orien-tarci nel XXI che inizia, è una grande forza peril sempre necessario rinnovamento dellaChiesa.Il rinnovamento della Chiesa dipende anche dal-la testimonianza dei credenti, dalla loro stessaesistenza. Come è scritto proprio in un docu-mento del Concilio (Lumen Gentium), se Cristoè innocente e senza macchia, la Chiesa com-prende peccatori, perciò è santa e contempo-raneamente bisognosa di purificazione; è per-ciò in continua penitenza e rinnovamento, annun-ciando la passione e la morte del Signore finoalla sua venuta. Dalla virtù di Cristo risuscita-to trae la forza per vincere afflizioni e difficoltàinterne ed esterne, per svelare in mezzo al mon-do il mistero di Lui.L’Anno della Fede è allora un invito alla con-versione al Signore, onde camminare con Luiin una nuova vita, con pensieri, affetti, menta-

lità e comporta-mento purificatie trasformati, inmodo che la fede,operosa median-te la carità, pos-sa cambiare tut-ta la vita dell’uo-mo.Come afferma S.Paolo (2Cor 5,14),

è l’amore di Cristo che ci spinge ad evangeliz-zare tutti i popoli, in ogni tempo. Anche oggi dun-que occorre l’impegno a una nuova evangeliz-zazione, per ritrovare la gioia del credere e delcomunicare la fede. La fede infatti cresce quan-do è esperienza di un amore ricevuto e poi gioio-samente comunicato. Essa rende fecondi per-ché apre il cuore e la mente ad aderire alla paro-la del Signore, come ci insegnano la vita e leopere di S. Agostino. La fede poi si rafforza solocredendo, abbandonandosi all’amore.A questo punto papa Benedetto invita i vesco-vi del mondo a celebrare in modo degno l’Annodella Fede, intensificando la riflessione sulla fedespecie in questo momento storico di profondocambiamento. E li invita a confessare la fedenelle cattedrali e in tutte le chiese, nelle casee nelle famiglie, nelle comunità parrocchiali ereligiose e in qualsiasi realtà ecclesiale.Il desiderio del papa è che in questo anno ognicredente confessi la sua fede con rinnovata con-vinzione, fiducia e speranza, e ne intensifichila celebrazione nella liturgia, soprattuttonell’Eucaristia. Auspica una più credibile testi-monianza di vita dei credenti, che spera si impe-gnino sempre più a riscoprire i contenuti dellafede e a riflettere sullo stesso atto con cui si cre-de. I contenuti della fede sono racchiusi, comeè noto, nel Credo: su quelle parole, secondoS. Agostino, “è costruita con saldezza la fededella madre Chiesa sopra il fondamento stabi-le che è Cristo Signore”; e quelle parole devo-no essere costantemente ricordate, meditate eprofessate.

a cura di Stanislao Fioramonti(continua)

Nell’immaginedel titolo: La donnasamaritanaal pozzo, James Tissot

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Don Dario Vitali*

LLa liturgia eucaristica prevede, per ladomenica o per le solennità, la reci-ta del credo. I principi e norme per

l’uso del Messale Romano precisano che «ilSimbolo, o professione di fede, nella cele-brazione della Messa ha lo scopo di susci-tare nell’assemblea, dopo l’ascolto della Paroladi Dio nelle letture e nell’omelia, una rispo-sta di assenso, e di richiamare alla mentela regola della fede, prima di dare inizio allacelebrazione dell’Eucarestia» (n. 43).La norma contiene due formule che vanno ade-guatamente spiegate: «simbolo» o «professionedi fede». La seconda è intuitiva: la comunitàcristiana è chiamata, nell’atto più importantedel suo culto, a professare la sua fede, in unaformula condivisa che contiene le affermazionifondamentali della dottrina cristiana. Si trattadi un testo che espone in sequenza gli arti-coli di fede su Dio Padre, sul Verbo eterno fat-to uomo, sullo Spirito e su tutto ciò che ne con-segue per la salvezza dell’uomo: la Chiesa,il battesimo per la remissione dei peccati, laresurrezione dei morti e la vita eterna. Nella riforma liturgica è stata prevista la pos-sibilità di variare tra il simbolo niceno e la for-ma più lunga del simbolo niceno-costantino-politano (dal nome dei primi due concili ecu-menici che hanno promulgato i due simboli,Nicea, del 325, e Costantinopoli, del 381); maormai è invalsa la seconda formula, e solo rara-mente si ricorre alla prima, che il Popolo di Dionon ha memorizzato. Ma la formula liturgica per eccellenza è quel-la dialogata, prevista per la veglia pasqualee nella celebrazione del battesimo, dove il cate-cumeno o i genitori e i padrini del bambino siassumono la responsabilità della fede professataattraverso la risposta personale diretta. Ma per-ché si chiama «simbolo»?Il termine è una traslitterazione del termine gre-co symbolon, reso in latino con symbolum. Il ter-mine rimanda all’azione del syn-ballein, verbo chedice il gesto di (ri-)mettere insieme, ricomporreuna realtà spezzata in due. In questa direzione,il sostantivo symbolē significa incontro, se si trat-ta di persone, ma anche avvicinamento, ricon-giungimento, se si tratta di cose.Il simbolo era propriamente una tessera, un segnodi riconoscimento di materiale e fattura diversi,che per convenzione due famiglie o due città siscambiavano in segno di reciproco riconoscimento

e ospitalità. In ori-gine il simbolo

era unoggetto

che si

spezzava in due, e le due parti in causa – i con-traenti del patto – conservavano una delle par-ti, che in caso di incontro dovevano esserefatte combaciare. Era questo il caso del mes-saggero di una città o un popolo che venivaa parlamentare con il re o il senato di una cit-tà amica: per essere riconosciuto e ammes-so a parlare doveva esibire la metà della tes-sera, in modo da ricomporre idealmente – sim-bolicamente, appunto – quell’unità e amiciziadei due popoli significata dal simbolo. La professione di fede prende il nome di sim-bolo da subito. Prima della prassi dei grandi concili ecumenici,

nei quali i vescovi affronteranno e risolverannole grandi questioni trinitarie e cristologiche, sot-toscrivendo una professione di fede comune, ogniChiesa aveva elaborato un proprio simbolo, o regu-la veritatis, vale a dire l’insieme delle verità sul-le quali quella Chiesa poneva il suo fondamen-to e alle quali intendeva attenersi. Il momento più alto e solenne in cui la comuni-tà esibiva il suo simbolo era la celebrazione del-l’iniziazione cristiana nella notte di Pasqua. Il cate-cumeno che veniva battezzato, assumeva defi-nitivamente la regula veritatis della comunità dicui entrava a far parte. D’altronde, già durante iltempo del catecumenato, dopo il rito di elezio-ne, nel periodo che era detto della purificazionee dell’illuminazione, avveniva la consegna (tra-ditio) del simbolo. Gli eletti dovevano impararloa memoria: si può immaginare cosa potesse signi-ficare questo atto in tempo di persecuzione, quan-do un cristiano sarebbe stato mandato direttamenteal patibolo se fosse stato trovato in possesso diun tale documento. Imparare la professione a memo-ria era come “scrivere la legge di Dio non sulletavole di pietra, ma sulle tavole di carne del pro-prio cuore” (cfr Ger 31,31-34). Né la prima con-

segna (traditio) né la seconda (redditio) cheavveniva immediatamente prima del battesi-mo doveva consistere necessariamente nel-la consegna di un documento scritto: in real-tà, traditio e redditio consistevano soprattut-to nella recita del simbolo. Quel simbolo ricevuto e professato era comela tessera che il battezzato poteva esibire perpartecipare alla vita della comunità, per potersedere di diritto alla mensa eucaristica pre-sieduta dal vescovo. Si trattava di una vita impe-gnativa, uno stile di vita radicale, che impe-gnava a una lotta al peccato per vivere nellavita nuova insegnata dal Vangelo.

Per questo alla professione di fede era gene-ralmente accompagnata la lista dei peccati pub-blici che escludevano dalla comunità, e che ave-vano come sanzione la scomunica (excommunicatio,cioè l’esclusione dalla possibilità di comunicarsiall’unica mensa, per aver infranto la regola del-la comunione, venendo meno a uno dei prin-cipi che regolano la vita della comunità). La riammissione alla comunità con la revocadella scomunica era possibile unicamente solodopo una lunga penitenza pubblica, comminatadal vescovo, con un atto solenne. Né questapossibilità si poteva ripetere: la penitenza erachiamata “secondo battesimo” o “seconda tavo-la di salvezza”, essendo offerta una sola voltaa chi, avendo commesso un peccato che sepa-rava dalla comunione della Chiesa, era comeun naufrago caduto dalla nave (la Chiesa) chepoteva salvarsi dai flutti aggrappandosi alla tavo-la della penitenza, aiutato dalla preghiera del-la Chiesa. Il simbolo di fede era anche la tes-sera di riconoscimento della comunità stessa.Le Chiese si riconoscevano e si accoglievanoreciprocamente, riconoscendo e accogliendo ilrispettivo simbolo di fede.Quando i cristiani si spostavano dalla loro cit-tà, per partecipare all’Eucarestia di un’altra comu-nità dovevano presentare al vescovo del luo-

go dove soggiornavano quelle che erano chia-mate litterae communionis, vale a dire un atte-stato in cui era contenuto il simbolo della fede,che il vescovo poteva accettare o rifiutare. Rifiuto non remoto né infrequente, soprattutto duran-te le diatribe cristologiche e trinitarie che hannoafflitto i primi secoli. Basti pensare all’eresia aria-na, che aveva spaccato in due il cristianesimo,determinando addirittura che in una stessa cittàvi fossero due comunità, due vescovi, con scon-tri a non finire sulla natura del Verbo, se fosse omeno della stessa sostanza del Padre. In una situazione così estrema, che rischiava dicompromettere la fede cristiana, si capisce l’im-portanza del simbolo o tessera di riconoscimen-to, che aveva la funzione di regula veritatis o regu-la fidei. La fede cristiana si misurava sulla fedel-tà alla verità, non sull’intensità dell’emozione odel sentimento religioso. L’anno della fede può essere l’occasione per risco-prire queste radici profonde della fede cristiana,che possono rendere di nuovo vive e feconde lenostre comunità.

*Docente Ordinario di Teologia alla P.U.G. di Roma

Nelle immagini: al centro, icona raffigurante l’imperatore Costantino (al centro) e dei Padri del primo Concilio di Niceadel 325, tenendo il Simbolo niceno-costantinopolitano del 381; in basso: il syn-ballein

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1111Luglio - Agosto Luglio - Agosto 20122012

Stanislao Fioramonti

EE’’ stato l’ultimo a offrire la vita per il suoideale missionario ma - in questa rubri-ca che durante tutto l’Anno della Fede

vuol far conoscere cristiani che dall’inizio delnuovo millennio non hanno esitato ad affron-tare il martirio per diffondere la loro fede - voglia-mo ricordarlo per primo. E non solo perché, evan-gelicamente, gli ultimi saranno i primi, ma per-ché don Luigi Plebani l’ho conosciuto perso-nalmente.Il ricordo va a più di trent’anni fa, agli ultimi mesidell’anno 1978. Con Patrizia (eravamo sposatida cinque mesi) avevamo già seguito incontridi preparazione al volontariato internazionalecon un o.d.g. (organismo non governativo) diRoma, il Movimento Laici America Latina (MLAL);essendoci anche un programma di coopera-zione nel quale poterci inserire (nello stato delTàchira, settore sud-occidentale del Venezuela,una regione in parte andina e in parte pianeggiantea sud del grande lago Maracaibo), per contodel MLAL siamo partiti per Verona dove nel semi-nario di S. Massimo iniziava il 28° corso CEIAL(Centro Ecclesiale Italiano per l’AmericaLatina), in programma da ottobre a dicembre1978. Nel grande edificio, ex seminario vesco-vile diocesano, incontrammo così circa 80 pros-simi “missionari” (sacerdoti, religiosi, suore elaici) provenienti da ogni parte d’Italia e desti-nati al grande continente latinoamericano, checomprende come è noto i paesi dell’ Americadel Sud, del Centro-America e il Messico nelNord-America.Il MLAL, membro della federazione cattolica deglio.d.g. (FOCSIV), inviava regolarmente i suoivolontari ai corsi CEIAL, per approfondire la sto-ria, la politica, la cultura, la lingua, la situazio-ne religiosa dei vari paesi sudamericani cui era-no destinati. Così noi abbiamo avuto l’oppor-tunità di vivere per tre mesi insieme a perso-ne di tutte le età, intelligenti, aperte e motiva-te, pronte a lasciare le loro certezze occiden-tali e ad affrontare situazioni nuove, a volte dis-agiate o pericolose, nelle quali mettere in gio-co la fede che avevano maturato.Erano in gran parte sacer-doti, religiosi e suore, maanche i laici – ingegneri, socio-logi, periti agrari, medici, inse-gnanti – formavano un belgruppo.Dei preti, la quota maggio-

re era rappresentata dai cosiddetti “fideidonum”, sacerdoti diocesani inviati a operarein una diocesi in terra di missione previo accor-do tra vescovo che inviava e vescovo che rice-veva, espressione pratica della collaborazio-ne missionaria tra le chiese del cosiddetto MondoSviluppato e quelle del cosiddetto TerzoMondo. La collaborazione doveva durare per un perio-do ben determinato, anche piuttosto lungo (10-15 anni), ma spesso veniva prolungata a tem-po indeterminato dalla volontà dell’interessa-to, che si legava talmente al territorio e al popo-lo che incontrava da non tornare più in patria,se non per brevi periodi di riposo o di raccol-ta fondi nelle diocesi e tra i gruppi di appog-gio italiani; anzi molto spesso il loro “compro-miso” con le nuove realtà era talmente forte daesprimere il desiderio di essere sepolti nella loroterra di missione.Sono stati sacerdoti e missionari “fidei donum”(l’espressione deriva dal titolo di un’enciclicadi papa Pio XII del 21 aprile 1957, che solle-citava le Chiese occidentali all’impegno mis-sionario negli altri continenti) sacerdoti della nostradiocesi come don Franco Diamante di Artena,oggi parroco a Velletri, che ha lavorato per mol-ti anni in Messico; sacerdoti della nostra regio-ne come don Nazareno Lanciotti di Subiaco edon Andrea Santoro di Priverno, che hanno offer-to la loro vita al Brasile e alla Turchia e dei qua-li parleremo più diffusamente in altri articoli; esacerdoti di ogni parte d’Italia, specie delle dio-cesi del Nord, alcuni dei quali hanno avuto anche- loro malgrado -qualche notorietà nazionale,come don Corinno Scotti, parroco di Brembate(BG) dove è stata uccisa Yara Gambirasio, chenei primi anni ’80 è stato missionario aEsmeraldas (Ecuador) e con il quale abbiamofatto molti “recorridos” lungo i fiumi di quellaregione, lui a evangelizzare, altri a costruire,io a curare o a insegnare la prevenzione del-le malattie o a fare diagnosi di Oncocercosi (lacecità dei fiumi dovuta a un parassita trasmessodalla puntura di un moscerino).Tra i “fidei donum” partecipanti al 28° corso CEIALdi Verona-S. Massimo, in quegli ultimi mesi del

1978, c’era anche don Gigi Plebani, unpretino della diocesi di Brescia alto e magro,silenzioso e mite, che non si metteva maiin evidenza, seguiva con serietà eimpegno le attività giornaliere e nei finesettimana tornava nella sua parrocchiadi S. Pancrazio di Palazzolo sull’Oglio,

della qua-le fucoopera-tore dal1975 al’79 dopoesse r l ostato aErbannodi Darfo(Boar ioTerme).Nato nel1947 a Rudiano (BS) e ordinato sacerdote nel1973, nel 1980 don Gigi è partito per il Brasile,lavorando prima a Itaipé nello stato di MinasGerais, poi a Conceicao da Araguaja in quel-lo di Pernambuco e infine dall’ottobre 2011 aRui Barbosa in quello di Bahìa. Dopo più di 30anni, questa estate avrebbe dovuto rientraredefinitivamente in Italia, a Brescia, ma non glie-ne hanno dato il tempo. Domenica 29 aprile è stato ucciso nella sua casaalla periferia di Rui Barbosa, non si sa anco-ra se per rapina o perché – facendo tra l’altroil confessore nelle carceri di quella città – eravenuto a conoscere qualcosa di troppo sul nar-cotraffico della zona e su quelli che lo mano-vrano. Quella sera era atteso nella missioneper la messa pomeridiana; non arrivando, alcu-ne donne della parrocchia sono andate a chia-marlo e lo hanno trovato impiccato: un suici-dio chiaramente simulato per sviare le indagi-ni. Pur avendo subito in passato due furti e piùrecentemente alcune minacce che lo aveva-no scosso, don Gigi non pensava minimamenteal suicidio e il suo vescovo, mons. André DeWitte, ha testimoniato di averlo incontrato pochigiorni prima trovandolo sereno come sempre.Chi lo conosceva sapeva che i ladri da lui pote-vano arraffare ben poco, avendo vissuto sem-pre poverissimo, avendo pochissime esigen-ze personali e maneggiando solo e sempre sol-di della parrocchia. Chissà se si verranno maia conoscere le ragioni di quest’altro omicidio,nonostante le promesse delle autorità di poli-zia! Nel frattempo il 1° maggio don Gigi è sta-to sepolto in Brasile, come aveva disposto datempo; ha scelto la località di Lagos Dos Gatos,distretto di Palmares, dove aveva vissuto e ope-rato per anni.Il miglior epitaffio lo ha dettato suo fratello Carloda Brescia, rivelando a proposito di don Gigiche “solo S. Francesco era più povero di lui”.

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1212 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Claudio Capretti

PP aralitico, altro non sono che un paralitico. Strade sbagliate han-no inchiodato i miei piedi, opere impronunciabili hanno paraliz-zato le mie mani, pensieri malvagi hanno incatenato il mio cuo-

re e la mia anima a questo lettuccio. Giaccio immobile su di esso, dive-nuto oramai parte di me, da un tempo di dimenticata memoria. Vivo all’e-sterno di me, come sospeso su un vuoto, distaccato da un mondo cheoramai non mi appartiene più.Ricordo bene di non essere mai stato così, ed ogni volta che ci pensoho come un sussulto di nostalgia, che mi spinge a reagire, a risalire agalla. Ma come si può risalire dal fondo, quando una doppia catena tilega ad un ancora che giace negli abissi? Per questo ho perso ognisperanza. Mi hanno detto che quelli come me sono dei castigati da Dio, dei reiet-ti, persone meritevoli di essere allontanati da tutti perché impuri, peressere più precisi, dei peccatori. Credo abbiano ragione, se la Leggedice questo, allora, penso sia giusto così. Non ho speranze ch’io pos-sa guarire, e una vita diver-sa da questa non oso nean-che immaginarla e chis-sà se esiste. Una sola cosavorrei, che il tempo pas-sasse velocemente, perquesto lo trascorro dor-mendo nascondendomi nel-le coperte del mio passatoe appoggiandomi sulguanciale della mia iner-zia. Anche quello che mista capitando in questomomento lo avverto comeun qualcosa di irreale, dilontanissimo da me.Guardo svogliatamente que-sti anonimi barellieri, chemi hanno caricato sulle lorospalle, che si affrettano pres-so una casa dove, dico-no, ci sia un grande pro-feta e guaritore. Il loro anda-mento è veloce, la stra-da è particolarmente dis-sestata tanto da farmi sob-balzare ad ogni bucanon schivata. Sono cer-to che stanno correndo ver-so un’utopia, che oltre afarsi carico della miaparalisi, si sono fatti cari-co anche della mia sfiducia,della mia indifferenza a ciòche sono diventato.Eppure non ne sembra-no infastiditi, anzi. Midomando, chi glielo fa farea queste quattro personedi farsi carico del mio peso?Quale profitto da questaloro ostentazione?Una cosa penso sia cer-ta, devono credere vera-mente tanto in quest’uo-mo che chiamano ilMessia. Non riesco a ricordare i loro nomi, né tanto meno i loro volti.Scorgo a malapena le loro teste e le loro mani che sostengono il mio

lettuccio durante questa corsa. Che cosa ho suscitato in loro? Compassione?E se avessero visto in me una gravità che io ignoro? Non ne ho alcu-na idea. Improvvisamente la corsa si interrompe, si sente un gran bru-sio di gente e dai commenti dei miei barellieri capisco che un impedi-mento li ha bloccati. Per un istante penso che mi riporteranno subito acasa.Lo sapevo che non c’era nulla da fare, dovrò rimanere imprigionato avita su questo lettuccio. Non ho neanche il tempo di abituarmi a que-sto pensiero che mi ritrovo su di un tetto. Ma cosa stanno facendo? Stanno togliendo delle tegole, vi stanno aprendo un varco…, o mio Dio,sono finito nelle mani di quattro vandali esaltati, pagherò caro questoloro gesto….Guardo il buco che hanno fatto e solo ora capisco di essere sul tettodi quella casa dove saremmo dovuti entrare. In basso, al centro di unastanza, vedo un uomo che parla con autorità. Nessuno chiede la miaopinione, nessuno mi interpella quando i quattro vandali mi calano contutto il mio lettuccio. Un senso di vergogna mi assale mentre entram-bi veniamo calati dall’alto, e posti in mezzo a quella gente.

Lo stupore e il silenzio irrom-pono di colpo sui presenti.Dal basso guardo i miei barel-lieri, li vedo contenti che siaffacciano dal buco dove sonosceso, gettano a terra le cor-de come se volesserotagliare con me ogni lega-me, come se avesserovoluto delegare al loroMessia, la mia storia, le mieparalisi, come a volergli dire: “Siamo certi che queste cor-de non serviranno più, per-ché tu lo farai rialzare dalsuo lettuccio”. Si soffermano un poco afissarLo, anch’Egli ricam-bia il Suo sguardo con loroe l’aria si impregna di tene-rezza nell’incrocio dei lorosguardi. Il gesto estremo discoperchiare il tetto della casa,non lo ha indispettito,anzi…. Sono sempre distesosul mio lettuccio, presenteora a me stesso più di pocofa, ora Egli si rivolge a mee mi dice: “Figliolo ti sonorimessi i tuoi peccati”.Guardo Colui che ha pro-nunciato su di me queste paro-le, un calore invade il miocorpo e comprendo che Egliè andato alla radice della miaparalisi, ha perdonato imiei peccati. Essi mi han-no imprigionato su questolettuccio e la potenza del Tuoperdono,viene oggi a libe-rarmi, sanando il mio cor-po dalle sue paralisi. Mi giroappena con la testa, notolo sguardo scandalizzato dialcuni uomini seduti la; dacome sono vestiti e dai loro

atteggiamenti devono essere scribi. Non faccio in tempo a formularerisposte o fare domande quando Gesù si rivolge verso quel gruppetto

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di uomini seduti la, e gli dice: “Perché pensate così nei vostri cuo-ri? Dalle loro reazioni capisco che ha messo in luce pensieri nati dalloro cuore che non osavano dire a voce alta. Se Tu, Signore conoscile profondità dei loro cuori, dei nostri cuori, allora sei anche Colui cheli hai plasmati, sei quindi il nostro Creatore. Chi può compiere questo se non Dio stesso? Chi altri se non Dio, puòoperare questo cambiamento in me stesso? Ora guardandoli, dici loro:“Che cosa è più facile:dire al paralitico:Ti sono rimessi i peccatio dire: Alzati,prendi il tuo lettuccio e cammina?”. Il perdono, mio Signore, dal profondo del mio cuore assetato del Tuoperdono, grido a te e ti dico che il perdono è il bene più grande ch’iopotessi ricevere oggi. Sei entrato nelle mie profondità, niente in me tiha scandalizzato, il Tuo amore per me ha messo in fuga le tenebre chemi opprimevano. Oggi vengo salvato dalla Tua misericordia, precedu-ta dalla grazia, o meglio, dalla fede di quei quattro anonimi barellieri,che ora non vedo più. Prima ero paralitico, prigioniero del mio lettuccio, ora non più. Primafiaccato nello Spirito, ora rinvigorito. Prima schiavo dei miei peccati, perquesto paralizzato, incapace di vivere, ora riconciliato con Te, con lamia storia, di nuovo in piedi, libero di tornare a casa, di tornare a vive-

re. Porterò tra le mie braccia quello che prima portava me, il mio let-tuccio, o meglio le mie schiavitù e non ne provo vergogna alcuna dimostrare ciò che sono stato. Anzi, questo lettuccio sarà il trofeo dellaTua vittoria in me, dirò a tutti la meraviglia del Tuo amore per me.Scopro in me questa forza, e riconosco che è un Tuo dono. Come ricam-biarti mio Signore se non quello di divenire testimone della Tua mise-ricordia? Come non divenire già da questo momento, anch’io anonimobarelliere, alla ricerca di paralitici da condurti. E sarà bello scoperchiarei tetti, e calarti altri che sono come ero io.Che quegli uomini scandalizzati rimangano pure seduti là, prigionieridei loro pregiudizi, dei falsi traguardi che si illudono di aver varcato. Ilmio cuore ora ti appartiene, mio Signore, parla ancora una volta mioSignore, sciogli per sempre le mie catene, ordina, te ne prego, la miasalvezza: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha poteresulla terra di rimettere i peccati, ti ordino alzati, prendi il tuo let-tuccio e va a casa tua.”

Nell’immagine: Il paralitico calato dal tetto della casa di Pietro alla presenza di Gesù, opera dell’illustratrice Eleonora Bietolini.

Suore del Monastero “Madonna delle Grazie”- Velletri

SS i parla molto di libertà, sempre, ovun-que, ad ogni età, in ogni ambiente… èun qualcosa di così intimo all’uomo in

quanto al desiderio e nello stesso tempo cosìdifficile da conquistare veramente, forse perchénon se ne comprende il vero significato e la gran-dezza del suo valore!Molti autori hanno scritto su questo tema, mol-te diverse interpretazioni dell’autentica libertàsono state date e anche noi mediante il presentearticolo vorremmo riflettere con voi su un aspet-to della libertà di cui ha parlato il Santo PadreBenedetto XVI nella catechesi del mercoledì 1°febbraio scorso, che ci sembra possa dare unarisposta esaustiva e profonda a tanti e ripetu-ti interrogativi.Nella catechesi citata il Santo Padre analizzae spiega la preghiera di Gesù al Getsemani, alGiardino degli Ulivi, ci soffermiamo sull’espressione:«Abbà, Padre! Tutto è possibile a te: allontanada me questo calice» (Mc 14,36). «Nella parte centrale dell’invocazione – dice ilSanto Padre- c’è il secondo elemento: la con-sapevolezza dell’onnipotenza del Padre “tuttoè possibile a te”, che introduce una richiesta incui, ancora una volta, appare il dramma dellavolontà umana di Gesù davanti alla morte e almale: “allontana da me questo calice!”. Ma c’è la terza espressione della preghiera diGesù ed è quella decisiva, in cui la volontà uma-na aderisce pienamente alla volontà divina.Gesù infatti, conclude dicendo con forza:“Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”(Mc 14,36c). Nell’unità della persona divina delFiglio la volontà umana trova la sua piena rea-lizzazione nell’abbandono totale dell’Io al Tu delPadre, chiamato Abbà. San Massimo il Confessore afferma che dal momen-to della creazione dell’uomo e della donna, la

volontà umana è orien-tata a quella divina edè proprio nel “sì” a Dioche la volontà umanaè pienamente libera etrova la sua realizza-zione. Purtroppo, a causadel peccato, questo “sì”a Dio si è trasformatoin opposizione: Adamoed Eva hanno pensa-to che il “no” a Dio fos-se il vertice della liber-tà, l’essere pienamentese stessi. Gesù alMonte degli Ulivi riporta la volontàumana al “sì” pieno aDio… Così Gesù ci dice chesolo nel conformarela sua propria volon-tà a quella divina, l’es-sere umano arrivaalla sua vera altezza,diventa “divino”; solouscendo da sé, solo nel“sì” a Dio, si realizza ildesiderio di Adamo, dinoi tutti, quello diessere completa-mente liberi.E’ ciò che Gesù com-pie al Getsemani: tra-sferendo la volontà umana nella volontà divi-na nasce il vero uomo, e noi siamo redenti».Ciò significa che quanto più e meglio compia-mo e compiremo la volontà divina (espressa neicomandamenti, nei precetti della Chiesa, nel-lo stato di vita assunto davanti a Lui) tanto piùsiamo e saremo liberi e quanto più saremo libe-

ri, tanto più saremo veramente e pienamenteuomini! Solo questo potrà saziare il nostro desi-derio profondo di essere veramente liberi!

Nell’immagine: Trinitàdi Coecke Van Aelst, Madrid

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1414 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Mons. Luigi Vari*

NNella lunga storia della tra-smissione del testosacro, affidata a persone,

che se ne facevano carico, ma nonsempre con la cultura necessariaall’impresa: non conoscevano il gre-co, ad esempio; e non sempre nel-le condizioni migliori per eseguireil lavoro di trascrizione, si sono accu-mulati una serie di errori, detti invo-lontari, perché non dipendenti dalla volon-tà dei copisti, e, come detto, facilmente indi-viduabili e correggibili. La Bibbia, però non è un testo neutro, essaè fondamento dell’esperienza di fede di sin-goli credenti e di comunità e popoli interi;volendo fare un’analogia, molto debole, essaè paragonabile alla costituzione di uno sta-to. Questo era soprattutto vero quando all’au-torità religiosa si legava un potere politicoo quando l’identità culturale s’identificava conquella religiosa. La nuova comunità cristiana si caratterizzavaper la grande vivacità, la differenziazione appas-sionata, e conosceva, inevitabilmente divi-sioni, che a volte, generavano delle vere ere-sie, che non erano il parere di uno, ma diven-tavano la posizione di una comunità, di ungruppo, di un territorio.Infine avere una propria lettura della religionepoteva avere conseguenze, di tipo politicoe amministrativo, non secondarie; soprattuttose, qualche capo, intravvedendo possibili-tà particolari di potere, le sposava.Del resto, in tempi relativamente recenti, chene sarebbe stato della Riforma di Lutero se

non avesse trovato l’appoggio dei principitedeschi, che capirono subito come quel movi-mento avrebbe potuto cambiare l’equilibriodel potere.Si capisce, che per sostenere le proprie posi-zioni, si facesse ricorso alla Bibbia, ceden-do, qualche volta alla tentazione di forzarealcune letture, omettere o aggiungere qual-che sfumatura, accettando o rifiutandoqualche libro, enfatizzandone un altro.C’erano poi i pregiudizi culturali, infatti, alcu-ni volevano conservare la purezza del testo,altri, invece pensavano che bisognasse cor-reggere gli errori o le durezze lessicali e sin-tattiche; altri ancora volevano renderli piùchiari o più “sacri”.Tutto questo ha portato alla nascita di quel-li, che si chiamano, errori intenzionali; mol-to più difficili da correggere di quelli invo-lontari, molto più delicati, perché intaccanoil senso della scrittura; ma, fortunatamen-te, abbastanza riconoscibili, anche perché,il rispetto per le Scrittura impediva di forzaretroppo la mano.Questi errori diventavano caratteristica di unterritorio, a volte d’intere regioni.

Tutto questo consente di classifica-re i codici, che contengono tutta o par-te della scrittura, in famiglie, che han-no delle caratteristiche comuni, ridu-cendo in maniera drastica, i casi daanalizzare.È evidente che per correggere gli erro-ri inseriti volontariamente nel testo,è necessaria una conoscenza appro-fondita della storia generale e di quel-

la del cristianesimo in particolare, dei movi-menti culturali, delle tendenze e di quantoserve a individuare le tracce degli errori ele loro radici.Ci sono poi dei criteri molto precisi, che per-mettono allo studioso di orientarsi con unacerta sicurezza in quella, che, a prima vista,appare una giungla.Mi sembra importante sottolineare alcune cose;prima di tutto che, per quanto tanti gli erro-ri non sono mai tali da mettere in discus-sione la fede della Chiesa; in secondo luo-go come la determinazione ad applicare altesto biblico la Critica testuale mostra un rispet-to della Chiesa per la Scrittura, non temen-do conclusioni, che potrebbero anche crea-re difficoltà; infine sapere che si può leggerela storia del mondo cristiano a partire dal-le modifiche apportate al testo biblico, dovreb-be renderci tutti più consapevoli e meno super-ficiali di esso.

*parroco e biblista

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Don Antonio Galati

«Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì tiricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascialì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a ricon-ciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuodono» (Mt 5,23-24).

NNel primo articolo in cui si è riflettu-to sul sacramento dell’Eucaristia cisi è concentrati su alcuni aspetti sug-

geriti dalle Scritture e, a partire dai racconti evan-gelici che narrano l’ultima cena, quando Gesùha istituito il dono del suo corpo e del suo san-gue e ha chiesto ai discepoli di perpetuare quelgesto nella storia, si è sottolineata l’Eucaristiacome espressione del servizio di Gesù e mez-zo per conformare la vita dei credenti alla sua. Poi, successivamente, nel secondo interven-to sull’Eucaristia, si è posta l’attenzione sullapreghiera eucaristica che, per come è struttu-rata, pone l’accento sul fatto che la consacra-zione non è fine a se stessa, cioè non avvie-ne principalmente per l’adorazione del pane euca-ristico, ma per la consumazione, cioè affinchéchi celebra l’Eucaristia si accosti poi al quel cor-po e sangue sacramentali, mangiandolo e beven-dolo, cioè accogliendo il dono che il Signoreha fatto. Inoltre si è anche detto che quel dono

fatto durante la Messa e accolto con la comu-nione spinge i cristiani alla missione

nel mondo, affinché quel

Signore accolto nel corpo siasostegno e modello dell’impe-gno del cristiano nella società.Inquesto articolo si voglionosuggerire alcune riflessioni a par-tire da quanto detto in questidue mesi, per sottolineare chel’Eucaristia non deve essere solocreduta e celebrata, ma che quel-la celebrazione deve portare con-seguenze nella vita dei cristiani.

Dalla comunione sacramen-tale alla comunione effettivaIl momento in cui i fedeli man-giano il corpo e bevono il san-gue di Cristo è chiamato “fare

la comunione” e questo appellativo, nella men-talità comune, è associato generalmente soloa questo momento. In realtà “fare la comunio-ne” ha un significato più profondo.Anche se associato al gesto di ricevere e man-giare il pane consacrato, il “fare la comunione”non è identificabile con quel momento, ma sieffettua tramite quel momento.Infatti, ricevendo il corpo e sangue di Cristo si“fa la comunione”, ma nel senso che si entrain comunione più profonda con Cristo, perchélo si mangia e quindi lo si fa diventare partedel proprio vissuto, e con gli altri, perché si con-divide lo stesso pane consacrato, cioè lo stes-so e medesimo corpo e sangue di Cristo.In altre parole, ricevere l’ostia consacrata signi-fica instaurare e rafforzare delle relazioni contutti quelli che in quella Messa, ma comunquein ogni Messa e per tutto il mondo, ricevono lostesso corpo di Cristo.

La comunione è con tuttiSi è detto poco fa che “fare la comunione” signi-fica intessere relazioni con tutti quelli che fan-no le medesime cose. E quel tutti è onnicom-prensivo, nel senso che si riferisce a tutti quel-li che ricevono il corpo di Cristo, e non solo allepersone che si conoscono o con cui si è in con-tatto. Ciò significa che per intessere quelle rela-zioni, cioè fare in modo che la comunione alcorpo e sangue di Cristo sia effettiva e porti frut-ti nei contatti con glia altri, c’è la necessità ela volontà di costruire quei ponti che collega-

no la propria vita con quelli degli altri, cioè, restan-do nella metafora del ponte, deve essere neces-sario che le due sponde che si vogliono colle-gare siano, a loro volta, disposte ad accoglie-re questo ponte, cioè questo collegamento.Parlando senza immagini, affinché la parteci-pazione al corpo e sangue di Cristo realizzi quel-lo che significa, bisogna che chi li riceve deveessere disposto e non anteporre ostacoli, affin-ché possa sentirsi in relazione con tutti.Ciò significa che fare la comunione se si pro-vano dei rancori verso alcune persone, rancoritali da voler escludere i rapporti con quelle per-sone, impedisce la messa in pratica, nella vitadi ciascuno, di quello che significa ricevere ilcorpo e il sangue di Cristo.

Necessità della riconciliazioneArriviamo così alla fine di questo percorso riflet-tendo sul fatto che la voglia o la necessità diricevere il corpo e il sangue di Cristo, cioè di“fare la comunione”, spinge ad esaminare la pro-pria vita e rendersi conto se ci sono delle situa-zioni che non permetterebbero di vivere la comu-nione piena con tutti. Per questo motivo la Chiesa chiede che chi siaccosta alla mensa del corpo e del sangue diCristo celebri, se ne ha la necessità, il sacra-mento della confessione. Così facendo, infat-ti, recupera quella comunione con la Chiesa econ tutti i fratelli e può ritrovare la disponibili-tà a intessere con tutti, nessuno escluso, rela-zioni fondate sulla condivisione dello stesso pane.A sua volta, però, la confessione non è suffi-ciente, perché quel perdono celebrato e accol-to, che porta alla restaurazione del rapporto conDio, deve poi concretizzarsi fattivamente nel-la ripresa delle relazioni con gli altri o, se ciòrisulta impossibile per la chiusura da parte deglialtri, almeno deve essere significato dall’intenzionepersonale di voler ricostruire quel rapporto, anchese dall’altra parte manca la risposta afferma-tiva a questa volontà. Solo facendo così “farela comunione” realizza veramente quello chevuole significare e solo così si può dire di voleraccogliere Gesù e il suo dono d’amore con tut-to quello che comporta.

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Chialastri don Cesare

NN egli ultimi due decenni l’accoglienzadei rifugiati e dei profughi è diventa-ta un tema caldo nelle agende poli-

tiche degli Stati economicamente sviluppati. Malgrado l’80% dei richiedenti asilo politico siaaccolto in Paesi extraoccidentali, gran parte del-l’opinione pubblica li considera come profitta-tori del sistema dello stato sociale e fa richie-sta di maggiore severità nell’esame delledomande e sempre minori benefici a chi vienericonosciuto lo status di rifugiato politico.Per conoscere meglio la situazione e le storiedi uomini e donne che chiamiamo “profughi”, laCaritas Diocesana di Velletri-Segni ha organizzatovenerdì 22 giugno alle ore 21.00 a Valmontone(nei locali del teatro parrocchiale di Santa MariaMaggiore) un incontro su questo tema. L’incontroè stato animato da P. Giovanni La Manna S.J.(responsabile del Centro Astalli di Roma, ser-vizio dei Gesuiti per i Rifugiati). Il Centro Astalliè nato nel 1981, voluto dal Generale dei GesuitiPadre Arrupe, per difendere i diritti fondamen-tali di tante persone che sono costrette per moti-vi politici, religione, guerre, persecuzioni, ecc afuggire dai loro Paesi e per questo chiedono pro-tezione in altri Paesi. Attualmente il Centro offre una mensa che dis-tribuisce circa 400 pasti al giorno, un ambula-torio, tre centri di accoglienza, una scuola di ita-liano e altri servizi di prima e seconda accoglienza

per avereinformazionidi prima manoutili per garan-tire i loro dirit-ti. P. Giovanni

La Manna S.J. introducendo il tema ci ha invi-tati a vivere l’esperienza cristiana con occhi aper-ti e coscienze sveglie, soprattutto quando ci met-tiamo in relazione con una parte dell’umanità chegià ha pagato un prezzo alto (carcere e tortu-ra) , cioè con i “rifugiati”. Essi sono costretti alasciare il Paese di origine per la loro idea poli-tica che non possono permettersi di esprimereo per il loro credo religioso (in questi giorni èsotto gli occhi di tutti lo scontro in Nigeria tramusulmani e cristiani). La tortura oggi rimane un fatto presente in diver-si Paesi, ad es. in Eritrea uomini e donne sonoobbligati dal regime a fare il servizio militare: sisa quando inizia e non quando termina. E nelmomento in cui un giovane avverte l’esigenzadi iniziare un proprio lavoro o di formare una fami-glia, esso viene considerato un disertore ed ècostretto a fuggire dal regime.Bisogna essere “fortunati” anche nel fuggire per-ché il regime si vendica con i familiari. Chi scap-pa da una situazione di questo genere meritaun profondo rispetto e una dignitosa accoglienza. L’Italia, anche per la mancanza di una legge orga-nica sull’accoglienza dei rifugiati, continua a crea-re un sistema ingiusto. Ad es. nel 2003 l’Italia ha dato soldi a Gheddafiper fare il “lavoro sporco” del respingimento. P.Giovanni S.J. ci ha raccontato la storia di un gio-vane etiope che fuggito via mare dalla Libia pervenire in Italia con la sua famiglia. Il loro bar-cone è stato intercettato nelle acque del MarMediterraneo dalla Marina maltese che ha datoaccoglienza solo a donne e bambini e ha rimes-so in mare gli uomini. Questi sono stati costretti dalla Marina Italianaa tornare in Libia. Questa persona è vissuta per2 anni nelle carceri libiche (tortura e sevizie) e

nel 2011 finalmente arriva in Italia perché cac-ciato dalla Libia da poco invasa dalla Nato. Gheddafi ha svuotato le carceri e rinviato in Italiaper vendicarsi della partecipazione italiana all’a-zione Nato. Sotto questa modalità iniqua di gestire i flussimigratori c’è un idea di fondo: scoraggiare le per-sone a venire in Italia. Il c.d. “pacchetto sicu-rezza” ha reso difficile la vita a chi già vive inItalia, ma non a chi arriva. Chi è costretto a fuggire dal suo Paese perchéla sua vita è a rischio, non si ferma davanti anessun decreto governativo. Come cittadini ecredenti è necessario capire perché si diconoparole forti per motivare i respingimenti e per-ché si dà vita a leggi in questa direzione: soloper creare un contesto di rifiuto per tanta pove-ra gente che già ha pagato un prezzo alto.Quando un ministro della Repubblica Italiana (on.Maroni) dice che con i respingimenti nei loro Paesidi provenienza si salvano le vite umane, un cit-tadino onesto e un credente dovrebbe chiedergli:“ signor ministro ci spieghi come è possibile sal-vare le vita umane con i respingimenti?” Chi ci guadagna di certo sono solo i trafficantiche si devono inventare nuove e più costose viedi accesso al nostro Paese. Il lavoro da fare resta tanto, occorre non sco-raggiarsi e avere sempre il desiderio di capiree di fare discernimento. Il servizio del CentroAstalli va in questa direzione: mediare tra il rifu-giato che arriva a Roma a chiedere dignità perla sua persona e coloro che in Italia manifestanoconcretamente il desiderio di aiutare e di met-tersi in gioco (volontari) di fronte alla storia con-creta di una persona che è stata costretta a fug-gire dal suo Paese. Le ragioni di questo impe-gno sono nella fede e nella giustizia da realiz-zare verso i poveri.Questo ha fatto e detto Gesù nel Vangelo. E quan-do si dice, e ultimamente sembra essere la car-

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ta vincente di fronte alle richiesta dei rifugiati (enon solo!): “ma non ci sono i sol-di” oppure “non si possono toglie-re i soldi agli italiani per darli aglistranieri”, per Padre La Manna sidice una grande bugia. Innanzituttoin questo campo le emergenze c’e-rano anche nei tempi delle c.d. “vac-che grasse”. I soldi ci sono, ma si spendono male:solo un es. nell’emergenza libicadel 2011, lo Stato italiano ha spe-so € 45,00 a persona al giorno peraccogliere le persone a Manduria(Taranto) nelle tende. Come è pos-sibile spendere questa cifra al gior-

no a persona in una tenda? Le comunità cristiane devono fare del tutto per

proteggere e promuovere il riconoscimento del-la dignità dei rifugiati. Altrimenti prevale una cul-

tura che tende a creare esclusione e que-sta prima o poi raggiungerà i poveri di zio-nalità italiana, gli anziani, gli ammalati ecc.Non dobbiamo cadere nel gioco perver-so della competizione e della contrapposizione.Ci siamo lasciati con qualche impegno:il primo passo da fare è quello di ribel-larsi a questo sistema ingiusto che creaulteriore ingiustizia.Il secondo è quello di mantenere una coscien-za sveglia e critica. L’altro è quello di chie-dersi: ma io (singolo, comunità cristiana)che sono disposto a condividere.

*Direttore Caritas Velletri-Segni

Simona e Gabriele Maira, Lariano

VV enerdì 1 giugno 2012 ore 5.15 del mat-tino, una vocina dice a tutti i passeg-geri: “Io vado a Milano vieni anche tu?”

E’ il più piccolo del gruppo di Lariano, poco piùdi 3 anni. Il nostro viaggio inizia con un bel segnodi croce; sembra un giorno come tanti altri, maqualcuno di più grande ha riservato qualcosadi speciale e semplice al tempo stesso. A circa 700 Km di distanza tante famiglie, comenoi, ci stanno aspettando, si stanno organiz-zando per accoglierci, per aprire le loro case,per mettere a nostra disposizione i loro stili divita, accantonando per qualche giorno le lorodifficoltà, i loro timori. Ore 13.00 finalmente l’arrivo in una parrocchiadi Milano, ed ecco visi in festa che ci accoglievano,che avevano guidato telefonicamente i nostriultimi Km per farci arrivare in tempo per il pranzo (Silvia e Don Carloin sottofondo al telefono dicevano agli altri: “Stanno arrivando buttategiù la pasta), eravamo a casa seppure in un luogo nuovo, volti nuoviche ci abbracciavano. Nel tardo pomeriggio, ecco l’incontro con le nostrefamiglie pronte a d aprire le loro case, ma insieme alle loro porte han-

no aperto i loro cuori. Ognuno di loro si è mes-so a disposizione per tre giorni pieni, preparandociottime colazioni e pranzi,comodi letti su cui riposare,pregando con noi, accom-pagnandoci per la città e negliincontri con il Santo Padre. Domenica 3 giugno dopo laS. Messa celebrata da PapaBenedetto XVI ecco il momen-to più difficile... i saluti. Non è stato un addio ma unsemplice “Ciao ci aspettiamonelle nostre case”.I Km corrono veloci nel rien-trare nel nostro paese; ci sonoattimi di silenzio, poi il nostro

grazie a tutte queste famiglie e a colui che ha per-messo tutto questo, fa nascere una bella preghierafraterna. Sono passati quasi 15 giorni da quel viag-gio ed ecco una telefonata da una famiglia di Milano:

“Ciao sono Michele, oggi ho messo la vostra maglietta della giornatadelle famiglie e la piccola della casa mi ha detto con una tale gioia”:“Papà la nostra famiglia di Lariano sta tornando a trovarci?” Ecco il vero miracolo di questo incontro, sentirsi parte di una grandeed unica famiglia, non importa la provenienza, gli stili di vita, il coloredella pelle, importa solo sentirsi PARTE....!!!

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1818 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Maria Antonietta Colabucci

SS abato 2 giugno 2012, Milano si anima di presenze festose,allegre e rumorose. Sin dal primissimo pomeriggio, tutti inmarcia, in cammino, alla volta dell’Aeroporto di Bresso, meta

dell’incontro. Su autobus strapieni, traboccanti di persone, che si scam-biano informazioni, notizie dell’ultima ora, con le più disparate infles-sioni dialettali regionali e lingue straniere. Poi la lunga passeggiata, in un percorso composito: sull’asfalto, sul-l’erba, sullo sterrato, nel parco.Passeggini e zaini ovunque, bandiere ripiegate nei bus e sventolantinel tragitto pedonale: atmosfera da sagra popolare, festosa e rumo-rosa, pure nella stabile compostezza. Ed ai lati della strada, i volon-tari : accoglienti, gioiosi, incoraggianti. Con un sorriso ed una pre-mura per tutti e per ciascuno. Dirottavano con garbo, pressoché imper-cettibili nelle consegne ferree.Per delimitare le aree di accesso, si prendevano permano e, sempre sorridenti, indirizzavano i nuovi arri-vati nelle zone preordinate. Poi, improvviso, final-mente il traguardo!Immenso prato, ripartito in settori recintati, dotati dimega-schermi, puntati sull’enorme palco papale, coper-to dalla gigantesca tettoia, parzialmente decora-ta, come le vetrate di maestose, antiche cattedra-li. La folla si distribuiva ordinatamente, mentre sullaribalta si avvicendavano gli artisti ed i protagonistidi esperienze di vita, che offrivano le loro testimo-nianze.Una successione che coniuga lo schema dei con-certi rock, con le adunate mistiche.Tanti bambini, distratti dai giochi e dal pic-nic.La quasi totalità di quel popolo riunito, indossavamagliette con il logo del settimo Forum Mondiale

delle Famiglie,cui si mesco-lavano quelledel la ul t imaG.M.G. svolta-si ad Agosto2011 a Madrid,a conferma del-la presenza deiragazzi più gran-di, quelli che, disol i to, nonseguono mam-ma e papà.Il pomeriggiocaldo, ormaideclinante nel-la serata, sianimava all’im-provviso, dopola notizia del-l’imminente pas-saggio nella viacreata tra letransenne, delPapa, cherichiamava gen-te accalcatalungo i recinti.Un’attesa vana.

Il Papa sedeva già sul palco, arrivato non si sa da dove.Tuttavia, la commozione e l’entusiasmo esplodevano spontanei egenuini, subito trasformati in silenziosa attenzione per le parole delSanto Padre. Poche, per la verità.Subito seguite dagli incontri con le famiglie che si avvicendavano sul-la scena, per proporre i dilemmi, le insicurezze, le contraddizioni, idubbi che attagliano. Teneramente commovente l’esordio della bam-bina orientale che sollecitava al Pontefice i Suoi ricordi di infanzia,forse per confrontare la propria famiglia con un’altra tanto lontana neltempo e nella geografia della Baviera.Il Santo Padre evocava, così, le immagini di un bambino sereno inun contesto tranquillo dei dintorni di Salisburgo, dove la mamma edil papà restavano le figure di riferimento, capaci di dispensare sicu-rezza e sostegno a tutti i loro figli.Fugace il cenno all’amore per la musica, coltivata nella quotidianitàdella casa anche attraverso studi puntuali.

Di grande attesa, la risposta di Benedetto XVI alleistanze di una famiglia, preoccupata per le unioni,nate dopo il fallimento di un matrimonio. Il Papa rece-piva la grande sofferenza di chi vive quella condi-zione, assicurando la Sua vicinanza alle coppie for-zosamente lontane dalla Eucarestia.Quello stato di dolore appartiene a tutta la Chiesa,

chiamata a farsene carico, attraverso il sostegno, l’ac-coglienza e la carità verso questi figli tormentati. Il Pontefice, impartita la solenne benedizione a tut-ti gli astanti, lasciava poi il Convegno, seguito dal-lo sciame degli intervenuti, mentre ancora sulla radu-ra risuonavano le note degli artisti che concludeva-no la serata. Ancora una volta, il riemergere dei volon-tari che accompagnavano, anche fisicamente, i pas-si dei pellegrini, ansiosi di tornare al proprio allog-gio, per tentare un breve riposo prima del succes-sivo, fondamentale, ultimo abbraccio assemblearenel settimo forum mondiale delle famiglie.

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1919Luglio - Agosto Luglio - Agosto 20122012

P. Vincenzo Molinaro

II l 7° incontro mondiale delle famiglie si èsvolto a Milano dal 30 maggio al 3 giugno2012, ma non è difficile comprendere che

vi sia stata una lunga preparazione, estesa atutti i livelli. Noi con la nostra partecipazione aitre giorni finali abbiamo potuto solo vedere i fuo-chi artificiali, e sono stati bellissimi, ma l’essenzialenon si brucia in poche ore. Anche gli incontri conil Santo Padre, sia quelli riservati alla diocesi diMilano, sia quelli di portata mondiale, costitui-scono come sempre la punta dell’iceberg. Ciòvuol dire che bisogna guardare sotto, dentro all’e-vento.

La famiglia e la crisiI due elementi si intrecciano, non si sa se la cri-si sorge adesso e attacca la famiglia, oppurela famiglia con la sua crisi ne genera una appun-to di portata mondiale. Certo quando l’incontroè stato indetto, era difficile prevedere una crisifinanziaria e sociale così devastante.In effetti, la crisi della famiglia, con la confusionedei ruoli, con il rifiuto ol’incapacità di assumer-si impegni durevoli, oggisi somma alla crisi eco-nomica e gli effetti potreb-bero essere ancora peg-giori. Quando manca illavoro, infatti, le perso-ne si sentono a rischio,sono costrette a sacrifi-ci cui non sono abitua-te, intanto proprio ilmondo del lavoro e del-l’impresa cerca altrestrade, delocalizza, nonsi pone davanti gli aspet-ti sociali.Questi rischiano diabbattersi tutti sulla fami-glia. Essa già assorbe illavoro nero, quello mal-pagato, quello insicuro,quello a tempo determinatoe via dicendo.

La crisi e il VangeloLa Chiesa, e il Vangelo, hanno una parola perquesta situazione? Una parola che non sia sem-plicemente consolatoria? Su che cosa, su qua-li speranze si invitano le persone a un incontrocosì imponente? Cosa si può aspettare la Chiesada una moltitudine acclamante? Quali strumentiha la chiesa per far girare il messaggio, anchenella incertezza odierna?Non sono in grado didare risposte esaustive e anche la partecipa-zione all’Incontro è stata tanto limitata che nonè davvero il caso si sintetizzare. Per questo biso-gna andare alla stampa specializzata. Due osser-vazioni.

I tempi dell’approfondimentoNon bisogna guardare all’evento solo con gli occhidella TV. Essa deve informare quanto basta, dan-

do le notizie sulla base degliinteressi degli ascoltatori(audience).L’incontro invece, ha avuto tem-pi di ascolto e di riflessione deci-samente impegnativi. I temi sonostati affrontati da tanti esper-ti, teologi, sociologi, impresa-ri, vescovi non solo nel corsodella ultima settimana. Mesi eanni di riflessione, di studio, diindagini, di confronti.Il pensiero come il semecomincia a germinare e por-terà frutto, non fosse altro perla sete di verità che ne ha una gran parte delmondo del lavoro. Ecco il nostro ruolo, di dio-cesi, parrocchie, animatori di gruppi parrocchiali,di esperti a ogni livello: fare conoscere il pen-siero che sottosta al Forum mondiale non solodal punto di vista teologico, ma socio-politico,le sue ricadute nel mondo dell’occupazione. Leresponsabilità degli impresari che si dichiara-no cristiani…

L’accoglienza è il primo messaggio: di speranzaL’accoglienza come stile non si inventa a Milano2012. E’ stata inventata e brevettata secoli fae non solo a Milano. Certo è che Milano 2012ne ha dato una interpretazione moderna e vita-le, secondo lo stile e l’efficienza di questa chie-sa. La parrocchia che ci ha ospitato è stata unadelle tante coinvolte. La segretaria, aveva avu-to l’incarico di seguire tutti i pellegrini fin dal mesedi gennaio. Ci ha accompagnati, al termine, aprendere l’autostrada, domenica 3 giugno alleore 16.00. Nella veglia di preghiera, organizzatail venerdì sera, c’erano tutti gli altri partecipantiprovenienti da vari paesi. La chiesa di tutto il mondo, attenta alla condi-zione della famiglia d’oggi, era lì. Con le sue doman-de, le sue incertezze e la sua fede. Davanti

all’Eucaristia.

Il tema: Famiglia, lavoro, festaDavvero non si può sintetiz-zare il tema sviluppato non tan-to negli ultimi giorni, quanto nel-le varie diocesi per mesi inte-ri e poi nel Forum della ulti-ma settimana milanese. Ma lasciando da parte quel-lo che è stato fatto, sarebbeil caso di guardare avanti a quan-to si potrà fare. A come la fami-glia potrebbe entrare di dirit-to nei nostri progetti pastora-

li, rileggendo, approfondendo gli studi, ma uti-lizzando tutti gli strumenti. La musica, il cine-ma, i dibattiti su libri da presentare, pellegrinaggi.Organizzare tavole rotonde, conferenze con per-sone di valore riconosciuto. Affrontare di voltain volta gli aspetti emergenti nel nostro ambien-te. Fare uscire dall’isolamento e dall’egoismole famiglie alla ricerca di un benessere la cui man-canza sembra il tradimento dello stereotipo di

famiglia. Aprirsi alle realtà nuove del lavoro, allesue esigenze, a volte alla sua ferocia. Quanti autisti di pulman di linea la domenica ven-gono a messa? Quanti di loro pensano di esser-vi invitati? Quanti infermieri, dopo il turno, cer-cano il contatto diretto con l’Eucaristia. E tutti iprecari dei supermercati, con stipendi ridotti el’incertezza del rinnovo a ogni scadenza. Non sono forse i volti nuovi del lavoro che cer-cano il confronto con la Parola e la Chiesa? Edecco la festa.E’ una riscoperta davvero preziosa se la festasi incammina verso una più profonda comunione,dove i valori religiosi si intrecciano con quelli uma-ni della familiarità e del prendersi cura, della vici-nanza, della parentela, dell’amicizia e della soli-darietà e della ospitalità. Il presente è tutto pernoi, in un orizzonte senza confini.

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2020 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Antonella e Milena* .

CC ome Chiesa locale ci siamo trovati dueanni fa ad elaborare un percorso cate-chistico rispondente ad una realtà che

andava incontro ad ungrande cambiamen-to. Superate le prime(EnORmI!) difficoltà,in quattro ci siamo riuni-te, in media una vol-ta ogni quindici gior-ni, insieme a donAngelo Prioreschi,per delineare le prin-cipali linee guida di unprogramma, il piùinerente possibile alleesigenze del territo-rio e ai suggerimen-ti del DocumentoBase. Questo prima anco-ra che cominciasse-ro gli incontri con i grup-pi di catechesi e con-tinuando, nel corso del-l’anno, quando ognicatechista conosce-va singolarmente ogni membro del gruppo. Incontriche sono stati l’ancora di salvezza per le cate-chiste inesperte e attimi preziosi di confrontoe autovalutazione per chi aveva già esperien-za alle spalle.Non è stato semplice stabilire la struttura delpercorso. Una cosa però era chiara a tutti: il cate-chista è TESTIMONEdel Cristo Risorto e nonmaestro o babysitter!Noi non possiamoinsegnare nulla, pos-siamo “solo” testimo-niare la nostra fede inCristo e vivere secon-do il Vangelo.È a partire da questaconsapevolezza esoprattutto dal nostroentusiasmo che cisiamo mosse.Intanto, forti di un’e-sperienza che avevaavuto successo anniaddietro, abbiamoripreso le attività del“Gruppo Arcobaleno”nato con l’intento di coin-volgere i giovani cre-simati, le famiglie dei

bambini e di autofinanziare le attività cateche-tiche e ricreative della comunità. Attraverso vendite di manufatti (realizzati dai cre-simati), gare di dolci, riffe… abbiamo “raccimolato”fondi per diverse attività (i campi all’Acero, la

festa della Riconciliazione, l’acquisto di Bibbiee libri da regalare ai bambini di prima comunionee cresima, feste di carnevale…) e rese parte-cipi le famiglie della vita “catechetica” dei lorofigli e nipoti. Certo non tutti hanno partecipato, ma abbiamoavuto una buona risposta e questi successi sono

l’unico e il maggior guadagno di noi catechisti!Altra grande consapevolezza è che non bastapiù insegnare la dottrina, non si può dare perscontato che davanti a noi ci siano cristiani, bam-bini che conoscano già Gesù, men che meno

le preghiere! Avendo dovuto “rico-minciare” tutto da capoabbiamo concentrato inostri sforzi, cercandoovviamente di non tra-scurare nessuno, sul bien-nio di preparazione allaRiconcil iazione eall’Eucarestia. I bambini iniziano illoro cammino in pre-parazione di questisacramenti dalla classeIII elementare e, pur-troppo, nella loro scuo-la. La nostra piccola chie-sa infatti, non ha loca-li da destinare agliincontri e si appoggia allascuola elementare“Pantano”. Ciò ovviamente crea giàuna certa difficoltà nel-

l’organizzare gli incontri secondo il motto checaratterizza tutta la nostra programmazione cate-chetica: “RCA” che non è la sigla di un’assicu-razione, ma vuole assicurare agli incontriRitmo-Coinvolgimento-Affettività.Per poter essere fedeli ai nostri tre principi ciavvaliamo di diversi sussidi “ufficiali”: la guida

Magnificat, i quaderni ope-rativi, Dossier Catechista,Catechisti Parrocchiali,sussidi audiovisivi e a vol-te, testimonianze diret-te, ma anche e soprat-tutto alla nostra creati-vità ideando giochi o situa-zioni aderenti alle aspet-tative di ogni singolo mem-bro del gruppo. Come è avvenuto, peresempio per l’organiz-zazione della “Festadella Riconciliazione”a cui i nostri bambini siavvicinano pochi mesiprima della Comunione.Anche quest’anno, vistal’ottima riuscita dell’ini-ziativa precedente, sia-

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mo andati in “trasferta” a Gavignano,ospiti della Parrocchia S. Maria Assunta. Francesca, la catechista del grup-po, negli incontri precedenti ave-va parlato ai bambini del sacra-mento della Riconciliazione sot-tolineando che questo sacra-mento non è una sorta di tribuna-le dove imputare una pena da scon-tare a fronte di una colpa, non è un perdo-no, ma la “cancellazione” del peccato. Ha presentato ai bambini un Dio Padre, ha sot-tolineato come per Gesù, il peccato di cui ci simacchia, non esiste proprio più dopo la con-fessione. Proprio per questo nella Riconciliazionesi chiede di “recuperare” allamancanza e,certamente siesorta a nonricadere nellostesso pecca-to, ma nello stes-so tempo si sot-tolinea l’amore diDio Padre checrea un cuorepuro.“Cancella le miecolpe e crea inme un cuorepuro”. (Sal 50)A supporto diquesto ha fattorealizzare ai bam-bini un cuorecon il das con scritto il nome di ciascuno. La mattina della “festa” ci siamo dati appunta-mento davanti la nostra chiesa per raggiunge-re insieme Gavignano, avendo cura di far nasce-re nei bambini curiosità e attesa aiutandoci contutti i pacchi e pacchetti e con un dado gigan-te le cui facce presentavano, “una pecora smar-rita”, “una pecorella buona”, “fioretto”, “quiz”, “Vangelo”e “chi dorme non prende pesci”…Appena arrivati abbiamo visto insieme un car-tone animato sulla parabola di Lc 15 - 4,7 “accen-dendo i riflettori” sul Padre Misericordioso e sul-la Pecorella Smarrita invitando i bambini ad espri-mere le loro opinioni verso queste due figure.Avevamo preparato, per seguire, diverse atti-vità da proporre a secondo della “piega” che avreb-be preso la conversazione. I bambini si sono fermati molto sull’insistentebelato della pecora quando si vedeva minac-ciata dal lupo e su come il pastore era stato faci-litato nel ritrovamento grazie a questo, quindi,dalle borse magiche, sono uscite tante peco-relle di cartone da colorare, ritagliare e corre-dare di una preghiera. La nostra preghiera poteva essere come il bela-to della pecora e permettere a Gesù di ritrovarciprima, anche se lui ci avrebbe trovato lo stes-so perché ha inserito in noi un cip speciale chegli permette di raggiungerci sempre!

Il nostro cuore. Dopo aver fatto una breve colazione all’a-

perto abbiamo proseguito con il gio-co speciale che vedeva protagoni-sta il nostro grande dado. Si tratta di una specie di gioco del-l’oca direzionato ad un esame di

coscienza. Ogni faccia prevedeva una domanda

da porre al concorrente di turno che glipermetteva di avanzare o di restare fermo (chi

dorme non prende pesci), di retrocedere ( la peco-ra smarrita) di avanzare più o meno velocementecon un fioretto o con un’ opera buona (la peco-ra buona)… ecc.I bambini si sono mostrati molto entusiasti del-

l’attività e ciò ha permessoa noi catechisti di rag-giungere l’obiettivo pre-fissato: avviarli all’esamedi coscienza; fatto ingruppo dopo il gioco. La faccia del dado che pre-vedeva la carta “quiz” vede-va l’entrata in gioco di unaiutante che abbiamoidentificato con la “guidaspirituale-catechista-geni-tore…” che poteva aiutarlinella riflessione.Dopo pranzo siamo sce-si al Santuario dove i bam-bini sono stati coinvolti inun altro gioco: dovevanoricostruire la frase di unpasso del salmo 50 cheloro, ovviamente, nonconoscevano.Fatto ciò gli abbiamolasciato un po’ di tempoper preparare la loro con-fessione. È stato bellissimo viverela loro emozione e per mol-ti commozione, quando,

dopo essersi riconciliati hanno indossato il cuo-re che loro avevano fatto, segno della ritrova-ta purezza, e la fascia con la scritta “Sono ami-co di Gesù”. Lo stesso cuore lo hanno presentato al momen-to dell’accoglienza il giorno dellaPrima Comunionee poi offerto con gli altri doni, a simboleggiarel’affidamento del loro cuore al Signore. La giornata si è conclusa con la Santa Messa.Sulla scia delle attività proposte, la catechistaha continuato il suo percorso per accompagnarei bambini all’appuntamento Eucaristico ponen-do l’accento sull’importanza dell’incontro-pre-ghiera e di come attraverso l’Eucarestia e la pre-ghiera stessa si può raggiungere il pieno con-nubio con Gesù.Il giorno precedente alla prima comunione i bam-bini hanno ripetuto l’esperienza della Riconciliazionee subito dopo hanno scritto un loro pensiero (segre-tissimo!!!) affidato simbolicamente ad unamongolfiera lanciata al cielo dopo l’incontro verocon Gesù, Padre, Maestro ed Amico.

*Catechiste di San Giuseppe e Vitaliano papa

Segni- Pantano

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Mons. Franco Risi

“Educare alla vita buona del Vangelo” sono gli orientamenti che i vesco-vi italiani hanno pensato per il decennio a venire fino al 2020. L’evangelizzazioneè un’azione che implica l’annuncio del Vangelo che può diventare unfatto educativo; ma essa non può in nessuna maniera essere sganciatadall’esperienza della preghiera.Per cercare di progredire in questa direzione, riguardante la preghierapersonale e comunitaria, dobbiamo riscoprire tutta una serie di azioniquotidiane che forse oggi tendono a scomparire, a causa del consoli-darsi di una società che fa sempre più a meno di Dio. Rivolgiamo per primo uno sguardo sulla società attuale e su chi ci puòeducare e guidare per ritrovare un rinnovato rapporto personale e comu-nitario con Dio. Comprendere queste due caratteristiche, ci facilita loscopo dell’evangelizzazione che è capace di condurci più facilmente aincontrare Gesù via, verità e vita e saperlo testimoniare agli altri.In questa prospettiva possiamo capire che l’evangelizzazione, se è soste-nuta dalla preghiera personale e poi da quella comunitaria, certamen-te creerà situazioni di vita, capaci di accogliere il progetto salvifico diDio Padre per l’intera umanità, com’è avvenuto per Gesù e Maria Santissima.Oggi avvertiamo subito che la fede non è più qualcosa che accomunatutti, perché essa è lontana dalla nostra cultura moderna. Possiamo quin-di dire che sempre più si diventa cristiani per scelta e per propria con-vinzione personale.

Da qui si comprende che la società intera fino a pochi anni fa, facilita-va la nostra scelta di fede cristiana.Oggi chi giunge alla fede si scon-tra con una mentalità anti-ecclesiale e delle volte notevolmente anti-cristiana, poiché ha voluto tagliare i ponti con la Parola di Dio, con lapresenza reale di Gesù nell’Eucarestia e anche con la Chiesa. Senza voler molto fermarmi sugli aspetti negativi del vivere di oggi, invi-terei a riflettere, con la propria coscienza, se le scelte che facciamo tut-ti i giorni sono sempre in linea col Vangelo di Cristo, vero Salvatore,datore di bene e ordine di vita. Certamente le notizie di questi ultimianni, riportate dagli organi d’informazione, riguardanti il diminuire di matri-moni in Chiesa, oppure il fallimento della promessa di amore recipro-co dato solennemente davanti a Dio e alla comunità, per non parlaredi tutti i sacerdoti che non sono rimasti fedeli alle promesse fatte nelgiorno dell’ordinazione sacerdotale; a tutti coloro che si sono allonta-nati da Dio e non vivono più secondo il Vangelo: queste notizie non ciaiutano a guardare l’orizzonte salvifico di Cristo.Nonostante questi nostri comportamenti negativi, nei quali tutti corria-mo il rischio di smarrirci, tuttavia non possiamo dimenticare che Dio ciama e ci aspetta per ridarci il suo perdono e ridonarci la sua amicizia.San Paolo può orientare i nostri sentimenti che dobbiamo tenere peruna vera relazione con Dio: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché,né chi pianta, né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio che fa cresce-re. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceveràla propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collabo-ratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio” (1Cor 3, 6-9).L’apostolo ci dice che da soli non possiamo fare nulla, non ci illudia-mo, perché è Dio che agisce e feconda ogni nostra azione. La preghieraè fondamentale in questo discorso perché esprime proprio il desideriodi appartenere a Dio e di riconoscere nella nostra vita che abbiamo biso-gno di Lui per ogni cosa. Per molti la preghiera consiste nel ripetere formule su formule, comedelle filastrocche che ormai non si capiscono più o magari dette conmolta superficialità. Con questa modalità non si da la forza di educar-ci all’ascolto della voce di Dio; si corre il rischio di far parlare se stes-si, di crearsi una religione personalistica e autonoma da ogni moralitàsganciata dalla Comunità. Perciò è necessario ritornare alla vera pre-ghiera che ci porta ad ascoltare Gesù che ci parla mediante la sua Parolae mediante la sua presenza reale nell’Eucarestia, che sono le stradesicure per farci incontrare e dire tutto il nostro amore a Dio e al pros-simo. La santa messa domenicale a volte vissuta come un semplicerito, deve trovare uno spazio vitale di partecipazione fatta con fede, cherende capaci di rinnovare la nostra vita personale per poi viverla nelquotidiano come prolungamento di essa, giacché facciamo prevalereil comando di Gesù: “amatevi gli uni gli altri”. Questo ci fa comprendere che se viviamo in noi stessi e con noi stes-si la preghiera, saremo capaci di realizzare in armonia e in unione congli altri una società più giusta. A questo punto ci possiamo chiedere:chi ci può aiutare alla vita di preghiera? La risposta a questa doman-da è che la Chiesa voluta da Gesù, per continuare la sua missione nelmondo, ha in se tutte le capacità di aiutare e di far progredire le per-sone ad attuare nella propria vita un rapporto personale con il Signore.Tutti coloro che nella Chiesa evangelizzano: sacerdoti, religiosi, religiose,catechisti, genitori e insegnati di religione ecc, in fin dei conti tutti i bat-tezzati, sono chiamati ad educare. Affinché questa loro azione porti frutto, non possono fare a meno di pre-gare. Purtroppo non bisogna mai, in particolare oggi, dimenticare chemolti confondono la preghiera con il modo di farla. Spesso quando siparla di preghiera ritorniamo al nostro mondo infantile, pensiamo peresempio all’abitudine inculcataci dai genitori di recitare la preghiera pri-ma di andare a letto; questa buona abitudine però non è cresciuta connoi, è rimasta infantile, perché in merito, non siamo stati capaci di farenessun progresso in tal proposito. È chiaro che questo dato di fatto porta molti a non interessarsi alla pre-ghiera personale tanto più a quella comunitaria. Basta vedere come è

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diminuita la frequenza delle persone cristiane alla Santa Messa dome-nicale. I genitori che pensano così, con questo comportamento fannocapire ai loro figli che la preghiera è fatta solo per loro, che è roba daragazzi. Questi traggono le conseguenze: fatta la prima comunione ela cresima abbandonano tutto e lasciano la Chiesa, che è maestra nel-l’educazione alla vita di preghiera. Come un bambino piccolo, che si nutre con cibi adatti alla sua età epoi viene educato dai genitori progressivamente ai cibi più sostanzio-si, così è per la vita di preghiera, un cammino progressivo di nutrimentospirituale adeguato alla propria maturità. La Chiesa ci insegna che loSpirito Santo è l’Autore e il Maestro delle preghiera; è Lui che rinnovala nostra esistenza cristiana; è Lui che ci fa accogliere Gesù nella SantaComunione, perché solo il Cristo può ricondurci al Padre.

Tutto questo non è un’utopia o una fantasia o qualcosa di irreale, madovremmo capire che è il viaggio più bello e affascinante per dare allapreghiera senso e significato vero per testimoniare e vivere secondo ilVangelo qui in terra e in prospettiva della vita celeste.Questa meta si può raggiungere solo se l’evangelizzazione è sostenutadalla preghiera; se non troviamo nella nostra vita il tempo da dedicar-le, ci allontaneremo sempre più da Dio e dal suo Vangelo, e vivremomettendoci noi al posto di Dio, costruendoci una vita che non avrà nes-sun fondamento morale umano e cristiano, in quanto faremo delle scel-te proporzionate alla nostra egoistica personalità. Sono certo che, anchese pochi, i cristiani, mediante la preghiera, con l’aiuto di Dio, riuscirannoad annunciare a tutti il Vangelo che ci rende capaci di realizzare “la civil-tà dell’amore” (Paolo VI) per il bene di tutti.

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PER SCEGLIERE… LA MISSIONE Sr. Apostoline Velletri

TestimonianzeNel numero di giugno siamo stati introdotti allavocazione missionaria che è «prima di tutto, entra-re in un dono gratuito che ci precede e ci sostie-ne, è essere segno dell’amore del Signore», comeci ricordava sr. Fernanda. In questo numero dia-mo la parola a chi vive in modo diretto e in modoindiretto la missione: la famiglia Sabetta, missio-nari laici del Movimento San Francesco Saverioche hanno vissuto per 7 anni in India, dove il MSFScollabora alla gestione di 2 case di accoglienzaper bambine a rischio di sfruttamento e PatriziaMoretti, mamma di Marco che da due anni si tro-va in Perù dove ha iniziato il seminario; a lei abbia-mo chiesto di raccontarci come ha vissuto la voca-zione del figlio. Entrambi fanno parte dell’Ufficiomissionario diocesano.

Che cosa significa per voi la missione?

Missione è dire di sì a Dio, partecipando alla suastessa missione d’amore. Dio, infatti, che per pri-mo ha mandato suo Figlio perché mostrasse all’u-manità il suo volto di Padre, continua a chieder-ci in Cristo di far parte del suo progetto d’amoreper tutte le donne e gli uomini del mondo. La mis-sione nasce, dunque, dall’incontro con Gesù, chenel Vangelo chiama i suoi a stare con lui, a vede-re e vivere alla sua sequela, per poi andare a mostra-re agli altri il suo amore. L’intimità con Gesù, lasua presenza che sostiene e consola, è ciò chespinge ad uscire da sé in forza di un amore piùgrande. La missione è anche una realtà dinami-ca, in continuo movimento: un andare, spinti dal-l’urgenza di mostrare l’amore di Dio ai lontani, perpoi tornare a raccontare delle meraviglie che il Signorecompie sempre nel cuore delle donne e degli uomi-ni incontrati nel cammino. Come è nata in voi questa decisione?Noi abbiamo vissuto la chiamata alla missione adgentes come un invito, prima personale, poi comefamiglia, ad uscire per andare ad incontrare,ed è proprio in questo modo che oggi, a distan-za di anni di cammino, amiamo definire la mis-sione. Sentivamo che la Buona Notizia di un Dioche ci amava nonostante i nostri limiti, che ci acco-glieva, che dava senso al nostro stare insieme

in comunità, perché “dovesono due o tre riuniti nelmio nome, io sono inmezzo a loro” (Mt 18,20),non potevamo tenerla pernoi. Era necessario con-dividerla con i vicini e i lon-tani, e lontani fino agli estremi confini della terra… A quel punto del nostro discernimento, fatto diascolto, preghiera e attesa, insieme ai fratelli dicomunità, non avremmo potuto dire di no all’in-vito di Dio senza tradire noi stessi. E dunque sia-mo partiti/usciti dalla nostra terra, dalle situazio-ni note e familiari, per andare/mandati verso postinuovi, ad incontrare e riconoscere Gesù negli altri,nei bambini e negli adulti, perché tutti ci ricono-scessimo figli nel Figlio.Che cosa ha portato nella vostra vita?La chiamata alla missione ha portato nellanostra vita il centuplo di cui parla Gesù nel Vangelo:non abbiamo lasciato nulla, come terra, casa, lavo-ro, parenti, amici, che non abbiamo ricevuto cen-tuplicato, insieme alle difficoltà, nei posti in cui sia-mo stati. Abbiamo vissuto ogni giorno con per-sone di diversa cultura e religione, e abbiamo cer-cato di superare le differenze nella certezza cheognuno di noi, proprio nella sua diversità, sia essen-ziale alla crescita dell’altro. Le nostre figlie ci han-no insegnato come l’amore e lo sguardo innocenteche i piccoli hanno siano capaci di annullare tut-te le differenze. Siamo grati a Dio per averci datoil dono della vocazione missionaria, che si è rive-lata come un viaggio interiore verso la sorgentedi tutte le cose.

Come hai vissuto la scelta di tuo figlio?

Sono la mamma di un ragazzo che ha scelto didiventare sacerdote. E’ stato alcuni mesi in mis-sione come volontario in Perù, in un villaggio incima alle Ande. I due anni di impegno sono diven-tati sei mesi per un ritorno precipitoso a casa, cau-sa un incidente. I figli sembra che ti appartenga-no per sempre: quando lo accogli e te lo porti den-tro nove mesi (che sembrano un’eternità!), quan-do lo raccogli in braccio appena affacciato al mon-do, quando lo tieni per mano per aiutarlo a com-piere i primi passi. Ma il taglio del cordone ombe-licale segna fisicamente che non è più tuo, mapuoi solo accompagnarlo, con tutto l’amore di unamadre, a compiere le scelte della vita.

Con poche sempliciparole:” Vorrei entrare inseminario, voglio diven-tare sacerdote. Capiscole difficoltà legate alla rinun-cia ad una propria fami-glia, a non avere figli pro-

pri, ma è troppo bello mettersi al servizio degli altri.”Con questo, nostro figlio ci ha comunicato qua-le scelta avesse maturato. I sentimenti che si sonoaffollati nella mente e nel cuore di noi genitori, sonostati contrastanti. Umanamente, io madre, mi sonosentita derubata di un figlio. Non sembravano ser-viti a molto anni di ritiri spirituali, esperienze in comu-nione con la propria comunità, preghiere e buo-ni sentimenti: mi sono sentita derubata di un figlio!Solo con il tempo sono riuscita a metabolizzareil fatto: ‘sto figlio era riuscito (e di questo mi sonosentita felice ed orgogliosa), grazie anche al cam-mino fatto insieme, a compere la scelta per suavita. E ancora in missione, in un paese povero elontano, in mezzo ai poveri, ha iniziato il suo per-corso verso il sacerdozio.Quale arricchimento avete ricevuto dalla suascelta? Prima di mettere nero su bianco alcuneriflessioni, mi è capitato di leggere un pensierodi suor Maria Pia Giudici, una salesiana della casadi preghiera di S. Biagio a Subiaco e l’ho trova-to perfettamente calzante per dare risposta alladomanda. Non si è inventato di fare l’apostolo.Lo è diventato perchè al centro del suo vivere c’èDio: e ciò che lo orienta è ormai solo la Sua volon-tà. Che annunzi una promessa di vita e non dimorte, di vita che dura e, dunque, di una salvezzache dà senso a tutto, anche alle fatiche dei nostrigiorni feriali. Per amore ha rinunciato a se stes-so.Per meglio comprendere perchè nostro figliofosse andato in missione in un paese lontano epovero (nel frattempo anche le altre due figli sonopartite in missione, seppure per un periodo piùbreve, in un paese povero e lontano!) mio mari-to ed io siamo partiti in missione in un paese pove-ro e lontano: ci rimaneva solo questo per cerca-re di capire. E abbiamo suscitato nei figli preoc-cupazioni di ogni tipo. E voi potete sentirvi preoc-cupati e noi no?L’esperienza, anche se di un solo mese, ha lascia-to il segno. Si riesce a dare una dimensione diver-sa a ciò che è importante e a ciò che lo è di menoe ad apprezzare meglio una quotidianità fatta diconvivenza e maggiore solidarietà.

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Fabricio Cellucci*

LL a Dei verbum dice “Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nelsuo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11;Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38) per invi-

tarli e ammetterli alla comunione con sé” (Cf. DV 2). Dio entra in rela-zione con l’uomo, parla con lui attraverso la sua Parola di vita nell’orache Lui ha scelto. Nel momento in cui Dio chiama l’uomo, non si com-porta mai allo stesso modo, ma la sua chiamata è sempre originale,unica, personale e personalizzata. Importante è vedere come si è relazionato per comprendere i vari modiche magari non saranno identici per noi, ma che sono segno signifi-cativo della sua presenza e della sua chiamata ad occupare il postoche fin dall’eternità è stato pensato per noi. Dio chiamò Abramo facen-do sentire la propria voce nell’intimo della coscienza del patriarca, men-tre questi era indaffarato nella città di Ur, che si presentava come uncrocevia commerciale molto attivo della bassa Mesopotamia; la “Voce”era imperativa: “Vattene dal tuo paese e dalla casa di tuo padre, ver-so il paese che io t’indicherò” (Gen12,1). Abramo restò affascinato dal-la Voce che gli rimbombava nel cuore e nella mente ed abbandonò lasicurezza della sua posizione economica e sociale, affrontando i rischidi una promessa di proporzioni così smisurate da sembrare irreale: “Faròdi te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diven-terai una benedizione… in te saranno benedette tutte le famiglie dellaterra” (Gen 12,2-3). Abramo non se lo fece ripetere due volte. Mosè stava pascolando il greg-ge di suo suocero Ietro, quando Dio gli “parlò” da un roveto ardente,prospettandogli una grandiosa impresa: liberare niente meno che unpopolo intero dalla schiavitù in Egitto, uno dei regni più potenti del tem-po e non c’è da meravigliarsi che Mosè si fosse spaventa-to a morte davanti a quella missione “impossibile”: ma,come aveva già fatto il suo antenato Abramo, egli obbe-dì, diventando il legislatore d’Israele (Es 3,1-21). Samuele,dormiente nel tempio, avvertì di notte una “Voce”che lo invitava a mettersi a disposizione del SignoreDio d’Israele per cambiare radicalmente la situa-zione religiosa e politica del suo popolo (1Sam3,1-21) e così egli divenne uno dei più gran-di profeti e uomini del Signore dell’interastoria del popolo eletto.Elia ricevette dal Signore l’invito di ritor-nare sui suoi passi (1Re 19,3-18) men-tre era in fuga dal re Acabe dalla perfida reginaGezabele, che lo voleva-no morto, perché il suo com-pito era quello di essereil paladino di Dio controle ingiustizie perpetrate dal-la casa regnante delRegno del Nord, Samaria.Il profeta s’aspettava unincontro maestoso e ter-rificante col Signore (il ven-to impetuoso, il terremo-to, il fuoco), ma la “Voce”del Signore si fece sen-tire nel mormorio di un ven-to leggero (1Re 19,12),un impalpabile soffioappena percettibile più dagliorecchi del cuore che daquelli che ornano latesta. Il Signore Dio sa

fare un gran rumore anche nel silenzio più assoluto, se l’uomo accet-ta di ascoltarlo, come insegna la storia di tanti santi del nostro tempoe di quello passato. Saulo di Tarso, invece, mentre si recava in quel diDamasco per perseguitare ed imprigionare, torturare e, forse, uccide-re gli odiati cristiani, fu travolto da una luce impetuosa e sbalzato di brut-to da cavallo, mentre una “Voce” potente rimproverava il focoso fari-seo, religiosissimo ed integerrimo osservante della Legge ebraica: “Saulo,Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9,1-4). La vocazione di altri grandi uomini è stata meno drammatica e clamo-rosa di quella di Paolo di Tarso. S. Antonio abate, fondatore del mona-chesimo occidentale, e personaggio caro alla religiosità della nostra cit-tà di Velletri, fu colpito da una pagina del Vangelo mentre stava casual-mente partecipando ad una celebrazione eucaristica. Il celebrante sta-va proclamando l’invito rivolto da Gesù ai suoi discepoli di vendere tut-ti i loro averi, darli ai poveri e seguirlo alla conquista di beni superiori.Detto, fatto e divenne padre e guida di molti santi padri della Chiesa.S. Ambrogio era il rappresentante legale dell’imperatore nell’Italia set-tentrionale ed era solo un catecumeno quando, intervenuto nella cat-tedrale del capoluogo per prevenire possibili disordini tra cattolici edariani, la voce di un bambino lo proclamò vescovo di Milano, cambiandoglila vita in modo radicale dall’oggi al domani. Per attirare a sé s. Agostino,uomo dall’intelligenza inquieta ed attratto più dai vizi che da una vitavirtuosa, Dio si servì delle lacrime e delle silenziose preghiere di s. Monica,la madre del futuro vescovo e grande Padre della Chiesa. S. Francescod’Assisi cominciò il suo cammino di conversione nelle buie ed umideprigioni di Perugia, dopo una sfortunata spedizione militare.Il crollo del suo sogno di diventare un cavaliere ammirato e ricco di glo-ria segnò l’inizio di una vita spesa nel totale dono di sé al Signore del-la storia e del mondo al punto che, chi lo incontrava, aveva l’inquie-

tante impressione di essersi imbattuto in Cristo stesso. S. Ignaziodi Loyola, un combattente nato, mentre era convalescente per i

postumi di una ferita da guerra, sentì montare dentro di sé ildesiderio di mettersi al servizio del grande Re del cielo leg-gendo un libro di biografie dei santi, capitatogli in mano perprovvidenza divina, avendo ormai esaurito la scorta dei librid’avventura di cui era avido lettore. Si potrebbe continuare

all’infinito, su questa falsariga,per raccontare la storia del-

la vocazione alla san-tità di tanti uomini e don-ne che, nel corso dellastoria antica o recente,hanno saputo ascolta-re la “Voce” talvoltacarezzevole e dolce, tal-volta imperiosa e anchedura, ma sempre amo-revole di Dio, che chia-ma e corregge coloro chesi rendono disponibili allachiamata. Dio chiamasempre, non smettemai di parlare al cuoreed alla mente degliuomini, ma non sempretrova menti e cuori dis-posti ad ascoltarlo ed adonargli il proprio uni-co ed irripetibile “Sì”.

*seminarista

Nell’immagine: Mosè si toglie i sandali

davanti al roveto ardente

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2525Luglio - Agosto Luglio - Agosto 20122012

SSe devo parlare della miavocazione come se fossestata un lampo di luce dal

cielo…devo dire che non è stato cosi.La mia vocazione è nata nel tem-po e in un cammino di conversio-ne e di fede fatto di sofferenze, maanche momenti di gioia, seguendoun percorso particolare, secondo lemie capacità, fatto di preghiera edesperienze spirituali nelle comuni-tà parrocchiali che ho frequentatodurante la mia conversione interiore. All’inizio, al ministero diaconale nonci pensavo per niente.Mi ricordo che quando vivevo a Romacominciai i primi passi nella parrocchiadi San Filippo Neri alla Pineta Sacchetti,con le prime confessioni e S.Messa; per me era una grazia diDio, per un ragazzo che veniva dal-la strada… Poi un giorno conobbimia moglie Sandra e la mia vita sitrasformò ancora in meglio, perchéSandra mi dava coraggio e un idea-le matrimoniale da seguire. Quando da Roma venni ad abita-re in Colleferro, in un primo momen-to frequentai la parrocchia deiFrati Minori col gruppo dei TerziariFrancescani ed in seguito, dopo un cammino di formazione, entrai nel-la fraternità come terziario francescano. Cambiando casa cominciai afrequentare la comunità di San Bruno quando ancora la s. messa si cele-brava nei locali adiacenti perché la Chiesa non era ancora costruita. In questa comunità crebbe non solo la costruzione della Chiesa ma anchela mia fede e la comunità dei fedeli, seguita dal parroco don Franco Fagiolo. Proprio in quella parrocchia nel 1998 maturai la prima chiamata a ser-vire il Signore come lettore e ministrante, con l’aiuto del parroco, e inparticolar modo del vice parroco don Marco Fiore: questo giovane sacer-dote riuscì a farmi capire l’importanza del servizio all’altare.In seguito per spirito di servizio cominciai a frequentare la Chiesa di S.Barbara sempre in Colleferro, ed il parroco don Luciano Lepore mi pre-se con se per servire quella comunità, nel servizio all’altare, come mini-stro straordinario dell’Eucaristia, aiutandolo nella S.Messa e nel porta-re la comunione agli ammalati, finchè un giorno, mentre parlavo con lui,sentii parlare una seconda volta del diaconato permanente, (qualcheanno addietro, la prima volta me ne parlò Mons Loppa quando ancoraera parroco in s. Maria degli Angeli in Segni). In quel tempo svolgevo il mio lavoro come commerciante ambulante nel

mercato di Segni, dovetutte le volte, prima dellavoro, partecipavo allaMessa delle 7,30. Don Luciano, mi parlòancora varie volte del dia-conato e mi spiegò l’im-portanza di un camminoda compiere con impe-gno per intraprendere lastrada di questo ministero.

Da uno scarso interesse iniziale,qualcosa però nacque nel mio cuo-re in seguito. Con l’aiuto della preghiera hoinvocato lo Spirito di Gesù per esse-re aiutato a discernere e a capire,per comprendere se veramente quel-la era la mia vocazione, la mia chia-mata a servire Dio nella suaChiesa. Cosi incominciai su con-siglio di don Luciano un camminodi studio, frequentando la scuoladi teologia Mons. Giuseppe Centrain Velletri per due anni e succes-sivamente altri due al collegio Leonianoin Anagni come studente esterno,secondo le mie possibilità. Nel frattempo seguivo anche un cor-so di teologia Biblica parrocchia-le con don Luciano che durò tre anni.Durante questo cammino ricevet-ti dal vescovo diocesano Mons. Erbai primi ministeri, il lettorato e l’ac-colitato, e, infine fui ordinato dia-cono nella Chiesa di S. Barbara il05 ottobre 2003. Mia moglie Sandra ed io ringraziamoil Signore per questo dono che oltread essere dono di servizio per lacomunità umana e cristiana è unulteriore sostegno per la nostra fami-glia nei momenti di difficoltà e inquelli di gioia.

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Mons. Franco Fagiolo*

LLe presenti indicazioni sono valide tenuto conto di quello che èstato scritto su Ecclesia nei mesi di maggio e giugno scorsi.Senza aver letto i precedenti articoli, la presente proposta non

può essere compresa appieno. E poi, cosa molto importante, non sonoprescrizioni assolute, ma indicazioni, suggerimenti, che ci aiutano a sce-gliere anche in modo diverso, ma tenendo presente il valore e il signi-ficato di quello che si sta compiendo. Nulla vieta di inserire brani di altri autori o canti che fanno parte del reper-torio locale, purchè in linea con quantodetto prima. Per essere precisi, le indi-cazioni che vengono date sono tratte dalRepertorio Nazionale dei Canti per la Liturgiadella Conferenza Episcopale Italiana.

Canto di ingresso.Celeste Gerusalemme (316)testo di A. Burzonimelodia tradizionale bretone.Nella sera della vita (333)testo di Anonimomusica di A. Martorell.Io credo in te Signore (326)testo e musica di D. Machetta.

Ultimo a Dio (340)testo D. Rimaud, E. Costa musica di L.LasagnaL’anima mia ha sete (330)testo tratto dal salmo 41, musica di D. Stefani e J. Gelineau.

Per i canti d’offertorio e di comunione, sipossono usare i canti abituali, conosciutidall’assemblea, quelli che di volta in vol-ta si ritiene più opportuno. In alcune cir-costanze, all’offertorio è bene che tuttal’assemblea partecipi con la risposta:

“Benedetto nei secoli ilSignore”, senza cantare. Si abbia cura di eseguire incanto, sempre, le acclama-zioni, almeno il canto al Vangeloe il Santo.

Il canto di commiato.

Il rito viene introdotto dallamonizione del sacerdote.Dopo qualche istante disilenzio, ha inizio il canto di commiato, duranteil quale si compie l’aspersionee l’incensazione del corpo;l’una e l’altra, però si possonosvolgere anche dopo il can-to (cfr Rito delle Esequie). Il canto di commiato, parti-colarmente raccomandatodal Rito, deve essere un can-to che si presti, per i ltesto e la melodia, a esse-re eseguito da tutti (cfrPremesse Generali del Ritodelle Esequie).Dal Repertorio Nazionale

possiamo attingere:Io credo: risorgerò (328), testo e musica di G. Stefani; è diventato un classico.In Paradiso (324), il testo è tratto dal salmo134, la melodia è di G. Golin.Nella sera della vita (333), testo di Anonimo,musica di A. Martorell.

Prima di concludere, è d’obbligo tenere presente le melodie che sonoriportate nel Rito delle Esequie: Salmi,Responsori, Antifone, Canti latini, SalmiResponsoriali.È necessario tenere presenti tutti questi bra-ni riportati nel Rito delle esequie: sono i can-ti della Chiesa, (e scusate se è poco!), chepossono essere eseguiti, all’occorrenza, neidiversi momenti della celebrazione. Alcunipossono essere dei veri e propri canti fina-li.A parte i Canti latini in gregoriano, tutti glialtri sono stati composti per l’occasione daun gruppo di compositori di musica per laLiturgia, e non viene riportato l’autore deisingoli brani, quasi a significare il lavoro digruppo che è stato fatto per mettere a dis-posizione del popolo di Dio canti con i testitratti dalla Liturgia e dalla Parola di Dio, conmelodie dignitose e nobili, facili e sempli-ci, sempre accessibili a tutti per favorire lapreghiera e la partecipazione alle celebra-zioni esequiali.

* Responsabile Diocesano del Canto per la Liturgia

[email protected]

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Claudio Capretti

“A cosa devo che la madre del mio Signore

venga presso di me”? (Lc 1,43)

OOggi più che mai, le parole che Elisabettapronunciò alla vista della VergineMaria accorsa ad aiutarla, risuonano

con forza in questo luogo. Sono parole colmedi stupore, di gioia, parole che nascendo dal cuo-re, attraversano l’anima per depositarsi sulla boc-ca ed essere proclamate.Maria, come ricordava il nostro vescovo nella suaomelia, è sempre presente in ogni celebrazio-ne eucaristica e ci precede nella peregrinazio-ne della fede in quanto Madre della Chiesa, maquesta visita è un chiaro segno di benevolenzaper ciascuno di noi. Oggi la statua della Madonna Pellegrina di Fatimaha varcato le soglie della Casa Circondariale diVelletri. Ogni cancello si è spalancato dinnanzia Lei, le sbarre non le impediscono di visitare isuoi figli. Oggi più che mai, Maria si mostra anoi come realmente è: madre dei carcerati e madredi tutti coloro che ricorrono a Lei. Il carcere, non sempre è un luogo di sola deten-zione, il più delle volte esso è occasione di revi-sione della propria vita, spunto per gettare le basiper ricostruire ciò che il male ha distrutto. Quindiil carcere è luogo in cui, se lo si desidera, si puòrientrare in se stessi. Paradossalmente può divenire tempo propizio

in cui, come la parabola del figliol prodigo, chiha abbandonato la casa del Padre e perso sestesso, possa rincamminarsi verso il Padre mise-ricordioso, con la certezza di essere accolti daLui. Sant’Agostino diceva che siamo fatti per Lui,che il nostro cuore trova pace solo tra le Suemani, a Lui, come rispose l’arcangelo Gabrielealla Vergine Maria: “Nulla è impossibile” (Lc1,37). Oggi la Regina della pace, viene in mez-zo a noi, passa per dare sollievo e ridare spe-ranza a chi l’ha perduta, per fasciare i cuori feri-ti da scelte sbagliate, Ella passa per farci pas-sare a ciò che non passa, a Dio Padre che ciama con un cuore di Madre .Viene a visitarci, a dire ad ognuno di noi quan-to sia grande l’amore che Dio ha per tutti i suoifigli, e nessuno è escluso da questo amore. Oggiil Rifugio dei peccatori e Madre della Chiesa, pas-sa in mezzo a noi cercando un cuore che accol-ga il suo amatissimo Figlio Gesù Cristo, un cuo-

re che sia come la grotta di Betlemme, forse fred-da o sporca, come a volte può essere il nostrocuore, ma ciò che conta è che sia vuota da ognipretesa da ogni orgoglio, che ci sia spazio peraccogliere il Salvatore dell’umanità. Dinnanzi aquesto evento, il nostro cuore deve entrare nel-la dimensione della preghiera, dello stupore edell’accoglienza.Lei, più di ognuno di noi, sa quan-to abbiamo bisogno di accoglie-re Cristo, lei più di noi sa comesia importante ritornare a Lui tra-mite Lei, perché così deve esse-re una vera devozione mariana,Cristocentrica, come è anchevero che:“ Non possiamo dirci cristia-ni senza essere mariani”(Paolo VI). Ma cosa viene dir-ci la Vergine Maria? Essa viene a dirci esattamenteciò che disse ai servitori durantele nozze di Cana: “Fate quelloche Lui vi dirà” (Gv 2,5), cioè acco-gliete la Sua Parola, fatela diven-tare carne nella vostra vita, affin-ché la vostra gioia sia piena, e ci proietti a ciòa cui siamo destinati, all’eternità.Viene a dirci: coraggio non temere, tu oggi haitrovato grazia presso Dio, con te il Signore vuo-le fare grandi cose, confida in Lui, affidati a Luitramite il mio Cuore Immacolato. Tutto può rico-struirsi, poiché Dio non mette “toppe” alla nostravita, Egli passa per fare nuove tutte le cose.Maria passa in mezzo a noi, lei che è ricchez-za delle nostre miserie e fortezza delle nostredebolezze, viene per risvegliare il nostro cuoreassopito. Ecco allora come la portata di questoevento ha una profondità molto più vasta di quel-lo che noi stessi possiamo immaginare. La sua visita è stata preceduta da una prepa-razione spirituale guidata dal cappellano don FrancoDiamante, che, aiutato dai catechisti, dai volon-tari e dai seminaristi Orionini, hanno prepara-to i detenuti a vivere intensamente questo momen-

to di grazia. Fondamentale è stato il sostegno da parte di tut-to il personale dell’amministrazione, della PoliziaPenitenziaria, e in modo particolare dalla diret-trice del penitenziario la dott.ssa Maria DonataIannantuono, affinché l’evento riuscisse nel miglio-re dei modi. Prima che la sacra immagine var-casse le soglie dell’istituto penitenziario, nella pri-

ma mattinata ha visitato il mona-stero di clausura “Madonna del-le Grazie” a Velletri. Intenso è stato il momento di pre-ghiera con le suore, che vivonoanch’esse come recluse peramore a Dio e alla Chiesa. Già da molto tempo ogni giornole suore pregano per i detenutie per tutto il personale della CasaCircondariale, era quindi oppor-tuno che condividessimo con loroquesto momento di grazia. Subito dopo la statua è stata accol-ta presso l’istituto penitenziario,dove dopo la liturgia di accoglienzaè stata portata in processione all’in-terno del carcere. Tra canti di gioia

la sacra immagine è stata accolta dai detenuti,la santa Eucaristia celebrata da mons. VincenzoApicella vescovo di Velletri-Segni, ha resoancor più solenne questo momento. Le preghieresono salite al cielo, sicuramente molti cuori sisono lasciati toccare dalla Madre celeste. Al termine delle liturgie svolte nell’area detenti-va, la sacra statua è stata portata in processio-ne all’esterno dove è stata celebrata la santaEucaristia presieduta dal nostro vescovo alla pre-senza di tutto il personale dell’amministrazionecarceraria, dei loro familiari, di tutti i volontari edei catechisti. Un vento di Grazia è passato sulle nostre ani-me, una dolcezza si è posata sui nostri cuori econ commozione anche noi, come Elisabetta pos-siamo proclamare:“A cosa devo che la madredel mio Signore venga presso di me”?

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II Padri Carmelitani dell’antica osservan-za si insediarono nella Città di Velletrinell’anno 1573, nell’area ove sorgeva l’an-

tica Chiesa di S. Antonino sede dalla Confraternitadella Misericordia, che ne era venuta in possessoquaranta anni prima. La Confraternita conser-vò per il proprio uso una cappella della Chiesa,che dal 1600 fu intitolata a San Giovanni Decollato,resa indipendente con la chiusura della portadi collegamento tra cappella e chiesa. La pro-prietà dei Padri Carmelitani non fu giudicata digrande valore dal Theuli che ne parlò come diun “luoghetto piccolo e povero”. La fabbrica delcomplesso conventuale iniziò subito e di que-sto, già nel 1604, si ha testimonianza con l’e-largizione ai Padri di 500 scudi per restaurareil convento e la sagrestia. Nel 1616 i lavori peril convento sono ancora in corso ma ricevette-ro un impulso importante dopo che furono rice-vuti ben 3000 scudi per la fabbrica. Il Visitatoredella “Visita Pastorale” del 1636 descrive la strut-tura conventuale: “con peristilio costruito da pocoe non ancora intonacato ma costruito in ampiaforma e cinto da colonne o pilastri, poi le sin-gole celle che invero erano ornate secondo ilcostume religioso”.Nel 1644 il Theuli descrive così l’edificio: “…è convento grande, bello, con claustro quadro,e giardini spaziosi, ed altre abitazioni religiose.”e continua “Il convento suole alimentare Inoltre (oltre a molti forestieri che vi passano) dodici epiù frati, e quando sarà finita la fabbrica, chetuttavia va continuando; siccome la famiglia cre-scerà di numero, così la città ne riceverà quel-le spirituali soddisfazioni, che dai religiosiaspettar si possono”. Il 2 febbraio 1650 il PadrePriore descrive così il convento: “E’ di struttu-

ra claustrale con dormitorii,ed oltre li lochi publici comechoro, refettorio, cucina,dispensa, guardaroba, can-tina, grotta, legnare, stallae fienile ha camere, e stan-zie abbitabili numero quin-dici con il novitiato di came-re numero sette che in tut-to sono numero 22. Ha unaloggia con giardino contiguo”.Nel 1673 furono necessa-rie opere di consolidamen-to delle fondazioni, dei latinord e ovest del fabbricato.Il Visitatore della “VisitaPastorale” del 1703 descri-ve la fabbrica: “Il convento è vicino lemura della città in fabbricasufficiente con chiostrodistinto con colonne e archiin cui si aprono scale con lequali si sale ai tre dormito-ri, circondati da ogni partedalle celle dei religiosiOfficine magazzino per il vino,cucina, due refettori, dispensa,e altri locali ad uso della nume-rosa famiglia con l’’ospizio

da poco costruito per i Forestieri e un altro pergli infermi con l’oratorio. La fabrica del conventoè sita in un angolo della città privo di abitanti inun isolato circondato da ogni parte da giardinie vigne per cui la clausura era sufficiente maessendo il numero di religiosi di 16 e c’è ancheil maestri dei forestieri, per cui comandò cheil giardino fosse circondato di muri affinché nonsi potesse vedere.” Il secolo XIX segna il decli-no del complesso conventuale fino all’abban-dono totale, al degrado fisico, di cui è testimo-nianza una nella lettera del 1825 con la qualeil Cardinale Dalla Somaglia chiede il pagamentodi 1000 scudi come rimborso dei danni subitidal convento per essere stato adibito a ospe-dale e caserma dei Francesi nel 1806. Nel 1837fu soppressala Confraternitadella Misericordia edi beni della stes-sa furono tra-sferitiall’Orfanotrofiodelle poverezitelle di Velletri.La Cappella diSan GiovanniDecollato è cosìgestita daglistessi PadriCarmelitani che,tornati in pos-sesso del con-vento dopo lasoppressionedell’anno 1849,

dovettero intervenire in opere di restauro del-l’edificio già prima del 1870 e ripetutamente.L’intervento principale si mise in atto nel 1855quando, sotto la direzione di Girolamo Romani,si ricostruirono il campanile e le cinque stanzeal primo piano sul lato che guarda verso valle.Il 1870 fu l’anno della soppressione degli ordi-ni religiosi e, destino comune a molti edifici mona-stici italiani, il complesso conventuale delCarmine di Velletri divenne proprietà demania-le; lachiesa, spogliata di ogni arredo, fu adibi-ta a magazzino. Il convento fu trasformato in caser-ma e successivamente , nel 1911, i suoi localigià utilizzati come uffici del Governo, divenne-ro sede degli uffici della Conservatoria del Registrodi Velletri e questo sino al 1960.Si dovrà attendere il 1980 perché si iniziò adintervenire finalmente sull’edificio, a scopo con-servativo ricostruendo, ad opera dell’AmministrazioneProvinciale, in varie fasi, la copertura delle alidel convento. Gli ultimi lavori di restauro stati-co hanno messo in luce nuovi affreschi rima-sti sinora nascosti da strati di intonaco e di pit-tura. Le lunette del grande chiostro quadrangolare,con volte a crociera, sono affrescate con sto-rie dell’ordine Carmelitano; nel refettorio, unavasta sala rettangolare, sita a piano terra convolta a botte ribassata e lunette, invece sonnoraffigurati: nella volta centrale, Elia sul Carro difuoco, e nelle lunette laterali, delle rappresen-tazioni campestri e, nelle due pareti del fondo,la Vergine Maria tra Santi e Martiri, e la rap-presentazione dell’Ultima Cena. Questi ultimi affre-schi sono stati attribuiti dal Gabrielli a GaspareDuguer o Poussis, realizzati tra la fine del Cinquecentoe gli inizi del Seicento. La Cappella di San Giovanni Decollato sede del-la Confraternita della Misericordia, e fino al 1835utilizzata come sepoltura dei condannati a mor-te, oggi non esiste più, è stata totalmente demo-lita e al suo posto sorge oggi un condominio.Il Tersenghi (scrive nel 1911), ricordando di aver-la vista molti anni prima, ci dice che la Cappellaera dotata di un unico altare, ed accoglieva alcentro la sepoltura dei giustiziati. Il piccolo edi-ficio era in pessime condizioni, tanto che la ricor-

Appartenuto ai Padri Carmelitani, dopo la confisca da parte dello stato italiano post-unitario, dopo essere stato adibito a vari usi impropri, da circa 50 anni giace nell’abbandono(vista sul fronte interno a nord, dal giardino).

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da come “coperta di muffa e semidiruta”.Il Convento del Carmine veliterno rientra nei cano-ni dell’architettura dei complessi conventuali car-melitani. La logica costruttiva è orientata a pro-durre un risultato figurativo modesto e severo,apparentemente anonimo; le costruzioni sonodominate da massicci corpi di fabbrica, in gene-

re a doppia altezza con copertura a falde, con-traddistinti da lisce facciate esterne e con pro-spetti scarsamente definiti. Queste caratteristi-che sembrano rispondere a deliberati intenti mini-malisti, che si potrebbero omologare come atem-porali attitudini funzionalistiche, ma che si col-legano opportunamente ai requisiti ideologici fon-damentali dell’edilizia carmelitana (essenziali-tà, solidità, funzionalità), requisiti posti a premessadi ogni fondazione. Lo schema tipologico pre-vede che i tre corpi principali di fabbrica, la chie-sa, il convento ed il chiostro, seppure con ordi-ne diverso, siano il centro funzionale del com-plesso architettonico.Così come è facilmente leggibile dagli schemicostruttivi di altri esempi: San Silvestro aMontecompatri, del Carmine a Gragnano (NA),dei SS. Giuseppe e Teresa a Viterbo, del Carminedi Ceprano (FR), di S. Teresa a Brindisi ecc.La costruzione, visibile dall’attuale PiazzaTrento e Trieste, è particolarmente anonima, non

emerge in alcun modo nella piazza e non sve-la l’importanza del sito retrostante, ma è suffi-ciente varcare il portone d’ingresso per rimanereaffascinati dalla ampia struttura del chiostro.Il complesso, di forma quadrangolare, come peral-tro il chiostro, occupa un’area di 1.600 mq. cir-ca, mentre il giardino ne misura il doppio; il cor-

po di fabbrica sulla piazza(lato sud-ovest) si articola suquattro livelli (interrato, ter-ra, mezzanino e primo).Invece si articolano su tre livel-li (interrato, terra e primo) icorpi di fabbrica posti a nord-est, nord-ovest e sud-est. Nel2011, all’età di 60 anni, il sot-toscritto ha conseguito laLaurea in Dottorato inArchitettura presso l’Universitàdegli Studi di Roma “LaSapienza, ” Facoltà diArchitettura “Valle Giulia”, conil Professore GiovanniCarbonara, Relatore della tesi

di Laurea, avente per tema “Studio Storico e Restaurodel Convento del Carmine in Velletri”. Il giorno 3 ottobre 2011 ho donato il mio pro-getto all’Amministrazione Comunale di Velletriche ne ha fatto poi parte integrante del progetto“PLUS”, finanziato proprio in questi giorni, dal-la Regione Lazio con i fondi della Comunità Europea.Per questo lavoro debbo i miei più calorosi rin-graziamenti all’amico Antonio Parmeggiani,eccelso ricercatore, che mi ha supportato nel-le ricerche storiche, e alla cara amicaProfessoressa Arch. Rossana Mancini della facol-tà di Architettura di Valle Giulia. Il progetto di restau-ro del Convento del Carmine, nella totale con-divisione del concetto di restauro “CriticoConservativo”, teorizzato da Cesare Brandi edesplicitato in tutte le sue magnifiche contraddi-zioni nel recupero dello “Spedale di Santa Mariadella Scala” realizzato da Guido Canali a Siena(restauro leggero), propone un intervento direcupero “leggero” con la destinazione polifun-

zionale dello stesso monumento. La scelta pro-gettuale è quella di operare una radicale sot-trazione dei segni impropri aggiunti nel tempoche ostacolano la lettura storica ed architetto-nica delle stratificazioni realizzate. Recuperatala qualità spaziale e distributiva, l’intervento pro-gettuale intende salvaguardare e valorizzare le

stratificazioni del ricco tessuto murario in un regi-me di austerità e leggerezza. La scelta delle pavimentazioni realizzate comese fossero passerelle di servizio dei cantieri neè esplicito segno. Queste, realizzate con assidi legno su supporti metallici, sono predispostead accogliere il passaggio degli impianti tecnologicie rendere ispezionabile la rete impiantistica. Gliimpianti speciali, invece, saranno contenuti entrosemplici totem strutturali. In sintesi un restau-ro filologico che consenta la lettura integrale ditutte le trasformazioni del testo e di tutto il patri-monio informativo che racchiude (restauro cri-tico-conservativo). Il progetto prevede che il pia-no interrato sia destinato ai sistemi tecnologicicentralizzati e ai magazzini, mentre al pianoterreno saranno ospitati, in quella che fu la chie-sa, una sala-teatro, nella parte che fu refetto-rio, una sala esposizioni ed, invece, per i restan-ti ambienti la destinazione ai servizi e agli offi-ce. Nel primo piano, nelle sale che furono i dor-mitori, saranno ricavate gli spazi per le confe-renze, per gli audiovisivi e della biblioteca sto-rica, con annesso book shop; tutti questisaranno poi collegati da una vasta area relaxattrezzata. Ho creduto di pubblicizzare questamia esperienza progettuale al fine di farla cono-scere sia ai cittadini che agli studiosi, nella spe-ranza che questo bellissimo edificio della strut-tura urbana di Velletri possa un giorno ritorna-re al suo antico splendore.

(continua)Bibliografia:B. Theuli, Teatro Historico di Velletri, Velletri, 1644; A. Tersenghi, Velletri e le sue Contrade, 1910, Velletri; T. Bauco, Storia della Città di Velletri, 1851;A. Remiddi, Velletri e le sue memorie storiche 1500-1800,Tipografia Artigiana, 1982, Cori.

Documentazioni d’archivio relative a: Visite Pastorali degli anni:1595, 1636, 1680, 1703, 1712 e 1741presso l’Archivio Storico Diocesano di Velletri;altre fonti manoscritte presso l’Archivio di Stato di Roma;l’Archivio Segreto Vaticano; l’Archivio Notarile di Velletri,l’Archivio Storico del Comune di Velletri;

l’Archivio Generalizio della Congregazione dei CarmelitaniCalzati e ringrazio tutti per la loro collaborazione.

Due fronti del Convento visti dal nord.

I resti dell’abside dell’ex Chiesa di S. Antonino

Ingresso all’ex Refettorio al piano terra

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3030 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

FESTA DI S. BRUNO

MERCOLEDI’

18 LUGLIO 2012

don Daniele Valenzi

LLa prima edizione critica dell'opera let-teraria di Bruno di Segni fu curatadal monaco benedettino di Monreale

Mauro Marchesi, e fu data alle stampe a Venezianel 1651. L'opera è preceduta da una ampiadissertazione storica sulla vita e sulle vicen-de di San Bruno del monaco benedettino e

dalla pubblicazione della vitadi Bruno estrapolata dalChronicon casinense e daquella dell'Anonimo segni-no. Nell'opera del Marchesidopo l'intestazione inizialeal testo dell'Anonimo, sonoriportate due notizie sotto iltitolo de canonizationeSancti Brunonis che rac-contano la presenza dipapa Lucio III a Segni perla canonizzazione di SanBruno sessantanni annidopo la sua morte nel 1183e la visita di papa Onorio IIInel centenario della mortedel santo per la consacra-

zione del suo altare nella cattedrale segninanel 1223. Probabilmente queste notizie non sono ope-ra dell'autore anonimo della vita di San Bruno,ma furono aggiunte successive apportate allecopie del manoscritto originale tra il XIV e ilXV secolo. La lettura critica di queste notizierisulta difficile in quanto piene di contraddi-zioni con i dati cronologici certi che possediamoe addirittura con il testo stesso dell'Anonimo,ma, seppure i dettagli sono stati arricchiti fan-tasiosamente per corroborare la veridicità deglieventi di cui parlano, tuttavia è indiscussa l'au-tenticità della notizia.

Per concluderepenso che tutto ciòracconti soltantol'amore e lo devo-zione che leganoal santo vescovosegnino quantiper i più diversimotivi si imbatto-no nella sua vitae nella sua figu-ra, al ta comecedro del Libano,fragrante di soa-ve profumo e ric-co di frutti sapo-rosi.

Nelle foto:Paliotto dell’altare nella Cappelladi S. Bruno della cattedrale: sonotre lastre ornate nella faccia ante-riore con mosaici (vedi foto 1)e nella parte posteriore, latransenna longobarda riusata peri paliotti con fregi scolpiti (vedifoto 2), facenti parte dell’ambone(sec. XII) della vecchia cattedralesegnina. Nel 1223 nella ricorrenza del pri-mo centenario della morte del san-to, il Papa Onorio III consacraa San Bruno l’altare nella cat-tedrale di Segni.

Programma della Festa

Da Lunedì 9 luglio a

Lunedì 16 luglio:

Preparazione alla Festa di S. Bruno.

Martedì 17 luglio

Ore 9.30 Esposizione del Busto di

S. Bruno, piccola Processione e S. Messa

Ore 21.30 Solenne Processione per le

vie del paese (zona nuova).

Mercoledì 18 luglio

Ore 10.30 Solenne Concelebrazione

presieduta dal vescovo diocesano.

Come da tradizione, inoltre, in questo perio-

do, il Comune curerà i Festeggiamenti ester-

ni in onore di S. Bruno con diverse mani-

festazioni.

FESTE PATRONALI A SEGNI

NEI MESI DI LUGLIO E AGOSTO

foto 2

foto 1

San Bruno, sanguigna di Giancarlo Soprano

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3131Luglio - Agosto Luglio - Agosto 20122012

FESTA DI S. ANATOLIA

DOMENICA

15 LUGLIO 2012

F. F.

NNella Chiesa di S. Lucia, da tem-po immemorabile, si festeggia S.Anatolia, vergine e martire.

Secondo la tradizione, Anatolia era una gio-vane romana di nobile famiglia che rifiutò lenozze con un patrizio perché consacrata a

Dio. L’aspirante marito, allora, col favore del-l’imperatore, la relegò nei suoi possedimentiin Sabina presso Thiora, dove il soldato Audacefu incaricato di ucciderla, rinchiudendola inuna stanza con un serpente velenoso.Il rettile lasciò incolume Anatolia, mentre siavventò su Audace entrato, l’indomani, nel-la stanza per accertare la morte della gio-vane. La Santa salvò Audace dal serpentee Audace si fece cristiano.Per questo motivo, nella iconografia, Anatoliaè sempre rappresentata con un serpente inmano. Successivamente ambedue furono ucci-si di spada. La Santa, secondo le cronache di GregorioMagno, subì il Martirio nel 249 d.C. La Festa, nella ex parrocchia di S. Lucia, que-st’anno inizia il 10 Luglio, proprio il giornodella memoria della Santa, con un Pellegrinaggio

a Gerano, in provincia di Roma, dove esi-ste dal VI secolo una Chiesa dedicata a S.Anatolia. Nei giorni successivi, nella Chiesa di S. Luciaci sarà il triduo di preparazione alla festa esabato, 14 Luglio, la Processione per le viedel rione, con la Banda Musicale e i GiochiPirotecnici. Quest’anno, prima della Processione, ver-rà benedetta dal Vescovo Diocesano la nuo-va statua di S. Tommaso Becket collocataproprio vicino alla Chiesa di S. Lucia, per-ché S. Tommaso Becket venne canonizza-to a Segni nella antica chiesa di S. Lucia,

distrutta dal bombardamento dell’ulti-ma guerra.Ma per i ragazzi di Segni, par-lare di S. Anatolia significa la par-tecipazione al Torneo di Calcettoche si svolge in Piazza S. Lucia. Negli ormai lontani anni ’80, l’al-lora parroco D. Antonio Navarra,appassionato di calcio e semprealla ricerca di nuove iniziative persollecitare i ragazzi, ebbe que-sta felice intuizione, che è diven-tata il biglietto di visita della Festadi S. Anatolia. Per una settimana intera, il cen-tro storico di Segni è letteralmenteinvaso da gruppi di ragazzi pro-venienti da Segni e dai paesi limi-trofi impegnati nel torneo. Ancoraoggi, nel ricordo di D. Antonio,il Torneo di Calcetto di S.Anatolia appassiona centinaia diragazzi e tutte le loro famiglie.

FESTA DI S. GAETANO

DOMENICA

12 AGOSTO 2012

NNella ex parrocchia di S. Pietro vie-ne ricordato annualmente S.Gaetano da Thiene, il Santo del-

la Provvidenza, così venerato per la sua illim-itata fiducia in Dio. E naturalmente, a S. Pietro,la Domenica precedente la festa di S.Gaetano, viene esposto il busto del Santo esi benedice il pane che viene distribuito a tut-ti i presenti. Oggi, nonostante la crisi, della Provvidenzanon se ne infischia più nessuno. Siamo sem-pre nell’èra del benessere! E a proposito diprovvidenza, la memoria popolare conserva

una simpatica invocazione al Santo dellaProvvidenza: “S. Gaetano, provvedi a colo-ro che già sono nel benessere, perché chi èpovero ormai ci è abituato!”. Con un pizzico di sarcasmo e con un toccodi impertinenza, alla smisurata fiducia ver-so l’infinita bontà di Dio, il fedele unisce lafede alla vita, la serena rassegnazione aglieventi dell’esistere e l’aggrapparsi alle pochesicurezze della vita. Torniamo alla Festa diS. Gaetano a Segni. Tutta la settimana, dal6 al 10 agosto, la Messa vespertina quotidiananon si celebra a S. Maria, ma nella Chiesadi S. Pietro, in preparazione alla Festa di S.Gaetano. Inoltre, giovedì 9, in collaborazio-

ne con il Museo Archeologico Comunale, sirinnova il già collaudato appuntamento “Porteaperte a S. Pietro”. Non dimentichiamoci chesiamo sull’Acropoli di Segni!!!! Venerdì 10, nessuno deve mancare alla rap-presentazione di “Cappellitto”, in scena allaCisterna Romana. È il collaudato Gruppo TeatraleParrocchiale che offre a tutta la cittadinan-za lo storico spettacolo.Il culmine dellaFesta di S. Gaetano è la Processione per levie della zona, con la partecipazione della BandaMusicale e, a conclusione, i Giochi Pirotecnici. Un particolare: l’inno di S. Gaetano, un pic-colo gioiello musicale, da tutti cantato in ono-re del Santo, è stato composto dal grande musi-cista Lorenzo Perosi, quando veniva aSegni, negli anni ’50, a trascorrere periodi divacanze proprio in coincidenza con la Festadi S. Gaetano. E di questo ne siamo fieri!

San Gaetano, Thiene (Tiepolo)

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3232 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Don Daniele Valenzi

SSecondo la scrittura la misericordia è unaprecisa prerogativa di Dio. Dicevanoi profeti: il Signore è ricco di miseri-

cordia, sempre pronto al perdono, perché è unDio e non un uomo. Quello che riscontriamonel passaggio dall’Antico Testamento alNuovo, è che la misericordia evangelica è insie-me amore e fedeltà: un amore profondo e soli-do, gratuito e ostinato, che non può non esse-re fedele anche quando è tradito. Il luogo più trasparente in cui possiamo scor-gere la profondità della misericordia intesa cosìè la Croce di Gesù: un gesto di perdono, maprima ancora un gesto di ostinata e incondi-zionata solidarietà verso gli uomini. Noi lo abbiamo rifiutato e inchiodato sulla Croce,ma lui non ha rifiutato noi. Proprio questo è ilpunto di partenza del discorso di Bruno di Segniquando si appresta a trattare la virtù della mise-ricordia, dopo aver trattato le virtù teologali equelle cardinali e la virtù dell’umiltà. Afferma il vescovo di Segni che sep-pure noi siamo peccatori e abbiamo rot-to la solidarietà nei confronti di Dio, eglinon ha rotto la sua solidarietà verso dinoi. Appeso alla Croce, Gesù fa per noil’ultima cosa che può fare: morire pernoi. Perché Dio ama il peccatore ancheprima del suo pentimento. Ai misericordiosiè promesso che «otterranno misericordia».Così la misericordia diventa la misu-ra del giudizio. Soltanto se si è misericordiosi si ottie-ne misericordia. L’unico modo per tro-vare misericordia è praticare la mise-ricordia. Ma possiamo anche dire chela misericordia è la misura di tutta lavita. Le cose solide della vita, quelleche rimangono perché salde come laroccia, sono l’amore, la solidarietà, lafedeltà ostinata: tutte componenti del-la misericordia evangelica.Ascoltiamo allora dalla voce di san Brunoil suo pensiero circa questa virtù checi assomiglia a Dio stesso. Canterò persempre le misericordie del Signore (Sal88, 1). Ciò che il re e profeta Davideha percepito circa la misericordia, è suf-ficientemente chiaro in queste parole,mentre promette di cantare in eternole lodi della misericordia. Di questa anche

in un altro luogo dice: “Canterò di te Signorela misericordia e il giudizio (Sal 100, 1).” Cosìil Signore è misericordioso, poiché non lasciala giustizia; così è giusto, poiché non può dimen-ticare la misericordia. Esercita la misericordia,ma per i penitenti che esercitano la misericordia. Tu dunque esercita la misericordia, se vuoi cheti sia fatta misericordia; perdona e sarai per-donato: dà e ti sarà dato. Egli stesso dice que-sto: “se perdonerete agli uomini le loro colpe,il Padre vostro celeste vi perdonerà le vostrecolpe, ma se voi non perdonerete agli uomi-ni le loro colpe, neanche il Padre vostro per-donerà a voi le vostre colpe (Mt 6, 14). ““ Siate misericordiosi, come il Padre vostro

celeste è misericordioso, che fa sorgere il suosole sopra i buoni e cattivi, e fa piovere sui giu-sti e sugli ingiusti (Luca 6, 36 )” Ci spinge alla misericordia il nostro Salvatore:mostra la via della salvezza: ci insegna attra-verso quale via ritorniamo in patria, non c’è l’al-tra via attraverso la quale potremmo tornare.Ma vedi come è facile la strada: perdona e sarai

perdonato. Se nonvuoi condonare cen-to denari di debitocome ti saranno con-donati mille talenti?Sappi che gli aguz-zini ti aspetteranno,questi ti getterannoin carcere, e non ti per-

metteranno di uscire di lì, fino a quando tu nonabbia pagato l’intero debito.Ahimè! Quanti ce ne sono lì ora, che, perchéin questo mondo non vollero perdonare, orasono afflitti, ora accusano se stessi, e ora sene rammaricano, ma tale pentimento tardivo,è inutile e infruttuoso. Se solo si dicesse loro: “perdonate e vi saràperdonato (Luca 6, 37),” con quanta gioia oraperdonerebbero, e sarebbero ben accetti ai lorodebitori! E questi non poterono cantare in eter-no le misericordie del Signore, perché solo inquesto mondo è la sua misericordia, ma nonc’è nessuna redenzione nell’inferno. Gli uomini buoni in eterno canteranno le mise-ricordie del Signore, poiché senza fine renderannograzie a Dio: daranno lode a Lui che non peri loro meriti, ma per la sua misericordia, ha pre-parato per loro una felicità tanto grande. “Il Signore è misericordioso e pietoso, lento all’i-ra e grande in misericordia (Sal 85, 15),” quan-do per noi sulla croce ha sofferto, per la sovrab-bondante misericordia, pregava anche per i suoi

crocifissori dicendo: “Padre, perdonaloro, perché non sanno quello che fanno(Lc 23,34)Quindi è detto bene: “Il Signore è dolceper tutti (Sal 145, 9)” per tutti, anzi, pergli stessi nemici. “E la sua misericordia sistende su tutte le sue opere (Sal 145, 9).”Dio ha creato il cielo, la terra, il mare, gliangeli e gli uomini, ma la sua misericor-dia è superiore a tutte le sue opere. Considerando queste commoventi espres-sioni il profeta ebbe paura, dicendo: “Signore,ho ascoltato il tuo annunzio, e ho avutotimore; ho considerato le tue opere e hotremato.In mezzo tra due animali sei giudicato (Abac.3, 1). “E in verità queste sue opere, que-ste stesse sue azioni, sono sopra tutte lesue opere e molto da temere, cioè che ilRe dei re e il Signore dei signori, che hafatto tutte le cose dal nulla, per i servi mal-vagi, fu annoverato fra i malfattori, ed èstato condannato ad una morte vergognosa. A ragione splendidamente i Greci chiamanola misericordia oleon, perché, come neifluidi l’olio è più alto, così tra tutte le ope-re di Dio, la misericordia è superiore, cosìcome già disse prima, perché la sua mise-ricordia si stende su tutte le sue opere.

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3333Luglio - Agosto Luglio - Agosto 20122012

Venerdì 15 e sabato 16 giugno una delegazione del-

la Parrocchia di San Bruno in Colleferro (Roma) e

della Comunità di Segni saranno a Solero per visita-

re il paese natale di San Bruno e i luoghi del Piemonte

che lo ricordano.

Nell’ottobre scorso

alcuni rappresentanti

della Comunità di

Solero con il parroco

don Mario Bianchi

andarono a Segni

e Colleferro.

In quell’occasione

le parrocchie di

Solero e Colleferro

si gemellarono sot-

to l’egida di San

Bruno, patrono di

entrambe.

Venerdì 15 giugno dopo l’accoglienza della comi-

tiva “al suon di campane” presso il parco Carlo Guasco,

il gruppo, guidato da Gian Piero Pagano, componente

del Gruppo Storici Padre Ruggiero Abbanio e cul-

tore della storia e dei santi solerini, si sposterà ad

Asti presso la Cattedrale, successivamente soste-

rà a Variglie per visitare una chiesetta dedicata a

San Bruno.

Al rientro il sindaco di Solero Maria Teresa Guaschino

accoglierà il gruppo presso il parco del Castello

Faà di Bruno per una breve visita al Castello, alle

scuole e alla cappella San Bruno che la tradizione vuo-

le sua casa natale.

La serata prevede un momento di musica e di scambi

di doni presso il Parco Carlo Guasco.

Sabato il gruppo si trasferirà ad Alessandria per la visi-

ta alla Cattedrale e alla Cittadella, al rientro a Solero

il Gruppo degli Storici condurrà gli ospiti alla Collegiata

di San Perpetuo dove verrà celebrata alle 11.15 la Santa

Messa presieduta da don Augusto Fagnani, parroco

di San Bruno a Colleferro.

(tratto da Alessandria news)

Nelle immagini:

le foto di una precedente visita;

San Bruno, affresco nella Cattedrale di Asti.

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3434 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Francesco Canali

IIl 19 luglio, la Chiesa festeggia uno dei Santi più popolari ed ama-ti della cristianità: S. Vincenzo de’ Paoli, l’Apostolo della carità,dei poveri e degli infermi. Vincenzo nasce il 24 aprile 1581 a Pouy

nei pressi di Dax (Landes), nella povera e profonda provincia ruralefrancese dei Pirenei, da una famiglia di contadini. Grazie al sostegno del giudice Comet, intraprende la carriera eccle-siastica laureandosi nell’università di Tolosa. Fondamentale in que-sti anni l’incontro con il grande riformatore il Generale dell’Oratorio Pierrede Brulle (1575-1629) e S. Francesco di Sales (1567-1622), l’autorede L’introduzione alla vita devota. Ordinato sacerdote nel 1600, vie-ne nominato primaparroco a Clichè,un sobborgo di Parigie nel 1617 a Chatillo-les-Dombes dovefonda la Compagniadelle “Serve deiPoveri”, la primaassociazione laica-le femminile deditaall’assistenza domi-ciliare in favore degliinfermi, le stesseche nel 1629 a Parigiprenderanno il nomedi “Dame della Carità”,cui aderiranno mol-te nobildonne dell’altasocietà parigina.Vincenzo “inventa” unmodo nuovo di inten-dere e praticare la cari-tà verso il prossimo:per la prima volta ilpovero o l’ammala-to non veniva più vistocome un “peso”per la società da rele-gare in qualche“hospidalia”, madiventava persona daamare e servire inquanto immaginestessa di Gesù.Nominato precetto-re dei Gondì, la piùricca e potente fami-glia della Francia, grazie al sostegno deisuoi protettori, nel1625 fonda il primonucleo dellaCongregazione del-la Missione i cuimembri verranno in

seguito chiamati Lazzaristi. Nel 1933 con Luisa di Marillac, poi proclamata Santa, fonda le Figliedella Carità, la più grande tra le congregazioni fondate da S. Vincenzode’ Paoli, conosciute anche come le”suore grigie” rivelatesi immediatamenteuna formidabile armata in campo assistenziale ed educativo.Confidente dei potenti fino alla regina Anna d’Austria e di suo maritoil re Luigi XIII, ascoltato persino dal Re Sole, Monsieur Vincent pre-ferì essere il Santo dei bisognosi e dei poveri. S.Vincenzo de’ Paolimorirà il 27 settembre 1660 rimpianto da tutti, ricchi e poveri, poten-ti e miserevoli. Personaggio di spicco della Controriforma cattolica inFrancia, come S. Carlo Borromeo lo era stato in Italia, fu beatificatoil 13 agosto 1726 e canonizzato il 16 giugno 1737 da Clemente XII.

La fondazione dellaCompagnia dellaCarità a Gavignanorisale all’anno 1840,in occasione della S.Missione tenutasidai Padri Missionaridon Pietro Biancheri,Corrado Isle eGiuseppe Liberati inpreparazione delSanto Natale. Il gior-no 7 dicembre nellachiesa parrocchialedi S. Maria Assuntail capo dei missionaripadre Pietro Bianchini,dopo un “erudito efervoroso discorsosulla santificazionedell’anima”, esortò igavignanesi ad isti-tuire nel paese laCompagnia delleSorelle della Caritàdi S. Vincenzo, pro-posito accolto “imme-diatamente e conentusiasmo avendoriconosciuto il granbene spirituale emateriale di un cosìSanto e Pio Istituto”.Sotto l’altare dellaMadonna del Riscatto,si procedette allanomina dei respon-sabili: direttore pro-tempore fu nomina-to l’arciprete-parrocodon Domenico Gorga(1831-1876), sotto-direttore don GiuseppeCerbara, prioraGiovanna Sinibaldi,

Nell’immagine: San Vincenzo de’ Paoli presiede una riunione delle Dame della Caritàche gli donano i loro gioielli in favore degli orfani (Anonimo, 1732, Parigi)

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3535Luglio - Agosto Luglio - Agosto 20122012

sotto-priora Colomba Gorga, cassiera e depo-sitaria delle“caritatevoli collette” Francesca Petacci. Allanuova iniziativa aderirono oltre quaranta Sorelletutte animate da un grande spirito di carità econ il proposito che “sempre a maggior Gloriadi Dio, osserveranno esse con puntualità e fer-vore tutte le leggi, decreti e statuti inerenti allaSanta Istituzione, promettendo ogni Sorella diagire con tutta carità e cristiano fervore”. L’atto costitutivo fu firmato dall’arciprete, dai duesacerdoti responsabili e dai tre padri missionari. Trascorsi solo pochi giorni, il 4 gennaio dell’annoseguente, la nuova Congregazione ottenne ilriconoscimento canonico, da parte del vesco-vo diocesano mons. Pietro Antonio Luciani (1824-1841) “avendo riconosciuto il gran vantaggioe la grande utilità che apporta alla popolazionetanto per il bene spirituale che temporale, laConfraternita delle Sorelle della Carità che sioccupa dell’assistenza dei poveri infermi e ven-gono da queste sollevati tanto nell’animo chenel corpo”. Aveva inizio l’ avventura della Compagnia delle Sorelle della Caritàche per oltre un secolo e mezzo accompagneranno nella buona e cat-tiva sorte la popolazione di Gavignano.In quegli stessi decenni la Compagnia si diffondeva anche a Segni ea Valmontone, dove tutt’ora le Figlie della Carità svolgono la loro azio-ne in campo educativo e caritatevole. La Compagnia, eretta per il “sollievo spirituale e temporale dei pove-ri infermi”, doveva essere composta da persone animate da “verozelo verso il prossimo con l’esercitare gli atti di carità anche i piùfaticosi e vili verso i poveri infermi, con la ferma volontà di aiutar-li nel corpo e nell’anima”. Il compito prioritario delle Sorelle della Carità consisteva, infatti, nel-la visita e cura degli ammalati e nel soccorso delle famiglie più pove-re e bisognose del paese. Le Sorelle infermiere, in numero di sette-otto suddivise per le varie contrade del paese, si recavano nelle casedegli ammalati per recare loro non solo un conforto morale, ma sopra-tutto per assistere l’infermo nella malattia ed, in alcuni casi, fino allamorte. Se impossibilitate, venivano chiamate delle donne specializ-zate nell’assistenza anche notturna. La Compagnia aveva in dotazione una farmacia discretamente forni-ta con lenzuoli, federe, coperte, camicie per uomini e donne, bende,garze per medicamenti, tinture per piccole ferite, cuscini, paglioni, padel-le di rame e di terra, bagnarole di latta, orinali, bacili o lavativi, servi-ziali, sapone, tazze con becco per gli ammalati (gli attuali pappagal-li!) e le immancabili sanguisughe. La festa in onore del Santo Fondatoreveniva celebrata nell’ultima domenica di novembre, preceduta da unsolenne triduo durante il quale veniva esposto alla venerazione deifedeli e in particolare alle iscritte della Compagnia, l’ovale con l’im-magine del Santo Fondatore, “ovato”, acquistato nel 1845 con il con-tributo di tutte le Sorelle. La scelta di commemorare la ricorrenza delSanto Fondatore nell’ultima domenica di novembre, benché la festanel calendario liturgico cadesse il 19 luglio, era dettata da conside-razioni puramente pratiche: perché in quel periodo tutta la popolazioneera intenda nella mietitura, mentre viceversa il mese di novembre rap-presentava un periodo di forzato riposo per i contadini e pertanto lapopolazione poteva dedicare maggior tempo alle pratiche religiose (SanteMissioni ecc.) ed infine, fattore molto importante, dopo la raccolta ela macina del grano e del granturco, vi era la anche la possibilità dieffettuare questue o cerche più ricche e abbondanti.Le entrate della Compagnia, derivavano infatti, oltre che dalle quotedelle iscrizioni, soprattutto dalle questue o cerche che si tenevano nel-

la terza domenica di ogni mese, consistenti nel-la raccolta di pane, grano, granturco, farinel-la, fave e legumi come piselli, ceci ecc. Mentre i cereali venivano generalmente riven-duti nelle botteghe ed il cui ricavato veniva rein-vestito, il pane veniva consegnato alle Sorelleinfermiere le quali “avevano cura di distribuirloagli infermi più bisognosi e in mancanza diquesti, ai più poveri del paese”. Dopo la proclamazione di Roma Capitale, non-ostante il deteriorasi dei rapporti tra Stato e Chiesache portò, tra l’altro, alla vendita dei beni eccle-siastici e alla soppressione di numerosi enti mora-li e Congregazioni religiose sopravissute al vec-chio Stato Pontificio, al contrario la Compagniadelle Sorelle della Carità di Gavignano pren-de nuovo slancio e vitalità, addirittura incrementandonotevolmente la sua attività, grazie soprattut-to all’integerrimo ma attivo arciprete-parrocodon Francesco Sinibaldi (1902-1962).La nuova classe politica italiana vuole infattisostituirsi al vecchio Stato della Chiesa nonsolo nella gestione della cosa pubblica, ma

anche in quelle forme di previdenza e assistenza senza peraltro mairiuscire a scalfire le fondamenta di quei valori e principi di carità cri-stiana custoditi e preservati da quelle associazioni cristiane come appun-to la Compagnia delle Sorelle della Carità. L’attività della Compagniasi è protratta ininterrottamente fino agli inizi degli anni ’50 del secoloscorso quando venne creato un moderno nosocomio nella vicina cit-tà di Colleferro.Le Sorelle della Carità oggi fanno parte del Volontariato Vincenziano,sempre in prima fila in difesa, oggi, dei nuovi poveri come gli ex car-cerati, ragazze madri, portatori di handicap, persone sole… e comeieri in favore degli ultimi e soprattutto degli ammalati e dei poveri “nostrisignori e nostri padroni”, come li chiamava “Monsieur Vincent”, pove-ri da amare unitamente a Dio “ma a spese delle nostre braccia econ il sudore della nostra fronte”.

Documento con cui l'allora Vescovo Lucianiapprovò le Regole della Compagnia delle Sorelle di Gavignano.

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3636 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Paola Lenci

MMusica, cultura e spiritualità in “Pax” il Concerto presenta-to da Nikè e Flavia Borghese in ricordo di Don Paolo Borghese,con la straordinaria partecipazione di Soeur Marie Keyrouz

ed interludio del Maestro Compositore Ivan Ngan Sun. Soeur Marie,da sempre impegnata in opere di solidarietà, ha generosamente mes-so a disposizione il suo talento musicale e, con “Ensable de la Paix”,gruppo da lei fondato e composto da musicisti appartenenti a cul-ture e religioni diverse, diffonde nel mondo messaggi di Speranzae di Pace.Ha istituito una Fondazione per la solidarietà umana : “Enfancepour la paix” a cui dona tutti i proventi della sua attività artistica.Nella sua voce tutta la melodia delle sue origini, tutta la tradizionedella sua terra, il Libano. Soeur Marie maronita di origine, e melchita di congregazione, appar-tiene all’ordine delle Suore Basiliensi. Ha praticato vari tipi di can-to sacro: occidentale classico, bizantino, siriaco, maronita e grego-riano. Soprannominata “ Suora studiosa che canta” è solita dire: “Quando canto prego due volte.”Durante il concerto ha incantato una platea molto varia, erano pre-senti ospiti di varie nazionalità e credo religioso e tutti l’hanno accol-ta con gioia quale messaggera di Pace. Il Concerto “Pax” ha radu-nato molti amici della famiglia Borghese tra cui: S. E. Cardinal G.Pell Primate di Australia, il Vescovo della diocesi di Velletri-SegniMons. Vincenzo Apicella, gli Ambasciatori del Giappone presso il Quirinale,gli Ambasciatori del Giappone e del Belgio presso La Santa Sede,el’Assessore Marcello Bruni .La serata si è conclusa all’insegna dell’arte con l’esposizione deidipinti e disegni di Ernesto Arrighi, padre di Nikè Arrighi Borghese.Di opera in opera le vicissitudini dell’artista che con stili diversi haconsegnato a noi un pezzo di storia.Con il suo tratto a volte irriverente ha immortalato scene di vita quo-tidiana, ma anche pagine buie del nostro passato: Arrighi è stato pri-gioniero nel 1944 a Lumezzane. “PAX” resterà nei cuori dei pre-senti come espressione di unione tra i popoli.

Suor Marie Keyrouz è un cantante di musica sacra orienta-le, membro della Congregazione des soeurs Chouérites Basiliennese fondatore-presidente del Istituto Nazionale di MusicaSacra a Parigi. E ‘nata a Deir el Ahmar in Libano , vicino allacittà romana di Baalbeck . Cresciuta nella Chiesa maronita, ma essendo un melchita attra-verso la sua congregazione religiosa, pronunciò i voti nellaChiesa greco-cattolica melchita. Fin dalla tenera età, ha intra-preso diverse discipline di studio allo stesso tempo, guada-gnandosi un dottorato congiunto in musicologia e antropolo-gia della Sorbona nel 1991. Ha raccolto una serie di “orientale” canti cristiani, in gran par-te conservati in greco, siriaco, e manoscritti arabi e attraver-so la tradizione orale.Il suo album di debutto canto bizantinoprese l’Europa di sorpresa al suo arrivo nel 1989, non solocon il repertorio apparentemente antico che rappresenta, maanche per il suo virtuosismo propria, con una grande capa-cità di cantare gli intervalli in fiorisce rapidi, osserva che sonodifficili per la maggior parte dei cantanti di riprodursi.Il suo repertorio spazia dalla classica musica araba vocale clas-sica occidentale soprano lirico.Sulla produzione dei vari canti maroniti, i canti melchiti , i can-ti milanesi e anche tradizionali canti gregoriani , è accompa-gnata da L’Ensemble de la Paix, un piccolo gruppo di stru-mentisti arabi che lei conduce. Marie Keyrouz è fondatore diL’Instituit International de Chant Sacré (Istituto Internazionaledi canti sacri) a Parigi, che promuove la ricerca in antico can-to sacro. Ha anche scritto diversi libri.

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3737Luglio - Agosto Luglio - Agosto 20122012

Prof. Antonio Venditti

SS abato 19 maggio 2012, in un Istituto supe-riore di Brindisi, frequentato prevalentementeda ragazze che si preparano a diventare

stiliste di moda, si è consumata una tragedia : lamorte della sedicenne Melissa, il ferimento gra-vissimo della compagna Veronica e quello menograve, ma non meno sconvolgente, di altre tre coeta-nee, che, serenamente, aspettavano il suono del-la campanella d’inizio delle lezioni, fuori dell’edi-ficio scolastico, e sono state vittime innocenti del-lo scoppio di una bomba, azionata a poca distan-za dal carnefice, che ha voluto godersi la scenaterribile della sua infamia. Non è la prima volta chemuoiono studentesse e studenti di ogni età, vitti-me della fatalità, della colpevole disattenzione dinorme di sicurezza, della violenza, purtroppo dif-fusa dentro e fuori la scuola, e stigmatizzata solodopo, nel lutto e nel dolore, non evitata da ocu-lata prevenzione, da parte dei responsabili e deicomuni cittadini.Quel giorno, è avvenuto un fatto diverso, di un’ef-feratezza inaudita, mostruoso e tragico : per la pri-ma volta in Italia, c’è stata la volontà di fare unastrage di ragazze e ragazzi, in procinto di entra-re a scuola. Potevano morire in centinaia; per uncaso, è morta soltanto la dolce Melissa, mentrel’amica Veronica, con lo sfondamento della cas-sa toracica, ha rischiato una morte ancora più atro-ce e, dopo terribili sofferenze, manterrà i segni del-le ferite fisiche, oltre a quelle psichiche, inestin-guibili per lei, come per le altre tre coinvolte diret-tamente nello scoppio dell’ordigno, insieme a tut-te le altre ragazze, che hanno assistito al consu-marsi della tragedia.Un scuola superiore è stata presa di mira e col-pita ferocemente, ma il trauma è collettivo, nongenericamente, come di consueto, dell’opinionepubblica locale e nazionale, ma della Scuola Italiana,attaccata da forze oscure del male, che, prima d’o-ra, avevano colpito tutte le istituzioni civili, ma ave-vano risparmiato la scuola, perché nessunaideologia, per quanto efferata, nessuna organiz-zazione criminale può trarre giovamento da unatale nefandezza. Ora l’improponibile ed impensabileatto è avvenuto e nel martirologio civile della RepubblicaItaliana, compare la prima fanciulla innocente, chesarà nostro riferimento costante, come cittadini ecittadine amanti della libertà e della pace, dellagiustizia e della solidarietà, come genitori e docen-ti, come operatori culturali e sociali, come ammi-nistratori delegati a promuovere il pubblico bene.Davvero quest’atto, indegno di un popolo civile,fa da spartiacque tra due epoche : quella in cuistiamo vivendo, costellata da troppe sofferenze,da troppi egoismi ed illegalità, da troppe violen-ze ed ingiustizie; e la nuova, che non deve con-tinuare ad essere soltanto un auspicio, ma devediventare realtà, in una società davvero a misu-ra umana, libera e giusta, in cui alla scuola sia rico-nosciuta, non soltanto a parole, la centralità : comefaro che illumina il cammino di tutti, consapevolidi essere naturalmente educatori, e così resi ido-nei a trasmettere le vere conoscenze ed i veri valo-ri. Che l’Istituto di Brindisi sia intitolato alla memo-ria dei coniugi Francesca Morbillo e Giovanni Falcone,giudici indefessi, con Paolo Borsellino, nel far emer-gere allo scoperto l’organizzazione della mafia, con

le strategie e le connivenze, e per questo uccisi,con i giovani delle scorte, nelle barbariche stragidi Capaci e di via d’Amelio, a Palermo, di cui que-st’anno ricorre il ventesimo anniversario, è una coin-cidenza inquietante, come metafora dell’inestin-guibile perversità umana. Ma sarebbe troppo comodo liquidare così l’atro-ce fatto, addebidandolo sic et simpliciter alla mafiasiciliana o a quella pugliese della “sacra coronaunita”, molto probabilmente estranee, perché miran-ti ad obiettivi più “utili”, per la loro sopravvivenza,per mantenere i “legami” con “potentati” più o menooscuri, per restare punto di riferimento di consi-stenti fasce popolari. Altrettanto facile sarebbe, sen-za credibili confessioni o prove inoppugnabili, adde-bitare il delitto ad uno “squilibrato, nemico del mon-do”, perché, comunque, in tal caso, si dovrebbe-ro ricercare le ragioni che hanno reso un simileatto possibile, ossia le responsabilità specifichedi chi amministra, ai diversi livelli, il territorio ed iguasti del tessuto sociale. Infatti non convincen-te è la “confessione” di un “normale” sessantot-tenne, sposato e padre di due figli, il quale, perla somiglianza con le immagini riprese da una tele-camera, portato in questura, dopo un lungo inter-rogatorio notturno, ha “confessato”, senza spie-gare il reale motivo dell’orribile atto, ideato – asuo dire – contro il tribunale, distante duecentometri, mentre l’ordigno è stato posizionato davan-ti alla scuola.La Magistratura – come si suol dire – dovrà fareil suo corso e, si spera, non in tempi biblici, macon l’indispensabile sollecitudine, se sta a cuore,non soltanto a parole, l’esemplare punizione di chisi è macchiato dell’orrendo delitto, ma anche degliinevitabili complici e degli eventuali mandanti.I politici che, in tempi di durissima crisi, continuanoil cosiddetto “teatrino” e non trovano l’accordo pereliminare drasticamente i loro assurdi “privilegi” erinnovare la struttura dello Stato, da rendere sobrioed efficiente, dovrebbero avere un sussulto di orgo-glio e di consapevolezza delle loro funzioni, ponen-do fine alle inutili diatribe, condite di reciprocheaccuse, per rendere possibile l’avvento della nuo-va Italia. I cittadini, posta fine alla loro apatia ed

al gusto qualunquistico della critica, dovrebberochiedere a viva voce ed imporre il cambiamento,accettando tutti i doveri, a cominciare da quellodi contribuire, secondo le effettive possibilità, alfinanziamento dei servizi comuni, tra cui, in pri-mo piano, la scuola.Studentesse e studenti, che, con uno schietto sen-timento di dolore per la morte di Melissa, in ogniparte d’Italia giustamente hanno manifestato la lororeazione, debbono imparare ad amare veramen-te la scuola, che è non soltanto luogo di socia-lizzazione, ma propriamente luogo di formazioneculturale e umana, basata sull’acquisizione delleconoscenze e delle competenze, indispensabili peril loro avvenire, che deve necessariamente esse-re migliore, sotto ogni aspetto, di quello della gene-razione precedente. Finiti, quindi, i giorni di lutto,tutti devono rientrare nelle aule, con propositi chia-ri di studio intenso e proficuo.All’interno degli Istituti scolastici, spetta al dirigente,ai docenti ed ai non docenti la vigilanza, per pre-venire il sorgere di ogni tipo di violenza. All’esternodelle scuole, come in ogni parte dei territori, la socie-tà intera deve vigilare, in ogni ordine e grado diresponsabilità, dal semplice cittadino e dal vigileurbano, fino ai vertici degli organismi locali, regio-nali e statali. Riconosciamo, senza inutili discus-sioni, che il territorio di paesi e città non è effica-cemente controllato, di giorno e di notte, per cuisi rendono possibili gravi danni al patrimonio pub-blico e privato, e spesso anche alle persone. Nonandiamo alla ricerca di inutili giustificazioni, comela “mancanza di personale”, perché sono tanti anco-ra i dipendenti ed i funzionari dei comuni e deglialtri enti, che magari si sono ritagliati un “facile”lavoro d’ufficio, anche quando il loro compito isti-tuzionale è fuori, a servizio ed a protezione dellagente. Se esistesse un effettivo controllo del ter-ritorio, tanti atti di viltà, compiuti nella sicurezzadell’anonimato e dell’impunità, da singoli e da grup-pi, non potrebbero verificarsi.Si cominci l’indifferibile inversione di tendenza, pro-prio facendo circolo intorno alle scuole, oasi di “amo-re del sapere”, per difendere l’avvenire dei nostrigiovani, in un Paese davvero civile e libero.

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3838 Luglio - AgostoLuglio - Agosto20122012

Tonino Parmeggiani

EE’ ’ certamente insolito trovare, in

una rivista religiosa, la recensione

di un libro che ha per oggetto una

squadra di calcio ma la cosa si è ori-

ginata dal fatto che il nostro tipografo,

la Graphicplate srl di Ariccia, ha stam-

pato proprio in questi giorni degli euro-

pei di calcio, per conto dell’EDITORIALE

GIORNI, un volume di oltre 300 pagi-

ne sulla storia della squadra di calcio

del Torino, «il TORO visto da � lonta-

no».

Si tratta di un viaggio tra vari Club ita-

liani, tifosi del Toro manco a dirlo, ed

ognuno di questi, lungo i cinquanta capi-

toli del libro, racconta la propria storia,

la propria vita di tifosi, con molte foto,

riandando alla memoria dei giocatori,

degli allenatori, dei tifosi al seguito dome-

nicale, agli alti ( Roma- Torino 1-7 del

5 ottobre 1947) e bassi (Frosinone- Torino

1-0, del 19 marzo 1911).

Un excursus a testimonianza di come

si vive il tifo per la squadra lontano dal-

la città di Torino.

Il ricordo di tutti gli sportivi, non solo ita-

liani, non può che riandare al 4 mag-

gio 1949 quando l’areo che trasporta-

va la squadra si schiantò contro la Basilica

di Superga, un fatto che suscitò la com-

mozione in tutto il mondo.

La presentazione è di Franco Ossola

e, non a caso, l’introduzione è stata fat-

ta da Gianluigi Febbraio, imprenditore

della Graphicplate, oltreché sfegatato

tifoso granata a tempo pieno!

FORZA TORO!!!

Mara Della Vecchia

LL eonard Bernstein, compositore statunitense vissuto tra il1918 e il 1990, occupa un posto rilevante nel panoramamusicale del XX secolo. Personalità originale, artista eclettico

ed estroso, ha espresso il suo talento artistico in diversi campi dellamusica: direttore d’orchestra carismatico, si è cimentato con i grandiautori della musica classica e romantica, compositore straordinario,si è dedicato ai generi più popolari e amati dal grande pubblico,come il musical e il cinema (è autore di colonne sonore per film),è stato un appassionato divulgatore della grande musica classica,ricordiamo la serie bellissima che realizzò per la televisionesull’interpretazione delle sinfonie di Beetrhoven. Non poteva mancare tra i suoi lavori la musica sacra: Mass (Messa)fu composta da Bernstein su diretta commissione da parte di Jaqueline

Kennedy e presentata in prima esecuzionel’8 settembre del 1971 per l’inaugurazione delJohn F.Kennedy Center for Perfoming Arts diWashington. La composizione è molto complessa, ma propriocome il suo creatore, porta in sè uno spiritodi innovazione ed anche una concretaaderenza alla storia di quegli anni. La complessità dell’opera deriva dal fatto chenon è semplicemente una messa, cometradizionalmente dovrebbe essere, concepitaper animare una celebrazione liturgica, marisulta piuttosto simile a una rappresentazioneteatrale nella quale l’autore, utilizzando unagrande orchestra sinfonica, un gruppo rock,due cori di voci miste e un coro di voci bianche,mette insieme generi musicali che sembranoessere inconciliabili e lontani l’uno e l’altro. Temi del jazz e del blues si mescolano coni ritmi delle danze latino-americane, mentrela musica colta resta presente nel substratomusicale dell’opera. I testi non sono quelli della canonici della Messa,infatti Bernstein utilizza sia la lingua ingleseche la lingua latina con l’introduzione di rinterventi

regitrati su nastro, in un tentatico ben riuscito di riconciliazione tral’antico e il contemporaneo.Il “Celebrante”, cioè il sacerdote, è uncantante-attore solista che diventa protagonista della Messa in unasorta di spettacolo musicale quasi a sovrastare l’esigenze dellaliturgia. Un lavoro così fuori dagli schemi, senza termini di paragone(non esistevano opere simili), così complesso e ricco di spunti eriferimenti anche alla particolare situazione politica degli Stati Unititra gli anni sessanta e settanta ovvero la contestazione giovanile,la guerra del Vietnam, le tensioni sociali, non ebbe al momentouna grande fortuna, tuttavia, nei decenni successivi fu rivalutatae apprezzata, tanto da essere eseguita nelle celebrazioni del Giubileodel 2000 in Vaticano, incontrando approvazione e apprezzamento.Nonostante le difficoltà di esecuzione, è proprio nella complessitàdell’opera che comprende linguaggi artistici disparati, provenientida luoghi ed epoche distanti tra di essi, che risiede la potenza el’efficacia del messaggio spirituale di universalità della fede.

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Bollettino diocesano:

Prot. VSC/ 17A/2011DECRETO DI NOMINA A VICARIO PARROCCCHIALE

DELLA DI MARIA SS.MA IMMACOLATA IN COLLEFERRO

Secondo quanto disposto dal can. n° 547 del C.D.C. , volendo rispondere alle attese della Parrocchia di Maria SS.ma Immacolata inColleferro, dopo la dipartita del compianto p. Angelo Vari, sentite le indicazione del rev.do P. Provinciale dei Frati Minori Conventuali, con il presente decreto

nomino te P. Ercole Dell’Uomo o. f. conv.Vicario Parrocchiale della Parrocchia di Maria SS.ma Immacolata in Colleferro

Nell’attuare quanto richiesto dai cann. 545§1, 548 e ss. in sintonia con il parroco, ti assista la mia paterna benedizione.

Velletri, 05.06.2012 + Vincenzo Apicella vescovo

Il cancelliere vescovileMons. Angelo Mancini

Don Marco Nemesi*

Raggiunta presto una notevole fama, Pietro di CristoforoVannucci, noto come il Perugino, fu chiamato a Romadal 1479, dove dipinse l’abside della cappella della Concezione,

nel coro della Basilica vaticana per papa Sisto IV, opera distrut-ta nel 1609 quando fu dato avvio alla ricostruzione della basili-ca. Il lavoro dovette conseguire un notevole successo, tanto cheil papa incaricò poco dopo Perugino di decorare la parete di fon-do della Cappella Sistina, venendogli presto affiancati per inte-ressamento di Lorenzo de’ Medici, a partire dall’estate del 1481,un gruppo dei migliori pittori fiorentini tra cui Botticelli, Ghirlandaioe Cosimo Rosselli, coi rispettivi collaboratori. Perugino, che si avvaleva come collaboratore di Pinturicchio, erauno dei più giovani del gruppo ma ottenne subito una posizionepreminente nel gruppo di lavoro: ciò dimostra il favore che anda-va incontrando la sua arte fatta di un’innovativa interpretazionedel classicismo. Per questi affreschi i pittori si attennero a comu-ni convenzioni rappresentative in modo da far risultare il lavoroomogeneo, quali una comune scala dimensionale, una comunestruttura ritmica e una comune rappresentazione paesaggistica;utilizzarono inoltre, accanto ad un’unica gamma cromatica, le rifi-niture in oro in modo da far risplendere le pitture con i baglioridelle torce e delle candele.Nella zona dietro l’altare, la prima a essere affrescata, dipinsela finta pala d’altare dell’Assunta col papa inginocchiato come

committente, opera distrutta per far posto al Giudizio Universaledi Michelangelo insieme con altri suoi due riquadri sulla stessaparete, la Nascita e ritrovamento di Mosè e la Natività di Cristo.Tra gli affreschi superstiti di Perugino nella Cappella Sistina cisono il Battesimo di Cristo (l’unica opera firmata di tutta la cap-pella), il Viaggio di Mosè in Egitto e la celeberrima Consegna del-le chiavi. La scena della Consegna delle chiavi, la quinta sullaparete nord a partire dall’altare, è di fondamentale importanzanel tema affrontato dal ciclo pittorico, perché sottolinea la trasmissionedel potere spirituale da Cristo a san Pietro, giustificandone il pri-mato su cui si basava tutta l’autorità papale. L’affresco, che è anche uno dei più famosi della serie da un pun-to di vista strettamente estetico, fa pendant sull’altro lato con laPunizione dei ribelli da parte di Mosè di Botticelli, che chiarificaulteriormente il messaggio voluto da Sisto IV: da un lato si mostrail fondamento del potere dei successori di Pietro, dall’altro si pale-sa la punizione che spetta a chiunque osi contraddirlo.La scena è organizzata su due fasce orizzontali: una con le figu-re in primo piano e una con lo sfondo architettonico, popolatoda alcune figure molto più piccole. In primo piano Cristo conse-gna le chiavi d’oro e d’argento del paradiso a san Pietro inginocchiato,circondato da altri apostoli, riconoscibili dalle aureole, e da ritrat-ti di contemporanei, tra cui un presunto autoritratto di Peruginonell’uomo vestito di nero che guarda verso lo spettatore nel grup-po di destra. Sull’affresco di Perugino si trova la scritta CONTVRBATIO • IESV• CHRISTI • LEGISLATORIS, che chiarisce questo significato ditrasmissione della legge divina.Celebre è l’apparato scenografico che amplifica la scena princi-pale, inquadrata dalle linee prospettiche di un pavimento a gros-si quadrati marmorei di una piazza decorata da edifici monumentali.

Perugino,

La Consegna delle chiavi, 1481-1482, affresco,Cappella Sistina in Vaticano

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Al centro soprattutto si trova un magnifico edificio a pianta cen-trale con cupola, simbolo dell’universalità del potere papale stes-so, oltre che trasposizione ideale del Tempio di Gerusalemme:esso venne riutilizzato nello Sposalizio della Vergine, conserva-to nel Musée des Beaux-Arts di Caen, in Francia, con la varian-te ancora più scenografica della porta centrale che lascia vede-re il paesaggio. Questa sorprendente visione architettonica, così espressiva degliideali di classica perfezione del Rinascimento, venne ripresa dagliallievi di Perugino, come Pinturicchio nella Cappella Bufalini esoprattutto Raffaello nel celeberrino Sposalizio della Vergine nel-la Pinacoteca di Brera, fino ad influenzare anche una vera ripro-duzione architettonica nel Tempietto di San Pietro in Montorio diBramante. Ai lati della piazza si trovano poi due citazioni dell’arcodi Costantino, omaggio alla passione per l’antico che proprio in

quegli anni infervorava il mondo artistico ruotante attorno alla Cittàeterna. Una scansione così razionale e ordinata non fa notarecome l’organizzazione spaziale contenga in realtà degli errori,voluti o meno, di proporzioni tra figure in primo piano e sfondo.Ciò è evidente soprattutto nella medesima scala tra le figurettenella fascia mediana (che rappresentano i due episodi della vitadi Cristo del Pagamento del Tributo e della Lapidazione di Cristo)e i personaggi presso gli edifici, che dovrebbero essere ancora

più piccoli a giudicare dai riquadri di pavimento che li separano. La vivace animazione delle scene secondarie sparisce tuttaviase si guardano le pacate espressioni dei personaggi in dettaglio,rivelando l’incapacità del pittore di infondere drammaticità, comese le figure non fossero altro che attori dediti a gesti che non vivo-no veramente.Guardando al corteo di figure in primo piano si nota come i variatteggiamenti siano ripetuti ritmicamente per creare un andamentovario ma ordinato, definibile come “musicale”. I pesanti panneggi di alcune figure dipendono dall’esempio di Verrocchio,tanto da mostrare spesso il tipico “effetto bagnato” del maestrofiorentino. L’elegante figura di Giovanni apostolo in particolare,la prima a destra di Pietro, sembra una citazione del Cristo bron-zeo nell’Incredulità di San Tommaso di Verrocchio a Orsanmichele.Altri panneggi invece ricadono con pieghe ritmate, con una varie-

tà di soluzioni tipica dell’autore.Il paesaggio che chiude lo sfondo è tipico dell’artista, con le dol-ci colline, punteggiate da esili alberelli, che sfumano in lontananzaverso l’orizzonte, dando quel senso di distanza infinita grazie allapuntuale resa atmosferica data dalla prospettiva aerea.

*Direttore Ufficio Diocesano Beni culturali, Chiese e Arte sacra