supernova - isabella santacroce
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D
Il libro
ivna, Dorothy e Thomassono tre ragazzini cometanti, che attraversano
l’adolescenza, questa età dipassaggio magnifica e terribile,armati dei loro sogni e circondati
dai loro fantasmi. La vita, intorno, èdura, il mondo dei grandi simanifesta in tutta la suainadeguatezza o – peggio – nella
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sua più depravata voracità. Gliadulti sono affascinati dalla luceche, come stelle appena nate, i tre
amici sprigionano: ma faranno ditutto per spegnerla abusando dellaloro innocenza, del loro stupore,
della loro curiosità.Isabella Santacroce ha scritto unromanzo coraggioso e struggente,che trova parole potenti per
raccontare un mondoimpronunciabile come quello dellaprostituzione minorile. I suoi
protagonisti, romantici come lafotografia in bianco e nero di un bacio, immorali come un film pornoa colori, restano incisi nella
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memoria, trasfigurati dalla lucevibrante della loro giovinezza:perché l’adolescenza è sdoppiarsi
sopra uno specchio, rotto da uncuore.
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L’autore
Isabella Santacroce ènata a Riccione. Hapubblicato i romanziFluo (1995), Destroy
(1996), Luminal (1998), Lovers(2000), Revolver (2004), Dark
Demonia (2005), Zoo (2006), V.M.18(2007), Lulù Delacroix (2010) e Amorino (2012).
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Isabella Santacroce
SUPERNOVAROMANZO
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Supernova
A Loletto Chiquito Lero
Tijuana Moschette
e Babette Bijoux Lero
Tijuana Moschette
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Gli adulti sono ragazzi morti.
MARIANGELA GUALTIERI
I ragazzi che si amano non ci sonper nessuno. Essi sono altrove, molt
più lontano della notte. Molto più inalto del giorno. Nell’abbagliantsplendore del loro primo amore.
JACQUES PRÉVERT
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La desideravano tutti. La pelle. Locca. Lei miele.
Le piaceva fare l’amore, si facevspogliare tra gli alberi.
Poi l’hanno ingravidata, vent’anni, e non ha voluto abortire.
Allora la sua famiglia ha decisodi mandarla da una zia, a MilanoNon potevo nascere lì, dove c’er
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mio padre, e quel padre non ssapeva chi fosse.
Ha sofferto il giorno che l’hannofatta salire su un treno. Era solacon me, e in mano una fiaba: IMago di Oz.
Così immaginava di essere unambina trascinata dall’uragano inun paese lontano, per colpa decagnolino Totò, il suo ventre.
Sono stata prima un cane, poquando sono nata sono diventatsua figlia, e mi ha chiamato
Dorothy.
Mia zia abitava nel quartierBarona. Faceva la sarta.
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Era una donna strana, silenziosanon raccontava mai il suo passato.
Aveva vissuto per anncircondata dai suoi soprammobilipiccoli cigni in cristallo, vedettucenti di una solitudine spenta.
E poi mia madre che arrivaViaggia su un treno, e lei allstazione, in attesa.
Non c’era mai andata prima dallora, mi ha detto.
Quanta gente. Correvano tuttiAndavano veloci con le valigie. S
fermavano i treni. Lei ferma, duocchi che cercano in quel traffico dvita in partenza.
Lo raccontava ogni volta con
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grande emozione, quasi descrivessl giro del mondo, o un dinosauro
che appare.
Le tendine chiare, vestfantasmatiche di finestre illuminat
dal grigiore dell’inverno, e nel cieloMilano.Mia madre entra in quella casa,
vede una prigione.Dov’erano le sue corse, il suo
corpo lasciato cadere tra i fiori? Chcosa vedeva dai vetri? Il baglior
del nulla.Quante volte ha cercato dfuggire, con me dentro, sognando
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di raggiungere il Mago di Oz, dritornare ai suoi sogni.
Apriva il portone, correva giù pee scale, poi si fermava smarrita, e l
zia scendeva a riprenderla.Era infelice, se ne restava distes
sul letto, leggeva la fiaba fino quando non apparivano loSpaventapasseri, il Leone Codardol Boscaiolo di Latta, loro insiem
verso la Città di Smeraldondossando scarpette argentate,
sulla fronte il bacio della Strega de
Nord, contro il male del mondo.
Per un mese non ha parlato. Di mizia sentiva le preghiere, di sera
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sommesse. Sussurrii trasportatfino a lei dal silenzio.
Ma quanta rumorosa tristezzanel sangue.
Poi un pomeriggio si è sedutaccanto a lei, c’era il sole, e h
niziato a raccontarle la storia dDorothy.Guardava davanti a sé
meravigliosa fanciulla appenvestita, che disegnava con la vocuna fiaba, perché mia zia lvedesse.
Il giorno dopo mia zia le hcucito il vestito di Dorothy. È statoallora che mia madre ha iniziato rivivere.
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La immagino con quell’abitoazzurro recitare righe del libronelle serate che mi vedevanocrescerle dentro, in attesa darrivare alla luce. E mia zia viverquei momenti come un’apparizion
che riempie gli occhi di spavento, apensiero di assisterne allscomparsa, o di scoprirne la pazzia
Era come se mia madre l’avesscontagiata, mutando la sua menteportandola altrove, in un’infanzinfuocata.
Intanto passavano i giornidavanti alla fine dei mesi. Poi sononata, entrando in una fiaba senzsaperlo.
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Mi avrebbe vestito comDorothy, raccontato la sua storiaamandomi non con il cuore, ma con
suoi sogni.
Avevo due madri, e nemmeno un
parente. Dai miei nonni, mai vistiarrivavano soldi alle poste. Questonei primi anni, poi niente.
Di quel periodo ho un suono. Uncarillon nella nebbia.
Non mi è stato spiegato il motivodel loro abbandonarci del tutto. De
perché non hanno neppure mavoluto conoscermi.All’improvviso non c’erano soldi
Non abbastanza, mentre crescevo,
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mia madre riempiva il suo letto duomini.
Una nostra vicina di casa le avevconsigliato di vendersi. Lei già lofaceva, e mia madre in questo hvisto salvezza.
Ha iniziato a prostituirsi, io eromolto piccola ancora, però ricordoa tristezza di mia zia, cucita al suo
sguardo, mia madre invece cantavaquasi felice, sempre storditaabitante di sogni e miraggitormenti fiabeschi.
La guardavo davanti allospecchio pettinarsi i capellisorpresa di fronte al riflesso dellsua grazia impalpabile, eppur
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sfregiata da un dolore nascostoadombrato dal suo volersntoccabile, proprietà del fantastico
Ero incantata da lei, così bella.Non era per me solamente un
madre. Era il mio sogno.
Le rarissime passeggiate nel mioquartiere. Con mia zia che spreoccupava, diceva state attentetornate subito, c’è gente brutta qufuori.
Le biciclette rotte su
marciapiedi, le siringhe sull’erba, ragazzini che ci urlavano dietro, campi verdi, gli alberi, e poi losquallore.
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C’era odore di campagna violenza, gente che coltivava lterra, e poi i delinquenti. Contadino banditi. Un paesaggio diviso, e lpovertà come un muro.
La stalla, i muggiti, le auto
rubate, le scritte sopra al cementol coprifuoco la sera, e lo sguardo dpersone che sembravano semprfuggire.
L’assenza di colore nei viali, faraccesi nei tramonti mancanti dsole, la mano di mia madre in que
freddo acceso dei palazzoni chsembravano ghiaccio annerito, e pol caldo ritrovato aprendo la port
di casa.
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Il Mago di Oz ogni serandossare i costumi che mia zi
aveva cucito. Nascondersi nellcasetta di stoffa. Mia madre chsimulava il sonoro di una tempeste rideva.
Vedevo la pioggia, le nubi, icielo percorso. Mia zia, le suscarpe, le mani. Il rumore di forbici
tagli, i sospiri. Cigni in cristallosui mobili, luci. Una stregschiacciata, il destino.
Crescevo nei pomeriggi, su
tappeto in salotto, e l’odore dpesche, tra le dita di un’esistenzsospesa.
Non andavo all’asilo. Era mi
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madre la mia amica bambina, mizia la maestra che mi facevcolorare i quaderni.
Non sapevo come vivessero glaltri. Non avevo confronti. Nonconoscevo altre madri, bambini
famiglie.Non avevamo amicizie. Mimadre schivava ogni approccioSfuggiva alla realtà rifugiandosi nepianeti fantastici della sua mente.
Chissà cosa pensava quando sprostituiva, come trasformav
quegli attimi, chi diventavano peei quegli uomini. Forse i mostri dacorpo di orso e la testa di tigre, inagguato nella foresta.
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La sera mi vestiva da Dorothy, leda Boscaiolo di Latta, mia zia dLeone Codardo, per poi cambiarsveloci, e interpretare streghemaghi, spaventapasseri, scimmivolanti.
La nostra vita era un ballo, soprnubi di fuoco.
Mai mi avevano detto di me. Demio viso non brutto. Belloelegante. Un miracolo strano.
Crescendo vedevo qualcosa allo
specchio: ero una bambina, msembravo un maschio.Forse speravano in un
mutamento, una metamorfosi ch
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all’improvviso stravolge. Almenomia zia. Mia madre no, lei nonvoleva vedermi. Io ero Dorothy.
Però lo sapevo. Lo avevoscoperto guardando le altr
ambine che a volte incrociavo: loro
avevano il rosa sopra la pelle. Il miocolore invece era l’azzurro.Un azzurro sfumato, incredibile.E il primo giorno di scuola
accompagnata da mia zia che mteneva per mano, io con i capell
iondi raccolti in due trecce
all’improvviso mi sono sentitperduta. Mi sono sentita come forssi è sentita mia madre, dopo itreno, arrivata a Milano.
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Non c’erano mattoni gialli, noncampi di papaveri dove svenivi dasonno, non la Città di Smeraldo, nfiumi né zattere. Non streghemongolfiere, cicogne, non c’era piùniente, c’era la vita di tutti, e l
poesia impiccata al soffitto.
Non era voluta venire mia madremi aveva baciato davanti alla portaspettinata, ridendo come se foss
uffo quel primo distacco, unoscherzo.
L’avrei voluta con me, ma soloall’inizio, poi, quando hannocominciato a chiedermi se ero unmaschio o una femmina, ho
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preferito fosse protetta, al sicurodentro il suo regno.
Come mai quel bambino ha igrembiule rosa?
Io stavo là, ferma, seduta in unanco, sola.
La maestra di scuola era la stregcattiva. I miei compagni di classe lscimmie volanti. Mia zia chtornava a riprendermi le scarpettd’argento, mia madre era il Kansasa mia cartella Totò, e io un
Dorothy strana, che di Doroth
aveva solo le trecce, e a cui dicevanoche sembrava un maschio con capelli da femmina.
I primi giorni trattenevo nell
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dignità le mie lacrime, poi honiziato a difendermi, non avevo
altra scelta, ho scoperto il coraggio.Volevo impaurire. Mostrarmi d
pietra. Sapevo che solo così potevoavere rispetto.
Mi fingevo spietata, freddanventavo. E se qualcuno osavferirmi, lo fissavo con odio.
Ho picchiato un bambino neagno, l’ho atteso. Mi avev
umiliato, tirato le trecce, ripetevsei un maschio.
Il preside ha chiamato mimadre. Ha una figlia violenta, le hdetto. La accompagni domanmattina, dobbiamo parlarle.
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Ed era strano vederla, lei tantoella, un incanto, chiarissima
vestita leggera, con i sandali senza le calze in inverno, davanti apreside, alla maestra, stranieraun’aliena.
La scuola, mattinate di ferro, ianco di fuoco, guardare le altrambine, ritratti di femmine giuste
domande, soffrire. Sei un maschio ouna femmina?
Non vedevo l’ora di battere
tacchi delle mie scarpette d’argentoper ritornare a casa, nel Kansas.Stavo male, studiavo il mio volto
allo specchio, e non riuscivo
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capire se mia madre facesse finta dniente, oppure non fosse in gradodi percepire il dramma che stavovivendo. Con lei potevo sologiocare, vestirmi da Dorothyfingere.
Vivevamo entrambe divise. Letra fiaba e prostituzione. Io trrealtà e fiaba.
Cielo e baratro. Sempre tra cieloe baratro. Sempre in equilibrio suuna fune tesa tra cielo e baratrodavanti a noi nessuno.
Mia madre però aveva la follia tenerla diritta. La sua follia per lei stata salvezza, per me vento fortetempesta.
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La ricordo truccarsi. Il suo voltodiventare volgare, il rossetto, la rigscura negli occhi. E poi icampanello, lei che accende lradio, si agghinda.
La mia vita allora si trasferiv
con la zia, in cucina, e solo quandoterminava l’incontro, e sentivo lporta fare uscire qualcuno, tornavodi nuovo bambina. Perché in queminuti avvertivo le braccia detempo spingermi oltre ai miei annin un’età fatta di attesa.
Mia zia diceva sono clienti, tumadre mi aiuta, prende misure.All’inizio riuscivo a crederle
crescendo non più.
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E poi un giorno è successo. Ermercoledì, lo ricordo, gennaioavevo otto anni. Sono scappatdalla cucina, mia zia diceva Dorothfermati.
Ho aperto una porta, e c’era mi
madre nuda nel letto.Un uomo le tirava i capelli. Glho gridato di smetterla.
Lui mi ha guardata, poi ha dettonon lo sapevi? La pago.
Patetico è qualsiasi sforzo, teso dimenticare, anche solo un
millimetro di dolore.
Non abbiamo mai parlato di quepomeriggio. Parlare con lei volev
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dire ascoltare un discorso che sdissolve, frasi rarefatte dal sognouna voce che rifiuta la mente, chnon vuole sentirsi.
Io non ero androgina, e lei nonera una prostituta. Non c’era altro
da aggiungere. Trasformare lverità però era ormai un obbligonon solo più un desiderio.
Soffrivo sapendola in vendita, volte provavo disgusto per la supelle. Perché la pensavo infettatdai maschi che la pagavano. Eppur
l cuore riesce a pulire lo sporco, imio ci riusciva, a far diventarpurezza l’osceno.
Odiavo Il Mago di Oz. Sapevo
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memoria l’intero libro, lo stesso dsempre, consumato, con le paginrotte. Foglie che cadono da unquercia sfinita.
Quanta fatica facevo a giocare, recitare la parte, di sera, la favola.
Guardavo mia madre vestita dBoscaiolo di Latta, vedevo il suocorpo nudo con un uomo nel letto.
Avevo preso distanza da quecorpo sfregiato, e camminavo dsola, alla ricerca dell’universo chavevo perduto.
Molto presto lo avrei ritrovatoEra racchiuso in un nome. Eva.
Eva. A dieci anni l’ho vista. Quint
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elementare, e poi lei.Il primo giorno di scuola, tra gl
altri il suo volto perfetto. I capellneri, blu gli occhi. E la malinconicome un velo a renderla magicapiù bella di tutto.
La guardavano di nascosto i miecompagni di classe, come maffascinati, e forse si chiedevanoperché non era felice.
Teneva lo sguardo bassosussultava per qualsiasi rumorearrossiva se le rivolgevi la parola, s
scusava se ti sfiorava per sbaglio.Era come se una regina provassmbarazzo per la sua corona. Com
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se lei, principessa, credesse dessere una ranocchia.
Però mi guardava, con fascino, allora ho cominciato a non soffrirpiù per il mio essere indefinibileambigua. Perché forse così
pensavo, poteva innamorarsi di meE perché forse così, speravo, potevodiventare il suo bambino del cuore
Ho iniziato a portare i capelli legatperché sembrassero corti.
A casa di nascosto indossavo l
giacche che cuciva ai signori mizia. Mi guardavo allo specchio. Esempre sognavo un’immagine: Evannamorata, tra le mie braccia.
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Non mi importava più se scuola qualcuno mi deridevaL’importante era non accadesse inpresenza di Eva.
E ricordo un mattino, questo miocompagno chiamarmi Doroto
davanti a tutta la classe, e c’eranche lei.Ricordo il dolore che ho provato
gigantesco, al pensiero si stessvergognando di me, e la paura chavevo, disperata, di non piacerlpiù.
Sono stata l’ultima, le avevanoparlato già tutti, io no. La studiavoa distanza.
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Spesso i nostri sguards’incontravano, schivi. In loro c’era consapevolezza che un giorno s
sarebbero unite le nostre mani, sarebbe stato per sempre.
Quanto adoravo i suoi occhi
accorgermi che mi guardavanodolci. E la sua timidezza, che lfaceva nascondere il viso dietro unquaderno, fare finta di leggere.
Mi piaceva vederla arrivarecercarmi tra gli altri, fino trovarmi, e sorridere.
Forse anche lei non ha un padremi dicevo. Forse anche lei, comme, non piange. Forse ha un’auror
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Mi innamoravo, e intanto mimadre prendeva in affitto unappartamento. Era accanto a quellodi mia zia, lo stesso pianerottoloAlmeno questo. Non averli piùnegli occhi i suoi clienti.
A volte dovevo andare da leiportarle dell’acqua, o qualchndumento. La trovavo nuda
truccata, sdraiata sul letto.Era cambiata, non riusciva più
volare nei sogni, il suo sangue erdiventato pesante, pieno di uomin
che le strappavano il corpo.Non usciva quasi mai, ricevevaoppure guardava la televisione volume d’inferno. Ed era mia l
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colpa. La sua fiaba aveva perso unpersonaggio importante.
Mi rifiutavo di portare le treccedi giocare con lei a travestirmi. Lavevo detto che ormai ero grandeche non ne avevo più voglia.
Dalla fiaba al nulla, dai sognall’indifferenza.Non so come ho fatto
sopportare tutto questo in silenzio.Solo anni dopo avrei scoperto
’entità del danno.
La ricordo un pomeriggio cantarementre cercavo di dirle che volevotagliarmi i capelli.
Ricordo che ho preso le forbici,
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sono andata nella mia stanza.Poco dopo, quando mi ha visto
continuando a cantare mi ha dettonon stai bene così, sembri il LeonCodardo.
Se almeno mia zia fosse stat
diversa, sarei corsa tra le suraccia. Non potevo, era troppodevota a mia madre.
Curava la casa, stirava, cucinavauna serva, e con me era semprmpacciata, quasi fossi arrivat
nella sua vita da poco, e non
sapesse come trattarmi.Di una cosa però la ringrazio, davermi rincuorato.
Diceva che il mio volto, anche s
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nsolito per una femmina, lricordava quello di un angelo.
Mia madre, una cosa del generenon me l’ha mai detta.
Mi vestivo da maschio. I capell
corti, pettinati con cura.Una volta una signora mi hdetto sei un bambino bellissimo.
L’ho ringraziata, e ho sperato lopensasse anche Eva.
E quanta emozione, la primvolta che ci siamo sedute vicine. In
cortile, sopra una panchinlluminata dal sole.Guardavamo un fiore sbocciato
tra i sassi, le nostre spalle intanto s
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univano, mute. E dopo la voceparlarsi.
Cose sciocche, frasi interrottesospiri, tremare. Nascere allora, luce si apre, lasciandoci al mondonsieme.
Com’era bello ogni giornoquell’anno. Andare a scuolaaspettarsi davanti al cancellosorridersi.
Le portavo tutte le mattine unregalo, piccolo, a volte una fogliraccolta, oppure un fiore, un
iscotto, un disegno, un frutto, unfiocco, briciole del mio amore peei, enorme.
Amarla, non chiederle nulla, non
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confidenze, sapere poco l’undell’altra, delle nostre famigliedella vita fuori da lì. Sospendersiessere stelle unite dall’aria, brillartenendosi strette da un respiro chcresce, qualsiasi dolore era un
soffio.Lo avevo sopra le labbra, bastavpronunciassi il nome di Eva perchse ne andasse.
Eva. Eva. Eva. Eva. Eva.Quanti fogli con il suo nom
toccato dalla mia mano, scriverlo
anche per un’ora senza fermarmisentirlo gridare nella mia mentenel sangue. Accarezzarmi nel lettoda sola, immaginando un suo bacio
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Non ci siamo mai baciateeppure mi sembra di non aver fattoaltro nella mia vita.
La scuola non era lontana. Certmattine correvo per raggiungerl
prima. Mi mettevo seduta su quellche era diventata la nostrpanchina, per vederla arrivare. Miapparizione.
Era in lei una delicatezza liberatdal vento della sua natura pulitaUn’ingenuità di cristallo, dove l
sua grazia si specchiava, giovane eterna.L’aula era la nostra stanza,
anche se c’erano altri bambini e un
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maestra, noi eravamo lì, sole.Spettegolavano tutti, ma non c
mportava. Eravamo felici, potentdi amore.
Un mattino mi ha detto Dorothytra poco finisce la scuola, devo
partire. Mi aspetterai?Volevo piangere, stringerla fortedirle ti prego, rimani qui.
Ho pensato che dovevo avercoraggio, non farla soffrire, così lho risposto anche se te ne vai, tu sesempre con me, e io sempre con te.
Fino all’estate. Al sole più caldo. Lscuola finisce, e Eva che parte.
Tre mesi nel paese dov’è nata su
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madre. Marsiglia.Ci saremmo riviste in prim
media, la stessa classe, di nuovonsieme, promesso.
L’abbraccio davanti al cancelloLe nostre cartelle che cadono. E io
che le dico ti amo.Volevo baciarla almeno una voltprima di perderla per tutti quegiorni. Invece sono scappatanseguendo le lacrime.
Mi aveva regalato una pium
ianca. L’aveva lasciata nelle mimani, dicendo presto volerò da te.
Di quell’estate ho un solo ricordo
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Aspettavo. Eva.Ne immaginavo le bracci
distese nel sonno. La stanza contenerne la struggente bellezzal suo volto, quel fiore.
Mi mancava, soffrivo, nessuno
con cui confidarmi. Non amici, nonuna famiglia.Mia madre e mia zia erano figur
nvisibili, in bilico sull’esplosiondella mia adolescenza.
E settembre che arriva. Inizia l
scuola, la stessa prima media chdoveva farci incontrare. La notttrascorsa senza dormire, nelle mimani una piuma, gli abiti scelt
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poggiati sul letto, mentre non se nandava la luna. I miei occhi suvetri, davanti all’apparire del solefinalmente il mattino.
Esultare quasi iniziasse unfesta. Tremare. Immaginare i
momento, i colori, gli sguardiabbracciate.Undici anni. Camminare rifless
nell’aria, salire sull’autobussentirmi già grande. Sognare.
Cercarla sulle scalinate, senzrespiro. Entrare nell’aula, trovar
sconosciuti, in nessuno il suo voltoAspettare, ancora, sorda a ognvoce, e negli occhi un miraggio
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stravolto dall’ansia, di averla persper sempre.
Quanti nomi, corpi, passi nonsuoi, pareti che mi circondavano icuore, cieco, di grida mutefortissime, tutte in me, com
uccisioni.Odiare quella piccola folla destranei, gli approcci, schivarne lfame, vedere mostri anche nei gestgentili, sentire spilli conficcarsdentro il dolore, mentre attornosbocciavano inizi, sulla mia vogli
di alzarmi e scappare, prendendo calci qualsiasi illusione.Ma poi rimanere,
all’improvviso sperare. Dirmi arriv
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domani, oggi non è riuscita, devoaspettare, sarà ancora più belloSarò più forte domani.
Sono tornata a casa, e mi sembravdi aver percorso il mio scheletro
Strade di ossa in salita, nel vento.Mia zia sempre timida, mimadre un delirio sfuggente, l’estatche entrava dai fori della minebbia, e il desiderio di svanire finoa domani, scavalcare le ore dividerci come un muretto. Saltarlo
e ritrovarmi a domani.Domani. L’ho scritto sul palmoDomani, la vita.
Mi sono svegliata che ancora l
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uce non c’era. Fissavo le lancettevolevo strapparle, erano lente, e iogià correvo.
Prepararsi, scegliere gli abitgiusti, iniziare a sperare.
Uscire di casa e sperare
Prendere l’autobus e sperare, salire scalinate e sperare, percorrere icorridoio e sperare, entrare inclasse e sperare, e dopo nessuno.
Chi erano loro là dentro? Senzdi lei erano schegge di pianto.
Seduta al mio banco, fissavo l
porta.Non sarebbe per me iniziatnessuna lezione, non sarebb
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niziato quell’anno scolastico, nonero presente in quell’aula.
Oramai lo sapevo, me lo sentivoal centro di tutto, che Eva nonsarebbe tornata, e forse per sempre
Un lutto senza terra a coprirlo. E
a rabbia per non sapere a chchiedere, per non averldomandato qualcosa, un numero dtelefono, un indirizzo, nemmenoun bacio.
Ho trascorso notti terribili, non
volevo dormire.Eva arrivava nei sogni, e posvaniva, con loro.
Ho sofferto così tanto da piegar
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l mio cuore.Io l’ho visto in ginocchio
chiedermi aiuto.
Passano i giorni, diventano mesi, ho tredici anni.
Alta, il corpo elegante, i capellcorti, ciocche biondo scuro suglocchi, e il ricordo di Eva ancora conme, un acquerello dai colorndelebili, che le mie lacrime non
scolorivano.Eppure continuavo a vivere
tentando di amarmi.Vestivo con cura, mi piacevano pantaloni di una taglia più grandee camicie strette con i polsin
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slacciati, i foulard di seta che mcuciva mia zia, le scarpe dmaschio, e come mi guardavano gluomini, mi sorprendeva ogni volta.
Nei loro occhi c’era qualcosa chnon riuscivo a comprendere
Un’insistenza che mi facevarrossire. Quasi vedessero in muna donna avvenente, non untredicenne che la gente scambiavper un ragazzino.
Mi chiedevo il perché del loronteresse. Volevo domandarlo a mi
madre. Non l’ho mai fatto. Tantoera inutile.Aveva iniziato a contare i sold
che guadagnava, a voce alta, ogn
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sera, e non c’era mai una volta chmi abbracciava.
Lei coperta da provocantvestaglie, il rossetto sbavato, la su
ellezza ancora intatta, perfetta.Era diventata abitudine la su
noncuranza, non riuscivo colpevolizzarla, lei era così, erassurda.
Era qualcosa di primitivo, drozzo. Aveva un cuore selvatico, maaddomesticato dall’amore.
Al suo cospetto il suo cuor
scappava nei boschi, saliva suglalberi. E lo vedevi, là in altonascosto in mezzo alle foglie, inattesa di essere solo per scendere,
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correre veloce alla ricerca di unuco dove infilarsi.
Mi veniva voglia di strapparglieloe legarlo al mio petto, stretto lì, inostaggio, per parlargli di me, dquanto di lui avessi bisogno.
Accoglievo con dolcezza i suomomenti di pace, quando riusciva parlarmi, seppure di cose sciocchediscorsi inutili su qualchprogramma televisivo che nonriusciva a comprendere.
Oppure mi faceva all’improvviso
domande, voleva sapere comandava la scuola, ed era assurdorisponderle, perché mi guardavsenza dire mai nulla.
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Mia zia era protettiva con leicolma di una compassionesagerata, grottesca.
La ricordo soffrire, tentare ddomare la sua natura selvaggia, mia madre riderle in faccia
magnifica, e ancora più folle.
n quel periodo mia madre avevun amante, era un tipo temuto nemio quartiere. Lo chiamavano iSanto della Barona.
Non era un santo, ma un
delinquente trentenne.Era già stato arrestato due voltese ne fregava. Diceva siamo in
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talia, un paese di agnelli, e io sonol lupo.
Assomigliava al cantante dei DiAntwoord. Alto, magrissimoun’espressione truce sul volto, e tatuaggi a decorargli la pelle.
Voleva bene a mia madreriusciva a capirla. Mi diceva è un pomatta, ma mi fa ridere.
Con me si comportava come unfratello, nel quartiere nessunoosava farmi del male, mproteggeva.
A volte sedevo con lui sulle scaldel mio palazzo, per ascoltare icasino che faceva la gente. Stavamoì, dopo cena, in penombra.
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C’erano sempre rumori simili spari, grida, e un violino, queamento di gigli.
Lo suonava il figlio di unpanettiere bastardo, che spessopicchiava sua moglie, e lei strillav
così tanto da farti venire l’angoscia.Quel violino era l’unica cosromantica, dentro quella prigionper poveri.
La storia tra il Santo e mia madre durata una primavera. Io e lu
siamo rimasti amici, loro dunvece hanno iniziato a ignorarsi.Il giorno che si sono lasciat
avevo l’esame di terza media.
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Il Santo si era stancato, dicevche mia madre non era in grado damare nessuno. Le aveva chiesto dcambiare lavoro. Lei non lo avevneppure ascoltato. Un pochino hsofferto, non tanto, forse per un
questione di orgoglio.Quell’anno sono stata promossae il Santo mi ha fatto un regalo, uncollana d’oro con un crocifisso.
Il crocifisso l’ho tolto, e al suoposto ho messo la piuma di Eva.
Una sera, poco dopo l’esame, allcena di classe, il mio primo bacio.Avevo una camicia a quadretti
ui non mi piaceva, ma volevo
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aciare qualcuno e l’ho fatto.Ho scelto un maschio, per non
tradire il ricordo di Eva. Come se lepotesse vedermi, soffrire. Come sdovesse rimanere la sola, l’unicoamore femminile della mia vita.
Ho cancellato l’estate dei miequattordici anni, solamente queacio è ancora con me, dolcissimo
e triste.
Mi sono iscritta al liceo artistico. Mpiaceva disegnare. Avevo iniziato
da piccola, con mia zia in cucinamentre mia madre era nella sustanza con qualche cliente.
C’era un cigno sul tavolo, d
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porcellana, ed era diverso dagli altrsparsi in tutta la casa, era grandecon le ali dorate.
Lo disegnavo ogni giornodecorandone con cura le piume, inmemoria di Eva.
A scuola ero corteggiata, coscome una pietra rara, o una bestiolda mostra. Non facevo nulla perendermi anonima, enfatizzavo dettagli, facevo stranezzeMovimenti inconsueti, pos
izzarre. Il modo di usare l
espressioni del volto. Variazionminime, a volte impercettibili, glocchi.
Volevo inquietare. Er
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difendermi, costruire armature, unrecinto.
Sognavo un cuore di ferro chmai arrugginisce, né soffre.
Quante volte mi era accaduto dessere chiamata frocetto, non c
facevo neppure più caso.Attiravo sguardi camminandoper strada. Per chi non mconosceva, io ero un ragazzo.
Più alta, ancora più androgina. capelli corti, i pantaloni maschildal taglio elegante, le camicie d
ino, i miei passi, il modo lieve dmuovermi, le mie espressioni, ivolto, studiarlo.
Avevo una storiella con un mio
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compagno di classe, Matteomaschietto carino, con le lentigginiNoi a stringerci nascosti da tuttosucchiarci il collo e scoprire la pellesfiorarci.
Mi piaceva abbastanza, non
troppo. Dopo tre mesi ero gistanca.Mia zia intanto invecchiava, l
mani tremanti, perdeva clientiFaceva i cruciverba e ingrassavseduta. Poveretta, che sfortuna lsua vita, un ascensore dentro un
aratro.Mia madre sempre bella, ma lsua follia si era artefatta, una pos
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quasi, un ricordo lontanissimo dellsua gloria illogica.
Aveva appreso una cosprostituendosi: che i soldguariscono. Sono come colla chricompone un vaso a pezzi. Com
una medicina potentissima, ingrado di rimarginare una ferita. Chè nato ricco non lo sa, sui ricchi soldi non funzionano.
Ma i soldi ti cambiano i sognirendono piccole le favole, sonomattoni di metallo, cemento sopr
’erba.Si era raffinata la sua follia, erdiventata di lusso.
Eppure non eravamo ricche
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facevamo fatica a pagare le bolletteMa lei, a forza di contare soldi ssentiva milionaria.
Le era venuta la smania dpasseggiare nel quartiere. I tacchalti, la gonna stretta, si atteggiav
da signora distinta.Lo sapevano tutti che era unprostituta, le ridacchiavano dietroma non troppo, avevano paura deSanto.
È stato durante una di questpasseggiate teatrali, che ho
conosciuto Divna. Ricordo la primvolta che ci siamo incontrate. Avevosedici anni, lei diciassette.
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Mia madre aveva insistito pearrivare fino al parco Teramodiceva di sentire il bisogno di startra gli alberi, e Divna era lì, con iSanto e altri ragazzi, a fumarcanne, e bere birra dalla bottiglia.
Bianca, vestita di nero, gli occhtruccati di viola. Capelli lunghiscuri, con la riga nel mezzoCom’era bella. Una bambola gotica
Il Santo mi ha detto si chiamDivna, è arrivata qui ieri, non possoospitarla, è scappata di casa, vuol
cominciare a spacciare.Mia madre è andata a parlarlepoi le ho viste abbracciarsi, e dopopoco Divna è venuta a casa con noi
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Mi piaceva, è stato un colpo dfulmine.
Mi sono detta che dovevo farfinta di niente, e aspettare svanisse
Ha iniziato a lavorare con mi
madre. Viveva nel suoappartamento. Almeno non dovevstarsene in giro, nel freddo, diceva.
Spesso li vedevo entrare. Clienttrafelati, un ciao sussurrato, il visodi Divna dietro la porta socchiusaUna piccola luce, l’oscurità, acceca.
Provavo rabbia. Volevo portarlvia da quelle mani schifose, lodiavo.
Odiavo gli uomini, sempre loro
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Gli stessi che mi mangiavano conocchi da lupo.
Potevano essere in compagnidei loro figli, la moglie per manonon si fermavano. A volte vecchizombie pelati, sepolcri.
Avevo capito a quindici anni iperché del loro interesse.Ero al cinema, autunno, un
signore mi ha seguito nel bagno. Lsua faccia distrutta dentro lospecchio.
Mi ha detto ragazzino mi piaci
voglio succhiartelo.L’ho spinto via, lui allora hafferrato il mio braccio.
In quel momento qualcuno h
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ussato alla porta, e io sono uscita.Ancora sento la sua voce. Er
piena di morte.Ragazzino mi piaci, voglio
succhiartelo.
Spesso Divna cenava da noi. Mia zia trattava con distacco. Io mncantavo a guardarla.
Il suo viso, la pelle, la suellezza assoluta, per me
meraviglia.Fumava distratta, le calze a ret
ucate, e una dolcezza spezzatnegli occhi, che nascondeva conrabbia.
Si fingeva una donna vissuta
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faceva la dura, sapeva combattere. Eaveva nel muoversi una grandeleganza, quasi si fosse esercitatper anni davanti a uno specchio.
Amava i Placebo, li ascoltavanche quando mangiava, con l
cuffiette.La sua canzone preferita era ThBitter End. E la sentivi cantare I seyou at the bitter end anche di nottecon voce da bimba.
Mi piaceva tutto di Divna. Se mabbracciava arrossivo, timida
rigida, buffa, lei allora diceva chero il suo ragazzo perfetto, dopo dme Brian Molko.
Si scherzava sulla mi
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androginia, lo faceva anche mimadre. Che bel figlio che horideva.
Dorothy del Mago di Oz ersvanita, anche il libro erscomparso. Erano rimaste solo l
scarpette d’argento, dimenticate inun angolo della nostra stralunatesistenza.
Si era creata armonia nonostantl delirio, per abitudine, forse, a
massacro.Divna spesso si ubriacava
raccontava la sua infanzia violentaA casa sua la picchiavano tutti. Pequesto era scappata. Che triste.
Me ne andavo nella mia stanz
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per cancellarne la voce. Ascoltavomusica classica. Mi piaceva perchera sontuosa, così diversa dalla mivita.
Amavo Chopin specialmenteascoltandolo piangevo pe
purificarmi dal male. Lo sentivodentro, le lacrime lo portavanofuori, uccidendolo come pescsputati da un lago.
Avevo pudore a sapermi ancorpoetica, fingevo di non esserlo più.
Mi volevo di gomma scheletrica
ma presto sarei stata divorata dacuore.
Un mese dopo l’arrivo di Divna,
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entrato nella nostra vita Marcello.Era un cliente di mia madre, un
truffatore divorziato, e aveva unfiglio.
Di lui parlava poco, diceva chera timido, e della mia stessa età.
La prima volta che mia madre uscita con Marcello, ha indossatoun vestito provocante, i tacchi spillo.
La ricordo scendere le scalsculettando, quasi abitasse chissdove, in una reggia.
In quel palazzone c’era unpuzza di muffa insopportabile, lpareti scrostate, le solite grida, e iviolino.
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Spesso lasciavo il mio quartiereandavo ai giardini Montanelliontano da quella durezza.
Mi sedevo a guardare i cigni neago, sola, con me la collana, l
piuma di Eva.
La indossavo sempre, noindivisibili, ma a volte mi venivvoglia di lanciarla nell’acqua, e dvederla svanire.
Un pomeriggio, mentre ero lì, hovisto Divna, all’improvviso quel suo
pallore nel verde.Non ne sono stata felice, mi sononascosta, temevo mi vedesse, mvenisse a parlare.
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Nonostante la conoscessi già ddue mesi, mai eravamo rimaste dsole. L’avevo sempre evitato, avevopaura.
Cosa ne sarebbe stato di me, smi fossi innamorata di una ragazz
che si vendeva? Come avrei potutosopportare quell’incubosovrapporlo a quello di mia madree di Eva perduta?
Però quanto era bella, si erfermata poco fuori dal parco, a
astioni di Porta Venezia. La spiavo
restare ferma accanto a unsemaforo.Dai Dorothy, esci dal cancello
avvicinati, tanto stai soffrendo
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ugualmente.Mi sono fatta coraggio. I mie
passi, arrivare, dirle ciao, aspettqualcuno?
Il mio imbarazzo, emozione. Sìaspetto un amico, se vuoi rimani
mi farebbe piacere.Noi due in silenzio, vicine.Ci guardava la gente. Io candida
ei il mio contrario.Avevo iniziato a vestirmi d
chiaro. Camicie bianche, pantaloncolor avorio, i capelli corti, portat
all’indietro. Ero un angelo stranoDivna il mio opposto. Vestitrigorosamente di nero, i capell
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unghi, rossetto viola, un tenerodemone.
Le ho chiesto una sigaretta. Hrisposto se vuoi te la accendo.
Poggiare le mie labbra dov’eranostate le sue. Forse è stato quello i
nostro primo bacio.
Dopo qualche minuto si è fermatun’auto. Siamo salite. Alla guida unragazzo, i capelli rasati, gli occhtruccati di scuro, una croce supetto. Non era contento ci fossi. H
chiesto chi è il damerino, il tuofidanzato?Ci siamo guardate. È stato fort
quell’attimo, perché Divna mi h
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preso la mano.C’erano raggi di sole, music
tetra, odore di hashish, fumavano.Vuoi un tiro? Non lo avevo ma
fatto. Sì, grazie, mi piace. Homentito.
Nella mia testa all’improvviso arrivata la nebbia. Sentivo Divnchiamarmi. Sprofondavo nel fuoco.
Il ragazzo diceva che fa questocretino, è svenuto? Smettilstronzo, non vedi, sta male. Lasciacqui, prima di andartene aiutami.
Quartiere Loreto, il mio corposostenuto da Divna e il ragazzopoggiato su una panchina.
Ricordo le braccia di Divna, l
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sue carezze sul volto, la sua vocche mi ripeteva ora passatranquilla, sono qui, non me nvado.
Non ero mai stata così tanto tre braccia di qualcuno, forse d
piccola, non lo avevo in memoriaEd era magnifico, nonostante imale che avevo, il profumo dDivna.
Non mi ero mai chiesta se lpiacevo davvero. Lei con me giocavsempre a fare la grande, quas
chissà quanti anni avesse, non solodiciassette, e io sedici.Però quel pomeriggio er
diventata come me ragazzina, no
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pomeriggio. I nostri sguardsempre sfuggenti. Per fortuna noneravamo mai sole: mia zia, mimadre, pareti di vita.
Dipingevo il suo volto. AscoltavoChopin, Fantaisie Impromptu, l
mia preferita, una corsa che mportava lontano.Chopin lo avevo conosciuto
grazie ad Antonia, una micompagna di scuola bulimica. Chprima si mangiava il frigorifero, dopo aver vomitato strimpellav
con la faccia storta dagli sforzi.Soffriva. Era fissata con lmodelle, Kate Moss specialmenteDiceva se dimagrisco ancora un po
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e assomiglio, anche io sonoionda.
Nella sua stanza c’erano postedi Kate Moss dappertutto, erangosciante.
Andavo da lei a studiare
studiavamo pochissimo, fumavamosigarette. Oppure incontravamoqualche amico al Cape Town suNavigli, per bere un cocktaianalcolico che si chiamavStoccolma, e che sapeva di ananamarcio.
La famiglia di Antonia ertranquilla. Mi piaceva guardare sumadre rientrare la sera, così realenormale.
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più contro la voglia che avevo di leie ritornare di gomma scheletrica.
Fragole. Divna le adorava. Rossesulle sue labbra. Forse, pensavoerano per lei diventare bambin
che gioca in un lago pulito, matoccato dal fango.Mio cigno. Quel frutto nella tu
occa, guardarti. Adesso ti baciopensavo. Dimentico che vendi ltua vita e lo faccio, senza masmettere, Divna.
Quante volte sono rimastdavanti alla tua porta che si erchiusa facendo entrare un clienteStavo ferma, pronta a proteggerti.
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Quando eri sola, venivo portarti le fragole, tu aprivi, biancaseminuda, il rossetto, le tracce dquella violenza negli occhivergogna.
Lasciavo le fragole nelle tu
mani e scappavo, non riuscivo restare.Avevo paura del bisogno ch
avevo di amarti, di donare qualcosdi puro a te, ragazzina bellissima.
Mia madre la trattava quasi foss
una sua coetanea, una donnmatura, consapevole della suscelta.
Le prestava lingerie provocante
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a truccava, si divertiva.A lei piaceva prostituirsi.Marcello ha dovuto lottare pe
farla smettere. Alla fine ci riuscito. La pagava lui, non altruomini.
Uomini, uomini ovunque.Gli uomini hanno profanato lmia infanzia, la mia adolescenzaDivna, mia madre.
Sono cresciuta sapendo chmangiavo i loro soldi, indossavo oro soldi. Sono stati il padre ch
non ho mai avuto.Li odiavo.Odiavo anche Marcello, ma po
una sera mi ha fatto conoscer
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Thomas, suo figlio, e allora honiziato a sopportarlo.
L’ha portato a cena. Era delicatoquasi femminile.
I capelli biondi, bello e timidodolce.
Mi piaceva.Continuavamo a guardarci.Seduta davanti a lui c’era mi
madre. Gli chiedeva cose sciocchetentava di sedurlo. Ti piace il miorossetto?
Marcello invece lo sfotteva
diceva mio figlio non mangia glanimali. È una nuova moda, sapete giovani sono proprio sciocchi
Guardate com’è secco, io alla su
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età alzavo questo tavolo con unmano!
Lo riprendeva di continuo, gldiceva tieni la schiena dritta, a forzdi stare davanti a quel computer tsta venendo la gobba.
Thomas arrossiva, abbassava losguardo, poi cercava i miei occhiforse temendo di vederli delusi.
Avevo voglia di dirgli Thomascappiamo, anche per me è difficileho bisogno di pace, di guardare lstelle.
Sarebbe bello, pensavo, usciruna sera, noi due, insieme a DivnaNon so, forse un cinema, e magarcomprare pop corn, Coca-Cola
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diventare adolescenti spensieratinormali. Guardare un filmdivertente, Thomas non tristeperché in fondo doveva esserlomolto.
Sapevo poco di lui, ch
frequentava il liceo classico, che sumadre si era fidanzata con unragazzo giovane. Non altro.
Prima di andarsene mi hchiesto sai nuotare? Gli ho rispostodi no. Poi la porta si è chiusa.
È accaduto quella notte. Dormivo. Imio telefono squilla.Ciao sono Divna. Scusami se t
ho svegliata, ho fatto incubi brutti
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posso venire da te?Tremare. Il silenzio. Dire v
ene, e il mio cuore che sembrfermarsi.
Le ho aperto, il suo viso era unsogno che conosce gli schiaffi, m
ha stretta.Noi due nel letto, vicinempacciate. Io immobile trattenevol respiro. Lei accanto. Il calore de
suo corpo disteso, e una carezza neuio.
Per un attimo in lei ho visto Eva
ho visto Eva tornare, era Divna.Mi veniva da piangere, volevodirle di andarsene. Mai più quedolore, ti prego. Ma poi la sua voce
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Dorothy, se io fossi una ragazznormale, una tua compagna dclasse, ti piacerei?
Non ho risposto. Ho chiuso glocchi. Lei mi aspettava.
Dimmelo Dorothy, parlami. T
faccio schifo?Ero ferro che trema. E msembrava che attorno ci fosse soloprecipizio, sulla mia schiena ali, su quel letto il mondo.
Impazzivo dalla voglia che avevodi non avere paura, di tenerla tra l
mie braccia, e baciarla fino amattino.All’improvviso mi sono alzata
ho preso le cuffie.
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Ascolta le ho detto. È ChopinFantaisie Impromptu. Tu sei per mquesta musica.
L’ho lasciata sola, sono andata insalotto.
Ho dormito sul divano quell
notte, sognando rose sbocciare sumarmo.
Ho disegnato per lei un cigno rosagli occhi a forma di fragola. Primdi andare a scuola l’ho infilato sottoa porta della mia stanza, dove le
ancora dormiva, e al ritorno hotrovato sul mio cuscino un carilloncon un cerbiatto che girava tra lmusica. Accanto c’era un foglietto
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tu sei per me questo cerbiatto, cho fermerò tra le mie braccia. Tu
Fantaisie Impromptu.
l giorno dopo ho conosciutoLucrezia. Camminavo verso casa d
Antonia, ero ancora elettrizzatapensavo alle parole di Divnaquando una signora elegante mi hfermata chiedendomi dov’era viBellosguardo.
Non lo sapevo, lei sorridevaDiceva mi sono persa, sono
stanchissima, saresti così gentile dfarmi compagnia mentre bevoqualcosa?
Ho accettato, aveva lo sguardo
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smarrito, era sola.Sembrava la protagonista di un
romanzo pieno di nebbia e castelliAntica e adornata di fascinotragico.
Non capivo quanti anni avesse
Era ancora molto bella. Sarebbmorta con la sua bellezza addosso.Poco dopo eravamo sedute in un
ar. Mi faceva domande, volevconoscere un po’ la mia vita, chcosa provavo, chi ero. Facevo fatica risponderle, però mi piaceva, m
faceva sentire importante.Diceva che assomigliavo qualcuno: Venezia, un ragazzino
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8/19/2019 Supernova - Isabella Santacroce
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iondo, un romanzo. Mi ha chiestose andavo a trovarla.
Ha posato sul tavolo unigliettino, il suo numero. Poi h
detto ora vado, ti aspetto.Era affascinante, e in lei tutto
richiamava sfarzo, ricchezza.Per ore ne ho fantasticato la casaDoveva essere scura. Pareti di pece poi il rosso scarlatto di sete. Perlche luccicano nella penombraTende sontuose e tappeti. Profumod’incenso. Il rumore di vizi, uno
stagno dorato scolpito supavimento.Immaginavo un mondo cos
diverso dal mio da diventar
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rreale. Esisteva davvero?
Divna, Thomas, e poi LucreziaQuante persone stavano entrandonella mia vita.
Ne ho parlato con il Santo, er
’unico con cui ogni tanto mconfidavo. Ricordo che eravamoaccanto al portone del mio palazzoe che nel parcheggio due ragazzgiocavano a tennis con due pezzi degno, che ridendo si tiravano
addosso.
Il Santo li ha guardati, poi mi hdetto scoprirai cosa c’entra con tquella gente, perché niente succed
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per caso, neppure essere qui, oradavanti a questi due deficienti.
Di lui mi fidavo, era saggioDiceva la vita ti parla solo se lpunti una pistola alla testa.
Spesso spariva, ma se avevo
isogno, lo chiamavo, e arrivava.Il Santo era protettivo anche conDivna. È stata lei a dirmi chassomigliava a Ninja, il cantante deDie Antwoord.
Santo, hai presente nel videoEnter the Ninja, quando lui parl
all’inizio? Siete identici.Tutte le volte che il Santo cncontrava insieme, diceva siet
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elle, sposatevi. E allora Divncercava di baciarmi, e io scappavo.
Lo sapevamo oramai di piacercima sapevamo anche che erdifficile, perché non eravamo duragazzine qualunque.
Poi è arrivato quel mercoledì, e dquel giorno la mia vita è cambiataed è stato allora che ho iniziato scoprire che cosa c’entravanoDivna, Thomas e Lucrezia, nellmia vita.
Marcello ci aveva invitato pranzo in un ristorante con camerieri impettiti, i cristalli, mille forchette sul tavolo.
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8/19/2019 Supernova - Isabella Santacroce
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Non dimenticherò mai mia ziaLei in un ristorante così non c’ermai stata, credo pensasse esistesssolo nei film, in America.
Si era preparata quasi dovesssposarsi. Un filo di perle
L’ombretto.Io ero emozionata, rivedevoThomas, e c’era anche Divna. Notre insieme, come avevofantasticato quella sera pensandocal cinema, con i pop corn, la CocaCola.
Si sono salutati, Thomampacciato. Divna già su di giri.Era molto truccata, la cipri
ianca, gli occhi dipinti di nero, un
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tutina aderente. La guardavanotutti, dopo poco era sbronza.
Ha cominciato a parlare dei suoclienti. Chiedeva a mia madre se sricordava di quell’idraulico chpuzzava di piedi. Silenzio.
In tutto quel candore di argenti cristalli la nostra miseria. Battutcretine, i camerieri altezzosi, Divnubriaca che grida portatemi centoeuro di fragole, e la voglia dandarmene.
Le risatine, la gente vicino
voltarsi. Noi come una mostra dquadri bizzarri. Un recinto condentro elefanti celesti.
Combattere inventando fras
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compiute, dare inizio a un discorsonormale. Di quelli che fanno tuttquando si trovano a cena, tra piatte sorrisi che scricchiolano.
Io e Thomas. Guardarci. Esserspecchio l’una dell’altro, capirlo.
Nei nostri occhi la stesstristezza, lo stesso imbarazzo, e idesiderio di essere altrove, non lì
asta.Abbracciarci senza toccarsi
Subire insieme l’inadeguatezza dpadri, madri e parenti. I loro sforzi
un lavoro che non porterà a nullase non alla compassione di chi lama nonostante gli sbagli.
Soffrire mentre mia zia si alz
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per raggiungere il bagno. La sufigura sola tra i tavoli, piccola ncerta nei passi. Smarrita
scusandosi con i camerieri, contutti, con l’aria.
Mia madre che si ritocca i
rossetto specchiandosi in uncucchiaio d’argento. Thomas mutocon lo sguardo sul piatto. Divna chgioca a sedurlo. Che si alza pesedersi sulle sue gambe, che losbaciucchia, mentre lui tenta dschivarne le labbra.
La vergogna, la gelosia, ldelusione, anche la rabbia. Voglidi prenderla a schiaffi, di urlarle d
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smetterla, di non distruggere così imio inizio d’amore.
Ti prego, non farlo, è successoho lottato lo sai, ma ti amo.
Capirlo allora, con disperazionee guardarla, bellissima e sporca
fregarsene dei nostri attimi limpididel cuore che le avevo donato inmezzo alle fragole.
La sua voce deformata dall’alcola sua bocca sul volto di Thomas
parole: vieni da me Thomas, tvoglio.
Un cameriere che arriva, le dicdi stare composta. Signorina stesagerando, c’è chi si lamenta.
E io lì, a guardarla. Guardar
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quel cigno diventare una troia, quesogno diventare macerie.
Lo vuoi sapere? le ho chiestostringendole un braccio. Sì dimmpiccola Dorothy. Ok te lo dico, mfai schifo, moltissimo.
Mi sono alzata, solo unosguardo, e poi sono fuggita.A ogni metro piramidi. L’Egitto
Singapore. Il mondo interopercorso, il dolore.
Sfrecciava Eva nella mia mentea sua ombra era Divna, il mio
dolore una strada, senza nessuno.Vedevo cimiteri di palazzi negozi, insegne al posto di lapidiautomobili striscianti come verm
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smarriti, decomposizione di vitesistenti, sotterrate dallo sforzo dvivere, ancora.
Mi sono fermata. Ho pensato una luce. Ho visto Lucrezia, unrifugio.
Nel mio telefonino il suonumero. Ho chiamato. Lei mi hrisposto. Le ho detto ciao sonoDorothy.
Ciao Dorothy, vieni, ti aspetto.
Un palazzo signorile di Port
Genova, e Lucrezia ad attendermi asuo ultimo piano.Scalinate storiche fino a le
avvolta nel lusso, salirle, e un
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porta si apre.Entrare e sentire l’enorme
Lucrezia tra sculture e cavalldipinti. Uno spazio che mi davvertigini. Un baratro eretto.
Accomodati. Ho vino bianco
squisito.Gelsomino era il profumotintinnii vitrei d’argenti, grandvetrate sul cielo, bagliori.
Non ero mai stata in tantricchezza, tremavo.
Lucrezia mi ha chiesto perché se
nervosa, ora suono qualcosa, così trilassi.Le guardavo le dita, i tast
sfiorati, la sua femminea potenza
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Ogni ritorno è un camminosconfitto, ogni partenza è unmorte che vuole rivivere.
Ritornavo verso casa, ancora piùsbronza. Lucrezia aveva continuatoa versare vino nel mio bicchiere
morbosa di sguardi, elegantementnquietante, carezzandomi sempre.Io che credevo di aver trovato un
rifugio, e mi ero ritrovata conun’adulta sbavante.
Povera illusa, mi dicevo, orsvegliati.
Avevamo visto quel film, Morte Venezia. Un ragazzino amato da unvecchio signore. Adolescenznsidiata da adulti. Freschezz
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contaminata da richiami dangoscia. Lucrezia con le mani suDorothy. Realtà che conoscevo, dtroppo.
Credeva fossi un ragazzinoall’inizio. Mi aveva visto vestita d
ianco, e aveva esclamato. È lui, è imio Tadzio!Si era sentita come lo scrittor
del film, come lui che era in viaggioormai vecchio e ammalato. Comui che all’improvviso vede l
giovinezza che ha perso, e cominci
a inseguirla, per allontanarsi dalldisperazione e risorgere.Lei mi parlava, io non vedevo
’ora di andarmene. Ero
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completamente ubriaca, la testuna vertigine buia.
Sono uscita per stradaarcollavo appoggiata a un residuo
di forza. Pensavo a Divna, la odiavoDicevo adesso vado da lei, le busso
alla porta, lei apre, le sputo infaccia.In tram vedevo la gent
sdoppiarsi, in tutti un’insidia, intutti Morte a Venezia, e finalmentarrivare.
Casa mia, quel quartier
deforme, quella povertà chiara splendente.Arrampicarmi come edera su pe
e scale, tutta a pezzi, buttata.
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Fermarmi. Il mio corpo davantal portone, di Divna. Allontanarmiscoppiare. Un’esplosione la miamuta.
No, Dorothy, non farloascoltami. Vattene adesso, esci pe
strada, vomita il tuo cuore sopr’asfalto, vedrai, passerun’automobile, lo investirà, sarasalva.
E invece restare, morireavanzare, morire, per DivnaStrisciare verso quella stronza
tremare, bussare.Aprimi, voglio prenderti schiaffi, aprimi, Divna.
I minuti, le grida pronte
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sparare, e lei apre. Mi abbaglia, ungalassia il suo volto, che guardame, sola, innamorata, ragazzinvestita di bianco, ubriaca, chtrema.
Non riuscivo a muovere niente,
spostare la rabbia in un gesto, unoschiaffo, no, immobile, pietrificatadavanti all’amore.
Un bacio furioso sul pianerottoloSpingerla dentro, sopra il divanosputarle in faccia, graffiarla,
all’improvviso stringerla fortementre le sue mani mi spogliano.Il lampadario sopra di noi era un
pianeta.
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Dio mio, l’amore è un volo.
Eravamo abbracciate, e il suotelefono ha iniziato a suonareSperavo non rispondesse, hrisposto, era un cliente.
È stato terribile, un boato, lrealtà, uccide.Mi sono vestita mentre parlava
ei allora ha chiuso. Mi ha dettorimani, ho ancora mezz’ora.
Non so perché non l’ho fattonsultarla.
Un’ora dopo camminavo pestrada, percorrevo deliri in salitaallucinata, stravolta.
In me l’eco di un’esplosion
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stordente. Ero un baratro. Undisperazione profonda. Non sapevonuotare.
Ho telefonato a Thomas, quellnotte, non riuscivo a stare da sola.
Mi ha risposto, era emozionatonon riusciva a parlare.Gli ho detto ti prego, fidati d
me. Io sto soffrendo, e forse anchtu.
Lui stava zitto, ma io lo sentivoo stesso.
Mi diceva non chiudere Dorothyrimani qui, non andartene.Thomas, perché quella sera m
hai chiesto se sapevo nuotare?
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Il suono di una sirena, poi il suorespiro. Lui che dice te l’ho chiestoperché mi assomigli, lo so, comme a volte sprofondi. Abbiamo dufamiglie pesanti, dobbiamoallenarci per non annegare. Pens
che bello, noi due, sospesnell’acqua, leggeri.Avevo voglia di piangere, d
uscire dalla mia stanza, e andare dui.
Gli ho risposto proviamociAnche se qui non c’è il mare
andiamo in piscina. In quellgrande, alla Solari, vicino a dove vaa scuola. Io ti raggiungo, prendo l
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metro. Non dirmi di no. Iniziamodomani.
Sì Dorothy, impariamo a nuotaree magari quest’estate andiamoanche al mare, e ci tuffiamo da un
arca di quelle piccole al largo, cos
vediamo i pesci sott’acqua, dovnon ci sono le onde.La sua voce, nella notte l
pioggia.Ti voglio bene Thomas, anche io
Dorothy.
Non ho dormito. Pensavo Thomas, a noi che ci tuffavamonell’acqua. E poi pensavo a Divna,
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ei che aveva fatto affogare in pochminuti il mio cuore.
A scuola ho lottato per nonchiudere gli occhi, poggiare la testsul banco, svenire.
Antonia voleva parlare, er
traumatica, non mangiava piùniente, quasi scheletrica. DicevDorothy guardami, ho le gambcome Kate Moss, sono contenta.
Le ho chiesto se vomitava, mi hrisposto che anche se non mangihai dentro qualcosa.
Avrei preferito non avere lorecchie, o che fosse muta. Mutanche gli altri compagni, di cuconoscevo solamente apparenze
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ritornelli delle loro abitudini, brannterrotti dalla mia noncuranza.
C’era Carlo, che cercava semprdi sedurmi, Anna e Letizia, chm’invitavano a feste. Altri invecche temevo, come Gianluca
Michele, mai stanchi di sfottermichiedermi se avevo l’uccello.Me ne fregavo abbastanza, o
almeno fingevo di farlo.Detestavo quell’aula. Studiavo
pochissimo, mi nascondevo fumare nel bagno.
Il liceo è stato per me untrappola, i professori gatti affamatma sciocchi. Riuscivo a sfuggire a
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oro artigli, me la cavavo studiandosolo pochi minuti, ero veloce.
Non riuscivo a capire perché pegli altri fossero così importantquelle mattinate là dentro. Losservavo all’uscita fermarsi tra
motorini, far girare la loro vitattorno a quel mausoleo di libri avagne, mentre per me era solo
una pausa, perdere tempo.Mi piaceva disegnare, il resto er
l nulla.Quella mattina controllavo i
telefono, neppure un messaggiouna telefonata di Divna.Mi chiedevo se stava vivendo
mentre io riuscivo solo a morire. M
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chiedevo se si era accorta di avermsfregiato, oppure se per lei era statuna cosa da niente, fare l’amore conme, e subito dopo parlare con uncliente.
Che idiota a credere a una ch
aveva venduto tutto, anche l’anima.A pranzo mia madre non c’eramia zia mi aspettava.
Ho mangiato con lei che mdiceva Dorothy hai il viso stancovai a riposarti.
Mi sono chiusa nella mia stanza
ho disegnato un cigno deforme, all’improvviso ha squillato itelefono, era Lucrezia.
Una voce sensuale, adulante.
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Diceva che ero il suo Tadzioparlava di carezze, di passionsoave, sussurrava vieni a trovarmiti farò regali costosi, lo sai, sonoricca.
Le ho gridato di buttare il mio
numero. Ho chiuso senza chpotesse aggiungere altro, e hogoduto: finalmente ero io chtrattavo di merda qualcuno.
Nel pomeriggio ho preso la metroda Famagosta a Sant’Agostino, po
a piscina, e Thomas che maspettava.Minuti d’imbarazzo, salutarsi
sorridersi. Aver voglia di stringersi
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non farlo, ma le nostre mani ssfiorano.
Dirsi ciao come stai. Speriamo csia poca gente. Sì, lo spogliatoio aggiù, a dopo, ti aspetto.
Non avevo mai indossato i
costume. Lo avevo rubato a mimadre. Era rosso, troppo largo peme.
Mi sono specchiata. In testa lcuffia. Ho provato vergognaGuardavo il mio corpo, i senminuscoli, magra.
Volevo nascondermi.Come faccio, pensavo, adesso mrivesto, torno a casa.
Sono rimasta per minuti davant
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a un riflesso, il mio, era buffo.Vai Dorothy, Thomas non t
prenderà in giro, vedrai.Sono uscita nell’odore del cloro
tra il rumore di tuffi, di braccia chspaccano l’acqua.
Thomas era seduto sul bordodella piscina, mi stava guardando.Sono qui, vieni che ci tuffiamo.Mi ha sorriso, ha detto sei bella
perché ti preoccupi.Le paure svaniscono, diventano
spiriti, se le accarezzi, e poi quanto
lu c’era, sembrava il mare.Ci siamo buttati con isalvagente. Sembravamo bambini.
Gridavamo attraverseremo gl
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oceani! Vinceremo le Olimpiadi!Che bello era schizzarsi l’acqu
addosso, spingersi, giocareguardarsi e ridere, e poabbracciarsi, finalmente, insieme.
Sono così felice Thomas, qui con
te. Anche io Dorothy, tanto.Galleggiavamo vicini, nonsapevamo nuotare.
Eravamo lì, fermi nel cielo di unpiscina, sospesi, come duarcobaleni.
Thomas, perché hai tutte quellpiccole cicatrici sopra le braccia?È arrossito, si è coperto
ndossando l’accappatoio.
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Ha detto mi taglio con unametta, così la mia pelle assomigli
al mio cuore.
Thomas a dieci anni solo inmacchina. Sua madre gli dice sta
qui, aspettami, non raccontare nulla tuo padre. È il nostro segreto.Andava dall’amante, si portav
dietro il figlio.Suo marito era fuori tutto i
giorno, la moglie non la volevquella solitudine.
Thomas a undici anni. Sumadre è al telefono, dice tesoro stoarrivando. Poi la porta che schiude, e tua madre non c’è più.
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Tutti i giorni ascolta quella fraseTesoro sto arrivando, e tua madrnon c’è più.
Ritorna verso sera, prima demarito stanco che non parla. Lmummia presa per il culo, se lo
merita, manca sempre.La cena è la tua famiglia dentro piatti. La mangi, non sa di niente, fredda, la lasci lì.
Passano gli anni. Tuo padre nonc’è mai. Cresci con una frase che fmale. Tesoro sto arrivando, e tu
madre non c’è più.
Avevo ancora l’odore di cloro nenaso, le immagini di Thomas ne
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lu della piscina. Sono rientrattrovando mia madre distesa neetto, in penombra, da sola.
Stai male? le ho chiesto.No, Dorothy, penso.A che cosa?
La sua risposta senza più voce.Mamma perché stai in silenzio?Mi sono seduta, le sue bracci
vicino al mio corpo. Mi ha strettaVieni qui Dorothy, accanto a meDormiamo un po’, come quando er
ambina.
Io e lei vicine. Da quanto temponon succedeva.Intimità di una madre e un
figlia, di una storia, la nostra, ch
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diventa di pace. Come una treguche arriva, e si solleva la guerrafino a svanire.
Vedi, ho pensato, bastpochissimo, sdraiarmi accanto a leipiano, fino a sentire l’amore.
Avrei voluto dirle mamma hoisogno di te, stringimi forteSiamo state lontane, torniamo dnoi, da un inizio che abbiamosaltato a cavallo di fiabe. Recitiamoquel libro stasera, io faccio Dorothytu il Boscaiolo di Latta, la zia i
Leone Codardo, come quando eropiccola, e non sapevo.Volevo stringerla, trovarla là in
mezzo, in quel suo corpo rapito d
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tutti, mai mio, che mi aveva datalla luce, per lasciarmi nel buio, dsola.
Volevo confidarle segretiraccontarle di Divna, Lucrezia, dellmia vita insidiata da adulti, dell
paure che avevo, inquietudini.Mi dicevo adesso le parloquando all’improvviso lei sussurrDorothy mi fai soffrire. Le chiedo iperché. Risponde avrei voluto msomigliassi, ma non è andata così, idestino mi ha fatto uno scherzo, h
voluto punirmi.Singhiozzava. Volevo svanire. Eragghiacciante. Coltelli. Unmassacro di me, intollerabile.
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Le ho detto mamma mi dispiacfarti soffrire, ora però devo andare.
Sono uscita di casa. Hocamminato, era fredda la sera. Sonosalita su un tram, nelle mani icarillon di Divna. Un cerbiatto ch
facevo girare. Come me, senzmeta.Dai finestrini le strade, i palazzi
e luci, pensare al Natale. Allcandeline che soffi, e senti glapplausi, nei cimiteri.
Dove vado? No, a casa non torno
Da lei, da mia madre, che mi spacca faccia con una frase.Non ce la faccio più a esser
piccola, con una mente ch
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trasforma gli orchi in pupazzi.Ora mamma ti vedo, sei un
spiaggia di ossa, di cuori scheletrici
Nella notte con un carillon nellmani, ho suonato a Lucrezia. Le ho
detto ciao, sono Tadzio.Le mie dita sull’ottone, e poi lscale. La porta che si apre sullricchezza che grida. Ne avverti lforza accolta da sfarzi, cavalli dpietra, entri impacciata.
Sei la bambina povera che non s
camminare sul mondo del lusso, talbettano i passi, dentro esplodi dsensi, e lei arriva. Una madonna a
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contrario, sinuosa. Ti guarda. Sesua.
Buonasera mio Tadzio, hacambiato idea, ne sono felice, non taspettavo, ma resta.
Non era sola. Un uomo seduto inpoltrona mi fissava, eleganteriflesso nei miei occhi come unmitra.
Sei tu il famoso Tadzio?Impaurita, accanto a una tenda
ui mi sfiorava. Le sue mani su
tessuto le sentivo, erano cera chscotta.È caldo lo spavento, un fuoco
punta.
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Lucrezia, un kimono nero lspaccava il corpo. I capelli sciolti coprirle il seno bianco. Il voltocolpito da una luce. Gesso erafreschezza senza vita, in cenere.
Sei stupendo Tadzio, ha detto
’uomo.Toccagli le labbra, ha risoLucrezia porgendomi un bicchiere.
Che cos’hai al collo? Una piumaCome sei tenero, mio Tadzio.
Hai visto amico caro? È cosgiovane, senti che pelle, è di velluto
Le loro mani sul mio volto, quanto sporco c’era, lo sentivongoiare purezza, inghiottire il mio
terrore eccitato.
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I profumi, volute di fumo, sonorimasta lì, sommersa da loro.
Splendeva la penombra. Errugiada.
Ti piace il mio Tadzio? Non penssia delizioso? Molto, Lucrezia
sofisticato, guarda che ditasembrano vere. Quanti anni haSolo sedici!
Parlavano, polvere bianca sutavolino di vetro. C’era musicepica. Pianoforti e violiniun’orchestra.
Sentivo il marmo del pavimentoentrarmi nel sangue. Le pareti mvenivano incontro. Schiacciavanovoci sopra al mio corpo.
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Osservavo Lucrezia muoversenta. Controllare il mio cranio. I
teschio del suo tempo fuggito. Itrofeo del suo sogno cadutoVenezia con l’acqua che sale, dovall’improvviso riemerge la su
giovinezza perduta.Non essere timido Tadzio, suevi. È buonissimo. Vino francese
squisito.Quanto sei bello, un profilo
fantastico, un’opera d’arte. Avevragione Lucrezia, magnifico.
Ero il centro di tutto, e quantsontuosità attorno.Ero un principe vezzeggiato d
cobra di platino, ero un maschio
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ellissimo, una scultura, mubriacavo, pensavo a Divna, a mimadre.
Avrei voluto sapessero.Lucrezia in ginocchio. La su
testa sul tavolino rigato da polver
ianca.Perché mi guardi così? Vuoprovare? Cocaina. Che nome buffovero? Dai, ridi.
Ho riso. Altro vino.Guardami mamma, guardam
Divna, guardatemi. Ho un
cannuccia d’argento nel naso. Eccocosì Tadzio, chiudi l’altra narice, ortira.
Sei dentro un gioco di cui avvert
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contorni, il recinto e il silenzioHai caldo, ti brucia la gola, nonsenti le labbra, abbassi la testa, ivolume della musica è alto, sepiccola, una lancia che sfonda gloceani.
Guardami Divna, sono come tora, una merda.Guardami mamma. Gente più
vecchia di te vuole sedurmiscoparmi. Capisci? Li vedi? Colano
ava addosso a questa tua figlia chsembra un maschio.
Guardami Divna. Mi drogo, bevovino, mi offrono vodkacomprendimi, a quanto pare nellmia vita non c’è spazio per altro.
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Guardami mamma, anche tunon è facile avere una mammputtana, pazzoide, accade. I figlipoveretti, poi soffrono, finisconomale.
Adesso preoccupati, se ci riesci.
Tu sei l’uragano che mi hstrappata alla vita, e io volo diveltdalla tua noncuranza, verso lperdita della mia limpidezza.
Alle quattro del mattino per stradaNelle mani un cerbiatto, gli occhi,
miei, ancora nudi.Lucrezia mi aveva chiesto drimanere. Dormi con me Tadzio, tamo.
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In tasca due banconote dcinquecento, il suo regalo.
Fermare un taxi. Andare a casaSedersi sui gradini, vedere. Centovisioni, in tutte il mio corpospogliato, carezze sulla seta di un
etto, godere mentre apparivanosquarci di vita.Ricordare le mani di un uomo, d
una donna, sussurrano. Come seello mio Tadzio, rilassati.
I baci. Tu sei la perla che brilla, tucidano con desideri estasiati.
Odori di vino, giri come queambi conficcato in un carilloncolorato di bosco, mentre loro t
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8/19/2019 Supernova - Isabella Santacroce
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coprono, leccano, hai la boccruciata.
Dai tuoi occhi escono lacrimeche loro non vedono, perché thanno tolto anche quelle.
Sei il loro pasto, ti si strusciano
addosso, ti penetrano. Le bracciloccate, lamenti.Non ero io, era un’altra. Ho
pensato.Io sono qui, sui gradini, ancor
viva.
C’era silenzio, sentivo quel violinosuonato, struggente come l’animche avevo a pezzetti, tutta tagliatache mi pregava di prenderla in
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mano e curarla. Fai qualcosa tsupplico, tu sei viva, ma io stomorendo.
Allora ho compiuto quel lanciosquarciando la rabbia, il rancore, idolore, me stessa. Ho bussato all
porta di Divna.Aprimi, sono qui, Divna.Chissà quanti minuti sono
passati, erano immensi. Le braccidi pietra, una spada conficcatdentro lo scheletro, e la porta si aperta.
Dorothy dov’eri finita, tabbiamo cercata. Guarda che occhiTi sei drogata? Che cosa hai fattopuzzi di alcol, hai la faccia stravolta
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Si è avvicinata, tenera, mi stavaciando. Le ho detto di no, mi fa
ribrezzo, non li voglio i tuoi bacinon ti credo più adesso.
Mi sentivo crollare, rovine dentrol cervello, uno schianto nel sangue
L’alba portava inizi di luce, Divnn piedi davanti, dietro di lei unfinestra sulla fine del buio.
Vuoi odiarmi Dorothy? Vuoabbandonarmi? Che cosa sai di meVuoi sapere qualcosa? Volevodiventare una ballerina, lo voglio
ancora, per questo ho accettato dfare quello che faccio, per metterda parte i soldi e iscrivermall’Accademia Teatro alla Scala,
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un giorno diventare un’insegnantdi danza. Sono bravissima. La miprima maestra è stata una vicina dcasa, Maddalena, avevo otto anniMi dava lezioni nel suo salottoAveva risparmiato sulla spesa pe
regalarmi le mie prime scarpetteEro la sua unica allieva. Mi amavaLo sai perché mi piacciono tanto lfragole? Perché lei diceva che sonomagiche, e che quando le mangdiventi più forte. Poi è andata via’hanno sfrattata. Un anno dopo
sono scappata di casa, avevo sedicanni da poco. Non c’era più nientì, solo botte. Mi sono pagata un
piccola scuola facendo di tutto
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avoravo anche di notte, in un barmi toccavano il culo i clientiAbitavo con altri cinque ragazzi inun appartamento lurido, spoglio. Imio letto era un materassoappoggiato per terra. Arrivavo
ezione sconvolta, non ce l’ho fattaGuardavo le altre, tutte perfette, lfaccia felice. Io ero distrutta, vestitdi stracci comprati nei negoziettcinesi, mi ridevano dietro, lo saiEppure come ballavo! Ero meglio doro.
Ha acceso lo stereo. Il suono dFantaisie Impromptu, quel ricordo.Ha iniziato a danzare, spettinat
e scalza, tra abiti gettati per terra.
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Guardami, Dorothy, e dimmi chcosa vedi.
Che cosa vedevo? Disperazionee incanto.
Era un cigno maestoso, un lagoa stanza. Volteggiava disegnando
Chopin con i suoi passi, coselegante e leggera, magnifica, leiDivna.
Divna che si prostituiva, che subriacava, che era cresciutpicchiata da tutti.
Lei era quel cigno maestoso, ch
danzava davanti a me, piangendo.
Non abbiamo dormito, quanto solè arrivato. Lo abbiamo atteso
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sedute sul davanzale, con le gambnel vuoto.
Divna in maglietta, una stella isuo volto, e quanta infanzia rubatanegli occhi.
Baciarla adesso, ho pensato
Essere romantica adesso, davanti anulla che appare. Baciarla adesso non smettere, con le gambe nevuoto. Essere dolce adesso, con icuore che batte, e le labbra sucaldo di un istante d’amore. Esserpulita adesso, in un bacio.
Mi sono girata, crollavano nellmie mani pianeti. Le ho dettoqualcosa, le ho detto Divna, ti amo.
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8/19/2019 Supernova - Isabella Santacroce
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Ci siamo baciate sedute sudavanzale. Eravamo due angeli chsanno cadere, senza morire.
Non mi ha sgridata mia madre. Èstata zitta, di schiena. Mia zia mi h
accarezzata. Non farlo più Dorothyavevo paura ti fosse successoqualcosa.
Mi dispiaceva per mia zia, soloper lei, per mia madre no, ne erovagamente felice.
Non mi ha chiesto scusa pe
avermi ferito, forse non se loricordava neppure.Avevo lasciato Divna distesa ne
etto. Pensavo ai nostri corpi nud
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n mezzo alle fragole. Il loro succoaveva sporcato le lenzuola di rossosembrava sangue.
Le avevamo mangiate facendo’amore, fino a risorgere, senza ma
smettere, fino alla vita.
Ho pensato a lei tutto il giornoOgni dieci minuti andavo supianerottolo. Appoggiavo l’orecchioalla porta del suo appartamentocon la voglia di bussare, dirle or
asta, è tremendo.
Il panettiere del piano di sottogridava, sentivo il rumore di seditirate per terra, le urla della mogli
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che gli diceva sei da manicomio, tfaccio rinchiudere.
Sono uscita di casa, mi sonomessa seduta vicino al campetto.
Mi dicevo se fossi ricca potreaiutarla. Ma come faccio? Adesso
chiamo il Santo, e organizziamouna rapina, o forse è meglio stelefono a Thomas, e gli chiedocome fa suo padre a truffare lgente.
Ciao Thomas, ho bisogno di teDorothy cosa succede? No, niente
mi manchi.Anche lui stava male. Sua madrda due mesi non voleva vederlodiceva che aveva da fare.
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Soffro, e mio padre mi chiammammone, bamboccio. Sa solooffendermi, non vedo l’ora dandarmene.
Thomas parlava, io guardavo’erba sotto i miei piedi, avrei voluto
ci fosse un fiore per calpestarlostrappargli i petali, e poi darglfuoco.
Per bruciare con lui, all’improvviso essere cenerenvisibile al mondo.
Ho iniziato a bere di nascosto, ogngiorno, lo facevo anche con Divna.Andavo da lei, la raggiungevo d
notte, quando tutti dormivano.
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Facevamo l’amore in quellprimavera lunare, per poi sedercsul davanzale, con le gambe nevuoto, e lì baciarci, semprubriache.
Vodka, così trasparente
anestesia pura.Divna capiva, diceva se potessmi troverei un lavoro normale, mguadagnerei pochi spiccioli, dovrei dimenticarmi la scuola ddanza.
Soffrivo, dormivo poco, arrivavo
a scuola sfinita, lottavo per nonaddormentarmi con la faccia suanco.
Antonia mi martoriava. Si er
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tagliata i capelli. Mi chiedevsembro Kate Moss? Sono identica?
Non la degnavo, lei allorfingeva di preoccuparsi delle mifiguracce, dei rimproveri deprofessori, del mio mutismo con
tutti.Ero stanca, innamorata, felicanche, distrutta.
Lucrezia intanto mi cercava, mmandava messaggi.
Mio dolce Tadzio, chiamami.Voleva rivedermi. Io desideravo
sparisse.Quella notte con lei e il suoamico, era per me come un criminedi cui continui a sentire le grida.
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Volevo dirle di smetterla, bastaasciami stare, ma all’improvviso
mi sono ricordata dei suoi milleuro. Li avevo nascosti, dimenticatall’istante, rimossi.
Quante volte mi aveva ripetuto
che potevo chiederle tutto. Erarrivato il momento.Sì, le avrei chiesto qualcosa:
suoi soldi.
Di quel periodo di mia madre houn’immagine. Lei che mette in un
sacco la sua lingerie da mignotta.Sembrava una ragazza che devsposarsi, che butta abiti scomodiche non vuole veda il marito.
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Aveva iniziato a trattarmi coma sorella più grande, mi chiedev
consigli su come vestirsi, pettinarsitrascorrere le sue giornate.
Si lamentava che non avevniente da fare, che si annoiava
aspettava Marcello.La ricordo sulla poltrona per orimarsi le unghie, passarsi lo
smalto, mentre mia zia che ervecchia puliva la casa, lenta, congrande fatica.
Una sera mi ha chiesto io sono
così?Si stava specchiando, indicava sstessa.
Da rimanerci stecchita.
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Ho raccontato a Divna di LucreziaNella sua stanza i Placebo, ero nelloro parole. I’d break the back oove for you.
Lei mi fissava, sorpresa. Hopoggiato i mille euro sul tavolo.
Mi ha chiesto il perché non lavessi mai detto nulla. Si allontanata, le mani sul volto.
Sono andata da lei, mi hrespinta. Ha sussurrato che merdadimmi che è un incubo.
Allora ho gridato non ne posso
più, lo sai? Soffro troppo. E se mdici di no, lo faccio da sola. ChiamoLucrezia, e vado da lei. È moltoricca, mi paga bene, non come que
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poveretti che vengono qui. Sì, vero, è sempre prostituzione, malmeno di lusso, basta farlo pochvolte, poi basta. Capisci? Voglioaiutarti. Io ti amo davvero. E se nonvuoi accettare quello che t
propongo, allora lasciami, vatteneperché io sto impazzendo.Ho pianto. Poi le sue braccia
Divna che mi stringe, piange conme, e dice va bene Dorothy, ma ponon odiarmi.
Telefono a Lucrezia. Le mani mtremano. Bevo vino. Penso che devoavere coraggio. Penso adesso
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chiudo, invece aspetto che lei mrisponda.
Sento la sua voce esultare, contenta, eccitata, mi dice perfettosapevo mi avresti chiamata, questsera ho amici importanti, vorre
presentarteli.Il mio cuore sta male, combattorispondo sì, vengo, però conun’amica, ha la mia età, è molto
ella.Lei sospira, poi accetta.Io chiudo gli occhi, ho bisogno d
vedere qualcosa che brilli.Immagino la vita diventare uncielo notturno, e Divna una stellche danza, alla Scala.
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Navigli di notte, le luci dei localriflessi nell’acqua, la gente pestrada, e noi dentro un taxi.
Mi ero vestita elegante, uncompleto chiaro da uomo, il gel necapelli, e l’angoscia.
In me pensieri che scatenavanonsicurezze macchiate di pena. Eron grado di sostenere quel gioco a
massacro?Divna mi stringeva la mano
diceva stiamo sbagliando, nonvoglio, torniamo a casa, cerchiamo
una soluzione diversa. Mi sento incolpa, ti prego, fermiamoci.Lei non sapeva che io ero in un
ancio, pronta a sopportar
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qualsiasi caduta.Dorothy tu sei pulita, non fanno
per te queste cose. Mi odierai, hopaura.
L’ho baciata, ho preso dallozaino una fragola. La sua magia
che ti fa diventare più forte.Non avere paura, le ho dettoposso farcela a diventare icontrario di un angelo.
Avevo raccontato a mia madre chc’era una festa organizzata dall
mia classe, che andavo da Antonia.Mi aveva appena risposto, anchei usciva. Si stava truccando,
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capelli raccolti, sul suo voltoun’assenza, la sua.
Ho infilato dentro lo zaino lfragole. Ho indossato la collana cona piuma di Eva. E poi via,
combattere.
Divna si era vestita di nero. Unabito corto. Le gambe pallide nude. Tacchi a spillo. Stivali sopra aginocchio. Occhi truccati di scuroabbra rosso scarlatto. Un collar
decorato da borchie.Di sicuro Lucrezia non
mmaginava di vedermi arrivare conuna ragazza del gen
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