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IN FOLIO Giuseppe Gangemi Adamo Carmelo Lamponi Maria Chiara Tomasino Vincenzo Todaro Laura Colonna Romano Marilena Orlando Mariarosaria Fallone Barbara Lino Rita Giordano Daniela Mello Antonella Aluia Rosario Cultrone Francesca Triolo Davide Leone Giuseppe Lo Bocchiaro Bernardo Secchi Dario Gueci Gabriella Musarra Giada Bini Valeria Coco 17 DICEMBRE 2005 RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELL’UNIVERSITA’ DI PALERMO

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INFO

LIO

Giuseppe Gangemi

Adamo Carmelo Lamponi

Maria Chiara Tomasino

Vincenzo Todaro

Laura Colonna Romano

Marilena Orlando

Mariarosaria Fallone

Barbara Lino

Rita Giordano

Daniela Mello

Antonella Aluia

Rosario Cultrone

Francesca Triolo

Davide Leone

Giuseppe Lo Bocchiaro

Bernardo Secchi

Dario Gueci

Gabriella Musarra

Giada Bini

Valeria Coco

17

DICEMBRE 2005

RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELL’UNIVERSITA’ DI PALERMO

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Indice

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Attività

Editoriale

Ricerca

IL PIANO CHE NON C’E’Giuseppe Gangemi

LA RIFORMA URBANISTICA DAGLI ANNI ‘60 DEL XX SECOLO AGLI ANNI ‘0 DEL XXI SECOLO.CONSIDERAZIONI E MEDITAZIONI DA UNA LEZIONE DI EDOARDO SALZANOAdamo Carmelo Lamponi

URBANISTICA E GOVERNO DEL TERRITORIO IN SICILIA: PROSPETTIVE DI RIFORMAMaria Chiara Tomasino

IL PIANO TERRITORIALE DEL PARCO DEI NEBRODIVincenzo Todaro

IL SISTEMA RURALE: TRA PROGETTAZIONE, SALVAGUARDIA, E SOSTENIBILITÀ Laura Colonna Romano

BAGHDAD E I RISCHI DI UNA RICOSTRUZIONE SBAGLIATAMarilena Orlando

I BENI CONFISCATI ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA: LE DIFFICOLTÀ DI GESTIONEMariarosaria Fallone

LA LAUREA AD HONOREM A FRANCESCO ROSI E L’INVITO ALLA VISIONE DE “LE MANI SULLA CITTÀ”Davide Leone

DALLA PARTECIPAZIONE ALLA PIANIFICAZIONE DELLA RETE ECOLOGICA LOCALEVincenzo Todaro e Dario Gueci

SICILIA:SVILUPPO TURISTICO E TERRITORIO. COSTRUZIONE E PIANIFICAZIONE DELL’OFFERTATURISTICARita Giordano

NUOVI SVILUPPI PER LA PIANIFICAZIONE URBANISTICA NELL’INTEGRAZIONE TRA PIANOURBANISTICO COMUNALE E STRUMENTI OPERATIVIDaniela Mello

RETI ECOLOGICHE E GOVERNO DEL TERRITORIO: IL PERCORSO METODOLOGICO DELLARICERCAVincenzo Todaro

PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE E PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA.I NUOVI SCENARI DELLO SVILUPPO TERRITORIALE IN SICILIAAntonella Aluia

PIANIFICAZIONE E PROTEZIONE CIVILE: LINEE GUIDA PER LA REDAZIONE DEI PIANI COMUNALI

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Tesi

R I V I S TR I V I S T AA D E LD E L D O T TD O T T O R AO R A TT O D I R I C E R C AO D I R I C E R C A I N P I A N I F I C A Z I O N E U R B A N AI N P I A N I F I C A Z I O N E U R B A N A E T E R R I TE T E R R I T O R I A L E D E L LO R I A L E D E L L ’ U N I V E R S I T’ U N I V E R S I T AA ’’ D I PD I P A L E R M OA L E R M O

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D’EMERGENZA SISMICARosario Cultrone

IL DIMENSIONAMENTO DEL PRG NEL PROCESSO DI RIQUALIFICAZIONE URBANA.NUOVE MISURE PER LA CITTÀ DELLA TRASFORMAZIONEFrancesca Triolo

LA RETE NAZIONALE INTERDOTTORATO IN URBANISTICA E PIANIFICAZIONE. UN DIBATTITOTRA METODO, OBIETTIVI E PROSPETTIVE DELLE RICERCA NEL CONTESTO NAZIONALE EDEUROPEOBarbara Lino

LA RICOMPOSIZIONE DEI MODELLI TERRITORIALI: POLICENTRISMO E NUOVI ASSETTI TRADIFFUSIONE E CONCENTRAZIONE DEGLI INSEDIAMENTIGabriella Musarra

INTERVISTA A BERNARDO SECCHIDavide Leone e Giuseppe Lo Bocchiaro

PIANO REGOLATORE GENERALE: VARIANTE GENERALE. TESTO DEI PROVVEDIMENTI APPROVATIVI E PRESCRITTIVI EMANATI DALLA REGIONEMaria Chiara Tomasino

LETTUREa cura di Giada Bini, Valeria Coco e Adamo Carmelo Lamponi

FONTI DELL’ILLUSTRAZIONI

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Reti

Dibattito

Documenti

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Il Piano che non c’è

Giuseppe Gangemi

Questo numero di “In Folio” è dedicato al Piano:così era formulato l’incipit del precedente numero di“In Folio” (n.16/Febbraio 2005) con un editorialescritto da Carla Quartarone, in cui si dimostraval’importanza dello strumento urbanistico principale,il Piano Regolatore. Per spirito di continuità editoria-le, si ritiene stavolta di parlare del Piano che non c’è,e ad esso dedicare questo numero di “In Folio”. Il Piano che non c’è non è un assunto teorico, unvezzo intellettuale, bensì si consolida come un assio-ma, determinato dall’assenza di strumenti urbanisticiefficaci ed esecutivi in molte delle nostre città e deinostri territori. In senso strettamente amministrativo “il Piano chenon c’è” potrebbe apparire una espressione priva disignificato concreto, quasi un ossimoro se riferito aduna specifica città e ad uno specifico territorio, per-ché un piano c’è sempre e comunque: sarà il vecchiopiano, magari con vincoli scaduti, ma esso esiste esussiste nelle sue zonizzazioni e nei suoi allineamen-ti. Il suo valore e la sua vigenza si devono considera-re.....eterni, anche se il concetto di eternità può assu-mere un significato blasfemo se applicato a talunipiani regolatori di nostra conoscenza, oppure di con-danna ineluttabile, di cui cioè non riusciamo a libe-rarci in molti altri casi.L’assioma può essere illustrato con degli esempi,classificandolo in più categorie tipologiche.I categoria: il Piano che non c’è, perché non è statoancora redatto e rimane pertanto in vigore il pianovecchio di quasi quarant’anni. Esempio: Catania conil P.R.G. di Luigi Piccinato del 1969.II categoria: il Piano che non c’è, perché purtroppo,essendo stato validato da una approvazione farisaicae ipocrita, esso non può essere attuato. Esempio:Pantelleria, con un P.R.G. approvato alla fine del2004 con correzioni e stralci a tappeto, in tutte lezone omogenee dalla “A” alla “F”, non escluse lecarenze di salvaguardia ambientale e paesaggistica.III categoria: il Piano che non c’è, perché bocciato(eufemisticamente “restituito per rielaborazioneparziale”). Esempio: Trapani con il P.R.G. restituitonel 1999 e il nuovo P.R.G. rielaborato, ancora nonadottato, ma saldamente bloccato in ConsiglioComunale.

IV categoria: il Piano che non c’è, perché – per quan-to approvato dalla Regione – non sono state appor-tate e visualizzate le modifiche prescritte in Decreto.Esempio: Palermo con il P.R.G. approvato nel 2002 eancora ad oggi non corretto in base alle prescrizionidel Decreto.V categoria: il Piano che non c’è, perché entrato invigore per decorrenza dei termini, ma ancora in atte-sa delle valutazioni regionali. Esempio: Caltanissettacon il P.R.G. ancora da approvare, ma già vigente edesecutivo nello stato di adozione con tutte le modifi-che introdotte dalle osservazioni/opposizioni dei cit-tadini accolte dal Consiglio Comunale. VI categoria: il Piano che non c’è, perché bloccato inConsiglio Comunale in attesa degli “emendamenti”(alias modifiche) imposti come condizione per lasuccessiva adozione che di conseguenza si rinviasine die. Esempio: Agrigento con il P.R.G. bloccatoin Consiglio Comunale senza adozione. Nell’intera Regione siciliana i piani regolatori comu-nali che possono considerarsi vigenti, cioè con vin-coli decennali non scaduti, ammontano in tutto a 163,pari a una percentuale inferiore al 42%. Tuttavia, sequesti strumenti urbanistici venissero incasellatinelle categorie tipologiche sopra elencate, ben pochiComuni sarebbero dotati di P.R.G. a pieno titolo;mentre la maggior parte purtroppo rientrerebbero nelcaso del Piano che non c’è.Palermo ne è forse l’esempio più emblematico, siaperché capoluogo di Regione sia perché è l’areaurbana di concentrazione demografica più elevatadella Sicilia. Il primo P.R.G. di Palermo, quello del 1962, è stato asuo tempo redatto, si dice, con sufficienti caratteriz-zazioni mafiose da giustificare l’ascesa della crimi-nalità organizzata proveniente dall’entroterra coninteressi assolutamente concentrati nel settore edili-zio. La grande Palermo è stata tutta edificata con ilsistema di regole di quello strumento urbanistico. Inun famoso articolo pubblicato dal settimanalePanorama qualche anno prima del suo assassinio permano mafiosa, il democristiano Salvo Lima dichiaròcon molta chiarezza che il P.R.G. di Palermo era statoredatto dalla migliore cultura urbanistica del periodoe che il Comune di Palermo si era limitato ad attuare

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le previsioni urbanistiche approvate anche dallaRegione. Il nuovo P.R.G., denominato VarianteGenerale, è stato redatto dall’Ufficio Tecnico delComune di Palermo con una consulenza di assolutoprestigio politico di quegli anni: l’Arch. PierluigiCervellati, già Assessore comunista del Comune diBologna, fortemente voluto da Leoluca Orlando.Da poco era entrata in vigore la L.R. n.° 15 del 1991che introduceva innovazioni nella legge urbanisticaregionale n.° 71/78; in particolare le DirettiveGenerali per la formazione dei nuovi P.R.G. LeDirettive Generali costituiscono atto fondamentaledi democrazia rappresentativa dei poteri consiliariper l’esercizio della competenza comunale esclusivain materia di pianificazione. Le Direttive per ilnuovo P.R.G. di Palermo sono state emanate nel1993 da un Commissario di Governo su propostadello stesso Arch. Pierluigi Cervellati. Soltanto unanno dopo, nel 1994, il Consiglio Comunale si è pro-nunciato sulle stesse Direttive, sostanzialmente perratificare quelle del Commissario. E’ avvenuto il contrario esatto di quel che prevedevalo spirito della Legge.A partire da questo peccato originale, l’iter di forma-zione si è andato sviluppando in un clima di semprepiù elevata esaltazione politica autoreferenziale cheha indotto a identificare il primato “europeista” dellapolitica palermitana con il progetto del suo nuovoP.R.G., con il valore aggiunto dell’ “antimafiosità” ditutti gli atti di formazione e di informazione della sualunghissima fase comunale.La fase comunale si è infatti prolungata per diecilunghi anni, dal 1993 al 2002: soltanto con un altrointervento commissariale è stato possibile estrarredai cassetti comunali gli elaborati del nuovo P.R.G.per trasmetterli alla Regione. Era intanto cessata l’e-popea orlandiana.La fase regionale è stata espletata in meno di duemesi: dalla data di ingresso, 24 Gennaio 2002, alladata di emanazione del Decreto approvativo del 13Marzo 2002 per evitare il rischio di un ritorno alpiano “mafioso” del ’62. Questi sono i fatti.I contenuti. “La filosofia del Piano si basa sul concetto di recu-pero, largamente condivisibile, che però richiedemetodi e tecniche che la disciplina urbanistica ha datempo accreditato negli strumenti urbanistici italia-ni e europei che devono contenere:1) l’individuazio-ne di zone di recupero; 2) il dimensionamento delrecupero in termini di fabbisogni residenziali (pub-blici e privati) e in termini di attrezzature e servizi aprecisa destinazione urbanistica e d’uso all’internodel patrimonio urbanistico esistente; 3) la perime-trazione delle aree sottoposte al recupero che posso-no investire le Z.O.T. “A” e “B”; 4) l’edilizia resi-denziale pubblica da allocare negli edifici esistentida recuperare a questo scopo; 5) le aree libere in

zona “A” e “B” da destinare a spazi pubblici.Indicazioni tutte che devono tramutarsi in previsionie prescrizioni urbanistiche di Piano.” (estratto dalvoto CRU n.° 564 del 7 Marzo 2002).Nel nuovo P.R.G. di Palermo nessuna, ripeto nessu-na, di queste previsioni e prescrizioni urbanistiche èstata trattata. In particolare, non è stata neppure indi-viduata, con opportuna perimetrazione, l’estensionedella zona “A”, né del tessuto storico del centrourbano, né delle borgate storiche, e neppure – udite,udite – dei Quattro Mandamenti (evidentemente dataper scontata, ma non rappresentata). Nonostante tuttele ciance sul “netto storico”, che null’altro è se nonl’edificato del rilievo OMIRA del 1939, la zonizza-zione non è stata compiuta; e ovviamente non vi èdistinzione con le zone B0, B2, B3, B4 inframmez-zate con il “netto storico”.Le zone B e relative sottozone, in spregio al Decreton.°1444/68, anziché zone di completamento edilizioo dichiarate sature, vengono proposte praticamentecome inedificabili. La zona C proposta è talmente limitata da esserestata saturata quasi totalmente con i programmicostruttivi delle cooperative durante la redazione delPiano.Le zone E non tengono minimamente conto deinumerosi agglomerati abusivi che al loro internoinsistono da decenni e di fronte ai quali Pizzo Sellaappare come una elegante new town inglese. Gli standard urbanistici ammontano a 11mq. per abi-tante, invece del minimo di legge che ammonta a18mq. per abitante.Le principali attrezzature, come i nuovi “Centri diMunicipalità”, hanno un mero simbolo grafico, inve-ce di un’area con apposita destinazione urbanistica, ericadono quasi sempre in zone incompatibili (per es.in zona agricola). Oppure i nuovi “Centri perNomadi” che vengono dislocati lungo la linea ferro-viaria o lungo la Circonvallazione, in modo che lerelative aree ricadono in gran parte nelle fasce inedi-ficabili di rispetto (le quali a loro volta non vengonorappresentate). I grandi parchi urbani includono, anziché aree pub-bliche subordinate all’esproprio, interi nuclei resi-denziali e di edilizia economica e popolare, come ilquartiere ZEN. Altri grandi parchi, dati come previ-sti, viceversa non appaiono neanche visualizzati,come il parco di Ciaculli. Ulteriori approfondimenti, per gli specialisti e i dot-torandi, potranno essere desunti dalla lettura direttadei documenti riportati più avanti, con la raccoman-dazione di una attenzione oggettiva e con la finalitàpedagogica che nessuno dei lettori di questa rivistaabbia mai da commettere gli stessi errori tecnici e glistessi errori di valutazione critica in cui si è impan-tanata la città di Palermo e da cui purtroppo non rie-sce a districarsi nemmeno a tutt’oggi.

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Il ciclo dei seminari del dottorato di ricerca inPianificazione urbana e territoriale, del dipartimentoCittà e Territorio, ha ospitato il 7 maggio 2004 EdoardoSalzano uno dei protagonisti più prestigiosi che ha ope-rato attivamente all’evoluzione della disciplina urbanisti-ca a partire dagli anni sessanta in poi.Il seminario dal titolo la riforma urbanistica dagli anni’60 del XX secolo agli anni ‘0 del XXI secolo, ripercorretutti i passaggi nodali che l’urbanistica moderna haaffrontato dalla sua nascita alla costruzione della leggequadro approdata di recente in parlamento, la qualedovrebbe assumere la funzione di quadro di riferimentodelle regioni italiane che operano, già a partire dalla finedegli anni ’70, cambiamenti dei propri strumenti urbani-stici dotandosi a partire dal 1995 in poi di leggi urbani-stiche regionali che si discostano di molto dalla leggeurbanistica 1150 del 1942.Nella sua dissertazione Salzano presenta un percorsocronologico degli eventi più significativi identificandonel 1811 con la redazione del Piano regolatore di NewYork l’origine dell’urbanistica moderna, introducendo leragioni dell’esigenza di pianificare le città. NewAmsterdam infatti da poco New York, centro del sistemacapitalistico è una città che si espande in maniera caoti-ca, in cui le abitazioni vengono costruite in vicinanza difabbriche, diventando invivibile nel giro di poco tempo.L’entrata in crisi della metropoli fa nascere l’esigenzadell’intervento pubblico per regolare ciò che il mercato ela somma dei privati non erano in grado di controllare.La determinazione urbanistica, apre così, un varco all’in-terno del sistema capitalistico borghese per risolvere laquestione, dando origine come soluzione al Piano rego-latore.In Italia spiega Salzano, il problema della pianificazionesi pone più tardi, perchè “lo sviluppo capitalistico avvie-ne più tardi, le città, infatti, restano stabili per moltotempo” e i primi piani regolatori si producono solo nellecittà di grandi dimensioni. Soltanto nel 1942 si ha unalegge che generalizza la pianificazione nelle città, natasotto il regime fascista tiene conto di un dibattito moltoalto con posizioni culturali diverse tra loro, che si leganoalla rendita immobiliare, alla proprietà fondiaria, all’in-dustria, ai vari ceti sociali.Edoardo Salzano invita a riflettere sull’attualità dellalegge urbanistica n. 1150, che predispone un moderno

sistema di pianificazione, con diverse tipologie di piano,in cui il fulcro è il Piano regolatore generale comunale,uno strumento che a differenza dei piani che si sono pro-dotti fino ad allora non riguarda più la città costruita edil suo ampliamento, bensì si estende a tutto il territoriocomunale, esplicitando un carattere strategico che siattua attraverso dei Piani particolareggiati esecutivi, stru-menti questi ultimi di dettaglio. Il Piano previsto dallalegge del 1942 dice Salzano, “è moderno” e prevedeoltre la facoltà dei comuni di espropriare le aree di espan-sione, “l’introduzione di una procedura sulla quale valela pena riflettere ancora oggi”. Sancisce infatti tre tappefondamentali: la fase comunale in cui il piano viene ela-borato tecnicamente e viene fatto proprio dall’autoritàcomunale; una fase pubblica di consultazione-partecipa-zione in cui il piano viene pubblicato e i cittadini posso-no fare opposizione o presentare un’osservazione allostrumento; una terza fase in cui vi è l’approvazione, incui vengono difesi e verificati gli interessi generali chenon sono rappresentati dal comune ma dalle province,dalle regioni, dallo stato, eccetera, affinché essi nonsiano calpestati dal Piano comunale. Questa procedura rappresenta ancora oggi secondo ilprofessore: “un meccanismo coerente e moderno”, incui vengono definite “le garanzie dell’interesse locale,degli interessi diffusi e degli interessi sovraordinati”.Un altro invito a riflettere riguarda la proposta, purtrop-po fallita, portata avanti nel 1962 dal ministro democri-stiano Sullo, il quale proiettandosi oltre le aspettativedegli urbanisti, cercò di introdurre la generalizzazionedel principio dell’esproprio. Verso la fine degli anni cin-quanta, si sono sviluppati in Italia i settori industriali, ilpaese entra bene nella concorrenza internazionale ed ini-ziano a manifestarsi fenomeni di congestione di crisi delterritorio, il benessere è aumentato e i cittadini inizianoad avere esigenze diverse. Nasce così “la stessa esigen-za che era esplosa a New York un secolo prima”, di dareordine alla città, e mentre in alcuni comuni del nord sicominciano a fare i piani, alcuni urbanisti lanciano iltema della riforma urbanistica, che mostra due compo-nenti: una componente legata al sistema di pianificazio-ne (strumenti, procedure, ecc.), una altra componentelegata alla questione della rendita fondiaria, al controllodell’uso e dei valori del suolo. Proprio in quegli annil’INU propone un codice dell’urbanistica, una legge in

La riforma urbanistica dagli anni‘60 del XX secolo agli anni ‘0 delXXI secolo

Considerazioni e meditazioni da unseminario di Edoardo Salzano

Adamo Carmelo Lamponi

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larga misura diversa dalla legge 1150 che introduce ele-menti molto innovativi, in cui si prevede la connessionetra la programmazione economica e la politica urbanisti-ca, l’attuazione delle regioni, la gestione da parte deiprivati di una parte delle aree del comune, la cessione deiproprietari delle aree urbanizzate ed il pagamento delleopere di urbanizzazione da parte dei proprietari e unimpiego dello strumento fiscale per acquisire il plusvalore che si forma nei processi di urbanizzazione.Questo passaggio storico legato alla rendita fondiariaconclusosi con la sconfitta del ministro Sullo e degliurbanisti riformisti “deve fare riflettere perchè con essosi tocca un elemento importante che crea un bloccooggettivo fortissimo degli interessi” e che è quello cheimpedisce ancora oggi in Italia, in molti casi che si portiavanti una buona urbanistica. Un altro aspetto interessante del seminario anch’essolegato alla storia dell’urbanistica, su cui viene lanciatoun invito a ragionare, riguarda le due sentenze della cortecostituzionale del 1968 che seguono la legge Ponte e ilD.M. 1444 del 1968, per le quali la corte costituzionalesostiene che non sia giusto non indennizzare i vincoliimposti dai piani regolatori, e suggerisce la proposta disottrarre il diritto di edificabilità al proprietario ed diconsegnarla allo Stato. Un’innovazione quest’ultima,molto attuale, che se attuata avrebbe consentito di risol-vere la questione senza alcun costo per la collettività. Percorrendo l’iter cronologico della lezione si approdaalle questioni importanti sorte intorno agli anni ’90, incui succedono secondo Salzano due cose molto interes-santi sul piano strettamente dell’urbanistica: il primo “èla sperimentazione di un modo diverso di fare i piani diconcepirli”, e in concomitanza con questo “le regionicominciano a fare una legislazione innovativa”. Dal 1995 le regioni cominciano a introdurre delle leggidiverse dalla 1150 cambiando alcuni aspetti sostanziali.Il primo criterio rilevante è legato alle scelte del pianourbanistico le quali non hanno la stessa durata, ci sonoscelte che hanno un carattere strutturale e che una voltaprese devono valere a tempo indeterminato e ci sonoscelte che possono cambiare nel breve periodo. Da qui è venuta la proposta diventata applicazione indiverse regioni di distinguere la pianificazione in duecomponenti una componente più rigida modificabile daun livello superiore di pianificazione in cui avviene ilcoordinamento delle decisioni e una seconda componen-te più flessibile in cui sono presenti una serie di scelteprogrammatiche che rispettando le prime che si possonomodificare nella durata di un mandato amministrativo.Naturalmente in assenza di una legge urbanistica quadronazionale che desse un minimo di nomenclatura comu-ne “ogni regione ha chiamato i piani come gli è parso epiaciuto”. Un’altra considerazione importante emersa nel semina-rio, sulla quale Salzano nutre qualche dubbio ed invitaad una meditazione, è la questione delle perequazione,proposta dall’INU nel 1995 nel congresso di Bologna

come la soluzione che avrebbe permesso di uscire dallaquestione dei vincoli urbanistici e dall’espropriazionedelle aree. Sostanzialmente perequare significa metteresullo stesso piano i soggetti attori coinvolti in aree urba-nizzabili (in pratica i proprietari), questo “può significa-re che all’interno di un comparto edificatorio si riparti-scono gli oneri e i vantaggi tra i diversi soggetti pro-prietari” ma tutto ciò sostiene Salzano, è esattamente “ilmeccanismo che è stato già introdotto con la lottizzazio-ne convenzionata nel 1968”.L’ultima riflessione riguarda la riforma urbanisticanazionale, su cui viene proposto un confronto con leleggi del passato che hanno segnato la storia dell’urba-nistica nazionale. “La prima sensazione e di una profon-da delusione” sostiene Salzano, perché si affrontano conla nuove proposte di legge nazionali pochissimi temi inmodo pasticciato inoltre continua “se il testo unificatodovesse vedere la luce sarebbe un disastro per la piani-ficazione”. Sul tema vengono individuati alcuni punti nodali su cuibisogna ancora ragionare molto. Il primo riguarda la pia-nificazione del territorio che avviene secondo il disegnodi legge «sentiti i soggetti interessati» ai quali vienericonosciuto il diritto di partecipazione ai procedimentidi formazione degli atti.L’invito del professore è quello di cercare di capire checosa c’è dietro queste parole, qual’è la realtà e il conte-sto in cui ci si muove. In effetti quando si parla di sog-getti interessati, in Italia ci si riferisce ai grandi proprie-tari immobiliari, inoltre fino a questo momento nella pia-nificazione italiana si è sempre difeso l’interesse collet-tivo espresso dagli istituti eletti dal cittadino. Nel testounico si propone un fatto grave, e cioè che le scelte ven-gano fatte “allo stesso tavolo con la stessa parità ammi-nistratori, tecnici e grandi proprietari immobiliari”.Un altro punto rischioso presente nella nuova propostadi legge nazionale, è che le regioni individuano gli ambi-ti territoriali da pianificare e l’ente competente alla pia-nificazione. In Italia, in realtà è sempre corrisposto adogni livello di pianificazione un livello di governo, rap-presentando così una elementare esigenza di democra-zia, con la nuova legge questo punto fermo viene traditoe si può decidere “aziendalmente” qual’è il territorio dapianificare.L’ultimo aspetto si lega alla riforma del titolo V dellaCostituzione e riguarda la definizione di Governo delterritorio. Salzano mette a confronto la definizione deldisegno di legge con la definizione di urbanistica espres-sa nel DPR n. 616 e mostra come “il termine urbanisti-ca avesse allora un significato molto più ampio, piùricco, più completo, meno ambiguo di quello che c’ènella legge che vediamo oggi formarsi”.Dietro questo cambiamento è evidente il rispetto per lamodifica del titolo V, che introduce come nuova compe-tenza il «Governo del territorio», ma viene espressaanche una definizione “molto più riduttiva” rispetto aquella tradizionale dell’urbanistica.

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Il giorno 11 Giugno 2004 si è svolto a Romanell’Aula Piccinato della Facoltà di Architettura“Ludovico Quaroni”, il Seminario di approfon-dimento sui temi della Riforma UrbanisticaNazionale, organizzato dall’Istituto Nazionale diUrbanistica (INU) per discutere il testo del dise-gno di legge per la riforma urbanistica naziona-le, promossa dalla Commissione VIII dellaCamera e che dovrebbe essere portata in Aulanei prossimi mesi. L’incontro di Roma ha segui-to quello svoltosi a Bologna il 21 Maggio scor-so, entrambi riservati ai soci INU, ed ha sottoli-neato la partecipazione attiva dell’Inu al dibatti-to sul testo del ddl unificato Lupi-Mantini,tenendo conto anche di altri ddl e soprattuttodegli emendamenti proposti.Il dibattito si è incentrato sul confronto tre il ddle la situazione normativa e legislativa delle sin-gole Regioni. Hanno parlato i responsabili delleSezioni Campania, Lazio, Marche, Puglia,Sicilia. Moderatore Michele Talia e PresidentePaolo Avarello che ha esposto le tesi dell’INU,introducendo il dibattito.Tra gli intervenuti, Pierluigi Properzi ha sottoli-neato come la riforma urbanistica, in una fase dicrescente protagonismo regionale, sia incentrataessenzialmente su un testo costruito sull’espe-rienza dell’amministrazione lombarda:“Sembrerebbe che lo Stato arrivi per ultimo adare nome e forse legittimità a quanto hannofatto le Regioni legiferando ed a quanto città eprovince pianificando”. Viene sottolineato cheil motivo per cui la riforma è necessaria è la“rimozione del Piano Regolatore come asse cen-trale di una pianificazione fondata sulla regola-zione dell’uso dei suoli e con essa di una conce-zione binaria e contrapposta: istituzione – citta-dino”. Affermazione quest’ultima contrastata daFrancesco Forte che ritiene che la riforma urba-nistica non debba abbandonare le esperienzedella tradizione disciplinare, in ordine alla suacapacità di rappresentazione e comunicazionedei fenomeni di trasformazione delle città e deiterritori. Il contributo della Sezione Marche è

consistito in una lettura del testo di legge diriforma urbanistica regionale “finalizzata avalutarne le possibili ricadute” sull’attività legi-slativa in corso nelle Marche. In particolare ilrelatore ha dedicato attenzione all’applicazionedel principio di sussidiarietà al governo del ter-ritorio, scegliendo in tal modo una lettura“angolata”, mirata a far emergere i nuovi scena-ri aperti dalle proposte legislative.Simone Ombuen, coordinatore GdL INU Lazio,ha sottolineato, facendo una valutazione compa-rata fra il quadro legislativo regionale vigentenel Lazio e le proposte di riforma della legisla-zione statale, la mancanza di linearità nel quadrolegislativo, tanto a livello statale quanto a livel-lo regionale. Importante inoltre la valutazionesulla differenza tra urbanistica e governo del ter-ritorio, infatti con la riforma del titolo V dellaCostituzione la materia urbanistica è stata com-presa nella più ampia materia “Governo del ter-ritorio”, oggetto di legislazione concorrente traStato e Regioni.Il governo del territorio è un concetto che nonpuò essere ricondotto ad un “materia” in sensotradizionale, né tanto meno limitato alla regola-zione dell’uso del suolo tipici dell’Urbanistica.Per ciascuna delle Regioni presenti è stato fattoun sintetico bilancio sullo stato della pianifica-zione, sia di livello comunale che provinciale.Quest’ultimo praticamente inesistente in quasitutte le Regioni.Per la Regione Sicilia ha relazionato GiuseppeGangemi che ha messo in evidenza come lo statodella pianificazione si muove in linea con la sta-tistica dei Piani delle altre regioni (circa il 50%dei Comuni è dotato; un solo piano provinciale èstato approvato), a fronte invece del recentefenomeno della programmazione negoziata deiprogetti complessi che hanno letteralmente inva-so e interessato l’intero territorio dell’Isola sullatraiettoria dei fondi strutturali europei per leRegioni dell’Obiettivo 1.L’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente(A.R.T.A.) della Regione Sicilia ha predisposto,

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Urbanistica e governo delterritorio in Sicilia: prospettivedi riforma

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Maria Chiara Tomasino

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con apposite Convenzioni con la Facoltà diArchitettura di Genova, la Facoltà diArchitettura di Palermo e la Facoltà diIngegneria di Palermo, il documento Linee guidaper la riforma urbanistica regionale, curato daBruno Gabrielli, Giuseppe Gangemi e GiuseppeTrombino. Il documento si muove nel solco dellatradizione urbanistica, posto che la Regione èdotata di una sua legge urbanistica dal 1978.Non si rinunzia allo strumento del Piano comestrumento di controllo delle trasformazioni e diprogettazione delle città e del territorio.La pianificazione si articola nei tre livelli:regionale, con il Piano territoriale regionale(PTR), provinciale, con il Piano territoriale pro-vinciale strutturale (PTPS) e comunale con ilPiano regolatore urbanistico (PRU).Alla dimensione regionale del Piano viene affi-dato il contenuto strategico di connessione co laprogrammazione economica con un preciso col-legamento al Documento di programmazioneeconomica-finanziaria della Regione (DPEFR);alla dimensione amministrativa provincialeviene affidato il compito di sviluppare i conte-nuti strutturali del territorio; alla dimensionecomunale un contenuto più strettamente operati-vo, connesso all’uso e al regime dei suoli.Per quanto riguarda la sostenibilità, essa assu-me, alla grande scala, una declinazione ambien-tale di matrice ecologica anche con riferimentoalla dimensione storica e sociale del territorio.Nella proposta siciliana vengono impostatianche i problemi della fiscalità urbanistica (ICIcome strumento di governance urbana) in rela-

zione ai concetti di perequazione e compensa-zione.Le dotazioni territoriali di servizi e gli standarddi qualità urbana ed ecologico-ambientale ven-gono proposte sotto il profilo prestazionale equindi con livelli differenziati di applicazionecomunale.La pianificazione comunale deve inoltre conte-nere la valutazione della sostenibilità degliimpatti delle scelte in essa contenute soprattuttosul sistema ambientale e deve indicare le moda-lità per ridurli o compensarli. Tale valutazionefa parte integrante del Piano.Secondo i più recenti indirizzi regionali sul con-cetto di sussidiarietà, la pianificazione comuna-le rispetta il principio delle autonomie degli EntiLocali e non è quindi più sottoposta alle appro-vazioni regionali ma soltanto a verifica di coe-renza con il Piano Territoriale ProvincialeStrutturale.Il Piano Provinciale Strutturale fonda i suoi pre-supposti sul SITR; il Piano Regionale, redattodirettamente dagli uffici della Regione, opera inconnessione con il SITR e il SIRA.Il Piano Regionale avvia le consultazioni con gliEnti Locali e con i soggetti responsabili di pro-grammi negoziali di livello regionale e ne rap-presenta il coordinamento strategico.Della riforma urbanistica siciliana si parlerà inun apposito Convegno organizzato dal CentroNazionale Studi Urbanistici (CenSU) con ilpatrocinio dell’INU, dell’A.N.C.I. edell’A.R.T.A., a Catania il prossimo 2 Luglio nelSalone della Corte di Appello del Tribunale.

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Il Parco Regionale dei Nebrodi è stato istituito conDecreto assessoriale del 4 Agosto 1993, a termine di uniter istruttorio iniziato nel 1985 e conclusosi con il votofavorevole del Consiglio regionale dei Parchi e delleRiserve. Esso interessa un totale di 21 Comuni e 3Province, per una superficie pari a ha 85.586. Il Parcoè dotato di un regolamento (art. 6 della L.r. 98/81) chedisciplina le attività esercitabili e i divieti operanti inciascuna zona; tale disciplina cessa di avere efficaciauna volta entrato in vigore il Piano territoriale.

In occasione dell’incontro sul tema “Pianificare pergovernare lo sviluppo”, tenutosi il 23 Luglio 2004presso i locali del Cinema Aurora del comune diSant’Agata di Militello, è stato presentato alla colletti-vità il Piano territoriale del Parco dei Nebrodi1.Questo momento ha preceduto l’adozione del Pianoterritoriale del Parco avvenuta, all’unanimità, da partedel Consiglio del Parco il 24.09.04, e la sua successi-va pubblicizzazione in occasione del Convegno “Areeprotette e sviluppo sostenibile” tenutosi presso i localidell’Orto Botanico di Palermo il 25.09.20042.L’importanza dell’evento riveste, per tutto il territorioregionale siciliano, tradizionalmente non incline alricorso alla pianificazione d’aria vasta come strumen-to di governo del territorio, una duplice valenza. Vieneinfatti esplicitata una precisa volontà culturale e poli-tica a-partitica che, da una parte ricorre al Piano qualestrumento in grado di definire in maniera olistica lelinee strategiche di governo della complessità del ter-ritorio, e dall’altra chiede con forza la necessità cheuna realtà particolarmente sensibile dal punto di vistabiologico e dei valori connessi alla biodiversità, indi-vidui nel Piano un modello di sviluppo compatibilecon le delicate valenze presenti.Il Piano territoriale del Parco dei Nebrodi è infatti ilprimo piano di un parco in Sicilia a rivestire una par-ticolare importanza, non soltanto in termini di primatotemporale (i Nebrodi sono un’area che mai in prece-denza era stata oggetto di pianificazione di area vasta),ma soprattutto in termini di qualità dei contenuti edelle strategie che al proprio interno vengono definitee articolate.In tal senso questo Piano si caratterizza allo stesso

tempo come strumento a carattere strutturale, strategi-co e regolativo. Strutturale perché definisce il sistemadegli usi del suolo e delle attività; strategico perchéorganizza le risorse e finalizza le azioni individuate indirezione di precisi obiettivi di sviluppo sostenibile;regolativo in quanto fornisce un sistema di regole e diindirizzi utili per la gestione delle azioni da attivare.Non più quindi un prodotto rigido ed imposto dall’al-to, ma un processo in continua evoluzione volto a indi-viduare nuove strategie di miglioramento dell’inte-grazione tra istanze ambientali e socio-economiche.All’interno degli obiettivi del parco “concorrere, nelrispetto dell’interesse nazionale e delle convenzioni edegli accordi internazionali, alla salvaguardia, gestio-ne, conservazione e difesa del paesaggio e dell’am-biente naturale, al fine di consentire migliori condi-zioni di abitabilità nell’ambito dello sviluppo dell’e-conomia e di un corretto assetto dei territori interes-sati, per la ricreazione e la cultura dei cittadini e l’usosociale e pubblico dei beni stessi nonché per scopiscientifici”, il Piano si prefigge, nello specifico, dipotenziare la tutela dei valori naturali, ambientali eculturali, insieme agli obiettivi della fruizione pubbli-ca e dello sviluppo sociale ed economico delle comu-nità locali.Le strategie individuate per il raggiungimento di que-sti obiettivi possono essere ricondotte a tre punti prin-cipali:- Conservazione degli ecosistemi significativi e dellabiodiversità; - Recupero e valorizzazione dei paesaggi delle foreste,della pastorizia e dell’agricoltura; - Razionalizzazione e sviluppo delle attività legatealla zootecnia, all’agricoltura ed alla fruizione.Si tratta quindi di un Piano territoriale integrato chetenta di mettere a sistema aspetti e settori (ambientali,territoriali, economici e sociali) tradizionalmente inte-si in maniera separata. In tal senso gli studi preparato-ri alla sua redazione si articolano in un ricco sistema dianalisi strutturato in informazioni di base ed in sistemadi analisi territoriali; queste, sviluppate attraverso l’u-tilizzo di specifiche metodologie, sono state successi-vamente ricondotte ad una sintesi interpretativa e valu-tativa che ha consentito di porre in evidenza le ten-

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Il Piano territoriale del Parco deiNebrodi

Vincenzo Todaro

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denze evolutive, i principali valori, le criticità e le rela-zioni di natura ecologica, funzionale, economica esociale con il territorio3. Alla luce di quanto detto, il Piano del Parco deiNebrodi segna una tappa importante nel passaggio daun paradigma di pianificazione ambientale e paesisti-ca “statica”, tradizionalmente legato alla visione dellearee protette come “isole”, ad un modello di pianifica-zione “attiva ed adattiva” sia in termini di sistemaaperto4 che di flessibilità e di capacità di adeguamen-to al mutare delle dinamiche ambientali, sociali edeconomiche. Tale modello interpreta fino in fondo gliindirizzi della Conferenza di Durban del 2003 relativialla definizione di nuovi rapporti tra conservazione esviluppo sostenibile, tra risorse da proteggere e conte-sto territoriale. Particolare attenzione infatti è stata rivolta al poten-ziamento delle relazioni con il contesto territoriale siainterno che esterno al parco, sia attraverso la predispo-sizione di direttive e indirizzi rivolti alla pianificazio-ne ordinaria di competenza degli enti locali (con parti-colare riferimento alle zone D), sia attraverso il “rico-noscimento” di alcune previsioni degli strumenti urba-nistici comunali.Si tratta quindi di un Piano di settore che, puntando alsuperamento della storica contrapposizione tra tutelaambientale e sviluppo economico, aspira alla promo-zione di un modello di sviluppo integrato che facciadelle ragioni della salvaguardia dell’ambiente e delpaesaggio, le istanze strategiche per lo sviluppo com-patibile del proprio territorio. La conservazione della biodiversità si combina allasalvaguardia degli interessi della popolazione, e leazioni finalizzate al suo potenziamento diventanooccasione di sviluppo economico e sociale, in quantointeragiscono fortemente con le esigenze di program-mazione e di sviluppo economico del territorio. In talsenso, di primaria importanza risulta l’integrazione trale previsioni di Piano e le Politiche promosse daglialtri Programmi attivati contestualmente su questo ter-ritorio che spingono in direzione di una programma-zione territoriale complessiva, anche oltre i confini delParco.Insistono infatti sullo stesso ambito territoriale il PitNebrodi (un Programma olistico per la rivalutazionepatrimoniale del Distretto Turistico rurale Integratodell’area dei Nebrodi), la cui strategia si propone dipotenziare le sinergie tra gli attori economici ed istitu-zionali dell’area, integrando il più possibile i settoridello sviluppo economico con quelli della valorizza-zione del patrimonio naturale e storico, ed il Leader IINebrodi, il cui piano d’azione punta sui temi dell’agri-coltura, dell’artigianato e del turismo.Infine il Piano del Parco rivolge particolare attenzionealla predisposizione di strumenti utili alla sua gestio-ne. Una gestione definita “partecipata” in quantorichiede nuove e differenti competenze, la costituzio-

ne di relazioni ecologicamente ed economicamentedinamiche con il contesto territoriale, ed elevati livel-li di flessibilità spaziale e temporale. Il suddettoapproccio consente di seguire la dinamica dei proces-si in corso e necessita di un continuo monitoraggioche verifichi gli effetti delle azioni attivate, consenten-do eventuali adeguamenti in corrispondenza del muta-re delle esigenze5. Il Piano prevede, inoltre, la redazione di alcuni Pianispeciali di gestione per la formazione dei quali vengo-no definiti gli indirizzi tematici: il piano digestione silvo-pastorale, il piano di gestione faunisticae quello di tutela delle risorse idriche.Infine, oltre al Piano territoriale del Parco, la L.r.98/81 individua altri due strumenti a questo comple-mentari: il Regolamento (art.10), finalizzato a regola-re l’attività d’uso, fruizione e gestione delle risorse, eil Programma pluriennale economico-sociale (art. 19).

Note1 Elaborato da Agriconsulting s.p.a.2 Incontro di studi organizzato dall’Ente Parco dei Nebrodi in col-laborazione con il Corso di Laurea in Conservazione eValorizzazione della biodiversità ed il Dipartimento di ScienzeBotaniche dell’Università degli studi di Palermo.3 A partire dalle valutazioni espresse in questa fase si è manifesta-ta l’esigenza di produrre una proposta di ampliamento del Parco,nonché il potenziamento delle direttrici di connessione ecologicacon l’esterno.4 Passaggio da una visione delle aree protette come isole ad unsistema di aree protette inteso come rete articolata in nodi (aree adelevata naturalità, aree cuscinetto ecc.) ed elementi lineari di con-nessione (corridoi verdi).5 Tra le azioni di monitoraggio individuate risultano di particolareimportanza le seguenti: il monitoraggio delle variazionidelle biodiversita’ in relazione alla trasformazione dell’habitat; il

monitoraggio dello stato dei corsi d’acqua, degli stagni e dei laghet-ti; il monitoraggio dei processi di dissesto sui versanti.

Note bibliograficheA.N.P.A. (2003), Gestione delle aree di collegamento ecologicofunzionale. Indirizzi e modalità operative per l’adeguamento deglistrumenti di pianificazione del territorio in funzione della costru-zione di reti ecologiche a scala locale. Manuali e linee guida,Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, Roma.Cordini G. (2000) (a cura di), Parchi ed aree naturali protette.Ordinamento e gestione, CEDAM, Padova.Delort R. e Walter F. (2002), Storia dell’ambiente europeo, Dedalo,Bari.Gambino R. (1997), Conservare innovare. Paesaggio, ambiente,territorio , Utet edizioni, Torino. Hoffmann A. (2004) (a cura di), Esperienze di programmazionedello sviluppo locale. Il caso del Parco dei Nebrodi, Franco Angeli,Milano.Longhi G., (2002) (a cura di), Pit Nebrodi. Un programma olisticoper la rivalutazione patrimoniale del Distretto Turistico Ruraleintegrato dell’area dei Nebrodi, PIT Nebrodi. Ufficio Unico, S.Agata di Militello.Peano A. (1995), “Aree protette e sviluppo sostenibile”, inUrbanistica, n. 104.Romano B., (2000), Continuità ambientale. Pianificare per il rias-setto ecologico del territorio, Andromeda Editrice, Colledara (TE).Romano B. (2000), Oltre i Parchi, La rete verde regionale,Colledara (TE).Vendittelli M. (1997) (a cura di), Parchi e sviluppo, Roma.WWF (1998), Linee Guida WWF per il Piano del Parco, Roma.

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Il 13 e 14 Ottobre 2004, si è svolto a Milano ilConvegno Internazionale “Il sistema rurale. Unasfida per la progettazione tra salvaguardia,sostenibilità e governo delle trasformazioni”,organizzato dalla Direzione RegionaleAgricoltura della Regione Lombardia in collabo-razione con il Centro di Documentazionedell’Architettura e del Territorio del Politecnicodi Milano. Nell’ambito delle due giornate sono state presen-tate alcune esperienze significative che, maturatein differenti contesti rurali sia nazionali cheinternazionali, hanno avuto come filo conduttorel’attenzione al territorio rurale, soprattutto inrelazione al quadro generale delle Politichedell’Unione Europea. Tra gli obiettivi del conve-gno, quello di sollecitare un confronto tra studio-si e figure di diversa estrazione disciplinare sullecomplesse tematiche relative ai processi chemaggiormente hanno inciso sulle modificazionidelle aree rurali, sul loro sviluppo e sui nuovirapporti tra agricoltura e territorio rurale.Nell’ambito del convegno sono state sottolinea-te le questioni legate ai nuovi ruoli del territoriorurale inteso, infatti, come un “sistema” in cui siconcretizzano una serie di azioni e relazioni tracomunità insediate e ambiente.A partire da queste riflessioni, Maria CristinaTreu, ha condotto un’analisi critica riguardo aimaggiori fenomeni che negli ultimi decennihanno determinato l’impoverimento delle areerurali, focalizzando l’attenzione su tre temi prin-cipali fortemente collegati tra loro: il consumo disuolo agricolo, le potenzialità e i limiti dell’ur-banistica rispetto a queste aree ed infine lanecessità di definire un progetto per il sistemarurale che tenga in considerazione le molteplicitàdegli elementi che lo compongono come lesuperfici coltivabili, i canali d’irrigazione, lestrutture e le infrastrutture create dall’uomo,etc..., un progetto, dunque, che declini i temidella salvaguardia e della sostenibilità. In Italia,secondo gli ultimi dati dell’Istat si consumanocirca 100.000 ettari di suolo ogni anno, e questo

succede nonostante il 20 % delle abitazioni esi-stenti, risultino non occupate, con la perditaspesso irreparabile di una risorsa, matrice nonsolo di produzioni, ma anche di attività, servizi,opportunità. Negli ultimi anni, inoltre si è assi-stito ad un sostegno della politica, con i vari stru-menti a disposizione, che si è tradotta, non nellacura e nella salvaguardia del paesaggio agrario,ma spesso, nel suo impoverimento: ne sono unatestimonianza la costruzione di quelle strutture aservizio dell’agricoltura, sparse nel territorioagricolo, nate attraverso il sostegno alle imprese,ma che spesso hanno avuto un impatto moltoforte sul territorio. E’ stato inoltre sottolineato ilsignificativo cambiamento determinatosi a parti-re dagli anni ’80, quando si comprese che il rap-porto tra uomo-acqua-suolo andava rivisto in ter-mini di sostenibilità. In quest’ottica l’importanzadell’urbanistica, appare rilevante anche ai finidel riconoscimento di quei nuovi valori ambien-tali, ecologici che questi territori svolgono inuno stretto rapporto di interdipendenza con learee metropolitane. Il Convegno si è articolato in tre sessioni temati-che aventi come comune denominatore riflessio-ni riguardo le interazioni città e aree rurali e con-siderazioni circa la ricerca della comprensionedei ruoli “attivi” del sistema rurale nelle dinami-che di sviluppo. In particolar modo nella prima sessione dal tito-lo “Funzioni ambientali: valore e potenzialità”sono stati messi in evidenza i temi legati al ruolodei sistemi rurali nell’ottica della tutela ambien-tale e dello sviluppo sostenibile. Lo scenario sulquale si sono mosse le riflessioni sono partitedalla constatazione della sempre maggiore preoc-cupazione conseguente alle trasformazioni incorso, che hanno l’effetto di determinare unavulnerabilità del territorio agricolo con danniambientali spesso irreparabili. Gli Accordi, le Convenzioni internazionali e lePolitiche comunitarie, sollecitano oggi a ricono-scere le valenze ambientali del territorio agrico-lo, prevedendo la possibilità di declinare le esi-

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Il sistema rurale: traprogettazione, salvaguardia, esostenibilità

Laura Colonna Romano

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genze produttive agricole con l’identificazionedei limiti che garantiscono la qualità ambientale.In quest’ottica appaiono fondamentali azionivolte alla promozione di attività agricole rispet-tose dell’ambiente, al mantenimento della magliaecologica, alla riconnessione dei tracciati vegeta-zionali e delle acque, alla tutela dei suoli.La seconda Sessione “Mercato: opportunità erisposte” ha messo in rilievo alcune questionilegate agli effetti del cambiamento del rapportotra agricoltura e territorio, e agli effetti dellepolitiche europee sempre più condizionate dalconcetto della “multifunzionalità”, concetto cheprevede l’affiancamento alla classica produzionedi alimenti, di servizi di varia natura. Il temadella “globalizzazione” degli scambi mondiali èstata un’altra questione ripresa in molte delleesperienze presentate in questa sessione: glieffetti di tale fenomeno e le ripercussioni dellelogiche economiche hanno oggi, infatti, conse-guenze rilevanti sull’intero sistema rurale, poi-ché tali cambiamenti hanno condotto da un latoalla standardizzazione di molte realtà produttive,dall’altro, grazie alle sollecitazioni della Unioneeuropea all’incremento di alcune economie loca-li che devono affrontare le nuove sfide in termi-ni di qualità dei prodotti.La terza sessione “Pianificazione e trasformazio-ni: qualità e compensazioni” ha affrontato il temadel rapporto tra azioni insediative e aree rurali,luoghi questi, che necessitano oggi di attenzionispecifiche. Nell’ambito di questa sessione inte-ressante è stato l’intervento di M. Gioia Gibelliche ha incentrato la sua attenzione sul paesaggioagrario delle aree di frangia urbana, ovvero quel-le aree prodotte dall’espansione della città cheper il loro carattere di zone di margine tra la cittàe la campagna, sono connotate da una serie diconflitti.Lo studio, presentato, che nasce dall’esperienzaall’interno del PTCP della provincia di Milano,ha individuato una metodologia di analisi e valu-tazione finalizzata alla comprensione dei rappor-ti tra città e campagna e allo specifico ruolo cheil paesaggio rurale assume o può assumere al finedi ottimizzare le interazioni reciproche. I feno-meni di frangia urbana, ovvero quelle realtàcostituite da una espansione accelerata dellacittà, in cui i due sistemi, agricoli e insediativi simescolano, hanno assunto un’importanza note-vole, con dati che registrano più del 70% del ter-ritorio edificato appartenente alle aree di frangiae visto che quasi il 50% della popolazione vive inquesti territori. Il paesaggio agrario di queste aree appare forte-mente eterogeneo e sottoposto a pressioni fortis-sime tendenti non solo a ridurre le superfici ma

anche ad alterarne i caratteri con l’inserimento diinfrastrutture, capannoni, aree estrattive cheframmentano ulteriormente gli appezzamentirimasti.Lo studio ha portato ad individuare da un lato icaratteri delle tipologie principali del paesaggioagrario di frangia, sintetizzabili in quattro ambi-ti principali: ambito agricolo produttivo, ambitoagricolo protettivo, ambito agricolo residuale,ambito agricolo connettivo.Sono stati inoltre identificati gli effetti indottidalle infrastrutture, dall’urbanizzazione diffusa,dalla frammentazione delle aree agricole, dallediverse tipologie di margine urbano e da alcunenormative. Lo studio ha permesso inoltre di indi-viduare indirizzi particolari per le diverse areecampione riferibili anche alle tipologie di margi-ne urbano.Pompeo Fabbri, riprendendo le trame delleriflessioni fatte in precedenza ha sottolineatol’importanza del paesaggio agrario come portato-re di valori autonomi e il rilievo dell’agricolturacome elemento capace di dare forma al territorioe a gran parte del paesaggio. Le recenti trasformazioni, ed in particolar modoil passaggio dalla città compatta alla città diffu-sa, non hanno riconosciuto questi valori, portan-do alla cancellazione di alcune realtà, come tuttequelle “costruzioni agrarie” che si sono andateaffinando nel tempo, divenendo importantissimeper la gestione del territorio; partendo da questepremesse, la riflessione ha preso in considerazio-ne alcuni esempi di aree dove erano presentiforme di organizzazione del territorio, come ilsistema della piantata padana, che aveva precisisignificati e ruoli per certe zone (e la piana delferrarese ne rappresenta un significativo esem-pio), aree che, dal dopoguerra in poi, sono stateoggetto di trasformazione di un paesaggio le cuitracce sono rinvenibili, oggi, solo nelle cartogra-fie. Di fronte a questi temi si è assistito all’in-sensibilità delle normative urbanistiche.Le riflessioni condotte nelle due giornate hannomesso in luce come, oggi , nonostante sia matu-rata l’attenzione rispetto a queste questioni, nonsi è ancora compiuto quel salto di qualità neces-sario per passare da un approccio quantitativo,quale è stato quello che ha caratterizzato la fasepassata, ad uno qualitativo, condizione fonda-mentale perché si apra un nuovo capitolo.

Note bibliograficheCamagni R. (a cura di), (1999), La pianificazione sostenibi-le delle aree periurbane, Il Mulino, Bologna. Fabbri P. (1997), Natura e cultura del paesaggio agrario,indirizzi per la tutela e la progettazione, Città studi, Milano.Ferrara G., Campioni G., (1997), Tutela della naturalità dif-fusa pianificazione degli spazi aperti e crescita metropolita-na, Il Verde Editoriale, Milano.

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La ricostruzione urbana nella città di Baghdad vio-lata dalla guerra: è questo il tema delle riflessionistimolate dal professore Giuseppe Cinà in occasio-ne del seminario organizzato dalla professoressaTeresa Cannarozzo nell’ambito delle attività diDottorato in Pianificazione Urbana e Territoriale,presso il Dipartimento Città e Territorio dellaFacoltà di Architettura, il 27 ottobre scorso.1Nel quadro degli aiuti internazionali volti a soste-nere ora il popolo iracheno nel regime di guerra,poi nel progressivo ritorno ad uno stato di norma-lità, probabilmente la comunità scientifica potrebbefornire un contributo alle autorità titolari della rico-struzione e la pianificazione urbanistica potrebbeavere un qualche ruolo per il futuro di Baghdad,affinché i valori culturali che questa città possiedesi possano tramandare per rimanere delle testimo-nianze storiche tangibili.Tutto ciò non è semplice: l’accordo siglato nel2001 tra le facoltà di architettura di Genova eBaghdad, finalizzato alla promozione di azioni direcupero del centro storico, dopo l’inizio dellaguerra non ha avuto alcun seguito;2 rispetto agliorrori causati della guerra, che impongono diaffrontare i problemi legati all’emergenza, qualsia-si altra attenzione rivolta a bisogni che non sonomateriali passano in secondo piano.Il seminario è stato articolato in tre parti: una primadedicata al senso della ricostruzione post-bellica inrapporto all’agenda politica e al contributo che gliurbanisti sono chiamati a dare; una seconda didescrizione della città in rapporto alle sue origini,alla sua configurazione attuale e alla strumentazio-ne urbanistica; un’ultima parte di proposte su temie problemi urbani considerati possibili punti di unapolitica di ricostruzione.Nel suo discorso il prof. Cinà, definisce le opera-zioni da attuare nella città di Baghdad come inter-venti non solo di ricostruzione esclusiva maanche e soprattutto di “riqualificazione”: sebbenela città subisca distruzioni ogni giorno, essa pos-siede una struttura fisica estesa e salda, un asset-to sociale e insediativo riconoscibile e una forteidentità culturale.

Ad oggi molti investimenti sono stati stanziatidagli americani e da altri paesi donatori, il ProjectManagement Office ha in agenda 2300 progetti3,anche se i dirigenti delle strutture amministrativedel momento dichiarano di non avere avuto alcunadisponibilità di denaro e lo stato di scuole, servizi,ospedali si presenta inaccettabile. Se davvero talisomme di denaro sono disponibili ci si chiede chidebba gestirli ed esercitare il controllo sul territo-rio: “normalmente” perché ciò avvenga occorre checi sia una istituzione pubblica che regola e control-la le trasformazioni; ma questa “normalità” in guer-ra non può esistere: quando l’Iraq è stato occupato,le strutture pubbliche amministrative e di serviziosono state smembrate. Tra l’atro, chi esercita untale controllo, dovrebbe possedere una conoscenzaprofonda della realtà attuale, purtroppo destabiliz-zata da un regime di guerra che imperversa da anni. Tale realtà è molto ricca e densa di storia: l’Iraqd’oggi è l’antica Mesopotamia, la fertile striscia diterra compresa tra i due fiumi Tigri ed Eufrate, unadelle più antiche culle della civiltà umana, in cui sisvilupparono la scrittura e la società urbana, in cuinacquero l’astrologia e le più antiche leggendeconosciute, molti millenni prima della nostra era.La città di Bagdad, detta anche Madinat el Salaam(Città della Pace), fondata nell’anno 762 d.C.,costruita a pianta circolare per simboleggiare ilcosmo, viene distrutta dai Mongoli nel 1258, men-tre la cittadella fortificata edificata nel XII secolo,sulla sponda sinistra del Tigri, diventa il nucleodella moderna capitale dell’Iraq, che vive un gran-de sviluppo economico ed edilizio nel corso delsecolo XX. Alla fine della prima guerra mondiale,quando Baghdad diventa capitale, viene redatto ilprimo piano urbanistico, seguito dal piano appro-vato nel 1936, che ricalca le linee revisionali delprecedente e viene attuato in gran parte, preveden-do nuovi tracciati stradali e la zonizzazione dellediverse funzioni urbane, tra cui quelle industriali.Dopo la seconda guerra mondiale, la risorsa delpetrolio fa decollare l’economia locale un tempobasata sull’acqua. Baghdad da 356.000 abitanti nel1957 arriverà ai circa sei milioni di oggi. Negli

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Baghdad e i rischi di unaricostruzione sbagliata

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anni ‘50 la città è anche oggetto di attenzione daparte dei grandi dell’architettura: Le Corbusier,Frank Lloyd Wright, Alvar Aalto, Walter Gropius,Giò Ponti, Pierluigi Nervi, progettano, e alcuni rea-lizzano, grandi strutture pubbliche.4 Negli anni ’60viene promulgata la prima legge urbanistica delpaese e si verifica l’attestarsi della città nuova nellacittà antica, come era già avvenuto con i quartieriottocenteschi: interventi di sventramento interessa-no il centro storico medievale costituendo una evi-dente ferita, nascono ampie zone d’espansionefuori le mura, a nord e a sud della città, sino adoltre 20 km di distanza dal centro. Oggi le arterie che raccordano i nuovi quartieri pre-sentano architetture aderenti ai canoni del movi-mento moderno che ospitano uffici, residenze, atti-vità terziarie, insieme ai caratteri della cultura figu-rativa locale, che si ritrovano prevalentementenelle strade attestate a pettine sui nuovi assi viari;qui i caratteri tradizionali della città si ritrovano sianel linguaggio figurativo che nelle funzioni preva-lenti (attività artigianali, sale da thè, case e piccoliedifici residenziali). Negli anni ’80 sono stati avviati alcuni studi per laconservazione di alcune parti del centro storico: unprogramma per il recupero di due quartieri storici,degli studi per il recupero di due quartieri forte-mente danneggiati dalla crescita urbana, ma nessunintervento concreto è stato attivato.5Le dinamichedi questa città da decenni sono fortemente condi-zionate da un regime di guerra che non ha regole,destabilizza e rende estremamente complessa qual-siasi valutazione dei problemi urbanistici emergen-ti da affrontare in termini di ricostruzione e riquali-ficazione. Tuttavia a conclusione del seminario, ilprof. Cinà definisce alcuni temi rilevanti dettati daimateriali conoscitivi acquisiti a seguito delle ricer-che da egli stesso avviate:- “la mobilità e i luoghi centrali”: la realizzazionedei grandi assi viari, nel corso del XX secolo, hacomportato una maggiore accessibilità alla zonastorica ma anche il successivo congestionamento diquesta, da risolvere attraverso la previsione di unanuova rete metropolitana che colleghi a luoghialternativi alla città storica;- “la riqualificazione urbana e il recupero dei quar-tieri storici”: le guerre hanno rallentato il rapidoprocesso di evoluzione e crescita urbana avviatonegli anni ’70 e di conseguenza i valori storicidella città esistente non sono stati definitivamentepregiudicati dalle trasformazioni. Pertanto moltispazi della città si prestano ad interventi di riquali-ficazione: i tessuti urbani antichi e moderni, le retiinfrastrutturali, i siti industriali. A questi interventisi affiancano operazioni di recupero dei quartieristorici e della città ottocentesca, per la realizzazio-ne delle quali occorre una profonda analisi cono-

scitiva; “il sistema delle aree verdi”: le aree verdidislocate all’interno dei nuovi quartieri e lungo ilTigri si prestano ad operazioni di riqualificazionedei paesaggi tradizionali del fiume e ad interventidi connessione delle aree per una fruibilità allascala urbana. Per attivare tali interventi è necessa-rio conoscere profondamente la realtà urbana, iden-tificare quindi i soggetti da coinvolgere e infine leproposte progettuali volte ad evitare ulteriori deva-stazioni che mettano a rischio l’identità di unacittà. Il seminario si conclude con una riflessione dellaprof. Cannarozzo sulle modalità di un contributo daparte dell’università. Probamente gli studi e lericerche fatte da lontano, dovrebbero essere sup-portare e accompagnate dalla collaborazione diqualcuno che viva la realtà quotidiana di Baghdad,e che sarebbe pertanto in grado di comprendere davicino i bisogni degli abitanti, le risorse da poten-ziare, i problemi da risolvere. Tutto ciò è difficileda perseguire: chi è impegnato a soddisfare i biso-gni di prima necessità di un popolo devastato daanni di guerra, non ha spazio per occuparsi di que-stioni relative a future strategie di intervento alungo termine.Intanto il “mondo della cultura” non può che esse-re profondamente turbato dalla continua devasta-zione del patrimonio storico causato dalle barbariedella guerra: un dramma diverso da quello umano,ma comunque devastante per il popolo iracheno,per l’umanità e per la sua memoria collettiva6. Intal senso è spinto a fornire un contributo affinché leespressioni culturali, i valori e le radici dell’iden-tità di questa città non vengano cancellati.

Note1 Il professore Giuseppe Cinà, facoltà di Architettura di Genova,Dipartimento Polis.2 L’accordo si inserisce nell’ambito del più ampio progettoAssuranipal, promosso dall’ONG “Un ponte per” destinato allaricostituzione dei quadri per la formazione universitaria, ridottidopo la fuga all’estero di professionisti negli anni ’80 e ’90.3 Il Congresso americano ha stanziato 18,4 miliardi di dollari dainvestire in alcune aree: petrolio, elettricità, acque, educazione esalute, trasporti e telecomunicazioni; 15 miliardi sono stati stan-ziati da altri 31 paesi donatori.4 Wright e Aalto non realizzeranno i progetti. Gropius realizzeràl’Università di Baghdad, Le Corbusier il complesso sportivo,Ponti il Ministero per lo sviluppo.5 È stato redatto il General Conservation Plan di Rusafa (cittàmurata del IX sec.) dallo Studio J.C.P. Architects, ilComprehensive Program per il recupero do Aadhamiya,Kadhimiya e Kark (nuclei esterni alla città murata), Studi per ilrecupero dei quartieri Shawaka e Al Kreimat dal Centro italo-iracheno per il restauro dei monumenti.6 Cfr Paolo Rumiz “il Saccheggio di Baghdad”, La Repubblica,13 aprile 2003. L’articolo commenta l’evento del saccheggio daparte delle truppe americane del Museo archeologico, scrigno ditesori tra i più conosciuti al mondo, depositario delle testimo-nianze della millenaria civiltà mesopotamica. Il Ministero delpetrolio è stato subito protetto dai carri armati; il museo archeo-logico è stato abbandonato al saccheggio.

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E’ ormai provato che il controllo del territorio daparte delle organizzazioni mafiose punta ad otte-nere la cooperazione di soggetti anche non diret-tamente appartenenti alle organizzazioni crimina-li, modificando la struttura delle relazioni socialie alterando negativamente i possibili effetti dipolitiche di sviluppo locale.La legge 109/96 sulla confisca dei beni1 e sullaloro utilizzazione a fini sociali tende a scardinareproprio uno dei punti di forza delle organizzazio-ni mafiose sul territorio, interferendo con la capa-cità di costruire rapporti di collusione e compli-cità con pezzi della politica, delle istituzioni, del-l’economia, dell’imprenditorialità, intaccando ilcapitale sociale mafioso e creandone uno nuovo elecito attraverso la restituzione alla collettività dirisorse acquisite illegalmente.Il giorno 8 febbraio 2005 si è svolto a Partinico,provincia di Palermo, un incontro che ha visto lapartecipazione di rappresentanti delle forze del-l’ordine, di politici, di associazioni e della popo-lazione.L’occasione è stata costituita dalla presentazionedella cooperativa sociale NoE (NoEmarginazione) nata proprio a Partitico, dove,grazie all’applicazione della legge 109/96, sonostati resi coltivabili e destinati a colture ortofrutti-cole, circa 5 ettari di terreni confiscati alla crimi-nalità organizzata nella borgata Parrini. La coope-rativa svolge le proprie attività in stretta collabo-razione con il Sert e il Dipartimento di salutementale della ASL di Partinico, al fine di favorirel’inserimento sociale e lavorativo di soggettisvantaggiati;La nascita di questa realtà è stata possibile, nonsenza difficoltà, anche grazie al lavoro svolto dal-l’associazione Libera2 che da anni è impegnata sulterritorio promuovendo nuovi progetti di utilizzodei beni confiscati e sostenendo i soggetti che giàoperano sui beni. Questa esperienza non costitu-isce, infatti, un caso isolato, ma si colloca all’in-terno di un quadro più ampio che rappresenta,ormai, una realtà e un’occasione di sviluppo3.La giornata di lavoro si è svolta proprio nel con-

testo della borgata e dei terreni in cui adesso operala cooperativa NoE; all’incontro hanno partecipa-to il sindaco di Partinico, il Presidente della coop-erativa e i rappresentanti delle Forze dell’Ordine edi associazioni che hanno confrontato le loroesperienze con il presidente dell’associazioneLibera, don Luigi Ciotti, e con il Prefetto diPalermo, Giosuè Marino, da tempo dichiarata-mente disponibile a supportare e promuoverepolitiche di gestione pubblica dei beni confiscati;le tematiche discusse hanno riguardato prevalen-temente i problemi inerenti l’affidamento dei benie la conseguente gestione, da parte dei Comuni edei soggetti assegnatari.Dopo Palermo, in altre realtà come Trapani,Napoli, Siracusa, Torino, in Calabria, in Puglia, aRoma, sono stati formati tavoli tecnici per lagestione dei beni confiscati, ai quali sono statechiamate competenze specifche per rispondere adifficoltà di ordine giuridico, economico, sociale,territoriale e per costruire rapporti fra soggettidiversi. Tali esperienze hanno portato alla firma diaccordi condivisi e alla sperimentazione di formedi intervento concertato. Ma le politiche portate avanti autonomamentedalle amministrazioni pubbliche e le scelte propo-ste dai tavoli tecnici formatisi nel corso delleesperienze, spesso, non sono concordi e questocostituisce una costante rilevante da affrontare egestire; inoltre la specificità dovuta alla natura diquesti beni influisce sulle volontà e sulle politichepossibili; ciò anche a causa dell’importante “valo-re aggiunto” insito nella provenienza dei beni chedetermina la sovraesposizione dei comuni4 non-ché, in fase successiva, degli stessi soggetti asse-gnatari. Il tutto è aggravato da un apparato amministrativoaffatto specializzato e impreparato a svolgere unlavoro attento e specifico: l’Agenzia del Demanio,a livello centrale e periferico, è l’organo prepostoalla gestione e destinazione dei beni confiscatialle mafie; la mancanza di mezzi, strumenti, com-petenze, politiche e progetti specifici, denuncial’inadeguatezza di un apparato statale che rischia

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I beni confiscati alla criminalitàorganizzata: le difficoltà digestione

Mariarosaria Fallone

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di considerare tali immobili e terreni come beniordinari entrati a far parte del patrimoniopubblico.Anche da ciò scaturisce la sottovalutazione dialcuni problemi che soltanto adesso iniziano ademergere con chiarezza per essere affrontati pro-grammaticamente.Recentemente, a Roma, in Campania, in Calabriae in Lombardia sono nate, all’internodell’Agenzia del Demanio, sezioni specifiche especializzate sulla gestione dei beni. In alcuneregioni, inoltre, sono state approvate leggi ad hocsull’argomento5 e sono stati previsti finanziamen-ti appositi6 per supplire alla mancanza delle risor-se finanziarie necessarie alla ristrutturazione degliimmobili, alla gestione delle cooperative, all’atti-vazione dei cicli economici e alla risoluzione diquelle difficoltà alle quali avrebbe dovuto provve-dere il fondo provinciale previsto dalla legge109/967, che doveva essere istituito presso lePrefetture per un periodo limitato di tre anni(1997–1999).Una questione che si discute già da due anniall’interno del dibattito sulla gestione dei beniconfiscati è quello di un loro possibile utilizzo percontribuire all’emergenza abitativa.Il prefetto di Roma ha chiesto al Demanio un cen-simento dei beni immobili con l’obiettivo di con-tribuire alla risoluzione dell’emergenza abitativa,snellendo le procedure burocratiche per arrivaread un immediato utilizzo dei beni, attraverso unprotocollo d’intesa nel quale sarebbero coinvoltila Regione, il Comune, la Provincia oltre ai comu-ni del territorio provinciale.Nel febbraio 2002, a Palermo, un Comitato spon-taneo di lotta per la casa ha avanzato la richiestadi utilizzo dei beni per l’emergenza abitativa.Ma la legge non prevede espressamente che i beniconfiscati alla Mafia possano essere utilizzati perfar fronte a questa tipologia di emergenza socialee per questo motivo, il Comune di Palermo, hademandato la decisione ad una interpretazione delMinistero dell’interno.Con la consapevolezza, in ogni caso, che nonpossa essere una soluzione al problema, si potreb-be seguire la strada dell’assegnazione temporaneadurante l’attesa di politiche sociali organiche eserie che in questo momento non sembrano, però,prioritarie nei programmi dell’amministrazionepubblica.

Note1 Le misure di prevenzione sono state inizialmente previstedalla legge n. 1423 del 1956; la loro disciplina, ha subito unaradicale modifica al fine di contrastare la criminalità organiz-zata di tipo mafioso attraverso la legge n. 575 del 31 maggio1965 intitolata “Disposizioni contro la Mafia”. Il sistema dellemisure di prevenzione è stato poi radicalmente trasformato epotenziato nel 1982 con la previsione delle misure patrimonia-li (sequestro e confisca) introdotte dalla legge n. 646 del 13settembre 1982 (Rognoni–La Torre), che ha introdotto, conl’articolo 416 bis del codice penale, il reato di associazione perdelinquere di tipo mafioso, in conformità ad un’analisi dellapolitica criminale maturata con il contributo fondamentale diGiovanni Falcone. Questa analisi individua una delle principa-li cause dell’eccezionale pericolosità di Cosa Nostra nelleenormi ricchezze di cui l’associazione mafiosa dispone; trovail “vero tallone d’Achille delle organizzazioni mafiose nelletracce che si lasciano dietro, con i grandi movimenti di denaroconnessi alle attività criminose”.Sulla base di ciò il legislatore, nel 1982, ha introdotto le misu-re di carattere patrimoniale applicabili a determinate categoriedi soggetti nonostante che a loro carico non sia stata ricono-sciuta una responsabilità penale con sentenza di condanna.Con la petizione popolare lanciata nel 1995 da Libera, si ègiunti alla legge 109/96 del: “Disposizioni in materia di gestio-ne di beni sequestrati o confiscati”2 Libera è un’associazione nata il 25 marzo del 1995, conl’intento di coordinare e sollecitare l’impegno della societàcivile contro tutte le mafie.3 Libera ha avviato, nella provincia di Palermo, un progettoche fino ad ora ha visto la nascita di quattro realtà impegnatenella coltivazione di terreni confiscati riuniti sotto il marchioLibera Terra, che costituiscono un esempio di applicazionedella legge 109/96: si tratta della cooperativa sociale “NoE”, lacooperativa sociale “Lavoro e non solo”, la cooperativa socia-le “Placido Rizzotto - Libera Terra” e l’associazione “Casa deigiovani”.4 E’ proprio per far fronte a tale problema che molti comunihanno scelto di consorziarsi.5 Si vedano: la legge della Regione Campania n. 23 del 12dicembre 2003; la legge della regione Calabria n. 27 del 13settembre 1999, la n. 5 del 3 marzo 2000, la n. 27 del 26 marzo2001; la Legge della Regione Lazio del dicembre 2004 chemodifica il Testo unico sulla sicurezza e inserisce disposizioniad hoc sui beni confiscati e sul sistema di monitoraggio deglistessi.6 A tal proposito si veda la delibera della Giunta della RegioneCampania, su proposta dell’Assessore alla Sicurezza che neldicembre 2004 ha stanziato circa 10 milioni di euro per la lottaalla criminalità e la realizzazione di progetti integrati e speci-ficatamente: 700 mila sono destinati ad interventi (ristruttura-zione e successivo riutilizzo) a favore dei Comuni ai qualisono stati trasferiti i beni confiscati. La Regione Calabria,inoltre, inserisce un apposito capitolo sul Bilancio (n° 030124UPB di spesa 3.2.03.01) con la denominazione “spesa per con-tributi in annualità agli Enti Locali per favorire l’accesso allaconcessione da parte della Cassa DD.PP. da contrarre, ai sensidella Legge Regionale 31/7/87 n°24, per la ristrutturazionedegli immobili confiscati alla criminalità organizzata…”7 Il fondo provinciale avrebbe dovuto finanziare parzialmentei progetti di immobili confiscati destinati a fini istituzionali,sociali e di interesse pubblico, nonché i progetti di risanamen-to di quartieri urbani degradati, di prevenzione e recupero.

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Il 27 Gennaio 2005 l’università degli studi diReggio Calabria conferisce la laurea ad honoremin Pianificazione Territoriale UrbanisticaAmbientale al regista Francesco Rosi.A volere fortemente l’evento è stato il professoreEnrico Costa che ha proposto il regista napoletanoper questa onoreficienza. L’organizzazione dell’e-vento è stata impeccabile soprattutto per i ritmiche non hanno mai fatto scendere il livello diattenzione. Nell’aula magna della facoltà di archi-tettura di Reggio Calabria il rettore, AlessandroBianchi ed il Professore Enrico Costa hanno intro-dotto la lezione del neopianificatore FrancescoRosi. Ciò che ha, forse, colpito, chi vi scrive, piùdella organizzazione della cerimonia è stato illavoro svolto a contorno. Oltre al consueto set diopuscoli con la trascrizione integrale delle motiva-zioni che hanno portato al conferimento della lau-rea e della lectio doctoralis dello stesso Rosi eradisponibile il corposo volume della rivista“Cinema Città” interamente dedicato al film valsoal regista napoletano questa onorificenza “Le manisulla città”. La rivista, edita da Gangemi Editore,si muove su più campi mettendo insieme architet-tura, urbanistica, cinema e comunicazione. Un talesforzo di sintesi è ben espresso da questa primauscita in cui il film di Rosi è analizzato nei modipiù diversi passando dagli sforzi per ricreare, nelmodo più scientifico possibile, i plastici del film,all’analisi puntuale della realizzazione, veraimpresa di tecnologia architettonica, della scenadel crollo della palazzina. Ciò che intriga mag-giormente lo studioso della città, nel ponderosovolume è comunque, la grande quantità di testimo-nianze di urbanisti a dimostrazione dell’influenzaesercitata dal film sulla massa dell’opinione pub-blica, da un lato, e sui maestri della disciplina dal-l’altro. Unico neo dell’incontro con Rosi è stata lascarsa presenza di studenti all’incontro a lorodedicato. Oltre la cerimonia del conferimentodurante il pomeriggio è stata aperta la mostra dedi-cata al film con la ricostruzione di alcune locatione del plastico che descriveva i progetti della spe-culazione in serata, a conclusione dei lavori, si è

svolta la proiezione del film “Le mani sulla città”.L’opera di Rosi si è contraddistinta negli anni peril forte impegno sociale e per essersi posta comeprosecuzione ideale del neorealismo. Dopo laseconda guerra mondiale, l’industria cinematogra-fica italiana si trovò privata delle strutture produt-tive industriali e commerciali, Cinecittà era inagi-bile a causa delle distruzioni belliche. Queste furo-no le premesse strutturali alla nuova tendenza arti-stica che si caratterizzò, dal punto di vista cultura-le, come una reazione alla propaganda fascista.Per dirla con le parole di Giuseppe De Santis ilNeorealismo è “l’analisi e l’esaltazione del mondodegli umili, dei poveri, gli stessi che hanno fatto laResistenza in Italia e hanno inferto l’ultimo colpoal fascismo; senza la caduta del fascismo, senza laResistenza il neorealismo non poteva nascere”1.Chiaramente le energie del neorealismo erano giàesaurite al momento dell’edizione del film, nel1963, tuttavia Rosi prosegue la ricerca iniziata daisuoi maestri e ciò si vede soprattutto nella sceltadegli attori che rispecchiano nella realtà i ruolipolitici interpretati nel film e nella fedeltà dei sete delle location che danno alla finzione filmica unsenso di realtà assolutamente unico.“Le mani sulla città”, insignito della palma d’oro aCannes nel 1963, è, ancor prima di un riuscito filmpolitico, una vera e propria lezione di urbanistica.La prima scena si svolge nella campagna campanae in non più di un minuto spiega quali siano i mec-canismi alla base della rendita fondiaria e, perconverso, ci fa intuire quale sia stata la benzinache l’Italia ha utilizzato per fare avvenire quelloche oggi conosciamo come “boom economico”.L’imprenditore Edoardo Nottola presenta ad unconsesso di suoi “colleghi” i suoi propositi dicostruire dove e come lui preferisce e di portare alcittà là dove a lui serve. Nottola spiega come ilvero oro sia la rendita fondiaria e come la zoniz-zazione di un piano regolatore possa far aumenta-re il valore di un terreno senza alcuno sforzo.L’imprenditore pretende che i denari pubblici por-tino là dove a lui serve acqua, luce, gas, fogne,strade di modo che lui possa realizzare i massimi

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La laurea ad honorem aFrancesco Rosi e l’invito allavisione de “Le mani sulla città”

Davide Leone

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profitti possibili. Non c’è industria che renda tantocome la costruzione. Gran parte del boom econo-mico italiano si è, infatti, basato sull’utilizzo ed ilsovrautilizzo del territorio che è stata la vera ben-zina che ha fatto crescere l’Italia, le costruzionisulle coste, le seconde e terze case abbandonate edormai male in arnese sono un retaggio di questosfruttamento dissennato2.L’evento drammatico alla base del racconto è ilcrollo di un palazzo del centro storico causato daivicini lavori di ristrutturazione di un palazzo. Rosisi dimostra in un certo senso profeta delle gravis-sime tragedie che avverranno sul finire degli anni’60, l’alluvione di Firenze (1966) e la frana diAgrigento (1966), quasi che si percepisse la non-curanza con la quale si aggiungevano costruzionisu costruzioni, edifici su edifici senza la guida edil disegno della città che soltanto un piano regola-tore poteva dare.Come è noto le tragedie della fine degli anni ’60produssero un largo movimento di opinione chespinse alla promulgazione della legge “ponte” edel D. M. 1444 del 2 Aprile 1968 meglio cono-sciuto come decreto sugli Standards. Il decretosugli standard fu un tentativo di dotare ogni cittàdi una quantità minima ed inderogabile di servizie, se fu promulgato, lo si deve, oltre che alle tra-gedie di fine anni ’60, anche alla sensibilizzazionesul tema della città che il film di Rosi generò.Ogni cittadino avrebbe avuto diritto ad una quan-tità di suolo pubblico per parcheggiare la propriaauto, per potersi svagare in un area attrezzata condella vegetazione, per potere studiare in luoghiadatti e per avere attrezzature di interesse comunecome chiese o altro. La critica recente agli stan-dard urbanistici è stata soprattutto rivolta al fattoche non sempre la quantità di suolo messa a dispo-sizione ha corrisposto ad una qualità del servizio.Tornando al Film, esso affronta anche un altrotema particolarmente cruento della realtà urbanadegli anni ’60, quello dell’abbandono ed in qual-che caso delle “deportazioni” degli abitanti deicentri storici. Come sappiamo l’espansione urbanadi quegli anni provocò l’aumento della renditafondiaria nelle zone periurbane che si andavanocostruendo. La politica seguita fu quella di abbandonare il piùpossibile la città storica a se stessa promuovendola scelta, da un lato, delle classi più ricche diallontanarsi dai centri storici e dall’altro imponen-do alle classi meno ricche i nuovi modi di vita del-l’alloggio popolare, Palermo, forse ancora più cheNapoli, offre un esempio significativo di questatendenza. Il film di Rosi tratteggia questa fasedella città quando l’imprenditore Nottola fa pesareil suo ruolo politico per costringere un intero quar-tiere del centro storico a s-loggiare per proteggere

la propria impresa di costruzioni responsabile diun crollo di un edificio nello stesso quartiere.Dopo il prologo (Nottola in campagna) i titoli ditesta scorrono su immagini della città prodottadalla speculazione, la città in questione è Napoli,il Vomero alto, ed il riferimento alla città parteno-pea è palese durante tutto il film, tanto che lo stes-so, si situa a metà tra finzione e documentario. Adesempio i Piani regolatori citati, quello diPiccinato del 1939 e quello laurino del ‘58 sonoreali3. Come già detto il tema della rendita fondia-ria e dell’abbandono dei centri storici sono palese-mente e coscientemente rappresentati nel film. Lacarrellata iniziale ripresa da un elicottero mostrauna città indistinta, densa priva di servizi dove l’u-nica regola seguita è stata quella di occupare ognispazio per trarne il maggior profitto possibile. Altermine del film il ciclo di Nottola è completo,ogni cosa sarà cambiata per non cambiare perniente. L’imprenditore sarà di nuovo al suo postonella giunta comunale, il ciclo di “costruzione”della città può riprendere indisturbato così il filmsi chiude come è cominciato con la stessa, per gliurbanisti insopportabile, carrellata di edilizia indi-stinta, costruita con una selva di pilastri sui crina-li dei valloni. Altro tema di grande interesse è la rappresentazio-ne delle forze, più o meno occulte, che hanno gui-dato, ed in taluni casi, ancora guidano il progettodella città. La rappresentazione di quello che oggichiameremmo conflitto di interessi. L’imprenditoreEdoardo Nottola, oltre che un grande costruttore, è,infatti, anche un influente uomo politico che nonesita a ricattare il consiglio comunale per persegui-re i suoi scopi. Il messaggio contenuto nel film è di profonda disil-lusione, a vincere, come ahinoi nella realtà, sono leforze della speculazione. L’arrogante Nottolagodendo di una confortante copertura politica nonpaga per la tragedia che provoca e continua agovernare la città. In un certo senso il film di Rosiè ciclico nel senso che potrebbe ricominciare dal-l’inizio nel momento in cui finisce. L’articolo nonpuò che terminare con un invito alla visione delfilm, tra le altre curiosità l’espressione “mani puli-te” deriva proprio da questo film, ed alla consulta-zione della rivista Cinema Città che, con le sue piùdi 300 pagine dedicate al film e all’opera di Rosi,rappresenta un documento di grande interesse perciò che attiene il rapporto città-cinema e l’opera diRosi in particolare.

Note1 De Santis G. in Brunetta G. P. Cent’anni di cinema italiano,Laterza Editori, Padova 19952 Cfr. F. Erbani, L’Italia Maltrattata, Laterza, Bari 20033 Cfr. V. De Lucia, Se questa è una città. Editori Riuniti, Roma,1989

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Nei giorni 25 e 26 Maggio si è svolto a Trino (Vercelli) ilConvegno FaRete, organizzato dalla Provincia di Vercellie dal Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale(CIRF) in occasione del quale sono state messe a con-fronto alcune esperienze italiane ed estere di Reti ecologi-che. In tale contesto è stata presentata l’attività che ilGruppo di ricerca sulle Reti ecologiche, interno alDipartimento Città e Territorio dell’Università degli Studidi Palermo, ha promosso negli ultimi anni.Il Convegno si è articolato sostanzialmente in tre sessio-ni: una prima dedicata alla discussione dei temi su “Reteecologica e Biodiversità”; una seconda di discussione sulrapporto “Reti e Sviluppo sostenibile”; infine una terza incui si è dibattuto sui rapporti tra “Rete Ecologica ePianificazione”.

La “Rete” tra biodiversità e sviluppo sostenibileHa aperto i lavori per la prima sessione Matteo Guccionedell’APAT - Agenzia per la protezione dell’Ambiente eper i servizi Tecnici -organo tecnico scientifico delMinistero dell’Ambiente, che dal 1997 nella precedentestruttura ANPA, ha avviato un progetto sulle RetiEcologiche, con il contributo delle agenzie regionali(ARPA), che si è recentemente concluso con la realizza-zione di una serie di strumenti informativi indirizzati sia alsettore della pianificazione si a quello tecnico-ammini-strativo. Il principale risultato conseguito dalla ricerca è undocumento pubblicato nella collana APAT – Linee Guida– contenente indicazioni pratiche/metodologiche perstrutturare una base di conoscenze specificatamente arti-colate sul paradigma di rete ecologica tali da supportare inmodo opportuno le politiche territoriali di conservazionedella biodiversità. All’interno delle Linee Guida, per laprima volta a livello nazionale, sono state messe a sistemauna serie di indicazioni pratiche in cui si incontrano duemondi tradizionalmente separati: quello dellaPianificazione territoriale e quello delle Scienze di con-servazione della natura. Attualmente in APAT si stannoproponendo specifici percorsi applicativi per la definizio-ne di strumenti e strategie di dettaglio finalizzati ai diffe-renti aspetti di progettazione delle Reti ecologiche, sonoinfatti in corso di studio in alcune aree del Meridione ana-

lisi ambientali con l’ausilio di un set di indicatori di diver-sità biologica (specie target) e paesaggistica congiunta-mente allo studio indiretto del territorio attraverso il sup-porto cartografico. L’attuale fase di attività dell’APAT,affronta la verifica di metodologie speditive per l’attua-zione di differenti gradienti di permeabilità ecologicaall’interno della composizione dell’ecomosaico. Gli studipiù recenti si riferiscono a tre aree del centro sud(Ogliastra in Sardegna, Litorale Romano nel Lazio eVesuvio Orientale in Campania), in cui si prendono inconsiderazione delle specie target con caratteristicherispondenti ai fabbisogni di analisi. Le osservazioni terri-toriali ed in particolare la loro rappresentazione cartogra-fica, sono prese a base di una prima ipotesi metodologicae per giungere poi a proposte di rete ecologica a scalalocale, impostate su approcci pragmatici realmente tesialla tutela della biodiversità.Per la sessione “ Reti e Sviluppo sostenibile” AlessandraMelucci del CIRF - Centro Italiano per laRiqualificazione Fluviale - ha esposto l’esperienza delprogetto Reti Ecologiche (PREL) interna al PianoTerritoriale di Coordinamento della Provincia di Vercelli,evidenziando gli aspetti legati alla condivisione e parteci-pazione della rete ecologica locale. Il PREL ha la finalità principale di definire e attuare unastrategia per realizzare Reti ecologiche e a tale scopo haindividuato come elemento imprescindibile il coinvolgi-mento diretto di tutti i soggetti che vivono e operano nelterritorio. La rete ecologica intesa non solo come sistemaper ripristinare la funzionalità ecologica, ma anche comestrumento multifunzionale capace di “costruire” una retedi soggetti che, ognuno con il suo ruolo, agisce in manie-ra coerente alla realizzazione della stessa. La mancanza dicomunicazione e interazione tra i diversi attori locali,risulta essere il principale ostacolo alla realizzazione delleR.E.. Per questo il PREL sta investendo molto sulla cono-scenza del territorio attraverso attività di educazione e for-mazione per “costruire un senso” condiviso rispetto aiprogetti che si stanno attuando. A tale scopo si è avviatoun progetto di rete ecologica a scala locale (Dal Boscodella Partecipanza al Fiume PO) in un’area pilota dellabassa pianura vercellese, privilegiata per la presenza di

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Dalla partecipazione allapianificazione della reteecologica locale

Esperienze a confronto al Convegno“FaRete” di Vercelli

Vincenzo Todaro e Dario Gueci

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alcune aree di interesse naturalistico riconosciute sia alivello locale che europeo. Il progetto ha previsto una fasedi analisi della vegetazione e delle zoocenosi presenti, icui risultati si sono tradotti in una Carta della rete ecologi-ca; il passo successivo è stato quello di integrare i dati rac-colti con quelli ottenuti dagli incontri con gli abitanti delluogo attraverso tre distinti livelli. Il primo riguarda la sen-sibilizzazione e divulgazione degli obiettivi e delle oppor-tunità offerte dal progetto rivolto alle amministrazioni,associazioni di categorie e enti interessati allo scopo dicreare consenso e collaborazioni; il secondo livello riguar-da il coinvolgimento dei soggetti attuatori, in questa fasesaranno sottoposte loro le opportunità che il progetto offree le sue finalità al fine di attivare contributi finanziari spe-cifici; infine il terzo riguarda la sensibilizzazione dellapopolazione locale e in modo particolare del mondo sco-lastico, coinvolgendo le giovani generazioni rispetto alleproblematiche ambientale del loro territorio, unica condi-zione per garantire nel lungo termine un vero svilupposostenibile.

Reti Ecologiche e PianificazioneNella sessione Reti Ecologiche e Pianificazione sono statepresentate le esperienze che alcune realtà territoriali hannorecentemente portato avanti all’interno del processo direvisione degli strumenti di pianificazione territoriale. Inparticolar modo risultano significative, soprattutto perl’approccio metodologico utilizzato, le esperienze delPiano Territoriale della Provincia di Vercelli e di quellodella Provincia di Venezia.Sull’attività della Provincia di Vercelli ha riferito GabrieleVaralda, del Settore Tutela dell’Ambiente, il quale ha sot-tolineato l’impegno dell’Ente nella promozione di unapolitica di tutela e valorizzazione ambientale connessaallo sviluppo della realtà rurale ed agricola intensiva,caratterizzate dalla risaia.Tale politica trova espressione nella proposta di Rete eco-logica che, a partire dal 2000, si è andata strutturandoall’interno del Piano Territoriale di CoordinamentoProvinciale. Si tratta di un modello di Rete ecologica mul-tifunzionale che integra le esigenze legate alla monocoltu-ra intensiva del riso con le istanze di salvaguardia ambien-tale e di valorizzazione del paesaggio tradizionale. IlProgetto, che vede tra gli altri la collaborazione dell’Arpadi Vercelli, del Consorzio dell’Ovest Sesia e dell’Istitutoper le Piante da Legno e l’Ambiente di Torino, puntaall’individuazione e l’implementazione di azioni proget-tuali e soprattutto gestionali che rendano compatibile laconservazione ambientale dell’agroecosistema risaia conla sua produzione agricola. Pertanto, gli interventi opera-tivi previsti che si sono concretizzati nel progetto pilota“Dal Bosco della Partecipanza al fiume Po” (che ha inte-ressato otto comuni del vercellese: Trino, Trinìcerro,Palazzolo, Fontanetto Po, Crescentino, Lamporo,

Ronsecco e Livorno Ferrarsi), riguardano principalmentei settori della tutela del paesaggio e della sostenibilità dellaproduzione agricola. Particolarmente significativi risulta-no gli interventi di connessione ecologica e di migliora-mento ambientale legati ai Siti di interesse comunitario edalle Zone di protezione speciale presenti, che fanno riferi-mento a finanziamenti provenienti da differenti canali:Docup Regione Piemonte, Piano di Sviluppo rurale,Fondi Provinciali per le Reti ecologiche.Infine, il Progetto trova significativo riscontro nel coin-volgimento di tutti i soggetti presenti sul territorio al finedi attivare, nel processo di realizzazione “fisica” dellaRete ecologica, reti relazionali di attori locali che ne faci-litino l’attuazione.L’esperienza portata avanti dalla Provincia di Venezia edillustrata da Ezio De Villa, Assessore alle PoliticheAmbientali, punta al riequilibrio del rapporto tra consumodi suolo e tutela ambientale soprattutto in relazione alletrasformazioni in atto che interessano il territorio provin-ciale. Tale azione viene promossa attraverso la struttura-zione della Rete ecologica all’interno degli strumenti digoverno del territorio ed in particolare nel redigendoPiano Territoriale di Coordinamento Provinciale. In talsenso il Progetto della Provincia di Venezia, che vede lacollaborazione di quattro Assessorati (PoliticheAmbientali, Attività Produttive, Caccia Pesca e Difesa delSuolo, Urbanistica Mobilità e Trasporti) oltre alleAmministrazioni comunali e agli Enti di Bonifica e leAssociazioni di categoria degli agricoltori, si configuracome un modello polivalente di Rete ecologica che costi-tuisca una visione territoriale futura in grado di orientarele scelte di trasformazione territoriale al fine di riequili-brare il rapporto tra sistema antropico e sistema naturale.Nella fase iniziale, esso risulta strutturato intorno alla pro-mozione di un sistema integrato di azioni pilota che hannovisto il raggiungimento di importanti obiettivi in altrettan-to significativi contesti territoriali: acquisizione e recupe-ro di 60 ettari di ex cave di Salzano (uno dei nuovi nodidella Rete ecologica provinciale); redazione di bandi peril finanziamento di interventi di miglioramento ambienta-le in campo agricolo che hanno consentito di realizzare trail 2004 e il 2005 oltre 20 ettari di nuove unità boschivo-prative; interventi relativi alla realizzazione di fasce diinserimento di infrastrutture stradali e ferroviarie. Infine,tra le azioni future sono previsti interventi di rinaturaliz-zazione di fasce di pertinenza fluviale, la realizzazione diecosistemi a filtro, a valle di impianti di depurazione, e ladefinizione di un “sistema di regole” per la gestione dellearee agricole di interesse naturalistico.

NotaIl contributo nasce da riflessioni comuni degli autori maturate in occa-sione della partecipazione al convegno. Per la stesura del testo, il primo paragrafo va attribuito a Dario Gueci, ilsecondo paragrafo a Vincenzo Todaro.

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Rita Giordano

1. Premessa: problematiche e ipotesiLa Sicilia è stata, ed è, l’oggetto di molti racconti, miti, leggende, è l’og-getto di una costruzione mentale, di una o più rappresentazioni simboliche,il suo territorio non è solo quello fisico della natura, dei paesaggi o deimonumenti, ma è anche quello che vive negli occhi degli abitanti, visitato-ri, viaggiatori o, semplicemente, turisti.Pertanto esiste una Sicilia costruita nel corso dei tempi, attraverso le molteimmagini che hanno raccontato e raccontano l’Isola. Questa Sicilia è unluogo mentale, uno spazio fatto da elementi che interpretano la realtà.Questo luogo, fatto di immagini, che alimenta immagini e che possiamodefinire turistico, è un luogo che si differenzia dai luoghi vissuti, appartie-ne al territorio ma non è il territorio. È uno spazio la cui prima caratteristi-ca è quella di esser percorso - forse anche velocemente - raccontato e vis-suto da abitanti in continua migrazione. E’ un luogo creato e pubblicizzato,per offrirsi, esser vissuto e consumato dai turisti.Tale spazio che vive di immagini, può definirsi come un’astrazione, il pro-dotto di una costruzione mentale.La ricerca si è interrogata su come conviva questo spazio con il territorioreale. Quali elementi lo strutturano, partecipano alla sua creazione/produ-zione. Il rapporto tra territorio e immagini, nel configurare lo spazio turi-stico, si manifesta come un rapporto forte. Che esistano delle immagini,delle rappresentazioni dei luoghi, è confermato dalle pratiche stesse delturista, il quale viaggia nel conosciuto, nel déjà-vu delle guide turistiche. Ilviaggio, così concepito, non è altro che una verifica delle informazioni, diquesta o quell’altra località, di questo o quest’altro racconto, già in nostropossesso. Pertanto il rito collettivo del turismo non è altro che una confer-ma, una convalida del già conosciuto o preteso tale.Le immagini e i cliché visivi (supporto a questo spazio mentale), costitui-scono la base del lavoro degli operatori turistici che, attraverso pochi ele-menti, riconoscibili e spesso caricaturali, costruiscono e vendono delleimmagini di quei particolari luoghi che sono le località turistiche. Questa tendenza del turismo si con-cretizza nell’immagine di marca, “una specie di etichetta che in pochissimi elementi caratterizza unalocalità rendendola facilmente identificabile1». Ma se è vero che, come scriveva Miossec (1977): «l’espace touristique, c’est avant tout une image»2

queste immagini create e delle quali si nutre il turismo, come si concretizzano/formalizzano nel territo-rio reale? Come convivono le aspettative del turista e le realtà territoriali?Il turista e il territorio costituiscono gli attori principali della ricerca perché, se è vero che il viaggioinizia prima della partenza, è anche vero che il territorio di arrivo, si adegua, si struttura per risponde-re a questo desiderio esogeno. Infatti, nel rispondere alle aspettative del turista, il territorio si fa “turi-stico”, si ripensa (e si organizza) in funzione della sua immagine.Questa attitudine insita nel fenomeno turistico, era stata evidenziata da Toschi (1958) il quale distinsedue luoghi del turismo che definì: i luoghi del turismo attivo (nel quale si forma il “desiderio di par-tenza) e i luoghi del turismo passivo (di arrivo) dove si offre l’accoglienza. Nella realtà territoriale, lacomplessità insita nei luoghi di accoglienza (luoghi del turismo passivo) è stata analizzata da Bonomi(2000), il quale distingue in due le tendenze che caratterizzano il turismo nel suo rapporto con il terri-

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Sicilia:sviluppo turistico eterritorio

Costruzione e pianificazione dell’offertaturistica

Nell’attuale societàoccidentale, di libero

mercato, il turismo si èimposto a forza tra leattività umane, passandoda marginale a vera epropria industria delterziario.Il turismo, nell’accezioneattuale del termine, è unfenomeno recente. La suanascita si fa risalire alperiodo della seconda rivo-luzione industriale, conl’invenzione-scoperta deltempo libero.E’ un fenomeno socialeche, dopo l’accelerazionesubita dopo la secondaguerra mondiale, riesce amuovere masse e a trasfor-mare territori.Il turismo, infatti, non silimita a guardare il territo-rio, ma lo usa, lo trasfor-ma, lo consuma. Attraversoi suoi meccanismi, il terri-torio guardato diventa ter-ritorio consumato.

Ric

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torio, e le descrive attraverso “il falso vero e ilvero falso”3:il falso vero è il caso delle città create dal nulla alsolo scopo di essere turistiche. Tra queste Nizza(nata per la villeggiatura invernale di ricchi ingle-si), Orlando (sviluppatasi attorno al parco a temaDisney), Las Vegas (città del gioco), o ancora piùeclatante, è il caso della Costa Smeralda (giàMonti di Mole);il vero falso è il caso della maggior parte dei cen-tri storici imprigionati dal loro passato, dalla lorostessa immagine, reale o no che sia. E’ il caso di Firenze e ancor più di Venezia, i cuicentri storici diventano dei grandi parchi a tema,denaturati in quanto città e trasformate in purescenografie.Queste due tendenze trovano riscontro nelle pra-tiche dei turisti che tendono, da un lato ad estra-niarsi dalla quotidianità recandosi in luoghi arti-ficiali, vere e proprie enclave turistiche, dove siconcretizza quella che Raymond definisce UtopiaAll Inclusive4, e dall’altro lato ricercano il vero,l’autentico, il tradizionale, tendendo ad accostar-si, a fondersi con i luoghi visitati.La ricerca prende l’avvio dalla considerazioneche l’offerta turistica, nella sua creazione/orga-nizzazione dei luoghi d’arrivo, risponda o crededi rispondere, alle immagini (desideri) delladomanda esterna. In effetti l’offerta turistica risponde ad unadomanda turistica, ma contemporaneamente nelsuo organizzarsi/configurarsi, influenza ladomanda stessa.Partendo da tali premesse il percorso di ricercaha avviato l’indagine sull’offerta turistica inSicilia, per comprendere da e quale immagine nescaturisce.

Obiettivo e metodoObiettivo principale della ricerca è la conoscenzadel turismo in Sicilia, nel suo rapporto tra orga-nizzazione dell’offerta e desiderio/domanda, traterritorio e immagine. Per comprendere, attraverso una lettura criticadei meccanismi che sono alla base di questo con-sumo di spazio, l’organizzazione dell’offerta turi-stica in termini quantitativi e qualitativi.La costruzione dello spazio turistico in Sicilia,attraverso l’offerta turistica (e quindi attraverso ilconsumo di territorio) costituisce il nostro ogget-to di studio.La ricerca ha indagato l’offerta in termini diricettività e servizi, partendo dalla constatazioneche le strutture ricettive non sono una sempliceofferta di servizi ma costituiscono, per il territo-rio, “attrattività”, sono risorse capaci di creare eorganizzare modelli. Invertire i termini del ragio-

namento è alla base di un discorso più vasto, ed inparticolare, partendo dall’attività turistica, dailuoghi d’accoglienza, quindi dal configurarsi del-l’offerta, la ricerca si è interrogata su:il tipo di consumo prodotto dal turismo (in termi-ni di territorio, immagini, cultura);quali rapporti esistono tra la domanda e l’offerta,in che termini l’offerta turistica influisca sulladomanda, la assecondi o, al contrario, partecipialla sua formazione;come l’evoluzione dello “sguardo”, la percezionedi un territorio cambi nel corso del tempo e come,questa evoluzione, possa esser letta attraversol’offerta turistica.Partire dal basso, indagando sul terreno l’organiz-zazione dell’offerta, ci consentirà di definire iltipo di modello turistico che costituisce, o noncostituisce, la Sicilia.In una prima fase della ricerca si è indagato sullostato dell’arte, degli studi e delle ricerche relati-ve al turismo. Una prima osservazione va fatta sul carattereinterdisciplinare del turismo e sulla conseguentevarietà di studi e approcci che lo caratterizzano.Tra le varie discipline interessate al turismo,emergono principalmente le scienze sociali, l’e-conomia e la geografia ognuna con una specifi-cità propria.La ricerca ha identificato nell’approccio geogra-fico, nell’attenzione verso gli aspetti spazio-terri-toriale, un’importante contributo soprattutto congli eccellenti studi di Toschi, Corna Pellegrini,Muscarà, Ciaccio, Innocenti ed altri, ai quali sideve la creazione di modelli ed la definizione diinteressanti categorie (spazio, regione e sistematuristico) di lettura del fenomeno turistico.Dal punto di vista operativo, la ricerca si è avval-sa di una procedura metodologica articolata in trefasi:- fase analitico-conoscitiva, di tipo quantitativadi raccolta dati, attraverso la quale si è operatauna tassonomia dello spazio turistico esistenteattraverso il confronto a diversi livelli (regionale,provinciale, comunale);- fase descrittivo-interpretativo del fenomeno,attraverso la lettura incrociata dei dati e l’inter-pretazione storico-critica del fenomeno.- fase valutativa, attraverso l’analisi dei processie delle politiche di pianificazione del settore turi-stico.

Struttura generale della ricercaLa tesi, pertanto, si è articolata in tre parti, corri-spondenti ai tre temi individuati dalla ricerca,distinti in:- costruzione dell’oggetto, il corpus dei dati edella misura;

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- origine ed evoluzione del turismo;- studio delle politiche degli orientamenti miratiagli interventi in campo turistico in Sicilia.

Prime conclusioni: scenari possibili e “quadrodi indirizzi”La ricerca apre nuovi campi di indagine, definen-do “scenari” e “indirizzi” per il possibile svilup-po del turismo in Sicilia.La scelta di modelli di sviluppo del turismo e lastessa localizzazione delle attività turistichedipendono da un complesso insieme di elementi,dove un ruolo prioritario dovrebbe esser ricono-sciuto alla pianificazione territoriale.Infatti, la necessità di una pianificazione territo-riale attenta, specifica del settore turistico, èancor più sentita oggi alla luce della nuova legge“quadro” sul turismo (n. 135/2000) che tra i suoielementi innovativi, riconosce al turismo unruolo economico, culturale, sociale e strategico edefinisce i compiti da attribuire agli enti localiterritoriali nelle regioni a vocazione turistica.Il riconoscimento del turismo come attività eco-nomica è di rilevante importanza soprattuttoquando (art. 5 della stessa legge) si definisconoentità territoriali quali i Sistemi turistici locali(contesti turistici omogenei o integrati, compren-denti ambiti territoriali appartenenti anche aregioni diverse, caratterizzati dall’offerta inte-grata di beni culturali, ambientali e di attrazionituristiche, compresi i prodotti tipici dell’agricol-tura e dell’artigianato locale, o dalla presenzadiffusa di imprese turistiche singole o associate)e se ne assegna la promozione, attraverso formedi concertazione, con gli enti locali o con sogget-ti privati.Nell’ottica di questa nuova legge e delle sueripercussioni a livello territoriale, e nella prospet-tiva del suo recepimento da parte della RegioneSicilia alcune conclusioni, anche se in corso d’o-pera, possono essere delineate, e riassunte su trepunti.Una prima considerazione, riguarda l’attualeimmagine dell’isola legata principalmente adun’offerta di tipo balneare. Infatti è sulla fasciacostiera che si concentra oltre l’80 % del totaledell’offerta ricettiva regionale, provocando gran-di squilibri territoriali.Seconda considerazione interessa il carattere sta-gionale dell’attività turistica siciliana, principal-mente concentrata nei mesi estivi.Un terzo aspetto interessa le politiche di inter-vento, di aiuto al settore turistico, che dai primiinterventi promossi dalla Cassa per ilMezzogiorno per il potenziamento della ricetti-vità (politica dei posti-letto), ha visto il passaggioa nuove politiche (principalmente di servizi).

Questi tre punti costituiscono i principali ambitidi intervento individuati dalla ricerca e dallasoluzione dei quali, si potrà attuare una vera epropria politica di sviluppo del turismo nell’Isola.Un’ultima considerazione, forse la vera motiva-zione di questa ricerca, trae origine da una cita-zione di Lefebvre (1976): “Il bacino delMediterraneo diventa spazio per il tempo liberodell’Europa industriale. (…) entra così nelladivisione sociale del lavoro; vi si installa unaneo-colonizzazione economica, sociale, architet-tonica, urbanistica5”.In questa prospettiva, governare e non subire que-sta neo-colonizzazione turistica, creando eoffrendo modelli propri, significherebbe per laSicilia, diventare nuova e attiva protagonista delMediterraneo.

Note1 Bianchi E. (1984), p.70.2 Miossec, citato da Fregonese Muscarà (1983), p.223.3 Bonomi A., (2000) cap. 4.4 Raymond esamina la vacanza organizzata come una delle

manifestazioni attuali della tendenza utopica a livello sociolo-

gico, in particolare nel villaggio/vacanza del tipo Club

Mediterranée, riconoscendone la presenza di ingredienti uto-

pici (eliminazione del “fattore imprevisto” mediante program-

ma prefabbricato, enfasi sulla qualità dell’ambiente, tendenza

alla livellazione, identità personale sollecitata dalla specializ-

zazione, presenza delle regole del gioco, mito della sospen-

sione del tempo, ecc.). Raymond H, citato da Sica p. (1970),

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PremessaLa città è il principale e primo ambiente di vita dell’uomo. Essa è lo spec-chio della società che ospita, della sua storia, delle sue tradizioni, dei suoitempi, dei suoi abitanti. Da sempre l’uomo ha costruito la città in relazione alle proprie esigenze, i“luoghi” della città sono stati progettati e realizzati per rispondere allenecessità di un determinato momento storico e di una specifica società.Così, fino ad oggi, esse hanno assunto forme ed identità sempre diverse,rassomigliandosi solo se confrontate in relazione a lunghi periodi tempo-rali e a contesti ambientali e storici simili. Nel loro mutare hanno subitoun processo di stratificazione, i nuovi “segni” si sono sovrapposti a quelliprecedenti, ne hanno assunto o modificato il senso introducendo altrisignificati e creando nuovi spazi, a loro volta generatori di nuove relazio-ni. Nel suo trasformarsi, nel suo costruire socialità o frammentazione, in uncostante rapporto di interrelazione rispetto al quale, come giustamenteafferma Bernardo Secchi, non è solo la società che influenza la città, maanche la città che influenza le abitudini della società, si è giunti alla cittàcontemporanea. La definizione di città contemporanea risulta oggi, probabilmente, quelladi maggiore complessità con la quale la disciplina urbanistica è chiamataa confrontarsi. Nonostante alla scala internazionale esistano numerosi fattori di somi-glianza tra le diverse realtà urbane, non poche sono le sfumature che essipossono assumere in relazione alle condizioni del contesto urbanistico,sociale ed economico al quale si riferiscono. Indipendentemente dalla spe-cifica definizione, un problema che si pone quanto mai urgente in questoambito di riflessione è quello di comprendere se e come la città contem-poranea possa soddisfare le esigenze dei suoi cittadini e predisporsi adaccogliere quelli di domani. Nonostante la contemporaneità si caratterizzi per la dinamicità e mutevo-lezza dei fenomeni, infatti, è di interventi concreti e duraturi, capaci dilasciare un segno all’interno del paesaggio urbano che si avverte la neces-sità. Se si guarda allo specifico contesto italiano ci si rende conto facil-mente di come rare siano le situazioni nelle quali, negli ultimi decenni, l’urbanistica sia riuscita dav-vero ad offrire un contributo alla trasformazione urbana, esulando, naturalmente, dal fenomeno dellaspeculazione edilizia che purtroppo ha devastato le nostre città. La possibilità di verificare le solu-zioni operative più adeguate ad ogni singolo contesto è stata spesso negata dalla impossibilità di dareattuazione agli interventi che si rendevano necessari. Il dibattito sul tema dell’efficacia/inefficacia del piano urbanistico, in particolare in riferimento allascala comunale, ha coinvolto la maggior parte degli urbanisti italiani a partire dai primi anni ottantafino ad oggi. Alcune ricerche, condotte in diverse fasi temporali, hanno analizzato nello specifico leragioni della difficoltà di attuazione degli interventi di trasformazione urbana, proponendo spessodelle interpretazioni estremamente diverse le une dalle altre.

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Nuovi sviluppi per lapianificazione urbanisticanell’integrazione tra pianourbanistico comunale estrumenti operativi

Daniela Mello

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La cittàcontemporanea

chiede nuovi interventidi riqualificazione etrasformazione urbanache siano in grado disoddisfare le esigenzedella cittadinanza, incontinua evoluzione. Ainuovi strumenti operativiviene affidato il difficilecompito di dareattuazione a taliinterventi attraverso laconcertazione tral’operato delleamministrazionipubbliche e dei soggettiprivati. Nell’ambito delladefinizione dipianificazioneurbanistica si definiscel’integrazione tra questiultimi ed il pianourbanistico comunale. Laricerca propone unariflessione sulle piùrecenti esperienze dipianificazione in Italia,all’insegna della ricercadell’efficienze edell’efficacia.

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Obiettivi e contenuti della ricercaL’analisi delle diverse ricerche condotte sul temadell’efficacia del piano urbanistico ha costituitouno dei punti di partenza della ricerca di dottora-to. Come si diceva precedentemente, innumere-voli sono le definizioni che possono essere date eche sono state date al concetto di efficacia. Come dichiarato da Alessandro Tutino1, “parlaredi efficacia non è semplice perché questo termi-ne può assumere diverse connotazioni quali adesempio: produttività, utilità, necessità, effetti,impatto. Le sfumature sono ricche di implicazio-ni fino a portare a sbocchi diversi e non di poco”.Le accezioni che l’autore individua esplicitano,in un certo senso, l’insieme dei punti di vista daiquali è possibile leggere criticamente il tema del-l’efficacia. Riconoscendo e condividendo la dif-ficoltà di giungere ad un’unica definizione, risul-ta possibile articolare la stessa in relazione a dueprincipali categorie, corrispondenti a due diffe-renti approcci al tema, che sono espressione del-l’evolversi del dibattito e della stessa disciplinaurbanistica.Il primo è quello che lega il concetto di efficaciaal piano regolatore, inteso come strumento didisciplina d’uso dei suoli e di previsione delletrasformazioni urbane; il secondo è quello chetende a relativizzare il ruolo del piano nell’ambi-to dell’operato più complessivo della pubblicaamministrazione in virtù dei numerosi strumenti,politiche e pratiche che al piano si sono affianca-te e che hanno spostato l’attenzione dal singolostrumento al più generale processo di governodel territorio. Tenendo conto di entrambe le definizioni ed anzia partire da queste, obiettivo fondamentale dellaricerca è quello di comprendere quali possonoessere gli strumenti e le modalità attraverso lequali operare alla trasformazione della città,restituendo efficacia alla strumentazione urbani-stica. Alla base della riflessione vi è un’ipotesifondamentale che è quella che riguarda la neces-sità di sviluppare una nuova capacità operativache consenta di integrare politiche, piani e pro-grammi al fine della massima efficacia del pro-cesso di pianificazione. Alcuni specifici fattoriche caratterizzano la società contemporanea,come ad esempio la crisi della finanza pubblica,lo sviluppo della tecnologia informatica, la crisidell’industria manifatturiera hanno comportato,come è ormai risaputo, agli inizi degli anni ottan-ta, l’istituzione e rapida diffusione di una serie distrumenti, cosiddetti “complessi” il cui obiettivoè quello di contribuire alla trasformazione urba-na attraverso la sostituzione del concetto diattuazione, inteso fondamentalmente in riferi-mento agli strumenti esecutivi del piano regola-

tore generale disciplinato dalla legge 1150/42,con quello di operatività. Tale accezione assume un significato più ampiodi quella precedente riferendosi all’insieme coor-dinato di progetti, regole e politiche da realizzar-si attraverso una sinergia tra diversi soggetti siapubblici che privati. L’aspetto più problematico introdotto dal concet-to di operatività è quello che riguarda la determi-nazione del tipo di relazione che si instaura tra lostrumento del piano urbanistico comunale e inuovi strumenti operativi. In molti casi questiultimi hanno costituito un’occasione per poteroperare in deroga al piano, in altri essi sonodiventati parte integrante dello strumento e daesso appositamente disciplinati. Nell’ambitodella nuova definizione di governo del territorio,all’interno della ricerca si assume la definizionedi pianificazione urbanistica proposta daEdoardo Salzano2: “Intendo per pianificazioneterritoriale e urbanistica (non faccio nessunadistinzione tra l’una e l’altra) quel metodo, equell’insieme di strumenti, che si ritengonocapaci di garantire – in funzione di determinatiobiettivi – coerenza, nello spazio e nel tempo,alle trasformazioni territoriali, ragionevole fles-sibilità alle scelte che tali trasformazioni deter-minano o condizionano, trasparenza del processodi formazione delle scelte e delle loro motivazio-ni”. Sulla base di tale definizione, rispetto all’obietti-vo di cui si diceva precedentemente, si indivi-duano all’interno della ricerca alcuni specificistrumenti operativi che si caratterizzano per trefattori: il primo è che la disciplina normativa ditali strumenti prevede che essi vengano predispo-sti in attuazione alle disposizioni del piano equindi che, qualora le previsioni progettuali inessi contenute dovessero indicare la necessità diapportare una modifica alle direttive del piano, siproceda ad una variante dello stesso; il secondoriguarda la valenza processuale, ovvero l’obietti-vo di contribuire alla efficacia della fase attuati-va del piano urbanistico, non solo in termini tec-nico-progettuali, ma anche in termini di proces-so, supportando, cioè, l’amministrazione nellagestione delle sue molteplici competenze; ilterzo riguarda la connotazione fortemente speri-mentale degli strumenti selezionati che risultanosenza dubbio quelli più innovativi e allo stessotempo, quelli nei confronti dei quali le ammini-strazioni sembrano essere più interessate adinvestire.Gli strumenti che sono stati individuati sullabase di tali caratteristiche sono: le società di tra-sformazione urbana, la finanza di progetto, laperequazione urbanistica, alcune tipologie di

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programmi integrati. Ciascuno di tali strumentipresenta una sua specificità procedurale ed appli-cativa. Le società di trasformazione urbana, istituite dal-l’articolo 59 della legge 197/1997 si caratterizza-no quale strumento di supporto all’operato delleamministrazioni pubbliche nella realizzazione diinterventi complessi di trasformazione urbana. Sitratta di vere e proprie società di scopo a cuiviene affidata interamente la realizzazione del-l’intervento di trasformazione a partire dallaacquisizione dei suoli, sui quali esso dovrà tro-vare attuazione, fino alla vendita delle attrezza-ture private una volta che l’intervento sia com-pletato. La finanza di progetto costituisce invece, comesuggerisce lo stesso nome, una procedura attra-verso la quale si rende possibile la realizzazionedi alcune infrastrutture di interesse pubblicoattraverso un finanziamento interamente privatoche viene ricompensato dal flusso di cassa edagli utili che l’opera genera nel momento dellasua attivazione. L’interesse che tale strumentoriveste nell’ambito della ricerca è riferito adalcune recenti sperimentazioni che si stanno con-ducendo in merito all’applicazione del projectfinancing ad interventi di riqualificazione urbanaper i quali la realizzazione delle opere privatepuò costituire un “volano” per l’intervento piùgenerale.La perequazione urbanistica, strumento sul qualesi discute ormai da molti anni, contribuisce all’o-peratività del piano urbanistico in virtù di duefattori fondamentali: il primo è la possibilità perl’amministrazione pubblica di ottenere aree, daparte dei privati, per la realizzazione di attrezza-ture pubbliche, il secondo è l’attitudine a creareconsenso sulle scelte di piano attraverso lagaranzia di un’equità di trattamento, in meritoalla determinazione dei diritti edificatori, tra iproprietari dei suoli a cui il piano attribuiscedestinazioni funzionali differenti.Infine, la scelta di riferirsi ai programmi integra-ti è motivata dalla diffusa utilizzazione che ditale strumento si sta facendo in Italia in virtù del-l’estrema flessibilità applicativa e della fortepartecipazione privata che questi rendono possi-bile. Per tutti gli strumenti individuati si è procedutoall’analisi delle caratteristiche tecnico-giuriche esuccessivamente a quella delle principali poten-zialità e problematicità d’applicazione. La ricer-ca condotta in relazione a tali temi ha permessodi verificare l’estrema complessità degli argo-menti e la difficile definizione di una valutazio-ne unitaria su ciascuno di essi. Con l’obiettivo di valutare, nei diversi contesti di

riferimento, quale strumento operativo risultassepiù adeguato alla realizzazione di un determinatointervento di riqualificazione, si è verificato chele condizioni nelle quali questi trovano attuazio-ne sono spesso caratterizzate da un numero divariabili così alto da rendere quasi del tuttoimpossibile alcuna attribuzione unitaria. In parti-colare alcuni fattori di incertezza che sono emer-si riguardano: la capacità dell’amministrazione pubblica digestire processi complessi come quelli che inte-ressano la città contemporanea, nei quali si ren-dono necessarie competenze molteplici, ai qualipartecipano attori sociali estremamente differen-ziati;la tipologia di rapporto che si instaura tra il sog-getto pubblico e quello privato, che dipende dalgrado di flessibilità che si vuole dare allo stru-mento urbanistico e trova esplicitazione, adesempio, nella quota di partecipazione ai finan-ziamenti da parte di entrambi i soggetti o nelladefinizione delle quantità dei parametri edifica-tori;la capacità imprenditoriale dei soggetti privati,ovvero la propensione ad immaginare scenari ditrasformazione “ottimistici”, che inducano a par-tecipare agli interventi con investimenti consi-stenti e soprattutto ad assumersi rischi propor-zionali ai possibili ricavi.La verifica delle molteplici definizioni che inuovi strumenti operativi possono assumere èstata consolidata, all’interno della ricerca, attra-verso l’analisi di alcuni casi di studio, individua-ti in base all’innovazione dell’approccio adottatoe alla rilevanza del contesto di applicazione. Si èscelto di prendere a riferimento quattro casi distudio, di cui tre italiani ed uno straniero, nellospecifico quelli di Roma, Milano, Napoli e Parigiper ciascuno dei quali è stata compiuta un’anali-si sugli strumenti regolamentativi, su quelli ope-rativi e sulle modalità della rispettiva integrazio-ne. In quanto finora meno documentati deglialtri, si è posta particolare attenzione agli ultimidue. Le scelte compiute nella città di Napoli in meri-to alle modalità attuative della pianificazionecomunale rispondono alla convinzione che in uncontesto difficile quale quello partenopeo siapreferibile evitare di stabilire a priori, all’internodel piano urbanistico, gli strumenti operativiattraverso i quali procedere alla trasformazioneurbana; piuttosto sia necessario rimandare lascelta in fase di realizzazione dei singoli inter-venti, così da valutare quale risulti più opportu-no in relazione alle specifiche condizioni econo-miche, politiche, sociali del luogo e del momen-to temporale. Per poter procedere alla trasforma-

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zione di due aree ritenute fondamentali al finedella riqualificazione dell’intera città, si è sceltodi mettere in campo due strumenti operativi traquelli oggetto di indagine, scelti in riferimentoalle caratteristiche dell’intervento da compiersi edell’area sulla quale questo trova attuazione. Lasocietà di trasformazione urbana istituita per l’a-rea industriale dismessa di Bagnoli ed il projectfinancing per il porto turistico di Vigliena costi-tuiscono oggi i due poli sui quali sono concen-trate le maggiori speranze ed allo stesso tempo lemaggiori attenzioni da parte degli operatori, siapubblici che privati. In particolare con l’attivazione del project finan-cing, l’amministrazione napoletana ha scelto disperimentare, come si diceva precedentemente,una nuova tipologia di applicazione dello stru-mento che è quella inerente agli interventi dicarattere urbanistico che si attuano in riferimen-to ad ambiti urbani complessi. L’analisi del caso di studio parigino ha costituitoun ulteriore importante momento di approfondi-mento del tema oggetto di ricerca ed un validofattore di verifica e di confronto con quanto si staattuando in Italia. La ricerca condotta a Parigi hareso possibile, infatti, grazie all’analisi degli svi-luppi avventi all’interno della legislazione urba-nistica nazionale, valutare le riflessioni e le spe-rimentazioni che si stanno conducendo in Italiaalla luce di quanto si è già verificato e si sta veri-ficando in Francia, contesto nel quale la discipli-na urbanistica ha avuto sempre un forte connota-to di carattere sperimentale.

Alcune scelte metodologicheL’estrema attualità, oltre che concretezza, degliargomenti trattati, è alla base delle scelte meto-dologiche che sono state compiute nell’ambitodella ricerca. Si è ritenuto opportuno che alleindagini di carattere bibliografico si affiancasseun costante confronto con la prassi operativa,messa in atto in diverse realtà urbane. Sulla base di tale riflessione sono state compiutedue scelte fondamentali: la prima è l’analisi deicasi di studio, la seconda è la pratica delle inter-ventiste. La verifica delle conoscenze tecnico-giuridicheacquisite in merito agli strumenti operativi conalcuni tra i principali casi di studio nazionali edinternazionali ha permesso di comprendere quan-to le ipotesi fondative degli strumenti potesserorisultare efficaci o comunque realizzabili nellafase operativa in riferimento a condizioni delcontesto sempre diverse e comunque sempreestremamente complesse.La scelta dei casi di studio è avvenuta sulla basedi due fattori: la rilevanza degli stessi nell’ambi-

to del dibattito disciplinare; l’interesse di casimeno esplorati ma altrettanto innovativi. I casi distudio sono stati analizzati ciascuno prima inriferimento agli strumenti di tipo regolamentati-vo e poi in relazione alle sperimentazioni inmerito agli strumenti operativi, con particolareriferimento a quelli oggetto d’indagine.Per poter comprendere le potenzialità e le pro-blematicità di questi ultimi, analizzandole dadiversi punti di vista, si è proceduto alla redazio-ne e somministrazione di una serie di interviste adiversi soggetti pubblici e privati, direttamentepartecipi dell’attuazione degli interventi di tra-sformazione urbana nell’ambito dei casi di stu-dio.Si è potuto verificare l’estremo interesse ditale procedura dovuto non solo alla acquisizionedi conoscenze che dalla sola ricerca bibliograficanon sarebbe stato possibile ottenere, ma anchealla possibilità di comprendere le problematicheevidenziate dal dibattito con maggiore livello diapprofondimento e riscontro pratico.Le interviste sono state compiute in riferimento atutti gli specifici argomenti trattati nella ricerca,in particolare in merito al tema dell’efficacia delpiano urbanistico, alle definizioni tecnico-giuri-diche degli strumenti operativi, ai diversi casi distudio analizzati.Le riflessioni da queste emerse costituiscono labase concettuale sulla quale sarebbe possibileimpostare ulteriori sviluppi della ricerca.

Note1 Alessandro Tutino, (a cura di), L’efficacia del piano, EdizioniLavoro, Roma, 1986.2 Edoardo Salzano, Fondamenti di Urbanistica, Editori Laterza,Roma-Bari, 2001.

Note bibliograficheClaudio Calvaresi, Giovanni Caudo, (a cura di), “Efficacia della pia-nificazione: percorsi di ricerca. introduzione”, in: Urbanistica n. 110,1998.Gianluigi Nigro, Giovanna Bianchi, (a cura di), Politiche, pro-grammi e piani nel governo della città, Gangemi editore, Roma, 2003.Edoardo Salzano, Fondamenti di Urbanistica, Editori Laterza, Roma-Bari, 2001.Alessandro Tutino, (a cura di), L’efficacia del piano, Edizioni Lavoro,Roma, 1986.Urbani Paolo, Urbanistica consensuale. La disciplina degli usi del ter-ritorio tra liberalizzazione, programmazione negoziata e tutele diffe-renziate, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.Luigi Bobbio, La democrazia non abita a Gordio. Studio sui processidecisionali politico-amministrativi, FrancoAngeli, Milano, 1996.Giancarlo Storto, Le società di trasformazione urbana. Contesto legi-slativo, caratteri, profili giuridici e problematiche applicative. Lemodalità di attuazione nell’esperienza di 11 Comuni”, Il Sola 24 Ore,Milano, marzo 2004.“Il project financing. Dagli enti locali alle imprese la gestione deifondi per i lavori pubblici alla luce delle nuove normative”, Guidanormativa n.11, Il Sole 24Ore, dicembre 2002Stefano Pompei, Il piano regolatore perequativo. Aspetti strutturali,strategici e operativi, Hoepli, Milano, 1998.Antonio Chierichetti, Dai piani di recupero ai piani polifunzionali diintervento. Strumenti e procedure urbanistiche. Abusi edilizi-Appendice legislativa, Il Sole 24 Ore, Milano, 2000.

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PremessaIl percorso metodologico sul quale è strutturata la ricerca risponde alle esi-genze proprie della complessità della disciplina urbanistica che in questa sedeviene relazionata ai temi della tutela e della conservazione ambientale, attra-verso l’indagine condotta sul processo di integrazione delle reti ecologichenegli strumenti di pianificazione urbana e territoriale. Al contempo, esso sirelaziona al tipo di ricerca che si intende affrontare, o per meglio dire, allamaniera con la quale si intende affrontare. In tal senso, infatti, la metodologiadella ricerca contribuisce, in termini disciplinari, alla definizione del percor-so attraverso il quale portare avanti un particolare tipo di ricerca e non a comecondurre, in generale, una ricerca1. La struttura della presente ricerca assumecome modello metodologico di riferimento i due principali approcci ricono-sciuti nell’ambito dell’indagine sociologica: quello quantitativo e quello qua-litativo2. In generale, la ricerca quantitativa è quella che fa ricorso significa-tivamente alla statistica; di questa sono esempi significativi l’analisi ecologi-ca, la ricerca survey3, i disegni sperimentali, e tutti quei “tipi” di indaginecaratterizzati, in generale, dall’uso di matrice dati, da cui il nome di ricercaMat o standard. La ricerca qualitativa è, invece, quella cui afferiscono le piùdiffuse forme di “ricerca sul campo”, legate alle forme della cosiddetta“osservazione partecipante”: esempio ne è la ricerca etnografica. Essa è, ingenere, caratterizzata da assenza di matrice dati, non ispezionabilità (totale oparziale) della base empirica, e carattere informale delle procedure di raccol-ta e di analisi delle informazioni (Ricolfi, 1997). Mentre la ricerca quantitati-va consente una interpretazione univoca, oggettiva e verificabile delle infor-mazioni, la ricerca qualitativa appare alquanto polisemica, soggettiva edintuitiva. In realtà, però, dal dibattito in corso da circa un decennio in ambitosociologico, si tende a superare la rigida dicotomia tra i due approcci. AlcuniAutori (Agodi, Cardano, 1991; Statera, 1993), infatti, ritengono che, in rela-zione al moltiplicarsi delle “contaminazioni” tra questi, la contrapposizionetra ricerca qualitativa e ricerca quantitativa sia in realtà una forzatura; altri(Ricolfi, 1997), pur riconoscendo e rintracciando le origini “alternative” edantitetiche dei due miti delle scienze sociali, mettono in evidenza l’esistenzadi un terzo genere di ricerche (soluzioni ibride) che, pur non utilizzando né matrice dati né statistica, sicaratterizzano per il rigore scientifico presente nella fase di analisi dei dati (tra queste possono essere anno-verati i modelli logici e i modelli computazionali). All’interno del quadro di riferimento delineato, supe-rando le posizioni rigide legate al dibattito tra primato del metodo (finalizzato alla verificabilità dei risul-tati e del percorso di ricerca, propri dell’approccio quantitativo) e primato dell’oggetto (inteso come realtàcomplessa da “comprendere” nel profondo, che risponde al carattere dell’approccio qualitativo), la pre-sente indagine struttura la propria linea d’azione sul modello di ricerca empirico accreditato a livello inter-nazionale, all’interno del quale convergono apporti propri dell’uno e dell’altro approccio metodologico.

Il metodo della ricercaR. Boudon (1984), riprendendo il pensiero di Max Weber, definisce la ricerca empirica “una succes-sione di operazioni per produrre risposte a domande sulla realtà”. La realtà possiede un tale livello di

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Reti ecologiche e governo delterritorio: il percorsometodologico della ricerca

Vincenzo Todaro

All’interno di unpercorso di ricerca

condotto durante undottorato risulta“istituzionalmente”auspicabile tentare distrutturare un percorsometodologico, solidalecon il temadell’indagine, che possacostituire l’occasione,probabilmente unica (permodalità, tempi,occasioni di confronto)per sperimentare e/overificare, una manieradi fare ricerca che infuturo potrebbe avere unseguito. Nel casospecifico, la presentericerca, che affronta ilprocesso distrutturazione delle retiecologiche neglistrumenti di governo delterritorio, fa ricorso allacombinazione diapproccio metodologicoquantitativo e qualitativomessi a punto in ambitodisciplinare sociologico.

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complessità che risulta impossibile conoscerla, osemplicemente indagarla nella sua totalità. Laricerca non si può porre, dunque, di fronte a talecomplessità e pretendere di “controllarla”, madeve essere in grado di selezionarne una porzio-ne finita sulla base di criteri di rilevanza (Weber,1922) e su questa lavorare.All’interno di questo asserto, la ricerca empiricarisponde, quindi, all’esigenza di conoscenza checonduce alla individuazione di domande rivoltead una sezione finita del reale, piuttosto che allanecessità di dare soluzione a problemi legati aduna teoria da riformulare o confutare nella suatotalità. La ricerca empirica va intesa, allora,come risposta a domande di conoscenza, piutto-sto che soluzione a problemi di teoria (Ricolfi,1997).Seguendo questo ragionamento, il modello logi-co di riferimento del presente percorso di ricercapotrebbe essere caratterizzato dalla sequenzarealtà-domande-indagine-risposte, in cui, all’in-terno di un percorso empirico, viene formalizza-ta e strutturata (sotto forma di domande) l’esi-genza di conoscenza su una porzione finita direaltà che, attraverso un sistema di analisi, vieneindagata. I risultati delle analisi, e soprattutto laloro interpretazione, sostanziano le risposte alledomande iniziali.Questo percorso di indagine utilizza il metodoproprio della ricerca empirica (Agodi, 1995;Lazarsfeld e Barton, 1951; Marrani, 1987) arti-colandosi in cinque distinti livelli, all’interno diognuno dei quali viene affronta una o più fasidella ricerca:

1. Struttura della ricerca;2. Costruzione della base empirica;3. Organizzazione dei dati;4. Analisi dei dati;5. Esposizione dei risultati.

All’interno di questo quadro di riferimento, ilpercorso d’indagine seguito risulta essere essen-zialmente di carattere esplorativo e esplicativo.Da una parte, infatti, la ricerca si propone diindagare un processo non del tutto chiaro (il pro-cesso di introduzione delle reti ecologiche nellapianificazione), i cui tratti salienti vanno deli-neati attraverso l’individuazione di modelli ecategorie che ne definiscano passaggi, strutturae possibili relazioni tra le parti. Da questo puntodi vista, il carattere della ricerca è quindi di natu-ra eminentemente esplorativa “estensiva”, inquanto non ci si trova in presenza di teorie o ipo-tesi da verificare (in tal caso sarebbe una ricercaconfermativa), ma di fronte ad una ampia baseempirica da indagare attraverso una indagine chesegue un dato processo logico. Dall’altra, laricerca presenta un carattere esplicativo “intensi-

vo”, assumendo come impegno la spiegazionedella maniera in cui avviene e si verifica taleprocesso, quali sono le componenti e come inte-ragiscono tra loro. La combinazione delle strate-gie giustifica il necessario ricorso ad un modellodi indagine che integri l’approccio quantitativo equello qualitativo. In particolar modo, all’ap-proccio quantitativo corrisponde il carattereesplorativo (del livello di declinazione del pro-cesso), mentre all’approccio qualitativo corri-sponde il carattere esplicativo della ricerca(come avviene tale processo). Tale combinazione necessita della individuazio-ne di un field di studio (quale base di indagineche risponda alle istanze dell’approccio quantita-tivo-esplorativo) da indagare con una approccioprevalentemente “orizzontale” in grado di offrirealla ricerca completezza e fondatezza della baseempirica. All’interno di esso, in base a criteri di rilevanzafinalizzati al raggiungimento degli obiettivi pre-fissati, verrà scelto uno spettro significativo cheprodurrà i casi di studio, da indagare, successi-vamente, con una approccio prevalentemente“verticale”. Dall’approfondimento dei casi distudio verranno delineati i caratteri propri delprocesso, ovvero la vision strategica attraversola quale può essere strutturato il concetto di reteecologica all’interno degli strumenti di pianifica-zione, (rispondendo così alle istanze dell’approc-cio qualitativo-esplicativo). A ciascuno di questimomenti corrisponde una fase della ricerca: inparticolare, all’indagine quantitativa corrispondela prima fase; alla indagine qualitativa corrispon-de la seconda. All’interno di ciascuna delle fasi,gli asserti e le relazioni tra questi necessitano diun atteggiamento “aperto” e trans-disciplinare alfine di equilibrare il rapporto tra necessaria ridu-zione operativa della complessità fenomenica delreale e articolazione e diversificazione deglischemi concettuali e degli approcci interpretativipossibili.

Il percorso della ricerca: le fasi e i processiL’evoluzione della cultura della tutela e dellaconservazione della natura che da un approcciodi tipo vincolistico legato alla istituzione di areeprotette ha portato ad un approccio di tipo ecosi-stemico, finalizzato alla tutela ed alla conserva-zione della biodiversità, costituisce la base teori-ca di riferimento della presente ricerca. Questo approccio alla tutela ambientale indivi-dua nelle reti ecologiche la risposta all’esigenzadi connessione di tipo ecologico-funzionale tra learee naturali e seminaturali finalizzata ad unaconservazione ambientale diffusa ed estesa atutto il territorio. Nello specifico, la ricerca assu-

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me come finalità generale l’individuazione delcontributo che gli strumenti della pianificazioneurbanistica e territoriale possono offrire allarisoluzione della “questione ambientale”. In talsenso considera i temi della conservazione, dellatutela e del potenziamento della qualità dell’am-biente come invarianti strutturali di qualsiasiforma e processo di governo del territorio. LeReti ecologiche, all’interno di un percorso di rin-novamento e di rafforzamento del Piano urbani-stico e territoriale perseguito anche attraversol’integrazione tra tematiche ambientali e temati-che “ordinarie”, possono costituire la best wayper il raggiungimento di tale fine. Dal tema gene-rale, secondo un approccio deduttivo rispetto allebasi teoriche di riferimento, viene costruita l’i-potesi della ricerca che costituisce la “regola” otraccia che informa le fasi, che guida i processi,che ne costruisce le relazioni, e che, infine, nedelinea il disegno generale. L’ipotesi punta alla verifica dell’esistenza eall’eventuale individuazione dei “luoghi” dellaintegrazione tra tutela ambientale diffusa e stru-menti di governo del territorio che individuano illoro nodo critico nel processo di integrazionedelle reti ecologiche negli strumenti di governodel territorio.Nello specifico tale ipotesi viene indagata attra-verso il tentativo di dare risposta ad alcuni inter-rogativi che concernono il livello e le forme dideclinazione del concetto di rete ecologica, illivello di strutturazione delle reti ecologichenegli strumenti di pianificazione urbana e territo-riale, e la maniera in cui tale processo avviene.La ricerca muove quindi non già da problemi mada domande e bisogni di conoscenza, tradotti inuna “filiera” di interrogativi su una porzionefinita di realtà. In generale, gli interrogativi indi-viduati veicolano un’indagine di tipo esplorativorispetto al fenomeno che si vuole indagare, eduna indagine di tipo esplicativo nella volontà didelineare un possibile profilo che esemplifichi ilprocesso di strutturazione della rete ecologicanel piano.In particolare, le esigenze di conoscenza che ali-mentano la ricerca individuano in alcuni pre-asserti teorici, da verificare e sostanziare, il pas-saggio dall’ipotesi teorica generale che la infor-ma ed orienta, alla processualità tecnica e opera-tiva propria degli strumenti di pianificazione erichiesta dalla disciplina urbanistica. Tale passaggio risulta, in questa fase, fondamen-talmente legato alla esigenza di individuare pro-cedure da attivare e percorsi tecnico-normativida intraprendere per il raggiungimento degliobiettivi fissati. In tal senso risulta di primariaimportanza comprendere sia quali sono le rela-

zioni orizzontali e verticali tra rete ecologica estrumenti e livelli di pianificazione, sia la manie-ra con la quale questi vengono costruiti in termi-ni teorico-normativi e tecnicio-operativi. Inoltre,all’interno di queste relazioni, sarà necessarioanalizzare la specificità delle funzioni e dellatipologia di rete ecologica in relazione alle scaleterritoriali, ai contesti urbani e territoriali di rife-rimento e soprattutto agli strumenti di governodel territorio interessati, siano essi piani o pro-grammi, tradizionali o innovativi. Ma oltre agliaspetti formali si intende guardare anche ai set-tori apparentemente estranei alle tematicheambientali che possono e devono essere integratinel processo di costruzione di una rete ecologicaall’interno degli strumenti di governo del territo-rio, nonché alle possibili modalità di coinvolgi-mento attivo delle comunità locali, secondoapprocci integrati e partecipati dal basso.Per dare risposta alle esigenze di conoscenzaindividuate, il disegno della ricerca segue unpercorso interdisciplinare che, secondo una strut-tura logica, tesse relazioni dirette tra struttura,fasi e processi, attraverso l’individuazione dipassaggi logici progressivi. Esso definisce, inoltre, il metodo per la raccoltadelle informazioni, calibrato sulle caratteristichedella base empirica che si intende indagare. Latecnica di raccolta delle informazioni, da unaparte, si avvale dei metodi di rilevazione indiret-ta, condotta attraverso la consultazione, lo studioe l’analisi dei documenti esistenti4, dall’altra,utilizza procedure proprie della rilevazione diret-ta, attraverso la somministrazione, tramite inter-vista telefonica, di un questionario semi-struttu-rato ad una elite interviewing (o testimoni quali-ficati: i responsabili regionali della pianificazio-ne territoriale e della conservazione ambientale),secondo precise procedure di rilevazione. Le interrelazioni costruite tra base empirica etecnica di raccolta delle informazioni contribui-scono alla comprensione di ciò che sarà utile,con evidenza empirica, a supportare gli assertiprodotti dalla ricerca ed alla eventuale ispeziona-libilità delle informazioni5. In tal senso, quelloche importa è l’asseverabilità empirica delleaffermazioni che si intende produrre, che, nellospecifico, è garantita attraverso l’utilizzo divariabili ed indicatori confrontabili tra loro.L’unità territoriale di riferimento presa in consi-derazione è la regione, sia perché a questa è affi-dato dal DPR 357/97 (di recepimento dellaDirettiva Habitat) il compito operativo dellaperimetrazione dei sic e delle zps (aree checostituiscono la geometria della rete ecologica),sia perché le regioni costituiscono l’unità territo-riale minima in grado di legiferare sia nel settore

Ric

erca

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urbanistico che in quello ambientale. Dall’esamedella declinazione regionale del concetto di reteecologica si potranno così individuare i differen-ti percorsi autonomamente individuati dalleregioni e delineare così i tratti di un possibilepercorso esportabile. Una volta definite le modalità di raccolta delleinformazioni e la base empirica di riferimento, eraccolte le informazioni ritenute opportune, que-ste vengono tradotte in dati e organizzate inschemi. Perché le informazioni possano tradursiin dati necessitano di una prima lettura interpre-tativa (framing); la semplice raccolta di informa-zioni non consente, infatti, automaticamente diessere in possesso di dati6. Questi sono informazioni interpretate inserite inun quadro di sintesi che li ri-organizza (Ricolfi,1997). La trasformazione delle informazioni indati risulta necessaria perché consente la lorosuccessiva confrontabilità e la costruzione dinessi e possibili relazioni tra questi. In una ricer-ca quantitativa la raccolta dati avviene, in gene-re, all’interno di una matrice di tipo C X V, casoper variabile. La matrice utilizzata nella presente indagine ècaratterizzata dalla presenza, in colonna, dellesingole unità d’analisi (le regioni italiane), e, inriga, dei settori di indagine ritenuti opportuni aifine della ricerca7. La scelta di questi campi di indagine, e la relati-va costruzione delle variabili, segue un criteriodi selezione dei temi che, in maniera strategica,possano essere utili a fornire una risposta allaipotesi assunta dalla ricerca consentendo, conse-guentemente, il raggiungimento degli obiettivida questa individuati. Una volta costruita la matrice, si procede conl’analisi dei dati che costituisce l’insieme di pro-cedure formali e informali finalizzate alla costru-zione di asserti e nessi tra asserti, che costitui-scono l’orditura del discorso che struttura esostanzia i risultati della ricerca. Infine, l’individuazione dei risultati e la relativaesposizione, come momento di sintesi e di for-malizzazione degli asserti, assolverà ad almenotre compiti:- rendere il più trasparente possibile il percorsodella ricerca;- comunicare i risultati più importanti frutto del-l’analisi;- stabilire un rapporto con la letteratura prece-dente e suggerire nuove linee di ricerca (gli svi-luppi).Nel caso specifico della presente ricerca, i pre-asserti sono la presunta attuazione della rete eco-logica a livello regionale; la loro verifica sosten-zierà il sistema di asserti che costituiranno i

risultati della ricerca. Questi si avvarranno dischemi interpretativi per la propria struttura-zione.

Note 1 E’ necessario ricordare che quando si parla di metodologiadella ricerca, uno dei riferimenti principali risulta essere lametodologia della ricerca sociologica, che ha sviluppato leteorie ed i percorsi operativi, accreditati per la ricerca empiri-ca. E’ pertanto riferito a questo contesto disciplinare il siste-ma di fasi e di processi di indagine utilizzati dalla presentericerca.2 Per Marradi la differenza fondamentale tra ricerca quantita-tiva e ricerca qualitativa risiede nell’uso della matrice dati.3 Ricerca survey: inchiesta condotta su un campione signifi-cativo di soggetti rappresentativo della popolazione, che uti-lizza tecniche di rilevazione standardizzate e fortemente strut-turate.4 Si tratta delle dichiarazioni internazionali, dei documentinazionali e regionali, della letteratura di settore, degli studispecifici sulle reti ecologiche e sulle relazioni tra queste e glistrumenti di governo del territorio, nonchè degli strumenti dipianificazione e di programmazione che le singole realtàregionali hanno promosso in questi ultimi anni.5 L’ispezionalbilità della base empirica di una ricerca dipen-de secondo Wittgenstein (che studia nello specifico la ricercamatematica) dalla capacità di “dominarla come un tutto”. Inquesto caso però è necessario specificare che in presenza diuna ricerca quantitativa si ha tendenzialmente un certo livellodi ispezionabilità della base empirica che nel caso della ricer-ca qualitativa non è detto che si riesca ad ottenere (in tal sensola ricerca etnografica, ad esempio, è solamente in parte ispe-zionabile). Nella ricerca qualitativa la non ispezionabilitàdella base empirica è strettamente correlata alle caratteristichedella ricerca sul campo; in essa l’autore è l’unico depositariodella base empirica su cui fonderà le sue analisi e tratterà lesue conclusioni (Cfr. Ricolfi, 1997).6 In realtà, come sottolinea Ricolfi, le informazioni sono frut-to di una prima interpretazione desunta dalla lettura ed anali-si della base empirica. Nel momento in cui le informazioni sitraducono in dati si è, quindi, operata una loro re-interpreta-zione.7 Questi, in ordine, sono i contenuti delle leggi urbanisticheregionali, le leggi ambientali regionali, i progetti di rete eco-logica regionali, gli strumenti di governo del territorio, illivello di operatività raggiunto ecc., si tratta in conclusionedegli ambiti sui quali indaga direttamente la ricerca.

Note bibliograficheRapporto tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativaAgodi M. C. (1995), Qualità e quantità: un falso problema etanti equivoci, in C. Cipolla, A. de Lillo (a cura di), Il socio-logo e le sirene, La sfida dei metodi qualitativi, Angeli,Milano.Boudon R. (1971), The Logic of Sociological Explanation,Penguin Books, Harmondsworth, Middlesex, England.Bryman A. (1988), Quality and Quantity in Social Research ,Unwin Hyman, London.Capecchi V. (1963), “Analisi qualitativa e quantitativa insociologia”, in Quaderni di Sociologia, XII.Cardano M. (1991), Il linguaggio delle variabili, Resemberg& Sellier, Torino.Lazarsfeld P. F., Barton A (1951), “Qualitative Measurementin The Social Sciences: Classificaztion, Typologies, andIndices”, in D. Lerner, H. D. Laswell (eds.), The PolicySciencies, Stanford University Press, Stanford.Ragin C. C. (1987), The Comparative Method, Moving beyondQualitative and Quantitative Strategies, University ofCalifornia Press, Berkeley.Ricolfi L. (1997), La ricerca qualitativa, Carocci, Roma.

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IntroduzioneLa ricerca concentra l’elaborazione nel rapporto esistente tra la programma-zione negoziata e la pianificazione territoriale e urbanistica, cercando dirispondere a due esigenze principali.La prima è quella di analizzare lo scenario posto in essere dall’introduzionedei programmi negoziali nei processi di pianificazione. Questa lettura, aven-do come sfondo di riferimento costante le pratiche urbanistiche, punta ad evi-denziare l’innovazione nei procedimenti amministrativi instaurati dalle pro-cedure negoziali. Di fatto alcuni concetti non costituiscono delle novità tipi-che degli anni ’90 (valutazione, concertazione, negoziazione), ma l’innova-zione consiste nella loro esplicitazione, istituzionale e normativa, nella evi-denza formale che assumono nel processo di piano tendente a sostituire ilsistema delle regole prescrittive. E’ infatti nel confronto tra i procedimentiistitutivi che si manifesta la prima e più evidente sovrapposizione delle dueforme di pianificazione. Questa prima riflessione ci consente di capire se laprogrammazione negoziata costituisce una forma di “governo del territorio”.La seconda esigenza, di natura cautamente interpretativa, rappresenta unamappa di orientamento nel sistema di strategie per la pianificazione inSicilia.Pertanto, la prima parte elabora una ricostruzione critica della disciplinanegoziale nelle politiche di sostegno alle attività produttive e, sempre in temadi programmazione negoziata, la sua accezione territoriale, come istituto dinatura “contrattuale” e la sua introduzione negli strumenti di governo del ter-ritorio. La seconda parte prosegue con il monitoraggio degli strumenti nego-ziali in rapporto alla pianificazione ordinaria, nel territorio siciliano attra-verso due filoni: 1) la ricostruzione dell’iter procedurale di attuazione dellaprogrammazione negoziata e l’innovazione innescata nella prassi tradiziona-le; 2) l’elaborazione dell’osservatorio regionale della programmazione nego-ziata.L’obiettivo è quello di identificare l’azione della programmazione negoziatasul territorio come azione di piano, quindi in rapporto con la pianificazione“ordinaria”. Le relazioni formali che si stabiliscono tra i vari soggetti cheintervengono nel processo di pianificazione, contribuiscono così anche nelladimensione negoziale di quei processi, a definire la programmazione nego-ziata come forma di governo del territorio e quindi a sua volta strumento diprogetto del territorio stesso.

Dall’intervento straordinario alla programmazione negoziataPer comprendere il contenuto più innovativo e la comparsa della disciplinanegoziale nell’ordinamento italiano, è opportuno ricostruire il quadro cultu-rale normativo entro il quale è maturata l’idea stessa di programmazionenegoziata. Quest’ultima, trae le sue origini nelle forme di “contrattazione programma-ta” degli anni Sessanta/Settanta e si afferma come strumento di programma-

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Antonella Aluia

Pianificazione urbana e territorialee programmazione negoziata

I nuovi scenari dello sviluppo territorialein Sicilia

’atteggiamento gene-rale di chi opera in

campo urbanistico di fron-te al tema della program-mazione negoziata, susci-ta immediatamente per-plessità e preoccupazione. La presenza, infatti, sulterritorio di interventiindotti da strumenti diprogrammazione negozia-ta nel momento in cui ci siaccinge ad avviare unqualsiasi processo di pia-nificazione sconvolge lostato dei luoghi e l’ap-proccio tradizionale del-l’iter di costruzione diuno strumento urbanisti-co. Sia che si tratti di inter-venti già realizzati, siache si tratti di opere anco-ra da realizzare il pianifi-catore si pone all’istantealcune domande: se biso-gna tenerne conto nel pro-cesso di pianificazione; sebisogna territorializzaregli interventi sul territo-rio; se la presenza diinterventi riferiti ad unsettore specifico comportal’apposizione di una zonaterritoriale omogenea; seesiste la possibilità di nontenerne assolutamenteconto (per quelli ancorada realizzare) e rimandar-ne il procedimento auto-rizzativo ad una fase suc-cessiva, ossia ad unaderoga allo strumentourbanistico vigente.

Tesi

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zione dal basso dello sviluppo a seguito dell’aboli-zione dell’intervento straordinario per ilMezzogiorno.All’indomani del secondo conflitto mondiale, l’a-pertura dei mercati nazionali verso quelli europeiinnesca un meccanismo di divaricazione all’inter-no del Paese. Con la L. 646/50, viene istituita la Cassa per ilMezzogiorno, ente dotato di specifiche risorsefinanziarie destinate ad intervenire, in aggiuntaall’intervento ordinario dello Stato, nell’Italiameridionale.L’intervento straordinario della prima fase furivolto al rilancio dell’agricoltura e delle dotazioniinfrastrutturali del Paese. A partire dal ‘57, vieneattuata una politica di intervento diretto alla crea-zione di economie industriali “Aree di SviluppoIndustriali” (ASI), o ristretti “nuclei di industria-lizzazione” (NI), concentrati inizialmente in pochearee regionali del Mezzogiorno di Italia. Questoprocesso di “industrializzazione per poli”, disegnauna gerarchia regionale creando zone a forte svi-luppo economico e zone di marginalità all’internodello stesso Mezzogiorno.Le modalità del sostegno all’economia delMezzogiorno, si attuava dunque con la previsionedi un intervento coordinato di iniziative pubblichenecessarie a creare le condizioni favorevoli perl’insediamento di nuove iniziative private, comeun complesso organico adeguato a garantire ildecollo di una determinata zona.La contrattazione programmata fondata sul princi-pio del consenso tra parti sociali, organi di gover-no da un lato, e le imprese sia pubbliche che pri-vate dall’altro lato, rappresenta il primo esempiodi programma avente per oggetto l’assetto del ter-ritorio, finalizzato alla riduzione degli squilibriterritoriali del Meridione (ma non solo) del nostroPaese, oltre che alla creazione di nuovi posti dilavoro.Ma per individuare le prime coordinate del quadrogenerale di riferimento entro il quale ascrivere laprogrammazione negoziata, e definire il rapportocon la pianificazione territoriale, occorre risalirealla fase conclusiva dell’intervento straordinarionel Mezzogiorno. Tra gli anni Ottanta e Novanta,l’introduzione di alcuni strumenti: Accordi diProgramma1; Contratti di Programma2, i Contrattidi impresa3 e le Intese di programma4, sancivano,sia la presa d’atto delle difficoltà di una “program-mazione straordinaria” per il Mezzogiorno, maanche il definitivo superamento dello schema cen-tralistico degli interventi nel Mezzogiorno.Ma è solo con l’entrata in vigore della L. 488/92,con cui è stato soppresso l’intervento straordinarioe sancita la sua sostituzione con un “sistema diinterventi ordinari nelle aree depresse del territo-

rio nazionale”, che la contrattazione programma-ta, perde i propri connotati. Da strumento quadroper definire i rapporti dello Stato con l’imprendi-toria privata diviene figura più complessa, in unapluralità di strumenti atti a definire i rapporti delloStato con diversi soggetti, pubblici e privati, disci-plinata dalla definizione stessa di “programmazio-ne negoziata”.

La nuova filosofia della programmazione nego-ziataLa programmazione negoziata, inaugura unanuova linea di sviluppo territoriale: si abbandona-no i meccanismi di sostegno economico statale e sicominciano a diffondere nuove tipologie di soste-gno più orientate da strategie attuative di concerta-zione e negoziazione.Pensati originariamente per le regioni meridionali,e diffusi poi su tutto il territorio nazionale (L.662/96) gli strumenti di programmazione negozia-ta si caratterizzano per la loro “orizzontabilità”,ossia il prevedere l’avvio dal basso di una pro-grammazione socioeconomica che coinvolge attra-verso modalità concertative/negoziali diversi sog-getti e che rispondono alla logica dello sviluppoendogeno di tipo bottom-up (dal basso): si prevedela raccolta e la selezione di progetti di investimen-to che si concretizzano attraverso una serie di rac-cordi formali tra diversi soggetti.L’introduzione della programmazione negoziata,rappresenta una esigenza già manifesta da temponell’ambito della disciplina urbanistica e territo-riale, cioè la necessità di una riforma urbanistica, edi conseguenza della revisione delle leggi urbani-stiche regionali, guidate da una legge quadronazionale.Ma è soprattutto il confronto delle procedure delleprocedure negoziali con la pianificazione urbani-stica, che rappresenta l’ esigenza più forte di inno-vazione del piano a tutti i livelli istituzionali e inspecie a livello comunale. Contestualmente all’affermazione dei nuovi stru-menti negoziali, la crisi del tradizionale meccani-smo della pianificazione urbanistica fondato sullacrescita quantitativa, registra una inversione ditendenza con l’introduzione di nuovi strumenti i“programmi complessi”. Nati in un settore specifi-co, quello dell’edilizia residenziale pubblica, iprogrammi complessi hanno investito molte cittàitaliane, portando quasi sempre alla rivisitazionedegli strumenti urbanistici in vigore o svolgendoun ruolo propulsivo nella elaborazione dei nuovipiani. Non è un caso infatti che inevitabilmente iprogrammi complessi, qualsiasi forma assumano,si configurano quasi sempre come varianti aglistrumenti di pianificazione urbanistica, poichéquesti ultimi definiscono allocazioni di funzioni e

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Tesi

dimensioni delle stesse, ma non tengono contodelle relazioni tra i soggetti.I programmi complessi, sviluppatesi in assenza diuna riforma urbanistica nazionale, ma parallela-mente all’avvio delle riforme di alcune leggiregionali, rappresentano una nuova domanda dipianificazione che si esprime come esigenza inelu-dibile da parte dei soggetti deputati al governo delterritorio e – non sembri incredibile – persino daisoggetti attivi del mercato. Dall’esperienza dei programmi complessi per lariqualificazione urbana appare evidente l’instau-rarsi di un nuovo rapporto significativo con ilpiano, tradizionalmente inteso: si va verso unnuovo modello di costruzione del piano, secondouna logica che prende avvio dal “particolare” perripensare e riformulare l’assetto più “generale”.

La programmazione negoziata come “forma digoverno del territorio”Il territorio nell’ottica della nuova pianificazioneper lo sviluppo diventa l’elemento fondamentale apartire dal quale costruire processi e strategie, pro-prio perché la dimensione del locale viene imple-mentato sulle diverse realtà territoriali.Quindi il territorio non è più visto come un dato difatto, bensì come qualcosa che si costruisce divolta in volta e che manifesta un grado di autono-mia nell’elaborare strategie e d capacità di agire inmaniera intenzionale; di progettare e risignificaregli spazi. In questa nuova visione dunque il terri-torio non è più un destinatario inerte di mere desti-nazioni funzionali, un suolo oggetto di trasforma-zione, al quale applicare criteri di controllo, vinco-li e norme; ma assume una dimensione strategica:è oggetto di complessità, di dinamicità.Il superamento della concezione di territorio daluogo bidimensionale di geometrie statiche a luogopluridimensionale di geometrie dinamiche, comeesito di un processo di “territorializzazione” diazioni strategiche, porta inevitabilmente ad un pas-saggio che è quello della “pianificazione fisicadello spazio” alla “progettazione del territorio”. Passare dalla pianificazione fisica dello spazio allaprogettazione del territorio significa rappresentaresoggetti, non oggetti, mettendo insieme punti divista diversi. Il punto di forza della progettazionedel territorio è la conservazione e la valorizzazio-ne della complessità, a differenza della pianifica-zione fisica dello spazio, in cui oggetti e soggettivengono necessariamente ridotti a mero governotecnocratico della complessità latente.La programmazione affidata a procedure negozialiridefinisce inoltre nuovi ruoli e nuove relazioni traistituzioni e soggetti non istituzionali. La prassipianificatoria che discende proprio dall’introdu-zione della disciplina negoziale nella legislazione

vigente, instaura una nuova concezione che partedal presupposto che l’istituzione pubblica non sial’unico depositario di competenze e capacità discelta in materia di governo del territorio.I diversi soggetti che concorrono alla pianificazio-ne possono essere distinti in soggetti della pianifi-cazione e attori del processo di pianificazione. Aiprimi, portatori di interesse della collettività è affi-dato il compito di stabilire la strategia generale acui riferirsi per la costruzione del programma, aifini del raggiungimento delle finalità prefissate;gli attori sono portatori di interessi e di risorse,nonché di conoscenza; sanno interpretare la com-plessità della domanda sociale locale; contribui-scono a migliorare l’efficacia del processo decisio-nale e a disegnare nuovi scenari di sviluppo, assu-mono in sintesi un ruolo propositivo nelle politi-che urbane e territoriali.In questo senso la programmazione, basata sumetodi concertativi negoziali costituisce forma digoverno del territorio e quindi strumento di pro-getto del territorio stesso: si identifica come un’a-zione strategica sul territorio. Presuppone infatticapacità di auto-organizzazione in base alle poten-zialità locali del territorio e capacità di integrarepolitiche “dall’alto” e “dal basso”. Il territorio èrappresentato come un sistema complesso in cui siintegrano e interagiscono le relazioni dei diversisoggetti e dei diversi attori, sia per gli aspettisociali, che quelli culturali ed economici, che nepotranno essere generati anche per il futuro.Gli interventi di programmazione negoziata inquesto ordine si configurano dunque come “stru-menti di progetto del territorio” poiché la loroazione non attiene a singole realtà territoriali, masi riverbera nell’intero tessuto sociale e sull’insie-me dei meccanismi che interagendo regolano il ter-ritorio stesso.

La programmazione negoziata in Sicilia. Il casodi studioIl monitoraggio degli interventi di programmazio-ne negoziata attivati nel territorio della Regionesiciliana, con la relativa esplorazione metodologi-ca, ha mostrato la portata del fenomeno nel perio-do che va dagli anni ’90 ad oggi.La ricostruzione dell’iter procedurale di attuazionedella programmazione negoziata ha consentito dicapire come l’impianto normativo regionale, a par-tire dagli anni Novanta, si è adeguato, con singoliprovvedimenti tampone per la realizzazione diinterventi, che viceversa richiederebbero un’azio-ne integrata e coordinata di diverse competenze,perché diversi sono i soggetti che intervengono.Ne emerge che un’azione della programmazionenegoziata, nel momento in cui contrasta con le pre-visioni dello strumento urbanistico vigente, ha la

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capacità di modificare la “pianificazione ordina-ria”, anche di livello sovraordinato, (per esempioun Piano paesistico), cosa impossibile con unavariante urbanistica ordinaria, semplicementericorrendo allo strumento dell’Accordo di pro-gramma o ancora più facilmente alla “Conferenzadi servizi”. Ma tale relazione o meccanismo nonindividua né nuove pratiche né nuovi attori cheprendono parte al processo decisionale: è un merointrecciarsi di prassi ed azioni di empiria burocra-tica. Un possibile scenario di integrazione potreb-be essere l’apertura di una fase anticipazione ela-borativa, sempre all’interno dell’Accordo di pro-gramma, della partecipazione dei diversi soggettiportatori di interesse su un determinato territorioaddivando azioni utili alla preparazione della deci-sione (concertazione) e successivamente parteci-pando direttamente al momento decisionale (nego-ziazione). Tutto ciò può tradursi in un migliora-mento dell’intero processo decisionale, poichécontribuisce ad avere, fin dall’inizio, una visionecondivisa del territorio e delle sue potenzialità. Ilgoverno del territorio infatti comporta assunzionidi responsabilità da parte di tutti i soggetti, ma èsoprattutto il soggetto pubblico che deve definireregole e ruoli nell’ambito di una “nuova urbanisti-ca”, fermo restando i principi di sussidiarietà epartecipazione di tutti i soggetti istituzionali (pub-blici e privati) nel perseguire il preminente inte-resse pubblico.

L’elaborazione dell’“osservatorio” L’“osservatorio” regionale della programmazionenegoziata, costruito in questa ricerca5, costituisceun quadro analitico che non ha la pretesa di untrattamento definitivo dei dati raccolti, ma quellodi creare un modello metodologico di analisi emonitoraggio per ricerche successive.L’osservatorio è uno strumento che può valereentro un orizzonte determinato, ma la sua possibi-le confluenza verso un SIT, lo può trasformare inuno strumento utile per la gestione e l’attuazione,della programmazione negoziata, sia in termini diintegrazione con gli altri strumenti di pianificazio-ne (coordinamento orizzontale), sia in termini diraccordo con la strategia territoriale di livellosuperiore (coordinamento verticale).

Fasi dell’analisi applicativa

L’applicazione si sostituisce impropriamente ad unlavoro di coordinamento “orizzontale” e “vertica-le”, evidenziando aspetti che aprono i confini delladisciplina urbanistica verso prospettive diverse einnovative:- la rappresentazione delle dinamiche territoriali; - il coordinamento verticale e orizzontale (tipiconei processi di pianificazione);- la valutazione delle risorse naturalistiche edambientali (invarianti strutturali del territorio) inrapporto con gli aspetti strategici della program-mazione negoziata; - il collegamento con il mondo politico della pro-grammazione, che è un eufemismo per indicareuna “teoria di governo del territorio”.L’articolazione dell’indagine applicativa, condottain più fasi, disegna una “geografia territoriale”della programmazione negoziata che trova nelladimensione provinciale il livello di riferimentoattorno a cui costruire la lettura dei vari dati (livel-lo di rappresentazione dei processi attivati in sedelocale che possono tradursi nelle strategie di livel-lo regionale). Il quadro delle esperienze di concertazione territo-riale, così come il quadro degli interventi inseritinei vari programmi negoziali (non esaustivo, poi-ché molti processi sono in costante modifica edevoluzione), non rappresentano dunque un sempli-ce monitoraggio di dati ma anche una utile guida,una mappa di orientamento nel sistema delle stra-tegie generali per la pianificazione in Sicilia.

Quadro regionale degli interventi inseriti nei pro-grammi negoziali

Riflessioni conclusive La programmazione negoziata e la pianificazioneterritoriale e urbanistica territoriale,, come formedi “governo del territorio” necessitano nel loro iterdi un’apertura verso la flessibilità, l’interattività,la fattibilità. È indispensabile, da un lato, il pas-saggio della programmazione negoziata dalla fasedi “straordinariarietà” ad un regime “ordinario”, e,dall’altro, la costruzione non episodica, di una pia-nificazione strategica e strutturale, strutturale peril livello provinciale e strategica per quello regio-nale. E’ possibile individuare alcuni elementi a cui

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Tesi

riferirsi:1) specificare finalità, contenuti e procedure nellalegge regionale, distinguendo i programmi nego-ziali di area vasta, da quelli di ambito urbano,equiparando questi ultimi a strumenti urbanisticiesecutivi e istituzionalizzando il ruolo degli opera-tori privati come soggetti attivi della pratica di pia-nificazione;2) individuare l’accordo di programma, come stru-mento di previsione urbanistica per gli interventinegoziati, adeguandone ovviamente i contenuti inquesta direzione;3) definire per i programmi negoziali di area vasta,le linee guida programmatiche che individuino leazioni strategiche territoriali di scala regionale. Lo scontro/incontro della programmazione nego-ziata con la pianificazione ordinaria, evidenzia daun lato l’incapacità degli strumenti di pianificazio-ne ordinaria di superare la concezione del pianourbanistico come “piano d’assetto”, come stru-mento occasionale della crescita e della organizza-zione del territorio, e mette in luce dall’altro lato,come la programmazione negoziata non ha tenutoconto del rapporto con la pianificazione vigenteeludendo a priori ogni legame con il territorio diriferimento. L’assunzione di logiche di sviluppoterritoriali che provengano dal basso, come quellenegoziali, nella pianificazione di tipo “ordinario”costituisce il vero obiettivo di innovazione da per-seguire nella riforma urbanistica. Infatti l’introdu-zione di pratiche concertative negoziali, seppurelimitata o vincolata da prassi pianificatorie conso-lidate, fornisce un’apertura verso nuove forme diripensamento delle leggi urbanistiche regionali.Dalle analisi, si riscontra l’appartenenza della pro-grammazione negoziata a forma di “governo delterritorio” o a “strumento di progetto del territo-rio” solo nelle intenzioni, nella fase di avvio diconcertazione e negoziazione: l’integrazione deiprogrammi attivati è solo parziale e le reti di sog-getti e attori che agiscono possono essere conside-rate “artificiali” (artificiose?), sotto il profilo urba-nistico. Nonostante ciò è lecito supporre che uncomplesso di azioni simultanee indirizzate ad unacomune finalità di sviluppo produca effetti positi-vi, per le potenzialità implicite e per le capacità dicreare valore aggiunto territoriale, in quanto espri-mono comunque un’idea di “governo del territo-rio” che sa recepire una molteplicità di domande eprogetti, riuscendo ad armonizzarli e a guidarliverso soluzioni condivise. Gli strumenti di pro-grammazione si configurano come strumento pertrasformare il territorio in un “sistema locale terri-toriale”, in cui i diversi soggetti si muovono comeun attore collettivo, sulla base di progetti e pro-grammi comunque espressi e formalizzati. La ricerca pertanto, individua e definisce:

- strumenti di lettura, interpretazione e valutazionedella programmazione negoziata negli ordinariprocessi di pianificazione; - strumenti, modalità e procedure negoziali, comeriferimento per la riforma urbanistica; - relazioni e nuovi rapporti tra territorio e istitu-zioni, tra soggetti istituzionali e attori locali, inbase al principio di sussidiarietà; - contributi teorici per lo sviluppo della pianifica-zione e contributi scientifici per la formazione delPiano Territoriale Urbanistico Regionale (PTUR);- l’ “osservatorio” della programmazione negozia-ta, come elemento di costruzione scientifica delSistema Informativo Territoriale Regionale(SITR).

Quadro regionale dei programmi negoziali attiva-ti per Provincia (dicembre 2003)

Note1L. 64/862Del. Cipi 16 luglio 19863Del. Cipi 2 Febbraio 19904Del. Cipe 29 Marzo 19905Elaborato in GIS (Geographic Information System), coordina-te UTM.

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Convenzioni di Ricerca (n. 20) dell’Assessorato Territorio eAmbiente con varie Università italiane, per contributi scientifi-ci e specialistici finalizzati alla formazione del PianoTerritoriale Urbanistico Regionale (PTUR), 1999-2003.

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Rosario Cultrone

IntroduzioneLa Sicilia rappresenta, tra le regioni italiane, quella maggiormente espo-sta a catastrofi naturali di natura geodinamica: terremoti ed eruzioni vul-caniche. Basti ricordare i terremoti del Val di Noto (1693; circa 60.000vittime) e quello di Messina (1908; circa 80.000 vittime) che hanno col-pito la porzione orientale dell’isola, o le eruzioni dell’Etna del 1669 e del1928 che hanno devastato vaste porzioni del territorio in una zona doveoggi si sviluppa una estesa area metropolitana. “Ogni Comune - secondo l’art. 108 del Dlgs 112/98 - deve dotarsi di unastruttura comunale di Protezione Civile”, e la sua disciplina deve esseredisposta con appositi regolamenti previsti dall’art. 51 della legge 142/90(legge di Riforma delle Autonomie Locali). Infine la Regione, in rappor-to stretto sia col Comune che con la Provincia, deve intervenire nel rac-cordo tra le varie scale della pianificazione. La Legge 225/92 qualificata come legge di “principi” ha mostrato alcunilimiti in occasione dei recenti terremoti dell’Umbria e delle Marche chehanno inciso enormemente sui ritardi nella gestione del dopo-terremoto.La maggior parte dei Comuni colpiti non aveva un piano di emergenzacon la predisposizione di servizi di base in aree già individuate, poiché lalegge non ne prevede l’obbligo per il Sindaco. Tale esperienza è stata determinante per l’approvazione del Dlgs 112/98che trasforma in obbligo (“deve”) la possibilità (“può” di cui alla 225/92)per i Comuni di dotarsi di una struttura di Protezione Civile previstaattualmente dall’art. 108. Dopo l’emanazione di leggi comportanti più nuovi e agili strumenti pro-cedurali, tra cui la L.142/1990 (agili accordi di programma traAmministrazioni diverse), la L.241/1990 (ricorso a conferenze di servizioper decisioni operative), la L.662/1996, collegata alla “finanziaria” (ride-finizione degli atti amministrativi e previsione dell’”intesa istituzionaledi programma”), si sono avute più precise disposizioni a metà del 1997con la legge 16.7.97 n.228, emanata nell’urgenza di adottare misure diprotezione civile, ambiente e agricoltura, la quale prevede ... interventiurgenti di prevenzione ... a eliminare situazioni di pericolo non fronteg-giabili in sede locale, con ricorso a ordinanze ministeriali.E’ così istituita un’azione nazionale di prevenzione, basata su ordinanzeche possono individuare i livelli di rischio e quindi le priorità nel territo-rio nazionale, in anticipazione dei tempi dei programmi nazionali previstidalla L.225/1992. Il problema “emergenza” si struttura nella problematica di policy, ovve-ro opportunità preventiva di intervento pubblico. L’analisi dell’incertezza sul se, quando e come del verificarsi d’eventocalamitoso influenza il grado di salienza riconosciuto al problema dipolicy makers, degli stili adottati al riguardo. Si possono identificare due tipi di vulnerabilità strettamente correlate: la

Pianificazione e protezione civile:linee guida per la redazione deipiani comunali d’emergenzasismica

La necessità di un sistemadi pianificazioni integra-

te che garantisca le istanzeterritoriali sempre piùcogenti costituisce un grossonodo dell’urbanistica attuale.Le diverse vulnerabilità pre-senti sul territorio hannoportato alla creazione dipiani di bacino, dei parchi,piano paesistico, di bonifica,non fornendo una vera solu-zione poiché prima o poi ivincoli dovranno essere rece-piti dagli strumenti urbanisti-ci classici: Prg e Piano terri-toriale di coordinamento. Ipiani di settore finiscono conil marginalizzare la dimen-sione ambientale e le proble-matiche legate ai rischi e allaloro prevenzione.Quest’ultima deve inciderenell’ordinario e prefigurareanche nuovi programmi dirisanamento urbano e terri-toriale . Nella definizione diun piano urbanistico convalenza antisismica, non puòmancare una valutazione divulnerabilità del tessutourbanistico. Per costruirepolitiche di prevenzionesismica è necessario entrarenell’ordine di idee che glistrumenti operativi devonopresentare il massimo di fles-sibilità, consentendo al pote-re pubblico di interveniremodulando e diversificandoil profilo di intervento ade-guato alla concreta realtàeconomica, sociale, proprie-taria, amministrativa che sipresenta nei diversi casi.

Tesi

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vulnerabilità territoriale e la vulnerabilità siste-mica. La prima connessa agli aspetti prevalente-mente geografici del territorio e all’impatto diquesti sulle funzioni che in esso si svolgono, laseconda é intrinseca al funzionamento delle retie dei sistemi. Il piano comunale di protezionecivile mira alla riduzione della vulnerabilità ealla sicurezza delle vie di fuga nonché allariqualificazione urbana con particolare attenzio-ne al centro storico assumendo l’aspetto di unpiano di recupero antisismico. E’ fondamentale che le indicazioni del pianosiano assolutamente compatibili con lo strumen-to urbanistico vigente e con la salvaguardia for-male e strutturale degli edifici che costituisconoi centri storici. Conservare quindi,il pregio storico-costruttivodei singoli edifici che di volta in volta vengonoristrutturati al fine di evitare la perdita di iden-tità storica che spesso è abbinata agli interventidi ristrutturazione edilizia. Vulnerabilità eRischio devono diventare parti del piano, pilastridella sua efficacia. La pianificazione urbanistica interviene all’in-terno delle politiche di mitigazione del rischio:per un verso attraverso l’inserimento di unaserie di misure prescrittive sull’uso del suolo,regolamenti edilizi o costruttivi; dall’altro, pergli insediamenti esistenti attraverso interventi diristrutturazione urbanistica e programmi di ade-guamento del patrimonio edilizio a rischio. Per quanto attiene la costruzione di nuovi inse-diamenti con ridotti livelli di rischio sismico, gliurbanisti sono in grado di adoperare scelte ade-guate di localizzazioni; e, al contempo le cono-scenze nel campo della scienza delle costruzioniconsentono l’emanazione di norme edilizie chepermettono di costruire quartieri e città conrischio sismico sempre più ridotto. Sono pionieri in tal senso le zone dellaCalifornia e del Giappone, in cui la riduzione delrischio è diventato obiettivo della pianificazioneurbanistica. I criteri e le norme utilizzate neisecoli scorsi nella redazione dei piani di rico-struzione di alcune città hanno mantenuto intat-ta la loro attualità: ancora oggi le normativeurbanistico-edilizie antisismiche sono orientatesoprattutto a fissare i rapporti che devono rego-lare la distanza tra edifici in relazione alla loroaltezza e a garantire maglie urbane ampie eregolari.

Criteri di localizzazione ed uso del suoloLe carte di macrozonazione e della pericolositàsismica locale rappresentano un indispensabileausilio nel guidare le scelte urbanistiche di

nuovi interventi e nuove localizzazioni. L’Aquist Priolo Act del 1972 consente nelle areedi rispetto delle faglie, solo la costruzione dicase monofamiliari isolate a non più di due pianie con struttura in legno. Ma ciò che può essere auspicabile da un punto divista di mitigazione del rischio non lo è da altripunti di vista. Pensiamo ad esempio agli interventi di ristruttu-razione edilizia e urbanistica che potrebberoessere suggeriti nell’ottica di prevenzione delrischio sismico e che sarebbero in netta antitesicon la salvaguardia dei centri storici. Così comela tendenza al trasferimento di alcune funzionidella città dai centri storici a zone più sicure,cozza con le politiche di rivitalizzazione deicentri storici.

Urbanistica e prevenzione del rischioE’ necessario che i piani di protezione civile ascala comunale prevedano:adeguamento sismico delle vie di fuga e degliaccessi ai suddetti edifici strategici;miglioramento sismico del patrimonio storico eculturale;miglioramento sismico del patrimonio privatoricadente in prossimità degli edifici strategici,delle vie di fuga, degli spazi aperti di prima pro-tezione;adeguamento o recupero delle reti tecnologichee delle reti stradali in prossimità o di accessoagli edifici strategici;creazione di laboratori sperimentali, con funzio-ne di assistenza tecnica ai cittadini per l’acces-so ai finanziamenti;La mitigazione del rischio sismico è l’obiettivoattraverso cui passano queste due azioni che siconiugano nel restaurare conservando e la stradada percorrere è evidente: conoscere cosa conser-vare e decidere come conservarlo. Intasamenti, soprelevazioni, aggregazioni sono ipassi obbligati dell’evoluzione urbana e unattento esame ne evidenzia i passaggi e le tecni-che esecutive.L’analisi meccanica ci porta a fare le seguentideduzioni: a seguito di un sisma dell’VIII gradomuratura di qualità scadente collassa, ma anchese ben costruiti non possono superare il IXgrado. Appare grave che le norme attuative dei pianiregolatori spesso consentano esplicitamenteinterventi di recupero, strutturalmente significa-tivi, mediante progettazione riferita alla singolaunità immobiliare (interventi di manutenzionestraordinaria, opere interne) senza prescrivereche l’intervento in oggetto deve essere pensato

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all’intero edificio o meglio all’intero isolato. Il “miglioramento” sismico può portare a vistosicontrasti con la vincolistica urbanistica posta atutela dei centri storici. Altro capitolo delicatissimo è la destinazioned’uso dei piani terra poiché gli aumenti dellepercentuali di aperture nelle facciate o di demo-lizioni di vaste parti della maglia muraria por-tante implicati in genere da tali trasformazionid’uso può aggravare il comportamento sismicodell’isolato.

Elementi per la determinazione di uno scena-rio di rischioLo scenario di rischio è la rappresentazione deifenomeni che interferiscono con un determinatoterritorio provocando danni a persone o a cose.La conoscenza di questi fenomeni costituisce labase per elaborare un piano di emergenza. Gli elementi indispensabili per la ricostruzionedi uno scenario di rischio di un territorio sono:la pericolosità e la vulnerabilità. Gli edifici strategici, sono quelli che svolgonouna fruizione nell’ambito della ProtezioneCivile che non risulta determinata dall’evento,ma che hanno valenza predefinita per le neces-sità della salvaguardia di persone e cose. Gli edifici tattici, corrispondono a quelle strut-ture che potenzialmente potranno essere utiliz-zate nel caso di evento calamitoso dopo avereverificato, sulla base del censimento, la tipolo-gia strutturale e le dotazioni, nella ipotesi chevenga mantenuta la funzionalità anche dopo l’e-vento. Gli edifici sensibili, sono quelli entro cui sisvolgono funzioni o che contengono elementiche devono essere salvaguardati opportunamen-te nel caso di evento calamitoso nonché preve-dere l’evacuazione e la salvaguardia di beni epersone in essi contenuti. Le aree di ammassamento sono le aree nellequali fare affluire i materiali, i mezzi e gli uomi-ni necessari alle operazioni di soccorso. Quasimai tali aree hanno una destinazione esclusivaper la P.C. dovendosi, in generale, adottare unprincipio di multifunzionalità. Le aree di Accoglienza sono quelle che hannofunzione tattica nella gestione dell’emergenza: atendopoli, roulottopoli, o containers. Le aree di Attesa le località “sicure” dove indi-rizzare la popolazione con urgenza al momentodella ricezione dell’allertamento o nella fase incui l’evento calamitoso si sia già manifestato. Lo scopo di tale operazione è indirizzare lapopolazione, attraverso percorsi individuati insicurezza (pedonali), in aree dove potranno esse-

re tempestivamente assistite dalle strutture diprotezione civile. Il caso “Sciacca”Caratteri morfologici del centro storico diSciaccaSciacca sorge sul pendio di una collina di formapressoché pentagonale ed è essenzialmente divi-sa in tre zone: la parte alta o quartiere di S.Michele, la parte centrale o borgo di mezzo e laparte basse o quartiere della Marina. Il centro di Sciacca è formato da edifici di scar-so interesse architettonico, ma nel contempo ser-vono da sottofondo all’edilizia monumentale edaiutano ad elevarne il proprio valore. Il centrostorico è caratterizzato dalla presenza delle for-tificazioni, lunghe circa tre chilometri, e dallapresenza di quattro porte civiche, che coincido-no con i punti cardinali: Porta Mazzara, Porta S.Elmo, Porta Bagni e Porta S. Pietro. Lo strumento urbanistico vigente consiste nelPiano Urbanistico Comprensoriale n.6 del 1973,redatto in “emergenza” all’indomani del terre-moto del Belice, integrato successivamente conalcune varianti atte solamente a disciplinare leespansioni periferiche. Le categorie d’intervento proposte riprendono,modificandole, quelle dell’art.31 della L.457/78e ne chiariscono il senso applicativo (per ledemolizioni possibili, le ristrutturazioni e lesostituzioni edilizie compatibili) utilizzando lacategoria del risanamento conservativo ancheper la tutela del tessuto urbano storico.

La vulnerabilità dei sistemi urbaniL’analisi e la valutazione della vulnerabilitàsismica dei sistemi urbani evidenziano livellielevati di rischio all’interno del centro storico diSciacca e nei quartieri adiacenti dovuti a fattoridiversi: nel centro storico il rischio è legato alladensità delle presenze (residenti, utenti di servi-zi scolastici e pubblici e delle attrezzature com-merciali), alla vulnerabilità edilizia diretta (edi-fici sopraelevati e molto rimaneggiati), alla vul-nerabilità indotta (dall’accostamento di edificimolto diversi tra loro e dalla prossimità degliedifici alle strade), ai bassi standard di funzio-namento del sistema delle vie di fuga e deglispazi sicuri

Prevenzione del rischioI principali rischi presenti nell’area di Sciaccapossono così riassumersi:Rischio derivante dall’obsolescenza del patri-monio edilizio, che si va a moltiplicare con glieffetti derivanti dai rischi di cui al punto prece-dente. Il patrimonio edilizio esistente è afflitto

Tesi

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da obsolescenza strutturale, oltre che da proble-mi inerenti le specifiche tecniche e modalitàcostruttive. La sensibilizzazione su tale rischio,è anche una delle motivazioni che ha portato icomuni alla determinazione di dotarsi di nuovipiani o adeguarli per un saggio recupero dei cen-tri storici.Rischio amministrativo: si tratta di una categoriadi rischio che è emersa piuttosto di recente; que-sto rischio è proporzionale alla accresciuta espesso inevitabile complessità dei procedimentiamministrativi di controllo delle trasformazionifisiche e funzionali. Esistono, inoltre, una serie di rischi indiretti,quali il degrado economico sociale dei centristorici, la degenerazione dei loro modi d’uso acausa delle mutate condizioni di mobilità deri-vanti dalla motorizzazione di massa, l’abbando-no delle attività dovuto al calo demografico eall’invecchiamento dei residenti.

Struttura progettuale programmaticaAi fini del raggiungimento degli obbiettivi, conparticolare riferimento alla riduzione della vul-nerabilità urbana il piano di protezione civileprevede un insieme di interventi finalizzati alraggiungimento di uno specifico obbiettivo,basandosi su cinque assi d’intervento: Asse d’intervento I : recupero ed adeguamentoantisismico dei fabbricati. - I Intervento. Recupero dell’edilizia privataprospiciente i percorsi strategici.- II Intervento. Recupero degli edifici strategici - Intervento. Recupero degli edifici scolastici.- IV Intervento. Recupero degli edifici storici emonumentali. Asse d’intervento II: Aree e percorsi di emer-genza. Sono inclusi tutti gli interventi finalizza-ti alla creazione di percorsi di emergenza ed allarealizzazione di spazi attrezzati per ammassa-mento e l’attesa. Sono previsti tre differenti pro-getti.- Realizzazione della “Security Line”. - Realizzazione di un’area di ammassamento. Asse d’intervento III: Miglioramento dell’acces-sibilità: si prevede la modifica dei flussi veicola-ri in alcuni tratti stradali per consentire una mag-giore razionalizzazione e fluidità degli stessiAsse d’intervento IV: Adeguamento delle retitecnologiche.

Il caso Gela: Cenni storiciLa fondazione di Gela avvenne nel 688 a.C. Nel406 a.C. fu conquistata e distrutta daiCartaginesi.

Nel 339 a.C. Gela venne ripopolata per esseredistrutta dal tiranno agrigentino Phintias nel 282a.C. Nel 1233 Gela fu ricostruita da Federico IIdi Svevia. Il disegno urbano della Heraclea fede-riciana comprendeva quattro isole rettangolari inrapporto di uno a quattro con 45 posti di casa peruna capienza in abitanti che va dai 700 agli 800. Essa rientra nella seconda categoria con sismi-cità S = 9.Il 23 settembre del 1981 il Comune dichiaraGela “zona sismica” e, da questo momento inpoi, dovrà attenersi a quelle che sono le prescri-zioni per le costruzioni adottate per le zone arischio sismico. Chiaramente l’intero centro storico di Gela,essendo già consolidato, rappresenta, più di ognialtro, il tallone di Achille della città. Per ciò cheriguarda la tipologia costruttiva delle abitazioni,si trattava di piccole case “terrane” (ad una solaelevazione) in cui la pietra da taglio venivausata solo per gli stipiti e gli orizzantamentidelle aperture e per le cosiddette “cantoniere”(piloni d’angolo dell’isolato), vista la difficoltàa reperire materiale lapideo nelle vicinanze;quindi nel complesso si trattava di costruzionipoco resistenti al rischio sismico.Il Piano di P.C. risponde ai seguenti obiettivi: riqualificazione urbana, ambientale ed ediliziaattraverso interventi integrati che riguardanoparti significative del tessuto edilizio esistente edelle opere di urbanizzazione primaria e secon-daria;rivitalizzazione del centro storico, rispetto alcontesto urbano e dell’area vasta, prevedendol’inserimento di nuove funzioni e di interventivolti a migliorare l’accessibilità al centro stori-co, la mobilità e la sosta all’interno di esso;recupero del tessuto edilizio in relazione allecaratteristiche storiche e distributive degli edi-fici, attraverso interventi diretti ad innescareprocessi di riutilizzo del patrimonio residenzia-le e soluzioni progettuali per la messa in sicu-rezza, volte anche all’eliminazione delle super-fetazioni;riduzione della vulnerabilità urbana, intesa nonsolo come sommatoria della vulnerabilità deisingoli edifici, bensì dei sistemi urbani (edifici,viabilità, spazi pubblici), nonché la formulazio-ne di proposte per l’incentivazione degli inter-venti di recupero edilizio.Ogni azione o intervento indicato nel Piano èfinalizzata al raggiungimento di obiettivi diversi.

Asse 1: recupero e adeguamento antisismicodei fabbricati esistentiAll’interno di tale asse rientrano tutti gli inter-

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venti finalizzati al recupero edilizio sia esso diedifici pubblici che di quelli privati, necessariper la realizzazione di rilevante interesse pubbli-co: Fabbricati di cui si prevede la destinazionea nuove funzioni: obiettivo è adeguare sismica-mente e salvaguardare un patrimonio ediliziocon rilevanti caratteri storico ambientali. Recupero degli edifici strategici: obiettivo èadeguare sismicamente, laddove necessario, tuttigli edifici che ospitano funzioni indispensabiliper la gestione delle situazioni di emergenza. Recupero degli edifici storici e monumentali:obiettivo del progetto è quello di proteggere erecuperare quegli edifici che rappresentano l’i-dentità di Gela;Recupero dell’edilizia privata prospiciente ipercorsi strategici: obiettivo è quello di consen-tire la realizzazione di percorsi strategici sicuriattraverso la messa in sicurezza dei fronti edili-zi che prospettano su tali percorsi. Sono da seguire due progetti in questo caso:quello relativo ai prospetti degli stabili sullaSecurity Lines e quelli su strade ridondanti.Aree e percorsi d’emergenza: sono inclusi inquesto progetto tutti gli interventi finalizzatialla messa in sicurezza delle aree di attesa acco-glienza e ammassamento nonché alla loro indivi-duazione e dimensionamento. Miglioramento dell’accessibilità: tale progettomira alla messa in sicurezza di opere d’artequali ponti, viadotti, muri di sostegno, ecc…nonché ad una razionalizzazione del trafficoveicolare all’interno del centro storico e dellearee attrezzate. Tale progetto tiene conto della necessità di rior-ganizzare i parcheggi razionalizzandoli e garan-tendo la fluidità delle vie del centro storico.Adeguamento delle reti tecnologiche: i problemiemergenti relativamente alla messa in sicurezzadelle reti tecnologiche riguardano principalmen-te le linee aeree le quali, anche in relazione allavetustà degli ancoraggi su edifici di anticacostruzione, costituiscono ulteriore incrementodella vulnerabilità e presenza di detrattori disicurezza.

Censimento patrimonio beni mobili finalizza-to alla messa in sicurezza in caso di calamità Uno dei compiti più impegnativi per la societàcivile è rappresentato dalla salvaguardia delpatrimonio artistico e culturale, che va protettonei confronti di tutti gli effetti ambientali, sia diorigine antropica, che legati a fenomeni eccezio-nali quali alluvioni o terremoti. Questo problema è particolarmente significativoper tutto il bacino del Mediterraneo, dove ilpatrimonio culturale è ricco e diffuso, ma spesso

in condizioni di degrado e scarsa protezione, edil rischio ambientale - in particolare quellosismico - è elevato. Dal punto di vista della salvaguardia del patri-monio artistico e culturale, appare di analogointeresse proteggere gli oggetti d’arte esibiti, siaall’aperto che all’interno delle costruzioni, ed inparticolare dei Musei. Nell’allestimento e nel riordino di un Museodovrebbe essere sempre affrontato il problemadel rischio sismico (come del resto dei rischi ditutti i generi) a cui sono esposti gli oggetti d’ar-te: la sua riduzione richiede accorgimenti e tec-niche specifiche, da individuare in relazione allatipologia degli oggetti ed alla sismicità dellazona. I criteri di protezione proposti, che devono esse-re affiancati da una verifica di resistenza, alme-no nella maggior parte dei casi, consistono, pergrandi linee: - per gli oggetti esposti all’interno di vetrine:nell’impedire le oscillazioni e nel permettere unlimitato scorrimento sul piano d’appoggio; - per gli oggetti poggiati direttamente sul pavi-mento o su piedistalli: nella disposizione allabase degli stessi di apparecchi isolatori/dissipa-tori di diversa tipologia; - per gli oggetti appesi ad una parete: nella pos-sibilità di scivolamento senza urti sulla parete,eventualmente limitando lo scivolamentomediante l’interposizione di cuscinetti ingomma, che forniscono un attrito controllato edincrementano la dissipazione d’energia; - per gli oggetti sospesi al soffitto: nel controllodella resistenza degli ancoraggi e nella verificadella lunghezza della sospensione, in modo dagarantire l’efficienza della connessione al soffit-to e da limitare l’ampiezza degli spostamentimassimi.

Note bibliografiche Battisti F. (a cura di), La città e l’emergenza, F. Angeli,Milano 1991;Bazan G., Pubblica amministrazione e cittadino-cliente.Dalla L. 241 alla riforma Bassanini, Tannini editrice 1997;Boschi E., Bordieri F., Terremoti d’Italia, Castoldi, 1992;Cagnardi A., Belice 1980. Luoghi problemi progetti dodicianni dopo il terremoto, Marsilio, Venezia 1981;Camero P., Glossario tecnico-giuridico in materia di prote-zione civile, Edizioni Nazionali srl, 1996;Campo G., Città e territori a rischio, Gangemi editore,1999;Cannarozzo T., Dal recupero del patrimonio edilizio allariqualificazione dei centri storici, Ed. Publisicula, Palermo1998;Cannarozzo T., Cultura dei luoghi e cultura del progetto,Alinea, Firenze 1986;Cannarozzo T., La riqualificazione della città meridionale, in“Quaderni di Urbanistica Informazioni”, n. 11, Roma 1992;

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Gangemi G., Clup, Milano 1979Giuffrè A., Sicurezza e conservazione dei centri storici: ilcaso Ortigia, Editori Laterza, Roma-Bari 1993;Giuffrè A.,Carocci C., Codice di pratica per la sicurezza e laconservazione del centro storico di Palermo, Laterza, Bari1999 ;Guerrieri F., Manuale per la riabilitazione e la ricostruzionepostsismica degli edifici, Dei, Roma 1999;I.N.G., Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a.C. al1990, Istituto Nazionale di Geofisica, Roma 1977;La Monica G., Gibellina: ideologia e utopia; Ila Palma,Palermo 1982;Lo Giudice E., Pericolosità sismica nell’area etnea, Catania2001;Menoni S., Pianificazione e incertezza, Franco Angeli,Milano 1997;Menoni S., Riflessioni su urbanistica e prevenzione, in“Territorio” n. 23, Franco Angeli, Milano 2002;Piazza P.A., Sciacca, in “Atlante di Storia UrbanisticaSiciliana”, Flaccovio, Palermo 1983;Sanfilippo D., La Greca P.,Piano e progetto nelle aree arischio sismico, Gangemi Ed., Roma 1995;Solbiati R., Marcellini A., Terremoto e società, Garzanti,Milano 1983;Trigilia L., 1693 Iliade funesta - La ricostruzione del Val diNoto, Arnaldo Lombardi, Palermo 1993;

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Francesca Triolo

Il tema, gli obiettivi e l’approccio metodologicoLa ricerca scaturisce da una duplice esigenza: da una parte quella di ricondurrel’attenzione disciplinare verso un tema che, nonostante resta centrale nella pra-tica urbanistica istituzionale italiana sembra essere trascurato, se non addirittu-ra rifiutato dalla riflessione disciplinare degli ultimi trent’anni, (all’incirca dal-l’istituzione del DM 1444), dall’altra dall’esigenza di interrogarsi sul significa-to e sulla necessità delle “misure” del piano nel mutato contesto socio-econo-mico e morfologico della città contemporanea. Il tema ha dunque costituito un’occasione per riflettere sull’efficacia ed effi-cienza della strumentazione urbanistica e sulle sue strategie. La questione viene affrontata ponendo l’accento sulle procedure, le tecniche ele filosofie che hanno guidato le scelte dimensionali, e conducono alla quantifi-cazione degli abitanti insediati e insediabili, rapportandole alle dinamichedemografiche e alle politiche urbane prevalenti. Pertanto si sono ricostruite levicende storiche delle tecniche di dimensionamento e del ruolo che lo stru-mento ha avuto nella trasformazione urbana a partire dal Movimento Modernoalle esperienze più significative degli anni ’60-80 e si sono analizzati e con-frontati alcuni dei Prg più recenti redatti lungo il corso degli anni ’90 con l’o-biettivo di rintracciare i valori permanenti e/o da reinterpretare dei metodi e deiprocedimenti esitati e contemporaneamente di estrapolare dagli orientamentiattuali linee di tendenza e prospettive di azione per una risignificazione delruolo del dimensionamento e per dare misure alla città congruenti con le dina-miche socio-economiche e i processi culturali in atto. Si è per altro ritenuto opportuno operare un confronto con procedure e orienta-menti di altre nazioni scegliendo il modello francese a cui L’Italia attualmenteguarda con un certo interesse.Nel corso della ricerca si è approfondito lo studio delle componenti che incido-no sul dimensionamento facendo riferimento prevalentemente ai temi della resi-denza e dei servizi e considerando quali variabili fondamentali la demografia, ladistribuzione territoriale della popolazione, i mutamenti socio-economici, leopportunità offerte (o negate) dalle risorse territoriali. Si sono poi estrapolate dai processi di pianificazione comunale le strategie e lemisure attualmente esitate per restituire un habitat adeguato allo sviluppo dellecomunità locali.

Temi, strumenti e orientamenti nell’ultima generazione di piani comunali in ItaliaL’analisi di alcune esperienze di pianificazione comunale esperite nell’arcodegli anni ’90, ritenute esplicative delle tendenze prevalenti, riferite all’ambitonazionale (Roma, Napoli, Lastra a Signa, Carpi, Urbino) con un’attenzione par-ticolare alla Regione Sicilia (Palermo, Siracusa, Bagheria, Erice, Menfi, Zafferana Etnea), ha permesso dieffettuare una sintesi delle tendenze in atto finalizzata a rilevare le permanenze e/o le evoluzioni rispetto allatradizione del dimensionamento. La valutazione è stata effettuata selezionando alcune questioni che generalmente connotano il procedimentodi dimensionamento, privilegiando tra queste:- la dimensione metropolitana e il rapporto tra le decisioni della pianificazione comunale e quelle dell’area vasta;

Il dimensionamento del PRG nelprocesso di riqualificazioneurbana

Nuove misure per la città dellatrasformazione

Nel linguaggio urbanisti-co il termine dimensio-

namento ha assunto valenze esignificati tecnici, metodolo-gici e progettuali fondamen-tali per la costruzione delpiano, ma l’azione razionaliz-zatrice, teorizzata e fortemen-te sostenuta dal MovimentoModerno, se da una parte hacodificato una metodologiaprogettuale con intenzioniprogressiste e riformatrici,legittimata dalla legge del’42, ha anche prodotto pianisovradimensionati con leconseguenze di una diffusadissipazione delle risorseambientali e di una produzio-ne edilizia eccedente rispettoalle reali esigenze abitative etuttavia inadeguata a rispon-dere ai differenti bisogni degliabitanti. La profonda trasfor-mazione degli scenari di svi-luppo economico e socialeche incide fortemente sullepolitiche redistributive di abi-tazioni, attività e servizi, pro-pone nuove e diverse imma-gini urbane interpretabili sol-tanto attraverso una ridefini-zione dei significati e delletecniche per il dimensiona-mento degli insediamentiquale strumento propulsoredi politiche di rigenerazione.

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- il problema delle previsioni e delle proiezionidemografiche;- il significato del sistema delle analisi, l’incidenzadei metodi statistico-matematici e le nuove formedi rilevazione dei bisogni attraverso le “procedured’ascolto”;- gli indicatori privilegiati per la stima della doman-da e l’evoluzione del concetto di fabbisogno;- l’articolazione dell’offerta.

Le relazioni con l’area vasta e la dimensione metro-politanaIn tutti i piani analizzati, sia che si tratti di cittàcapoluogo, che di centri piccoli e medi, emerge l’e-sigenza di misurare le scelte dimensionali in funzio-ne delle macroaree interessate dai movimenti dibeni, di attività e di lavoratori, al fine di garantire unequilibrio tra domanda e offerta di beni e di servizicompatibile con la crescita e lo sviluppo delle areeinterne al comune e di quello dei comuni limitrofi. Ma, nei Prg l’esigenza della dimensione metropoli-tana, che si manifesta a livello dell’analisi, non trovaattualmente un’adeguata rispondenza nelle scelteprogettuali generalmente limitate alla razionalizza-zione delle infrastrutture della mobilità e delle gran-di centralità.Manca ancora uno strumento che oltre ad interpreta-re le relazioni che legano le diverse realtà, esprimauna chiara visione metropolitana sulle scelte didistribuzione del sistema della residenza e dei servi-zi, il cui dimensionamento a livello comunale èancora oggi costruito sul soddisfacimento degli stan-dard applicati alla popolazione stabilmente residen-te all’interno del comune.

Previsione e scenari Nonostante il perfezionamento delle tecniche di pre-visione fondato sull’ampliamento dei dati e sofisti-cate elaborazioni degli stessi, l’esperienza ha dimo-strato che il piano non ha la capacità di pre-vederetutte le variabili che influenzano gli andamentisocio-economici essendo molteplici le relazioni dinatura fisica e socioculturale che li influenzano nel-l’arco di tempo che intercorre tra il momento in cuivengono effettuate le previsioni e l’orizzonte prefis-sato, posto che il territorio non è un sistema statica-mente determinato ma in continua e rapida evoluzio-ne, dove le tendenze locali risentono degli effetti diun contesto geografico molto più ampio che travali-ca i confini amministrativi. L’incertezza che caratterizza la contemporaneità(Indovina, 2000, Marcelloni, 2001) e che si riflettetrasversalmente su tutti i campi del sapere scientifi-co nonché sulla struttura economica e sociale, inibi-sce la capacità previsiva del piano e spinge a ripen-sare i tempi e il senso della previsione all’internodell’intero processo di pianificazione. La risposta

legislativa a livello nazionale, si è orientata versouna riduzione dei tempi di previsione, portando adieci anni l’arco temporale di validità del piano (faeccezione la regione Sicilia), non intaccando sostan-zialmente il procedimento fondato sempre sulla rigi-dità dell’ esercizio previsivo. Infatti i piani vengonoancora giudicati sia dalla collettività che dagli orga-ni preposti all’approvazione sulla determinazionepreventiva di una certa quantità di popolazione chesi ritiene possa abitare in futuro il territorio conside-rato e sulle possibilità offerte dal piano di risponde-re in termini di superfici e cubature, secondo stan-dard prefissati ritenuti adeguati alle esigenze abitati-ve, alla domanda di spazio derivante da quella quan-tità di popolazione che si acquisisce come riferimen-to “reale”. In quest’ultimo decennio la prefigurazione degliassetti futuri muove da una diversa base concettuale,infatti, in relazione alle tendenze rilevate si costrui-scono più scenari e la previsione viene assunta comebase informativa di un processo decisionale cheorienta le potenzialità e le possibilità progettualirispetto alle politiche e alle linee strategiche che siintendono perseguire e da cui dipende la trasforma-zione urbana. Emergono tuttavia posizioni più radicali che rinun-ciano a qualsiasi calcolo di proiezione futura dellapopolazione (Prg di Urbino ’97) ed esprimono l’esi-genza di uno spostamento di interesse da un proce-dimento fondato sul calcolo, in cui il livello dimen-sionale della popolazione da insediare definisce losviluppo e la crescita urbana, verso un procedimen-to, che indipendentemente dalle quantità di popola-zione previste, per altro ormai contenute o stabili sututto il territorio nazionale, fornisca una griglia diazioni possibili, inquadrate in un disegno program-matico di lungo periodo, non generalizzabili a tutti icontesti e che si misurano sia con le nuove condi-zioni e patologie della città, ma soprattutto con lepolitiche e i tempi che l’Amministrazione è in gradodi sostenere.

Il sistema delle analisi Nelle procedure prevale, quindi, la tendenza adapprofondire un sistema analitico finalizzato a resti-tuire una descrizione interpretativa delle tendenzelocali coerente con i temi del piano per costruirecongetture e ipotesi flessibili complessivamenterappresentative.Nelle esperienze di pianificazione più recenti ilsistema analitico è pensato come un documentodi indirizzo che rinsalda la corrispondenza diret-ta con la filosofia complessiva che sostiene ilpiano.Alle analisi si dà un’importanza crescente al fine direstituire una sistema di conoscenze che assicurinouna sufficiente autonomia nei confronti delle solu-

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zioni adottate dal piano e possano costituire una baseattendibile per lo svolgimento di verifiche e di valu-tazioni di impatto e compatibilità. Strutturando leanalisi e le conoscenze, acquisite attraverso diversemodalità, come un “un archivio della città in forma-zione” (Relazione Prg Bergamo, 1995), uno“Statuto dei luoghi” (Ventura, 2000) su cui poteremisurare di volta in volta le scelte, si tende a costrui-re uno strumento che possa garantire una certa fles-sibilità alla pianificazione comunale nella sua faseattuativa.L’incidenza dei metodi statistico matematici e leprocedure di “ascolto”Sebbene sia ormai acquisito che non esistono meto-

di in grado di garantire la certezza dei risultati nelcampo delle previsioni, la statistica, utilizzata inmodo massiccio dalla società contemporanea in tuttele discipline, continua ad avere un peso rilevantenella descrizione non solo degli aspetti quantitativi,ma anche di quelli qualitativi, infatti alle informa-zioni derivanti dall’elaborazione dei dati censuari siaccompagnano diverse forme di rilevazione diretta(inchieste e questionari da somministrare a differen-ti fasce e categorie di cittadini, indagini di mercatopresso le agenzie immobiliari ecc.), finalizzate adindividuare la complessità e la differenziazione deibisogni delle diverse comunità locali. Queste,costruite sulla base della scelta degli indicatori piùadatti a descrivere fenomeni in atto e ad interpretaretendenze in relazione alle finalità da perseguire ealla realtà locale a cui si fa riferimento, si traducono,attraverso i metodi statistici, in quantità trattabili dalpiano. In alcuni dei piani analizzati, si esprimecomunque l’esigenza di associare alle sintesi e allemedie statistiche valutazioni non numeriche chederivano dall’osservazione diretta dei modi d’usodella città da parte degli abitanti e dall’ascolto diquanti vi operano a diversi livelli Ciò presupponel’implementazione di nuove forme di interrogazionedella domanda sociale che implicano il coinvolgi-mento diretto degli utenti nella ricerca e nellacostruzione comune di nuove misure per la città.

La stima della domanda abitativa e l’evoluzione delconcetto di fabbisognoL’enorme dimensione del patrimonio edilizio resi-denziale ormai esistente, il calo della tensione abita-tiva espresso dal numero crescente di abitazioni inproprietà e dalla diminuzione delle condizioni diaffollamento, associati ad una situazione di stasi e/odi regresso demografico, tendono a mutare le moda-lità di stima dei fabbisogno.Infatti, nelle realtà urbane socialmente ed economi-camente avanzate, questo viene sempre meno misu-rato in termini di raggiungimento di standard abita-tivi elementari, ed è invece espresso come aspirazio-ne all’accesso ad un mercato qualitativamente e

tipologicamente più ricco e articolato. Le famigliesono assunte come indicatori privilegiati delladomanda di abitazioni e i fabbisogni sono espressiattraverso indici di affollamento riferiti al rapportotra la dimensione del nucleo familiare e la dimensio-ne dell’alloggio (numero di componenti/stanze) piùsignificativo rispetto al tradizionale rapportovani/abitante (che pure viene ancora utilizzato). Si approfondiscono le analisi sulla tipologia dellafamiglia, sulle ripercussioni che la composizionedella stessa produce sul mercato delle abitazioni convalutazioni sul reddito e sulla capacità di spesa peraccedere ai modelli abitativi rappresentativi delleaspirazioni attuali dei diversi segmenti sociali (PrgCarpi ’02, Lastra a Signa ’02, Roma ’03).L’incrocio di tutte queste informazioni consente didelineare gli scenari di domanda che possono orien-tare le politiche della futura produzione edilizia,bisogna considerare infatti , come viene evidenziatonegli studi per il Prg di Carpi, che” la domanda dellapopolazione è solo uno degli elementi che determinala domanda di spazio, sia perché il patrimonio abita-tivo tende a essere eroso da utilizzazioni non resi-denziali, sia perché le abitazioni costituiscono unaforma di investimento oltre che di consumo” (StudiCles per il Prg di Carpi, 1994).Pertanto il dimensionamento del piano si trova nel-l’ineludibile condizione di doversi confrontare con ilmercato immobiliare, valutare attentamente i fattorieconomici che creano monopoli di aree e che fannolevitare i prezzi delle abitazioni, strutturandosi inmodo che non determini (o quantomeno contenga)situazioni di privilegio. Tali considerazioni modifi-cano le relazioni tra domanda, fabbisogno e offertadel piano.

L’offerta Le esigenze di riqualificazione e di salvaguardia del-l’ambiente comportano un’attenta valutazione del-l’offerta, intesa prioritariamente come valutazionedegli spazi esistenti (zone e lotti da completare, areedimesse, interstizi urbani, edifici e manufatti vari)disponibili ad essere utilizzati e trasformati ai diver-si usi, al fine di limitare il consumo di risorse terri-toriali e ambientali. La riconnessione dei tessuti urbani e il superamentodell’immagine di una città divisa in un centro e unaperiferia sono presupposti che indirizzano la localiz-zazione di quote di nuova residenza e di attività diservizio all’interno del centro abitato e/o negli spazilasciati liberi dall’inattuazione di precedenti stru-menti.Nei criteri che determinano l’offerta emergono alcu-ni aspetti rilevanti:a. la flessibilità nella definizione delle quantità pre-viste in modo da lasciare margini di decisione insede attuativa al fine di indirizzarle verso gli usi che

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si ritengono più rispondenti alle esigenze delmomento;b. l’attenzione agli aspetti morfologici e tipologiciche si esprime sia nella strutturazione di un’offertapiù dettagliata attraverso l’articolazione del piano inprogetti e schede norma riferite a particolari e limi-tati ambiti urbani, sia nella ricerca di una maggiorearticolazione compositiva attraverso l’uso dei para-metri urbanistici che definiscono l’edificabilità;c. l’integrazione con i Programmi di recupero urba-no, i Programmi di riqualificazione urbana e iProgrammi integrati, introdotti dalla legislazionenazionale rispettivamente con l’art. 11 della legge493/93, l’art. 2 e l’art.16 della legge 179/92, qualistrumenti che operando ad una scala più dettagliatae configurandosi come progetti urbani, pongono unapiù approfondita attenzione alle caratteristiche e alleesigenze specifiche del luogo, nonché agli aspettimorfologici e architettonici della trasformazioneurbana e se non utilizzati in deroga al piano urbani-stico ma inseriti nel processo del piano e integrati alsuo disegno complessivo, possono rappresentare,secondo gli orientamenti attuali della riforma urba-nistica, una delle componenti operative del piano, inquanto presentano potenzialità attuative (valutazionifinanziaria e di compatibilità, ripartizione degliinvestimenti pubblici e privati ecc.) che il pianourbanistico ancora non possiede; d. la regolazione delle relazioni e degli interventi trapubblico e privato per quanto riguarda gli spazi dadestinare ad attrezzature e i servizi attraverso misu-re perequative e compensative;f. la riduzione dei carichi urbanistici in relazione allepolitiche di rigenerazione ecologica della città e disostenibilità urbana.

Il dimensionamento in Sicilia: specificità localiL’approfondimento relativo alla situazione dellaRegione Sicilia mette in evidenza le peculiarità delcontesto socio-economico e le relazioni con la piani-ficazione locale. In particolare vengono analizzati: iprocessi demografici in corso; la realtà territoriale ele domande emergenti; le risposte offerte dal nuovocorso della pianificazione che interessa la Sicilia apartire dagli anni ’90. Emerge un quadro in cui la Sicilia tende ad allinear-si ai processi involutivi delle dinamiche demografi-che che caratterizzano le realtà urbane del resto delPaese e la domanda sociale è ancora caratterizzatada una forte carenza di abitazioni e servizi adeguatealle esigenze dei residenti e dei nuovi abitanti e uti-lizzatori della città, nonostante il massiccio incre-mento edilizio prodotto da una politica di uso delsuolo incompatibile sia con le risorse territoriali checon le istanze sociali. La pesante eredità raccoltacomporta una complessa ricerca di misure atte arestituire una dimensione congruente con i limiti che

il territorio pone e ad adeguare le realtà urbane ailivelli di vita richiesti dalla società civile che comin-cia ad esprimere una cultura di difesa dei valori ter-ritoriali contro la logica della speculazione edilizia edegli interessi fondiari spesso legittimati dal poterepolitico. Pertanto, nei nuovi PRG, il dimensiona-mento assume significati e prerogative di “adatta-mento”alla nuova condizione economica e socialeche la città richiede e agisce come correttivo delledistorsioni urbane indotte dai distruttivi sovradimen-sionamenti del passato. Tuttavia, il riaffermarsi inquasi tutti i comuni siciliani di un potere politico eamministrativo che, come confermano le propostedell’ultima legge finanziaria regionale, tende dinuovo a sanare gli abusi, condiziona fortemente ilprocesso di riorganizzazione produttiva e di raziona-lizzazione del sistema residenza/servizi.

Le esperienze europee: la FranciaL’obiettivo di questo capitolo della ricerca è quellodi comparare il processo di revisione critica deglistrumenti urbanistici in atto in Italia con la situazio-ne normativa e attuativa francese, riferendosi in par-ticolare alla programmazione, pianificazione egestione dei servizi di interesse pubblico. La rifles-sione è concentrata sul processo di privatizzazioneche riguarda numerosi settori dei servizi e sul parte-nariato pubblico-privato, imposto dal mutamentodelle politiche di welfare. In questo senso la Franciacon la legge Solidaritè et Renouvellement Urban e loShemas de services colletifs tende a perseguire unapproccio flessibile in cui la realizzazione delleattrezzature e la disponibilità dei servizi non sonodefinite da parametri prestabiliti, ma variano in rela-zione alle diverse condizioni del progetto urbano erispondono a criteri di produttività e di coerenza trala domanda e l’offerta. Complessivamente emerge lanatura pragmatica e operativa di un processo di pia-nificazione il cui punto di forza è costituito dalla fat-tibilità e le cui decisioni sono sottoposte ad unacostante consultazione con i rappresentanti pubblicie privati. In questo processo le scelte mutuano nelcorso della negoziazione in ragione della capacitàfinanziaria e della convenienza economica degliinvestitori privati e dei proprietari delle aree a parte-cipare alla realizzazione degli obiettivi proposti. Secondo questa procedura il dimensionamento delpiano non è definito sulla base delle analisi e delleprevisioni che da queste derivano, bensì sulle politi-che che i decisori ritengono di implementare nelcontesto da pianificare e sulla capacità del progettodi mobilitare risorse finanziarie.

Prospettive per la ricerca di misure adeguate allacittà della trasformazioneLe questioni e i fattori di criticità individuati nelcorso della ricerca si sono tradotti in ipotesi e stru-

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menti di intervento e allo stesso tempo aprono ulte-riori campi di sperimentazione. Si sono selezionate alcune variabili che giocano unruolo cruciale nella trasformazione fisica e socialedell’ambiente urbano, valutando le possibili conse-guenze e gli effetti sulla struttura urbana. Ciò è rite-nuta una precondizione per esplicitare il significatoche si intende dare al dimensionamento avendomostrato, nei capitoli precedenti, i limiti di unametodica standardizzata in cui la componente quan-titativa e previsiva ha giocato un ruolo preponderan-te. Le valutazioni finali, dunque, si fondano sullariconsiderazione di alcuni fattori che fanno riferi-mento:- alla dimensione spaziale a cui debbono riferirsi lescelte di dimensionamento e alle relazioni tra macroe microarea;- al rapporto tra i tempi del piano e i tempi delle tra-sformazioni;- alla “legittimazione” delle competenze e delle fun-zioni nella pianificazione dei servizi alla luce dellariconfigurazione del rapporto pubblico-privato;- alla revisione di standards e parametri e alla ricer-ca di misure non convenzionali per la residenza e iservizi; - ai criteri di costruzione dell’informazione nonchéalle proposte per la rilevazione della domanda socia-le e per la determinazione dell’offerta.L’argomentazione tende ad evidenziare che la risi-gnificazione del ruolo del dimensionamento, all’in-terno degli strumenti urbanistici, non può avvenirese non attraverso una chiara definizione delle pro-spettive qualitative ed economiche della città e, dun-que, di un disegno di nuove e più complesse mappegeografiche e sociali che coinvolge diversi ambititerritoriali e rende partecipi tutti gli abitanti e i sog-getti interessati al processo di costruzione delle scel-te. Ciò viene interpretato anche come esigenza dirinnovamento del linguaggio tecnico della comuni-cazione urbanistica e delle modalità di acquisizionee di individuazione dell’uso sociale dello spaziourbano, nonché di revisione del ruolo della figuraprofessionale dell’ urbanista che, oltre a decodifica-re le diverse espressioni della “cultura dell’abitare”,dovrebbe integrare il suo sapere e le sue capacitàtecniche a quelli delle altre discipline, ma soprattut-to ai cosiddetti “saperi comuni”.

Conclusioni L’approccio con cui è stato affrontato il dimensiona-mento nel corso di questo lavoro e il complesso deitemi trattati contribuiscono a esplicitare il significa-to che si è intende dare allo strumento. La matriceinterpretativa che ha guidato il percorso lo ha identi-ficato come mezzo per perseguire il “pubblico inte-resse”. Questo concetto, che si pone come fonda-mento di ogni attività pianificatoria, assume signifi-

cati che mutano in relazione al sistema di interessiche la collettività esprime attraverso i diversi modidi organizzazione dello spazio urbano e come conse-guenza dei principi etici e politici che caratterizzanoogni periodo storico. Pertanto, definire il sistema diobiettivi congruente con la complessità e la variabi-lità delle trasformazioni urbane è stata ritenuta unaprecondizione per riconoscere i limiti del dimensio-namento e definire delle convenzioni di opportunitàcompatibili con le nuove condizioni fisiche dellacittà e i diversi comportamenti sociali interrogando-si su cosa e come debba essere misurato.In questosenso ogni formula predefinita e/o codificata sidimostra inefficace a tutelare l’equilibrio tra leforme dell’organizzazione sociale e la redistribuzio-ne dei costi e dei benefici dello sviluppo e, dunque,ad orientare le azioni individuali dei soggetti pubbli-ci e privati che agiscono sul territorio. La ricercaquindi mette in discussione l’uso di una metodicastandardizzata in cui la componente quantitativa eprevisiva ha giocato un ruolo preponderante. Lastessa procedura, fondata sul calcolo della capacitàinsediativa teorica (si badi bene teorica e non reale!)e sul riduttivo bilanciamento della domanda e del-l’offerta per garantire “la contabilità del piano” (lerelazioni di qualche Prg titolano in questo modo, ocon parole che esprimono concetti simili, il capitolodedicato al dimensionamento), ne ha sminuito ilsenso. La sua risignificazione risponde al propositodi tradurre il dimensionamento in un principio ordi-natore flessibile che coinvolge differenti politichesociali ed economiche, svariati attori e protagonisti,molteplici tecniche e pratiche di regolamentazionedei fatti urbani, ma, soprattutto, alla volontà di sot-toporlo ad una continua verifica e valutazione dellepossibilità di modificazione al variare delle condi-zioni strutturali del contesto. Poiché queste ultime,mutevoli nel tempo e nello spazio, non sono com-prensibili attraverso valutazioni e sintesi estrema-mente aggregate si ritiene necessario ripartire daglielementi minimi che compongono il tessuto connet-tivo degli insediamenti, indirizzando l’interesseverso l’interpretazione dei bisogni/desideri socialiper disegnare nella città una mappa di intenzioniprogettuali che li rappresentino. Recuperare il ruolo etico del dimensionamento comeuna tecnica sociale, in cui l’urbanista ha il compitodi instaurare relazioni interattive con gli abitanti,sembra una prospettiva idonea per confrontarsi conle misure della città e costruire le condizioni e leregole all’interno delle quali tutti i soggetti possanoriconoscersi e svolgere le loro attività.La costruzione di un consenso non discriminanteviene posta come principio di qualità di una nuova epiù equa immagine urbana dove il dimensionamentopuò agire come strumento che, attraverso procedureadattate di volta in volta all’identità dei luoghi,

Tesi

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coniughi in un unico disegno istanze morfologiche esociali.Questo contributo, dunque, considerata ladinamicità dei processi descritti nel corso della trat-tazione, lungi dal volersi affermare come conclusi-vo, nel ribadire l’importanza dei principi che stannoalla base dei procedimenti di dimensionamento,vuole sottolineare il carattere evolutivo delle strate-gie di progettazione della città e servire da stimoloper una approfondita riflessione che porti all’acco-glimento di tutte le istanze di partecipazione capacidi agire positivamente sulla realizzazione delle cittàdell’uomo.

Note Bibliografiche Per la redazione delle schede dei Prg analizzati si sono utilizzati idocumenti forniti dagli uffici tecnici dei rispettivi comuni.Perricostruire il percorso evolutivo del dimensionamento sono staticonsultati i manuali storici dagli anni trenta agli anni cinquanta,testi e articoli a prevalente contenuto tecnico e normativo, nonchéi riferimenti legislativi nazionali quelli regionali più recenti.Si riportano alcuni dei riferimenti di orientamento generale e diapprofondimento tematicoAA.VV. (1977), “La casa ineguale. Indagine sulla condizione abi-tativa nelle regioni italiane”, in Parametro, n. 58.AA. VV. (1999), I futuri della città, vol. I, Milano, F. Angeli.Astengo G. (1965), “Il piano Regolatore Generale di Assisi”, inUrbanistica, n. 24 - 25Astengo A., Campos Venuti G. (1989), “Il piano di Firenze e ildimensionamento previsionale”, in Urbanistica n.95.Auzelle R. (1952), “Metodi d’indagine sull’abitazione”, inUrbanistica n.9.Belli A. (1996), Immagini e concetti nel piano. Inizi dell’urbani-stica in Italia, Milano, Etaslibri.Beltrame G. (1993), “Politiche urbane e questione ambientale”,Atti del secondo congresso INU, Politiche urbane, Palermo, 20-22maggio 1993.Campos Venuti G., Oliva F., (1993), Cinquant’anni di urbanisticain Italia, Bari, Editori Laterza.Campos Venuti G. (2003), “Amministrare l’urbanistica trent’annidopo”, Relazione al Seminario Internazionale, Politecnico diMilano, 20 maggio 2003, mimeo.Cannarozzo T. (1999), Dal recupero del patrimonio edilizio ellariqualificazione dei centri storici, Palermo, Publisicula editrice.Clementi A., Dematteis G., Palermo P.C., (a cura di) (2000), Leforme del territorio italiano. Ambienti insediativi e contesti locali,Bari, Laterza.Contardi L. (a cura di) (1999), Trent’anni dopo…tornare a ragio-nare sugli standard”, in Urbanistica Dossier Supplemento al n.165di Urbanistica Informazioni.Cusmano M.G. (1997), Misura misurabile - Argomenti intornoalla dimensione urbana, Milano, F. Angeli.Dato G. (1997), “Pianificazione urbanistica nell’area etnea. Il casodi Aci Catena”, in Urbanistica, n. 108, pag. 116.De Carlo G. (1994), “Tra il piano del 1964 e il piano del 1994” inUrbanistica, n. 102, pag. 42.Dematteis G. (1986), “L’ambiente come contingenza il mondocome rete”, Urbanistica, n. 85.Di Biagi P., Gabellini P., (a cura di) (1992), Urbanisti italiani.Piccinato, Marconi, Samonà, Quaroni, De Carlo, Astengo,Campos Venuti, Roma-Bari, Laterza.Dolcetta B. (1977), “Tendenze recenti della politica urbana inFrancia: habitat ancien e villes moyennes” in Urbanistica n. 66.Fuccella R. (a cura di) (1995), “L’abitare come problema dellacittà – Metodologie di analisi e procedure sperimentali”, Firenze,Allinea.Fusco Girard L., Nijkamp P. (1997), Le valutazioni per lo svilup-

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Anche questo numero di InFolio dedica la sezione“reti” al racconto delle attività della rete nazionaledei dottorati in urbanistica.Si ritiene infatti che questa esperienza possa costi-tuire un’occasione molto importante per stimolarequel dibattito e quella condivisione impliciti nel con-cetto stesso di “rete” alle cui differenti accezioni lospazio di InFolio ha dato voce. Promuovere lo scam-bio di informazioni, l’analisi di posizioni diverse, ladivulgazione delle conoscenze, il confronto sullostato dell’arte della ricerca in urbanistica e pianifica-zione tra dottorandi di varie sedi può aiutarci infattiad aumentarne il dialogo e la comunicazione attra-verso una divulgazione in forma“reticolare” dellaconoscenza.I giorni 9-10-11 Novembre 2005 si è tenuto a ReggioCalabria presso la Facoltà di Architetturadell’Università degli studi Mediterranea di ReggioCalabria, il V Convegno Nazionale della ReteInterdottorato in urbanistica, pianificazione territo-riale e ambientale.Riattivata da più di un anno ormai, la rete nazionaledei dottorati in urbanistica, dopo l’interruzione che èseguita al 1998, ha ripreso la sua attività di incontrie dibattiti attraverso la promozione di numerosimomenti di riflessione e l’organizzazione di un’oc-casione annuale di confronto nazionale in cui con-fluiscono saperi e interrogativi ampi, capaci di ali-mentare il dibattito e far emergere aspetti peculiari equestioni della formazione dottorale.La Rete Interdottorato in urbanistica, pianificazioneterritoriale e ambientale infatti costituisce la struttu-ra di coordinamento tra i Dottorati di Ricerca italia-ni in Urbanistica e Pianificazione e si propone diessere un luogo d’incontro e di riflessione sulle que-stioni e sulle problematicità dei Dottorandi e Dottoridi Ricerca attraverso il confronto continuo tra leesperienze personali e locali e tra quelle nazionali einternazionali rispetto al mondo accademico e dellaricerca. Luogo d’incontro per dibattere, apprendere epotenziare la figura del dottorando, la rete dunquevuole essere un’occasione reale di dialogo e intera-zione tra giovani studiosi della stessa disciplina.Tra gli obiettivi generali che la rete si propone diperseguire vi sono:

- l’organizzazione di incontri seminariali durantel’anno che diventino laboratori attivi capaci di darecontributi concreti alla disciplina;- la pubblicizzazione costante del network al fine diaccrescere la partecipazione rafforzandone il valoredi strumento di comunicazione tra le diverse scuolee realtà accademiche nazionali;- l’organizzazione di un Convegno Nazionale annua-le esito delle attività elaborate durante l’anno;- la diffusione dei materiali prodotti attraverso pub-blicazioni, attraverso la creazione di un sito web eattraverso il forum on line.Il convegno, momento nazionale di confronto edibattito su temi e questioni emergenti della ricercadottorale, ha voluto essere l’esito dello scambio cri-tico, del confronto e delle riflessioni sviluppatedurante l’anno nell’ambito delle attività della rete.Durante le attività e gli incontri che si sono susse-guiti durante l’anno il dibattito ha focalizzato la suaattenzione attorno a quattro temi principali:- la necessità di favorire forme di confronto e colla-borazione attraverso laboratori e incontri tematici trai dottorandi delle diverse sedi nazionali per favoriresuggestioni, stimoli e scambi superando forme diricerca eccessivamente indirizzate al solo contestolocale;- la necessità di promuovere l’avvicinamento dellediverse forme della ricerca, dalla ricerca di base aquella applicata o a quella transazionale, così da ali-mentare i risultati reciproci anche attraverso la tesau-rizzazione dei contributi dei diversi ambiti discipli-nari che si occupano dei problemi del territorio. Larete infatti intende stimolare il dibattito nella comu-nità dei dottorandi e dottori di ricerca nel segno dellamultidisciplinarietà;- la necessità di introdurre e consolidare all’internodelle attività della rete metodi che favoriscano lacondivisione dei percorsi, la problematizzazionedelle questioni attraverso il confronto e il dibattito inmodo da favorire forme di scambio non soltanto avalle dei risultati della ricerca ma anche in itinere;- la necessità di riflettere sullo stato della ricerca inItalia mettendo in relazione i problemi della realtànazionale con le forme, i contenuti e le questioniemergenti nel campo della ricerca internazionale.

La rete nazionale interdottoratoin urbanistica e pianificazione

Un dibattito tra metodo, obiettivi eprospettive della ricerca nel contestonazionale ed europeo

Barbara Lino

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Proprio a partire dalle riflessioni sul metodo e sugliobiettivi della rete è scaturita la necessità di ripensa-re i modi attraverso cui costruire e articolare il con-vegno.Il programma ha visto un’articolazione dei lavori intre sessioni:La sessione plenaria è stata intitolata“La ricerca scientifica e i Dottorati in Italia e all’e-stero” e ha affrontato il tema della ricerca inUrbanistica e Pianificazione in Italia e nell’ambien-te internazionale con un riferimento particolare allaquestione del metodo: sono stati invitati molti ospitiprovenienti da diverse realtà, dal mondo accademi-co, da quello delle amministrazioni, dal settore pri-vato e dagli ambienti internazionali. La giornata nonè stata il semplice racconto di esperienze ed attività,ma sono stati proposti interventi guidati ed orientatidegli ospiti su specifiche questioni e domande postedai membri del gruppo di coordinamento della Rete:

- “il valore della ricerca” (a cura di Daniela Mello)in cui sono state poste agli ospiti domande relative aquale sia oggi il valore della ricerca nell’ottica dellasempre maggiore presenza e rilevanza della commit-tenza privata e come nello scenario contemporaneosi impongano delle riflessioni sui temi dell’eticadella ricerca e sull’onestà intellettuale del ricercato-re. Ma ancora quali sono oggi gli obiettivi del farericerca all’interno di un dottorato di ricerca? Laricerca frutto di un dottorato ha un reale valorescientifico o rimane una corretta esercitazione acca-demica?

“il dottorato all’interno delle professioni” (a cura diGiovanni Virgilio) attraverso cui è stato chiesto agliospiti quali possibilità professionali siano disponibi-li all’indomani del conseguimento del titolo di dot-tore di ricerca, quale sia il rapporto tra il dottore diricerca e il mondo delle professioni, o ancora comesi muovono le scuole di dottorato per favorire illegame del mondo accademico e quello delle profes-sioni, etc.

- “euristica collettiva e proprietà intellettuale dellaricerca” (a cura di Tommaso Battista) attraverso cuici si interrogava sul tema delle ricerche orientate alprodotto e sulla possibile introduzione di nuove pra-tiche capaci di favorire forme di scambio e condivi-sione dei risultati non soltanto nella fase conclusivadel percorso di ricerca.

- “la dimensione internazionale della ricerca” (acura di Francesco Bonsinetto) attraverso cui si èchiesto agli ospiti quali opportunità possibili perfavorire e incentivare la mobilità internazionale nonsoltanto dei ricercatori italiani verso l’esterno maanche quella dei ricercatori stranieri che voglionofare ricerca in Italia divenendo occasione di crescitae arricchimento per l’intera comunità scientificanazionale. La seconda sessione intitolata “le forme

della ricerca” ha previsto un’articolazione in alcunitavoli di discussione (Mediterraneo porta d’Europa,Ambiente ed energia, Territorio Tecnologico,Mobilità: Gerarchizzazione della rete, e mutamentidelle forme, Urbanistica di Frontiera, cui i dottoran-di e dottori hanno partecipato attraverso la rispostaad un call for paper) attorno a temi scelti come esitodei confronti e dei dibattiti alimentati dalle attivitàdella rete e inerenti alle forme che la ricerca assumeriguardo alle più recenti ed innovative tematiche diriferimento.

La forma laboratoriale dei tavoli è stata prediletta alfine di sollecitare riflessioni e dibattito, forme aper-te di discussione e a forme di confronto che fosserooccasione anche per la costruzione di alcuni contri-buti concreti capaci di far dialogare ed interagire idottorandi che fanno capo alle diverse scuole di pro-venienza.

La terza e ultima sessione invece è stata intitolata“Esperienze” ed è stata dedicata specificatamentealle esperienze professionali e di ricerca in atto, o invia di attuazione, in Italia ed all’Estero. Attraverso ilracconto diretto di esperienze o progetti si è volutostimolare un dibattito sulle pratiche, gli strumenti ele politiche utilizzate. Le giornate dei lavori hannoprevisto inoltre numerosi momenti di aggregazionesociale come le visite ad alcuni luoghi significativiquale occasione di riflessione su alcune aree simbo-lo delle dinamiche di trasformazione di un territoriomolto complesso quale è quello della provincia regi-na. Nell’ottica della condivisione delle riflessionimaturate durante il convegno, e proprio nel pienospirito della rete, si ritiene molto positivo l’esitodello scambio di opinioni e suggerimenti e la solle-citazione del dibattito scaturito durante le giornate distudio intorno alle questioni emergenti e problemati-che della disciplina. Il livello del dibattito e la ferti-lità delle discussioni rappresenta un importantemotivo di crescita e formazione e per questo siauspica una partecipazione sempre più attiva e viva-ce alle attività della Rete, tra l’altro già portate avan-ti con molto interesse dai colleghi dei cicli prece-denti all’interno del Dottorato di Ricerca di Palermo,in vista di un importante scambio di esperienze eriflessioni capaci di alimentare la passione per leattività di ricerca e di studio promosse nell’ambitolocale. All’indomani del V Convegno possiamo affermarecon sempre maggiore convinzione come la condivi-sione delle riflessioni sui temi del dibattito tra sedelocale e coordinamento nazionale infatti potrà rap-presentare un’opportunità molto importante per dareun contributo concreto al panorama nazionale dellaricerca, per favorirne l’avanzamento e per arricchireil proprio percorso individuale aprendolo al confron-to con realtà e contesti differenti.

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Gli anni Novanta sono caratterizzati da una fase di radicaliinnovazioni nell’approccio e nelle metodologie di interven-to sulle città e sui sistemi territoriali, in particolare, nelcampo delle politiche pubbliche, questi anni sono un labo-ratorio di sperimentazione dal quale escono nuovi strumen-ti di programmazione regionale e inedite modalità distribu-tive delle risorse al livello locale.I centri metropolitani rappresentano, oggi più che mai, learee di maggiore concentrazione delle opportunità e dell’in-novazione, della raccolta ed elaborazione delle conoscenze.Luoghi dove le funzioni da presidiare sono quelle che si svi-luppano nell’economia di rete e dove è possibile realizzaresintesi nuove.Bisogna, però, descrivere l’armatura urbana come ‘reticola-re’, che raggiunge la complessità e la forza di un ‘sistemareticolare’ attraverso la connessione delle parti e la specia-lizzazione e complementarità dei compiti dei diversi nodidelle rete, provvedendo:- al governo sei sistemi metropolitani nel loro complesso- alla capacità di offrire servizi efficaci ad ogni parte del ter-ritorio- alla tutela della qualità del quadro ambientale.Si tratta di rendere efficace un modello di organizzazionebasato sul concetto di “sistema reticolare metropolitano”,una rete urbana flessibile ed efficace in grado di dialogarecon le grandi reti continentali e mediterranee. Bisogna pun-tare su una ricomposizione dei ruoli assegnati alle diverseparti del territorio e, prima fra tutte, alla rete di città e ad cia-scun nodo della rete, cercando di riconnettere fra loro i pro-cessi che insistono sullo spazio territoriale aperto e sullecittà stesse.Tutto questo rinvia all’esigenza di tracciare linee strategichead una scala appropriata alle dimensioni delle reti, dellerelazioni e degli insediamenti che si sono ormai affermate,per proporre assetti nuovi, migliori rispetto alla semplicedispersione localizzativa.Sono confluenti in questo obiettivo:- la collaborazione competitiva fra città in una visionemetropolitana;- la valorizzazione dei ruoli complementari di cerniera eintermediazione territoriale;- la realizzazione di una rete di servizi rari e di attrezzaturedi rango metropolitano;- la coordinazione delle opere in una logica di sistema;- la riqualificazione del patrimonio infrastrutturale alle

diverse scale;e questo vale, in primo luogo, per i centri principali all’in-terno del sistema, nonché per gli altri capoluoghi e per lecittà intermedie della rete metropolitana.La città contemporanea si pone al vertice delle gerarchie ter-ritoriali ed offre la rinnovata possibilità di concentrare inesse la maggior parte delle funzioni di eccellenza, attuali efuture, ma anche di decentrare blocchi di attività, di servizi,di funzioni la cui dimensione e dinamica e più compatibilecon una localizzazione nel territorio extra-urbano: campusuniversitari, concentrazioni di attività produttive per l’inno-vazione, poli tecnologici pubblici e privati, centri sportivi discala territoriale.Tutto ciò va integrato con la valorizzazione e l’innovazionedella rete di trasporto, con la consapevolezza che con que-ste nuove opere si costruiscono i nuovi paesaggi della con-temporaneità, con tutte le sfide e le implicazioni culturaliche ciò comporta e che è necessario raccogliere.In quest’ottica lo strumento pianificatorio regionale consen-te di ricercare e mettere in atto le azioni innovative da per-seguire:- porre le condizioni perché le singole politiche urbane sipossano espandere nei territori di influenza, per guardare intermini nuovi all’assetto insediativo su scala metropolitana;- affermare principi inseditivi comuni e condivisi;- strutturare servizi e reti coerenti;- dominare gli impatti delle grandi infrastrutture e catturarele opportunità;- definire politiche di controllo ambientale.L’insieme dei vari programmi e progetti, sostenuti da unmutato atteggiamento culturale e da coerenza della pro-grammazione, può ricondurre ad unità funzionale i diversimodelli insediativi entro una logica estesa a tutto il territorioregionale e contribuendo a conferire, come obiettivo, signi-ficato appropriato al termine, oggi del tutto improprio, di‘città diffusa’, per descrivere gli insediamenti sorti negliultimi decenni, in funzione sia delle mutate esigenze dellasocietà post-industriale, che della necessità di elevare laqualità urbanistica ed architettonica degli insediamenti.L’assetto policentrico dello sviluppo insediativo, reinterpre-tato nella struttura metropolitana, rappresenta una risorsaspecifica, a patto che la forza produttiva, la qualità dei ser-vizi e dei nodi della rete (porti, aeroporti, interporti, attrez-zature di rango superiore, ecc.) siano adeguatamente inte-grate. Inoltre, l’assetto policentrico richiede un forte coordi-

La ricomposizione dei modelliterritoriali: policentrismo e nuoviassetti tra diffusione econcentrazione degliinsediamenti

Gabriella Musarra

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Page 56: 17IO FO N I - unipa.it...Bernardo Secchi Dario Gueci Gabriella Musarra Giada Bini Valeria Coco 17 DICEMBRE 2005 RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE

namento delle politiche territoriali tra centri che tendono aporsi sia in un’ottica di complementarietà che su un pianocompetitivo.Riorientare, con l’offerta di nuove opportunità insediativein grado di ricomporre quadri territoriali organizzati, letrame disperse della residenza e dei servizi che sono ad essalegati, riscoprendo relazioni non formali fra le pre-esistenzeagrarie, gli insediamenti di origine storica, le recenti costru-zioni e le nuove opportunità, è una grande sfida progettua-le che richiede strumenti culturali nuovi; come nuovo è ilpunto di vista da cui guardare alla dispersione residenziale.Gli investimenti che hanno una maggiore ricaduta sull’inte-ra economia regionale riguardano soprattutto la ricapitaliz-zazione della città, rinnovata nella propria organizzazione,affinché le reti metropolitane risultino efficienti in ciascunodei loro nodi.Il rapporto stretto fra geometria delle reti di trasporto, usodel suolo e geografia urbana è quindi uno dei fondamentidell’organizzazione della città contemporanea.Alcuni criteri possono essere formulati come grandi coor-dinate per strategie urbane consapevoli del presente edorientate al futuro. Fra questi emergono come decisivi:- sviluppo di una capacità di investimento orientata al lungoperiodo;- capacità di reinterpretare innovativamente la propria cul-tura tradizionale;- possibilità di inserirsi in circuiti comunicativi più ampi chepermettono di usufruire dei benefici della centralità ancheda posizioni periferiche.In un siffatto sistema urbano complesso il successo dellacompetizione dipenderà, in buona parte, dalla capacità diraggiungere la miglior posizione possibile nella propriacategoria, piuttosto che dallo sforzo per assurgere ai verticidella gerarchia. Probabilmente le reti di città di mediedimensioni potranno essere la via d’uscita alle contraddi-zioni e alle complessità presenti nelle attuali metropoli.Anche se il limite che queste città incontrano, e che spessole fa soccombere nei confronti della grande città, dipendedal fatto che da una parte molte funzioni a carattere elevatoesigono una dimensione elevata di mercato, sia per quantoconcerne la domanda dei servizi prodotti, sia soprattutto perquanto concerne l’offerta del capitale umano impiegato;d’altra parte queste stesse funzioni esigono una centralitàforte e una facile accessibilità alle reti di comunicazionemondiale. Si prospettano orizzonti di possibili modalità diverse nellecomunicazioni e nei rapporti, non solo per gli individui maanche per le città. Una cittadina, fino a ieri, considerata‘provinciale’ può divenire culturalmente ‘centrale’ e attira-re attenzione non solo nazionale. Secondo alcuni studiosi,la città contemporanea non rappresenta più un’unità territo-rialmente significativa; essa si riduce ad essere una raccoltadi nodi appartenenti a reti differenti, giustapposti nello spa-zio ma non effettivamente integrati. Di conseguenza, laduplice natura della città come luogo di compresenza dinodi appartenenti a reti globali e come sistema economicolocale rappresenta oggi un elemento di interesse.

Le forme tradizionali della città non si dissolvono nel nuovoassetto metropolitano, ma cambiano funzione, ruolo, figurasociale, status simbolico nell’immaginario collettivo. Tuttocambia fisicamente, ma ancora di più per quanto attiene i‘circuiti del senso’. Circuiti che diventano la cosa piùimportante da studiare e indirizzare.Il modello tradizionale di tipo piramidale o gerarchico nonriesce più a spiegare la struttura del territorio. Il modellonon è più quello incentrato sul rapporto “centro-periferia”,ma è di tipo policentrico. Il policentrismo della città con-temporanea non è più solo quello legato alla permanenza dinuclei urbani, segni, tracciati e simboli delle forme di appar-tenenza ai differenti luoghi, ma implica il tentativo di rileg-gere in forma unitaria l’insieme dei fenomeni, mettendo inevidenza la contrapposizione fra stanzialità e mobilità, fracittà nomade della mobilità e città stanziale della residen-zialità. Nuove forma di policentrismo si stanno consolidan-do, partendo proprio da questi aspetti del conflitto.Policentrismo sta, quindi, ad indicare una prefigurazioned’assetto macrourbanistico dell’insediamento, indica unriequilibrio perseguibile attraverso azioni mirate, proposte erealizzate rispettando una scala di priorità nelle azioni di tra-sformazioni. Oggi le condizioni sono mature per considerare gli elemen-ti di competizione e gli elementi di cooperazione veri moto-ri delle reti, sostenendo un processo di integrazione europeanon soltanto dei mercati ma anche della società, diun´Europa cosmopolita che si confronta con le sfide dellaglobalizzazione. Il territorio europeo può essere interpreta-to come una serie di “macro-regioni” transnazionali1, checomprendono reti di centri urbani di diverse dimensioni,che svolgono un ruolo complementare all’interno della stes-sa macro-regione e un ruolo competitivo tra le diversemacro-regioni. Ciascuna di queste ha dei riferimenti geo-grafici, storici e istituzionali comuni. Ognuno di questi baci-ni può essere concepito come un rete di città, e le città sicostituiscono in reti, alleanze, per fare concorrenza ad altribacini interregionali. In una Europa che si allarga la singo-la regione e la singola città non possono competere. Nelsistema delle regioni e delle città europee emergono quindinuove macro-regioni2.

Note 1 Cappellin, R. (1989), Networks nelle città e networks tra città, in F. Curtie L. Diappi (a cura di), Gerarchie e reti di città: tendenze e politiche.Milano: Franco Angeli.2 Testi e letture di riferimento:Cappellin, R. (2000) Il ruolo del territorio nella politica regionale europea,Europa e Mezzogiorno - Rivista del Formez, n. 40, pp. 15-34.Camagni, R. (1995), Economia urbana. Roma: La Nuova Italia Scientifica.Cap. 4, Il principio di gerarchia.Cappellin, R. (1986), Cambiamenti tecnologici e politiche per la riconver-sione delle aree urbane, Economia Pubblica, n. 3.Cappellin, R. (1989), Networks nelle città e networks tra città, in F. Curtie L. Diappi (a cura di), Gerarchie e reti di città: tendenze e politiche.Milano: Franco Angeli.Cappellin, R. (1989), The diffusion of producer services in the urbansystem, Revue d’Economie Regionale et Urbaine, n. 4, 1989. Tradotto initaliano in: Cappellin, R. (1991), La diffusione dei servizi alle imprese inun sistema metropolitano, in C. Bertuglia e A. La Bella (a cura di), I siste-mi urbani. Milano: Franco Angeli.

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Urbanistica e architetturaL’architetto si esprime in modo estensivo: dice: “la casa che io ti propongo è questa, te la fac-cio vedere disegnata, te la faccio vedere in 3D, con un collage Photoshop o con una maquet-te; ti posso far vedere come entri e come ti muovi al suo interno” ecc. L’urbanista invece parlaspesso un linguaggio implicito, un linguaggio cioè attraverso il quale, con parole e numericerca di dire le stesse cose dell’architetto: “si deve far così o così, purché si rispettino questivincoli”. Questi due linguaggi, entrambi performativi, implicito l’uno ed esplicito l’altro, neltempo si sono allontanati benché abbiano gli stessi scopi e si riferiscono al medesimo campodi fenomeni.. Per convincersene è sufficiente osservare il piano, studiato da Astengo nel 1969per Bergamo, che è un esempio di grandissimo interesse. Con Paola Viganò abbiamo rifat-to quel piano e ci siamo presi il gusto di prendere le norme di Astengo che erano molto det-tagliate e di provare a vedere cosa succedeva se applicate. Ne è venuto fuori un progetto dellacittà “in 3D” di grandissimo interesse (il che va contro l’idea che l’urbanista lavori sempre esolo sul piano). Astengo aveva tradotto una immagine di città, la sua immagine plastica dellacittà, in un linguaggio implicito che nessuno ha capito. Era come se parlasse una lingua stra-niera. Questi due linguaggi, infatti, non si sono capiti, tanto più mano a mano che allonta-navano ed è questo uno dei motivi per i quali, a partire dagli anni ottanta, molti di noi hannocambiato atteggiamento nei confronti del piano, sostenendo che esso, il piano, non dovessepiù essere studiato e rappresentato nei modi tradizionali, ma in modi diversi. Cosa che nondovrebbe sorprendere alcuno.

ResponsabilitàNon penso che la situazione attuale della città e del territorio derivi toatlmente da “piovegoverno ladro”, penso che ci siano anche delle responsabilità nostre, responsabilità ancheimportanti. Per esempio io so benissimo che in Sicilia od in Puglia l’abusivismo è un feno-meno grave, che ha portato la totale sfiducia nei confronti della società civile. Debbo dire chel’abusivismo esiste anche al Nord, anche se declinato in forme diverse. In un qualsivogliacomune del Nord, quando uno vuol costruire un edificio non previsto dal piano, va dalSindaco o dal consigliere comunale chiedendogli di “cambiare il piano”. È una sorta di guer-ra preventiva, di “abusivismo preventivo” testimoniato e responsabile dalle e delle innume-revoli varianti cui un piano viene normalmente sottoposto. Sta di fatto che, studiando questofenomeno in Puglia e in Salento, mi sono reso conto di una cosa fondamentale (che natural-mente non spiega tutto): ad un certo punto la popolazione di queste regioni, ha avuto reddi-

Intervista a Bernardo Secchi

a cura di Davide Leone e Giuseppe Lo Bocchiaro

In occasione della XIconferenza della SIU di

Palermo sul tema “Terred’Europa e frontimediterranei”, Secchi ci haconcesso un’intervista che,partendo dalle riflessioni posteal centro dell’evento, haspaziato su diversi temi. Dairapporti tra Urbanistica earchitettura alle Responsabilitàdegli addetti ai lavori, ci offre ilracconto significativo della suaprofessione e dei destini a cuil’urbanistica, nella suaevoluzione, va incontro. Alcentro di questa dissertazionel’esperienza che lo ha portato aripensare il piano, abbando-nando la “tradizione” eagendo, “per punti con progettispecifici”, “che avrebbero datoun senso diverso all’interacittà”. Il piano di Jesi e diSiena degli anni ‘80, poi Ascoli,Prato, Pesaro, sono tutti esempidi questo nuovo atteggiamentoprogettuale. L’attenzione va poia concentrarsi sul senso stessodella Città mediterranea e suivalori pregnanti dellamescolanza, di culture e diciviltà.

Bernardo Secchi è ordinario di Urbanistica allo IUAV. Ha insegnato ad Ancona e a Milano. Di recente ha tenuto seminari e corsi presso molte facoltàstraniere. Ha partecipato alla redazione del nuovo P.R.G. di Madrid, ed ha redatto numerosi piani in Italia per città di media e grande dimensione neglianni ’80 e ’90. Ha progettato quartieri di edilizia pubblica e recentemente ha spostato la sua attenzione professionale prevalentemente all’estero. Faparte del gruppo fondatore e di redazione della rivista Archivio di Studi Urbani e Regionali. Dal 1982 ha collaborato continuativamente con Casabella.Dal 1984 al 1991 è stato direttore della rivista Urbanistica. Progetta quartieri di edilizia pubblica compresi nel Piano dell’Edilizia Economica ePopolare di Vicenza, è incaricato dello studio del recupero dell’area industriale Sécheron a Ginevra (1989), di uno studio per il Piano di Rovereto(1992), progetta il Piano di Recupero di un piccolo centro vicino a Prato (Garduna-Jolo, 1988-92), lo studio per il Piano Particolareggiato dell’area IPa La Spezia; progetta un parcheggio-parco nell’area di Porta Torricella ad Ascoli Piceno. Ha vinto (1990) il concorso per la progettazione di HoogKortrijk (Belgio) cui era stato invitato insieme ad altri urbanisti ed architetti europei; ha studiato il piano della città di Kortrijk (1991) e sviluppato iprogetti della Grande Place e del nuovo Cimitero della stessa città. Ha partecipato come planning consultant e vinto il concorso Ecopolis per il pro-getto di una città nuova in Ucraina (gruppo diretto da Vittorio Gregotti, 1993). Ha vinto, in collaborazione, il concorso “Roma città sul Tevere” (1993),progetto per la sistemazione del lungo-fiume tra i quali “Progetto Bicocca” a Milano (Bicocca, Staad aan de Stroom, Bologna: stazione centrale, Como:arca Ticosa, Ginevra: Palazzo delle Nazioni, etc.). Tra le sue principali pubblicazioni: Analisi economica dei problemi territoriali, Giuffrè, Milano1965; Analisi delle strutture territoriali, Angeli, Milano 1965; Squilibri territoriali e sviluppo economico, Marsilio, Venezia 1974; Il racconto urba-nistico, Einaudi, Torino 1984; Un progetto per l’urbanistica, Einaudi, Torino 1989; Prima lezione di urbanistica, Laterza, Bari-Roma 2000.

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ti sufficientemente elevati per potersi permettere di pensare aduna seconda casa; un livello di reddito analogo a quello alquale le popolazioni del Nord Italia hanno cominciato acostruirsi la casa al mare o in campagna. Perché non doveva-mo aspettarci che le popolazioni meridionali raggiunto quellivello di reddito si facessero la seconda casa? Esse però hannotrovato dei piani che non avevano previsto questa cosa, chenon gliela consentivano, che avevano considerato queste città,queste aree come eternamente destinate a non avere quello chealtre regioni hanno avuto. Ci si è trastullati nella ricerca dell’a-busivismo di necessità o meno, incapaci di cogliere e preve-dere i movimenti sociali, di prevedere e cogliere come i com-portamenti individuali e collettivi si sarebbero modificati.Tutto ciò è divenuto corresponsabile di un fenomeno che si èrisolto in inciviltà collettiva. Bisogna capire che tante volte cisono anche errori da parte nostra: il burocratismo, ad esempio,di molti piani e di molte politiche urbanistiche è dovuto anchea molti nostri colleghi che scrivono delle norme di attuazionedi piano macchinose ed assolutamente incredibili.

Le tematizzazioni e la città nella sua interezza.Negli anni nei quali Manfredo Tafuri stava pensando alla reno-vatio urbis venetiarum, quale troviamo studiata nel libroL’armonia e il conflitto, che scrisse insieme ad AntonioFoscari, nelle lunghe discussioni che abbiamo avuto aVenezia, abbiamo gradualmente convenuto che forse bisogna-va abbandonare la tradizione nella costruzione del piano, nelsenso che nella città bisognava cominciare a selezionare alcu-ni luoghi strategici ove pensare a progetti molto specifici, pro-getti che avrebbero dato un senso diverso all’intera città, a queiluoghi e alle parti di città in cui si trovavano. E che quindi ilpiano doveva agire in modo disomogeneo, non più coprendotutto il territorio per zone che rispondevano ad una precedentefase di sviluppo della città, quando la città stava crescendo,quando il problema era quello di contenerne la crescita. Ormaidiventava molto importante agire per punti e agire con proget-ti specifici, non solamente dicendo dove costruire, ma cosa,come, quando. Credo di essere stato uno dei primi a inseguirequesta ipotesi: il piano di Jesi e il piano di Siena degli anniottanta, poi Ascoli Piceno, Prato, Pesaro ho adottato proprioquesta idea. Naturalmente il problema di ogni politica di que-sto genere è quello di dimostrare la propria legittimità, di direperché quel luogo e non un altro, perché quel progetto e nonun altro, perché quella attribuzione di funzione e non un’altra.E questo non può essere altro che costruito all’interno di unariflessione su una strategia generale. Il problema non era tantoquello di abbandonare il piano comprehensive, quanto quellodi cambiare una strategia complessiva all’interno della quale iprogetti puntuali acquistassero senso e consenso. L’oppostodel partire dal committente; l’opposto del fare gli interessi deipromotori, siano essi pubblici o privati, che non sempre e nonper definizione coincidono con gli interessi della città. Quelloche è successo in Italia, ad esempio con i PRUSST, è stato pro-prio questo: un’ipotesi di azione per punti che è stata imme-diatamente assorbita e svilita, trasformata, male interpretata daprogetti che nascevano ciascuno con logiche proprie e diver-se. In altre città europee questo non è avvenuto. Tantissime

città infatti hanno adottato quegli stessi obiettivi sempre tema-tizzandoli. È il caso di Barcellona, di Bilbao, della stessa Parigidi Mitterand, di Berlino e di molte altre città europee. In ognu-no di questi casi c’è stata una fortissima tematizzazione per cuiera all’interno di un determinato tema, di un determinato qua-dro di riferimento che questi progetti cominciavano ad emer-gere con tutta la loro potenzialità di esprimere la diversità delleidee pensando alla città nella sua interezza.

La Città mediterraneaLa città sempre si muove lentamente. L’inerzia della città èmolto forte, perché è fatta di manufatti che sono pesanti e chehanno una loro durata, nel senso fisico del termine. Esistonouna serie di rapporti spaziali all’interno della città mediterraneache sono tipici, prodotti forse da tante cose assieme, dalla natu-ra dei suoli, dal clima, dalla particolare cultura che si è prodot-ta nell’area, da questa specie di “meticciato” che si è prodottoattorno all’area mediterranea. Questi rapporti non sono quellidella città del nord Europa: l’uso dei materiali fondamentalicostitutivi della città e le loro relazioni sono diversi. Ma noncosì diversi come ogni tanto si crede, perché oggi la città medi-terranea, come la città del nord Europa, ha avuto un’invasionedi modelli e immagini di riferimento che in parte vengonodagli Stati Uniti, che hanno un po’ omologato queste diversesituazioni. Questo non va visto necessariamente come un pro-blema, è qualcosa che è avvenuto più volte nella storia. Nonvedo troppo, ad un livello astratto, problemi concettuali chedifferenzino la città mediterranea dalla città nord-europea.Voglio dire che quando io lavoro in una città siciliana o stolavorando in una città del nord Europa, lavoro più o meno inmodo analogo. A me non piace parlare di metodo perchésecondo me è qualche cosa che ci si inventa di volta in volta,ogni esperienza costruisce il proprio metodo. Però lavoro inmodo sostanzialmente analogo. I grandi principi come quellodella renovatio urbis valgono ad Anversa come a in un cittàsiciliana. L’introduzione di modelli diversi, ad esempio la villadi tipo hollywodiano piuttosto che il condomino di tipo mila-nese, è stata però molto più distruttivo nei confronti della cittàmediterranea che non in altri contesti. Quello della delicatezzae della fragilità è un punto sul quale non avevamo riflettutoabbastanza.. Avevamo sempre pensato che questa compagineurbana fosse estremamente forte, perché costruiva un paesag-gio estremamente suggestivo e invece ci siamo resi conto chebastava pochissimo per guastarlo. A parte il fatto che la cittàmediterranea è stata forse più sensibile all’invasione dell’auto.

La mescolanza nella città mediterranea.Ame della città mediterranea ciò che interessa sono altre cose:per esempio il meticciato, cioè il fatto che da lunghissimotempo diverse culture si sono unite e mischiate. Non è ilcosmopolitismo di Londra quello che c’è a Palermo piuttostoche a Napoli, è un’altra cosa e questo a me interessa moltissi-mo perché costruisce pensieri, costruisce immagini moltodiverse. Non è come nel caso di Anversa dove c’è il quartieredegli indiani, il quartiere dei turchi o degli ebrei cassidici; nellacittà mediterranea c’è più una mescolanza, un’inbricazione,che crea una sorta di intarsio particolarmente affascinante.

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Piano Regolatore Generale:Variante Generale

Testo dei provvedimenti approvativi eprescrittivi emanati dalla Regione

a cura di Maria Chiara Tomasino

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cum

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Il testo che segue riporta qualche stralcio significativo dei provvedimenti emanati dalla Regione, in base ai qualiil Comune avrebbe dovuto correggere gli elaborati della Variante Generale del P.R.G. di Palermo. Questo adem-pimento non è stato ancora compiuto, o per lo meno non è stato ancora compiuto in maniera definitiva e com-pleta. E’ palese pertanto che ad oggi la città di Palermo, capoluogo della Regione e sede del suo Governo, nonpossiede uno strumento urbanistico che normi in maniera univoca e documentalmente certa il regime dei suoli.I documenti consultati sono: 1)Voto CRU n. 564 del 07.03.02; 2) D. Dir. 13.03.02 in S.O. alla GURS (p.I) n. 13del 22.03.02; 3) Voto CRU n. 666 del 06.06.02; 4)Voto CRU n. 667 del 18.07.02; 5) D. Dir. 29.07.02 in S.O. allaGURS (p.I) n. 41 del 30.08.02, di rettifica del precedente D. Dir. 13.03.02; 6) Delibera di C.C. n. 07 del21.01.04, di “Presa d’atto delle modifiche...”; 7) Nota del Comune prot. n. 3389 del 02.04.04 di trasmissioneall’ARTA/DRU degli elaborati di PRG modificati in adempimento alle prescrizioni dei Decreti di approvazione;8) Nota dell’ARTA/DRU, Serv. III prot. 67158 del 18.10.04 con cui si restituiscono al Comune gli elaborati delPRG con considerazioni di diniego (riportate in riquadro grigio nel testo) agli adeguamenti effettuati con laDelibera di C.C. n. 7/2004 di presa d’atto delle modifiche apportate. ...(omissis)...

Considerazioni preliminari... La filosofia del Piano si basa sul concetto di recupero, largamente condivisibile, che però richiede metodi etecniche che la disciplina urbanistica ha da tempo accreditato negli strumenti urbanistici italiani e europei chedevono contenere: 1)l’individuazione di zone di recupero; 2)il dimensionamento del recupero in termini di fab-bisogni residenziali (pubblici e privati) e in termini di attrezzature e servizi ...; 3)la perimetrazione delle aree sot-toposte al recupero che possono investire le Z.O.T. “A” e “B”; 4)l’edilizia residenziale pubblica da allocare negliedifici esistenti da recuperare a questo scopo; 5)le aree libere in zona “A” e “B” da destinare a spazi pubblici...Le previsioni del P.R.G. sono contenute nelle tavole in scala 1:5.000, mentre il disciplinare tipo emanato in attua-zione della L.R. n. 71/78 e s. m. i., prevede che il P.R.G. sia redatto in elaborati a scala non inferiore a 1:10.000,ed elaborati in scala 1:2.000. ... La rappresentazione in scala 1:5.000.... si è ritenuta accettabile pur con i limi-ti e le approssimazioni che essa comporta, e che hanno prodotto ... emendamenti e correzioni, e soventi errori divalutazione urbanistica sullo stato di fatto. .... (omissis) ....I vincoli di natura archeologica sono stati per la maggior parte inseriti, ad esclusione di quelli che interessano

l’ampia rete di qanat individuati e vincolati .... Pur rilevando il corretto inserimento nella carta dei vincoli dellearee di Monte Pellegrino per il loro interesse archeologico, si evidenzia la necessità ... di una tutela integraledell’intero comprensorio, comprese le falde sud-orientali e, in particolare, le zone dell’Arenella e Vergine Maria...(omissis) ... Gli stessi vincoli non sono stati riportati nelle tavole P2 di zonizzazione. Mancano altresì ulte-riori vincoli che devono essere ugualmente inseriti negli elaborati di zonizzazione: 1)regie trazzere; 2) siti diimportanza comunitaria (SIC) e zone a protezione speciale(ZPS) ...; 3) cose immobili che hanno cospicui carat-teri di bellezza naturale o di singolarità geologica ; 4) cave e cavità storiche ...; 5) attività estrattive e cave inesercizio...; 6)vincolo aeroportuale:... 7) fasce di rispetto stradale. ... (omissis) ... 8) Piano regolatore generaledel Porto: il Comune resta onerato a introdurre negli elaborati di piano la perimetrazione dell’area del porto ...

Relativamente ai vincoli di natura geologica, idrogeologica e le relative aree di rischio, ... il regime vincolisticova riferito alla loro esatta ubicazione, che in qualche caso non risulta correttamente rappresentata nelle tavoledi piano. Pertanto le previsioni urbanistiche delle aree soggette ai detti vincoli derivanti dal parere e dalle pre-

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Vincoli gravanti sul territorio: non risultano inseriti quelli di interesse paleontologico relativi a MontePellegrino, Valdesi, Addaura, Partanna e Baida. Non risultano inseriti quelli di interesse speleologico e/opaleontologico relativi a Grotta del Ponte (Baida), Grotta Bionde, Grotta delle Vitelle, Grotta Perciata, Grotta delCapraio, Fessura, Grotta Regina, Grotta dei Vaccai.

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scrizioni del Genio civile si intendono stralciate ...,con l’obbligo di pianificazione non appena perfezio-nata la revisione e la riclassificazione dei rischi cherisulta già avviata ....

Zonizzazione e norme tecniche di attuazione... (omissis) ... 1) Le previsioni ... devono essereaggiornate e quindi adeguate ... ai provvedimenticomunali efficaci alla data di approvazione; 2) perquanto riguarda le previsioni di demolizione, si pre-scrive che esse sono consentite solo quando ricadonoall’interno di aree vincolate a destinazione pubblica odi uso pubblico subordinate all’esproprio. Di conse-guenza vanno disattese le previsioni di demolizioniche non rientrano nella fattispecie enunciata ...; 3) isimboli funzionali di attrezzature e servizi ricadonosovente in zone non compatibili con la funzione del-l’impianto pubblico e comunque senza una individua-zione dell’area sottoposta alla destinazione pubblica,per esempio università (F11), parcheggi (P) in viaLibertà e piazza De Gasperi; centri di municipalità(CM) e centri di formazione (IC11) in verde agricolo,istituto assistenziale (F14) in verde agricolo, ortobotanico (F11); ciò sottrae alla tutela ambientale delverde agricolo larghe fasce di territorio da sottoporread urbanizzazione per la realizzazione degli impiantiprevisti in maniera indeterminata e senza la possibi-lità effettiva di conteggiare le aree per i servizi dastandard. ...

La zona A... In realtà manca una perimetrazione ..., la zona A1è infatti definita da singoli episodi architettonici ...,più o meno aggregati, tali da formare nuclei storici didimensioni variabili dai quali però vengono esclusi latrama viaria seppur di matrice storica, gli spazi nonedificati destinati a verde, gli edifici storici destinatiad attrezzature e in generale il tessuto storico consoli-

dato. Il piano prende in considerazione gli edifici esi-stenti al 1939, tralasciando ciò che è posteriore aquella data: anche interventi urbanistici rilevantiavvenuti in precedenza, come per esempio ... il quar-tiere sorto sull’area dell’Esposizione nazionale del1891, il giardino Inglese e l’espansione lungo l’assedella via Libertà.... In ogni caso, dopo aver effettuato una puntualeverifica ... ed avere steso un conseguente elenco, siprescrive che tutti gli edifici classificati come nettostorico e le relative aree di pertinenza devono avereuna destinazione urbanistica di zona territorialeomogenea e le rispettive norme di zona A devonodisciplinare le prevalenti destinazioni d’uso esercita-bili. ... (omissis) ...E’ necessario perimetrare le zone A1 includendoparte della zona B0 che rimane così, per la parterestante, esterna al centro storico ma contigua adesso, proseguendone l’impianto urbanistico, propriocome contenuto nella definizione stessa di zona B0, eincludendo altresì isolati classificati B2, B3 e B4.Tale perimetrazione dovrà tenere conto delle tavole(n. 17) “Rilievo Omira” 1:5.000 adottate con delibe-ra di C.C. n. 45 del 13 marzo 1997 contestualmenteal p.r.g., nonché della perimetrazione dei centri stori-ci di cui alla delibera di C.C. n. 223 del 1980.Manca altresì la perimetrazione della zona ... A chesi ritiene, anche se non espressamente indicato, coin-cidente con i Quattro Mandamenti normati dalP.P.E.; tale area è classificata pertanto come zona Ala cui normativa contenuta nel citato P.P.E. si inten-de confermata. Pertanto per il centro storico deiQuattro Mandamenti continuano ad applicarsi leprescrizioni normative ... con i decreti n. 524/93 e n.581/93. Analoga perimetrazione di zona A1 e riduzione dellezone B0 va operata sulle borgate che circondano lacittà di Palermo e che in alcuni casi ne costituisconouna naturale prosecuzione. ... Si prescrive che ancheper questi ambiti valgono le indicazioni contenutenella delibera di C.C. n. 223/80.... L’insediamento originario di Mondello Valdesi, ... èancora oggi leggibile lungo gli assi di viale ReginaMargherita, quale prolungamento della Favorita, edel lungomare dal paese fino all’Addaura, ma ancheaddentrandosi verso l’interno. Il piano traccia questi assi per singoli punti, ma gliedifici di netto storico individuati non possono consi-derarsi episodi isolati; viceversa, sono da considerar-si centro storico. ... In tal senso va perimetrata lazona A e ridimensionata la zona B0, sulla base delrilievo Omira e della perimetrazione di cui alla deli-bera del consiglio comunale n. 223/80. Le zone Aperimetrate secondo le prescrizioni enunciate siattuano con l’obbligo di piano particolareggiato diiniziativa pubblica, ovvero secondo le disposizionidella circolare A.R.T.A. n. 3/2000. ... (omissis) ...

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Vincoli di natura geologica e idrogeologica: si rilevache le modifiche apportate alle precedenti perimetra-zioni necessitano di una variante ai sensi degli artt.3 e 4 della L.R. 71/78.

... Il Comune insiste motivando “Pur non possedendoalcuna validità (sic!), il simbolo è stato mantenuto alsolo scopo di conservare una traccia delle destinazio-ni urbanistiche scelte, che potrà essere utile alla reda-zione delle varianti necessarie a riconfermare taledestinazione”. Si rileva che il simbolo grafico-funzio-nale di impianto pubblico, senza un’area esattamenteindividuata e perimetrata con la destinazione urbani-stica corrispondente all’impianto pubblico, rappresen-tato dal simbolo, non può sussistere. Pertanto il sim-bolo va cassato o, se si ritiene, è necessario indivi-duare l’area e la conseguente destinazione urbanisticadi riferimento al simbolo grafico.

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Le zone B... (omissis) ... Il progetto di piano, pur individuandole zone B ... di fatto le pone sotto un regime quasi ditotale inedificabilità. Tale scelta risulta, in linea diprincipio, non condivisa ... Relativamente alla zona B0 ... si ritiene che la stessavada ridimensionata in funzione della perimetrazionedella zona A ... Non si comprende inoltre la stessaclassificazione di zona B0 in aree che hanno caratte-ristiche architettoniche e urbanistiche totalmentediverse, e cioè il centro urbano, le borgate, Mondello.In particolare, si prescrive che Mondello venga sotto-posto a piano particolareggiato ... Nelle more dellaredazione del P.P. (Mondello), nei lotti liberi di esten-sione non superiore ai 1.000 mq. serviti da opere diurbanizzazione esistente è consentita l’edificabilitàcon l’indice di densità fondiaria di mc./mq. 0,75.Analoga prescrizione vale per tutte le borgate. Per ilcentro urbano di Palermo, si applicano le normegenerali di zona B ... (omissis) ...Relativamente alle zone B1.... in assenza di una veri-fica sulla rispondenza di tali zone al D. I. n. 1444/68... tali zone vengono classificate C. ... L’estensioneminima dei P. di L. convenzionata di iniziativa privataè fissata in 10.000 mq;, tuttavia, in caso di estensioneinferiore fino a 5.000 mq., per assicurare l’unità mini-ma funzionale delle aree pubbliche o di uso pubblico,il P. di L. può ugualmente essere accettato a condizio-ne che le aree da cedere siano ragguagliate a mq.10.000. Per estensione inferiore fino a mq. 2.500 nonè richiesto il P. di L.; tuttavia è obbligatorio l’elabo-rato planivolumetrico e la cessione delle aree a verdee parcheggio (quote di 7 mq. ad abitante) lungo gliallineamenti stradali pubblici confinanti. Nei suddetticasi il lotto minimo viene fissato in mq. 600. Nei casidi aree di limitate estensione ricadenti in contesti giàinteressati da edificazione e sufficientemente urbaniz-zate (vedasi il punto E della circolare A.R.T.A. n. 2/94)l’attuazione potrà avvenire con singola concessione ...(omissis) ... Relativamente alle zone B2 si ritiene che

le stesse debbano intendersi assimilate per le lorocaratteristiche alle zone B3 ... fissando però l’indicedi densità fondiaria entro i 4 mc./mq. Relativamentealle zone B3 si ritiene ... di consentire, (escludendo gliedifici classificati “netto storico”), la demolizione e laricostruzione, l’ampliamento e/o la sopraelevazionenel rispetto della volumetria esistente, entro il limite di5 mc./mq. ... (omissis) ... Relativamente alle zone B4 sirileva che queste comprendono tutte le parti del terri-torio urbanizzate da P.E.E.P. o edilizia sovvenzionata,senza alcuna distinzione ad esempio tra i quartieripopolari anni ‘50 e i quartieri Z.E.N. o C.E.P. ... Siritiene opportuno diversificare gli interventi a partiredagli anni ‘50, così da escluderne la demolizione, inquanto rappresentanti tipologie che testimoniano lacultura urbana di un determinato periodo della città.L’individuazione delle zone B5 è tesa al riordino diagglomerati abusivi di cui non si conosce l’epoca dicostruzione, né l’avvenuta sanatoria, né la concretaammissibilità alla sanatoria medesima ... (omissis) ...Non si ritiene ammissibile classificare come zone B ...ambiti territoriali interessati da costruzioni abusive.Pertanto si prescrive lo stralcio di tali zone; nellemore sono consentiti soltanto interventi di manuten-zione ordinaria e straordinaria degli edifici esistenti enelle aree libere o che si rendano libere si opera con iparametri di zona agricola (mc./mq. 0,02)... (omissis)

Le zone C... (omissis) ... La loro estensione (pari a 62,3 Ha.) èdecisamente limitata,... Per le zone C discendenti daldeclassamento delle zone B1 (tipologia a case isolate)vale l’indice di densità territoriale di mc./mq. 0,75 elotto minimo di terreno di mq. 600 con il limite diaccorpamento massimo di n. 2 lotti. Data la loro limi-tata estensione, la loro frammentarietà, e la difficoltàdi fissare correttamente un indice medio edificatoriovariabile, si attribuisce l’indice unificato territorialedi mc./mq. 1,50, corrispondente all’indice medio dicui all’art. 12, comma 3° delle norme di attuazione. ....

Il piano non individua le zone da sottoporre a recu-pero ex legge n. 457/78 per soddisfare la richiesta dialloggi ... Le zone D ... si ritengono condivisibili. ...

Do

cum

enti

Relativamente alle zone A1e A2, i Decreti approvativiavevano già rilevato che l’individuazione di singolimanufatti di netto storico veniva impropriamente defi-nita zonizzazione, mentre in realtà mancava persinouna mera perimetrazione del tessuto storico sia urbanoche delle borgate. Pertanto era stato prescritto che sidovessero perimetrare le zone A, includendo al lorointerno anche parte della zona B0 e/o interi isolaticlassificati B2, B3, B4. La perimetrazione delle zonaA1 e A2 effettuata, a seguito della prescrizione regio-nale, non può tuttavia assumere valore giuridicamenterilevante per il PRG approvato, in quanto la modificasostanziale del regime dei suoli non può che esseredeterminata tramite l’adozione di una appositavariante urbanistica del Consiglio comunale e suc-cessiva approvazione regionale.

All’ultimo comma dell’art. 11 delle NTA, dopo “....con i parametri di zona agricola” va aggiunta la dici-tura“(mc,/mq. 0.02)” così come specificato nelDecreto di approvazione.

La norma del comma 4 dell’art. 12, riferita ai P. di L.delle sottozone Cb, deve essere estesa all’interazona C, perché così il Comune l’aveva approvatanella Delibera di presa d’atto. Il comma 5 dell’art. 12deve essere eliminato, in quanto esso non costituivanorma nel piano approvato.Analogamente il comma 7 dell’art. 12 va eliminato inquanto innovativo rispetto al PRG approvato.

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Le zone ESi distinguono in: E1, parti anche residuali di territo-rio ... caratterizzate da colture agricole. Gli agglome-rati abusivi in verde agricolo vanno individuati e peri-metrati per essere sottoposti a pianificazione attuativaai fini delle dotazioni delle opere di urbanizzazioneprimarie e secondarie, laddove ricorrono le condizio-ni per l’ammissibilità della sanatoria, così da distin-guere le aree effettivamente agricole da quelle chenon lo sono più. Pertanto si prescrive lo stralcio del-l’erronea e contraddittoria previsione di piano, chenonostante la presenza di consistente edificazionedisconosce la necessità di disciplinarla urbanistica-mente considerandola (erroneamente) come verdeagricolo. Il Comune pertanto resta onerato di proce-dere alla perimetrazione di tali ambiti entro il termi-ne perentorio di 60 giorni dalla notifica del presentedecreto. Nei successivi 90 giorni si prescrive altresì laredazione del piano particolareggiato ...... Relativamente alle zone E2 non si ritiene condivisi-bile considerare le zone collinari che circondano lacittà di Palermo prive di qualsiasi forma di antropiz-zazione ... Per tali zone E2 si prescrive la verifica ... ditali agglomerati, al fine di conoscere la legittimitàdelle singole costruzioni e/o l’avvenuta sanatoriadelle stesse o la concreta ammissibilità alla sanatoriamedesima. Dopo tale verifica il Comune dovrà deter-minarsi in ordine alla individuazione degli ambiti dasottoporre a pianificazione particolareggiata che pre-veda tra l’altro la riqualificazione paesaggistica eambientale, così da distinguere le aree effettivamenteagricole dalle altre che non lo sono più. Il Comunepertanto resta onerato di procedere alla perimetrazio-ne di tali ambiti entro il termine perentorio di 60 gior-ni. Nei successivi 90 giorni si prescrive altresì laredazione del piano particolareggiato. ... (omissis) ...Nelle more di detti adempimenti le zone E2 sono daconsiderarsi stralciate alla stregua delle zone E1 ed inesse si opera con i parametri di zona agricola(0,01mc/mq.). ...(omissis) ...

Le zone F... (omissis) ... Agli immobili ed ai complessi monu-mentali ricadenti nell’ambito delle zone F non vieneassegnata alcuna destinazione urbanistica,... Sotto ilprofilo urbanistico il netto storico è rappresentato inmodo identico e indifferenziato su manufatti che

hanno usi completamente diversi (ospedaliero, luoghidi detenzione, palazzi abitativi, ecc...). Pertanto learee di pertinenza del netto storico non possono esse-re utilizzate per nuova edificazione, ancorché di tipopubblico. Sui manufatti storici che hanno una destina-zione pubblica va sovraimposto lo speciale simbolofunzionale... (omissis)...Le destinazioni F12 inserite all’interno della sezionestradale della circonvallazione in corrispondenza divia Pitrè vanno disattese. Per quanto riguarda la previsione del cosiddetto cen-tro direzionale della Regione a Fondo Gelsomino siprescrive che in sede di progettazione esecutiva vengamitigato al massimo l’impatto in relazione alla prote-zione e salvaguardia delle essenze vegetali di pregioinsistenti nell’area, anche con una adeguata destina-zione di verde pubblico con caratteristica di verde sto-rico. Si prescrive altresì la salvaguardia ed il recupe-ro dei capannoni di architettura preindustriale chevanno conteggiati nei parametri di cubatura e super-ficie coperta dell’intera area. ...Va disattesa la zona “F22” (deposito tranviario) diPartanna Mondello in quanto non rappresenta il ter-minale di alcuna linea tranviaria, pertanto le relativearee pur mantenendo la destinazione pubblica diattrezzatura vanno disattese .... Inoltre, per edifici di civile abitazione esistenti e rica-denti all’interno di aree a destinazione pubblica e/o diattrezzature e servizi, questi s’intendono estrapolaticon le relative aree di pertinenza e/o asservite e clas-sificate come le zone territoriali omogenee residenzia-li più vicine. ....

Verde storico.... Il verde storico di Villa Malfitano va mantenutonella sua integrità, pertanto va disattesa la previsionedi ampliamento dell’area scolastica F1 di via Spallittae va consentito il prolungamento della stessa viaSpallitta secondo il tracciato determinato dalle maglieviarie esistenti. ... Il verde di villa Montalbano eTommaso Natale, oggi scomparso, va ripristinatonella integrità della sua attuale estensione; pertantova disattesa la previsione di attrezzatura scolastica.Analogamente va mantenuto integralmente il verdestorico di villa Parisi sino alla via PartannaMondello. ....

INFOLIO 17Dicembre 2005

Relativamente alle zone stralciate B5, E1 ed E2 iDecreti avevano prescritto la perimetrazione degliambiti che non risultassero più agricoli e la redazionedi Piani Particolareggiati dei detti ambiti; pertanto lesole perimetrazioni degli ambiti non costituisconoadempimento alle prescrizioni assessoriali. In attesache vengano redatti i Piani Particolareggiati prescrittiper detti ambiti, le zone continuano ad essere stral-ciate secondo le prescrizioni del Decreto approvativo.

Nelle aree di verde storico non è consentita alcunaedificazione e pertanto al comma 1 dell’art. 21 delleN.T.A. va eliminato “nei limiti di densità previsti perle zone E1”; al comma 2 va eliminato “con possibilitàdi edificazione nei limiti di densità previsti per le zoneE1”. Nel caso in cui il simbolo grafico di attrezzaturaricade su aree di verde storico o su aree libere di per-tinenza dei netti storici retinate come attrezzature(colore celeste), sono vigenti le norme di zona A epertanto in entrambi i casi non è consentita alcunanuova edificazione.

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Le zone costiere indicate come zone Fc...(omissis)...non sono però individuate nelle tavole, né menziona-te nella relativa legenda.Posto che si intenda come Fc la fascia dei 150 mt.dalla battigia del mare... appare indispensabile che lastessa venga riportata. ... I parchi urbani sono aree di grande estensione dove èriconoscibile una unità di paesaggio. All’interno deiparchi, .... coesistono altre destinazioni di attrezzaturee di residenza. Si ritiene pertanto che le relative areedi parco debbano essere conteggiate come standard... e debbano essere estrapolate da esse le aree di resi-denza. ... Non si condivide il rinvio a successive fasi di pia-nificazione. Si prescrive invece che le aree di parcourbano vengano sottoposte a progetti esecutivi allastregua di opere pubbliche; pertanto il regime pro-prietario, così come individuato dalla perimetrazionedelle aree dal piano regolatore generale, deve esseredi natura pubblica e quindi subordinato all’espro-prio. Fino all’entrata in vigore di tali piani .... nei par-chi urbani sono mantenute le attività agricole esi-stenti, non subordinate all’esproprio, ed i relativiinterventi consentiti devono essere finalizzati al man-tenimento del paesaggio agrario esistente. ... (omis-sis) ... L’ art. 23 del comma 9)delle N.T.A. consente lapossibilità di edificare manufatti a servizio dell’agri-coltura con i seguenti parametri: altezza massimamt.8; rapporto di copertura 10%. La norma non si ritiene condivisibile, posto che equi-vale ad un indice di densità fondiaria pari a 0,8mc./mq. in aree destinate a verde agricolo all’internodi parchi che, per la loro stessa natura, dovrebberopreservare il territorio agricolo residuo all’internodell’urbano o nelle aree limitrofe ad esso; vanno per-tanto prescritte le norme di cui all’art. 17 delle NTAper le zone E1...Il totale dei servizi di standards risulta minore di 18mq./ab. ... Non risultano comunque soddisfatti lequantità minime prescritte dall’art. 3 del Decreto ...Tuttavia, se si considerano le aree dei parchi urbaninon computate come standards ... e tutte le aree dastralciare e quelle da sottoporre a pianificazioneattuativa ..., si può considerare la dotazione di stan-dards prevista dal piano, sufficiente per la parterestante e approvata. ... (omissis) ...

Destinazioni specifiche ... Si rileva altresì che alcuni centri di municipalità(CM) ricadono in zona territoriale omogenea noncompatibili con l’attrezzatura prevista (per esempioallo Z.E.N. o a Cruillas, i C.M. ricadono in zona E1).Pertanto il Comune potrà mantenerne la localizzazio-ne perimetrando apposite aree dimensionate per lenecessità che una simile attrezzatura richiede, con laprocedura della variante urbanistica. Nelle more per-mane la destinazione di zona E1.

... In particolare, valutata l’ubicazione dei CN (centronomadi), detti parametri debbono tenere conto delle obiet-tive situazioni di pericolosità determinata dal fiancheggia-mento della linea ferrata per quello a Sud e della circon-vallazione per quello a Nord-Ovest. In ogni caso la fasciadi rispetto stradale e ferroviaria impone un vincolo di arre-tramento di cui occorre tenere conto nella realizzazionedell’attrezzatura prevista. Per cui si ritiene che l’area desti-nata a CN in direzione di Villabate, a monte della linea fer-rata, dedotta la fascia di rispetto, rimanga troppo esigua.Se ne prescrive pertanto l’ablazione e l’assunzione in zonaagricola E1.

Viabilità... (omissis) ... Si ritiene auspicabile puntare su un sistemadi metropolitana leggera automatica da sviluppare neltempo lungo gli itinerari nei quali è maggiore la doman-da di trasporto. Tale sistema poiché si sviluppa in sede pro-pria non sottrae spazio ai mezzi di trasporto di superficie, efacilita altresì processi di pedonalizzazione in superficie.... (omissis) ... E’ necessario che vengano previsti nelpiano adeguati impianti di parcheggio, non solo nel rispet-to degli standard stabiliti dalla normativa, ma anche persoddisfare la rilevante domanda di sosta che determina lasaturazione di tutte le strade..... Nel precedente piano regolatore erano previste dueautostazioni, già progettate alcuni anni fa, lungo la circon-vallazione tra via Giotto e via A. De Saliba, e nella via deiMille in prossimità della chiesa di S. Giovanni deiLebbrosi., ... Pertanto la destinazione del precedente pianoandrebbe ripristinata. ... (omissis) ... Il passante ferrovia-rio ed il suo prolungamento, almeno sino all’aeroporto diPunta Raisi, sono in corso di modernizzazione; ma la linea,a doppio binario elettrificata, dovrebbe essere interamen-te interrata per non creare gravi ostacoli alla mobilitàurbana. ... (omissis ) ...

Prescrizioni esecutiveSi ritiene che la “Scheda-norma” così come concepita estrutturata, ... non può considerarsi alla stregua di pre-scrizioni esecutive perché delle stesse non ha le caratteri-stiche, né gli elaborati previsti dalle norme vigenti (mancainfatti di un piano particellare d’esproprio, di supporto car-tografico catastale ecc.) ... (omissis) ... La prescrizione ese-cutiva relativamente al paesaggio, composta da un unicoelaborato suddiviso in relazione e schede, analizza glielementi che costituiscono il paesaggio del territorio edella città di Palermo e ne definisce gli interventi. Taleelaborato va disatteso come prescrizione esecutiva ...

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INFOLIO 17 Dicembre 2005

Relativamente alle Destinazioni specifiche (dellaRelazione Generale), si rileva: il simbolo CD/CentroDirezionale è erroneamente riportato come Attivitàricettiva e complementare al turismo; inoltre risultaall’interno del Parco della Favorita un simbolo “T”,che va eliminato in quanto innovativo rispetto al PRGapprovato.

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Letture

Daniele Gulotta, Fabio Naselli,Ferdinando Trapani (a cura di),MOTRIS, microcentralità relazionalinel Mediterraneo. Mappatura dell’of-ferta di turismo relazionale integratoin Sicilia. Introduzione di LeonardoUrbani, Gulotta Editore, Palermo, 2004

Il libro qui presentato, nasce dal lavo-ro di ricerca commissionato dallaPresidenza della Regione Siciliana alCollegio Universitario ARCES e con-dotto dalla Cattedra di Urbanistica E.Caracciolo (CUEC) di Palermo. Lastruttura del testo che i curatori pro-pongono consente di fare un percorsoche partendo da MOTRIS acronimo diMappatura dell’offerta di turismorelazionale integrato in Sicilia, esploraapprocci che legano turismo e territo-rio, per poi offrire le immagini del turi-smo relazionale integrato elaborate perla realtà siciliana all’interno della ricer-ca. L. Urbani introduce alla letturaponendo non poche questioni al letto-re, alcune delle quali trovano rispostaall’interno dei contributi mentre altresi configurano come provocazioni estimoli per successivi approfondimen-ti. Nella prima parte vengono definitigli obiettivi, i contenuti ed i risultatidella ricerca, nella seconda viene defi-nito il quadro teorico all’interno delquale MOTRIS nasce, la terza parteaccoglie contributi esterni alla ricercache si collocano sulla stessa linea idea-le volta a “ripensare il territorio” euro-mediterraneo secondo approcci multi-disciplinari e multi-culturali, la quartaparte presenta le prime applicazionidel turismo relazionale integrato e siconclude con le immagini di unaSicilia che affianca le sue aree costierealle sue aree interne per uno sviluppodel suo territorio che favorisca la riter-ritorializzazione dell’economia, laricontestualizzazione della società e laricomposizione dell’identità culturale,attivando tre livelli: Ricerca, Lavoro eFormazione. Gli autori dei contribuitihanno una composizione che abbrac-cia saperi diversi che vanno dalla geo-grafia alla sociologia, dall’economiaalla pianificazione e la cui provenien-za geografica è specchio del respiromediterraneo che la ricerca si propone.Giada Bini

A. Bianchi, M. Liverani (a cura di),Vere Gordon Childe. La RivoluzioneUrbana, Rubettino, Catanzaro 2004.

“La Rivoluzione Urbana di Childecostituisce un riferimento obbligatoper chiunque si occupi di urbanisticae quindi della città e delle sue origi-ni.” Così Bianchi introduce il testoche ripropone nella traduzione italia-na il saggio di Vere Gordon Childe,The Urban Revolution, pubblicatonel 1950 dalla rivista Town PlanningReview.Childe descrive la rivoluzioneurbana come il culmine di cambia-menti avvenuti per stadi successivinello sviluppo economico e socialedelle comunità neolitiche, e ne indivi-dua gli aspetti salienti nell’esposizio-ne di dieci criteri per i quali i caratte-ri distintivi della città rispetto al vil-laggio sono: la dimensione, la densitàdi popolazione, la presenza di figurespecializzate, la presenza di edificipubblici, l’uso di documenti scritti,l’espressione artistica, il commercio,la città come comunità. L’utilizzo deltermine rivoluzione, riportato neitempi della preistoria per indicare lanascita della città, deriva dall’acco-stamento alla rivoluzione industrialeche 5000 anni più tardi da vita allacittà moderna. Secondo Bianchi il tema è più cheattuale nel momento in cui ci trovia-mo a dovere capire, pianificare egovernare la città postmoderna, cuista dando vita, in maniera accelerata,la rivoluzione informatica. Nei duecapitoli scritti dai curatori, si apre lospazio al dibattito a partire da un’af-fermazione di Childe secondo cui“non c’è elemento specifico di piani-ficazione urbana che possa provarsicaratteristico di tutte queste città”.In realtà i fattori messi in luce neidieci criteri childiani hanno ricaduteurbanistiche molto forti, e nella suaconclusione al testo Bianchi lasciaaperta la possibilità di aggiungere untassello agli studi esistenti, proceden-do secondo un approccio morfologi-co, cioè ricercando nello studio delleprime città “i modelli spaziali ingrado di rappresentare il rapportotra comunità e insediamento”.Valeria Coco

Nicola Giuliano Leone, Elementidella città e dell’urbanistica. PalumboEditore, Palermo 2004.

Il libro fa parte della collana Tenercittàdiretta dallo stesso autore, pensata peraiutare a costruire un percorso forma-tivo di base per gli studenti che siavviano ad un primo approccio conl’urbanistica. Elementi della città edell’urbanistica nello specifico svilup-pando tre temi, aiuta a comprenderequali sono gli elementi fondamentaliche costituiscono la città e quali sonogli strumenti che possiede l’urbanistaper intervenire su di essa per miglio-rarla. Il primo dei tre temi, affronta laquestione della misura della città,incentrata su tre catene di concetti cheformano i fondamenti dell’urbanistica:la catena delle quantità misurabili, lacatena dei rapporti tra soggetti e ogget-ti delle trasformazioni, ed infine lacatena della qualità o della forma. Conquesto capitolo, l’autore si proponel’obiettivo di avviare una sistemazioneteorica degli elementi della disciplinaurbanistica proponendone una conca-tenazione ragionata. Il secondo argo-mento sviluppato, è basato sul rappor-to che l’urbanistica possiede con lastoria, tratta i reperti della città occi-dentale, descrivendola come sistemadi forme che manifestano principiinsediativi, modelli e casi, la cui cono-scenza è premessa dei processi di for-mazione del progetto di piano. Laterza parte del libro è dedicata allatematica degli strumenti dell’urbanisti-ca, raccoglie gli strumenti istituzionalidell’urbanistica, e ne trascrive le prin-cipali vicende proponendo argomentiche si intrecciano con la materia legi-slativa evidenziando così, in manieracritica, le ragioni dell’urbanistica inuna fase storica in cui l’emerge la cul-tura del recupero e l’ideologia dellaconservazione. Il testo è impreziosito ulteriormente daun ricco glossario sulla terminologiaurbanistica, molto utile a chi coltiva lacapacità di interrogarsi sui fenomeniche le diverse realtà della città e delterritorio pongono e a chi affronta concuriosità scientifica il complesso lin-guaggio della disciplina urbanistica. Adamo Carmelo Lamponi

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FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Pagg. 3, 7, e 57 - Il Piano regolatore di Palermo, in CD-Rom Variante generale al P.R.G. , a cura del SettoreUrbanistica del Comune di Palermo, 2004

Pag. 5 - Il Piano regolatore di Napoli del 1939 di Luigi Piccinato, tratto da “ L’urbanistica a Napoli dal dopo-guerra ad oggi: note e documenti” di Vezio E. De Lucia e Antonio Jannello in Urbanistica n. 65 del luglio 1976

Pag. 9 - Il Piano territoriale del parco dei Nebrodi, Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, Regione Sicilia

Pagg. 11 e 55 - Il Piano regolatore generale di Assisi di Giovanni Astengo, tratte dalla rivista trimestrale dell’INUUrbanistica n. 24-25, I ristampa del 1965

Pag. 13 - Il centro della citta di Bagdad (Irak), foto di Pierre Schwaller pubblicata sul sito http://www.lyoba.ch

Pag. 15 - Ex Manifattura tabacchi di Palermo, foto aerea pubblicata sul sito http://www.fintecna.it

Pag. 17 - Le mani sulla città, dal film di Francesco Rosi, immagine tratta dal catalogo della mostra Le mani sullacittà, spazi scene ambientazioni a cura del Laboratorio CinemaCittà, Reggio Calabria 27 gennaio - 6 febbraio2005, Teatro Francesco Cilea

Pag. 19 - Bici + ferro e fai centro, immagine tratta dal Cd-Rom “La città dei giganti”, a cura del Dipartimentopolitiche del territorio del Comune di Roma, Piano regolatore per le bambine e i bambini, Ufficio nuovo pianoregolatore, Roma 2000

Pag. 21 - Area residenziale di Mondello (Palermo), immagine della fascia costiera (archivio redazione)

Pag. 25 - Progetto preliminare del Piano Regolatore di Valdagno, coordinatore e progettista Bruno Dolcetta,Piano urbanistico esecutivo di un area residenziale, Valdagno (Vicenza) 2002

Pag. 29 - Il Piano regolatore di Roma, Ufficio tecnico, tratto dal CD-Rom allegato ad Urbanistica n. 116, Inu edi-zioni 2001

Pag. 33 - Concorso internazionale per La nuova città portuale di Luchao Gang per 300.000 persone (Cina), pro-gettista Bruno Gabrielli, Shanghai 2002.

Pag. 39 - Centro storico di Firenze, foto aerea

Pag. 45 - Immagine nel centro di Parigi, fotografia di Nicola Giuliano Leone e Francesca Triolo

Pag.51 - La torre di Babele (1928), Maurits Cornelis Esher

Pag.53 - Il centro di Vienna dopo la sistemazione del ring, schizzo di Nicola Giuliano Leone tratto da Elementidella città e dell’Urbanistica, Nicola Giuliano Leone, Palumbo Editore 2004

NotaIn copertina sono riportate oltre ad alcune delle illustrazioni sopracitate anche le foto: della Cattedrale e del com-plesso monumentale della Martorana di Palermo (archivio redazione); del Piano regolatore del comune di Comiso(Ragusa) di cui sono progettisti Pasquale Culotta, Enrico Costa e Nicola Giuliano Leone (capogruppo); dei Prgdi Roma e di Valdagno (Vicenza) i cui progettisti sono sopra citati.

INFOLIO 17 Dicembre 2005

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INFOLIO 17RIVISTA DEL DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALEwww.architettura.unipa.it/dct/infolio

Comitato di direzione

Bernardo Rossi-Doria (Coordinatore), Teresa Cannarozzo, Nicola Giuliano Leone, Ignazia Pinzello

Gruppo di redazione

Gregorio Indelicato, Adamo Carmelo Lamponi, Laura Colonna Romano, Paola Santino e Maria ChiaraTomasinoProgetto grafico e impaginazione

Gregorio Indelicato, Adamo Carmelo Lamponi, Paola Santino e Maria Chiara Tomasino

Sede

Dipartimento Città e Territoriovia Dei Cartari 19b, 90133 Palermotel. +39 091 60790108 - fax +39 091/60790113www.architettura.unipa.it/dct

DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE

Sede amministrativa

Università di Palermo (Dipartimento Città e Territorio)Sedi consorziate

Università di Palermo (Dipartimento di Storia e Progetto nell’Architettura)Inizio attività: 1992Cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo dal 1996

Coordinatore

Bernardo Rossi-DoriaCollegio dei docenti

Maria Elsa Baldi, Teresa Cannarozzo, Maurizio Carta, Piero Di Leo, Francesco Lo Piccolo, Grazia Napoli,Ignazia Pinzello e Bernardo Rossi-Doria (DCT) Alessandra Badami, Giuseppe Gangemi, Nicola Giuliano Leone, Carla Quartarone, Leonardo Urbani eFerdinando Trapani (DiSPA)Segreteria

Francesco Lo Piccolo (DCT)

Partecipanti

XVI Ciclo (2001): Valentina Giordano, Gregorio Indelicato, Maria Lina La China, Francesca Mercatajo,Daniela Mello, Paola Santino, Maria Chiara TomasinoXVII Ciclo (2002): Chiara Valentina Bucchieri, Adamo Carmelo Lamponi, Marilena Orlando, LauraColonna RomanoXVIII Ciclo (2003): Antonio Battaglia, Giada Bini, Mariarosaria Fallone, Mariangela Giunta, DavideLeone, Vincenzo TodaroXIX Ciclo (2004): Valeria Coco, Dario Gueci, Barbara Lino, Giuseppe Lo Bocchiaro, AntoninoPanzarella, Claudio Schifani

Supplemento ai Quaderni del Dipartimento Città e Territorio© Dipartimento Città e Territorio, piazza Bologni, 13 - PalermoAutorizzazione del Tribunale di Palermo n. 3/1980, registrata il 7.3.1980Stampa: Compostampa di Michele Savasta, via Salomone Marino, 33, Palermo

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INFOLIODipartimento Città e Territorio

Via Dei Cartari n.19b, Palermo 90133Tel. +39 091 60790108 - Fax +39 091 60790113

www.architettura.unipa.it/dct

IL PIANO CHE NON C’E’Giuseppe Gangemi

LA RIFORMA URBANISTICA DAGLI ANNI ‘60 DEL XXSECOLO AGLI ANNI ‘0 DEL XXI SECOLO.CONSIDERAZIONI E MEDITAZIONI DA UNA LEZIONE DIEDOARDO SALZANOAdamo Carmelo Lamponi

URBANISTICA E GOVERNO DEL TERRITORIO INSICILIA: PROSPETTIVE DI RIFORMAMaria Chiara Tomasino

IL PIANO TERRITORIALE DEL PARCO DEI NEBRODIVincenzo Todaro

IL SISTEMA RURALE: TRA PROGETTAZIONE,SALVAGUARDIA E SOSTENIBILITÀ Laura Colonna Romano

BAGHDAD E I RISCHI DI UNA RICOSTRUZIONESBAGLIATAMarilena Orlando

I BENI CONFISCATI ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA:LE DIFFICOLTÀ DI GESTIONEMariarosaria Fallone

LA LAUREA AD HONOREM A FRANCESCO ROSI EL’INVITO ALLA VISIONE DE “LE MANI SULLA CITTÀ”Davide Leone

DALLA PARTECIPAZIONE ALLA PIANIFICAZIONE DELLARETE ECOLOGICA LOCALE.ESPERIENZE A CONFRONTO AL CONVEGNO “FARETE”DI VERCELLIVincenzo Todaro e Dario Gueci

SICILIA:SVILUPPO TURISTICO E TERRITORIO.COSTRUZIONE E PIANIFICAZIONE DELL’OFFERTATURISTICARita Giordano

NUOVI SVILUPPI PER LA PIANIFICAZIONEURBANISTICA NELL’INTEGRAZIONE TRA PIANOURBANISTICO COMUNALE E STRUMENTI OPERATIVIDaniela Mello

RETI ECOLOGICHE E GOVERNO DEL TERRITORIO: ILPERCORSO METODOLOGICO DELLA RICERCAVincenzo Todaro

PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE E PROGRAM-MAZIONE NEGOZIATA. I NUOVI SCENARI DELLO SVILUP-PO TERRITORIALE IN SICILIAAntonella Aluia

PIANIFICAZIONE E PROTEZIONE CIVILE: LINEE GUIDAPER LA REDAZIONE DEI PIANI COMUNALID’EMERGENZA SISMICARosario Cultrone

IL DIMENSIONAMENTO DEL PRG NEL PROCESSO DIRIQUALIFICAZIONE URBANA. NUOVE MISURE PER LACITTÀ DELLA TRASFORMAZIONEFrancesca Triolo

LA RETE NAZIONALE INTERDOTTORATO INURBANISTICA E PIANIFICAZIONE. UN DIBATTITO TRAMETODO, OBIETTIVI E PROSPETTIVE DELLE RICERCANEL CONTESTO NAZIONALE ED EUROPEOBarbara Lino

LA RICOMPOSIZIONE DEI MODELLI TERRITORIALI:POLICENTRISMO E NUOVI ASSETTI TRA DIFFUSIONEE CONCENTRAZIONE DEGLI INSEDIAMENTIGabriella Musarra

INTERVISTA A BERNARDO SECCHIDavide Leone e Giuseppe Lo Bocchiaro

PIANO REGOLATORE GENERALE: VARIANTEGENERALE. TESTO DEI PROVVEDIMENTIAPPROVATIVI E PRESCRITTIVI EMANATI DALLAREGIONEMaria Chiara Tomasino

LETTUREa cura di Giada Bini, Valeria Coco e Adamo CarmeloLamponi

Questo numero è dedicato al “Piano che non c’è”.Quello che poteva esserci e non c’è stato; quello che non c’è mai stato e nonavrebbe mai potuto esserci; quello che c’è e che sarebbe meglio che non ci fosse;quello che c’è stato ma per fortuna non c’è più; quello che non c’è mai stato e chesicuramente non ci sarà mai; quello che non c’è perché è stato sostituito da unpiano strategico. Perché la strategia nella pianificazione e nell’urbanistica nient’altro è che unmodello economico per ottenere finanza (derivata).

RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELL’UNIVERSITA’ DI PALERMO