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Your Lightness and my Happiness 1 Modica

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Vol. I - Modica - Aprile 2015

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Page 1: Your Lightness and my happiness

Your Lightness and my Happiness

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Modica

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“Fui giovane e felice un’estate, nel cinquantuno. Né prima né dopo: quell’estate. E forse fu grazia del luo-go dove abitavo, un paese in figura di melagrana spaccata; vicino al mare ma campagnolo; metà ristretto su uno sprone di roccia, metà sparpa-gliato ai suoi piedi; con tante scale fra le due metà, a far da pacieri, e nuvole in cielo da un campanile all’altro, trafelate come staffette dei Cavalleg-geri del Re... che sventolare, a quel tempo, di percalli da corredo e len-zuola di tela di lino per tutti i vicoli delle due Modiche, la Bassa e la Alta; e che angele ragazze si spenzolavano dai davanzali, tutte brune. Quella che amavo io era la più bruna.”

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“..Era d’una qualità rara, la luce, a Modica, in quei giugni e lugli del cinquantuno: un pulviscolo lucente che non ho più rivisto uguale da allora..”

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“Un teatro era il paese, un proscenio di pietre rosa, una festa di mirabilia. E come odorava di gelsomino, sul far della sera.Non finirei mai di parlarne, di ritor-nare a specchiarmi in un così tenero miraggio di lontananze....Quante campane c’erano a Modica allora, per nozze, battesimi, compiete, angelus, ma sopratutto per funerali, quanto si moriva a Modica, si senti-va ogni mezz’ora senza che nessuno riuscisse a turbarsene..”

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E così quell’ansia e quel grigiore della vita scom-parvero, senza dir nulla, senza neanche salutare. Scomparvero e basta, come fanno tutte quelle cose senz’anima, senza luce, quelle nebbie opa-che di una timida mattina di Aprile, sapete. E dopo la nebbia, il respiro, l’aria fresca nei pol-moni, la luce attraverso i pensieri, le sensazioni, che colpisce ogni angolo, anche il più sperduto, e lo illumina, come non aveva mai fatto. La stessa luce ambrata, che d’estate quelle case riflettono. E tu sei quella luce, che sa di vento, sa di mare, sa di mediterraneo, sa dell’odore dei gigli all’alba, sa di tutte quelle cose che danno conforto all’anima, e la trasportano verso mon-di lontani. E se la tua delicatezza, è racchiusa nel profumo estivo delle zagare, allora di quel profumo voglio riempirmi fino all’ebbrezza più profonda, perchè il dolce suono del tuo sorriso, unico, riecheggi in ogni singolo granello di sab-bia di questa vita.

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Perché la pace, nonostante tutto, trionfa sempre sull’inquietudine. Io ci sono senza che tu abbia bisogno di essere con me.

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Ma ora, siamo di nuovo noi, e siamo insieme una meraviglia, un miracolo, un uragano di sentimenti, di emozio-ni, custodiamo l’amore più grande che ci possa essere, l’affetto più vero, più raro, più sincero. La passione più sfrenata, il desiderio , che brucia piu forte di una fiamma tra altre fiam-me. Ti tengo forte la mano, mentre una ad una, scendiamo queste scale infinite, che altro non sono, che dei piccoli pezzetti di tempo che ci scor-re sotto i piedi, e vola via in questa notte d’argento. E ti bacio, e mi per-do sulle tue labbra pure, rassicuranti, le uniche labbra di cui ho bisogno, fino alla fine dei miei giorni.

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Immagino di tenerti la mano, di stringertela forte,mentre camminiamo per le strade di Modica.È pomeriggio tardi, che già puoi vedere le prime luci della sera, accendersi tra le case ed il cielo. Quel cielo limpido ora. Il pomerig-gio presto ha piovuto un poco, quel tanto che basta per abbracciarci da-vanti ad una finestra di un albergo del centro, e abbracciarci più forte, davanti alle nuvole che facevano lo stesso, solo per noi. L’aria è fresca, pulita, come una brezza nuova che porta via l’inverno, e lascia lì sol-tanto la primavera, come un regalo, come un dono. Un pó come come il nostro amore. Un pó come quelle mani tra di noi, che ora si fanno più strette, ora si avvinghiano, ora si intrecciano. E ti guardo mentre ti allontani un attimo per scattare una foto, per regalare i tuoi occhi ad un istante.E io lì dietro che ti osservo, come qualcuno che da spettatore gode della la sua vita, delle sue passioni.

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Perchè è di passioni che parla, questa storia. Di fuochi eterni, di voli infiniti, di clessidre spaccate. La sabbia, che fugge da quel vetro, scappa. Io che ti riprendo subito dopo, ti avvicino a me spostandoti i capelli mossi dal vento, e ti bacio. Come non ho mai fatto. Come nessun’altro farebbe mai. Navigo tra le tue labbra, come Ulisse disperso tra mille tempeste, ma al contrario suo, conoscendo bene la strada per la mia Itaca. Molto bene. Una strada che por-ta a te. A te sola.Perchè soltanto tu, hai rubato un’a-nima che da tempo vagava incerta, sbraitava, bestemmiava, e ti cercava, con le unghie e con i denti. Ed ora è tranquilla. Puó vivere il tempo che le sarà concesso, con grazia ed armonia.‘Cosa c’è, a che pensi?’ Mi sussur-ri, con la delicatezza che porta il tuo nome.‘Niente’, ti rispondo sereno, mentre i miei occhi sorridono. Anche se la mia faccia rimane seria.Perchè tanto lo so, che in fondo hai capito.L’ho sempre saputo. Ti riprendo la mano, e ti trascino.In questa dolce sera di primavera.E in questa Modica silenziosa, che stasera è un palcoscenico, dove ora, dicono, si svolga uno spettacolo tutto nuovo.

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Che queste immagini siano per te un urlo, immenso, maestoso,che sale veloce verso il cielo ed esplodein mille frammenti di gioia,in miliardi di cristalli di luce pura. Che siano per te un sigillo, un nodo, su quel passato che ogni tanto torna meschino a tormentarti,ma che tanto ormai, lo sai bene,non può spostarti neanche un capello.Che possano essere un inno alla tua forza,alla tua rivalsa, al tuo coraggio.Una musica, la più bella.Un canto nuovo, che ti celebra,prende le tue mani piene di paure,di segni del tempo, e ti rialza,delicatamente, regalandoti una cerimo-nia eterna.

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Gela il sole, che timido, svanisce alle spalle di Modica, regalandole peró, prima di morire, la luce più bella, una luce ambrata, velata, una carezza, l’ab-braccio più dolce, il saluto più difficile, l’inchino più elegante. Ed è la stessa luce, che ora riscalda i tuoi grandi occhi verdi, qui accanto a me, amore mio, unico amore, della mia piccola vita. Colore dei miei giorni. Ti osservo, se-duta su questo gradino, che mi aspetti, come hai sempre fatto. Come abbiamo sempre fatto, ma forse semplicemente non lo sapevamo, ed il regalo che la vita ci ha fatto, è stato quello di aprirci gli occhi e la mente, e ricomporre la nostra grande anima, che dal principio, era stata divisa, soffrendo la mancanza più terribile.

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Che queste foto senza colori siano per teuna tela bianca,su cui dipingere la tua vita, ormai schiava impotente,con tutti i colori dell’universo, i più belli.Che siano una tela, su cui è impressa la tua bellezza,pura, rara, immensa, eterna.Che siano quella tela, che io osservo con riverenza e stu-pore dietro quei vetri, dietro quelle tende candide,senza dire una parola.E che siano quel ritratto che mi ha rubato il cuore,mi ha stretto l’anima, nell’ab-braccio più bello che ci sia.E che il mio amore, possa essere per te un fuoco,che ti riscalda ogni giorno del tempo che ci è concesso, e brucia più veloce del vento,più impetuoso delle onde di un mare in tempesta.E ti amo, come mai potrei amare nessuno.Come il bianco, di quelle foto, ama il nero.Per creare un’unica, rara, meraviglia.

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Era questa l’ora del vento fresco e profumato, del primo sole che si arrampicava sui mattoni di San Giorgio e iniziava a dipingerli di rosa e di arancio, mescolandoli insieme, in una tonalità rara, antica. La gente, di qui a poco, avrebbe cominciato il solito tragitto placido, senza fretta, su queste scale infinite, come fossero una soffe-renza, prima del piacere. Vite che si intreccia-no, volti, quasi sempre serafici, di persone che per qualche strano motivo sfuggono il tempo, questo tempo che qui si dilata, si allarga, e si strappa, questo tempo che qui non esiste. E il blu del cielo. Un blu che non avrei mai immagi-nato, se non l’avessi visto. Il blu intenso e vivido che avvolge questa terra selvaggia, ribelle, im-mutata, ed al centro, quasi fosse un diamante, il loro sole che scotta, che illumina, che brucia, che incendia gli animi. Una città ostinata, che si fa strada tra due colline e corre tra di loro, si insinua, come fosse un serpente, a ripararsi, da questo vento che ora si fa tormenta, tempesta.

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Per finire, mia cara, troverai un quadro.L’immagine di una donna che un uomo ha amato più di sé stesso, fino alla fine. La storia d’amore più bella che ci sia.E vorrei che fosse sulla tua parete un giorno, con i suoi occhi azzurri limpidi, a proteggerti, a vegliarti, e a sus-surrarti nei momenti difficili che la vita è un volo, che l’amore è leggerezza, che le strade da percorrere sono semplici e dritte a volte, che le passioni che colorano le tue mani fanno di te una creatura immensa, e non devi abbandonarle mai.Con mano tremolante, ho inserito quei colori su quella semplice tela, sperando un giorno, di poterti guardare negli occhi, così grandi,e dirti che io sono qua, davanti a te,e stavolta sono venuto per restare, per sempre.”

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Leggero, questo è il termine. leggero . Di pensare, di credere, di sperare, di fotogra-fare, di seguire il corso di un onda del mare, perche è cosi veloce.Non basta istante, per contenerla, una secondo e via l’immensità. e so che tu sei, l’immensità. Ma non fraintendermi. So che in te c’è il caos, e io del caos mi nutro. mi nutro di tutto quello che è otre quella virgola del tempo, che tutto segna. Vorrei essere un inciso alle volte, o tra virgolette, magari. Fatto sta che i circoli sono finiti, li hai spazzati via con un soffio di spen-sieratezza. E via cosi, la vita, nient’altro. Perchè è tutto quello che fin ora è rimasto soffocato, l’urlo di un onda. che si infrange e si infrange. finche il bianco non è piu bianco e finche è il nero diventa nero per sempre. Sai misurare la grandezza del mare.? Sai dire quant’è lunga un onda?

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‘Ballammo un poco in silenzio. Io osservavo l’incarnato delle sue guance, la nerezza dei capelli, le larghe ingenue pupille blu..Infine: “Dunque sarei un lago?” Chiese senza guardare. E poi, fresca di studi :”Come l’Iseo o come il lago di Garda?” Aggiungendo subito: “E Venera, che lago è?” “Quella? Quella è un mare. “ svicolai, con finta disinvoltura.“

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Scende la notte, su quest’isola, che il tempo sfugge.Scende e si adagia sul mare, mentre le stelle ridono.Nessun’occhio, anche il più attento, può cogliere quell’istante impercet-tibile, in cui il suo corpo vellutato e caldo, assapora ora la dolcezza e il silenzio della pace, sensazione reale che tutto finalmente in questa vita scorra secondo il suo corso prestabi-lito.Scende la notte, prima di morire, per qualche ora soltanto.Prima di abbandonarsi esausta, tra le braccia del suo amante eterno, tra quelle mille onde, che incessanti si rincorrono ogni giorno, si cercano, per scandire il ritmo delle ore, dei minuti.Prima di stringere le tue mani sicure,e ritrovarti come sempre, accanto a me.Che ti amo. E ti amerò sempre.

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Ho preso il tuo biglietto, sono entrato nel mare e l’ho depositato sulla superficie dell’acqua. L’onda l’ha avvolto, ed è scomparso dalla vista.Oddìo, ho pensato per un momento con quel batticuore di quando si assiste ad una partenza (le partenze causano sempre un po’d’ansia, e tu sai che in me è sempre eccessiva), finirà contro le rocce. E invece no. Ha preso la di-rezione giusta, galleggiando gagliardamente sulla corrente che rinfresca il piccolo golfo. Ed è scomparso in un attimo.

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Come invece desidero te, mio unico amore, unico senso infinito,di questa vita, che naviga sicura davanti ai nostri occhi.E che ora riposi, sul mio corpo, esausta.Illuminata soltanto da una luna timida, che si fa strada tra i vetri della nostra stanza e scopre le tue fattezze, le tue meraviglie, i tuoi angoli più nascosti, scrigni del mio piacere, tesoro della mia passione.Ti osservo in silenzio, tra le luci e le ombre di questa camera,tra i mille ricordi di un’esistenza non vissuta realmente, e che ora,come per incanto, acquista un senso, un colore, e tutto si fa chiaro.Vorrei svegliarti, godere ancora per un secondo dei tuoi occhi grandiche brillano per me, mi illuminano i pensieri, mi liberano le vene,le emozioni, mi trascinano delicatamen-te verso mondi proibiti. Selvaggi. Magi-ci.Vorrei dirti che ti amo, e che l’amore stesso impallidisce, davanti ai nostri sguardi. Una briciola. Un granello di polvere.Vorrei soltanto dirti che ti amerò per sempre, perchè per sempre non è che un’istante, un piccolo istante, con te. Ma non ci riesco.Sei così bella, mentre dormi.E’ il tuo riposo, la tua pace. La mia pace. Che abbiamo conquistato con tanta fatica e tanti viaggi oscuri, per arrivare fin qui.

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Nessuna costruzione, questo Natale. Nessun pezzo da montare, nessun libretto di istruzioni in tedesco, nessun passaggio numerato, nessuna guida. Un puzzle, pensa-te un po’. Allora il bambino, dopo il primo momento di stupore, (sapete come sono i bimbi no?) senza troppi pensieri, senza troppe domande, svuota il sacchetto, guarda quell’immagine strana, ma attraente sulla con-fezione, e capisce che deve far cambaciare ogni singolo tassello di cartone che ha sul tappeto. E via il primo, via il secondo, passano le ore, passano i giorni, passano le notti. Pezzo dopo pezzo, l’immagine si compone. Nes-suna costruzione, nessun castello questa volta. Capisce subito che è bello non preoccuparsi più che il cornicione del suo maestoso castello si regga in piedi e non si sfasci subito dopo, si sente finalmente ricoperto di una grande libertà.

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Che cosa strana. I castelli, non si sa perché, ad un tratto finiscono sempre per crollarti sul tappeto, ’Traaaaamm’ con tutti i pezzi sparsi, e l’unico modo per utilizzarli poi, è metterseli in bocca, come un gelato. Non dovrà più preoccuparsi di seguire un libretto di istruzioni, dei passaggi numerati, descritti su inchiostro nero con un linguaggio incomprensibile. No. Dovrà solo guardare quell’immagine con quei bei colori e finire il puzzle. E ha paura. Non credete che sia tutto rose e fiori. Ha sem-pre quella paura fottuta che per qualche strano motivo, la casa di produzione non abbia messo il tassello numero 499 in quella scatola. Però va avanti, ha fiducia.

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E un bel giorno, esattamente 19345 ore dopo, 806 giorni e notti dopo eccolo lì, il puzzle. ‘Traaac’, infila l’ultimo tassel-lo tra gli ultimi tasselli del suo ultimo puzzle. E capisce perché suo padre quell’anno, ha deciso di non regalargli le costruzioni.L’Immagine sulla scatola era l’imma-gine di una donna, di una bellissima donna, ma non di quelle comuni, atten-zione. Tipo Brigitte Bardot o Marylin Monroe. No.Era una donna, era lei. Allora il bimbo, ormai ragazzo, non pensa più a nulla.Compra una bella cornice, ci incolla dentro quei pezzi così uniti perché non si separino più, e la appende nella sua stanza, sopra il suo letto. Sapendo che non si sarebbe separato più da quell’im-magine, così nitida ormai.E ridendo a più non posso, pensa ai li-bretti delle costruzioni in tedesco e nella sua mente una sola voce recita: ‘In culo i libretti di istruzioni.’Spense la luce, e tutto gli fu finalmente più chiaro.

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“Tu, poca, misteriosa vita, che posso dire di te?Se m’hai sempre esibito quest’aria da bambolina truccata; se non hai fatto mai nulla per persuader-mi di essere vera..Odiabile, amabile vita ! Crudele, misericordiosa. Che cammini, cammini. E ora sei nelle mie mani: una spada, un’arancia, una rosa. Ci sei, non ci sei più: una nube, un ven-to, un profumo.. Vita, più il tuo fuoco langue più l’amo. Gocciola di miele, non cadere. Minuto d’oro, non te ne andare.”

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Ti amo,

ora, per sempre.

Vittorio

Pisa, 5 Maggio 2015

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