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psmi è tornata indietro la mail che avevo

spedito a centoxcento ....io avevo segnalato:

werner herzog: lektionen in finsternis:-)

From: Alessandro Montel: [email protected]: [email protected]

Subject: Re: salone del mobile 2009

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Apocalisse nel deserto | schedafilm icine.it(Lektionen in Finsternis) Germania, Francia, Gran Bretagna, 1992, Documentario, 50’, ... Tra-ma: Subito dopo la prima guerra in Iraq, Herzog filma lo spegnimento dei pozzi, ... Attori: Werner Herzog, Fotografia: Rainer Klausmann, ...www.icine.it/main/schedafilm.php?id=18346 - 21k - Copia cache - Pagine simili

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Werner HerzogFrom Wikipedia, the free encyclopedia

«Sono bavarese, del tardo Medioevo, sono fisico.» (Werner Herzog)

Werner Herzog, all’anagrafe Werner H. Stipetic, (Monaco di Baviera, 5 settembre 1942), è un reg-ista, sceneggiatore e attore tedesco. È un impor-tante esponente del cosiddetto “nuovo cinema tedesco”. Ha prodotto, scritto e diretto più di 50 pellicole, ha inoltre pubblicato libri ed è stato regista di opere liriche.

Gli inizi nel cinemaA 14 anni fu ispirato dalla voce di un enciclopedia sulla regia cinematografica, che gli diede (secon-do lui) tutto ciò che gli serviva per iniziare come regista - a parte la cinepresa da 35 millimetri che il giovane Herzog rubò alla scuola di cinema di Monaco. Continuò gli studi presso l’Università di Monaco dove studiò storia, letteratura e teatro. Si guadagnò una borsa di studio per la Duquesne University di Pittsburgh, in Pennsylvania, ma la abbandonò dopo pochi giorni. Nei primi anni ‘60 Herzog lavorò nei turni di notte come saldatore in una fabbrica di acciaio per finanziare i suoi primi film.

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Nel 1962 diresse il suo primo cortometraggio, Ercole. Nel 1963 fondò a Monaco la sua casa di produzione, la Werner Herzog Filmproduktion. Diresse altri due cortometraggi fino a quando, nel 1967, riuscì a realizzare il suo primo lungometrag-gio, Segni di vita, grazie al sostegno economico del German Film Institute. Il film, girato in Gre-cia, uscì l’anno sucessivo, vinse l’orso d’argento al Festival di Berlino e venne premiato anche nei Deutscher Filmpreis. Nel 1967, inoltre, Herzog si sposò per la prima volta, con Martje Grohmann.Verso la fine del 1968 partì per l’Africa con una troupe e vi passò quasi tutto l’anno successivo. Nonostante varie vicissitudini (tra cui malaria, tempeste di sabbia e arresti) raccolse materiale per tre film: il documentario per la TV I medici volanti dell’Africa orientale, il “documentario surreale” Fata Morgana, e il film sui nani Anche i nani hanno cominciato da piccoli.

Gli anni novantaNel 1990 dirige Echi da un regno oscuro (Echos aus einem düstern Reich) in cui un giornalista ci guida alla scoperta della figura di Jean-Bédel Bokassa, dittatore della Repubblica Centrafricana. L’anno seguente gira Grido di pietra (Cerro Torre: Schrei aus Stein) con Donald Sutherland e Vittorio Mez-zogiorno da un’idea originale di Reinhold Messner. Il film si rifà alle vicende realmente accadute a due scalatori che tentarono di raggiungere la cima del Cerro Torre in Patagonia.Nel 1992 parte per il Kuwait per filmare in tredici brevi capitoli le ferite della prima guerra del

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Golfo nel documentario televisivo Apocalisse nel deserto. E’ del 1993 Rintocchi dal profondo (Glocken aus der Tiefe), viaggio in Siberia per indagare sulla spiritualità del popolo russo. Dirige nel 1995 Gesualdo – Morte per cinque voci e tra il 1997 e il 1999 gira per la serie televisiva tedesca Voyages to Hell Il piccolo Dieter vuole volare e Julianes Sturz in den Dschungel, storie vere in cui i protagonisti per salvarsi sono costretti ad attra-versare la giungla.

Nel 1999 a otto anni dalla morte dell’eccentrico attore Klaus Kinski, Herzog ripercorre il tormen-tato rapporto lavorativo e personale con l’artista nel documentario Kinski, il mio nemico più caro (Mein liebster Feind - Klaus Kinski), intervistando le persone a lui legate e rivisitando i luoghi a loro connessi come la pensione in Elisabethstraße, in cui il regista allora dodicenne e l’attore si incon-trarono per la prima volta. Dello stesso anno è il film Gott und die Beladenen.

Temi ricorrenti «Siamo circondati da immagini consumate, e ce ne meritiamo di nuove.» La “verità estatica” tra fiction e documentario «Sono sempre stato interessato alla differenza tra “fatto” e “verità”. E ho sempre sentito che esiste qualcosa come una verità più profonda. Es-iste nel cinema, e la chiamerei “verità estatica”. È più o meno come in poesia. Quando leggi una grande poesia, senti immediatamente, nel tuo

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cuore, nelle tue budella, che c’è una profonda, inerente verità, una verità estatica.» « ...è misteriosa ed elusiva, e può essere colta solo per mezzo di invenzione e immaginazione e stilizzazione.» La divisione della filmografia di Herzog in film di fiction e documentari è tanto evidente quanto controversa. Alcuni critici giudicano inappropriata questa distinzione facendo notare: “Quando Her-zog gira un film di fiction fa di tutto per riportarlo alla concretezza del vissuto (...) di modo che l’eco del mondo reale si riverberi sulle immagini e le faccia vibrare. (...) Viceversa quando gira un “documentario” è consapevole che suo ufficio non è quello di riprodurre meramente la realtà (...) ma di esprimerne il senso, la verità intima[9]”. Lo stesso Herzog, che ammette di inventare alcuni elementi dei suoi “documentari”, si prende gioco dei concetti di fiction e documentario, inver-tendoli, quando afferma: “Fitzcarraldo è il mio migliore documentario e Il piccolo Dieter vuole volare il mio migliore film di fiction. Non fac-cio una chiara distinzione tra di essi. Sono tutti film.”Il regista giustifica questa filosofia sottolineando la differenza tra “fatto” e “verità”. Afferma che limitandosi a riprodurre i fatti reali, come nei documentari tradizionali, si mostra una verità banale e superficiale (la definisce “verità da contabili”), mentre quello che a lui interessa è una verità più profonda, che definisce “verità es-

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tatica”, e che si può raggiungere “solo attraverso invenzione e immaginazione e stilizzazione”.

Così nei suoi documentari inserisce elementi in-ventati da lui stesso e presentati come parte della realtà, situazioni preparate che appaiono avve-nute per caso, addirittura citazioni false (quelle iniziali di Apocalisse nel deserto e Pilgrimage). Nei film di fiction, spesso ispirati a fatti reali, cerca invece di ricreare col massimo realismo i fatti della storia, anche a costo di complicare pesantemente le riprese (emblematica a riguardo è stata la lavorazione di Fitzcarraldo); parados-salmente alcuni di questi film, come La ballata di Stroszek, sono girati in modo tale da sembrare documentari. La realtà che interessa a Herzog non è quindi quella dei fatti avvenuti ma quella che si crea davanti alla macchina da presa e durante il processo della produzione del film, dalla quale deve scaturire la profonda verità “estatica”.

L’ambiguità tra realtà e invenzione raggiunge il massimo in Fata Morgana, Apocalisse nel deserto e L’ignoto spazio profondo, considerati da Herzog come una trilogia, in cui materiale di tipo docu-mentaristico viene manipolato e re-interpretato fino a diventare qualcosa di diametralmente op-posto: fantascienza, surrealismo, poesia.

Sul conflitto tra “fatto” e “verità” nel cinema documentario Herzog ha scritto la “Dichiaraz-ione del Minnesota”, un breve manifesto tra il serio e il surreale presentato in occasione di una

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conferenza al Walker Art Center di Minneapolis nell’aprile del 1999. È consultabile sul sito uf-ficiale del regista.

La natura estrema « È un luogo dove la natura non è ancora com-pleta... un luogo dove Dio, se esiste, ha creato con rabbia... anche le stelle nel cielo appaiono in confusione. » (Herzog a proposito della foresta amazzonica, durante la lavorazione di Fitzcarraldo)

La natura selvaggia, ostile e primordiale è spesso protagonista dei film di Herzog. Il deserto di Fata Morgana, la giungla di Aguirre, furore di Dio e Fitzcarraldo, i ghiacci di Encounters at the End of the World, sono perfetti esempi di ciò che affascina l’autore: una natura maestosa, dotata di grande bellezza (che Herzog valorizza con molte inquadrature di paesaggi) ma anche di un’immensa potenza che può sopraffare l’uomo e che sfugge ad ogni senso o regola. Un film emblematico a riguardo è La Soufrière, docu-mentario su un’isola che sta per essere distrutta dall’eruzione di un vulcano, il quale poi, con-tro ogni previsione, non erutta. Herzog esplica chiaramente il suo punto di vista nel documen-tario Grizzly Man quando afferma: “Io credo che il denominatore comune dell’universo non sia l’armonia, ma caos, conflitto e morte.” Il regista ha comunque affermato che ciò che gli interessa quando riprende la natura è il riflesso dell’animo

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umano presente in essa: “Per me un autentico paesaggio non è solo la rappresentazione di un de-serto o di una foresta. Mostra uno stato interiore della mente, letteralmente paesaggi interiori, ed è l’animo umano ad essere presente nei paesaggi dei miei film..”

I personaggi “fuori dal mondo” Kaspar Hauser è uno dei tipici personaggi “diver-si” raccontati dai film di Herzog «Penso che i per-sonaggi dei miei film siano quasi degli eroi. Delle figure eroiche. Eroi nella misura in cui superano le loro condizioni, escono dal proprio schema e vanno ben oltre le loro possibilità, prima di fal-lire di fronte a questa enorme sfida. È un com-portamento che ci permette di salvaguardare la nostra dignità. Per molti aspetti la creazione non è perfetta, ma non si è tenuti ad accettarla così com’è.» « I miei personaggi sembrano degli outsider, ma è il resto ad essere outsider.»

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Apocalisse nel desertoFrom Wikipedia, the free encyclopedia

«Un requiem per un paese che noi abbiamo dis-trutto» (Werner Herzog)

Apocalisse nel deserto (Lektionen in Finsternis) è un film del 1992 diretto da Werner Herzog.

Documentario provocatorio realizzato subito al termine della Guerra del Golfo del 1991, tra i pozzi di petrolio che gli iracheni in ritirata in-cendiarono nel Kuwait riconquistato dalle truppe americane. La provocazione del grande regista bavarese sta nell’aver girato (come sempre?) un documentario/non documentario sfruttando, in questo caso, suggestioni date da visioni che i tele-giornali di tutto il mondo avevano già comunicato e parzialmente trasmesso.Ad esempio, nel finale del film, il gesto dell’uomo che lancia una fiaccola riaccendendo la fiamma su un pozzo petrolifero appena spento con enorme fatica, è forse un’affermazione politica di questo film? L’affanno di quegli uomini intenti a spegnere le fiamme è lo stesso che li spinge a riaccenderli, perché non concepiscono lo stare senza? È questa una chiave di lettura anche per lo stato delle cose attuali?

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Il dubbio, legittimo, che quel gesto non potesse essere ripreso senza un preventivo accordo tra il regista e gli stessi protagonisti, potrebbe essere sufficiente per farci smettere di parlare di docu-mentario. Oltre a questo va sottolineato che del conflitto bellico all’origine di tutto quanto viene mostrato, non viene fornito nessun riferimento né storico, né geografico. Forse perché super-fluo, o forse perché uno dei leitmotiv del film è l’ambiguità, del vedere, dell’ascoltare, della per-cezione. Astrazione confermata dalla narrazione musicale, totalizzante.Si noti anche che il titolo originale in lingua tedesca è Lektionen in Finsternis, che significa letteralmente Lezioni di oscurità.

TramaIl film è scandito in tredici brevi capitoli, intro-dotti ognuno dal numero e dal titolo in tedesco. Li precede una scritta e un’introduzione su un tappeto di note tenute lunghe.

«Il crollo delle galassie avverrà con la stessa, grandiosa bellezza della creazione» (Blaise Pascal (nel film) in realtà di Herzog)

La voce-off inconfondibile del regista incalza: “Un pianeta nel nostro sistema solare...”. Le immagini sono commentate da uno sguardo non umano, che si colloca infatti con estraneità ad esse, spesso dall’alto, cercando le tracce di una civiltà come un archeologo. La prima sequenza su forme ricon-ducibili ad un paesaggio avvolto da fumi densi,

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come le correnti delle nebbie fra i monti care a Caspar David Friedrich, ci introduce alla scansione dei capitoli.

I. Una CapitaleRipresa aerea di una città mediorientale sotto una luce opalina appena accennata, non sappiamo se è il suo risveglio o il calar della sera. Le luci delle auto che vediamo sono accese, ma non sappiamo se da poco o ancora per poco. La città imprepara-ta, inconsapevole della sciagura imminente.

II. La GuerraLa sirena d’allarme si sovrappone alla musica del film, la quale spesso funziona proprio da legame per i tredici movimenti. Una città, quella di prima, sotto i bombardamenti. Pochi istanti di immagini sgranate e verde elettrico dei filtri infrarossi. La prima Guerra del Golfo proposta nel suo momento effettivo, come nei Tg di tutto il mondo.

III. Dopo la BattagliaUna cinepresa proiettata verso il cielo cattura le traiettorie di uno stormo di avvoltoi. La succes-sione di questi frame potrebbe ricordare la serie fotografica di Felix Gonzalez-Torres ottenuta in modo simile. Grandi ossa sulla sabbia come le carcasse arruginite di mezzi di trasporto a lato della strada, sono una chiara conseguenza del conflitto e un parallelo ad uno dei primi grandi film del regista, Fata Morgana. La metafisica dei prodotti dell’uomo caduti in rovina nel paesaggio

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desertico.Tracce di una civiltà indagate come da un alieno che sorvola il deserto, soffermandosi sui crateri lasciati dalle bombe sul terreno e sugli edifici. Condutture di greggio imponenti, centrali petro-lifere abbandonate coperte dagli strati di sab-bia, cisterne implose su loro stesse nella fusione, riprese in lunghi piani-sequenza, quasi in slow-motion per sincronizzarsi sulle scelte musicali. Suoni e odore del vento. Parabole giganti andate in frantumi.

IV. Reperti da Camere di TorturaLe conseguenze della guerra entrano in una stanza. Sono stati disposti su alcuni tavoli, alcuni oggetti, a volte anche familiari, di cui solo ci immaginiamo la funzione perversa. Ci aggiriamo nella stanza sopra il canto dei violini e il rumore echeggiante di passi molto vicini.Poi per la prima volta, l’alieno che ci guidava fino ad adesso si avvicina umanamente all’esperienza di una donna con un lungo velo nero del lutto. La donna vuole raccontare qualcosa che però gli ruba le parole.

V.Il Parco Nazionale di SatanaPiù ci si avvicina al cuore del film e più si fa nero.

«Tutto ciò che sembra acqua è, in realtà, petro-lio ... L’olio è subdolo perché rispecchia il cielo. L’olio tenta di sembrare acqua» (W.H. nel film) Le riprese aeree con i loro piani sequenza ci

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mostrano un bosco ricoperto e circondato da laghi di petrolio. Camion viaggiano fra i campi neri e le strade che percorrono a confronto appaiono bian-chissime. Intravediamo in lontananza fiamme alte e fumi neri, mentre la voce-off parla della venuta di un terribie terremoto che si portò via con sé ogni segno di intelligenza umana.

VI. InfanziaUna densa nube di fumo nero. La madre di un bambino parla degli effetti del petrolio che si im-padronì dell’atmosfera. Le lacrime, la saliva nera. Una cifra stilistica frequente di Herzog, è che fin dai primi film-documentario, quando ci pre-senta qualcuno per un dialogo, ad un certo punto gli crea un ritratto. Anche in questo caso c’è una sequenza di pochi secondi dove il soggetto inquadrato, la donna e suo figlio, stanno in campo totale fermi, guardano in macchina, e si sente il suono ambientale. Poi torna la voce della donna e il suo volto in primo piano. Anche suo figlio in seguito a ciò che ha visto e subito non riesce più a parlare, o meglio vuole rinunciare ad imparare a parlare.

VII. E salì un fumo come il fumo di una fornaceAnche il nostro narratore dopo aver recitato alcuni passi dal sapore biblico resta in silenzio. A parlare e a condurci lentamente vicino alle fiamme è la musica. Sempre staccati da terra procediamo inesorabilmente verso i fumi neri e le ultime parole sono:«In quei giorni gli uomini cercheranno la morte,

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ma non la troveranno; brameranno morire, ma la morte li fuggirà»

Percorriamo in rallenty strisce di terra sottili fra laghi neri di olio. La luce del giorno è calata e vediamo a perdita d’occhio ardere i pozzi per l’estrazione del greggio. Mentre aggiriamo i loro lunghi fumi neri. Nessuna forma di vita sembra abitare quei luoghi.

VIII. Un PellegrinaggioE poi eccoli gli uomini. Protetti dalle tute ig-nifughe vediamo, attraverso riprese ravvicinate, una squadra che affronta le fiamme di un pozzo. Attraverso idranti, escavatrici e dinamite, gli uomini riducono le proporzioni dell’incendio fino a toglierli l’ossigeno con una ingegnosa esplosione. I loro corpi e volti, avvolti completamente dalle maschere protettive, sono rinfrescati solamente dall’acqua che fuoriesce magicamente dai loro idranti. La musica è annichilita dall’impeto as-sordante delle fiamme e delle operazioni attorno ad esse.

IX. Sauri in ViaggioL’esaltazione dei caratteri extra-umani di queste persone che vivono tra le fiamme è evidente anche dall’associazione di questo titolo con ciò che contiene. I sauri in viaggio sono gli strani strumenti mobili che vengono guidati da questi uomini.

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X. ProtuberanzeL’atmosfera si fa incandescente, e sulla superficie di una pozza, ribolle l’olio ai lati delle fiamme.

XI. Il prosciugarsi dei pozziAttraverso l’uso del rallenty assistiamo all’accurata chiusura di un pozzo.

XII. Vita Senza FuocoRitorna la voce di Herzog. Due uomini sono in piedi vicino all’alta gettata di greggio di un geyser. Ad un tratto uno di loro getta una fiaccola verso il pozzo provocando un nuovo incendio. Questo gesto di follia pura è imitato da qualcun’ altro. Gli stessi uomini che avevamo visto fino a quel momento lottare contro le fiamme, le riprovocano. La fatica estenuante per estorcerle è vanificata in un gesto rapido, folle. Il cielo torna nero, il terreno un fango denso. Gli uomini tornano al lavoro.

XIII. Sono così stanco di sospirare; Signore, fa che venga la seraUltimo capitolo, il film si congeda con il calare della sera, poi le tenebre. Le fiamme non si muo-vono dall’orizzonte, ma i loro fumi ora si mimetiz-zano. Il Notturno di Schubert, accompagna anche i titoli di coda.

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