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INTRODUZIONE Come è possibile intuire dal titolo, lo scopo del presente lavoro è quello di fare delle riflessioni sulla filosofia che Nietzsche produsse negli anni e nei mesi che precedettero il suo crollo psichico, nonché su quelle questioni che da sempre sono accostate alla sua figura ma che, mi pare, non hanno ancora trovato risposte certe e definitive. Ecco che allora mi è sembrato opportuno ed utile esprimere la mia opinione al riguardo, nella speranza di essere riuscito a dare un contributo il più originale possibile. Tali questioni sono: 1) l’ipotesi che la sorella del filosofo abbia manipolato gli scritti del fratello con l’intento di compiacere Hitler e di non divulgare quelle opinioni che avrebbero potuto essere in contrasto con l’ideologia nazionalsocialista; 2) la questione, anche questa molto dibattuta, se la filosofia del pensatore di Röcken possa avere ispirato Hitler e offerto al dittatore tedesco una base filosofica e culturale sulla quale fondare il regime nazista; 3) i motivi del crollo psichico di Nietzsche. Mi è parso altresì interessante, come dicevo, riflettere sui pensieri che il filosofo mise su carta nell’ultima fase della sua vita cosciente, prima di sprofondare in uno stato prima euforico e poi vegetativo per undici lunghi anni. È opinione di chi scrive che l’ultimo Nietzsche sia il Nietzsche più geniale e fecondo, un Nietzsche acuto osservatore del reale e raffinato scrittore, che accosta considerazioni “umanitarie” e quasi sdolcinate a feroci e 1

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INTRODUZIONE

Come è possibile intuire dal titolo, lo scopo del presente lavoro è quello di fare delle riflessioni sulla filosofia che Nietzsche produsse negli anni e nei mesi che precedettero il suo crollo psichico, nonché su quelle questioni che da sempre sono accostate alla sua figura ma che, mi pare, non hanno ancora trovato risposte certe e definitive. Ecco che allora mi è sembrato opportuno ed utile esprimere la mia opinione al riguardo, nella speranza di essere riuscito a dare un contributo il più originale possibile.

Tali questioni sono: 1) l’ipotesi che la sorella del filosofo abbia manipolato gli scritti del fratello con l’intento di compiacere Hitler e di non divulgare quelle opinioni che avrebbero potuto essere in contrasto con l’ideologia nazionalsocialista; 2) la questione, anche questa molto dibattuta, se la filosofia del pensatore di Röcken possa avere ispirato Hitler e offerto al dittatore tedesco una base filosofica e culturale sulla quale fondare il regime nazista; 3) i motivi del crollo psichico di Nietzsche.

Mi è parso altresì interessante, come dicevo, riflettere sui pensieri che il filosofo mise su carta nell’ultima fase della sua vita cosciente, prima di sprofondare in uno stato prima euforico e poi vegetativo per undici lunghi anni. È opinione di chi scrive che l’ultimo Nietzsche sia il Nietzsche più geniale e fecondo, un Nietzsche acuto osservatore del reale e raffinato scrittore, che accosta considerazioni “umanitarie” e quasi sdolcinate a feroci e sconcertanti propositi di annientamento, violenza, guerra e schiavitù.

Nell’intraprendere il presente lavoro, mi sono proposto di puntare la lente d’ingrandimento su alcuni aforismi e pensieri che, mi pare, non sono quasi mai, per non dire mai, oggetto di riflessione da parte degli studiosi, ma che a mio giudizio sono i più belli, i più affascinanti e soprattutto quelli che a mio avviso hanno inciso maggiormente nelle vicende umane, purtroppo dobbiamo dire anche con esiti nefasti.

Ero e sono consapevole che dire qualcosa di originale su questo pensatore non è affatto facile, vista la sterminata letteratura esistente, tuttavia spero di essere riuscito in questo difficile intento. Del resto non ho dovuto fare altro che assecondare i miei interessi, dato che da quando ho avuto la fortuna di conoscere il pensiero di questo straordinario filosofo, ho concentrato la mia attenzione proprio sull’ultima parte della sua speculazione, e in modo particolare sulla Volontà di potenza.

Questo testo, come avrò modo di spiegare meglio più avanti, è un testo che Nietzsche concepì ma che poi non scrisse mai, e che si presenta come una raccolta di aforismi scritti negli ultimissimi anni di vita cosciente, scelti e ordinati in maniera arbitraria ma a mio giudizio eloquente dalla sorella del filosofo, Elisabeth Förster Nietzsche, e dal discepolo Heinrich Köselitz (più conosciuto con lo pseudonimo di Peter Gast).

Il secondo capitolo del presente lavoro è costituito da paragrafi che come si noterà non sono collegati fra loro se non in minima parte, il che è anche una conseguenza del fatto che hanno come oggetto di riflessione una filosofia, quella di Nietzsche e in modo particolare dell’ultimo Nietzsche, che non ha pretese di sistematicità, e che non di rado ha come oggetto di riflessione la vita reale, quella vita quotidiana che tutti noi viviamo e sulla quale il filosofo riflette in maniera tanto comprensibile quanto profonda e, talvolta, quasi commovente.

Uno degli aspetti più curiosi riscontrabili nella filosofia di cui stiamo parlando e che denotano, a mio avviso, una notevole onestà intellettuale, consiste nel fatto che il pensatore tedesco, direi sorprendentemente, mette talora in guardia il lettore contro la sua stessa filosofia, invitandolo a diffidare dei pensieri e delle opinioni che egli stesso fornisce.

Thomas Mann evidenzia proprio questo aspetto, sottolineando anche come, in occasione della morte dell’imperatore Federico III, si scorga nelle parole di Nietzsche un inaspettato elogio della libertà di pensiero, unito a un’infondata preoccupazione circa la confisca, da parte del regime che si prospettava, del testo di cui parlavamo, ossia La volontà di potenza. Osserva Thomas Mann:

“Non è assolutamente necessario e nemmeno desiderabile [sono parole di Nietzsche] che si prenda partito per me; al contrario, una certa dose di curiosità, come di fronte a una pianta esotica, unita ad un’opposizione ironica, mi parrebbe nei miei riguardi un atteggiamento senza confronto più intelligente. Perdono! Ho scritto delle ingenuità, una piccola ricetta per trarsi felicemente da qualchecosa di impossibile.”

Ha mai uno scrittore in maniera più insolita messo in guardia contro se stesso? “Antiliberale fino alla cattiveria” egli chiama se stesso. Antiliberale per cattiveria, per un desiderio prepotente di provocare, sarebbe più giusto. Quando nel 1888 l’imperatore dei cento giorni, Federico III, il liberale che aveva sposato una inglese, muore, Nietzsche è commosso e abbattuto come tutto il liberalismo tedesco. “Infine egli era un piccolo barlume di libero pensiero, l’ultima speranza per la Germania. Ora comincia il regime Stoecker; io ne traggo le conseguenze e so già che ormai la mia Volontà di potenza dapprima verrà confiscata in Germania…” Orbene, nulla viene confiscato. Lo spirito dell’epoca liberale è ancora troppo forte, in Germania si può dir tutto. Nel cordoglio di Nietzsche per Federico venne inaspettatamente alla luce qualchecosa di molto modesto, semplice, non paradossale, qualchecosa potremmo dire di vero: l’amore dell’uomo dello spirito, dello scrittore per la libertà che è la sua aria vitale; e a un tratto tutto l’edificio estetico di schiavitù, guerra, violenza, splendide crudeltà, creato dalla sua fantasia, scompare lontano, nella luce di un gioco irresponsabile e di una pittoresca teoria.[footnoteRef:1] [1: T. Mann, Saggi. Schopenhauer, Nietzsche, Freud, Mondadori, Milano 1980, p. 101. ]

Insomma, la mia speranza è quella di essere riuscito a fornire delle riflessioni interessanti e originali riguardo a una filosofia molto amata ma anche molto odiata, e che, dicevamo, ha fatto versare fiumi d’inchiostro.

I. LE TRE GRANDI QUESTIONI

1. La sorella manipolatrice

Per quanto riguarda la prima delle tre questioni sulle quali vorrei esprimere la mia opinione, ossia la presunta manipolazione, da parte della sorella del filosofo, di alcuni scritti del fratello, ritengo che Elisabeth Förster Nietzsche abbia probabilmente effettuato delle omissioni su alcuni scritti e su alcune lettere, tralasciando alcune affermazioni che avrebbero potuto essere, per vari motivi, sconvenienti, ma trovo insostenibile e indimostrabile la teoria secondo la quale essa avrebbe manipolato gli scritti del filosofo al fine di adattarli all’ideologia nazionalsocialista.

Soprattutto La volontà di potenza, che a mio avviso è un testo di fondamentale importanza per capire quale possa essere stato il legame tra la filosofia di Nietzsche e il nazionalsocialismo, è da sempre al centro di una leggenda secondo la quale questo scritto fu manipolato ad arte dalla sorella per adattarlo alle teorie del dittatore tedesco. Tale ipotesi è da scartare, in quanto gli aforismi che compongono La volontà di potenza sono stati ordinati da Elisabeth e da Heinrich Köselitz nel 1906, quando Hitler aveva 17 anni, per cui è da escludere che la sorella del filosofo abbia censurato o addirittura modificato delle affermazioni che potessero dispiacere allo stesso Hitler. In secondo luogo, i temi affrontati e le opinioni espresse da Nietzsche nella Volontà di potenza sono gli stessi che ricorrono negli altri libri, quelli “ufficiali”, comprese alcune affermazioni sugli ebrei che, come vedremo, a volte sono benevole e di apprezzamento, fino ad arrivare a un’aperta condanna dell’antisemitismo. Certo, come dicevo e come dimostra con chiarezza Domenico Losurdo in una riflessione che adesso riporterò, la sorella mise in atto delle omissioni, ma certamente tali omissioni non avevano come scopo quello di rendere le idee del filosofo congruenti con le teorie di un regime che ancora non si era affermato, ma che addirittura, come nel caso dell’aforisma riportato da Losurdo, tralasciavano opinioni che invece sarebbero state utili a tale regime. Osserva Losurdo:

Possiamo comprendere meglio lo spirito con cui lavora Elisabeth soffermandoci un attimo su un piccolo intervento. Apriamo il libro incriminato e leggiamo il § 872: «I diritti che un uomo si prende sono proporzionali ai doveri che si impone, ai compiti rispetto ai quali si sente all’altezza. La maggioranza degli uomini non ha diritto all’esistenza, ma costituisce una disgrazia per gli uomini superiori». Andiamo ora a leggere il brano corrispondente nei Frammenti postumi. L’aforisma prosegue con una dichiarazione enfatica: «Ai malriusciti io non riconosco neppure il diritto [all’esistenza]. Ci sono anche popoli malriusciti» (XI, p.102). Pur sforzandosi di aderire il più possibile alle tesi del fratello, cui comunque intende erigere una sorta di monumento, la povera Elisabeth deve aver considerato imbarazzante ed eccessiva la sottolineatura per cui a interi popoli può o deve essere negato il diritto all’esistenza. Tutto si può dire dell’opera della sorella di Nietzsche come biografa e come editrice, tranne che abbia reso un servigio all’interpretazione nazionalsocialista di alcuni decenni dopo! Certo, la biografia insiste, e a ragione, sull’implacabile ostilità del filosofo nei confronti del socialismo, ma neppure questo può essere considerato un favore per un movimento che si autodefiniva «nazionalsocialista». Per quanto riguarda il testo della Volontà di potenza, non ci sono differenze particolarmente rilevanti rispetto ai frammenti postumi, ed è fatica sprecata andare a caccia di manipolazioni e distorsioni, realmente in grado di compromettere il lavoro dell’interprete.[footnoteRef:2] [2: D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Bollati Boringhieri, Torino 2004, pp. 771-772. ]

Come dicevo, negli scritti di Nietzsche è possibile trovare, nei confronti degli ebrei, anche parole di apprezzamento. Afferma:

Gli ebrei nella sfera dell’arte hanno sfiorato il genio con Heinrich Heine e Offenbach, questo satiro pieno di spirito e spavaldo quant’altri mai che come musicista si attiene alla grande tradizione e, per chi non ha soltanto orecchi, è una vera liberazione rispetto ai musicisti sentimentali e in fondo degenerati del romanticismo tedesco.[footnoteRef:3] [3: F. Nietzsche, La volontà di potenza, Bompiani, Milano 2000, af. 832. ]

Poi, in un aforisma che non è presente nella Volontà di potenza della Bompiani, dice:

Perfino a proposito degli antisemiti, coi quali come si sa non sono tenero, avrei da dire, in base alle mie non trascurabili esperienze, più di una cosa favorevole; il che non impedisce, anzi fa sì che io conduca contro l’antisemitismo una guerra spietata: esso è una delle più malate mostruosità del così assurdo, così ingiustificato idolatramento di sé nei Tedeschi del Reich…[footnoteRef:4] [4: F. Nietzsche, Frammenti postumi, 1888-1889, Adelphi, Milano 1986, 24 [1-6].]

Tale riflessione è tuttavia presente anche in una raccolta di aforismi pubblicata da Mondadori con il titolo di Filosofare con il martello, dove a mio avviso l’aforisma appena citato viene tradotto in maniera migliore; eccone la traduzione:

Perfino sugli antisemiti, verso cui, come è noto, io sono pochissimo ben disposto, avrei da far valere qualcosa di favorevole, in base alla mia non trascurabile esperienza: ciò non mi impedisce, anzi, ciò mi induce a fare all’antisemitismo una guerra spietata, - è una delle più morbose degenerazioni della così assurda, così ingiustificata autocontemplazione dei tedeschi di oggi…[footnoteRef:5] [5: F. Nietzsche, in C. Pozzoli (a cura di), Filosofare con il martello, Mondadori, Milano 1994, p. 190. ]

Come possiamo vedere, dunque, Nietzsche esprime parole di apprezzamento nei confronti degli ebrei anche nella Volontà di potenza, per cui, se davvero la sorella del filosofo avesse voluto compiacere Hitler, avrebbe censurato tali affermazioni; e comunque, come abbiamo detto, La Volontà di potenza fu compilata nel 1906, quindi molto prima dell’avvento del nazionalsocialismo.

Per onestà, dobbiamo dire che il filosofo riserva agli ebrei anche parole di disprezzo, ma non accenna mai a un qualcosa che possa anche solo assomigliare a un’esortazione all’eliminazione sistematica del popolo ebraico, pur individuando nel giudaismo la radice del cristianesimo. Inoltre, se davvero la sorella avesse manipolato a suo piacimento gli aforismi che lei e Köselitz, attingendo dai Frammenti postumi, scelsero e ordinarono, la cosa non sarebbe certo passata inosservata, visto che lo stile di Nietzsche è inconfondibile, e non credo che i due sarebbero stati in grado di manipolare questi aforismi in modo tale da renderli, sia da un punto di vista linguistico che concettuale, del tutto simili a quelli veramente usciti dalla penna del filosofo. E se anche fosse vero (ma, come detto, non è) che la sorella, come taluni asseriscono, mise in atto una manipolazione tale da far esprimere al fratello opinioni e riflessioni che egli non avrebbe mai sottoscritto, allora in questo caso, a noi che abbiamo la fortuna di poter usufruire degli aforismi di Nietzsche, non resterebbe da fare altro che prendere atto di tale spiacevole avvenimento, con la consapevolezza tuttavia che ogni filosofia, a prescindere da chi ne è l’autore, deve avere come scopo ultimo il progresso dell’umanità.

Ogni filosofia, in altre parole, può e deve influire sulla politica e sui costumi, e quindi di conseguenza sulla storia. E’ infatti opinione di chi scrive che, per quanto ciò possa sembrare volgare, la filosofia debba servire a qualcosa, ossia deve indicare le strade da percorrere, anche se non sempre le strade suggerite dalla filosofia risultano essere vantaggiose per il genere umano. Certo, la filosofia di Nietzsche, anche se molti si ostinano a negarlo, ha inequivocabilmente ispirato molti dei crimini nazisti, ma è anche una formidabile lente di ingrandimento grazie alla quale è possibile vedere come l’umanità stia inesorabilmente scivolando verso la stupidità e la mediocrità.

Ecco allora che, come dicevamo, se anche gli aforismi della Volontà di potenza fossero per assurdo stati manipolati, a noi questo dovrebbe interessare relativamente, in quanto, lo ripeto, è più importante capire in che modo una filosofia può esserci utile piuttosto che sapere chi l’ha realmente pensata. Lo stesso avviene, mi si passi il paragone, quando si acquista un’auto; quando acquistiamo un’auto, teniamo conto della sua robustezza, del suo comfort, delle sue prestazioni, della sua affidabilità, della sua bellezza, e non ci interessa sapere chi è il disegnatore che l’ha disegnata, l’ingegnere che ha progettato il motore, e l’operaio che l’ha costruita.

Il fatto che, infine, gli aforismi della Volontà di potenza siano stati ordinati arbitrariamente da Elisabeth Förster Nietzsche e da Heinrich Köselitz, è, contrariamente a quanto sostengono alcuni, quasi del tutto irrilevante. Infatti, data la natura non sistematica della filosofia nietzscheana, la quale raggiunge il suo apice di asistematicità proprio nei caotici frammenti postumi, tali aforismi sono del tutto autonomi, in quanto esprimono concetti ed opinioni che, qualunque sia la sequenza nella quale vengono letti, non cambiano di significato.

2. Il rapporto col nazionalsocialismo

Passiamo adesso alla seconda questione, e cerchiamo di capire se la filosofia di Nietzsche possa aver contribuito all’avvento del nazionalsocialismo. Mi sembra opportuno, nell’introdurre tale argomento, dare voce ad alcuni illustri pensatori che, con parole diverse, dicono più volte e in maniera chiara che il filosofo di Röcken ha indubbiamente fornito al suddetto regime e al suo indiscusso capo non solo una base culturale, ma precise strategie politiche da mettere in atto.

Il fatto che la filosofia possa, anche se non necessariamente, influire sulla politica, è un concetto che abbiamo appena espresso e che Bertrand Russell argomenta nei seguenti termini:

I filosofi sono insieme effetti e cause: effetti delle condizioni sociali, politiche e istituzionali del loro tempo; cause (se sono fortunati) delle dottrine che modellano la politica e le istituzioni delle età successive.[footnoteRef:6] [6: B. Russell, Storia della filosofia occidentale, TEA, Milano 2012, p. 11.]

Poi, altrove, Russell è lapidario nell’affermare l’indubbia provenienza degli ideali di Hitler dalla filosofia di Nietzsche; afferma:

Gli ideali di Hitler provengono principalmente da Nietzsche, nel quale si hanno tutte le prove di una completa sincerità.[footnoteRef:7] [7: B. Russell, Scienza e religione, Fabbri, Milano 1998, p. 190.]

Quindi, nell’Elogio dell’Ozio, osserva:

Il fine che l’uomo di governo dovrebbe proporsi, così come lo concepiscono quasi tutti gli irrazionalisti dai quali ebbe origine il fascismo, è definito molto chiaramente da Nietzsche. Ben conscio di opporsi tanto al cristianesimo quanto agli utilitaristi, egli ripudia le dottrine del Bentham che riguardano la felicità e «il maggior numero». «L’umanità», egli dice, «è più un mezzo che un fine… L’umanità è semplicemente un materiale da esperimento». Il fine che egli propone è la grandezza di individui eccezionali.[footnoteRef:8] [8: B. Russell, Elogio dell’Ozio, Longanesi & C., Milano 2005, pp. 77-78.]

Poco più avanti, prosegue:

I fondatori della scuola filosofica dalla quale scaturirà il fascismo hanno tutti certe caratteristiche in comune. Ricercano il bene nella volontà anziché nel sentimento o nella cognizione; reputano che il potere valga più della felicità; preferiscono la forza alla persuasione, la guerra alla pace, l’aristocrazia alla democrazia, la propaganda all’imparzialità scientifica. Prediligono una certa forma di austerità spartana, che oppongono all’austerità cristiana; considerano cioè l’austerità come un mezzo per arrivare al predominio sugli altri e non come un’autodisciplina che aiuta il fiorire della virtù in questo mondo, mentre assicura la felicità soltanto nell’altro. Gli ultimi rappresentanti di questa scuola sono imbevuti di darwinismo popolare e considerano la lotta per l’esistenza come l’origine di specie più evolute; ma tale lotta dovrebbe svolgersi tra razze diverse piuttosto che tra individui, secondo uno schema caro agli apostoli della libera concorrenza. Il piacere e il sapere, concepiti come fini, appaiono loro troppo passivi. Essi sostituiscono perciò la gloria al piacere, e quanto al sapere, basta l’asserzione dogmatica che ciò che essi desiderano è vero. In Fichte, in Carlyle e in Mazzini, tali teorie sono ancora avvolte nel mantello del trito moralismo convenzionale; con Nietzsche vengono per la prima volta alla ribalta nude e senza vergogna.[footnoteRef:9] [9: Ivi, pp. 78-79.]

Ancora, nella sua Storia della filosofia occidentale, al termine del capitolo dedicato a Nietzsche, definisce “seguaci” del filosofo tedesco i nazisti e i fascisti, senza nominarli esplicitamente ma riferendosi ovviamente ad essi, dal momento che Russell scriveva mentre era ancora in corso la Seconda guerra mondiale; afferma:

Ma credo che l’ultimo argomento contro la sua filosofia, come contro ogni etica spiacevole ma internamente coerente, non risieda in un appello ai fatti, ma ai sentimenti. Nietzsche disprezza l’amore universale; io sento che è la forza motrice per raggiungere tutto ciò che desidero nel mondo. I suoi seguaci hanno avuto il loro turno, ma possiamo sperare che esso stia rapidamente avviandosi verso la fine.[footnoteRef:10] [10: B. Russell, Storia della filosofia occidentale, cit., p. 737.]

Altrove Russell è meno netto nell’attribuire a Nietzsche il ruolo di ispiratore di non meglio precisati “tiranni”, anche se, riferendosi ovviamente a Hitler e Mussolini, riconosce che questi tiranni hanno probabilmente tratto ispirazione dal pensatore tedesco. Il filosofo sottolinea anche come, a suo giudizio, questi tiranni hanno compreso Nietzsche in maniera superficiale. Osserva:

Tentava soprattutto di affermare la supremazia dell’uomo migliore, cioè più forte e sano dal punto di vista fisico e dal punto di vista del carattere. Ciò porta con sé una certa durezza nei confronti della miseria e delle disgrazie […] Concentrando l’attenzione su questi tratti e isolandoli dal contesto, molti hanno visto in Nietzsche il profeta delle tirannie politiche dei nostri tempi. Può essere benissimo che i tiranni abbiano tratto qualche ispirazione da Nietzsche, ma non sarebbe giusto renderlo responsabile dei misfatti di uomini i quali lo hanno compreso, nella migliore delle ipotesi, superficialmente.[footnoteRef:11] [11: B. Russell, La saggezza dell’Occidente, TEA, Milano 2012, pp. 335-336.]

Russell esprime anche un ipotetico ragionamento che potrebbe avere fatto lo stesso Nietzsche, e che presumibilmente corrisponde a quello che realmente accadde con Hitler, il quale, secondo l’opinione di Russell e, lo si sarà capito, anche secondo l’opinione di chi scrive, trasse energia e coraggio (oltre che, ovviamente, idee e suggerimenti) dalla filosofia del pensatore tedesco. Osserva:

Ciò che Nietzsche può dire, per spiegare la parola «desiderabile», è questo: «Se gli uomini leggeranno le mie opere, una certa percentuale di essi sarà indotta a condividere i miei desideri sull’organizzazione della società; questi uomini, ispirati dalla energia e dalla decisione che la mia filosofia darà loro, possono perseverare e ristabilire l’aristocrazia, ponendo se stessi come aristocratici o (come me) adulatori dell’aristocrazia. In questo modo perverranno ad una vita più piena di quella che potevano avere come servi del popolo».[footnoteRef:12] [12: B. Russell, Storia della filosofia occidentale, cit., pp. 734-735.]

Anche Lukács individua in Nietzsche una figura fondamentale nell’ambito della filosofia irrazionalistica. Egli parte dal seguente assunto:

Ogni filosofia, nel suo contenuto e nel suo metodo, è determinata dalle lotte di classe del suo tempo. I filosofi – come anche i dotti, gli artisti e altri ideologi – possono misconoscere, più o meno, questa circostanza, ed esserne magari del tutto inconsapevoli; ma questa determinazione del loro atteggiamento di fronte alle cosiddette «questioni ultime» si esplica tuttavia ugualmente.[footnoteRef:13] [13: G. Lukács, La distruzione della ragione, Mimesis, Milano-Udine 2011, p. 312. ]

Tale riflessione, sia detto per inciso, non appare del tutto condivisibile, almeno in termini così perentori. Certamente i filosofi sono, come tutti gli uomini, figli del tempo in cui vivono, e di conseguenza è inevitabile che il loro pensiero risenta del “clima culturale”, delle aspettative, delle lotte e delle grandi questioni che caratterizzano, appunto, i tempi in cui si trovano a vivere. Detto questo, però, l’affermazione di Lukács mi pare piuttosto riduttiva, tanto più per un filosofo come Nietzsche, la cui filosofia è per buona parte legata alla vita reale e, come vedremo nella seconda parte del presente lavoro, può essere definita a ragione una “filosofia della vita”, ossia una filosofia basata su un qualcosa che (la vita, appunto) per molti aspetti, soprattutto quelli ritenuti erroneamente meno importanti, non è cambiata nel corso dei secoli e non cambierà neppure in futuro, quali che siano le lotte di classe che si presenteranno.

È per questo, quindi, che non sembra realistico pensare che Nietzsche scrivesse solo in virtù del suo status sociale, anche se, come è normale che sia, esso ha indubbiamente influenzato il suo pensiero.

In ogni caso, nonostante Lukács parta da un assunto che come abbiamo detto non sembra del tutto condivisibile, anche lui individua in Nietzsche il maggior rappresentante della filosofia irrazionalistica, e anche se il filosofo su cui stiamo riflettendo, come sottolinea lo stesso Lukács, non ha letto neppure una riga di Marx, esso può essere considerato l’iniziatore della lotta ideologica contro il marxismo-leninismo. Osserva Lukács:

Hitler come realizzatore pratico dell’irrazionalismo è l’esecutore testamentario di Nietzsche e dello sviluppo filosofico che da lui prende le mosse.[footnoteRef:14] [14: Ivi, p. 766. ]

Prosegue:

Per quanto grande la differenza di livello intellettuale e culturale fra il filosofo Nietzsche e il demagogo Hitler – e, come abbiamo visto, anche in questo si esprime la necessità dello sviluppo storico -, proprio su questo punto decisivo la differenza di livello nella conoscenza e nella comprensione dell’avversario si attenua fino a scomparire; anzi si può dire che si riduce a zero, e vedere nella politica di Hitler la conversione in prassi della filosofia irrazionalistica.[footnoteRef:15] [15: Ivi, p. 767.]

Infine:

La «crociata» contro il comunismo, contro il marxismo-leninismo, è del pari una vecchia eredità dell’ideologia borghese divenuta reazionaria. Abbiamo mostrato come Nietzsche abbia dato inizio per primo a questa lotta ideologica su tutti i fronti, e abbiamo visto come questa lotta, dopo il 1917, si sia estesa e acuita sempre più fino a raggiungere il suo culmine provvisorio con Hitler, in cui il livello spirituale più basso finora raggiunto si accompagnava alla menzogna e alla provocazione (incendio del Reichstag), e alla crudeltà più bestiale (Auschwitz ecc.).[footnoteRef:16] [16: Ivi, p. 774.]

Un altro pensatore che non esita a definire i nazisti “seguaci di Nietzsche” è René Girard, il quale afferma:

Quasi tutti i nostri nietzschiani contemporanei sostengono che Nietzsche non abbia nulla a che fare con il nazismo. Egli è descritto come un pensatore umano e benigno che, se avesse visto l’uso che i nazisti hanno fatto delle sue idee, ne sarebbe rimasto inorridito, cosa alla quale posso ben credere. È un fatto, però, che la genealogia nietzschiana della visione antisacrificale di giudaismo e cristianesimo ha fornito ai nazisti esattamente l’incoraggiamento di cui avevano bisogno per muoversi con audacia nella direzione da loro intrapresa. Affermare che i nazisti abbiano completamente frainteso Nietzsche è una distorsione palese della verità.[footnoteRef:17] [17: R. Girard, G. Fornari, Il caso Nietzsche. La ribellione fallita dell’anticristo, Marietti, Genova-Milano 2009, p. 96. ]

Prosegue:

Su giudaismo e cristianesimo, la cui interpretazione costituisce il cuore della sua dottrina se mai ce n’è uno, il Nietzsche maturo comunque non ha mai avuto oscillazioni, e i nazisti non erano così stupidi da non assimilare l’unica idea di questo pensatore a cui fossero realmente interessati, quella secondo cui il maggior pericolo della tradizione giudaico-cristiana è la sua misericordia verso le vittime. Secondo il filosofo preferito dai nazisti, l’atteggiamento cristiano soffoca la volontà di potenza delle persone effettivamente superiori e impedisce loro di realizzare se stesse: il più grande servizio che possa essere reso pertanto alla nostra civiltà è affrettare la fine del valore cristiano numero uno, appunto la sua preoccupazione per le vittime. Il nazismo è il tentativo di realizzare un programma a cui Nietzsche, certo, non ha mai dato esecuzione pratica, ma che la sua opera non poteva mancare di suggerire a discepoli come i nazisti, specialmente dopo che costoro acquisirono l’enorme potere politico e le risorse materiali che li misero in grado di prendere il filosofo alla lettera, convertendo la sua decostruzione puramente verbale in una più concreta distruzione. Ciò che contraddistingue il regime nazista anche rispetto ai più violenti episodi della nostra storia è il suo sforzo titanico di capovolgere le cose per quanto riguarda le vittime. I precetti ebraici e cristiani sono sempre stati onorati più violandoli che rispettandoli, ma ciò nondimeno hanno sempre avuto qualche influenza restrittiva, che i nazisti hanno invece voluto annientare, e Nietzsche ha sicuramente avuto un ruolo nel concepire e legittimare tale impresa.[footnoteRef:18] [18: Ivi, pp. 96-97.]

E ancora:

I nazisti potrebbero presentare se stessi come i fedeli seguaci di Nietzsche che effettivamente sono, di null’altro desiderosi che di rimpiazzare la spregevole “morale da schiavi” con la religiosità “dionisiaca”.[footnoteRef:19] [19: Ivi, p. 97. ]

Domenico Losurdo, invece, chiama in causa Thomas Mann, sottolineando come anch’egli riconosca che Nietzsche ha preparato il terreno per l’avvento del nazionalsocialismo:

… non si deve dimenticare Thomas Mann, il quale si sente costretto a malincuore a riconoscere che le raccomandazioni eugenetiche del filosofo da lui amato erano entrate a far parte della «teoria e pratica del nazionalsocialismo», così come la condanna del cristianesimo, colpevole di bloccare coi suoi scrupoli morali il necessario e benefico «annientamento di milioni di malriusciti», aveva contribuito a creare un terreno ideologico favorevole per le pratiche genocide di Hitler.[footnoteRef:20] [20: D. Losurdo, op. cit., pp. 783-784. ]

Naturalmente, è inutile ricordarlo, molti pensatori e studiosi propendono per un giudizio che scagiona Nietzsche dall’accusa di aver favorito l’avvento del nazismo; tuttavia, come a breve cercherò di dimostrare, tale presa di posizione innocentista è a mio avviso infondata e, francamente, sorprendente. Osserva, ad esempio, Eugen Fink:

Nietzsche allarga la consapevolezza storica anche in direzione del futuro. Sarebbe perciò cosa di estrema meschinità il voler costringere nella piccola misura di tempo della storia contemporanea (e così giudicarlo) un pensatore che comprende storicamente tutto il nostro passato europeo e traccia un progetto di vita per i prossimi secoli. Con il più gran rigore devono venir respinti i tentativi di tirarlo con violenza nel mezzo della politica quotidiana, di presentarlo e identificarlo come il tipico rappresentate della violenza, dell’imperialismo tedesco, del germanico invasato contro tutti i valori della cultura mediterranea, e simili.[footnoteRef:21] [21: E. Fink, La filosofia di Nietzsche, Mondadori, Milano 1977, p. 10. ]

Qui, addirittura, viene definita estremamente meschina la posizione di coloro che ritengono che la filosofia di Nietzsche abbia dato i suoi frutti già poche decine di anni dopo essere stata elaborata.

Come ho già detto, questa che Fink stigmatizza è esattamente l’opinione di chi scrive; certo, altri filosofi esercitarono probabilmente un’influenza sulla mente di Hitler e, di riflesso, sull’ideologia nazionalsocialista, ma la filosofia di Nietzsche fu a mio avviso la principale fonte di ispirazione per il suddetto regime e il suo capo, a tal punto che mi sembra corretto affermare che Nietzsche è il teorico del nazionalsocialismo.

Buona parte della filosofia del pensatore tedesco è infatti tesa a dimostrare come la morale, e soprattutto la morale cristiana, sia un veleno che i deboli e i loro principali alleati, ossia i preti, hanno escogitato per difendersi dai forti e dai sani. L’idea secondo la quale esiste un dio creatore, implica necessariamente che gli uomini sono su un piano diverso rispetto agli animali, in quanto Dio ha concesso loro il libero arbitrio e la coscienza grazie alla quale ogni individuo può scegliere fra il bene e il male, a differenza degli animali che invece agiscono solo in base all’istinto; ne consegue che tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, in quanto sue creature, e, come sottolinea Nietzsche, questo ha fornito il prototipo per tutte le dottrine egualitarie escogitate dall’uomo.

Inoltre, presupporre l’esistenza di un creatore implica che Egli solo può disporre della vita e della morte degli individui. Per il filosofo tedesco, invece, non esiste alcun dio creatore, ed ecco allora che l’uomo non è altro che un animale, un animale infimo come lo è un verme. Osserva:

Non si ha alcun diritto, né all’esistenza, né al lavoro, e nemmeno alla “felicità”: l’uomo singolo non è differente dal più umile verme.[footnoteRef:22] [22: F. Nietzsche, La volontà di potenza, cit., af. 759.]

Quanto Nietzsche disprezzi la massa, lo si capisce bene dai seguenti aforismi:

Dobbiamo pensare alle masse senza farci scrupoli, così come pensa la natura: le masse conservano la specie.[footnoteRef:23] [23: Ivi, af. 760. ]

E ancora:

Il fenomeno fondamentale: innumerevoli individui sacrificati a vantaggio di pochi: per rendere possibili i pochi. Non bisogna lasciarsi ingannare: le cose stanno esattamente così con i popoli e con le razze: questi formano un “corpo” per produrre singoli individui di valore altissimo, i quali continuano il grande processo.[footnoteRef:24] [24: Ivi, af. 679.]

E infine:

La rivoluzione, la confusione e la miseria dei popoli valgono meno, per me, del travaglio dei grandi individui presi nel proprio sviluppo. Non dobbiamo lasciarci ingannare: le molte miserie di tutti questi piccoli non fanno tutte insieme una somma, se non nel sentire di uomini potenti.[footnoteRef:25] [25: Ivi, af. 965.]

Ecco allora che, conseguentemente alle suddette riflessioni, diventa lecito, come mezzo per elevare il genere umano, il sacrificio di quegli individui ritenuti degenerati e malati e quindi da scartare, al fine di impedire loro di riprodursi e contaminare la specie. Sentenzia Nietzsche:

Il cristianesimo, avendo portato in primo piano la dottrina del disinteresse e dell’amore, non ha tuttavia affatto attribuito all’interesse della specie un valore più alto che all’interesse dell’individuo. La sua azione propriamente storica, la fatalità della sua azione, rimane viceversa precisamente quella di avere accresciuto l’egoismo, l’egoismo individuale, fino all’estremo (fino all’estremo dell’immortalità individuale). Grazie al cristianesimo l’individuo acquistò un’importanza così grande, fu posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare: ma il genere sussiste soltanto mediante i sacrifici umani… Davanti a Dio, tutte le “anime” diventarono uguali: ma questa è appunto la più pericolosa di tutte le valutazioni possibili! Se si suppongono uguali gli individui, si mette in questione il genere, si favorisce una pratica che mette capo alla sua rovina: il cristianesimo è il principio contrario a quello della selezione. Se il degenerato e il malato (“il cristiano”) deve valere quanto il sano (“il pagano”), o magari di più, secondo il giudizio di Pascal sulla malattia e sulla sanità, il cammino naturale dell’evoluzione è interrotto e la contronatura diventa legge... Questo universale amore degli uomini è in pratica un preferire tutto ciò che soffre, che è fallito, che è degenerato: ha effettivamente sminuito e indebolito la forza, la responsabilità, l’alto dovere di sacrificare agli uomini. […]. La specie ha bisogno che scompaiano i mal riusciti, i deboli, i degenerati; ma precisamente a costoro si volse il cristianesimo, come potenza conservatrice; e rafforzò ancor più quell’istinto dei deboli, già così potente che li spinge a usarsi riguardi, a conservarsi, a sostenersi a vicenda. Che altro sono la “virtù” e l’“amore del prossimo” nel cristianesimo, se non appunto questo appoggiarsi reciprocamente per conservarsi, questa solidarietà dei deboli, questo ostacolo opposto alla selezione? Che è l’altruismo cristiano, se non l’egoismo di massa dei deboli che indovina che, se tutti si prendono cura degli altri, ogni singolo può conservarsi più a lungo?... Se non si considera questo modo di sentire come un’estrema immoralità, come un delitto contro la vita, si appartiene alla banda dei malati, se ne hanno gli istinti… Il vero amore degli uomini esige il sacrificio per il bene del loro genere – è duro, è pervaso di autosuperamento, perché ha bisogno del sacrificio umano. E questa pseudoumanità che si chiama cristianesimo vuole precisamente ottenere che nessuno venga sacrificato…[footnoteRef:26] [26: Ivi, af. 246. ]

E ancora:

Che un qualcosa sia cento volte più importante della domanda se noi stiamo bene o male è un istinto fondamentale di tutte le nature forti – e di conseguenza anche della domanda se gli altri stiano bene o male. In breve, che noi abbiamo uno scopo, per amore del quale non si esita a compiere sacrifici umani, a correre ogni pericolo, a prendere su di sé ogni male e il male peggiore: la grande passione.[footnoteRef:27] [27: Ivi, af. 26. ]

Infine:

L’amore frainteso. C’è un amore da schiavi, che si assoggetta e si svende, che idealizza e si inganna – e c’è un amore divino, che disprezza e ama e trasforma, eleva ciò che ama. Si deve acquistare quella enorme energia della grandezza per foggiare l’uomo futuro allevandolo, da un lato, e, dall’altro, annientando milioni di malriusciti: e non si deve venir meno per il dolore che si crea – un dolore quale non fu mai visto finora.[footnoteRef:28] [28: Ivi, af. 964. ]

Il filosofo è ben consapevole di propugnare una filosofia che istiga al delitto e alla criminalità, ma di questo non si vergogna, in quanto ritiene che la grandezza di un individuo sia direttamente proporzionale alla capacità che questo individuo ha di liberarsi da qualsiasi scrupolo; afferma:

Noi impariamo a conoscere, nel nostro mondo civilizzato, quasi soltanto il delinquente triste, schiacciato dalla maledizione e dal disprezzo della società, che diffida di se stesso, che spesso sminuisce e calunnia la propria azione – un infelice tipo di delinquente; e ci ripugna credere che tutti i grandi uomini furono delinquenti (solo, in grande stile, non in quello miserabile), che il delitto fa parte della grandezza (così dice la coscienza degli investigatori e di tutti coloro che scesero più profondamente nelle anime grandi).[footnoteRef:29] [29: Ivi, af. 736. ]

Come possiamo vedere, dunque, dalla penna dell’ultimo Nietzsche escono anche affermazioni piuttosto imbarazzanti. Eppure anche questa è filosofia, una filosofia che come dicevamo è in buona parte finalizzata a dimostrare che la morale è un veleno che ha come scopo quello di insudiciare e calunniare l’esistenza, una filosofia che mette in atto un tentativo capillare di persuadere che solo liberandosi dalla morale l’uomo potrà raggiungere il suo massimo splendore.

Anche nell’Anticristo il filosofo è molto chiaro nell’esortare a non avere pietà per i malati e i deboli; dice:

I deboli e i malriusciti devono perire: questo è il principio del nostro amore per gli uomini. E a tale scopo si deve anche essere loro d’aiuto. Che cos’è più dannoso di qualsiasi vizio? – Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli – il cristianesimo…[footnoteRef:30] [30: F. Nietzsche, L’anticristo, Adelphi, Milano 2009, p. 5. ]

Per la verità, non solo negli scritti dell’ultimo Nietzsche è possibile trovare affermazioni del tipo di quelle che abbiamo appena visto. Anche nella Gaia scienza, ad esempio, il filosofo sembra esortare all’annientamento dei malati; scrive:

Crudeltà santa. Un uomo che teneva in braccio un neonato si avvicinò a un santo e gli chiese: «Che devo fare del piccolo? È miserello, malfatto e non ha vita abbastanza per morire». «Uccidilo», gridò il santo con voce tremenda «uccidilo e tienlo poi per tre giorni e tre notti nelle tue braccia, finché non te lo sarai impresso nella memoria: così non metterai mai più un bambino al mondo se non sarà giunto per te il momento di generare». – Udite queste parole, l’uomo se ne andò deluso: e molti biasimarono il santo perché aveva consigliato una cosa crudele, suggerendo di uccidere il bambino: «Ma non è più crudele lasciarlo in vita?» disse il santo.[footnoteRef:31] [31: F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, Milano 1997, af. 73. ]

Altrove è meno drastico, e propone, invece dell’annientamento, la castrazione dei malati.

Osserva:

Anche un comandamento dell’amore verso gli uomini. Ci sono casi in cui generare un figlio sarebbe un delitto, come nel caso di malati cronici o di nevrastenici di terzo grado. Che fare allora? […] La società, come grande mandataria della vita, deve rispondere di ogni vita mancata di fronte alla vita stessa e deve anche scontarla: quindi la deve impedire. La società in numerosi casi deve prevenire la procreazione: a tal fine tener pronte, senza riguardo all’origine, al rango e allo spirito, le più dure misure di costrizione, privazioni di libertà, in certi casi la castrazione. […] Avere compassione dei décadents, concedere uguaglianza di diritti anche ai falliti, sarebbe la più profonda immoralità, sarebbe l’antinatura posta come morale.[footnoteRef:32] [32: F. Nietzsche, La volontà di potenza, cit., af. 734. ]

Tali suggerimenti divennero, a mio avviso non casualmente, pratiche quotidiane nella Germania nazista. Durante il regime nazionalsocialista, infatti, non sempre si ricorreva all’annientamento dei malati; spesso questi venivano “soltanto” sterilizzati, al fine di impedirne la riproduzione, in quanto si riteneva che se un malato avesse procreato, con buona probabilità avrebbe messo al mondo un individuo a sua volta malato, con il rischio che tale individuo sarebbe stato inadatto al lavoro e quindi a carico della collettività. Si optava per la castrazione nei casi ritenuti meno gravi, quando ad esempio il soggetto era in grado di lavorare e, a differenza dei malati gravi, non gravava sulla collettività, guadagnandosi così il diritto di vivere.

Ma non basta; altre pagine sembrano essere profetiche. Sempre nei Frammenti postumi (dai quali, lo abbiamo detto, attinsero Elisabeth e Heinrich Köselitz per compilare la Volontà di potenza) il filosofo, parlando dell’uomo grande, osserva:

L’uomo grande sente di aver potere sopra un popolo, sente di coincidere occasionalmente con un popolo o con un millennio: questa amplificazione del sentimento di sé, come causa e voluntas, viene fraintesa come fosse “altruismo”. L’uomo grande si sente spinto a cercare dei mezzi per comunicare se stesso: tutti i grandi uomini hanno grande inventiva nel trovare simili mezzi. Vogliono imprimere la propria forma a grandi comunità, vogliono dare una sola forma a ciò che è molteplice e disordinato, vedere il caos li eccita.[footnoteRef:33] [33: Ivi, af. 964. ]

Ebbene, lo stesso Hitler, in uno dei suoi discorsi, afferma di essere lui stesso la Germania, e proprio come Nietzsche descrive nell’aforisma appena riportato anche il dittatore, con la sua irresistibile ascesa, riuscì ad imprimere gradualmente e, appunto, irresistibilmente, una sola forma a tutta la comunità germanica, fino a giungere alle famose adunate oceaniche dove, al cospetto del loro capo, migliaia e migliaia di soldati erano inquadrati in geometrie perfette. E ancora, altrove, Nietzsche si esprime proprio come se stesse fornendo un suggerimento; dice:

A noi ritorna sempre a porsi di nuovo una questione, una questione che è forse tentatrice e cattiva: la sussurriamo all’orecchio di quelli che hanno diritto a simili enigmatiche questioni, le più forti anime d’oggi, quelle che meglio sanno dominare se stesse: non sarebbe tempo, oggi, mentre in Europa si sviluppa sempre più il tipo dell’“animale gregario”, sperimentare un allevamento metodico, artificiale e consapevole del tipo opposto e delle sue virtù?[footnoteRef:34] [34: Ivi, af. 954. ]

Anche qui mi pare inevitabile fare un paragone con quello che avrebbe realmente fatto il regime nazionalsocialista, il quale avviò un progetto che prevedeva un vero e proprio allevamento di uomini superiori, figli di genitori di pura razza ariana e destinati a dominare il mondo.

Tuttavia, Nietzsche non afferma mai che tali uomini superiori debbano avere, fra i loro requisiti, anche quello di essere di pura razza ariana, così come fra le pagine del filosofo è molto difficile trovare affermazioni razziste; ma su questo torneremo tra poco.

Mi sembra opportuno, per suffragare la tesi che sto sostenendo, ossia che la filosofia di Nietzsche ha indubbie responsabilità nell’avvento del nazionalsocialismo, riportare un lungo aforisma che a mio avviso è molto importante per capire, appunto, come sia inequivocabile il legame fra il filosofo tedesco e il regime hitleriano, e come alcune sue pagine appaiano sorprendentemente profetiche.

Osserva:

Si avvicina, inevitabile, esitante, terribile come il destino, il grande compito, la grande questione: in quale modo la terra deve venire amministrata come un tutto? E a che fine “l’uomo” come un tutto (e non più un popolo, una razza) deve venire educato e addestrato? Le morali legislatrici sono il mezzo principale con cui dall’uomo si può foggiare ciò che piace a una volontà creatrice e profonda: premesso che una tale volontà artistica di prim’ordine abbia in mano il potere e possa imporre per lunghi periodi di tempo la sua volontà creatrice, sotto forma di legislazioni, religioni e costumi. Oggi, e probabilmente ancora per lungo tempo, si cercheranno invano simili uomini della grande creazione, i veri grandi uomini, quali io li intendo: questi mancano; finché, dopo molte delusioni, si dovrà cominciare a capire perché manchino, che il massimo ostacolo al loro sorgere e svilupparsi, adesso e per molto tempo ancora, è ciò che oggi in Europa è addirittura chiamato “la morale”: quasi non ci fossero e non ci potessero essere altre morali; ed è la morale già descritta, quella dell’animale gregario che con tutte le forze aspira alla verde felicità universale del pascolare sulla terra, cioè alla sicurezza, alla mancanza di pericoli, alla comodità, alla vita facile e infine, “se tutto va bene”, spera anche di sottrarsi a ogni genere di pastori e di guide. La sue due dottrine più frequentemente predicate suonano così: “uguaglianza dei diritti” e “compassione per tutto ciò che soffre” – e lo stesso soffrire è considerato da costoro come qualcosa che va assolutamente abolito. Il fatto che simili “idee” possano ancora essere moderne ci dà il cattivo concetto di questa modernità. Ma chi ha meditato sino in fondo sul dove e sul come la pianta uomo sia finora cresciuta più robusta deve concludere che tale crescita è avvenuta grazie alle condizioni contrarie: che a tal fine la pericolosità della sua condizione deve aumentare enormemente, la sua forza inventiva e dissimulatrice deve svilupparsi combattendo una lunga oppressione e costrizione, la sua volontà di vita deve innalzarsi fino a un’incondizionata volontà di potenza e di preponderanza, e che pericolo, durezza, violenza, pericolo nelle strade e nel cuore, disuguaglianza dei diritti, il nascondersi, lo stoicismo, l’arte del sedurre, le diavolerie di ogni genere, insomma l’opposto di tutto ciò che il gregge desidera è necessario all’elevazione del tipo uomo. Una morale con queste intenzioni capovolte, che voglia addestrare l’uomo a salire in alto anziché a restare nella comodità e nella mediocrità, una morale che si proponga di allevare una casta di governanti – i futuri signori della terra – deve, per poter essere insegnata, legarsi alla legge morale esistente e insinuarsi sotto le sue parole e apparenze. Ma che a tale scopo si debbano trovare molti mezzi per convertire e illudere e che – poiché la durata della vita di un solo uomo non significa quasi nulla in rapporto alla realizzazione di compiti e propositi così vasti – si debba prima e soprattutto allevare una nuova specie in cui a quella volontà e a quell’istinto venga garantita la durata per molte generazioni, una nuova specie e casta di padroni, questo lo si capisce facilmente, così come si capisce bene come andrebbe proseguito questo pensiero, che non enuncerò oltre. Preparare una inversione dei valori per una ben determinata specie forte di uomini, dalla forza di volontà e dalla spiritualità altissime, e a tale scopo scatenare in loro lentamente e con prudenza una grande quantità di istinti tenuti a freno e calunniati: chi pensa a questo appartiene a noi, agli spiriti liberi – certo, a un nuovo genere di “spiriti liberi”, diverso da quello finora esistito, poiché costoro desiderarono pressappoco l’opposto. Sono dei nostri, a mio avviso, innanzitutto i pessimisti europei, i poeti e i pensatori di un idealismo indignato, in quanto il loro malcontento per l’intera esistenza li costringe, se non altro logicamente, a essere scontenti degli uomini attuali; e così pure certi artisti insaziabilmente ambiziosi, che lottano arditamente e incondizionatamente per i diritti particolari degli uomini superiori e contro l’“animale gregario”, e con i mezzi di seduzione propri dell’arte addormentano negli spiriti eletti tutti gli istinti e le prudenze del gregge; e in terzo luogo tutti quei critici e storici dai quali viene coraggiosamente continuata la scoperta, già felicemente iniziata, del mondo antico: e questa è l’opera del nuovo Colombo, dello spirito tedesco – perché noi ci troviamo tuttora agli inizi di questa conquista. Nel mondo antico, cioè, dominava in realtà un’altra morale, una morale più adatta al dominio della moderna; e l’uomo antico, sottoposto alla costrizione educatrice della sua morale, era un uomo più forte e più profondo dell’uomo d’oggi: l’unico “uomo ben riuscito” finora. La seduzione che dall’antichità viene esercitata sulle anime ben riuscite, cioè forti e intraprendenti, è ancor oggi la più fine e la più efficace fra tutte le seduzioni antidemocratiche e anticristiane: già lo fu all’epoca del Rinascimento.[footnoteRef:35] [35: Ivi, af. 957. ]

Quanto sia vero quello che Nietzsche dice in Al di là del bene e del male, ossia «La pazzia è nei singoli qualcosa di raro, ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli e nei tempi è la regola»,[footnoteRef:36] lo si può capire bene osservando quel discorso (reperibile in internet) del ministro della propaganda del partito nazionalsocialista Joseph Goebbels, nel quale egli, urlando, pone alla folla la domanda «Volete voi dunque la guerra totale?», ricevendo come risposta un boato di approvazione. [36: F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Fabbri, Milano 1998, af. 156. ]

Anche riguardo a questo non è difficile trovare nell’ultimo Nietzsche pagine che inneggiano alla guerra, giudicata cosa buona e naturale. Afferma il filosofo:

La valutazione con cui oggi vengono giudicate le diverse forme di società è perfettamente identica a quella che attribuisce alla pace un valore più alto che alla guerra; ma questo giudizio è antibiologico, è anzi un parto diabolico della décadence della vita… La vita è una conseguenza della guerra, la stessa società è un mezzo fatto per la guerra…[footnoteRef:37] [37: F. Nietzsche, La volontà di potenza, cit., af. 53.]

E ancora, in Ecce homo:

Perché ora che la verità dà battaglia alla millenaria menzogna, avremo degli sconvolgimenti, uno spasimo di terremoti, monti e valli che si spostano, come mai prima si era sognato. Il concetto di politica trapasserà allora completamente in quello di una guerra degli spiriti, tutti i centri di potere della vecchia società salteranno in aria – sono tutti fondati sulla menzogna: ci sarà guerra, come mai prima sulla terra. Solo a partire da me ci sarà sulla terra grande politica.[footnoteRef:38] [38: F. Nietzsche, Ecce Homo, Adelphi, Milano 2000, p. 128.]

Anche in questo caso Nietzsche si dimostra buon profeta, affermando che conseguentemente alla sua filosofia “ci sarà guerra, come mai prima sulla terra”, intendendo a mio avviso una guerra nel senso classico del termine, ossia un conflitto militare fra nazioni, come si deduce dalle ultime parole del brano appena riportato, che lasciano intendere che il filosofo era consapevole di avere elaborato una filosofia che avrebbe avuto ripercussioni anche a livello politico e non solo culturale.

Per quanto riguarda le questioni prettamente razziali, tanto care al nazismo, il pensatore tedesco oscilla tra affermazioni che potremmo definire “razziste” e altre che, a conferma della contraddittorietà che sovente caratterizza la sua filosofia, auspicano addirittura, come vedremo, la mescolanza fra le razze. Non parla quasi mai dei neri e dell’Africa in generale; nella Volontà di potenza accenna al fatto che, al fine di dominare dei “popoli rozzi”, noi “delicati europei” possiamo e dobbiamo trattare tali popoli con metodi “barbari”. Dice il filosofo:

Possiamo toccare praticamente con mano i mezzi con cui si devono trattare i popoli rozzi e il fatto che la “barbarie” dei mezzi non è nulla di arbitrario e di capriccioso, se, con tutta la nostra delicatezza europea, veniamo per una volta messi nella necessità di dover dominare dei barbari, nel Congo o in qualsiasi altro posto.[footnoteRef:39] [39: F. Nietzsche, La volontà di potenza, cit., af. 922.]

Altrove parla dei cinesi (e anche degli ebrei e dei francesi) con toni di quasi disprezzo, come ad esempio quando afferma:

Esprit: è una proprietà delle razze tardive. (Ebrei, francesi, cinesi…).[footnoteRef:40] [40: Ivi, af. 864. ]

Nonostante tali affermazioni, tuttavia, non manca di elogiare la cultura orientale per la posizione subordinata e marginale della donna in tale cultura, come trapela ad esempio dal seguente brano tratto da Al di là del bene e del male:

Sbagliarsi sul problema fondamentale «uomo e donna», negare qui il più abissale antagonismo e la necessità di una tensione eternamente ostile, sognare qui forse di uguali diritti, di uguale educazione, di uguali pretese e doveri: è questo un segno tipico di una mente superficiale, e un pensatore che si sia dimostrato superficiale su questo punto pericoloso – superficiale nell’istinto! – può essere considerato in genere come sospetto, anzi come uno che si è tradito, che si è scoperto. Probabilmente sarà troppo «corto» su tutti i problemi fondamentali della vita, anche della vita futura, e non potrà scendere in nessuna profondità. Un uomo che invece ha profondità, nel suo spirito come nei suoi desideri, anche quella profondità della benevolenza che è capace di severità e durezza e viene facilmente scambiata per esse, può pensare sulla donna sempre e solo alla maniera orientale: dovrà concepire la donna come possesso, come proprietà che si può tenere sotto chiave, come qualcosa che è destinato a servire e proprio in ciò si realizza – dovrà in questo conformarsi all’enorme ragione dell’Asia, alla superiorità dell’istinto asiatico, come fecero una volta i Greci, essi che sono stati i migliori eredi e seguaci dell’Asia e che, come è noto, da Omero fino all’età di Pericle divennero, col crescere della cultura e con l’estendersi della loro forza, passo dopo passo anche più severi verso la donna, insomma più orientali. Quanto ciò fosse necessario, quanto logico, quanto anche umanamente auspicabile: su questo mediti ognuno per conto suo![footnoteRef:41] [41: F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit., af. 238.]

In ogni caso, anche se negli scritti nietzscheani sono presenti qua e là affermazioni che possono essere definite razziste, tali affermazioni non assumono mai toni di fanatismo o di becera e volgare esaltazione di una razza piuttosto che di un'altra, e non è in alcun modo lecito attribuire a Nietzsche la volontà di teorizzare e propugnare una forma di razzismo che possa essere in qualche modo accostata a quella messa in atto dal regime nazionalsocialista. Il razzismo nietzscheano è un razzismo, mi si passi il termine, “raffinato”, che quasi sempre tende a mettere in risalto differenze di tipo culturale piuttosto che biologico, e che soprattutto non è teso alla dimostrazione della superiorità di una razza rispetto a tutte le altre. Il razzismo che emerge dalle pagine del pensatore tedesco è volto a sottolineare l’inferiorità (o la superiorità) di un certo popolo o di una certa cultura in una determinata questione, senza per questo escludere che tale popolo, se valutato da un’ottica diversa, possa essere considerato superiore (o inferiore) rispetto a un altro popolo, il tutto ovviamente partendo dal punto di vista e dalle opinioni del filosofo.

Ecco allora che i cinesi, giudicati da Nietzsche una razza “tardiva”, appartengono tuttavia a una cultura, quella orientale, dove la donna ha una condizione servile, fatto, questo, che come abbiamo visto Nietzsche ritiene essere giusto, necessario e degno di lode.

Il filosofo parla di razza anche in un aforisma di Aurora, e anche se in linea con quanto suddetto non esalta una razza in particolare, afferma di considerare le “razze pure” superiori alle “razze miste”, giudicate, queste, disarmoniche, sia da un punto di vista corporeo che da un punto di vista di concetti di valore, oltre che più malvagie. E anche se, appunto, non parla di una razza “pura” superiore alle altre, afferma che le razze divenute pure sono “più forti e più belle”, concludendo con l’auspicio che si realizzi anche una “pura razza europea”. L’aforisma recita così:

La purificazione della razza. – Forse non esistono razze pure, ma soltanto razze divenute pure, e anche queste sono assai rare. Normalmente si hanno razze miste, presso le quali si devono trovare sempre, insieme alla disarmonia di forme corporee (per esempio quando occhi e bocca non si accordano tra loro), anche disarmonie di abitudini e di concetti di valore. (Livingstone una volta sentì qualcuno dire: «Dio creò gli uomini bianchi e neri, il diavolo però creò i mezzosangue»). Razze miste sono sempre nello stesso tempo anche culture miste, moralità miste: sono per la maggior parte più malvage, più crudeli, più irrequiete. La purezza è l’ultimo risultato di innumerevoli adattamenti, assorbimenti e separazioni, e il progresso verso la purezza si mostra nel fatto che la forza presente in una razza si limita sempre più a singole funzioni selezionate, mentre prima doveva provvedere a troppe cose e spesso contraddittorie: una tale limitazione si presenterà sempre al contempo anche come un impoverimento e deve essere giudicata con cautela e delicatezza. Alla fine però, quando il processo di purificazione è riuscito, tutta quella forza che in precedenza si esauriva nella lotta delle qualità disarmoniche, sarà a disposizione dell’intero organismo: per questo motivo le razze divenute pure sono sempre divenute anche più forti e più belle. – I Greci ci danno il modello di una razza e di una cultura divenute pure: e speriamo che una buona volta si realizzi anche una pura razza e una pura civiltà europea.[footnoteRef:42] [42: F. Nietzsche, Aurora, Newton Compton, Roma 1988 af. 272.]

Questo aforisma è tuttavia in stridente e clamoroso contrasto con quanto il nostro filosofo afferma nella Volontà di potenza, dove sostiene che, al contrario, la “pienezza della natura” può essere raggiunta solo mescolando le razze; afferma:

(Gli unilaterali, individui e popoli; esempio: gli inglesi; tendere alla pienezza della natura accoppiando gli opposti; mescolare le razze a tal fine).[footnoteRef:43] [43: F. Nietzsche, La volontà di potenza, cit., af. 862. ]

Ora, siccome per “pienezza della natura” appare lecito intendere l’ottenimento di razze che siano migliori e quindi, fra le altre cose, anche più forti e più belle, ecco che non si capisce se secondo Nietzsche sia opportuno auspicarsi un processo di purificazione delle razze (come afferma in Aurora), oppure se, come sostiene nei Frammenti postumi, l’elevazione della specie umana possa essere ottenuta al contrario mescolando le razze stesse. Anche nella prima parte della frase, dove dice “Gli unilaterali, individui e popoli; esempio: gli inglesi”, sembra che il pensatore tedesco, con il termine “unilaterali”, voglia intendere individui e popoli che sono dotati di determinate caratteristiche (presumibilmente soprattutto fisiologiche) ma che sono privi delle caratteristiche opposte, e che quindi in un certo senso sono incompleti.

Ecco allora, secondo il filosofo, la necessità di “accoppiare gli opposti”, per ottenere appunto uomini più completi. Tali uomini si ottengono tuttavia di rado, poiché, osserva Nietzsche, la maggioranza di essi va in rovina a causa dell’enorme tensione interna dovuta al contrasto di così forti e numerosi istinti; dice:

L’uomo supremo deve avere in sé la massima molteplicità degli istinti, e la loro energia deve essere il massimo che si riesca a sopportare. In realtà: là dove la pianta uomo si mostra forte, si trovano istinti che si oppongono con forza, ma tenuti a freno (per esempio, in Shakespeare).[footnoteRef:44] [44: Ivi, af. 966. ]

Gli uomini superiori sono tali, dicevamo, proprio perché più completi; osserva:

Io insegno che ci sono uomini superiori e inferiori e che, in certe circostanze, un individuo solo può giustificare l’esistenza di interi millenni: intendo parlare di un uomo più completo, più ricco, più intero di fronte a innumerevoli uomini incompleti e frammentari.[footnoteRef:45] [45: Ivi, af. 997. ]

Come abbiamo già visto, il pensatore tedesco suggerisce alle “più forti anime d’oggi” l’attuazione di un esperimento volto ad allevare artificialmente individui che abbiano virtù opposte rispetto a quelle dell’“animale gregario”; tuttavia, sottolinea ancora il filosofo, tali individui superiori possono essere ottenuti anche casualmente, come conseguenza di una ferrea autodisciplina e “grazie a matrimoni felici e ragionevoli, e anche a casi fortunati”, i quali possono dare vita a uomini dotati di una volontà quasi sovrumana; afferma:

Come giungono gli uomini a una grande forza e a un grande compito? Ogni virtù e ogni valore del corpo e dell’anima furono conquistati con fatica e meticolosità, con un alto zelo e autodisciplina, limitandosi al poco, ripetendo caparbiamente e fedelmente i medesimi lavori, le medesime rinunce; ma ci sono uomini che sono gli eredi e i padroni di questo patrimonio di virtù e di capacità, acquistato lentamente, molteplice – perché, grazie a matrimoni felici e ragionevoli, e anche a casi fortunati, le energie acquistate e accumulate da molte generazioni non sono state dissipate e disperse, ma legate insieme da un anello e da una salda volontà. Finalmente, poi, appare un uomo, un prodigio di forza che pretende un compito prodigioso.[footnoteRef:46] [46: Ivi, af. 995. ]

Anche nell’aforisma appena riportato appare lecito, a mio avviso, individuare un qualcosa che sarebbe realmente accaduto successivamente con la figura di Adolf Hitler, il quale si era indubbiamente posto un compito prodigioso, il più prodigioso di tutti, ossia diventare il padrone del mondo; egli, e questo non lo si può negare, riuscì a infondere alla nazione tedesca una forza e un’energia quasi sovrumane, grazie a una forza e a un’energia che egli stesso aveva acquisito, presumibilmente, con quell’autodisciplina di cui parla Nietzsche. I commilitoni del futuro dittatore (che, come è noto, prese parte al primo conflitto mondiale come soldato semplice) lo definiscono infatti come un tipo un po’ particolare, che «rifiuta alcool e tabacco, evita le donne e i bordelli».

Che lo scopo di Hitler fosse quello di diventare il padrone del mondo lo si può capire leggendo le parole con cui si conclude il Mein Kampf:

Uno Stato che, nell’epoca dell’avvelenamento delle razze, si prende cura dei migliori elementi della propria stirpe, deve diventare un giorno signore della Terra. Questo non devono mai dimenticarlo gli aderenti al nostro movimento, se l’ampiezza del sacrificio li inducesse a disperare della vittoria.[footnoteRef:47] [47: A. Hitler, Mein Kampf, Kaos, Milano 2002, p. 526. ]

Ora, dal momento che Hitler divenne il capo indiscusso di quello stato che, nella sua ottica, sarebbe dovuto diventare un giorno “signore della terra”, ne consegue che fin dal principio lo scopo di Adolf Hitler era quello di diventare lui stesso il padrone del mondo.

Come abbiamo visto, per Nietzsche l’uomo non è altro che un animale, e il filosofo ritiene che sia giusto e conveniente assecondare e dare libero sfogo agli istinti bestiali che sono presenti nella natura umana; afferma:

Oggi l’animalità non desta più orrore: una tracotanza gioiosa o ricca di spirito, che prende partito per ciò che è bestiale nell’uomo, in tempi simili è la forma più trionfale della spiritualità.[footnoteRef:48] [48: F. Nietzsche, La volontà di potenza, cit., af. 1019.]

E ancora:

La forza e potenza dei sensi: ecco la cosa più essenziale in un uomo ben riuscito e integro; ci deve essere innanzitutto il magnifico animale – e che importa ogni “umanizzazione”?[footnoteRef:49] [49: Ivi, af. 1045. ]

Anche in queste affermazioni appare lecito individuare un’anticipazione di quello che il nazionalsocialismo avrebbe messo in pratica, ossia una strategia, realmente bestiale, di annientamento in primo luogo dei malati e dei deboli, senza il minimo scrupolo ed esattamente in linea con quello che avviene nel mondo animale, dove spesso i malati e i deboli vengono spietatamente soppressi o, nel migliore dei casi, non vengono soccorsi e sono lasciati al loro destino. Nietzsche sembra dunque auspicarsi che gli esseri umani si trasformino in quella che il cantante Francesco Guccini, in una nota canzone, definisce «la bestia umana», e lo fa in maniera pienamente consapevole, conscio che la sua filosofia contribuirà in maniera determinante a trasformare l’uomo in un mostro; osserva:

“Senza la fede cristiana – diceva Pascal – voi diventerete per voi stessi, come pure la natura e la storia, un monstre et un chaos”. Noi abbiamo adempiuto questa profezia.[footnoteRef:50] [50: Ivi, af. 83. ]

Il filosofo sa, quindi, di aver preparato il terreno per l’avvento di “qualcosa di enorme” che, sono parole sue, un giorno sarebbe stato legato al suo nome. Afferma:

Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite.[footnoteRef:51] [51: F. Nietzsche, Ecce Homo, cit., p. 127. ]

Anche in questo caso, quando dice che un giorno sarà legato al suo nome “qualcosa di enorme”, non sembra fare riferimento a qualcosa che avrà delle ripercussioni solo a livello filosofico o culturale, ma a qualcosa che, come poi avverrà col nazionalsocialismo e con le sue conseguenze, meriterà l’appellativo di “enorme”.

Poi continua: “una crisi quale mai si era vista sulla terra”; e in effetti la Seconda guerra mondiale rappresenterà, di lì a poco, un qualcosa dalle conseguenze inedite e terrificanti. Continua il filosofo: “la più profonda collisione della coscienza”; ebbene, non potrebbe intendere che ciò che lui scatenerà costringerà l’uomo a riflettere sulla propria coscienza o, più esattamente, sul lato oscuro della propria coscienza, quello da cui scaturirà, appunto, il terrore nazista, che, piaccia o no, è stato partorito dalla mente di esseri umani? Prosegue: “una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato”; anche qui sembra che il filosofo si riferisca a qualcosa che, come in effetti farà il nazismo, propugnerà dei valori che si porranno in netto contrasto rispetto ai valori universalmente riconosciuti validi, ossia, almeno per quanto riguarda l’Europa, i valori cristiani. E anche la conclusione, ossia “Io non sono un uomo, sono dinamite”, suona come un avvertimento per le generazioni future.

Anche un altro importante studioso di Nietzsche, Mazzino Montinari (come riporta Giuliano Campioni in una nota al termine di un testo dello stesso Montinari), afferma che il pensatore tedesco,

«… disarmando la razionalità ha preparato il terreno a filosofie da strapazzo e ideologie irrazionalistiche, che a loro volta hanno distrutto la resistenza della ragione all’affermarsi di sistemi mostruosi come il nazismo – […] Inutile cercare di “riabilitarlo”».[footnoteRef:52] [52: M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999, p. 209.]

Nietzsche propone realmente dei nuovi valori, ma la sua intenzione non è quella di “migliorare” l’umanità, di rendere l’uomo più felice, e anzi come abbiamo visto è consapevole del fatto che le sue riflessioni, se applicate alla realtà, avrebbero come conseguenza un dolore dalle dimensioni mai viste; afferma infatti, in un aforisma già citato che riporto nuovamente:

L’amore frainteso. C’è un amore da schiavi, che si assoggetta e si svende, che idealizza e si inganna – e c’è un amore divino, che disprezza e ama e trasforma, eleva ciò che ama. Si deve acquistare quella enorme energia della grandezza per foggiare l’uomo futuro allevandolo, da un lato, e, dall’altro, annientando milioni di malriusciti: e non si deve venir meno per il dolore che si crea – un dolore quale non fu mai visto finora.[footnoteRef:53] [53: F. Nietzsche, La volontà di potenza, cit., af. 964.]

Osserva giustamente Eugen Fink:

… egli […] sovverte i valori occidentali, è volontariamente volto verso il futuro, ha un programma, un ideale. Ma non è un utopista, uno che voglia migliorare e rendere felice il mondo, non crede al «progresso».[footnoteRef:54] [54: E. Fink, op. cit., p. 10. ]

Nietzsche, insomma, se è vero quello che qui cerchiamo di dimostrare, ossia che la sua filosofia ha chiare e precise responsabilità nell’avvento del nazionalsocialismo, ha di fatto cambiato la storia; non è quindi a mio avviso del tutto esatto quello che afferma Paolo Scolari, il quale dice:

Le sue proposte – spesso più somiglianti a una fuga mentale che abbandona senza possibilità di modifica il già realizzato presente – si alternano sempre a rassegnate prese di considerazione sulla stessa attualità.[footnoteRef:55] [55: P. Scolari, Nietzsche fenomenologo del quotidiano, Mimesis, Milano – Udine 2013, p. 75. ]

In effetti, leggendo Nietzsche si ha a volte l’impressione che egli cerchi di fuggire dalla realtà e che sia rassegnato a un presente che per molti versi disprezza ma che ormai sembra immutabile; tuttavia, se come io credo e come ho detto più volte, la sua filosofia ha contribuito in maniera determinante alla nascita del regime hitleriano, avanzando delle proposte che come abbiamo visto sono state in buona parte messe in pratica da quel regime, ecco allora che il pensatore tedesco ha effettivamente modificato le vicende umane, ed egli, come abbiamo visto, era consapevole di questo. Non è quindi del tutto esatto dire che Nietzsche faceva delle proposte pur sapendo che queste non avrebbero minimamente modificato la realtà, ossia che sarebbero rimaste dei sogni ad occhi aperti, come si capisce bene da un brano che abbiamo citato poco fa e che mi sembra opportuno riportare di nuovo:

Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite.[footnoteRef:56] [56: F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 127.]

È possibile che il filosofo, a causa dei suoi sbalzi di umore, abbia alternato momenti di rassegnata accettazione di un’epoca, la sua, giudicata corrotta dal socialismo e dalla democrazia e per questo degenerata rispetto al Rinascimento e all’antichità, a momenti di esaltazione in cui, forse anche in conseguenza all’uso di droghe, era convinto, come abbiamo visto, di aver partorito una filosofia in grado di mutare il corso della storia. Del resto Nietzsche, come vedremo nel prossimo paragrafo, dichiara di fare uso di oppio, e parla espressamente di “rafforzamento artificiale” da ottenere appunto sia con l’uso di droghe, sia mediante dei convincimenti errati e deliranti ma che, nonostante questa loro irrealtà, apportano un rafforzamento in colui che si convince della loro fondatezza. Dice il filosofo:

Rafforzamento artificiale: sia mediante prodotti chimici eccitanti, sia mediante errori eccitanti (“rappresentazioni deliranti”). Per esempio, la sensazione di sicurezza propria del cristiano: questi si sente forte nel suo poter aver fiducia, nella sua facoltà di essere paziente e controllato; deve questo rafforzamento artificiale al suo vaneggiare di essere protetto da un Dio; per esempio, la sensazione di superiorità: come quando al califfo del Marocco si fanno vedere soltanto mappamondi in cui i suoi tre regni riuniti occupano i quattro quinti della superficie terrestre; per esempio, la sensazione della propria unicità: come quando l’europeo s’immagina che il cammino della cultura si svolga unicamente in Europa: costui appare a se stesso come una sorta di compendio del processo universale; o quando il cristiano fa ruotare tutta l’esistenza in generale intorno alla “salvezza dell’uomo”.[footnoteRef:57] [57: F. Nietzsche, La volontà di potenza, cit., af. 917.]

Ebbene, ed è una mia teoria, non potrebbe essere che Nietzsche, similmente al cristiano che ottiene un rafforzamento artificiale dal suo credere di essere protetto da un dio immaginario e grazie al quale riesce a cavarsela meglio nella vita, riuscì a trarre dai suoi deliri di onnipotenza una forza tale da renderlo capace di realizzare quello che tali deliri gli facevano immaginare? In altre parole: egli si era talmente auto-convinto di poter scatenare, sono parole sue, “un qualcosa di enorme”, da riuscire a rendere reale questa previsione.

Abbiamo visto, dunque, quanto siano numerose le pagine che è possibile trovare negli scritti di Nietzsche che anticipano in maniera sorprendente molte delle cose che il regime nazionalsocialista avrebbe successivamente messo in pratica, e volendo ne potremmo trovare molte altre, a tal punto che è difficile pensare che si tratti di semplici coincidenze.

Quindi, delle due l’una: o Nietzsche ha davvero preparato il terreno per l’avvento del nazismo, fornendo a tale regime una formidabile legittimazione culturale e suggerendo a Hitler molte delle cose che il dittatore avrebbe messo in pratica, oppure Nietzsche è un indovino!

Anche il feroce, spietato e “capillare” attacco che il filosofo effettua nei confronti del cristianesimo, rientra nel quadro di una precisa strategia volta a minare alla base tutto ciò che questa religione ritiene giusto e inviolabile; il cristianesimo, infatti, propugna e alimenta una mentalità diametralmente opposta rispetto a quella che il nazionalsocialismo riuscì a imporre in Germania, traendo forza e ispirazione da una filosofia, quella di Nietzsche, tesa in buona parte a legittimare una mentalità, e anche precise strategie politiche, il più possibile distanti dai dettami della religione cristiana.

Naturalmente, negli scritti del pensatore tedesco è possibile trovare anche affermazioni e auspici nettamente in contrasto con l’ideologia nazionalsocialista, ma questo è ovvio e comprensibile. Abbiamo già visto, ad esempio, come il nostro filosofo a volte si esprima nei confronti degli ebrei con parole benevole o addirittura quasi di ammirazione (alternate, per la verità, ad altre di feroce disprezzo), e come si auspichi, allo scopo di raggiungere “la pienezza della natura”, la mescolanza delle razze.

Sono inoltre famose le sue considerazioni sul popolo tedesco, che qua e là assumono toni di caustico disprezzo, come emerge ad esempio dal seguente brano tratto dalla Genealogia della morale:

... il fatto che ogni specie di furfanteria di pensiero non resti senza successo nella Germania di oggi, dipende dallo squallore con l’andar del tempo incontestabile e già palmare dello spirito tedesco, di cui cerco la causa in una eccessivamente esclusiva nutrizione di giornali, di politica, di birra e musica wagneriana, con in aggiunta ciò che costituisce il presupposto di questa dieta: in primo luogo, la chiusura nazionale e la vanità nazionale, il robusto, ma angusto principio «Deutschland, Deutschland über alles».[footnoteRef:58] [58: F. Nietzsche, Genealogia della morale, Fabbri, Milano 1998, p. 153.]

L’ultimo Nietzsche, oggetto di studio nel presente lavoro, è ancora più duro nei confronti dei tedeschi; anzi, si tratta dell’ultimissimo Nietzsche, visto che i seguenti brani sono tratti da lettere che il filosofo scrisse da Torino circa un mese prima di cadere nelle tenebre della follia; la prima è una lettera che il pensatore scrisse a Georg Brandes il 20 novembre 1888, nella quale troviamo scritto:

Indovini chi ha la peggio in Ecce Homo? Come il tipo più ambiguo di uomo, come la razza più esecrabile della storia in rapporto al cristianesimo? I signori tedeschi! – Ho detto loro cose terribili… I tedeschi hanno ad esempio sulla coscienza il fatto di aver svuotato di senso l’ultima grande epoca della storia, il Rinascimento – in un momento in cui i valori cristiani, i valori della décadence venivano sconfitti, in cui persino negli istinti dell’alto clero venivano sopraffatti dagli istinti opposti, gli istinti della vita!... Attaccare la Chiesa – voleva dire ripristinare il cristianesimo.[footnoteRef:59] [59: F. Nietzsche, Lettere da Torino, Adelphi, Milano 2008, p. 84. ]

Poi, in una lettera a Helen Zimmern scritta attorno all’8 dicembre 1888, afferma:

... si tratta di un attentato [Ecce homo] volto alla totale distruzione dei tedeschi – in tutta la storia si sono sempre dimostrati come la razza propriamente dannosa, bugiarda, funesta… […] Ci tengo a sottolineare che ho di mira il carattere e non solo lo spirito tedesco.[footnoteRef:60] [60: Ivi, pp. 120-121. ]

E, proprio in Ecce homo, scrive:

… il bisogno veramente bestiale dei vecchi, e non solo dei vecchi, Tedeschi di bere dopo il pasto e si capirà da dove ha origine lo spirito tedesco – dagli intestini in disordine… Lo spirito tedesco è una indigestione, non si libera mai.[footnoteRef:61] [61: F. Nietzsche, Ecce homo, cit., p. 35. ]

E poi:

Io che sono estraneo nel più profondo dei miei istinti a tutto ciò che è tedesco, tanto che basta la vicinanza di un tedesco per rallentarmi la digestione, cominciai a respirare liberamente per la prima volta nella vita al mio primo contatto con Wagner: lo sentii e lo venerai come la terra straniera, come antitesi, come protesta vivente contro tutte le «virtù tedesche». […] Che cosa non ho mai perdonato a Wagner? Che abbia accondisceso ai Tedeschi – che sia diventato cittadino dell’Impero germanico. La Germania, dovunque arriva, corrompe la civiltà.[footnoteRef:62] [62: Ivi, pp. 44-45.]

E ancora:

… ho lettori dappertutto – tutte intelligenze ricercate, caratteri provati, educati alle alte posizioni e agli alti doveri; ho perfino dei veri e propri geni fra i miei lettori. A Vienna, a San Pietroburgo, a Stoccolma, a Copenaghen, a Parigi e a New York – dovunque mi scoprono: ma non nel paese piatto d’Europa, la Germania… […] È una distinzione senza pari poter entrare in questo mondo nobile e delicato [dei suoi scritti] - per ottenerla non si può essere Tedeschi.[footnoteRef:63] [63: Ivi, pp. 58-59. ]

Per capire ancora meglio quello che l’ultimo Nietzsche pensa dei tedeschi, mi sembra opportuno riportare anche un lungo brano, tratto ancora da Ecce homo, nel quale il filosofo si rivolge ad essi usando parole durissime, proclamando a gran voce la propria repulsione per questa razza che di lì a breve sarebbe stata definita dalla retorica nazista come la più adatta a dominare il mondo, in virtù di una superiorità sia fisica che intellettiva. Afferma:

Ultimamente un giudizio da idiota in historicis, una frase dell’estetologo svevo Vischer, per fortuna oggi defunto, fece il giro dei giornali tedeschi come «verità», a cui ogni tedesco doveva dire sì: «Il Rinascimento e la Riforma congiunti costituiscono un tutto – la rinascita estetica e la rinascita morale». – Di fronte a frasi del genere io perdo la pazienza e mi viene la voglia, lo sento perfino come dovere, di dire una volta ai Tedeschi tutto quello che hanno già sulla coscienza. Hanno sulla coscienza tutti i grandi delitti contro la civiltà degli ultimi quattro secoli!... E sempre per la stessa ragione, per la loro intima vigliaccheria davanti alla realtà, che è anche vigliaccheria davanti alla verità, per la loro falsità divenuta istinto, per «idealismo»… I Tedeschi hanno fatto perdere all’Europa il suo raccolto, il senso dell’ultima grande epoca, l’epoca del Rinascimento, nel momento in cui un ordine di valori superiori, i valori aristocratici, che dicono sì alla vita, che garantiscono l’avvenire, erano arrivati alla vittoria, sostituendosi ai valori opposti, i valori del declino – e penetrando persino negli istinti di coloro che su quei valori poggiavano! Lutero, questo monaco fatale, ha restaurato la Chiesa e, quel che è mille volte peggiore, il cristianesimo, nel momento in cui questo soccombeva… Il cristianesimo, questa negazione della volontà di vita divenuta religione!... Lutero, un monaco impossibile, che appunto per questa sua «impossibilità» attaccò la Chiesa e – in conseguenza! – la restaurò… I cattolici avrebbero tutte le ragioni di fare feste e rappresentazioni in onore di Lutero… Lutero – e la «rinascita morale»! Al diavolo tutta la psicologia! – Non c’è dubbio, i Tedeschi sono idealisti. – Per due volte, proprio quando con ardimento immenso, superando se stessi, gli uomini avevano raggiunto un tipo di pensiero retto, univoco e del tutto scientifico, i Tedeschi sono riusciti a trovare delle vie tortuose per tornare al vecchio «ideale», delle conciliazioni tra verità e «ideale», in fondo delle formule che dànno diritto a rifiutare la scienza, che dànno diritto alla menzogna. Leibniz e Kant – questi sono i due grandi cunei che bloccano la rettitudine intellettuale dell’Europa! – Infine i Tedeschi, quando a cavallo fra due secoli della décadence apparve una force majeure di genio e volontà, forte a sufficienza per fare dell’Europa una unità, una unità politica ed economica, tesa a governare tutta la terra, hanno privato l’Europa, con le loro «guerre di liberazione», del senso, di quel miracolo di senso che l’esistenza di Napoleone rappresenta – e perciò essi hanno sulla coscienza ciò che poi ne è seguito, ciò che esiste oggi, questa malattia, questa insensatezza, contrarie alla civiltà come null’altro, il nazionalismo, questa névrose nationale, di cui soffre l’Europa, questa perpetuazione di un’Europa fatta di staterelli, di piccola politica: hanno privato l’Europa del suo stesso senso, della sua ragione – l’hanno spinta in un vicolo cieco. – C’è qualcuno, all’infuori di me, che sappia uscire da questo vicolo cieco?... Legare di nuovo i popoli, non è un compito sufficientemente grande?... - E dopo tutto perché non dovrei dar voce al mio sospetto? Anche nel mio caso i Tedeschi tenteranno di tutto perché da un destino immenso venga partorito un topo. Finora si sono compromessi, con me, e dubito che in avvenire sappiano fare di meglio. Ah quanto vorrei, questa volta, essere cattivo profeta!... Già oggi i miei naturali lettori e ascoltatori sono Russi, Scandinavi, Francesi – lo saranno forse ancora di più in futuro? – I Tedeschi hanno iscritto solo nomi equivoci nella storia della conoscenza, hanno sempre prodotto solo falsari «inconsci» (questa parola spetta a Fichte, Schelling, Schopenhauer, Hegel, Schleiermacher, altrettanto che a Kant e a Leibniz; sono tutti degli Schleiermacher, fabbricano veli e nient’altro): non avranno mai l’onore di annoverare fra i rappresentanti dello spirito tedesco quel primo spirito retto nella storia dello spirito, quello spirito con il quale la verità è pervenuta a giudicare la falsa moneta di quattro millenni. Lo «spirito tedesco» è aria viziata, per me; faccio fatica a respirare in mezzo a questa sporcizia in psychologicis divenuta istinto, che si rivela in ogni parola, in ogni espressione di un tedesco. Non sono mai passati attraverso un diciassettesimo secolo di duro esame di se stessi, come i Francesi: un La Rochefoucauld, un Descartes sono cento volte superiori per rettitudine ai primi fra i Tedeschi, che finora non hanno avuto un solo psicologo. Ma la psicologia è quasi il metro della pulizia o sporcizia di una razza… E se non si è neppure puliti, come si potrebbe essere profondi? Con i Tedeschi, un po’ come con le donne, non si tocca mai il fondo, perché non c’è: ecco tutto. Ma con ciò non si può neppure parlare di piattezza. – Ciò che in Germania si chiama «profondo» è proprio questa sporcizia d’istinto verso se stessi, ciò di cui ora parlavo: non si vogliono mettere le cose in chiaro su se stessi. Potrei proporre di usare la parola «tedesco» come moneta internazionale per questa depravazione psicologica? – Per esempio, in questo momento l’imperatore tedesco afferma che è suo «dovere cristiano» liberare gli schiavi in Africa: fra noi altri Europei questo si chiamerebbe semplicemente «tedesco»… Forse che i Tedeschi hanno mai prodotto un solo libro profondo? Manca loro persino il concetto di che cosa sia profondo in un libro. Ho conosciuto dei dotti che consideravano profondo Kant; temo che alla corte prussiana si consideri profondo il signor von Treitschke. E quando mi è capitato di esaltare Stendhal come profondo psicologo, trovandomi in compagnia di professori universitari tedeschi, ho dovuto compitare il suo nome… - E perché non dovrei andare fino in fondo? Mi piace fare piazza pulita. Passare per spregiatore par excellence dei Tedeschi fa parte della mia ambizione. Già a ventisei anni ho avuto modo di esprimere la mia diffidenza per il carattere tedesco […] per me i Tedeschi sono impossibili. Ogni volta che provo a immaginarmi un tipo di uomo che vada contro a tutti i miei istinti ne viene fuori un Tedesco. Quando voglio «sondare» un uomo, per prima cosa osservo se ha in corpo un qualche senso della distanza, se ovunque vede il rango, il grado, l’ordine fra uomo e uomo, se sa distinguere: è questo che fa il gentilhomme; in tutti gli altri casi si appartiene senza scampo alla categoria cordiale, ah!, così bonaria della canaille. Ma i Tedeschi sono canaille – ah! sono così cordiali…Il rapporto con i Tedeschi degrada, il Tedesco livella… Eccettuati i miei rapporti con alcuni artisti, e innanzitutto con Richard Wagner, non ho passato mai una buona ora con dei Tedeschi… Se lo spirito più profondo di tutti i millenni apparisse fra i Tedeschi, una qualche salvatrice del Campidoglio crederebbe di dover dare almeno altrettanta importanza alla propria anima, certamente non bella… Io non sopporto questa razza, con cui si è sempre in cattiva compagnia, che non ha la mano per le nuances – povero me! io sono una nuance – che non ha nessuna specie di esprit ai piedi e non sa neppure camminare… Insomma, i Tedeschi non hanno piedi, hanno solo gambe… I Tedeschi non hanno alcuna idea della loro volgarità, ma questo è il superlativo della volgarità – non si vergognano neppure di essere dei semplici Tedeschi… Parlano di tutto, credono di essere loro a decidere tutto, temo che anche su di me abbiano preso le loro decisioni… - La mia vita intera è la prova de rigueur di queste affermazioni. Vi cercherei invano un segno di tatto, di délicatesse verso di me. Da parte di Ebrei sì, mai finora da parte di Tedeschi.[footnoteRef:64] [64: Ivi, pp. 120-124. ]

Anche dalla conclusione di questo b