voce per la comunità

72
1 VOCE per la COMUNITA ´ NOTIZIARIO PASTORALE UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO NATALE 2011

Upload: michele-gavezzoli

Post on 28-Mar-2016

231 views

Category:

Documents


3 download

DESCRIPTION

Notiziario pastorale delle parrocchie di Botticino. Natale 2011

TRANSCRIPT

Page 1: Voce per la Comunità

1

VOCE per la COMUNITA´NOTIZIARIO PASTORALE

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“PARROCCHIE DI BOTTICINO

NATALE 2011

Page 2: Voce per la Comunità

2

RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTILicini don Raffaele, parroco

cell. 3283108944 e-mail parrocchia:[email protected]

[email protected] fax segreteria: 0302193343Segreteria tel. 0302692094

Mussinelli don Fausto tel. 3287322176e-mail : [email protected]

Zini don Giovanni tel. 3355379014 Loda don Bruno tel. 0302199768

Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881Scuola don Orione tel. 0302691141

sito web : www.parrocchiebotticino.itSuore Operaie abit. villaggio 0302693689Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138

BATTESIMI BOTTICINO SERADomenica 19 febbraio 2012

Sabato 7 aprile alla Veglia PasqualeDomenica 15 aprile ore 9,30

BATTESIMI BOTTICINO MATTINA Domenica 19 febbraio 2012

Sabato 7 aprile alla Veglia PasqualeDomenica 15 aprile ore 11,00

BATTESIMI SAN GALLOSabato 7 aprile alla Veglia Pasquale

I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accor-darsi sulla preparazione e sulla data della celebrazio-

ne, il parroco personalmente o tel.3283108944

Presentazione In occasione del Natale il No-tiziario per le famiglie delle tre Par-rocchie di Botticino. E’ un notiziario-documento perchè non si limita a dare notizie, ma presenta pagine di formazione nei vari ambiti della pastorale. Le prime pagine raccontano della pastorale nell’intervento del vescovo, nelle testimonianze di al-cuni giovani genitori, nell’approfon-dimento dei temi dell’educazione nella comunità ecclesiale, nella pre-sentazione del documento concilia-re sulla Parola di Dio e nel cammino in preparazione al Sinodo diocesano sulle Unità Patorali. Alcune pagine dicono del tempo liturgico “per an-num” che inizia dopo il Natale i se-gni della fede. Non mancano temi di forma-zione socio-politica, le pagine sul Natale, lo scritto di Isidoro, prossi-mo diacono e presto sacerdote. Le pagine di pastorale fami-liare oltre ad alcuni articoli sulla famiglia, continuano la riflessione sulla ritualità in famiglia riguardo al “tempo” e “il bacio”. E poi le pagine rigurdanti la Caritas, l’oratorio, la scuola don Orione e altre iniziative in program-ma. Conclude con il programma li-turgico delle festività Natalizie.

La busta per l’offerta in occasione del Natale

Da tradizione, in occasione del Natale, viene rivolto ad ogni famiglia l’invito a contribuire

ai bisogni della parrocchia mediante un offerta strordinaria. Anche questo è un modo per esprimere

la propria appartenenza alla comunità parrocchiale. Gli impegni economici non sono pochi. I Sacerdoti e i Consigli Parrocchiali

delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare anticipatamente quanti vorranno cogliere questo appello e

per esprimere l’augurio per le prossime festività.

il dono

di natale

alla tua

parrocch

ia

Page 3: Voce per la Comunità

3

Ecco noi siamo adesso di fronte a questo annuncio. C’è uno stretto rapporto tra l’Incarnazione e l’Evan-gelizzazione, perchè il Natale sia ogni giorno. «Il Verbo si fece carne» (Gv 1,14). Non è detto che la Parola si fece Gesù di Nazaret; non è detto neppure che la Parola si fece uomo; no, molto di più: il Verbo si fece car-ne, questa carne fragile, irruente e torbida che è la nostra. Da qui l’urgenza della “Nuova Evangelizzazione”: il coraggioso proposito a intraprendere sentieri nuovi di fronte alle mutate situazioni in cui oggi la Chiesa si trova a vivere. Sono emersi infatti fenomeni epocali di cambia-mento nella società e nelle culture: dalla secolarizzazione che induce una atrofia spirituale e crea un vuoto nel cuore dell’uomo, al grande fenomeno migratorio, col rimescola-mento di culture che rende più deboli le grandi tradizioni religiose; la sfida dei mezzi di comunicazione che diventa il “luogo” della vita pubblica; l’incidenza dello sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica che mira a proporsi come il nuovo idolo della modernità e l’inquieto scenario politico con le ferite della violenza e della crisi economica. Di fronte a uno scenario che sembra lasciarci smar-riti il cristiano è sostenuto dalla speranza e la Nuova Evan-gelizzazione si propone di portare le domande su Dio all’in-terno di questi problemi, insieme ad una chiara e forte testimonianza di vita ispirata al Vangelo. Non è tanto compito di singole persone particolar-mente qualificate o carismatiche, ma un evento comunita-rio che riguarda la Chiesa con la capacità di configurarsi come fraternità, comunità accogliente, amica degli uomini, che sta in mezzo alla gente cercando di rifare il tessuto della società umana, come propone la scelta pastorale dei Vescovi “educare alla vita buona del Vangelo”. Il contesto in cui viviamo chiede alla Chiesa uno slancio nuovo, una rin-novata fiducia nello Spirito Santo per tornare ad assumere con gioia il compito fondamentale per il quale Gesù invia i suoi discepoli: l’annuncio del Vangelo. Un compito cui sono interpellati tutti i cristiani di buona volontà, lasciandosi guidare dallo Spirito secondo la propria vocazione. Il Verbo allora si incarna continuamente: come luce nelle tenebre, come lievito nella pasta, come il pizzico di sale che da sapore a tutto il piatto, come amore in ogni amore. E non si distingue più il lievito dal pane. Si fa carne, e si sente come forza di attrazione verso l’alto, forza di gravità verso il cielo, che sospinge in avanti, energia verticale che urge verso l’alto.Incarnazione significa salvezza. La salvezza è Gesù venu-to dentro la carne, come lievito mite e possente di ogni esistenza, come pezzo di ognuno di noi, non come aggiunta estranea. Cristo è in me e in tutte le creature come forza ascensionale verso più luminosa vita. Bisogna che Dio torni ad essere nell’ orizzonte di ogni uomo perché - come diceva Caterina da Siena - “l’uo-mo è infinito essere e non si sazia mai se non si congiunge all’infinito”. Buon Natale a tutti.

don Raffaele

Ecco: Vi annuncio...Vi annuncio una grande gioia!Ed è proprio per voi.È per il mondo intero.Per i continenti ghiacciatie per quelli assolati,per i paesi in guerrae per i paesi in pace.Questa gioia, che vi annuncio,è capace di far fiorireanche i deserti più antichi.Ve l’annuncio, questa grande gioia,ma non tenetevela per voi.Passatevela l’uno all’altroperché la tristezza se ne vadadalla faccia della terra!Vi annuncio questa felice sorpresache risveglia una gioia eterna:Dio è nato sulla terra degli uomini!Ve l’annuncio!Gesù Cristoviene nel presepio degli uominiper essere avvoltonelle stesse gioie e nelle stesse sofferenzedegli abitanti della terra,per essere simile a lorocome un fratello della stessa famiglia.Ve l’annuncio!Gesù, il Figlio di Dioviene nella notte degli uominiper rischiarare con la sua Parolae sostenere i deboli,per portare i pesanti fardelliche fanno curvare gli abitanti della terrae per lottare insieme a loro contro il malelungo i sentieri quotidiani.Ve l’annuncio!Gesù, il Signoreviene nella vita degli uominiper donare il suo amore illimitatoe per prendere tutto su di sé,i rifiutati e gli infelici,per donare il regalo meravigliosodell’incrollabile tenerezza di Dio!Ve l’annuncio!Gesù Cristo, nostro fratello,viene nella nostra morteper cambiarla in vita.Accogliete il Signore nel Natale,fategli posto!Viene per aumentare la vostra felicità.Viene per la vostra gioia.Viene per salvarvi!

Page 4: Voce per la Comunità

4

«È vero che la causa immediata è la diminuzione del numero dei preti, ma il cammino di passaggio dalle singole parrocchie alle future unità pastorali non va letto esclusivamente come un accorpamento di strutture: è piuttosto la volontà di rispondere alle domande della società di oggi secon-do una prospettiva più ric-ca. Quella della comunità cristiana, della comunione». Il vescovo monsignor Lu-ciano Monari interviene al forum promosso dal Gior-nale di Brescia e risponde alle domande dei giornali-sti sul sinodo che chiamerà a raccolta gli 850 sacerdoti bresciani, impegnati tra le strutture diocesane e

le 473 parrocchie sparse sul territorio.A quando il sinodo? «Spero possa es-sere nel 2012, dipende dal cammino di consultazioni che stiamo compien-do. Quando penso al sinodo mi inte-ressa naturalmente il risultato, ma mi interessa molto di più il modo in cui ci arriviamo. Per questa ragione abbia-mo fatto il giro di tutte le zone pasto-rali e delle macroaree, stiamo impe-gnandoci in consultazioni a tappeto per ascoltare, spiegare, coinvolgere. Perché non si alimentino paure inutili».Ma quali sono le sollecitazioni alle quali oggi la Chiesa bresciana è chia-mata a rispondere? «La società è di fronte ad una crisi che chiede imma-ginazione e prospettive nuove. Per la Chiesa questo è un tempo affasci-

nante e difficilissimo. Basti pensare che noi proveniamo da una terra nella quale la matrice cattolica era connaturata ai fon-damenti della vita sociale, mentre oggi viviamo dentro una

pluralità di culture nella quale la stes-sa dimensione religiosa appare come un optional. Questo cambia anche il

compito del vescovo e del prete, che un tempo si sentivano naturalmente necessari mentre oggi devono trova-re nuovi strumenti per raggiungere il fine ultimo del proprio mandato. Che non è il mantenimento del proprio ruolo, ma far sì che l’energia spirituale e il messaggio del Vangelo si incarnino nella vita cristiana della comunità». Dentro una società multiculturale si apre quindi per la Chiesa un nuo-vo compito missionario nella nostra stessa terra? «Certamente, ma con una precisazione. E cioè che la nascita storica dei grandi movimenti missio-nari dei secoli scorsi era dettata anzi-tutto dalla spinta ad ottenere la sal-vezza delle anime in altri popoli. Oggi invece è più diffusa la consapevolezza che la salvezza è aperta a chiunque operi nella sua vita secondo coscien-za e dentro una sincera dimensione di ricerca. È un’intera prospettiva che va ridefinita».Cambia anche la pastorale? «Certa-mente non ci si può più appoggiare alla pastorale standardizzata che ha accompagnato tanto a lungo le nostre comunità. E soprattutto non si può più chiedere al singolo prete di essere il re-ferente unico di un ruolo ormai tanto complesso. La pastorale stessa sarà il

parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie

« Oltre le parrocchie; la Chiesa è comunità»

Monsignor Luciano Monari risponde alle domande sul sinodo e le unità pastorali «Una società multiculturale. Il ruolo dei sacerdoti e dei laici. Il Vangelo e le nuove sfide»

L’OBIETTIVO«Le unità pastorali non sono solouna aggregazionedi strutture,ma la volontàdi risponderead esigenze nuove»

I SACERDOTI BRESCIANI«Preti gran lavoratori, a volte individualisti»«I preti bresciani sono grandi lavoratori, hanno un foltissimo senso della re-sponsabilità e sono molto individualisti. Tanto, a volte, da esser troppo soli» II vescovo Luciano Monari confessa di avere tra le proprie preoccupazioni «la condizione del presbiterio». Spiega. «Credo che fra i tratti che caratterizzano i sacerdoti bresciani vi sia il forte individualismo. Capita spesso che pur nel-la stessa parròcchia preferiscano abitare da soli piuttosto che condividere la canonica». Questo cosa comporta? «Molti aspetti sicuramente positivi, tra i quali riconosco la forte propensione all’impegno e l’alto senso di responsabi-lità. Il lato negativo risiede invece nel rischio di un’eccessiva solitudine. Tanto che ad un sacerdote anziano può accadere, una volta lasciata la comunità par-rocchiale dove ha svolto il proprio impegno, di scoprirsi povero di relazioni personali».Perché? «Anzitutto perché è saltato il sistema degli ordinamenti che i preti della mia generazione hanno appreso in seminario. La società di oggi ci pone nuove sollecitazioni in termini di tempi, problemi, responsabilità. Il rischio, oggi, per un sacerdote è di trovarsi solo e schiacciato dal peso di compiti che arrivino a togliergli la gioia di vivere».

DIOCESI IN CIFREGLI ABITANTI

Sono un milione e 137mila, 205mila dei quali residenti nella zona urbana.

LE PARROCCHIE: Sono 473, comprese tre delegazioni

vescovili. Sono 59 le parrocchie urbane, 414 le extraurbane,

12 quelle affidate a ordini religiosi.I SACERDOTI

I presbiteri diocesani sono 860, compresi quattro vescovi.

Sono 250 i religiosi che risiedono in diocesi in 39 comunità

(197 sacerdoti, 53 non sacerdoti) e 1.545 le religiose in 192 comunità.

UNITÀ PASTORALILe future unità pastorali

- annuncia il Vescovo - «potranno essere un centinaio».

Page 5: Voce per la Comunità

5

parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI”PARROCCHIE DI BOTTICINO

ORARI S.MESSEFEsTIvE DEl sABATO E vIgIlIA FEsTIvITA’

FEsTIvE DEllA DOmENICA E FEsTIvITA’

lUNEDI’

mARTEDI’

mERCOlEDI’

gIOvEDI’

vENERDI

«Dove stiamo andando? Da 50 anni siamo in una perma-nete trasformazione. Dal sapere cosa significava formare una persona, renderla strutturata a distinguere il bene dal male, viviamo una continua precarietà di riferimenti. Da qui la centralità del progetto educativo e della attività cul-turale». Non stupisce che mons. Monari, uomo di cultura, richiami l’urgenza del leggere i tempi e saperli interpretare ed orientare. Spontaneo chiedergli se l’Accademia Cattoli-ca di Brescia nasca per colmare una lacuna ed esprimere un indirizzo. Chiara la risposta: «A Brescia, ed è una sua for-za, esistono tante occasioni e strumenti di ricerca culturale. L’Accademia è un’iniziativa laica, senza uno specifico man-

dato diocesano ed episcopale. Un’iniziativa che va apprez-zata per lo sforzo meritorio che va compiendo». La cultura può essere il veicolo per l’incontro tra le religioni? Mons. Monari fa una disamina articolata delle diverse culture che esprimono il Cristianesimo e l’Islam e conclude che ritiene impossibile, a livello diocesano, un dialogo sui contenuti religiosi, che appartiene a più alti livelli di approfondimen-to, mentre considera non solo possibile ma auspicabile, da perseguire con convinzione e costanza, un confronto sugli effetti delle religioni rispetto al vissuto. Saremo anche un laboratorio, ma dobbiamo avere percezione dei limiti del nostro raggio d’azione.

GLI ORATORI «I giovani, oggi più desiderosi e mobili»«La mia sensazione è che oggi i giovani siano più desiderosi ri-spetto a quanto mostravano i loro coetanei dieci anni fa. Forse anche perché sono più in difficoltà. E poi hanno una crescen-te disposizione alla mobilità: per loro la comunità di origine rappresenta certo il porto di casa cui fare ritorno, ma forte è la predisposizione a navigare. Anche per questo la prospettiva di un’unità pastorale che superi i limiti territoriali dell’oratorio della singola parrocchia può incontrare un loro naturale modo d’essere».Il vescovo Monari parla degli oratori e della necessità «di in-trodurre personale che li faccia vivere sul piano dell’animazio-ne ed educativo. L’obiettivo è che l’oratorio abbia una sorta di progetto formativo che sia in grado di rendere i giovani perso-ne più attenti alla realtà e più responsabili».

compito di un’intera équipe chiamata a valorizzare le risorse di ogni singolo sacerdote (chi si impegnerà in oratorio, chi si dedicherà al sacramento delle confessioni, chi all’animazio-ne di gruppi di adulti...) e che richiederà funzioni e respon-sabilità piene ai laici. La cui vita cristiana continua ad essere l’obiettivo ultimo della Chiesa, della quale i sacerdoti sono uno strumento».Le parrocchie, insomma, spariranno? «La parrocchia non scompare né da un punto di vista istituzionale, visto che è lo stesso diritto canonico a prevederla, né come presenza sul territorio. Dovrà piuttosto immaginare di costituire non più una comunità chiusa ma di mettersi in comunione con altre realtà vicine dentro una più ampia unità pastorale. L’espe-rienza della parrocchia è fortemente radicata nel nostro ter-ritorio ed ha spesso giocato un ruolo fondamentale: i preti che hanno speso la propria vita per la loro comunità hanno lasciato il segno. Il lato negativo della medaglia è che talvolta quando il parroco se ne va per la parrocchia è un disastro, perde del tutto la propria identità. Ma io non dimentico mai quel che il cardinal Biffi soleva ripetere ai propri sacer-doti: guardate che in parrocchia il prete è sempre l’ultimo arrivato. Un modo simpatico per ricordare che dentro una comunità cristiana i protagonisti sono i laici e l’obiettivo è l’incarnazione del messaggio del Vangelo nella loro vita quo-tidiana. I sacerdoti sono solo lo strumento di questa missio-ne, e oggi devono esserlo in modo nuovo».

LA SFIDA EDUCATIVAFare incontrare ricerca culturale e vissuto quotidiano

Page 6: Voce per la Comunità

6

VERSO IL SINODO DEI VESCOVITra un anno circa, nell'ottobre 2012, si riunirà il Si-nodo ordinario dei Vescovi. Tema: la nuova evan-gelizzazione per la trasmissione della fede. Quali gli intenti?La convinzione secondo cui il termine evangelizzazione ri-guarderebbe non soltanto i po-poli che non hanno mai cono-sciuto Gesù Cristo, ma anche quelli di tradizione cristiana che si sono allontanati dalla Chie-sa, è sempre più diffusa. Il fe-nomeno, che abbraccia tutto il mondo occidentale, compren-de anche i paesi in cui la Buona Notizia è stata annunciata, ma non accolta; in cui nessun inse-gnamento, dunque, è stato in grado di trasformare la vita personale, familiare e sociale dei cristiani.È questo il motivo che ha spinto Benedetto XVI a convocare, nell'ottobre del 2012, la XIII Assem-blea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: "La nuova evangelizzazione per la trasmis-sione della fede".Tale appuntamento rappresenterà, per la Chiesa intera, un'occasione per esaminare, in termini di evangelizzazione, la situazione attuale delle Chie-se particolari e di tracciare, in comunione con il Papa, pastore universale, nuovi modi ed espres-sioni dell'annuncio evangelico da trasmettere all'uomo contemporaneo. Si tratta, come si leg-ge nella prefazione dei Lineamenta elaborati per la preparazione del Sinodo, di: una sfida a trarre, come lo scriba diventato discepolo del Regno dei cieli, cose nuove e cose antiche dal prezioso teso-ro della Tradizione.Il Sinodo sarà un'ulteriore occasione per capire se la Chiesa ha saputo e sa operare quel particolare discernimento che le permetta di mettere in atto le scelte e i processi che la portano a non isolarsi dal resto del mondo. È importante capire che solo traducendo con parole comprensibili il messaggio del Vangelo è possibile avvicinarsi a quelle gene-razioni che ormai non si pongono semplicemente contro Dio e contro la Chiesa, ma che stanno im-parando a vivere senza Dio e senza la Chiesa.

È questa la nuova realtà in cui noi tutti siamo im-mersi ed in cui la comunità cristiana è chiamata a operare un duplice ascolto:● da una parte essa deve saper ascoltare atten-tamente il mondo, sia per comprendere le proble-matiche che affliggono l'uomo, sia per cogliere ciò che c'è di bello e di buono e quindi ciò che già è presenza di Dio;● dall'altra, deve saper ascoltare la voce dello Spi-rito. La Chiesa, infatti, consapevole di essere an-zitutto discepola del Signore, sempre bisognosa di conversione, sa bene che la regia dell'annuncio evangelico non è nelle sue mani, ma in quelle di Dio.

I cambiamenti che hanno riguardato il mondo toccano in modo diretto la Chiesa. La obbligano a confrontarsi con interrogativi e fenomeni da com-prendere, pratiche da correggere, cammini e realtà a cui comunicare in modo nuovo la speranza evangelica.I Lineamenta evidenziano, inoltre, come la nuova evangelizzazione ri-guardi prima di tutto i cristiani che hanno già compiuto un cammino di fede. Sono proprio questi cristiani adulti, con il loro comportamento, il loro modo di vivere la relazione con

il Signore e con la Chiesa, ad essere chiamati a rivestire il ruolo di evangelizzatori verso coloro che non hanno ancora conosciuto Gesù e sono lonta-ni dall'esperienza ecclesiale.D'altro canto coloro che non credono sono di sti-molo per rendere ancor più salda la fede dei cre-denti. È così che la missionarietà ad intra diventa segno credibile e stimolo per quella ad extra, e viceversa. Come dire che la qualità della vita cri-stiana e la fede di una parrocchia, di un gruppo, di un singolo, si misurano dalla capacità di offrirla agli altri.Saper tradurre la speranza del Vangelo in termini praticabili, prospettare la possibilità di una vita bel-la, buona e giusta, rendere plausibile e gioioso un cammino di vita cristiana dentro ad una comunità: è questa la sfida che la Chiesa è ancora chiamata ad affrontare.Se l'obiettivo vuol essere perseguito, la Chiesa dovrà anche compiere con coraggio scelte preci-se sulle strategie, sulle pratiche, sui metodi e sugli strumenti educativi, in particolare sulle proposte che iniziano alla vita cristiana.Dovrà altresì operare una verifica sui soggetti che sono chiamati a trasmettere la fede (catechisti, educatori…) e dovrà investire maggiormente su di essi, affinché siano veri evangelizzatori della Buo-na Novella, nella fedeltà a Dio e alla storia.

parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi in cammino - parrocchie e diocesi

Page 7: Voce per la Comunità

7

Continuano gli incontri e le inziative in questo anno giubilare che ricorsano i 100 anni della morte di S.Arcangelo Tadini. Gruppi, famiglie e perone si trovano in Santuario per la preghiera e per intercedere grazie al Signore tramite il Santo. Oltre a gruppi parrocchiali sono in programma iniziative diocesane e zonali:Incontri e celebrazioni diocesane: domenica 15 gennaio incontro GRUPPI VOCAZIONALI SICAR e EMMAUSfine gennaio incontro EDUCATORI ORATORIO 19 marzo Convegno diocesano “Famiglia e lavoro”mercoledì 18 aprile ANIMATORI VOCAZIONALIfine aprile INCONTRO SACERDOTI DELLA DIOCESI - 1 maggio SEMINARIO DIOCESANO1 maggio PELLEGRINAGGIO FAMIGLIE DIOCESI - 4 maggio VEGLIA DIOCESANA VOCAZIONI con il Vescovosabato 16 giugno SANTIFICAZIONE DEL CLERO con il VescovoIncontri e celebrazioni zonali: i martedì di spiritualità per i giovani della zonaIncontri e celebrazioni parrocchie di Botticino: - ogni MARTEDÌ sera ore 17,30 S.Messa, segue esposizione e Adorazione Eucaristica fino alle ore 22,00 (dalle ore 20,30 alle ore 21,00 preghiera guidata)- primo martedì del mese in preghiera con il gruppo famiglie Tadini- terzo martedì del mese in preghiera “cammino sentieri di stelle”- ultimo martedì del mese particolare preghiera di intercessione alle ore 20,30 - CELEBRAZIONI GIUBILARI 11 febbraio GIUBILEO AMMALATI E OPERATORI SANITARI11-12 aprile GIUBILEO ADOLESCENTI-GIOVANI29 aprile GIUBILEO ASS.VOLONTARIATO1 maggio GIUBILEO DELLE FAMIGLIEIn data da definire: GIUBILEO ANIMATORI PASTORALE -VEDOVE- ANZIANI- MAMME-LAVORATORI

basilica s.maria assuntasantuario s.arcangelo tadini

anno giubilare20 maggio 2011 / 21 maggio 2012

LA RELIQUIA DEL SANTO NELLA PARROCCHIA DI CELLATICA“A nome della comunità di Cellatica, portiamo il nostro grazie alla comunità di Botticino per averci dato l’opportunità di avere con noi le reliquie di Sant’Arcangelo Tadini, volendo cogliere l’occasione per farvi partecipi delle motivazioni per la presenza delle stesse nella nostra parrocchia.Cellatica ha vissuto questa settimana un’iniziativa chiamata “ritorno di missione” momento forte che ci ha visto im-pegnati nell’incontro personale con le famiglie in celebrazioni solenni e centri di ascolto della parola che hanno avuto come tema centrale la famiglia.la presenza delle reliquie del Santo, apostolo della famiglia, ha reso più incisiva e profonda questa esperienza.Le reliquie sono state collocate nella chiesa/santuario di Fantasina, che è dedicata alla Santa Famiglia di Nazareth, e lì sono state venerate con momenti di preghiera e di adorazione eucaristica.”

S. Natale 2011“Appena nella capanna di Betlemmesi udì un vagito, era il vagito di Dio,che, pazzo d’amore per l’umanità,volle assumerla, farla sua.In quel presepio germogliarono due fiori,che sono due amori sublimi:l’amore per Dio e l’amore per l’umanità”.

S. Arcangelo Tadini

Page 8: Voce per la Comunità

8

ASPETTO ECCLESIOLOGICO-PASTORALE

Opera corale di tutta la Chiesa

L’ecclesiologia di comunione del Vaticano II ha permesso di riscoprire la pastorale come l’agire di tutta la Chiesa. È alla Chiesa tutta, dunque, che spetta il compito di educare. Ad essa la responsabilità di aiutare ciascuno a costruire la propria identità come vocazione, indicando Cristo come colui che svela pienamente all’uomo se stesso. La parrocchia, in particolare, è l’epicentro della sfida educativa. Essa deve trovare un paradigma educativo che consenta il pieno sviluppo della persona, cogliendo nella parabola della trasmissione della vita un possibile modello da imitare.

La questione dell’urgenza edu-cativa - al centro del documento dei vescovi italiani «Educare alla vita buona del Vangelo» - tocca lo stesso modo di intendere e vivere l’agire della Chiesa nella storia e nel mondo di oggi. Approfondiamo il tema dell’educazione cogliendo la natura, i dinamismi, le forme e le modalità propriamente pastorali, con riferimenti alla realtà della par-rocchia, luogo singolare di educa-zione alla vita buona del Vangelo.Il Vaticano II: un concilio «pastorale»Il termine «pastorale» si è molto diffuso nel postconcilio. È lo stes-so Papa Giovanni XXIII che nel Di-scorso di apertura del Vaticano II, Gaudet Mater ecclesia, con tale espressione volle indicare lo spirito e il senso del magistero conciliare, appunto «a carattere prevalente-mente pastorale». Questo il testo: «Al presente bisogna che in questi

nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame ... ; occorre che que-sta dottrina certa e immutabile, alla quale si deve prestare un as-senso fedele, sia approfondita e esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altra è la sostanza dell’antica dottrina del depositimi fidei, ed altra è la formulazione del suo rivestimento: ed è di questo che devesi - con pazienza se occorre - tener gran conto, tutto misurando nelle forme e proporzioni di un ma-gistero a carattere prevalentemen-te pastorale».Il merito dell’intervento del Papa è stato quello di aver voluto sdoga-nare il messaggio cristiano e il suo annuncio nel mondo contempora-neo da una visione concettualista della verità cristiana. Sta di fatto che dopo il Concilio il termine «pa-storale» dilaga.La pastorale è l’agire della Chiesa

II termine «pastorale» non indica solo un problema di metodo: dire la fede di sem-pre nelle forme nuove della cultura, appunto il program-ma conciliare di «aggiorna-mento». Suggerisce anche una questione di contenuto: riguarda la missione della Chiesa. Vale a dire, il fatto che l’agire storico della Chie-sa, appunto la sua «missione pastorale», non consiste più nell’applicazione di verità immutabili sapute a monte delle forme pratiche con cui la Chiesa edifica se stessa nel mondo contemporaneo. Prima del Concilio, la figura più diffusa del rapporto tra teologia e pastorale è stata prevalentemente «applica-tiva». La dogmatica, la mo-rale, la spiritualità e il diritto stabilivano la costellazione valoriale per la missione della Chiesa, mentre la pastorale non era che il luogo di «at-tuazione» mediante l’agire

storico della Chiesa. Nel momento successivo al Concilio, l’immagine «applicativa» della pastorale è an-data rapidamente in crisi e con essa la funzione «direttiva» del ministe-ro pastorale. Si è aperto nell’agire storico della Chiesa, cioè nelle for-me della sua missione, un ampio spazio di «opzionalità», di «discer-nimento» del funzionamento socia-le dell’azione pastorale della chiesa. Di qui le nuove parole d’ordine del-la pastorale del postconcilio: «di-scernimento comunitario», «con-versione missionaria», «pastorale intergrata». Il nuovo mutamento dell’agire pastorale della Chiesa ri-guarda il soggetto e il fine dell’agi-re della Chiesa. Fino al Concilio, «pastorale» significava anzitutto l’azione del pastore per la cura del-le anime. L’ecclesiologia di comu-nione del Vaticano II invece affer-ma che l’azione pastorale ha come obiettivo l’edificazione della Chiesa come segno reale del Vangelo ac-colto nella vita del mondo. L’agire pastorale non ha più come sogget-to solo il pastore e i «collaboratori dell’apostolato gerarchico», ma tut-to il popolo di Dio. L’agire ecclesiale è il modo con cui il popolo di Dio si edifica, lasciandosi plasmare dalla Parola e dall’Eucaristia come corpo di Cristo. Da ciò deriva anche la for-ma e il modo della missione della Chiesa nel mondo, un nuovo stile della «pastorale».Il senso dell’educareII secondo aspetto riguarda il tema della educazione, lo ha introdotto menzionando il n. 22 di Gaudium et spes, citato espressamente negli Orientamenti pastorali dei Vesco-vi. Dal brano emerge che la ricer-ca di sé dell’uomo, che il compito dell’educazione deve favorire, «ri-splende di luce vera» nell’incontro con Cristo. Egli rivela il mistero del Padre e del suo amore, ma sve-la anche pienamente l’uomo a se stesso manifestandogli la sua altis-sima vocazione. L’identità dell’uo-mo ha la forma di una vocazione,

Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo -

Page 9: Voce per la Comunità

9

il cui raggiungimento è possibile da una parte grazie all’aiuto di Dio, dall’altro mediante la stessa libertà dell’uomo. L’educazione è quel rap-porto che aiuta ciascuno a costruire la propria identità come vocazione e come scelta di libertà. Guardan-do a tale dialettica tra vocazione e libertà che trova in Gesù Cristo il suo paradigma identitario, la riflessione sull’educazione si sviluppa in alcuni passaggi.«In un mondo che cambia»: la questione attuale Occorre fare un discernimento stori-co delle attuali difficoltà dell’educa-zione nel mondo indicate nelle due radici dell’odierna sfida educativa. La prima radice è una concezione dell’educazione come «autosvilup-po», fondata su un concetto di au-tonomia dell’uomo che non ha bi-sogno di nessuno per il suo essere e divenire persona; la seconda è il «naturalismo» antropologico (scet-ticismo e relativismo) a cui corri-sponde una concezione dell’educa-zione carente di ogni dimensione etica: educare significherebbe sol-tanto e-ducere, tirar-fuori le virtuali-tà iscritte nell’uomo concepito come natura meccanicamente intesa. La natura umana è vista come una «cosa di natura» che si può trasfor-mare a proprio piacimento. Educare diventa, allora, abilitare a conoscere i meccanismi naturali e i funziona-menti sociali. In tal modo ciascuno può diventare un self made man (uno che si fa da solo) senza alcun apporto esterno. Queste due concezioni escludo-no alcune caratteristiche essen-ziali dell’educazione: il carattere relazionale, la dimensione etica e la distensione temporale del pro-cesso educativo. Tre componenti che appartengono alla dimensione antropologica dell’educare, la cui negazione rende impossibile ogni determinazione della differenza cri-stiana dell’opera educativa. Se educare significa autosviluppo, autoeducazione, e se comporta semplicemente vivere secondo una natura «plasmabile» a piacere, tutto il percorso educativo resta abban-donato a se stesso: in realtà è sog-giogato dal flusso inarrestabile delle emozioni, degli affetti, del sentire, del prova e riprova, dello sperimen-talismo, ma non raggiunge mai la forma matura dell’esperienza. Ne soffrono soprattutto le esperienze umane fondamentali: il rapporto uomo e donna, la relazione genito-ri e figli, le pratiche dell’amicizia e

della fraternità, il senso del convivere civile, le forme della solidarietà sociale.«Identità, generazione, cammino»: il paradigma educativoIn tale contesto storico oc-corre trovare un paradigma educativo che riesca ad aiu-tare pienamente lo sviluppo dell’autentica identità della persona. Uno è iscritto nel-la vita stessa dell’uomo: è l’evento della generazione, il senso e il modo con cui la vita viene trasmessa e rice-vuta. Il rapporto educativo rimanda originariamente alla generazione, al rapporto padre/madre - figlio. I geni-tori trasmettono la vita con tutto il suo corredo in dota-zione e devono lasciare lo spazio e soprattutto il tem-po perché la vita trasmessa sia ricevuta come un dono e non solo come una cosa di natura. Questo spazio e tempo sono l’atmosfera della libertà, e diventar grandi non è nient’altro che il cammino con cui riconoscere in modo grato il debito alla vita che ci è stata trasmessa.La mancanza di riferimenti, invece, condanna il figlio a navigare sotto un cielo senza stelle e a desertifi-care la sua coscienza, lasciata come una tabula rasa su cui scrivere con-tinuamente sensazioni passeggere. Il percorso dell’identità da parte del figlio diventa così interminabile, ag-gravato anche da fattori socioeco-nomici che impongono al giovane di rinviare sempre più la data di assun-zione delle responsabilità. Il cammi-no dell’esistenza diventa un’impresa che non ha più il sapore della sfida di fronte alla vita, ma deve corri-spondere al desiderio di chi ci ha vo-luti, con tutti gli alti e bassi del caso.«Educare alla vita buona»; l’identità transitiva e drammaticaLa sfida dell’identità si snoda tra promessa e ricerca della terra in cui entrare. È un’identità transitiva, passa cioè attraverso il tu dei geni-tori, degli educatori, del noi sociale. Il Papa così spiega il senso transitivo della ricerca dell’identità e dell’edu-care: «In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’”io” diven-ta se stesso solo dal “tu” e dal “voi”, è creato per il dialogo, per la comu-nione sincronica e diacronica. Solo l’incontro con il “tu” e con il “noi”

apre l’”io” a se stesso». Educare è un fatto di relazione, l’io trova se stesso passando attraverso l’altro, ma l’incontro con l’altro apre l’io alla propria interiorità, dischiude in essa una promessa e un appello perché l’uomo si avventuri nel cammino della vita. Il cammino dell’identità ha anche un carattere drammatico, la persona è chiamata a decidere di sé di fronte alla vita e alle forme con cui è stata trasmessa. La «relazione» educativa (io-tu-noi) si assoggetta alla prova del tempo disteso e la promessa dell’inizio deve passare attraverso il prezzo della fedeltà. Da qui la me-tafora del cammino, anzi dell’esodo di Israele, ricordata al n. 19 degli Orientamenti dei Vescovi. Il carat-tere «drammatico» dell’educazio-ne crea lo spazio perché il giovane giochi la sua libertà. Diventare liberi non è solo un fatto di relazione, ma esige un’inevitabile determinazione etico-religiosa, implica una scelta e una capacità di rispondere.

Racconti di vangelo: come venire a GesùLa comprensione del mistero di Cri-sto, che svela all’uomo la sua iden-tità di uomo, non è questione di illuminazione, ma d’incontro, di un avvenimento disteso nel tempo, in cui uomini e donne «vanno da» Gesù. È il Vangelo che ricrea questo incontro. L’educazione trova nei rac-

Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo -

Page 10: Voce per la Comunità

10

La pastorale stenta a de-collare verso orizzonti dal sapore autenticamente socio-culturale. Uno dei nodi più difficili della nostra pastorale e che rap-presenta una possibile risposta alla grande domanda che forse tutti ci poniamo è questo: vivia-mo in un paese in cui il cattoli-cesimo è ancora vivo, in cui in molte parti ci sono ancora chie-se piene, in cui ancora a scuola si insegna religione; viviamo in una società in cui i bambini per la grande maggioranza fanno la prima comunione, sono battez-zati, una società in cui ancora ci si sposa in chiesa, allora come mai questa società risente così poco dell'influsso di una visio-ne cristiana delle cose quando si tratta del suo stile concreto, quotidiano di vita e più a monte quando si tratta della sua visio-ne culturale? Ciò che, in ultima analisi, si può facilmente constatare è la stra-na, paradossale e dolorosissima divaricazione tra gli stili di vita degli italiani e il loro riconoscersi nel discorso cristiano.Di fronte a questa constatazio-ne non possiamo limitarci a una sterile analisi di denuncia, quan-to piuttosto compiere il tenta-tivo di mostrare perché questa influenza non c'è e, al tempo stesso, quali possibilità invece ci sono perché questa influenza si determini; il tentativo cioè di mostrare - a partire dai proble-mi che la nostra società soffre dolorosamente sulla sua carne - quale potrebbe essere, e an-

cora non è il ruolo della Chiesa. Tre le possibili piste : la prospettiva della fede, la prospettiva della spe-ranza, la prospettiva della carità.Lo spunto in tutti e tre i casi vie-ne fornito da situazioni in cui chiunque, credente o non cre-dente, può riconoscersi, e quindi non alla luce di una adesione di fede, ma soltanto di un'attenzio-ne umana vigile sulla realtà in cui viviamo. 1. La prospettiva della fede II punto di partenza di questa prima prospettiva è la per-dita di unità delle persone che rappresenta un fenomeno diffuso capillarmente nella nostra socie-tà: viviamo in una società in cui la frammentazione dei soggetti, del-la persona, dell'io, è sotto i nostri occhi; assistiamo oggi all'avverar-si della triste profezia contenuta nell'affermazione di Nietzsche che scrive: l'io non esìste, l'io è una fin-zione, una favola, un gioco di paro-le.In effetti, non realmente, ma cul-turalmente noi assistiamo a una disgregazione dell'io, una disgre-gazione dei soggetti che sotto la piena di un consumismo invasivo che propone mille esperienze, mil-le canali televisivi, mille possibilità, mille progetti, mille prospettive, mille scelte possibili, finisce col dis-seminarsi in una molteplicità che alla fine è anche il nulla. È una disgregazione che colpisce innanzitutto i giovani, ma che in realtà, più a monte, rappresenta il problema anche degli adulti, anzi

ASPETTO SOCIO-CULTURALE

Quale Chiesa siamo?Da un'analisi lucida e per nulla indulgente dei malesseri sociali ed ecclesiali, scaturisce l'interrogativo di fondo: come la parroc-chia può divenire soggetto educante se non è essa stessa testi-mone appassionata della Parola che annuncia? Solo superando il dualismo tra fede e vita, recuperando lo stile del discernimen-to comunitario, combattendo battaglie profetiche, dilatando l'anima a grandi desideri, la Chiesa potrà essere credibile e ri-spondere ai problemi della società contemporanea.

Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo -

conti di Vangelo una costellazione di segni di vita buona che assume, puri-fica e trasforma la vita ferita e divisa. La narrazione evangelica contiene la trama di infiniti incontri con Gesù, di molte porte d’accesso a lui, di identi-tà negate e ritrovate, ferite e risanate, malate e trasformate, marginalizzate e riaccolte, perdute e ritrovate.Ritrovare le relazioni: maestri perché testimoniL’azione educativa come luogo e cammino per realizzare questo me-raviglioso e drammatico incontro è un’azione che prevede molti attori, anzi molti educatori. La figura felice dell’educatore è quella del «maestro di vita». Gesù si presenta egli stesso come maestro di vita nuova e buona che, mentre parla e interviene con le folle, non smette mai di educare i suoi discepoli. L’educatore allora diventa un testimone, uno che attesta quel carattere buono e vero dell’esisten-za, che è stato decisivo prima per lui stesso. Egli non deve temere di dire le proprie convinzioni, di attestare i pro-pri valori, di offrire le proprie ragioni, perché egli sa che potrà trasmetterli solo se susciterà la cordiale compren-sione e l’adesione personale da parte dell’altro.La parrocchia, epicentro della sfida educativaIn conclusione, l’educazione oggi è un compito della pastorale nei luoghi in cui essa ordinariamente si realizza. Tra que-sti, la parrocchia appare essere l’«epi-centro» della sfida educativa. Essa ne assume il carico in quel dinamismo pa-storale speso tra l’annuncio del vangelo e il servizio nel territorio, tra l’eucaristia celebrata e la testimonianza donata, nella piena corresponsabilità delle vo-cazioni e nell’intreccio dei molti soggetti educativi. La focalizzazione del cammi-no ecclesiale sul tema dell’educazione ci farà prendere coscienza che noi tra-smettiamo sempre vangelo (e valori) dentro forme pratiche di vita, non an-nunciando noi stessi o i nostri modi di vivere, ma il vangelo di Gesù. Esso non s’incontra allo stato puro, ma dentro un volto e una storia, a condizione che questi volti e queste storie di vita dica-no Lui e non essi stessi. La Chiesa deve custodire il cammino di una buona edu-cazione, come momento necessario dell’evangelizzazione, deve sapere che senza questa l’evangelizzazione resta consegnata all’illusione delle grandi pa-role, ma all’insignificanza per l’esistenza pratica. Per questo l’educazione deve tornare al centro: come l’opera corale di tutta la Chiesa.

Page 11: Voce per la Comunità

11

forse soprattutto degli adulti. Ebbene, di fronte a questa crisi profon-da che cosa risponde la nostra pasto-rale concretamente? Quale modello di fede propone? Qui si verifica un segno della impotenza della nostra pastora-le: non riuscire a proporre un model-lo di fede unificante. Perché la nostra pastorale vive ancora il dramma della scissione che caratterizza le società ar-caiche dove c'è un sacro e c'è un pro-fano.Il sacro e il profano sono caratteristi-che delle grandi religioni dove si pre-sume che il profano sia l'esistenza ir-rilevante da un punto di vista religioso e che il sacro sia l'ambito dove ci sono dei luoghi, dei tempi, delle attività, delle persone che invece sono deposi-tari della presenza del divino.Coloro che abitano il profano, quindi, possono entrare in contatto col divino solo attraverso un contato col sacro, ma la scissione tra i due ambiti è ra-dicale.Il cristianesimo rompe e supera que-sto rigido dualismo. La grande novità del cristianesimo è nell'evidenziare che sono molteplici i luoghi in cui Dio è presente e in cui è possibile adorarlo: la chiesa ma an-che l'officina, la scuola, anche se ov-viamente in modo del tutto diverso. Così si apre lo spazio per una varietà di presenze del divino nel cuore del pro-fano. E questo profano non è più pro-fano. Ovunque c'è la santità di Dio che è presente. Il dualismo sacro-profano salta radicalmente. Il dualismo sacro-profano non ha più motivo di essere. Invece la nostra pastorale ostinata-mente rimane ancorata, anzi riprodu-ce in modo evidente questo dualismo. Quando il laico varca le soglie del tem-pio diventa rilevante soltanto nella misura in cui diventa un accolito, un lettore, un distributore dell'eucaristia, un ministro straordinario della comu-nione, uno che fa il catechismo, nella misura in cui diventa un sostituto del presbitero, diventa un vice-prete. Ed è rilevante, è importante la sua funzione nella comunità ecclesiale, in quanto fa queste cose. La sua vita professionale, familiare, la sua esperienza umana, i suoi problemi, le sue difficoltà, tutta la sua cultura, la sua vicenda umana, vengono messe drasticamente tra pa-rentesi, perché non hanno più nessuna importanza, e il risultato è infatti che nella comunità tutte queste cose non riescono normalmente a entrare. Ne deriva una unanimità fittizia, basa-ta sul silenzio, sul mutismo.Nelle nostre comunità regna un gran-de silenzio, non si discute perché pro-babilmente si temono le divisioni che

nascerebbero da confronti per esem-pio sul terreno politico, per esempio sul terreno sociale, sul terreno etico, e allora si tace, e allora si parla soltanto di quello di cui si può parlare in chiesa, cioè di niente perché sui dogmi siamo tutti d'accordo, sulle verità morali pro-poste dalla Chiesa non siamo affatto d'accordo, ma in chiesa non lo dicia-mo mai. E escluso il dissenso, ma è escluso il conflitto in generale. In realtà, forse, il vero problema è che abbiamo paura della vita reale con i suoi problemi, le sue contraddizioni, le sue differenze. Tutto ciò comporta che dentro la comunità non c'è un di-battito, non c'è una discussione vera, non c'è quello che da tempo viene raccomandato caldamente: il discer-nimento comunitario. Davanti a questo clima ingessato mol-ti si allontanano in punta di piedi, altri lo fanno sbattendo la porta, perché capiscono che non sarebbe di buon gusto dire la propria idea, suonereb-be dissonante con quello che è il clima generale.Invece il triplice munus (sacerdotale, regale e profetico) ricevuto col batte-simo, da a tutti la libertà di dire il pro-prio parere, di esprimere le proprie idee e il proprio spirito critico, natural-mente sempre nel rispetto dell'auto-rità.Il dissenso, la discussione sono im-portanti perché rappresentano la base su cui fondare un vero discorso culturale.Al di là di una discussione reale, al di là di una concreta «intercettazione» delle domande, dei problemi, delle difficoltà che circolano nel mondo

di oggi, non è possibile elaborare alcun discorso culturale: come si possono elaborare delle risposte, se non sono chiare le domande? Se le domande vengono censurate ancor prima di essere espresse?Il contrappasso di questo è che come il laico che entra nel mondo non ri-esce a entrare nel cuore della Chie-sa, il cristiano che è dentro la Chiesa non riesce a entrare nel cuore del mondo.Perché? Perché quando il laico varca la soglia del tempio, entrando si la-scia alle spalle la sua vita laicale con le domande, le difficoltà, i problemi, le incertezze, i dubbi, i dissensi che aveva respirato nel suo mondo, e quando varca la soglia in senso in-verso, uscendo dal tempio, si lascia alle spalle questa fede aerea, questa fede astratta, senza domande, senza dubbi che aveva dentro il tempio e torna a essere il professionista che si fa pagare parcelle paurose senza rilasciare fattura, l'amministrato-re infingardo che non cura abba-stanza seriamente le pratiche che gli sono affidate, perché aspetta la raccomandazione, il politico che di-sinvoltamente cerca prima di tutto le clientele. Cioè noi abbiamo una situazione speculare: dentro un cle-ricalismo soffocante e asfittico, fuo-ri un laicismo disinvolto per cui ci si comporta come tutti. Questo è evi-dentemente un contributo che dia-mo a una società di scissione, dove la scissione della gente trova un ri-scontro nella nostra scissione. Noi siamo frammentati quanto gli altri, perché alla fin fine noi viviamo una

Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo -

Page 12: Voce per la Comunità

12

doppia vita, la vita del dentro e la vita del fuori; rispettando tutte le eccezioni che ci sono, questo è lo stile dominante della pastorale. E chiaro che una pastorale che con-cepisce così le cose non può edu-care a superare la frammentazione delle persone, è in realtà una edu-cazione antieducativa che favorisce la frammentazione, la divisione, la contraddittorietà dell'esistenza in una società ammalata di questa contraddittorietà a tutti i livelli.

2. La prospettiva della speranza La nostra è una società che avrebbe molto bisogno di speranza perché è una società che non vede più la prospettiva del futuro, la fi-ducia nella storia.Oggi l'idea fondamentale è che il progresso sia in realtà un veleno mortale per la nostra specie e che sia destinato in realtà a ucciderci. Cioè il futuro non è guardato con serenità, meno che meno con spe-ranza. Il futuro fa paura, il futuro è un'incognita angosciosa per la no-stra società e comunque non vale più la pena di morire per esso. Noi oggi abbiamo ragazzi che nem-meno più leggono il giornale, che appena si parla di politica reagisco-no con fastidio e irritazione. Oggi i nostri giovani cosa si chiedo-no, cosa vogliono? Il loro problema principale non è di cambiare il mon-do, cambiare il sistema, ma riuscire ad entrarci perché è il sistema che lascia fuori loro, non sono loro che possono distruggere il sistema. Di fronte a questo scenario la Chie-sa avrebbe molto da offrire, avreb-be un grande messaggio da pro-porre. E quanto ha ricordato con lucidità e chiarezza il Papa nella Spe salvi sottolineando che un tempo la speranza era nella comunità cristia-

na qualche cosa di fondamentale, oggi invece non lo è più, e non lo è più a vari livelli. Manca, infatti una tensione verso il futuro, nella predicazione, nell'at-tenzione culturale, un po' in ogni settore della vita: si vive solo il pre-sente.Ma non solo. Il Papa molto giusta-mente denunzia una crisi molto più profonda ancora forse della spe-ranza, che non riguarda tanto la speranza religiosa in sé, ma riguar-da il suo modo dì impostarla.

Ormai se speranza ri-mane è quella stret-tamente individua-listica, di chi si fa le sue devozioni, le sue preghiere, ma non si chiede come po-tere sperare a nome di tutta la società, a nome della storia. Noi viviamo oggi una speranza fortemente sterilizzata, liofiliz-zata, che anche là dove presenta temi strettamente religio-si, esclude drastica-mente la dimensione

della storia, intendendo per storia sia quella degli uomini, sia quella del cosmo. Poca speranza e incapacità di co-struire questo futuro. È impressio-nante che noi ci troviamo di fronte a uno scenario politico in cui noi cri-stiani non siamo più in grado prati-camente di indicare nessuna meta. Quella attuale sembra essere, cioè una situazione in cui i cattolici si siano ammutoliti.Quello che noi percepiamo con sof-ferenza è la loro assenza, il loro si-lenzio. Un silenzio assordante in cui non si riesce più a capire che cosa ci stiano a fare. Ma questo, proba-bilmente ha radici più profonde. Ha radici nel fatto che l'intera comuni-tà cristiana non ha una voce oggi.La Chiesa tace, per esempio, di fronte a provvedimenti come quel-lo dei respingimenti che viola i più elementari diritti umani o di fronte alla legge infame sui "medici spia", proposta e passata al senato con larga maggioranza. Se si vuole parlare di vera speranza, l'importante non è combattere per-ché le dighe non crollino. Invece spesso l'azione dei cattolici sembra rivolta a rafforzare le di-ghe per non fare passare questo o quell'altro, nel portare avanti cioè

battaglie in sé giuste ma che non sono profetiche nella misura in cui non corrispondono a una crescita di una coscienza civile dei cattolici. Dov'è, allora, la speranza nella no-stra pastorale? Che tipo di speranza produciamo? C'è da stupirsi poi che nelle nostre comunità non emerga-no figure di persone consapevol-mente impegnate in politica? Fa meraviglia che siamo ancora in una situazione in cui i politici militanti, in definitiva, si trovano ammutoliti perché non hanno dietro le spalle una comunità che li sostenga, anzi si ritrovano in comunità che li ten-gono a distanza perché hanno pau-ra di compromettersi? Da questo punto di vista, dobbia-mo avere il coraggio di chiedere che veramente si realizzi una nuova classe di politici cattolici. Ma non di gente scelta dall'alto che viene a fare il portavoce della gerarchia ec-clesiastica, ma di gente formata. Il problema è quello di fare emergere delle persone da un ambiente pen-soso, da un ambiente che discute, da un ambiente consapevole, for-mato. Questo può dare speranza al paese in un momento in cui non ce n'è proprio, in un momento in cui di prospettive per il futuro se ne vedo-no veramente poche. Ma è la Chie-sa come comunità - non dico come gerarchia ecclesiastica - che deve dare forma a questa speranza. Noi abbiamo gli strumenti per farlo.

3. La prospettiva della carità Viviamo in una società dove l'amore è la cosa più esaltata, ma l'amore di cui si parla è l'eros, cioè il desiderio. Più precisamente il deside-rio sessua¬le. Cioè è come se l'amore nella nostra società fosse stato insca-tolato ormai in un modello consumi-stico di sessualità che suscita infondo l'immagine dì un appaiamento più o meno illusorio di tutti i nostri desideri concentrandoli sul corpo, solitamente quello femminile. È un tipo di amore estremamente povero.Ebbene da parte della Chiesa ci sareb-be la grande risposta dell'amore. Per-ché il cristianesimo in fatto dì amore potrebbe essere veramente la rispo-sta a questa crisi culturale. Educare all'amore dovrebbe essere il nostro pane quotidiano. Ma quando noi an-diamo a vedere che cos'è questo amo-re, ci accorgiamo che questo amore spesso si riduce a un'astrazione.Il riferimento, anche in questo caso è anzitutto al magistero pontificio e alle chiarificazioni del Papa nell'en-

Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo -

Page 13: Voce per la Comunità

13

ciclica Deus caritas est, ma sempre con la lucidità e la passione del laico cristiano che contestualizza, appro-fondisce, cerca delle strade nuove da percorrere precisando che noi l'amo-re cristiano come dono lo possiamo ricevere, ma non c'è dubbio che noi come uomini non possiamo nemme-no fare a meno dell'eros, intendendo per eros non solo la sfera sessuale, ma anche il desiderio che a parti-re dai desideri più immediati porta l'anima a dilatarsi. Ma le nostre comunità invece sono l'emblema della mancanza di eros. Che eros c'è nelle nostre comuni-tà? Quali sono i grandi desideri che agitano la nostra vita cristiana, che trascinano le nostre comunità? Il disinteresse per quasi tutto regna sovrano. Nelle nostre comunità ave-te mai sentito parlare di un grande desiderio di giustizia, di un grande ardente desiderio di bellezza? Di un grande ardente desiderio dì verità? Nelle nostre comunità si brucia di de-siderio per qualche cosa?Il Papa dice: senza eros anche l'aga-pe rischia di non esserci più. Questo perché il nostro Dio non è solo agape, è pure eros, anche se ov-viamente in modo del tutto diverso da noi creature umane. Però, dice il Papa, nella Bibbia si vede chiaramen-te che Dio è pazzamente innamorato degli uomini.Allora anche noi non possiamo im-maginarci una vita che sia veramente conforme alla sua che non sia piena di eros, che non sia piena di passione. Ma nelle nostre comunità a queste passioni non si educa mai. Occorre pertanto riscoprire in merito una pastorale capace di suscitare le energie profonde degli uomini e delle donne, capace di far emergere la loro profonda esigenza di pienezza di vita.Ma che amore possiamo proporre al mondo se noi proponiamo un amore sterilizzato, un amore da santini, un amore da statue di terracotta, quan-do invece basta vedere l'estasi della Santa Teresa del Bernini per rendersi conto che lì l'eros c'era eccome. Que-sta è la visione cristiana, un corpo e un'anima unite nella sintesi di una passione completa per Dio. Solo a queste condizioni - dice il Papa — può nascere una vera agape, perché l'eros spinto al suo dinamismo più alto cessa di essere autocentrato e diven-ta considerazione dell'amato per se stesso e allora diventa agape, diventa dono, diventa rinunzia al proprio ap-pagamento, si sublima e raggiunge le vette più alte. Se invece si fa piovere il messaggio dell'agape, della carità,

su un terreno privo di slancio, privo di interesse, privo di stupore, privo di grandi passioni, privo di grandezza, un amore mediocre, borghese, che si accontenta delle sue piccole cose ... allora di che amore stiamo parlando? Allora la carità diventa quello che noi l'abbiamo fatta diventare: l'elemo-sina. Fare la carità significa dare con un gesto puramente esteriore qualche cosa a un poveraccio.

Conclusioni Altri due spunti di riflessione perché la pastorale possa veramente educare a dare risposta ai problemi dell'uomo d'oggi.Siamo in una società che è una so-cietà di individualismo di massa, una società in cui non c'è più la comunità perché non ci sono più le persone che dovrebbero creare queste comunità. Allora la prima cosa che oggi la socie-tà anela a ritrovare è la purezza dei volti, l'originalità dei volti. Un indice molto preoccupante in merito è il passaggio nelle nostre co-munità da una pastorale che dava una notevole importanza ai rapporti personali, nella riconciliazione, nella guida spirituale, nell'accompagna-mento spirituale, a una pastorale che invece sul piano dei rapporti perso-nali è debolissima, poverissima e che invece passa il tempo a organizzare cose. Questo corrisponde al fatto che le persone si sentono sempre meno in grado di vedersi riconosciute da qualcuno.È quanto mai urgente allora riscoprire la vo-cazione originaria sia del presbitero, sia del laico maturo, quella vocazione all'ascolto che trasmette all'altro il messaggio di un ascolto attento e vigile, che sa accogliere, valutare e rendere liberi.L'ascolto guarisce, l'ascolto aiuta la perso-na a crescere, a risco-prirsi, l'aiuta a ritrovarsi con se stessa e con Dio. Tutto ciò nelle nostre co-munità non succede più. Invece tutto questo è fondamentale per ritro-vare i volti delle perso-ne. Altrimenti abbiamo masse di persone che non sono però col loro volto: invece è questo che può fare nascere la vera comunità.

La parola comunità è una parola abusata, noi parliamo sempre di co-munità, ma sono vere comunità le nostre? Sono comunità cartacee, di cartapesta, ma senza la capacità di vivere insieme le cose, perché non c'è una reale comunicazione non solo tra i fedeli, ma nemmeno tra i fedeli e il parroco e non c'è tra i parroci. È una malattia di isolazionismo. Anche tra i vescovi è la stessa cosa. Manca la comunicazione, e la comu-nione senza la comunicazione è uno slogati. Possiamo parlare di comu-nione quanto vogliamo: è una finzio-ne, è un'ipocrisìa.Altro che risposta ai problemi socio¬culturali della nostra società! Questo è il modo per perpetuare que-sti problemi e per fare dire alla gente: ma che c'è di diverso tra la Chiesa e qualunque altra realtà terrena? Per-ché dovremmo credere in questa Chiesa come la continuazione in que-sta terra della vita di Gesù Cristo? Nasce il famoso slogan Cristo sì e Chiesa no. Ma ricordiamoci che quando noi diciamo «non è possibi-le scindere Cristo dalla Chiesa» dob-biamo assumerci la responsabilità di chiederci quale Chiesa siamo noi. Un cammino pastorale non può mai fermarsi al «già acquisito», ciascun cristiano e ciascuna comunità eccle-siale possa essere, sempre e per tut-ti, ancora oggi, testimonianza auten-tica del messaggio evangelico.

Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo - Educare alla vita buona del Vangelo -

mercoledì 25 gennaio 2012 il nostro Ve-scovo incontra le parrocchie di Bottici-no su questo tema alle ore 20,30 presso

SALA TEATRO ORATORIO BOTTICINO MATTINA

Page 14: Voce per la Comunità

14

COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO - COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO - COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO - COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO

TuttoèiniziatoconlanascitadiMartinae,quandoabbiamochiestoperleiilSantoBattesimo,siamovenutiasaperecheavremmodovutopartecipareadalcuniincontriperprepararcialcamminodifedeconlanostrabambina. “ManoigiàfrequentiamolaChiesa”cisiamodetti,“Conosciamole“regole”ei“doveridelcristia-no”epoi…..nonabbiamotempo…contuttelecosechegiàdobbiamofare….!!” Così,conqualcheperplessità,maanimatidall’entusiasmocheciaccompagnadaquandoèarrivataMartina,cominciamoquestocamminolaprimasera,all’Oratoriocontuttiglialtrigenitori. Continuiamopoicongliincontriindividuali,acasa,seguitidaChiara,laqualecihasubitosaputicoinvolgereconlasuacompetenzaepassionenelspiegareleletture. Arriviamo poi all’ultimoappuntamento, ancora una voltatuttiinsiemeall’Oratorio,conDonRaffaele che, con il suo modo difare,hacatturatolanostraatten-zione,nonostante ipiagnucoliidiMartina. Alla fine di questa espe-rienza, nonostante qualche incer-tezza iniziale, ci siamo trovati adire “Però, ci voleva una rinfre-scatadiCristianesimo…..epoi,inquestomesenonabbiamopersodeltempo, ma abbiamo guadagnatoancoraunpo’difede”.SimonaeDario

CarissimodonRaffaele, Abbiamopartecipatocongioiaagliincontripre-battesimali,siainparrocchiacheacasa,esiamofelicidiessereparteattivadellaComunità. TramitelanostracatechistaChiaraabbiamopotutoriscoprireedapprezzareilmessaggiodelSigno-re,cheporteremoainostrifigliecercheremodiattuarenellavitaquotidiana. Laringraziamoperavercioffertoquestaopportunitàequestopercorso,perchétroppevoltecisidi-menticadellecoseimportantieveredellavita.Iltempoèsempretiranno,specialmentequandosidevelavoraretantoperriuscireamanteneretuttigliimpegnipresi,sacrificandocose,avoltemoltoimportanti,cheneanchecisiricordacheesistano.Lapiùimportanteeconsiderevoleèsicuramentelafamiglia,ifiglieilloroinsiemeenulla,perquantociriguarda,puòalterarequest’ordineprimario. SappiamodipotercontaresudiLei,secenefosselanecessitàequestoèmotivoditranquillitàpernoiancheselanostrapresenzaètalvoltalatenteenonconsiderevole.Cisaràsicuramentemodoetempodipoterciconfrontareinunfuturosemprepiùincerto,percertiversiebisognososemprepiùdellapresenzadelSignore ConstimaLasalutiamo

NivesGorniePaoloRolfi

Gent.modonRaffaele, Chiaracihachiestounpensierosulpercorsobattesimale,cheLeinviamo.Ilpercorsobattesimalecihapermessodigodereancoradipiùeconmaggiorconsapevolezzaildonoche

Botticino Sera 13 novembre 2011

GIOVANI GENITORI nelle parrocchie e la nuova evangelizzazioneSpesso le nostre comunità cristiane hanno il sapore di stantio, il terrono è arido e duro , difficile ad accogliere la “nuova evangelizzazione” con tutte le novità che comporta l’adesione alla fede cristiana non per tradizione, per obbligo o per paura delle minacce divine... Non tutto è così: molti sono i genitori che coinvolti per il battesimo dei propri figli e nel nuovo canmmino di Iniziazione Cristiana sono dei semi che, nonostante la terra dura, stanno dando germogli nuovi e freschi.

Page 15: Voce per la Comunità

15

COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO - COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO - COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO - COMUNITA’ PARROCCHIALI IN CAMMINO

ilSignorecihavolutofare:Cecilia!Donocherafforzailcamminodellanostrafamigliainiziatoconlapromessadelmatrimonio.RingraziamolanostracatechistaChiarachecihaseguitoperprepararelafestad’ingressonellacomu-nitàcristianadinostrafiglia.Laringraziamo,

ChiaraeLoris,EmmaeMarta

CièstatochiestodiscriverequalcheparolacircalanostraesperienzadipreparazionealBattesimo,così,visto cheneabbiamo fatti duenegli ultimi treanni,nonpotevamopropriotirarciindietro... Ricordochepocopiùdidueanni fa, inoccasio-ne del Battesimo della nostra primogenita Sara An-drea, abbiamo appreso con sorpresa che per ottenere

ilBattesimo(epiùavantiglialtrisacramenti)eracambiatol’approccio...Nonerapiùsufficiente“chiedere”periproprifigliilBattesimo,bensìeranecessariocheigenitoriandasseronuovamentea“catechismo”!!! Dopounprimoistantedisorpresaabbiamoconvenutocheeragiusto,addiritturaovvio,cheigenitorisi“rinfrescassero”unpo’lamemoriasulsignificatoesulleimplicazionidellarichiestadelBattesimoperiproprifigli.NegliincontriabbiamolettoinsiemealcunibranitrattidalVangelo,cercandodicoglierneimessaggiprincipali.OvviamenteibranisonostatisceltiaffinchéoffrisseroigiustispuntidiriflessionerelativamentealsacramentodelBattesimo. Inquestiincontri,graziesoprattuttoall’impegnodegli“educatori/animatori”siècreatopro-priounbelclima.Innanzituttoabbiamoavutolapossibilitàdiconoscercireciprocamenteedisentir-cipiù“vicini”allanostraparrocchia,checièletteralmenteentrataincasa,inoltrecisiamosentiticoncretamentecoinvolti,piùconsapevolieancorapiùpartecipialBattesimodeinostribambini. Nellamiaesperienzahotrovatoanchemoltopiacevoleritrovarsiinpiccoligruppidiamici,conirispettivipadriniemadrine,perchéinquestomodoc’èstatalapossibilitàdirompereilghiacciopiùfacilmenteescambiarcilerispettiveideeeriflessionisulleletturefatte,aiutandociavicendaadapprofondireiconcettiedimessaggichelelettureciproponevano. Ungranderingraziamentoèdovutoatuttiglieducatori,oltreovviamenteaDonRaffaele,checonpassione,impegnoedisponibilitàcihannoaccompagnatonellapreparazionealBattesimodeinostribambini.

FaustoeMilena

IlBattesimodiGiovannièstatopernoiungiornomoltoimportanteedemozionante,ungiornodifesta.C’eravamotutti,parenti,amici,conoscenti,tuttipresentiadaccogliereGiovanninellagran-defamigliadiDio,laChiesa.PrimadelBattesimo,conChiara,abbiamotenutodegliincontriinfamiglia, molto utili e interessanti,dove ci siamo confrontati e abbiamo avuto modo di rifletteresull’importanzadelsacramentodelBattesimoapartiredallaParoladiDio.Purtroppononsiamoriuscitiapartecipareaentrambigliincontricomunitari.Nonavendoinonni,leusciteseralisonounproblema.E’andatosoloBrunoadunincontro,incuipartecipavanoancheipadrini.Per il percorso di Iniziazione Cristiana che stiamo facendo con Cristian, sinceramente all’iniziopensavamopotesseessereunacosaunpo’“pe-sante”unadomenicaalmese, invecehosco-pertochenonmidispiaceperniente,anzivadoio(perchéBrunorestaacasaconGiovanni),moltovolentieri.Questiincontrisonopiacevo-li,siascoltalaparoladelSignoreeproviamoa portare il suo messaggio nella nostra vitaquotidiana,ciconfrontiamo,scambiamoidee,e parliamo dell’educazione dei nostri figli,cosatutt’altrochefacile.Comegenitoricredochel’esempiochediamoainostrifiglisiaunacosafondamentale,se-guire ilpercorsodi IniziazioneCristianaconCristiannonper“forza”maconpiacereeinte-resse;èsecondonoimoltopositivo.

SilviaeBruno

Botticino Mattina 6 novembre 2011

Page 16: Voce per la Comunità

16

Le feste della fede. L’anno liturgico riscoperto in famiglia

SEGUIRE E IMITARE GESU’il tempo ordinario

Presi nella rete da Cristo

Una delle scene della predella, sul lato posteriore della Maestà di Duc-cio, raffigura, con una capacità sinte-tica ancora molto bizantina, la scena della pesca miracolosa. L’obbiettivo visivo di Duccio si stringe sulle figu-re di Simone e Andrea che, a bordo di una piccola barca che sembra un guscio di noce, reggono, apparen-temente senza sforzo, una rete da pesce semivuota. Le loro figure si stagliano sullo sfondo di un cielo dorato che ricorda ancora le atmo-sfere trascendenti dell’icona. Sulle rive di un lago verdognolo Gesù, in tutta la sua placida sovranità, stende la mano verso i due pescatori. L’invi-to proclamato dalla muta eloquenza dell’immagine è quello di gettare le reti dalla parte destra della barca. La mano di Simone, che di lì a poco verrà chiamato Pietro, si alza in se-gno di timida e temporanea obiezio-ne. Come si sa, questa prima molti-

plicazione dei pesci si sviluppa in realtà come una scena di vocazione. Il prodigio di una pesca inaspettatamente abbondante è la scintilla da cui nasce l’amicizia fra i due pescatori e Gesù che li invita a seguirlo. Comincerà per i due fratelli un addestramento traboccante di incognite e di stu-pore, ma nel quale saranno lentamente presi nella rete della fascinosa rivelazione di Gesù come Figlio di Dio.

COME UN FIUME CARSICOLa fase dell’anno liturgico denominata Tempo ordinario, ha queste caratteristiche:

· Inizia con il lunedì dopo la solennità del Battesimo di Gesù; termina con la festa di Cristo Re.· Si estende per 33 (o 34) domeniche.

· Esprime simbolicamente il percorso dei discepoli.· Offre figure, parabole, esperienze, indicazioni di rotta.

· Mostra come si possa seguire, qui e ora, davvero e adesso il Signore Gesù.

Duccio di Buoninsegna, Vocazione di Pietro e Andrea, particolare della Maestà, 1308-1311,

Washington, National Gallery Of Art.

La scoperta del Tempo OrdinarioIl Tempo Ordinario scorre lungo una sequenza di 33 domeniche. Offre ai discepoli la possibi-lità di seguire Gesù davvero e adesso.

Lungo il corso dell’anno liturgico, ci sono trenta-trè domeniche che non celebrano nessun particolare evento cristologico, ma formano una sorta di raccon-to lineare della cosiddetta «vita pubblica» di Gesù. In essa vengono messi in luce la sua particolare forma di annuncio, il suo modo di rendere autorevole testi-monianza di Dio. Questa lunga sequenza di domeni-che, che come un fiume carsico scorre scomparendo

L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO ORDINARIO - SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA - IL TEMPO ORDINARIO- SEGUIRE E IMITARE GESU’

Page 17: Voce per la Comunità

17

L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO ORDINARIO - SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA - IL TEMPO ORDINARIO- SEGUIRE E IMITARE GESU’

e ricomparendo fra i vari spazi dei tempi forti, viene chiamata «Tempo Ordinario». Questo filo rosso di do-meniche ordinarie si può ritenere in qualche modo una «scoperta» della riforma liturgica del Vaticano II, la quale aveva sentito il bisogno di rimediare alla colo-nizzazione agiografica dell’anno liturgico. Le celebra-zioni dei santi avevano in gran parte invaso la struttura liturgica annuale. Con questa grande esaltazione del culto dei santi, la vita cristiana aveva subito, senza ac-corgersi, il ritorno di una religiosità di impronta più arcaica, un senso più generico del sacro, capace di oc-cupare uno spazio assai contiguo a quello del magico e del paranormale. La cosiddetta «pietà popolare» è stata spesso il territorio di frontiera di quel confronto, mediante il quale il cristianesimo ha sempre cercato di addomesticare un residuo di paganesimo sempre pronto a rianimarsi, ma anche ad improntare di sè ogni aspetto della pratica cristiana. Qualche volta questa religiosità magico-arcaica ha di fatto prevalso sulla genuina celebrazione del mistero pasquale. Per tutte queste ragioni la riforma conciliare ha riaffermato, come centro dell’anno liturgico, la Pasqua di Gesù e la celebrazione domenicale, subordinando la devozione alla liturgia e le feste dei santi alla Pasqua domenica-le. In questo programma di pulizia liturgica, la riforma ha restituito la giusta e opportuna dignità al ciclo del Tempo Ordinario.

Seguire Gesù davvero e adesso

Questo ciclo di domeniche, che sono una specie di col-lante invisibile dell’intera struttura dell’anno liturgico, rappresenta il tempo del discepolato quotidiano, nella memoria costante della Pasqua e in ascolto paziente della Parola. Rende possibile per il discepolo di oggi un vero cammino di sequela e imitazione nella vita or-dinaria. La funzione specifica della liturgia cristiana infatti, come si è già avuto modo di dire a proposito del senso dell’Eucaristia, non è semplicemente quella di produrre semplici atti di commemorazione, emoti-vamente ricchi fin che si vuole, ma in fondo sempli-cemente ricordi, magari animati dal rammarico della distanza temporale. Al contrario, il dispositivo della liturgia cristiana ha tutta la pretesa di far valere la po-tente funzione del «memoriale», una forma di ritorno al passato capace di agire nel presente. La fede del discepolo, del resto, è atto realmente libero e umano solo se pronunciata in proprio nell’attualità del presen-te. Perciò è assolutamente necessario che il cammino di sequela e di imitazione permanga una possibilità del presente per ogni discepolo della storia. La Rivelazio-ne cristiana è proprio questo: la destinazione universa-le, rivolta cioè a tutti, dell’invito con cui Gesù attrae ogni uomo nello spazio personale della sua relazione con Dio. Questa possibilità non può restare il privi-legio di una generazione fortunata. Al contrario, la testimonianza offerta da quella generazione, tradotta nel potente strumento simbolico della Tradizione (la Scrittura, la Liturgia, la Comunità), si trasforma nel principio attivo attraverso cui ciascun discepolo, di ogni tempo e di ogni luogo, può ripercorrere lo stesso itinerario in modo reale e attuale: davvero e adesso.

Umili imitatori di Gesù

Liturgia, Scrittura e Comunità sono principi messi a sintesi in ogni celebrazione domenicale. La liturgia nel suo complesso mette in azione questo efficace disposi-tivo. Le domeniche del Tempo Ordinario però segnano più esplicitamente il tracciato di un itinerario di di-scepolato sempre a disposizione di chiunque. Lo stru-mento più importante, che permette di qualificare una serie di liturgie domenicali come itinerario di sequela cristiana, è l’idea della «lectio continua» del racconto evangelico. Del resto la prima conclusione dell’Evan-gelo di Giovanni si ferma precisamente su questa istru-zione: «molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in que-sto libro. Que-sti sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cri-sto, il Figlio di Dio e per-ché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31). Nella logica della testimo-nianza evan-gelica, il testo non è il docu-mento di ieri, ma il sentie-ro aperto per oggi. Attraver-so quindi la proclamazione liturgica del racconto evan-gelico, è il Si-gnore stesso che nuovamen-te guida coloro che lo vogliono in un cammino di sequela. Ma poiché la testimonianza evangelica si presenta con quattro volti, la liturgia si organizza su un ciclo di tre anni, chiamati molto comodamente «anno A», «anno B», «anno C». Durante l’anno A la liturgia attraversa il Vangelo di Matteo, durante l’anno B quello di Mar-co; durante l’anno C quello di Luca. Questi tre testi evangelici, che come molti sanno sono chiamati «si-nottici» perché si assomigliano fra di loro, tratteggiano ogni anno un percorso molto simile. Il quarto Vangelo, quello di Giovanni, a motivo dei testi del tutto propri che contiene, completa ogni anno il percorso dettato dagli altri Vangeli. Il risultato è sempre la possibilità di stare al passo di Gesù, e di domenica in domenica essere, come i discepoli di un tempo, attenti ascoltatori della sua parola, perspicaci ammiratori dei suoi gesti, umili imitatori del suo stile.

Page 18: Voce per la Comunità

18

Nel Tempo Ordinario, anche a noi oggi, il Si-gnore chiede di uscire dalla folla. Ci separa, ci fa entrare nell’intimità dei suoi pensieri.Accade anche a noi di sperimentare il modo diffe-rente con il quale Gesù si occupava delle persone che lo seguivano. Gesù difatti, proprio perché ama ciascuno, non tratta tutti allo stesso modo. Egli ha un modo di occuparsi di quella massa generica di simpatizzanti che gli evangelisti chiamano «folle», e un modo di prendersi quotidianamente cura di quelli che egli stesso chiama «discepoli». Di fronte alle folle, Gesù è capace di intima commozione, in esse vede la rappresentazione dell’umanità in atte-sa di riscatto, per esse trova parole di una sapienza traboccante di commozione, davanti ad esse si la-scia andare a segni prodigiosi con l’intenzione di annunciare un compimento destinato a tutti. Gesù sfama sempre le folle: di qualsiasi natura sia il pane di cui esse hanno fame. Ma delle folle Gesù cono-sce anche la volubilità, l’inconsapevolezza di molti di coloro che le compongono, l’incerta emotività della loro presenza. Alle folle Gesù non chiede nulla di speciale: si accontenta di amarle. Al con-trario, Gesù si sceglie qualcuno a cui destinare un insegnamento esigente e quotidiano. Ai discepoli chiede di superare il fragile stadio dell’entusiasmo

per entrare profondamente in sintonia con la logi-ca della sua testimonianza. Per fare questo, Gesù li separa dalla folla, li prende a vivere con sè, li gratifica di un’istruzione negata alle folle, li fa en-trare nell’intimità dei suoi pensieri, li addestra alla difficile assimilazione del suo stile di vita. Li porta sulla soglia della professione di fede. Li introdu-ce nello spazio della sua rivelazione come Figlio di Dio. Saranno loro, dopo, a ritornare dalle folle, rinnovando, a titolo di testimonianza personale, la pienezza umana possibile nella vita evangelica. Il Tempo Ordinario, nel quale la liturgia ci rimette alla sequela di Gesù, ci prende per mano conducendoci sulla linea di questo salto di qualità. Siamo chiamati a uscire dal grande perimetro dei simpatizzanti per imboccare la strada di una scelta

Sulle tracce della storia

umana di Gesù

Fra il 1308 e il 1311 Duccio di Buoninsegna realizzare, per

l’altar maggiore del Duomo di Siena, questa incredibile pala che sarebbe diventata famosa

col titolo di Maestà. Dipinta su entrambi i fronti della tavola,

portava sul fronte una pos-sente Madonna con in braccio

un Gesù bambino dai tratti così ieratici da sembrare un

imperatore dell’antica Roma. Sul retro della tavola invece,

Duccio costruiva un comples-so sistema di ordini nei quali

illustrava, si può dire, una sorta di esposizione sintetica del racconto evangelico. Nei

ventisei scomparti principali, veniva raccontata la Storia

della Passione, nella predella le Storie dell’infanzia e della vita pubblica di Gesù, mentre nel coronamento gotico sovra-stante la pala trovavano posto sedici pannelli

con le Vicende della Vergine e del Cristo Risorto. L’intero spartito della testimonianza

evangelica veniva esposto nel centro focale della celebrazione liturgica. La concezione

soggiacente a questo vero e proprio strumen-to liturgico, come a molti altri diffusi nelle

chiese di questo tempo, era l’impossibilità di entrare nelle profondità del mistero cristiano senza transitare pazientemente lungo il sen-

tiero della vita del Maestro. Un altro modo di suggerire la necessità di stare,

anche nel presente, sulle tracce della storia umana di Gesù.

Le folle e i discepoli

Duccio di Buoninsegna, La Maestà, 1308-1311Museo dell’opera della metropolitana, Siena

L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO ORDINARIO - SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA - IL TEMPO ORDINARIO - SEGUIRE E IMITARE GESU

Page 19: Voce per la Comunità

19

L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA- IL TEMPO ORDINARIO - SEGUIRE E IMITARE GESU’ - L’ANNO LITURGICO RISCOPERTO IN FAMIGLIA - IL TEMPO ORDINARIO - SEGUIRE E IMITARE GESU

creativa-mente per attivarsi in famiglia genitori e figliIl cammino dei discepoli1. Apriamo gli occhi Possiamo simulare due situazioni:a) Un viaggio disorganizzato, senza una guida.b) Un viaggio pensato, gestito, con una meta e con tappe prestabilite.Ci chiediamo:a) Quali sono le differenze tra il primo viaggio e il secondo?2. Attingiamo alle fonti· Leggiamo un brano di chiamata (Mt 4,18-22; Mc 1,16-20; Mc 3,13-19…); ci chiediamo?a) Quale attività stavano svolgendo i discepoli? b) Che cosa dice loro Gesù?c) Che cosa muta nella loro vita?dopo aver letto il conntenuto di queste pagine ci chiediamo: che cosa può voler dire, per noi oggi, seguire Gesù adesso e davvero?3. Celebriamo· Come famiglia facciamo percepire la differenza tra giorni feriali e festivi.· Precediamo i nostri figli a Messa. Invitiamoli ad individuare quale è il regalo che, di domenica in domenica, il Padre ci fa.4. Ci attiviamo· Rappresentiamo con oggetti i vari momenti della giornata (il letto, il banco di scuola, la tavola, il luogo di lavoro). Proviamo a mescolarli. Poi facciamo il gioco di ricomporli.· Rappresentiamo le varie stagioni dell’anno. Proviamo ad inserirvi i frutti caratteristici ed i sim-boli delle varie feste.· Osserviamo insieme le immagini evangeliche che ci sono nella Pala di Duccio di Boninsegna. Notiamo che si compongono in forma di storia.· Creiamo un album. Mettiamo un titolo: “Il tempo in compagnia di Dio”. Nei vari fogli in cello-phane, di domenica in domenica inseriamo:a) Un’immagine presa dal Vangelo.b) La figura che predomina c) Gli eventuali personaggi delle parabole.d) Inseriamo poi, lungo la settimana, i fatti salienti.· Creiamo un album. Mettiamo un titolo: “Il tempo in compagnia di Dio”. Nei vari fogli in cellophane, di domenica in domenica inseriamo:a) Un’immagine presa dal Vangelo. b) La figura che predominac) Gli eventuali personaggi delle parabole. d) Inseriamo poi, lungo la settimana, i fatti salienti.e) Di domenica in domenica spostiamo in avanti una bandierina. Valorizziamo, come preghiera, l’invocazione che compare nel Vangelo.

consapevole. La fede nel Cristo Risorto richiede questo grado di coscienza. Uscire dalla folla dei generici devoti della religione, per entrare nel nu-mero di coloro che hanno occhi per riconoscere «la parte migliore». La liturgia ha nel Tempo Ordina-rio uno degli strumenti più precisi per rendere pos-sibile questo itinerario. Ogni anno il tirocinio ri-comincia. Per chi ha perduto buone occasioni. Ma anche per chi, avendole colte, ne vuole rinnovare l’incanto.I frutti della fedeltàQuesto ciclo di domeniche, compreso in questo modo, non ci può più apparire una catena di ce-lebrazioni estemporanee e intercambiabili. Molti credenti immaginano ancora la liturgia domeni-cale come una prestazione devozionale chiusa in sé stessa. Le domeniche del Tempo Ordinario ri-cordano invece che l’insieme delle liturgie forma un itinerario coerente i cui passi costruiscono un cammino efficace soltanto se percorso con fedeltà. D’altra parte la coerenza dell’itinerario può essere un cammino attraente soltanto se essa viene messa in luce da un modo sapiente di celebrare. Per esem-pio evitando il più possibile il moltiplicarsi, nel-la Messa della domenica, di invadenti intenzioni d’occasione (la domenica dello sportivo, quella dei caduti, la giornata della scuola, quella dell’infan-zia). La liturgia domenicale non può trasformarsi

nel contenitore di cause che possono e devono es-sere accudite altrove. Piuttosto la sapienza cele-brativa dovrebbe saper dare un’effettiva natura di itinerario a partire da una predicazione capace di mostrare la logica di continuità nella Parola propo-sta di domenica in domenica. I brani della Scrittu-ra, letti nella liturgia, non sono adorabili citazioni momentanee. La forma di lettura continua, spe-cialmente nel caso del Vangelo, invita anche a porre ogni ascolto dome-nicale nell’incremento progressivo di un percor-so più generale. L’ascolto di questa domenica è lo sviluppo di quello della domenica precedente e prepara al senso di quella successiva. Qui, predi-catori e ascoltatori, sono chiamati da appassionati discepoli ad una comune fedeltà, attraverso la qua-le poter confessare con la prontezza di Pietro «Tu sei il Cristo»

Page 20: Voce per la Comunità

20

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio-

I gesti della fede

RECARSI AL TEMPIO

LA FEDE HA I SUOI GESTILa fede ha le sue feste. Lo abbiamo visto nel percorso presentato nei notiziari precedenti. La fede ha i suoi gesti. Attraversano tutta la sua esistenza anche feriale. Nelle prossime pagine li enu-meriamo e li mettiamo in fila: recarsi al tempio, entrare, fare il segno della croce, battersi il petto, accogliere la Parola, stare in piedi, inginocchiarsi, adorare, benedire, spezzare il Pane, invocare il Signore. Di ognuno di questi esprimeremo la valenza antropologica, biblica, liturgica.

MA IL TEMPIO DOV È?Ai suoi tempi, quest’opera era il ca-polavoro. Ci potevi stare davanti an-che due ore e venir via con la sensa-zione di non aver visto tutto: uomini, cavalli e un campionario di bestie esotiche che vanno dalle scimmie al dromedario e al leopardo. Senza dimenticare il falco, la ghiandaia e tutte le bestie domestiche. E se le stoffe e i ricami sono la tua passio-ne, ti potresti divertire un mondo a scoprirli e a ricercare il complicato e genialissimo modo con cui il pittore è riuscito a renderli: impasti di colle e gessi lasciati in rilievo, foglie d‘oro e d’ argento, graffiature di pennino, velature traslucide, date a più ripre-se con il pennello. E proprio al chiudersi dello stile me-dievale, nel cosiddetto Gotico fiori-to, il pittore è riuscito a trattenere tutto quello che di fiabesco quello stile era riuscito a conquistare, so-prattutto la capacità di narrare una storia come in un film; nel nostro caso: l’apparizione della stella ai Magi, il loro mettersi in marcia, vari momenti del loro cammino e, final-mente, il loro arrivare alla grotta.

Ma anche: la curiosità quasi scientifica di descrivere animali rari, la pace o la lotta tra loro, certe visioni dall alto che vanno al di là di ogni prospettiva, il tono fiabesco che lascia al cielo il colore dell’oro. Ma la grotta? Dov’è il tempio santo a cui tutto il corteo è diretto? A parte l’architettura che sa di puro dettaglio descrittivo, se tu con una mano riesci a proteggere il primo piano da tutto il resto, la cosa si fa commovente. Saranno anche vanitosi quei tre Magi (dei vestiti così sono il massimo della ricchezza), ma ora il loro volto si fa concentrato.Uno è già in ginocchio. E non lo fa per scherzo. Gli altri sono semplicemente commossi. Maria e Giuseppe sono stupiti e accoglienti. Il piccolo Gesù ha trovato divertente la testa calva del primo degli offerenti. Ma non sta scherzando. Ha già pensieri più grandi di lui. Anche tu ora, sempre protetto dalla mano che ti isola dal traffico e dalla curiosità (fatta comunque di tanto splendore), puoi portarti sull essenziale, anche tu puoi entrare in raccoglimento.

Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi, 1423Olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi

Page 21: Voce per la Comunità

21

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio-

Percorso biblico

LA PARABOLA DEI CERCATORI DI DIOCon la sua opera Adorazione dei Magi Gentile da Fabriano ci rac-conta una storia precisa, il viag-gio dei Magi. Lo seguiamo passo passo, scoprendone la valenza simbolica.

Gentile da Fabriano, con la sua opera Adorazione dei Magi, ci racconta un viaggio (cf Mt 2,1-11). Lo fa con le modalità di un film. Possiamo agevol-mente seguire le varie fasi. Lì dentro c’è un esperienza particolare (quella dei Magi) ma, contemporaneamente, c’è il percorso dei cercatori di Dio. Raccontandolo, noi siamo in grado di

rimarcare tanti gesti della fede.I Magi vedono la stellaIl percorso dei Magi (e dei cercatori di Dio) comincia con qualcosa di mag-matico. Da una parte, in negativo, c è l’insoddisfazione di sé, del provvi-sorio, del normale. In positivo si vive una ricerca profonda, insaziabile.Nel cuore dell’uomo c’è la nostalgia di Dio. Lo Spirito Santo l’ ha collocata in questo sacrario che è la coscienza. Si hanno i beni, ma si cerca il bene. Si vede la morte, ma non ci si arrende. Si vivono tanti incontri, ma si vuol vedere il Totalmente Altro. Una luce appare in cielo. Forse è un fenomeno astrale. Forse è un evento. Forse è un contatto con una tradizione religiosa.Si alzano gli occhi al cielo, si supera il risaputo. Si decide di partire. Ci si erge, ci si incammina. Lungo la via si incontrano altri. Si forma una vera e propria processione. Possiamo darle un nome: religione. È il tentativo di interpretare globalmente la realtà. È un insieme strutturato di credenze, riti, osservanze etiche.I Magi arrivano a GerusalemmeI tre decidono, per aver risposta alle loro domande interiori, di rivolgersi ad una tradizione precisa, quella di Israele. A questo punto la religione può diventare fede. Viene loro aper-to un libro, il Primo Testamento. Esso è memoria delle meraviglie del Dio

vivente.I Magi giungono a BetlemmeI Magi non si fermano a Gerusalem-me. Non entrano nel tempio. Resta per loro aperta la domanda: Dov’è il re dei giudei? Ecco la sorpresa. Gen-tile da Fabriano ce la mette sotto gli occhi. Il grande serpentone di perso-ne, animali e bagagli ha un terminale preciso: il bambino Gesù. È lui la stel-la che orientava già dall’inizio il per-corso. Ecco dei gesti molto espliciti compiuti dai Magi (e da noi cristiani): inginocchiarsi, adorare, offrire doni.Come si vede dal dipinto di Gentile da Fabriano, il percorso non va verso l’alto (un monte, un tempio), ma ver-so il basso. Raggiunge il Dio piccolo piccolo. Alla fine non c’è un edificio: c’è Maria che presenta suo figlio. Ci sembra di vedere tante facciate delle nostre chiese in cui c’è la Vergine che tiene in braccio Gesù e quasi lo porge a chi arriva.Ci pare di sentire l’annuncio dell’an-gelo alle donne: Voi cercate Gesù di Nazareth; non è qui; è risorto. An-date dai fratelli, là lo vedrete! (cf Mc 16,7; Mt 28,7).Per la fede cristiana è una comunità a funzionare da luogo dell’appunta-mento. I Magi trovano una casa, una grotta, ma, soprattutto, una famiglia (Maria, Giuseppe, altre donne).

Lorenzo Lotto (1480-1556)Presentazione al tempioLoreto, delegazione Pontificia per la Casa

HA TROVATO CASA NEL SANTUARIOCon questa tela, Lorenzo Lotto ci saluta alla vigilia della sua partenza da questo mondo. L’ultima ope-ra di un grande artista ne è anche il testamento. C’è tutto di lui e c’è anche molto di quello che ver-rà. Chi non la direbbe infatti un quadro del Goya (1746- 1828), di quel Goya ancora insuperato nel dar corpo ai sogni e agli incubi, che solo la nostra generazione contemporanea saprà riconoscere? Ebbene, il finissimo lettore dell’anima, il pittore ca-pace di captare la zona misteriosa in cui la presenza demoniaca insidia l’irruzione della grazia, l’inven-tore di luci estreme e di colori tersi, assordanti e insieme dissonanti, l’uomo capace di anticipare ogni modernità con deformazioni e allungamenti che i contemporanei non possono capire è capace di ripresentare una grande scena strutturata su un impianto volutamente ancora medievale, ebbene questo Lorenzo Lotto ha trovato la pace dell anima alla Santa Casa di Loreto, dove si è fatto oblato.Dipinge anche i letti degli ammalati. Ha trovato casa in tutti i sensi. Le sue inquietudini, le incom-

Page 22: Voce per la Comunità

22

prensioni che non l’hanno mai voluto fra i grandi di Venezia, la povertà, forse dovuta alla poca capacità di gestirsi, ora tacciono. Lui va avanti e indietro dal tempio, passando dalla porta privata degli oblati. Quante volte ha visto spalancarsi il portone laggiù in fondo ed entrare i primi pellegrini!Oggi egli si immagina di aver visto entrare Maria e Giuseppe con il Bambino. E allora fa suo il canto di Si-meone che lo sta intonando giù sotto: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace . Lorenzo, con il vestito dell oblato (di colui che ormai si è consegnato per sempre) e con l’umile cappuccio in testa, ci saluta da lassù, da quel sopralzo dove le pareti sono ornate con tele ancora tutte da pitturare. Ma resteranno vuote, resteranno così come sono, perché la realtà ultima gli sta per apparire sostituendosi alle figure che nella sua vita di pittore gliel’avevano preannunciata.E per dire ciò gli bastano pochi tocchi, poca materia, poco tutto perché sta arrivando il grande tutto.

Vademecum liturgicoIL TEMPIO IN PIETRAAnche nella religione cristiana ci sono i templi. Come si caratterizzano? Quale funzione svolgono?

Casa di Dio?Il tempio dei cristiani non è lo spazio della divinità. Così era per le religioni di Atene e di Roma. Il Dio vivente soffre la claustrofobia. È in perenne cammino con il suo popolo (2 Sam 7,6). Il suo spazio è il cosmo, il suo am-bito è la storia (cf 1Re 8,27). Il tempio dei cristiani è lo spazio della comunità. Permette ad essa di essere Ec-clesia, convocazione. In questo senso è nella linea della sinagoga.Permette ai discepoli di incontrarsi, vedersi bene, sinto-nizzare voci e gesti, udire contemporaneamente la Pa-rola, spezzare lo stesso Pane, condividere lo stesso Vino.

Luogo dell incontroIl tempio ha uno sguardo sul passato. Aprendo il lezio-nario, udendo la Scrittura, i discepoli fanno memoria di altri luoghi o spazi di incontro tra il Dio vivente ed i credenti: il roveto ardente (Es 3), la tenda nel deserto (Es 26,36), l’arca (1 Sam 4-6), Betel (Gdc 20,27), Silo (1 Sam 3,3), il tempio di Salomone (cf 1 Re 8)

Simbolo del Risorto e della ChiesaIl tempio ha un insistenza sul presente. In questo sen-so è Epifania del Risorto. Ogni oggetto, ogni elemento lo rivela: la mensa, il crocifisso, pane e vino, l’ambone, la sede del presidente dell’assemblea. Tutto celebra la sua personale presenza (SC 7). Non si va al tempio per scongiurare una divinità assente. Ci si reca lì in rispo-sta all’invito: Venite in disparte e riposatevi un pò (Mc 6,31). O, meglio ancora: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo; prendete e bevete questo è il mio sangue .Il tempio è epifania della Chiesa. La manifesta in tutto il suo splendore: terrestre, ma destinata al cielo, una e

molteplice nei ministeri, visibile, ma simbolo di realtà invisibili (cf SC 2).

Figura della Gerusalemme del cieloIl tempio ha uno sguardo sul futuro. Non ci sarà nell’aldilà. Fa sentire la nostalgia del cielo, ove Gesù sarà la luce per tutti, pane per ogni popolo, acqua per ogni sete, albero della vita.Nel tempio si conosce il Risorto come in uno specchio. I riti, con la loro ripetitività, educano i nostri occhi a vedere Dio faccia a faccia (2Cor 5,1- 10). Il tempio è dimora provvisoria. Dà proprio l’idea della vita come pellegrinaggio.Nel cuore, una mensaIl tempio dei cristiani ha, nel suo cuore, una mensa. In questo senso rappresenta una novità assoluta ri-spetto alla sinagoga. C’è quindi una progressione tra i vari elementi: la facciata fa intravvedere una storia,

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio-

Page 23: Voce per la Comunità

23

TRAMATE CON NOI - per attivarsi in famiglia genitori e figliFACENDO SI IMPARAAttivitàDa svolgere preferibilmente con i bambini:Guardiamo insieme in famiglia l’ immagine l’Adorazione dei Magi.Ci chiediamo:Quali sono le tappe del viaggio? Dove si fermano? Dove arrivano? Che cosa fanno appena giun-gono a destinazione?Rispondiamo sulla modalità del diario di bordo. Infine disegnamo il percorso.Guardiamo l’ immagine Presentazione al tempio di Lorenzo Lotto.Contemporaneamente leggiamo Lc 2,22-40. Ci chiediamo: Quali i personaggi del quadro? Come è rappresentato il pittore? Che ci vanno a fare al tempio Maria e Giuseppe? Chi incontrano? Che cosa dice loro Simeone?Come vive, al tempio, la profetessa Anna? Ci sono spazi vuoti, tele bianche: che cosa potrebbero rappresentare ?La pedagogia dei segniI gesti sono più eloquenti di ogni discorso. Danno un approccio vitale, globale:Prima di partire, preghiamo anche noi con il salmo 42,2-7.Vestiamoci a festa. È il modo di esprimere tutto ciò che di bello Dio prepara per noi.Arrivati al tempio (chiesa), puntiamo direttamente verso il segnale che ci manda la lampada del Santissimo. Facciamo una profonda genuflessione. Invitiamo i bimbi ad inviare un bacino a Gesù.Poi facciamo il giro della chiesa. Non perdiamoci in lunghe spiegazioni. Gli occhi dei bimbi sia-no la nostra guida. Rispondiamo brevemente alle loro domande.● Collochiamo le immagini dei santi sul cruscotto della macchina o sul comodino dei nostri figli.● Sul calendario appeso al muro segniamo, giorno dopo giorno, il nome del santo.● Componiamo una corona: poniamo Cristo al centro. Attorno, in forma di girotondo, collochia-mo Maria, gli angeli, i santi.

la porta introduce, il fonte battesimale è prima esperienza della Pasqua, l’ambone apre le orecchie ed il cuore, la Mensa eucaristica rende partecipi del Corpo e Sangue del Signore.

Pietre vive costruite dallo SpiritoIl tempio dei cristiani non è né sacro, né santo. La sua effica-cia non dipende dai marmi, dal disegno architettonico, ma dallo Spirito Santo. Funziona nella misura in cui i discepoli sentono diretta a sé la frase di Paolo: il tempio di Dio siete voi (1Cor 3,16).Nelle persone credenti lo Spirito è di casa (cf 1Cor 6,19). La stessa accentuazione ci viene dalla catechesi ai neofiti conte-nuta in 1Pt: Pietre vive siete voi, costruiti come un edificio spi-rituale (1Pt 2,4). Questo porta con sé un altra affermazione.Tutti i gesti che ivi si compiono (fare il segno della croce, con-giungere le mani, inginocchiarsi, adorare, condividere pane e vino) sono funzionali al glorificare Dio nel corpo (1Cor 6,20), offrire se stessi nell’oblazione della carità (Rom 12,1), cingere il grembiule, servire Dio nei fratelli (Gv 13).

Celebrare

NOSTALGIA DEL TEMPIO Come la cerva anela

ai corsi d acqua,così l’anima mia anela

a te, o Dio. L’ anima mia ha sete di Dio,

del Dio vivente:quando verrò e vedrò

il volto di Dio? Le lacrime sono il mio pane

giorno e notte,mentre mi dicono sempre:

«Dov’ è il tuo Dio?». Questo io ricordo

e l’anima mia si strugge:avanzavo tra la folla,

la precedevo fino alla casa di Dio,fra canti di gioia e di lode

di una moltitudine in festa. Perché ti rattristi, anima mia,

perché ti agiti in me?Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,

lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

[Sal 42,2-6].

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Recarsi al tempio-

Page 24: Voce per la Comunità

24

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare

VERSO LA LUCE DELLA NAVATAUn abbraccio così te lo sognavi da sempre. Dalle mani aperte di questo allungatissimo Cristo seduto in gloria, partono dodici raggi che vanno a po-sarsi sugli Apostoli, innescando, con l’aiuto della circolarità del timpano, un movimento rotatorio che va a distendersi sull’architra-ve lungo la quale tutta l’umanità è in processione verso l’unico ovile. È la visione che riguarda la fine dei tempi. Quelli erano i tempi delle crociate (qui nel 1146 Ber-nardo di Chiaravalle predicò la seconda crociata). Era il tempo del grande pellegrinaggio a Santiago di Compo-stela (e Vezelay ne era una tappa importante). Ma qui siamo alla fine di tutto, quando tutto sarà di Cristo e Cristo consegnerà tutto al Padre. Te lo garantisce Pie-tro il Venerabile che, essendo priore al tempo della co-struzione del portale, ne è stato anche l’ideatore, prima

di passare come abate a Cluny. Lui è riuscito a sintetizzare mille anni di annuncio della fede cristiana, senza nascondere le lotte della luce contro le tenebre. Senza nessun trionfalismo. Lo sapeva anche Bernardo che, per far ripartire il mondo, bisognava riattingere alla forza dello Spirito. Lui la crociata la pensava così: come un grande movimento di conversione al Cristo. Hanno prevalso altre logiche. Ma qui è rimasta la grande visione della fine, detta in quello stile romanico che più di tutti sa unire il più ardito misticismo ieratico con il più drammatico dei realismi. I popoli ci sono tutti, anche gli Sciti, che, per sentito dire da fantasiosi narratori, avevano le orecchie grandi. E qui ci siamo anche noi. Qui, davanti a questo timpano, protetti dal grande porticato (il nartece) che ci fa da camera oscura, veniamo proiettati, attraverso il filtro di questa scultura, verso la luce della navata e del presbiterio, la luce più chiara che si sia mai vista in una chiesa. Fuori può esserci il sole o potrebbe anche piovere. Qui comunque ti trovi nel bianco assoluto, che è la somma perfetta di tutti i colori. Non riesci a entrare in questo spazio senza trattenere il fiato. Per fortuna senti che stanno celebrando. Per fortuna puoi riprendere a respirare. Altrimenti diresti: ma come ho fatto a trovarmi di colpo in Paradiso? E quand’è che sono morto? Troppo bello per non volerci ritornare.

* * * * * * Percorso biblico

ENTRARE, NON ENTRARE: QUESTO È IL PROBLEMA!La porta unisce il “dentro” e il “fuori”. La porta separa. L’ entrare è un’opportunità; l’attraversare la soglia è un rischio. Il nostro percorso biblico, stavolta, non è lineare. Procede per flash, individuando alcune situazioni presenti nel NT. Così intende porre in rilievo ciò che si gioca in questo “attraversamento”.Entrare, cioè rischiareCi mettiamo anzitutto nei panni di Simon Pietro, secondo quanto ci narra Atti 10. Egli è stato indotto (suo malgrado) a recarsi a Cesarea al Mare. Ora è davanti alla porta della casa del centurione Cornelio. L’ interrogativo è: entrare? Non entrare? Da una parte sente il fascino di un’avventura. Si tratta di una soglia nuova per l’Evangelo, per la Parola. D’altra parte, dentro di lui, ci sono pesi, resistenze, paure. Quello è uno spazio impuro. Entrando viola una legge. Se lo verranno a sapere altri, che succederà?Si decide ad entrare. Con sua enorme sorpresa scopre che lo Spirito è già all’opera. Ha preceduto l’istituzione. Simone sigilla tutto questo battezzando Cornelio e la sua famiglia. Entrare è compromettersi; è voler condividere ciò che lo Spi-rito vuole compiere. Si tratta di una vera e propria emigrazione.Dentro o fuori?La porta non è un qualsiasi elemento di un edificio. Lo vediamo bene mettendoci nei panni delle dieci vergini (Mt 25,1-11). Tutte arrivano con le fiaccole; tutte aspettano fuori; tutte si assopiscono. Alcune non hanno sufficiente riserva di olio. Vanno a comprarne. Lo sposo arriva. Le 5 sagge entrano. Giungono poi le altre. Bus-sano con insistenza. La risposta

La missione degli apostoli, 1120 ca Vezelay, Sainte-Madeleine, Portale Ovest, timpano

I gesti della fede

ENTRAREPORTA APERTA CUORE SPALANCATO

Page 25: Voce per la Comunità

25

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare

è una delle frasi più dure del NT: “Non vi conosco”. Dentro c’è la luce, la festa, lo sposo. Fuori c’è tenebra, pianto. L’intero capitolo ci dice con Gesù che il “dentro” o il “fuori” non sono né di tipo spaziale, né di tipo cultuale. Sono esclusi anche quelli che hanno mangiato e bevuto con Gesù o hanno profetato nel nome del Signore. Il criterio è “Mi avete riconosciu-to nell’indigente; vi riconosco. Venite con me dal Padre. Non mi avete riconosciuto; via da me nel fuoco eterno” (cf Mt 25,31-46).Accettare il vero Dio, accettare il fratelloUn altro nodo ci viene presentato nella parabola del padre (Lc 15,1-2.11-32). Il figlio minore se ne va. Sbatte la porta. Cerca la vita altrove. Percorre una via di progressivo decadimento. Arriva alla constatazione: “Io qui muoio di fame!”.Prende la decisione: “Mi alzerò, tornerò da mio padre”. Ripercorre la via a ritroso. Il padre lo vede, si commuove, gli corre incontro, lo bacia, lo abbraccia. Per lui dà una festa. Il figlio maggiore è fuori, nei campi. Si vedrà dal seguito che l’anno-tazione non è di tipo spaziale. Considera Dio come capo (ho eseguito ogni tuo ordine), come padrone (ti servo da tanti anni). A lui si è legato in termini contrattuali (tu non mi hai dato…). “Uccide” suo fratello, lo inchioda al suo passato. Il pa-dre lo invita ad entrare in modo che accolga il suo orizzonte: lui è padre per tutti e due; stare con lui è vivere. La parabola si chiude al versetto 32: sarà entrato il fratello maggiore?Se a bussare è DioNell’ultimo libro della Bibbia, la posizione è rovesciata. È Dio che, in Gesù risorto, visita la casa dell’uomo. Si arresta ri-spettoso di fronte alla porta. Noi abbiamo la maniglia. Il Risorto mostra il massimo rispetto delle scelte dell’uomo. Se gli apriamo, egli entra, cena con noi, ci fa partecipi della gioia del Padre (Apoc 3,21).

UNA STORIA IN 10 PUNTATE La porta di casa è un vero e proprio biglietto da visita. Questo avvie-ne soprattutto per le chiese che sono “la casa” per eccellenza. Tutto quello che avviene dentro la Chiesa, tutta la Storia santa, tutti i misteri celebrati, tutti i santi di cui si conserva particolare memoria, tutto vorrebbe essere an-ticipato su quei due battenti che, aprendosi, ti immettono nello spazio e nel tempo della liturgia e, restando chiusi, restano un richiamo visivo che si pre-sta all’istruzione delle nuove generazioni. A Santa Sabina in Roma è proprio su una formella della porta d’ingresso che troviamo uno dei primissimi Croci-fissi, segno chiaro di confutazione di ogni teologia che metteva tra parentesi l’umanità di Cristo. Tra le tante porte, abbiamo scelto quella del “Paradiso”. Si tratta della porta est del Battistero di Firenze. Quando, nel 1401, l’Arte di Cali-maia, che aveva il patronato sul Battistero, bandì un concorso per la seconda porta (la prima, la porta nord, era già stata realizzata da Andrea Pisano), ci fu una gara da urlo: Filippo Brunelleschi, Jacopo della Quercia, Donatello (ma aveva solo 15 anni e quindi…) e Lorenzo Ghiberti furono tra i partecipanti. Vinse quest’ultimo, il meno moderno. Lavorò con tanta passione che, finita quella porta (21 anni di lavoro), si vide assegnare anche la porta est. Ormai aveva assimilato anche lui le novità del prepotente umanesimo che si era an-dato affermando con grande entusiasmo a Firenze. Lo stesso Michelangelo definirà questa porta come la Porta del Paradiso. È detta così ancora oggi per la sua bellezza e per il suo affacciarsi sulla Cattedrale, che è S.Maria del Fiore. Le formelle sono 10: Adamo e Eva; Caino e Abele; Noè; Abramo; Isacco, Esaù e Giacobbe; Giuseppe; Mosè; Giosuè; Davide; Salomone e la Regina di Saba. Evidentemente un teologo aveva scelto i temi e aveva tenuto presente che la vita di Gesù era già stata svolta sulle altre due porte. Come dire: tutta la Bibbia in sintesi. Tanto piacque la Porta del Paradiso (27 anni di lavoro) che al settantasettenne Ghiberti si chiese di rifare la Porta di Andrea Pisano. Ci pen-sò la morte a porre termine a questo progetto, accettato con entusiasmo dall’artista.

Vademecum liturgicoIL PASSO DECISIVOTutte le porte hanno una loro precisa valenza simbolica. Quella dell’edificio chiesa che cosa esprime? Ecco un itinera-rio per varcare quella soglia.Questa storia è la tua!Prima del tuo “sì” al culto, ci vuole il tuo “sì” alla fede. Prima del precetto (vai in Chiesa!) ci vuole la scoperta lucida, adulta che ci sia per te qualcosa di grande da celebrare.Occorre che qualcuno (un nonno, un genitore, un catechista, un prete, una comunità) ti racconti una Storia. È quella che Lorenzo Ghiberti ha scandito in 10 formelle nella Porta del paradiso. È la graduale discesa di Dio tra

(Lorenzo Ghiberti, La Porta del Paradiso, Battistero di Firenze)

Page 26: Voce per la Comunità

26

gli uomini. L’abbraccio avviene in Gesù crocifisso e risorto.Varcando la soglia del tempio, sen-tirai che quella storia ti raggiunge, illumina i tuoi giorni. Ti apparirà come trama di tanti fili che ti colle-gano con altri uomini.Quella storia ti verrà raccontata nelle Letture con la stessa cadenza:- progetto, realizzazione- promesse, adempimento- prima e seconda alleanza- vaghi bagliori e luce piena in Cri-sto.Darai la tua adesione ad essa nel Credo. Poi quella stessa vicenda ti

apparirà condensata in un Pane da spezzare e in un Vino da condivide-re, nella seconda parte della Mes-sa.Deciditi per Cristo!Sei tra i cercatori di Dio. Assomigli ai Magi (cf prima scheda). Cogli i mille segnali dell’Altissimo (il crea-to, l’uomo, l’arte…). Forse procedi a tentoni (At 17,27). In quella Storia che ti è stata raccontata, ti è stato dipinto dal vivo Gesù (Gal 3,1). Egli non solo ti parla di Dio, ma ti intro-duce da lui. Egli è la via (Gv 14,6). Lui è la porta (Gv 10,7). Se lo at-traversi, raggiungi il Padre. In quel

passo dall’esterno all’inter-no esprimi il tuo schierarti con lui.Quante volte puoi farlo in vita?- Quando ti portano in braccio per il Battesimo, ti danno un nome nuovo e vieni inserito in Cristo come un tralcio alla vite;- quando il vescovo sigilla la tua fronte, ti conferma mediante l’unzione del-lo Spirito, ti colloca in una Chiesa precisa;- quando partecipi alla mensa del Corpo e Sangue di Cristo;- quando ti sposi o vieni ordinato sacerdote o fai la professione dei voti;- quando i fratelli nella fede ti consegnano a Cristo per varcare l’estrema soglia ed essere introdotto nella

casa del Padre.Sotto il segno del pastoreOgni volta varchi quella porta con timore e tremore.Entrando ti senti sotto il giudizio del Figlio dell’uomo, pastore uni-versale (cf Porta di Vezelay).Se ti lasci guardare da lui, dai suoi angeli, ricevi la luce, viene la verità sulla tua vita.Come Simon Pietro a Cesarea (At 10), lasciati sorprendere. Quel pas-saggio non ti lascia indenne!- Entri uomo ed esci fatto partecipe della natura divina.- Sei figlio di Giona, sei giudeo. Lo Spirito ti spalanca gli orizzonti del Padre. Ti fa sentire dentro l’abbrac-cio universale.Entra nella gioia del tuo Signore!Se guardi la porta spalancata del duomo di Vezelay, forse ti risuona-no queste frasi del Vangelo: “Tut-to è pronto, venite alla festa” (Mt 22,4). O, in modo più esplicito, “Prendete il mio corpo, bevete il mio sangue”. Si riferiscono tutte al tempo presente, alla stagione del-la fatica, del peccato. Sono sempre espressioni del Dio che vuole che i figli siano tutti “dentro”.Entrando tu ricevi tutto. Ma la stes-sa porta spalancata, ti fa memo-ria di altre frasi che si riferiscono alla sera della vita: “Prendi par-te alla gioia del tuo Signore” (Mt 25,21.23). Alle porte della morte, che il Risorto ha reso penetrabili, ci sarà lui a prenderti per mano e consegnarti a Dio (Apoc 1,17).

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Entrare- I GESTI DELLA FEDE

Tramate con noi

L’INGRESSO COME RITOAttività da realizzare in famiglia

Simuliamo situazioni tra loro opposte:-Trovare una porta aperta, oppure trovarla sbarrata;- Avere chi ti accoglie; non trovare nessuno quando arrivi.Che cosa succede nei due casi? Che cosa cambia?Giochiamo ad - Arrivare ad una porta - Oltrepassarla- Bussare e trovare chi ci accoglie- Bussare ed essere respintiGuardiamo la prima immagine e leggiamo il commen-to. Proviamo a scrivere le frasi che ci suggerisce la porta di Vezelay (Vieni, sei atteso…)-Proviamo a mettere queste frasi in bocca a Dio e alla Chiesa.

-Organizziamoci per l’accoglienza alla porta della Chiesa.La pedagogia dei segniC’è un galateo dell’ingresso. Ecco alcune modalità:● Non diciamo mai ai figli “Andate a Messa”: precediamoli!● Vestiamo i bimbi a festa. È così che Dio li vede.● Arriviamo per tempo.● Procuriamoci il libretto dei canti..● Segnamoci con il segno della croce, immergendo la mano nell’acquasantiera.● Valorizziamo il tempo del silenzio dopo l’invito all’esame di coscienza e prima di pregare.● In questa pausa esprimiamo il perdono a chi ci ha offeso.

Page 27: Voce per la Comunità

27

CONOSCIAMO

I DOCUMENTI DEL VATICANO II ‘ALLA BREVE’

La DV (Dei Verbum) ha in comune con la LG (Lumen Gentium) la vicenda iniziale, perché anche qui lo schema preconciliare De fontibus revelationis è stato respinto nel primo periodo del Concilio e se ne è chiesta una redazione diversa con una Commis-sione rinnovata e con finalità analoga a quella del rifacimento del De Ecclesia: che si riducesse lo scon-tro in atto da 4 secoli con il mondo protestante. Sic-come questa costituzione sembrava meno urgente di quella sulla Chiesa, essa è stata approvata l’anno seguente, nell’ultimo mese del quarto periodo con-ciliare. Si concludeva in tal modo quel movimento biblico-patristico-scolastico che per un secolo aveva caratterizzato, a volte in modo burrascoso, il mondo cattolico. Siccome i sei capitoli che la compongono rivelano uno stile essenziale e ben connesso, se ne può riassumere facilmente l’esposizione. Dopo d’aver ricordato i concili Tridentino e Vaticano I (1), il cap.I si dedica al tema della Rivela-zione, desunta dalla creazione in senso lato e dalla rivelazione in senso stretto (2-6), che con ‘eventi e parole’ si propone di integrare le nozioni piuttosto intellettualistiche di rivelazione e di fede fornite dal-la Dei Filius nel Vaticano I: in tal modo è messa in chiaro la complementarietà fra i due concili e il pro-gresso evidente nella comprensione ecclesiale del dogma. Per spiegare la ‘trasmissione della divina ri-velazione’ il cap. II passa a trattare della Tradizione (7-10), cominciando da quella apostolica, che conti-nua nelle successive generazioni per mezzo del Ma-gistero vivo, interprete autoritativo della Sacra tra-dizione e della Sacra scrittura: la connessione stretta di queste tre realtà garantisce l’autenticità della Pa-rola di Dio.

Il cap. III spiega (11-3) perché esiste un’inti-ma relazione fra l’Ispirazione divina e l’interpretazio-ne della Sacra scrittura: il fatto che Dio abbia ispirato la Scrittura non deve far dimenticare che gli agiografi sono dei veri autori, con quanto ne consegue per gli studi storico-critici, da non opporre sistematicamen-te alla lettura fatta con il carisma della fede, anche se possono esserci a volte serie difficoltà nel ricerca-re l’armonia fra scienza e fede. Il cap. IV (14-6) è dedicato all’Antico Testa-mento, che con i 21 libri storici e i 25 didattici man-tiene un alto valore di contenuto e ‘pedagogico’ per gli stessi cristiani, se questi si persuadono con i santi Padri che “Novum Testamentum in Vetere latet, Ve-tus in Novo patet”. L’ eccellenza del Nuovo Testamento è prova-ta nel cap. V (17-20) con il riferimento al mistero di Cristo, culmine della Rivelazione divina. Lo schema di lettura dei suoi 27 libri è sugge-rito, mettendo in primo luogo i 4 Vangeli, e prenden-do i restanti scritti apostolici come una conferma di quanto vi si afferma sull’esistenza storica di Cristo. In tutte le epoche la Chiesa ha sempre insistito sul fatto che l’atto di fede si fonda su fatti comprovati, e non su miti e leggende. L’ultimo capitolo, La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa (21-5), porta verso le conclusioni pa-storali più ovvie: raccomanda le traduzioni, che sin dall’antichità (Settanta, Peshitta, Vulgata) hanno ca-ratterizzato la diffusione della Bibbia, gli studi biblici e patristici che devono permeare la stessa teologia e soprattutto la lettura spirituale delle Scritture, dal momento che il ‘tesoro della rivelazione’ in esse contenuto è equiparabile soltanto a quello ‘eucari-stico’.

La Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione DEI VERBUM (DV)

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II -

Page 28: Voce per la Comunità

28

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II - DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II -

In conclusione, questa Costituzione, dettata da ragioni ecumeniche vòlte ad attutire il secolare dissenso con i Protestanti circa i rapporti fra Tradizione e Scrittura, e soprattutto, la loro interpretazione, mostra quali siano i princìpi cattolici irrinunciabili al riguardo, che si riassu-mono in un profondo ‘senso della Chiesa’. Se vogliamo essere autentici ‘uditori della Parola che salva’, non pos-siamo prescindere dalla Chiesa, che con la sua autorità ha stabilito il Canone delle Scritture, e ne ha conservato il testo con una cura e con una venerazione che non si riscontrano per nessuna delle opere classiche, da Omero a Virgilio, trasmesseci dal passato. Quanto ai documenti conciliari che hanno a che vedere con la DV, ne menzioniamo soprattutto tre: Ad gentes, Nostra aetate e Inter mirifica. Il ‘Decreto sull’attività missionaria della Chiesa’ mostra come essa comincia l’evangelizzazione dei popo-li che ancora non le appartengono mediante la promo-zione dei valori umani e la germinazione dei ‘semi del Verbo’ esistenti in tutte le culture (1-18): tale realtà ec-clesiale incipiente è destinata, grazie al profondo lavoro missionario, a trasformarsi in un’autentica ‘chiesa parti-colare’, con ministri propri e con tutta l’organizzazione indispensabile (19-27). Fin qui il discorso, suddiviso in 4 capitoli, è stato prevalentemente da ‘costituzione’, men-tre negli altri due capitoli si assume un tono da ‘decreto’ per attuare con norme pratiche l’interessante schema ecclesiogenetico proposto (28-42): ciò ricorda anche a coloro che sono nati in ambienti cristianizzati come sia avvenuta in origine la loro evangelizzazione. Anche la ‘Dichiarazione sulle religioni non cristia-ne’ serve per ricordare i princìpi di fondo che guidano il dialogo con le religioni e le culture orientali (1-2), con l’Islam (3) e con l’Ebraismo (4), riprendendo alla fine l’in-vito alla fraternità universale dell’inizio (5). Il ‘Decreto sui mezzi di comunicazione sociale’ ne specifica in un primo tempo il retto uso (1-12) e in un secondo tempo (13-23) raccomanda la spiritualità che deve guidare il comunica-tore cattolico nell’uso di questi mezzi che possono rive-larsi utili per una rievangelizzazione degli ambienti seco-larizzati attuali. Infine, giova ricordare che il XII Sinodo per l’attuazione del Concilio, sintetizzato nell’Esortazio-ne apostolica Verbum Domini del 12.09.2010, ha ripro-posto in tre parti la Dei Verbum alla luce del prologo del IV Vangelo e del suo incipit tanto caro a Benedetto XVI: “In principio era il Lógos”.

I 16 DOCUMENTI CONCILIARI(in ordine cronologico)

Le 4 Costituzioni1. Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (SC)2. “ dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (LG)3. “ dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum (DV)4. “ pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (GS)I 9 Decreti1. Decreto sui Mezzi di Comunicazione sociale Inter mirifica (IM)2. “ sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium Ecclesiarum (OE)3. “ sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio (UR)4. “ sull’Ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus (CD)5. “ sul rinnovamento della Vita Religiosa Perfectae Caritatis (PC)6. “ sulla Formazione sacerdotale Optatam totius (OT)7. “ sull’Apostolato dei Laici Apostolicam actuositatem (AA)8. “ sull’Attività missionaria della Chiesa Ad Gentes (AG)9. “ sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis (PO)Le 3 Dichiarazioni1. Dichiarazione sull’Educazione cristiana Gravissimum educationis (GE)2. “ sulle relazioni della Chiesa Cattolica con le Religioni non-cristiane Nostra aetate (NAe)3. “ sulla Libertà religiosa Dignitatis humanae (DH)

“Se un giorno fra le trincee fosse passato un bambino, chi avrebbe osato sparare? Tra le trincee costruite dalla nostra cattiveria è passato e pas-sa, non soltanto nel giorno di Natale, Gesù , che ha il volto , gli occhi, la grazia incantevole dei nostri bambini. chi oserà sparargli contro?” don Primo Mazzolari, Natale 1931

Page 29: Voce per la Comunità

29

DISCERNERE I SEGNI DEI TEMPI

1. MOBILITÀ TERRITORIALE ED ESIGENZA DI UNA “CASA” Nella nostra diocesi, tra le più ampie a livello territoriale, esistono forti differenze e pluralità culturali, economiche, sociali ed ambientali, tra le valli, la città col suo hinterland e la pianura. L’ap-proccio al tema delle unità pastorali, quindi, deve necessariamente tenerne conto, per non correre il rischio di leggere le diverse situazioni con lo stesso criterio e soprattutto di calare dall’alto soluzioni preconfezionate, senza una riflessione locale adeguata. Inoltre, la forte presenza di immigrati stranieri, specie in città, ha ulteriormente complicato la lettura delle trasformazioni in atto, sia a livello civile che ecclesiale. Si avverte sempre più in tutti, uno scarso senso di appartenenza territoriale, con conseguente difficoltà a radicarsi in forma stabile in un luogo. La parrocchia non è più da tempo “la fontana del villaggio” né tanto meno una “casa comune” in un contesto plurietnico, multiculturale e multireligioso. Da un lato c’è dunque il rischio di vivere una pastorale, per forza di cose, occasionale, che deve però evolvere in una possibilità di incontro, per seminare spunti di grazia, che germoglieranno se e come il Signore vorrà. Occorrerà farsi viandanti sulle strade del mondo per percorrere insieme alle persone tratti di strada e condividere complesse situazioni di vita. Questo richiede che accanto all’impegno dei presbiteri, sempre di più, vengano valorizzati i ministeri, i carismi, le competenze culturali e professionali dei laici, affinché offrano strumenti pre-ziosi nella lettura dei segni dei tempi e nella risoluzione dei problemi del territorio. Esistono fortu-natamente in diocesi esperienze positive (accoglienza alle persone e alle famiglie, agli immigrati e ai giovani) , che possono diventare patrimonio ecclesiale comune.

PER COMPRENDERE

Mentre in un passato non tanto lontano la maggior parte delle persone trascorreva la propria esistenza nell'ambito di un territorio circoscritto (spesso il proprio paese natale), ora la estende nella mobilità personale (non solo viaggi, ma riferimenti quotidiani) e nella mobilità della comunicazione, che porta il mondo in casa (televisione-internet). Un fatto emblematico: oggi - soprattutto, ma non solo, nelle grandi città - per molte persone è più familiare il volto del Papa che non quello del proprio parroco. A questo fenomeno di dilatazione (spesso solo

virtuale, con tutto ciò che ne segue), si aggiunge la frammentazione dei sistemi di riferimento. Il pae-se/quartiere non era solo un’unità territoriale, ma anche riferimento psico-sociale: vero luogo di vita. Oggi, questa unitarietà - rappresentata quasi sem-pre dall’istituzione parrocchiale - si è frantumata.

Le persone stabiliscono relazioni diversificate e non comunicanti, secondo i diversi «luoghi» della loro giornata o settimana (il lavoro, la palestra, la chiesa, lo svago, il fine settimana). Relazioni sepa-

Approfondimento dei vari segni dei tempi, indicati nel testo Co-munità in cammino. Sinodo sulle unità pastorali. Strumento per la riflessione e la consultazione diocesana, Brescia 2011, pp. 33-44.

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

Page 30: Voce per la Comunità

30

rate, senza un centro di riferimento unitario. Questa situazione di mobilità rende non più proponibile una pastorale centrata su unità territoriali staticamente intese. Una difficile prossimità è quella verso i giovani. I giovani dopo i sacramenti dell’inizia-zione cristiana faticano a frequentare le nostre parrocchie, e spesso senza loro malizia. La scuola superiore o l’università li porta altrove, le amici-zie sono altrove, il futuro lavorativo è altrove. I contatti passano dal cellulare o da internet. La mancanza di lavoro adeguato crea gros-si ostacoli nel progettare la propria affettività, nel farsi una famiglia, favorendo di controcampo la convivenza e la non apertura alla procreazione. La crisi economica accentua la crisi del la-voro, che tra i fenomeni collegati presenta la ne-cessità di trasferimenti improvvisi con distacco spesso traumatico dall’ambiente di origine e un radicamento molto problematico sociale e religio-so nella nuova realtà lavorativa. E’ evidente la difficoltà anche per la casa, per cui a fianco di sovrabbondanza di offerta (che genera tra l’altro eccesivo consumo di suolo, a scapito di spazi verdi e socialmente vivibili) non corrispondono politiche sociali e bancarie, che permettano l’acquisto o l’affitto a prezzi adeguati. Il fenomeno tocca le famiglie in crisi di lavoro, le giovani coppie e i coniugi separati. E si genera la crescita degli sfratti per morosità. Un problema pastorale è il coinvolgimen-to delle famiglie nella iniziazione cristiana dei figli. Spesso le famiglie vivono situazioni di ten-sione a causa dei ritmi di vita lavorativi. Il lavoro è lontano dal luogo di vita. Gli orari di lavoro e i tempi di spostamento costituiscono un peso fisi-co e psicologico notevoli. Il tempo libero è ormai quasi solo quello domenicale, vissuto spesso come unico spazio personale e familiare, che porta a le-gittime esperienze di riposo “altrove”. I genitori si sentono disorientati, quando pensano al futuro dei figli, inadeguati come ge-nitori, alle volte lontani essi stessi da una serena pratica religiosa. Un problema pastorale ancora irrisolto è quello della crisi dei matrimoni, che non rispar-mia neppure i praticanti. Le cause della crisi delle coppie non trovano nelle nostre parrocchie una riflessione empatica e propositiva. Le separazioni causano estraneazione dalla vita religiosa, trasfe-rimento abitativo, crisi e povertà materiali in non pochi casi. La parrocchia è diventata oggi “associati-va” per i frequentanti e burocratica per gli occa-sionali. Forse l'ideale per la società parrocchiale sarebbe diventare di tipo comunitario ma le ricer-che empiriche dimostrano chiaramente che nel-la parrocchia prevale la dimensione associativa. Associazione di associazioni. Risulta vanificato l'elemento di valore proprio della territorialità. E nasce, in non pochi casi, il nomadismo religioso: si nota una “fede” senza appartenenza.

Altro segno di “mobilità” è la pluralità di proposte e esperienze culturali, di visioni di vita contrapposte, di fedi diverse, un relativismo ac-centuato. La diversità arricchisce, ma crea anche disagio e paura. Comunità ampie facilitano i rap-porti e gli scambi. Non così in ambiti più piccoli. Un ulteriore motivo di estraneazione è la mobilità in alcuni momenti estremamente par-ticolari della vita: la malattia, l’età avanzata, la morte. I luoghi e i modi con cui si vivono queste esperienze sono così diversi tra loro, così distanti dalla realtà di vita, vissuti negli ospedali, nei cro-nicari o nella solitudine anche nella propria abita-zione. Mobilità e immobilità, solitudine e estrane-azione dalla vita che segnano e invocano una casa, un incontro, la condivisione di una comunità più partecipe. Questa riflessione, come suggerisce il pen-siero della Chiesa (cfr. “Educare alla vita buona del vangelo – CEI 2010/2020), può favorire una dimensione più missionaria delle comunità eccle-siali. Anche questo nostro tempo è occasione buo-na per l’annuncio del Vangelo.

PER APPROFONDIRE

1-Un mondo che cambia. Come si eviden-ziano questi fenomeni nel vostro territorio? Vi sono reazioni contro i fenomeni della mobilità, sono in atto alcune esperienze significative? 2-Educare alla vita buona del Vangelo: Evidenziati i fenomeni, come sopra suggerito, quali cambiamenti ne derivano, nelle modalità di fare parrocchia, di impostare l’annuncio del van-gelo, di accostare famiglie e giovani, ecc…? Quali indicazioni potreste offrire? Quali urgenze senti-te importanti? 3-Le unità pastorali. Come pensate possa-no le unità pastorali vivere la dimensione di evan-gelizzazione e di accoglienza di fronte a questi problemi? Quali esperienze promuovere? Quali percorsi formativi proporre?

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI” COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

Page 31: Voce per la Comunità

31

Così inizia la lettera del Vescovo Luciano Im-migrati, ospiti, concittadini:“L’immigrazione in Italia è uno dei fenomeni più rile-vanti degli ultimi anni, un fenomeno che è destinato a segnare in modo significativo il futuro del nostro paese come, d’altra parte, il futuro dell’intera Europa occidentale. Come è inevitabile, questo fenomeno produce una serie di problemi che è compito della politica affrontare e risolvere nel modo migliore. Ma il problema non è solo politico; è anzitutto un pro-blema umano, quello dell’incontro, del confronto e dell’integrazione di persone che provengono da pa-esi diversi, parlano lingue diverse e sono portatrici di culture diverse”. E così si conclude la lettera medesima:“Ho voluto scrivere questa lettera per aiutare le co-munità cristiane a prendere in considerazione e af-frontare con serenità un fenomeno oggettivamente complesso.... Ogni situazione che viviamo è per noi una domanda alla quale dobbiamo cercare di ri-spondere alla luce del vangelo. Quanto ho scritto è solo un piccolo capitolo del racconto che dobbiamo scrivere insieme, mossi dallo Spirito del Signore.” Il passaggio alle unità pastorali implicherà una considerazione del fatto immigrazione relativo a un territorio molto più ampio e, quindi, con risorse e problemi molto più estesi, e renderà sempre più attuale quanto il Vescovo segnala e quanto invita a

studiare nel n.5 della lettera: “I cristiani sono chia-mati a partecipare alla vita politica che definisce i parametri della convivenza delle persone; e debbo-no fare questo in un modo che sia coerente con la loro fede.” Altri documenti importanti : CEI, “Rigenerati per una speranza viva”: testimoni del grande sì di Dio all’uomo, nr. 9, 12,20, 23 e 25. CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cam-bia, in particolare il n. 58. Domande o piste per la riflessione a) Partiamo sempre dalla lettera del Vescovo: “La prima domanda riguarda le comunità cristiane: dio-cesi, parrocchie, gruppi ecclesiali; come debbono interpretare il fenomeno dell’immigrazione? Quale atteggiamento debbono tenere nei confronti degli immigrati?b) Che cosa ci domanda il Signore attraverso questo imponente fenomeno”?c)Qual è la situazione immigratoria del territorio cui si riferisce l’UP? d)Come creare linee di pensiero che si riferiscono alle persone del migrante e quindi condivisibili da ogni cristiano a prescindere dall’appartenenza par-titica?e) Quali strumenti, magari già in atto nelle singole Parrocchie, oppure progettabili ex novo, possono essere adottati in un contesto di Unità Pastorale?

In questa sezione dello strumento di lavoro in preparazione al Si-nodo diocesano vengono messe a fuoco tre problematiche fonda-mentali collegate al segno dei tempi “individualismo e nuove forme di aggregazione”: 1.il rapporto fra comunicazione e cultura; 2.le relazioni della rete telematica; 3.la costruzione dell’identità nella società della comunicazione.

Di seguito vogliamo offrire dei brevi passi antologici che aiutino a riflettere su tali problematiche evitando di scadere o in una sterile critica o in una frettolosa apologia.

2. IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI” COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

3. INDIVIDUALISMO E NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE E COMUNICAZIONE

Page 32: Voce per la Comunità

32

1. Il rapporto fra comunicazione e cultura:a. «Il termine cultura possiede due significati. Nella sua ac-cezione antropologico-sociologica sta per dire che qualsiasi essere umano vive nella sfera della cultura. Se l’uomo è, come è, un animale simbolico, ne deriva eo ipso che vive in un contesto collettivo di valori, credenze, concezioni e, in-somma, di simbolizzazioni che ne costituiscono la cultura. In questa accezione generica, quindi, anche il primitivo o l’analfabeta possiedono cultura… Ed è in questa accezione che oggi parliamo di cultura dello svago, di cultura dell’im-magine e di una cultura giovanile.Ma cultura è anche sinonimo di sapere: una persona colta è una persona che sa, fa buone letture o, comunque, è bene informata. In questa accezione stretta la cultura è dei colti, non degli ignoranti. E questa è l’accezzione che ci consente di parlare (senza contraddizioni) di una cultura dell’incul-tura e così di atrofia e di povertà culturale… Il messaggio con il quale la nuova cultura audio-visuale si raccomanda e si auto-elogia è che la cultura del libro è dei pochi, mentre quella audio-visiva è dei molti. Ma il numero dei fruitori, pochi o molti, non modifica la natura e il valore di una cul-tura. E se il costo di una cultura di tutti è il declassamento in una sottocultura che è poi, qualitativamente, incultura o ignoranza culturale, allora l’operazione è soltanto in perdi-ta. Tutti incolti è forse meglio di pochi colti? Vogliamo una cultura in cui nessuno sa nulla? Insomma, se il maestro sa più dell’allievo, allora dobbiamo ammazzare il maestro; e chi non ragiona così è un elitista. Ma questa è una logica di chi non ha logica». (G. SARTORI, Homo videns, Laterza, Bari, 1999, pp. 16-17)

b. «Si pone da una parte la cultura d’élite e dall’altra quella di massa; tra le due non c’è possibilità di comunicazione (di linguaggi, temi, obiettivi), sia che sia abbiamo come riferimento ideale la cultura della tradizione, sia quella progressista-illuminista. Si potrebbe sostenere che siamo di fronte ad un tipico snobismo culturale di una società ancora provinciale, e che il fastidio, ad esempio, per la te-levisione – strumento per eccellenza di massificazione di ogni messaggio – sia il tipico modo di pensare di chi ha bi-sogno di apparire elegante e alla moda, affezionato ad un gergo dell’autenticità con cui può rendere oscura anche la questione più semplice o quella che meriterebbe la massi-ma chiarezza. In realtà, la televisione è soltanto l’ultimo (in ordine di tempo) anello di una lunga catena di pregiudizi della cosiddetta cultura alta».(S. ZECCHI, L’uomo è ciò che guarda, Mondatori, Milano, 2005, pp. 22-23)

2. Le relazioni nella rete telematica (internet, facebook, ecc.)

a. «Vorrei invitare i cristiani ad unirsi con fiducia e con con-sapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti che l’era digitale ha reso possibile. Non semplicemente per soddisfare il desiderio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante della vita umana. Il web sta contri-buendo allo sviluppo di nuove e più complesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevolezza con-divisa. […] Anche nell’era digitale, ciascuno è posto di fron-te alla necessità di essere persona autentica e riflessiva.

Del resto, le dinamiche proprie dei social network mostra-no che la persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali».(Dal messaggio di Benedetto XVI per la 45a Giornata mon-diale delle Comunicazioni Sociali)

b. «L’ambiente digitale si presenta, dunque, come luogo della possibilità di riconciliare l’essere con l’apparire: non nel senso che l’essere viene ridotto e assorbito dall’appa-rire, ma nel senso che l’apparire rinvia [sempre] ad un es-sere»(C. GIACCARDI, Abitanti della rete. Giovani, relazioni e af-fetti nell’epoca digitale, Vita e Pensiero, Mi, 2010, p. 9)

3. La costruzione dell’identità individuale dentro le reti digitali.

«La riflessione sulle trasformazioni culturali che caratteriz-zano la contemporaneità ha ampiamente messo in luce l’emergere di una dimensione narrativa e processuale nei processi di costruzione identitaria».(C. GIACCARDI, Abitanti della rete. Giovani, relazioni e af-fetti nell’epoca digitale, Vita e Pensiero, Mi, 2010, p. 38)

«Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Redemptor hominis si chiedeva "se l'uomo, come uomo, nel contesto di questo progresso, diventi veramente migliore, cioè più maturo spi-ritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperto agli altri, in particolare verso i più bisognosi e più deboli, più disponibile a dare e portare aiuto a tutti" (n. 15). In questo senso, la Chiesa è chiamata a dare il suo contri-buto al world wide web. E in ultima analisi, solo lei può ri-spondere in maniera soddisfacente agli interrogativi che si celano dietro ogni ricerca e riflessione umana: "Chi sono io?". "Dopo la morte, che cosa c'è?" e ancora: "E io, da dove provengo?". "Cos'è l'uomo?". E anche oggi - come da oltre 2000 anni - può continuare a fornire la risposta sem-pre valida e liberatoria enunciata nella costituzione pasto-rale Gaudium et spes sull'attualità della Chiesa nel mondo contemporaneo: "Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissi-ma vocazione" (n. 22). (Articolo di G.L. Müller, dall’Osservatore Romano del 13 nov. 2010).

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI” COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

Page 33: Voce per la Comunità

33

Cristiani non si nasce, si diventa. Questo slogan è di un grande cristiano del terzo secolo: Tertulliano. Allora la frase esprimeva il dato di fatto: diventare cristiani era una scelta personale, spesso anche rischiosa, per-ché uno doveva mettere in conto la possibilità del martirio.Oggi nei paesi di lunga tradizione cristiana non è più così. La maggior parte “sono” cristiani perché battezza-ti da bambini, ma molti non lo diventano, perché non vivono da cristiani. Nel mondo le comunità cristiane sono chiamate ad un grande impegno di evangelizzazione e di catechesi perché il dono dei sacramenti non sia ridotto ad un seme che non si svilupperà mai. D’altra parte sono evidenti due fenomeni: da un lato la diminuzione della partecipazione ai sacramenti, specie dell’Eucaristia e della penitenza, dall’altro una partecipazione più libera, consapevole e convinta.Nello stesso tempo nascono nuove forme di appartenza ecclesiale, che spesso non coincidono con la pra-tica sacramentale.

Da ultimo assistiamo oggi all’avanzamento di fedi senza più la ragione, tutte mito e sentimento, in una nebulosa indistinta, per passare attraverso il documento della Santa Sede del 1986; Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: sfida pastora-le, alla convocazione del Concistoro straordinario del 1991 sulla sfida delle sette; al documento della Santa Sede del 2003: Gesù Cristo portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul “New Age”; ai numerosi interventi di episcopati locali e di dica-steri vaticani sulle sette, la religiosità alternativa, le diverse spi-ritualità, la magia, la superstizione; per concludere con l’omelia dell’allora Card. Joseph Ratzinger in occasione della Missa pro eligendo Pontifice del 18 aprile 2005, in cui affermava: «Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi

decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al libera-lismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteg-giamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. All’interno di questa nebbia relativistica che avvolge la nostra società è possibile scorgere alcune tendenze come il fenomeno della diffusione dei movimenti religiosi alternativi (sette) che ha avuto, in questi anni recenti, un significa-tivo incremento sia riguardo alla tipologia sia riguardo alla cospicuità numerica tanto da fornire materiale di studio per quello che oramai è un nuovo settore della sociologia religiosa e, che per i cattolici, ma non solo, si presenta anche come emergenza pastorale. Tale situazione è caratterizzata da un forte "nomadismo spirituale". Gli adepti migrano da un culto all'altro, cercando pascoli fecondi per la loro fame interiore. Una sorte di "turismo dell'anima" caratterizza la nuova spiritualità, già di per sé sincretica ed eteroclita"». La realtà delle nuove esperienze religiose è un mondo con una storia non soltanto recente ma anche in continua e costante evoluzione, configurando problematiche sempre nuove, alle quali su invito del Sommo Pontefice e delle Conferenze Episcopali, alcuni Vescovi hanno deciso di rispondere favorendo iniziative e istituendo Servizi diocesani di attenzione pastorale per i movimenti religiosi alternativi e le spiritualità al-ternative. Ciò significa che non è sufficiente fissare alcuni parametri generali e orientativi, ma è necessario, perché imposto da quest’incontrollabile sviluppo, un attento e avveduto rinnovamento dei programmi e degli obiettivi pastorali. E’ necessario, inoltre, comprendere che nella categoria dei movimenti religiosi alternativi è contenuto un ampio spettro di modelli di spiritualità e religiosità non convenzionali di difficile individuazione come ad esempio il New Age, l’esoterismo, la magia, il satanismo, il cattolicesimo marginale o di frangia, il devozionismo, ecc. La traiettoria sulla quale la attività della diocesi affronta questa ampia fenomenologia, tiene conto dei seguenti aspetti:

4. VITA SACRAMENTALE E DIVERSE MODALITÀ DI APPARTENENZA ECCLESIALE E RELIGIOSA

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI” COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

Page 34: Voce per la Comunità

34

«Rispetto ad anni in cui il clero della nostra diocesi aveva “altri numeri”, pos-siamo fare la scelta del servo della parabola evangelica (Mt 25,14-30), che si ritrova un solo talento e lo nasconde sotto terra.È la scelta di chi rinuncia a vivere la propria vocazione battesimale, perché i cristiani appaiono numericamente ridotti rispetto al passato.Oppure possiamo scegliere, indipendentemente dal numero di “talenti” affi-dati alle nostre mani, di trafficarli: di esplicitare la vocazione battesimale nella vocazione personale e nei ministeri che le sono propri.Essere più deboli, non è un alibi per rinunciare ad esistere.E, soprattutto, non è un alibi per rinunciare alla comunione, né per rinunciare alla missione.La parrocchia – Chiesa che vive tra le case degli uomini – continua a essere il luogo fondamentale per la comunica-zione del Vangelo e la formazione della coscienza credente.Essa è animata dal contributo di educatori, animatori e catechisti, autentici testimoni di gratuità, accoglienza e ser-vizio. La formazione di tali figure costituisce un impegno prioritario per la comunità parrocchiale, attenta a curarne, insieme alla crescita umana e spirituale, la competenza teologica, culturale e pedagogica.Questo obiettivo resterà disatteso se non si riuscirà a dar vita a una “pastorale integrata” secondo modalità adatte ai territori e alle circostanze, come già avviene in talune sperimentazioni avviate a livello diocesano»(CEI, Educare alla vita buona del vangelo. Orientamenti pastorali 2010-2020, n. 41)«Costruire cultura vocazionale è la migliore risposta alla frustrazione vocazionale tipica dei giorni nostri, perché è risposta modesta e discreta, ma volonterosa e fattiva, che lavora sui tempi lunghi ma giunge al cuore, soprattutto perché è risposta possibile all’uomo, ma tutta costruita sulla logica dell’impossibile possibilità di Dio». (Amedeo Cencini, Non contano i numeri. Costruire cultura vocazionale, Paoline, Milano 2011)“Essere fragile non è un ostacolo, ma una opportunità, non un impedimento alla comunione, ma una chance. La fragilità è l’origine in me della voglia di legame, della voglia di comprensione e di amore; per la fragilità l’uomo cerca aiuto, cerca sostegno e appoggiando una fragilità sull’altra si sorregge il mondo, come due semiarchi di pietra o di mattoni. L’immagine è presa da Leonardo da Vinci. Dice: “Un semiarco da solo è instabile, non regge; ma appog-giandosi ad un altro semiarco crea la più solida tra le forme architettoniche, l’arco”. Questi archi solidissimi da cui siamo circondati, sono fatti appoggiando una fragilità sull’altra. Così noi sosteniamo il mondo”. (Ermes Ronchi, Duomo Vecchio, Agorà 4 settembre 2010)

Domande per il confronto e la consultazione:a) Quali vocazioni e ministeri sono presenti nella nostra parrocchia?b) In che modo ogni vocazione, ogni ministero potrebbe essere maggiormente “trafficata, investita” nella

nostra parrocchia?c) E nell’Unità Pastorale?

Conoscere le dinamiche personali. Per studiare e analizzare il fenomeno dei movimenti religiosi alternativi è sempre basilare cercare di capire, da ogni punto di vista, le ragioni profonde che spingono un individuo ad affi-darsi ad una nuova forma di religiosità. La conoscenza non è fine a se stessa, ma porta a discernere il vero dal falso alla luce della Parola di Dio e sotto l'azione dello Spirito. Denunciare profeticamente l’errore. Pur nel ri-spetto della libertà religiosa, questo accostamento pastorale offre l’occasione di una nuova evangelizzazione e di una più efficace catechesi del popolo cristiano nella consapevolezza che non vi è altro Vangelo diverso da quello predicato dagli Apostoli (Gal 1,9 ). Operare nella verità e nella carità. E’ tensione primaria della sollecitudine pastorale che deve portare ad un’amorevole preoccupazione di quei fratelli che per diversi motivi hanno abban-donato la Chiesa Cattolica. Essere rigorosi nei confronti delle dottrine, pratiche o persone che si contrappongono al Vangelo di Cristo o professano un sincretismo o relativismo religioso, non implica utilizzare metodi diversi da quelli della carità, segno distintivo dell'agire cristiano. E' la sfida del millennio? Ogni ipotesi ha un margine di er-rore più o meno elevato e può essere "falsificata", come insegna Popper. A volte si presentano svolte improvvise che fanno piazza pulita delle teorie più probabili. E crediamo sarà proprio la Bibbia a darci la risposta più pro-vocatoria e "popperiana" che sfida, scherzando, le ipotesi più serie dei sociologi della religione: "Lo spirito spira dove vuole" (Gv. 3,8). E la Sapienza afferma scherzando: "Alla presenza di Dio mi divertivo di continuo, giocavo sul globo terrestre la mia gioia era vivere con gli uomini" (Proverbi 8,30-31). Il che è favolosamente bello anche per l'uomo del terzo millennio, facile preda della solitudine.

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

5. DIMINUZIONE DEL CLERO E NUOVE MINISTERIALITÀ

Page 35: Voce per la Comunità

35

La responsabilità: luoghi, vie per educarla

Responsabilità è una bella parola. Ma - ahi noi! - non è magica: il citarla, soprattutto nel-le situazioni di crisi, non risolve automaticamente i tanti problemi presenti nella Chiesa come nel mondo.La lunga storia del termine responsabilità ci porta ad affermare che essa è la consapevolezza di un impegno assunto davanti a qualcuno. Evidentemente i soggetti a cui rispondiamo nella nostra vita sono diversi e diversi tra loro. Ogni persona, intesa come unità fisico-cognitivo-emotiva è un essere in relazione; nasce da una relazione - l'amore generante tra madre e padre - e si esprime in relazioni fondamentali con se stesso, con Dio, con gli altri e con la natura. Essere responsabili significa saper rispondere a Dio, se stessi, gli altri e la natura. Consegue che l'esercizio della propria responsabilità fa riferimento sempre ad uno di questi quattro interlocutori e/o a più di essi.

Luoghi di ascoltoAlla luce di ciò, credo che, per far maturare atteggia-menti responsabili, sia importante che i luoghi educati-vi siano sempre più luoghi di ascolto. Volendo declina-re l'atteggiamento direi che vada riferito, in particolare, all'ascolto di se stessi, quello degli altri e quello di Dio.● L'ascolto di se stessi. La ricerca personale, fatta col cuore e con la mente, della verità è opera di ascolto. Sant'Agostino ci insegna quanto da una parte il ritor-nare in se stessi è motivo di tante domande: «ero di-ventato per me un grosso problema» (Confessioni). Dall'altra parte esso è via per scoprire la forza della verità seminata in noi da Dio: «o verità, in te io rivivo, parlami, ammaestrami» (Confessioni). Nell'ascolto di sé, nella presa di coscienza dei propri doni si radica una sana autostima che costituisce il terreno solido su cui fondare la propria responsabilità. Gli itinerari formativi, parrocchiali e associativi, che riescono a favorire percorsi di ascolto di se stessi, anche con l'aiuto della psicologia e delle altre scienze umane, svolgono un grande servizio alle persone, le quali si sentono aiutate in uno dei passaggi fondamentali della vita quotidiana attuale, spesso fatta di fretta e superficialità, non sempre volute, ma spesso determinanti. Inoltre lo "star bene con se stessi" è via regale per far del bene agli altri: l'amare il prossimo dipende sempre da come si ama se stessi (cfr. Lc. 10, 27).● L'ascolto di Dio. Per i credenti Dio parla non solo nella Sua parola, ma anche nei "segni dei tempi" (Gau-dium et Spes, 4) che vanno sottoposti a discernimento per scoprire se il Signore ci sta indicando nuove re-sponsabilità nella costruzione del suo Regno di giustizia e di pace. Mi riferisco, prima di tutto, ai momenti ordinari di ascolto del Signore - liturgie e catechesi - per verificare quanto siano ascolto autentico e non solo annuncio dogmatico e morale, che alla lunga portano ad una formazione di fede ideologica, cioè ideale, te-orica, che non cambia molto la vita, in tutti i suoi ambiti. Ma il riferimento va fatto anche a momenti straor-dinari: farebbe piacere sapere - per quanto mi risulta lo hanno fatto pochissime comunità - che alcune realtà cattoliche italiane si siano interrogate sulla corruzione politica e del mondo economico, sul berlusconismo, sulla crisi etica degli italiani, senza fare proclami e indire nuove crociate, ma semplicemente chiedendosi: che cosa ci dice, che cosa vuole il buon Dio da noi, dalle nostre comunità, in questo particolare frangente storico? O come si direbbe ai bambini: Gesù è contento dei cattolici italiani e del loro agire nella Chiesa e nel mondo?● L'ascolto degli altri. Nel confronto interpersonale e nella condivisione in gruppo abbiamo occasione di ascoltare gli altri e di scoprire la loro ricchezza, le loro attese e le loro aspettative nei nostri confronti. L'at-teggiamento di ascolto serio e continuo ci permette di evidenziare quale è la nostra chiamata e quale la con-seguente risposta e relativa responsabilità. La comunità è tenuta ad offrire luoghi e tempi di ascolto; lo stesso giorno del Signore potrebbe essere rivalutato anche per itinerari di educazione all'ascolto e di esperienze forti di esso. L'esperienza di Samuele (1 Sam 3) ci mostra come, oltre all'ascolto, è necessario l'aiuto di un maestro per discernere la volontà di Dio e assumere responsabilmente gli impegni nella Chiesa e nel mondo. Basandosi sulla rivelazione biblica è opportuno ribadire il bisogno di farsi guidare nella crescita cristiana perché abbiamo bisogno che qualcuno, più saggio di noi, ci aiuti a discernere la voce di Dio. Qualcuno che sia, ad un tempo, maestro e testimone di umanità e di fede (Paolo VI). Il modello è quello di Cristo Buon Pa-

formazione socio-politica

Page 36: Voce per la Comunità

36

Per un’umile e sincera compagnia con gli uomini

In questo nostro universo assai complesso, non abbiamo bisogno di crociate o sentenze sommarie. Siamo chiamati ad una compagnia umile e sincera con uomini e donne del nostro tempoQuello del “mondo” è un tema ricorrente nei nostri discorsi ecclesiali: omelie, catechesi, scritti pastorali, pubblicazioni. Ma parlare del mondo non è assolutamente facile. Forse la prima difficoltà sta nel ricordarci costantemente che il mondo contemporaneo è complesso e, spesso, anche complicato. Complessa è ogni realtà che, per essere letta e compresa, ha bisogno di più parametri interpretativi. Diciamolo con un esempio: in una cultura monolitica bastavano uno o due paia di “occhiali” per “vedere” la realtà; in una realtà complessa ne servono cinque, sei o più. Quindi affermare che “il mondo di oggi è nero…” o “è bianco” vuol dire incorrere in una generalizzazione banale e forse stupida. Ma di quale mondo parliamo? Il mondo di oggi, la gente, la mentalità contemporanea sono categorie troppo generiche e sarebbe saggio evitarle: dicono tutto e non dicono niente. In una società che non è più monolitica le posizioni sono tantissime e diversissime.

Superare le generalizzazioniLa crisi delle grande ideologie di destra e sinistra, insieme al processo di globalizzazione, ha determinato il frantumarsi delle culture monolitiche. Per cultura monolitica si intende una cultura considerata come un blocco unico, in cui gli elementi uniformi e simili sono più ricorrenti di quelli diversi. Per esempio, è monolitica la cultura del cattolicesimo come religione della maggioranza degli italiani; erano monolitiche le culture politiche della DC e del PCI. Come risentiva di monolitismo la cultura teologica di stampo apologetico, dove l’intento di difendere il contenuto di fede ad ogni costo, frustrava ogni ten-tativo di rispetto dei ritmi e delle esigenze personali e di dialogo con il mondo. Così il tutto genera categorie come noi e gli

store che dimostra il suo amore conoscendo la voce delle pecore, istruendole e guidandole e donando loro la vita (Gv. 10). Spesso giovani e fanciulli lamentano la mancanza di figure adulte serie e competenti, sagge e coerenti, capaci di insegnare e testimoniare principi forti, di farsi compagni dei più piccoli per guidarli nella difficile via dell'individuare e assumere responsabilità. Si pensi, per esempio, a che cosa i diversi educatori insegnano e a come si comportano in due momenti cruciali della gioventù: la scelta affettiva e quella del lavoro. C'è da chie-dersi: molta della irresponsabilità che attribuiamo ai giovani, in materia di amore e lavoro, non dipende anche dalla mancanza di autentici maestri- testimoni?

L'esempioEmerge qui la valenza dell'exemplum. Uno sguardo attento alla realtà sociale e politica italiana ci porta a consta-tare quanto sia povero il tessuto umano della nostra classe dirigente, scarsa la formazione etica e, inoltre, scarse le qualità tecniche necessarie per l'esercizio di ogni responsabilità. I cattivi esempi, spesso, sembrano superare quelli buoni. Per quanto i riferimenti più ovvi e immediati possano essere quelli politici, si deve precisare e ri-cordare che la crisi supera i confini politici e investe le istituzioni nella loro interezza. All'interno di una famiglia per il ruolo di responsabilità genitoriale, come in diversi ambienti di lavoro, associazioni culturali e sportive, comunità di fede religiosa, amministrazioni pubbliche, organizzazioni nazionali e internazionali si ritrovano con sempre più frequenza persone che esercitano un potere senza la formazione e i mezzi necessari per una buona e giusta conduzione. Non solo a livello educativo, ma anche sociale e politico, coloro che hanno responsabilità e la usano per accrescere immoralmente il proprio potere e/o per arricchirsi ingiustamente, offrono un cattivo esempio che incrementa mentalità e prassi irresponsabili e ingiuste. Per questo motivo molte volte, soprattutto in situazio-ni di crisi, la responsabilità non è ascrivibile ai soli cittadini, specie giovani, perché chi ha responsabilità in termini di bene comune, giustizia e pace ha spesso taciuto, abdicato o dato testimonianza contraria. Le cause di questa crisi sono da ricercarsi in molteplici fattori, che evidenziano come non si tratti della crisi di alcuni ruoli specifici di potere, ma di una situazione problematica dal punto di vista etico e culturale.

Ci auguriamo che come educatori possiamo sempre dire, nella difficile arte del formare alla responsabilità, quanto don Milani dice-va di sé: «io non sono un sognatore sociale e politico: io sono un educatore di ragazzi vivi, e educo i miei ragazzi vivi a essere buoni figlioli, responsabili delle loro azioni, cittadini sovrani».

formazione socio-politica

Page 37: Voce per la Comunità

37

altri, la Chiesa e il mondo, i buoni e i cattivi, gli atei e credenti e così via. Un insieme, cioè, di generalizzazioni sul mondo, che, concretamente, non por-tano conoscenze nuove e non aiutano a crescere chi ci ascolta. Emerge ancor più il ruolo prezioso degli intellettuali cattolici che dovrebbero aiutarci a tro-vare un metodo per leggere sapiente-mente questo mondo frammentato.

Incrociare le competenzeOgni fenomeno umano, credo, vada studiato incrociando le competenze, cioè usando strumenti culturali che attingano ai diversi saperi: l’antropo-logia, l’etica, la teologia, la sociologia, la psicologia, la scienza politica, il di-ritto, l’economia. Pertanto, soprattut-to educatori ed intellettuali, non sono chiamati ad avere tutte le competenze - pretesa inconsistente e sciocca - ma una capacità di sintesi per aiutare l’in-terlocutore, specie se educando, a do-tarsi di una mappa per districarsi nei vari labirinti di questo mondo e su cui, se vuole, costruire la propria persona-le competenza, concepita sempre in funzione del vivere bene, come perso-na e come credente.In termini molto semplici sarebbe molto meglio - nelle nostre catechesi, omelie e interventi pastorali - avere approcci sintetici come sembrerebbe che, il mondo pare avere tendenze del tipo…, è facile riscontrare atteggia-menti comuni come… e così via.La complessità odierna, infatti, impo-ne rispetto e prudenza nel compren-dere la realtà da parte di pastori, edu-catori, genitori, catechisti. Forse mai come oggigiorno ci vuole cura per le persone e amore per lo studio, insie-me a tanta calma, pazienza, coraggio

e lungimiranza nello studiare quanto succede dentro e fuori di noi. Posi-zioni integraliste, reazionarie, arroc-cate nella difesa, a qualsiasi costo, del proprio orticello hanno poco rispetto della complessità e poca attenzione alla gradualità del ricercare, sapere e trasmettere. Inoltre diventano spesso gesti di piuttosto di rifiuto che tradi-scono l’evangelico invito a non con-dannare il mondo ma a salvarlo.La testimonianza cristiana deve an-che fare i conti col fatto che il catto-licesimo, in quasi tutti i Paesi, non è religione di Stato, né religione della maggioranza dei cittadini, situazione accentuata in diversi paesi europei. È una realtà difficile da accettare, che può portare a rimpiangere i tempi passati, senza interrogarsi sufficiente-mente sulle responsabilità personali ed ecclesiali, che hanno portato alla scristianizzazione, cioè sulle colpe e sulle mancate testimonianze della co-munità cattolica. Non di crociate inte-graliste abbiamo bisogno, ma di com-pagnia umile e sincera con le donne e gli uomini di questo tempo.

Condividere gioie e speranzeÈ tempo di ricordare la lezione sul pic-colo resto d’Israele: popolo che non cerca grandezza e potere, né monopo-lio culturale e legislativo, ma vive e cre-sce solo in Dio. Di un Dio, come scrive Italo Mancini, più presente nell’in-vocazione che nella dimostrazione. Ciò non significa confinarsi tra mura sicure - tentazione molto frequente - ma recuperare la memoria della storia biblica, cioè di un popolo che confida solo in Dio e non nei mezzi umani. E imparando, come cattolici, ad essere minoranza in un mondo secolarizza-

to, contrad-dittorio, che presenta se-gni positivi e negativi, ed anche ambigui, ri-prendiamo seriamente la lezione conciliare delle gioie e delle spe-ranze, delle tristezze e delle ango-

sce degli uomini d’oggi, dei poveri so-prattutto e di tutti coloro che soffrono, che diventano le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo (Gaudium et Spes, 1).Certo quando si evangelizza, nell’edu-cazione come nella predicazione, si devono prendere delle posizioni, ma ciò non autorizza i credenti ad assu-mere atteggiamenti arroganti e offen-sivi nei confronti di chi professa idee diverse. Il rispondere, a chiunque do-mandi ragione della speranza cristia-na, va fatto con dolcezza e rispetto (1 Pt 3,15). Il mondo - così come viene a volte descritto da qualche pastore e catechista: cattivo, ateo, miscreden-te, immorale, diabolico - non esiste. Esistono invece le persone, con tutto il loro carico positivo e negativo, di grazia e di peccato. Esistiamo noi, esi-sto io: tra e con le persone di questo mondo. Solo un’analisi superficiale e faziosa potrebbe portare a pensa-re che il mondo possa essere diviso in buoni, tutti da una parte e cattivi tutti dall’altra. La frattura è ben più complessa e variegata di una divisio-ne pura e semplice tra buoni e cattivi, in steccati rigidi e invalicabili tra loro; senza dimenticare, che per noi cristia-ni, la divisione tra bene e male passa prima di tutto in ognuno di noi, come insegnano le Scritture.“Io so infatti - scrive Paolo - che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie mem-bra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice!” (Rom 7, 18-24).E’ questo il mondo, quello della mia carne, quello della mia e altrui infelici-tà, quello della mia e altrui debolezza. Quello che Gesù ama e salva, senza condannare, tanto da poterci far af-fermare con Paolo: “Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!” (Rom 7,25).

formazione socio-politica

Page 38: Voce per la Comunità

38

Un percorso per educare alla giustizia

La giustizia è pane di cui bisogna aver fame; è acqua di cui occorre aver sete. Induce ognuno di noi a farsi carico dell’esistenza e della vita dei fratelli.

Viaggiavo in treno verso nord, erano i tempi dell’inchiesta milanese Mani Pulite. Un distinto signore, di confidenza in confidenza, mi raccontò della sua esperienza in una grande azienda, in cui non si era piegato a una logica di corruzione e affari sporchi. Per tutta risposta, il suo capo lo aveva licenziato e, a più di quarant’anni, si ritrovava a cercar lavoro. Alla fine del suo sofferto racconto, mi disse: “Sa, padre, io e mia moglie siamo cristiani e un giorno, tra le lacrime della rabbia e del dolore, lei mi ha detto: I primi cristiani andavano al martirio per problemi di fede - non idolatrare l’imperatore ma testimoniare il Dio di Gesù Cristo - i cristiani di oggi subiscono il martirio per questioni di giustizia”. Non dimenticherò mai questa pro-fonda e veritiera testimonianza. Essa mi ritorna in mente sia quando incontro o so di cristiani che si offrono per la causa della giustizia, sia quando mi accorgo di come, diverse volte, pastori e fedeli laici trascurino così tanto il tema della giustizia.

La felicità figlia della comunione con DioNel brano delle Beatitudini Gesù proclama: «Beati quel-

li che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5, 6). Il tema classico della vita felice e buona (eu zen) riceve qui una trattazione estremamente origi-nale: la felicità prima ancora di essere frutto della virtù, è essenzialmente frutto della comunione personale e costante con Dio Padre. Nella misura in cui si vive que-sta relazione profonda si potrà essere beati (makàrios), anche se le situazioni sono umanamente avverse. In ter-mini di giustizia, prima ancora di evidenziare la pratica e il pagare per essa, si sottolinea l’aver fame e sete di essa. Esiste questa fame nelle nostre comunità, specie in quelli che le guidano? Si compie un discernimento in termini di fede e giustizia su problemi seri quali il sistema dell’Otto per Mille, i contributi statali ed europei alle strutture e attività ecclesiali, gli sgravi fiscali?

Fame e seteI collegamenti alla vita biologica - fame e sete - non sono da intendersi tanto come l’affermazione di un bisogno spontaneo e universale, nel senso che tutti e senza dif-ficoltà si sentono orientati all’impegno per la giustizia, quanto piuttosto che coloro che lo vivono ne sono se-gnati in maniera radicale. Per loro la giustizia è un pane e un’acqua di cui non possono fare a meno. La loro bea-titudine consiste nella tensione verso questa virtù, prima ancora che nella pratica di essa, nella persecuzione rela-tiva e nella ricompensa del Regno di Dio (cfr. Mt 5, 10). Evangelicamente non esiste impegno per la giustizia che non sia passione per essa. Valga l’esempio del Battista, come di tutti i giusti della Scrittura. Questo impegno non può essere portato avanti da coloro che non sono capaci di impadronirsi del Regno (Mt 11, 12), né dai tiepidi (Ap 3, 16). Nella Chiesa e nel mondo, la virtù della giustizia, perché cardine di essi, va amata e perseguita con tutti se stessi. In ciò sta la beatitudine, la felicità.

Alla fame e sete di giustizia si oppone, come sua negazio-ne radicale, la fame e sete di guadagno, in termini classici l’avidità (pleonexìa). È Aristotele a precisare con chiarezza che l’uomo ingiusto è anche un avido. Con presupposti e finalità diverse, simile è l’insegnamento biblico: il giusto è colui che confida nel Signore e non nei beni materiali, evangelicamente personificati in mammona e opposti a Dio in maniera radicale. Gesù ricorda: «Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppu-re si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6, 24).

formazione socio-politica

Page 39: Voce per la Comunità

39

Chi si consacra all’avidità e all’avarizia è autore di ingiu-stizia profonda e si esclude dal Regno, come dalla co-munità cristiana (Cfr. Mt 19, 23-26; 1Cor 5, 11 e 6, 10). In termini moderni, alla luce degli insegnamenti classici e cristiani, diremmo che non può esistere giustizia se essa è guidata da un principio di massimizzazione delle utilità, con ogni mezzo e ad ogni costo. Anzi tutto ciò che mira ad accrescere solamente le proprie utilità è pura ingiustizia. È ovvio che non mi riferisco al conse-guimento del giusto profitto, ricompensa o salario (tu-telato dalla giustizia commutativa), ma a vere forme di avidità, che spesso sono anche falsamente giustificate come eque. La letteratura, la filosofia e la religione ab-bondano di pagine che descrivono piccole e grandi isti-tuzioni, corrotte da ricchi invidiosi, avidi e avari, che de-terminano conseguenze nefaste sui poveri e generano squilibri, disordini e guerre. Un esempio per tutti: l’Italia degli ultimi vent’anni.

Politica e avariziaIl bene e la giustizia sono di tutti e per tutti, sono il car-dine di ogni comunità civile e di fede religiosa; l’avidità e l’avarizia sono, ad ogni livello, la negazione del vive-re insieme e la sua distruzione. È quanto testimoniava Lorenzo Milani ai ragazzi della Scuola di Barbiana nella Lettera ad una professoressa: «Poi insegnando impara-vo tante cose. Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortir-ne da soli è l’avarizia. Dall’avarizia non ero mica vaccina-

to. Sotto gli esami avevo voglia di mandare al diavolo i piccoli e studiare per me. Ero un ragazzo come i vostri, ma lassù non lo potevo confessare né agli altri né a me stesso. Mi toccava essere generoso anche quando non ero. A voi vi parrà poco [cara signora, ndr]. Ma con i vo-stri ragazzi fate meno. Non gli chiedete nulla. Li invitate soltanto a farsi strada».

È importante notare come la scuola di Barbiana distin-gueva due modelli di persona: chi ha cura degli altri e dei loro problemi - il famoso I care milaniano - e chi vive per farsi i fatti propri. Come dire, da una parte c’è la poli-tica e dall’altra l’avarizia. L’indicazione, dal punto di vista antropologico ed etico, conserva tutta la sua validità an-cora oggi. Non a caso oggi la profezia ecclesiale sull’ava-rizia di questo mondo, sulle sue logiche affaristiche e grette, è una delle profezie più rare e la stessa politica è spesso schiava dell’avarizia più sfrenata. Il rilievo fat-to alla professoressa potrebbe essere esteso a diverse agenzie culturali che fanno ancor meno, educando solo al materialismo consumista, alla competitività sfrenata, al raggiungimento dei propri obiettivi a prescindere dal-le esigenze degli altri e spesso contro di queste. Se que-sta è l’energia morale di cui sono investiti gli educandi, non ci si deve affatto sorprendere della loro propensio-ne all’individualismo e all’illegalità. Non ci si deve nem-meno sorprendere dell’assuefazione all’ingiustizia e del rifiuto a combatterla e a pagare di persona per essa.

Tre maniere per reagirePrimo Mazzolari scriveva che di fronte all’ingiustizia ci sono tre maniere di reagire: «a) accettarla per vigliac-cheria, subirla - uno che non è santo rischia d’accettarla per viltà; b) chi l’accetta per vigliaccheria, se è un colto o un furbo finisce per giustificarsi col pessimismo - già è fatale - è sempre stato così; c) accettarla alla maniera dei santi, che è l’unica maniera di non subirla».

Con i martiri cristiani è doveroso ricordare anche tutti gli uomini e le donne, di ogni credo e non, che in fami-glia, negli ambienti di lavoro, nelle associazioni, nelle comunità di fede religiosa, nelle strutture amministra-tive e politiche come nelle organizzazioni internazionali, hanno pagato in tanti modi la loro fame e sete di giusti-zia. Come il mio compagno di viaggio in treno.

“L’ amore mette le sue radici nella povertà (...di qualsiasi genere). Noi non sappiamo più amarci perchè o siamo stanchi di fare il povero o abbiamo paura di diventare poveri, mentre solo il povero è nelle condizioni d’amore affermate da Cristo nel Natale” don Primo Mazzolari, Natale 1937

formazione socio-politica

Page 40: Voce per la Comunità

40

LETTERA ALLE FAMIGLIE

Dorma, dorma,fa ninìdorma, dorma bel Bambì,gò ne braghe ne camisìper scaldàt on puninì.Dorma, dorma, fa la nana,sopia '1 vent de tramontana;canta i-angèi so 'n dèl ciel:gh'è nasìt èl nòs Signur,l'è nasìt èn dé n'a baracatra on asèn e n'a aca.Dorma dorma che 'l vé sera,rìa i pastur col lat dé pera;

dorma dorma èn de la triìsRe de la tera e del paradìs.Ve che Giiosep èn zinuciùdizom so dò orassiù.So 'n del ciel gh'è on grant lizùrgh'é nasìt èl nòs Signur;sensa braghe e sensa maiaèn mess al fé e on pò de paia,dorma dorma Giusì bel;t'à scalda 'l fiàt de l'asinel.Tone, Tone... para le cavreè té Piero parale so;

taca so sté poca minestra,taca so sté ris e fazoi.Dorma dorma, fa la nana,s'è calmàt la tramontanacanta i-Angei so ‘n del cielrìa n'à fila de pastur...ardì 'nso che grant lizùr;Gh'è NASIT EL NOSS SIGNUR !!

Avelino Busi .....antivigilia di Natale 2010

NINA. NANA DE LA MADONA

L’attuale crisifinanziario - economicastaavanzandocomeunminacciosouragano.

Comeneusciremo?Nonmancanocam-panelli d’allarme, ma si fatica a prenderneadeguatacoscienza.Sisperaadoltranzachesitrattidiunbruttosogno,echelavitapos-saconcedersiancoradiesserespensierataespendacciona,perchésaràdifficileretro-cederedaunostiledivitanelqualecisipo-teva,finoaieri,permettereditutto,dandosoddisfazioneancheaipiùbizzarricapricci.

Difronteallastrettainatto,eprimache le cose precipitino, occorre allenarci adiscernereciòcheèessenziale,necessario,conveniente,utileosuperfluo.Enoncisaràfacile, dato il tenore di vita standardizza-to,spintobenoltreillivellodelbuonsensoedellerealipossibilità.Perannisièvissutitrastullandosineiparadisifittizi.

Orabisognacominciarafarneamenoemisurarsiconlarealtà.Meglioquindiesse-redrasticietagliaresubito,poichétuttociò

chenelfrattemposaràsprecatoinfutilità,saràrimpiantoquandosidovràattraversareilguadodellacrisi. Saràarduorisalirel’ertacherichiededistringereidentiediaverebenallenatiimuscolidellavolontà,atrofizzatineipanteondelconsumismo.Nonsolodapartedeigiova-ni,maanchedegliadulti,almenoperquellichesisonolasciatiammaliaredaunbenesserecheparevaacrescitaesponenziale. Fattequestepremesse,eccoqualchesuggerimentocheciaiutiacrescerenelse-gnodellasaggezzaeciapraadunamotivatasperanza. Anzituttooccorremostraresanguefreddo,evitandodilasciarsiprenderedalpa-nico,che,inognicaso,èunpessimoconsigliere.Propriocomeunchirurgodavantiaduncasograve.Nellostessotempooccorrefar levasuquellagenialitàeforzadi volontànell’affrontareproveedifficoltàchehannocaratterizzatol’agiredeinostrinonniedeinostrigenitori,intempinonmenotravagliatidelpresente.

Page 41: Voce per la Comunità

41

Facendoappelloagliesempiereditatidachici ha preceduto, in momenti nei quali forse do-vremmo,peruncertotempo,farusodellabarcaenondeimotoscafi,occorrecheognunosiprendainmanoilproprioremoecontribuisca,conlerisorsedicuidispone,arenderepiùagevoleilpercorsoditutti. Dallacrisisiescesoloinsieme,conunfortesensodicorresponsabilità,singolicittadinieistituzioni.Nonèquestoiltempodellefurbate.Chispeculasse persino sulla crisi sarebbe indegno diunasocietàcivile. Inostricaricihannoinsegnatopoicheprota-gonistadellepiùarditeecolossaliimprese,rimanelafamiglia.Unita,audace,solidale.Anzi,lefamigliealleatetradiloro.Famigliechesiriapproprianodellorocompitopedagogico,rispondendointalmodoaquellaemergenzaeducativacuifafrequenterife-rimentopapaBenedetto:educareadunaqualitàdivitachesispecificaperlebellerelazioni,acomin-ciareappuntodaquelleconifamiliari. Educareal sensodeldovereenon solodeidiritti;allasolidarietà;all’usosapienzialedeibenidiconsumosenzadivenirneprede,conparticolareriferimentoallamoda,allasmaniadelgioco,aicel-lulari,aldigitale,adinternet. Educareadunforteilsensodeldoverepro-fessionale e sociale; ad assicurare il rispetto dituttiedituttoaiutareigiovaniadessereformida-biliprotagonistidellorofuturoinsiemeagliadulti;arenderevivaeconvintaunafedelasciatasottolacenere. Allefamigliealleatetradilorosiaffianchinoleistituzioniperfavorirneilbuonesi-todituttiglisforzicongiunti,operandoinrete.Nessunafamigliabisognosasialasciatainbaliadisestessa. Probabilmente,quandosiprenderàchiaracoscienzadellacrisiinatto,saràcomeunadocciafreddanelrigoreinvernale.Uneffettoshockchecomunquepuòprodurreilrisultatodirisvegliaredaltorporemorale,laveracausadimalidicuistiamosoffrendo.Esicapiràpiùfacilmentechelaveraquestionenonèquellaeconomicaefinanziaria. Amontestainflessibilelaquestioneeticomorale:quandosisnobbanoiprincipidelbeneedelmale,innomedelrelativismoetico,ilbenessereeconomico,rettosolosullere-goledelmercatospeculativo,diventaunboomerang. SiamoormaiaNatale!Saràforseunafestasottotono?PotrebbeessereinveceunNatalepiùautenticodegliannipassati,ricuperatosottolacoltredeiBabboNataleedelleBefane,emblemadiunconsumismochenons’arrestaneppuredifronteavaloriintramon-tabilicomeilNatalecristiano. IlcredentecristianocheconosceeviveliturgicamenteilMisterodell’IncarnazionedelFigliodiDio,facendonepropria la logicae lasensibilità,dovràtrovarsi inprimafilanell’affrontarel’uraganocheparestiaabbattendosisull’orizzonteplanetario. Lasuasaràlaforzadell’amoreperl’uomoequelladellaGraziadiDio,ancorpiùso-vrabbondanteinquestotempodisoffertotravaglio.

El ciel en moementEn chèsto periodo invernal

ndoè ghè le feste piò bèle de l'an tòc corom per èl regal

e pensom poch al vero Nedàl.Fermomes e ardom el ciel

che l'è tòt en moement. Sa èt la luna che fa i birulù

e le stèle le gà bala en turen.En on cantù dei picoi nigoi

i sta a comentà che sò la tèra argot de grant

le dre a rià.On ventesèl dols èl còr per ulì anuncià

che l'è nasit en ona stalael s'è fat bambinel

e l'è riscaldat dal bò e l'asinele con la so bela famiò de Giuseppe e

Marial'è ignit per ulì el mont salva

e la pace e la gioia en ogni còr portà.Toc garèsem de ringrasià

per chèsto vero e grant regaldel Sant NedàlPietro Stefana

Page 42: Voce per la Comunità

42

Caro Gesù, voglio scrivere a te, per tanti motivi. Prima di tutto, perché so che tu mi leggerai di sicuro e la mia lettera non rischierà di finire come le tue. Ce ne hai scrit-te tante, e sono tutte lettere d'amore, ma noi non le abbiamo neppure aperte. Nel migliore dei casi, le ab-biamo scorse frettolosamente e con aria annoiata. Poi, perché so che tu non ti fermi a fare l'analisi estetica di ciò che ti dico. Tu vai sempre al nocciolo, o alla radice, e sei imbattibile a leggere sotto le righe. E anche stavolta, ne sono certo, sotto le righe sai scorgere il mio cuore gonfio di paure e di speranze, di preoccupazioni e di tenerezze.Poi, perché tu rispondi sempre, e non passi mai nulla sotto silenzio. Non c'è volta che tu ti rifiuti di ricambiare il saluto o di accusare ricevuta. Con gli altri, lo sai, non sempre è così. Più che la ricevuta, sembra che accusino il colpo.Ma, soprattutto, scrivo direttamente a te, perché so che a Natale ti incontrerai con tantissime persone che ver-ranno a salutarti. Tu le conosci a una a una. Beato te, che le puoi chiama-re tutte per nome. Io non ci riesco.Dal momento, però, che passeranno a trovarti, se non nell'eucaristia e nei sacramenti almeno nel presepe, perché non suggerisci loro, discretamente, che non te ne andrai più dalla terra e che, pur trovandoti altrove per i tuoi affari, hai un recapito fisso nella tua Chiesa, dove ti potranno incontrare ogni volta che lo vorranno?E, a proposito di recapito, non pensi che la tua Chiesa, il cui grembo hai deciso di abitare per sempre dopo aver

abitato per nove mesi quello di tua Madre, abbia biso-gno di qualche restauro?Si tratterà, caro Signore, di restauri costosi, perché da ricca deve diventare povera, da superba deve divenire umile, da troppo sicura deve imparare a condividere le ansie e le incertezze degli uomini, da riserva per aristo-cratici deve divenire fontana del villaggio.Chi è profano in certe faccende pensa che sia un re-stauro quasi senza spese, sottocosto, perché si tratta di ridurre invece che di accrescere. Invece io so che occorre uno di quegli stanziamenti fortissimi della tua grazia, perché, se no, non se ne farà nulla.Visto che mi sono messo sulla strada delle raccomanda-zioni, posso approfittare dell'amicizia per fartene qual-che altra?Aiuta me e tutti i miei fratelli sacerdoti a lasciarci con-durre dallo Spirito. che è Spirito di libertà e non di sog-gezione. Spirito di giustizia e non di dominio. Spirito di comunione e non di rivalità. Spirito di servizio e non di potere. Spirito di fratellanza e non di parte.Dona ai laici della nostra Chiesa la gioia di Te, che fai nuove tutte le cose. Ispira in essi i brividi dei comincia-menti, le freschezze del mattino, l'intuito del futuro.Esorcizza nelle nostre comunità la paura del vuoto, l'im-pressione che si campi solo sulle parole, il sospetto che, di ardito, amiamo solo le metafore.Metti nel cuore di chi sta lontano una profonda nostal-gia di Te. Asciuga le lacrime segrete di tanta gente, che non ha il coraggio di piangere davanti agli altri. Entra nelle case di chi è solo, di chi non attende nessuno, di chi a Natale non riceverà neppure una cartolina e, a mezzogiorno,non avrà commensali.Gonfia di speranze il cuore degli uomini, piatto come un otre disseccato dal sole.Ricordati dei ragazzi dell’ Istituto *** che non andranno a casa perché nessuno li vuole.Ricordati della famiglia che abita a ..., e sono otto in una stanza senza luce.Ricordati dei quattro vecchietti che dormono nelle celle di un ex convento a ..., con il cartone al posto dei vetri della finestra.Ricordati di Giovanni che si droga e ogni tanto mi tele-fona di notte per dirmi che sta male.Ricordati di Antonella lasciata dal marito. Ricordati di tutti i poveri e gli infelici, i cui nomi hanno trovato accoglienza sterile solo sulla mia agenda, ma non ancora nel mio impegno di vescovo, chiamato a presiedere alla carità.Ricordati, Signore, di chi ha tutto, e non sa che farsene: perché gli manchi Tu.Buon Natale, fratello mio Gesù, che oltre a vivere e re-gnare per tutti i secoli dei secoli, muori e sei disprezzato, minuto per minuto, su tutta la faccia della terra, nella vita sfigurata degli ultimi.

+ Don Tonino Bello Vescovo (18/03/1935 - 20/04/1993

Letterina a Gesù che nasceIspira in noi le freschezze del mattino

LA SACRA FAMIGLIASAN GIOSEP ÈL MARINGU

Ghera on zuen puro e bel chel laoraa con rasegò e martel

e con raspa lima e scarpelÈl fao col legn èl laorà pò bel

Èn de èl conos Maria casta e bèlà che po’ la deènta la marna pò bela

semper vergine e modèla de mader èsèmplare so la tèra Spus e spusa i sa ama tant e quant che rià l’anunciasiù

la catieria la èntra èn asiùMa Giosèp umile e sagio no èl cet ala tentasiù

con amur e dèosiù èl afronta e l’vens la situasiù èl fàò èl bubà con bènèdisiùvolere di DIO l’è la condisiù

Bubà esèmplare con moer idealèènsèma a GESÙ figura regale I l’à adorat pèr miglia e miglia

el gà format la SACRA FAMIGLIAIlario

Page 43: Voce per la Comunità

43

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo.Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, im-posti dalla routine di calendario.Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li re-spinga al mittente come indesiderati.Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi con-ceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il son-no e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospita-lità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi

ogni volta che la vostra car-riera diven-ta idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, stru-mento delle vostre scalate.

Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospen-dere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, fin-ché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bi-done della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lasce-rete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza for-tuna, senza salute, senza lavoro.Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consu-mano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condanna-no popoli allo sterminio della fame.

I Poveri che accorrono alla grot-ta, mentre i potenti t ramano nell’oscuri-tà e la cit-tà dorme nell’indif-ferenza, vi f a c c i a n o capire che, se anche voi vole-te vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi.Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.Che le pellicce comprate con le tredicesime di sti-pendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacri-legio, se provocati da speculazioni corporative.I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guar-dia al gregge ”, e scrutano l’aurora,vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio.E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi.Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

Auguri scomodi Andiamo fino a Betlemme,come i pastori.

L’importante è muoversi.E se invece di un Dio glorioso,ci imbattiamo nella fragilità

di un bambino,non ci venga il dubbio di aver

sbagliato il percorso.Il volto spurito degli oppressi,

la solitudine degli infelici,l’amarezza di tutti gli

uomini della Terra,sono il luogo dove Egli continua

a vivere in clandestinità.A noi il compito di cercarlo.

Mettiamoci in cammino senza paura.

(don Tonino Bello)

Page 44: Voce per la Comunità

44

Nella lunga catena genealogica con la quale Matteo apre il suo Vangelo (Mt 1,1-17) vie-ne tracciato il percorso della Storia della salvez-za, che da Abramo culmina in Gesù di Nàzaret. È una storia che inizia nel segno dell’Alleanza, pro-segue nella fedeltà indefettibile di Dio e culmina in Gesù, pure lui figlio del patto, circonciso come ogni maschio ebreo l’ottavo giorno. Da Abramo a Gesù sono ben quarantadue generazioni, un numero simbolico. Secondo la tradizione ebraica quarantadue sono le tappe del cammino di liberazione di Israele dall’Egitto fino alla pianura di Gerico. Matteo vuole così indicare che la vera terra promessa è Gesù. Non sfugge però come questa storia sia pure contrassegnata, a causa del peccato umano, da irregolarità e vergogna. C’è inoltre il martel-lante verbo «generare», che accompagna la scan-sione dei tempi dei vari protagonisti. Ma, come notava lo scrittore Luigi Santucci, «all’estuario di tanta fecondità, di tanti concepimenti, succede un uomo che non feconda, che non concepisce: un uomo asciutto, la cui pelle coincide con il pro-prio pudore». È Giuseppe, lo sposo di Maria. Chi è Giuseppe? Il suo nome, dal verbo ebraico yasof, significa «aumentare». Yasof è poi costruito sulla radice sof («limite»). La fecondità e la crescita passano attraverso il limite. E qui vedia-mo già profilarsi il mistero dell’Incarnazione: Dio, che «cieli e cieli dei cieli non possono contenere» (1 Re 8,27), si fa carne nel grembo di una donna. Dio assume il limite e appare l’immensità. L’irruzione di Dio nella vita di Giuseppe ha portato certamen-te un «aumento»: di fede, anzitutto. Giuseppe ha creduto alla versione inverosimile della gravidanza di Maria. Ha detto «sì» all’angelo, che gli parlava nel sonno, ha poi sposato Maria, sottraendola così

ai sassi della lapidazione, e, infine, ha iscritto Gesù nella discenden-za di Davi-de. Ma nella genealogia, Matteo in-serisce an-che quattro

donne. Questo è sorprendente, perché le don-ne non compaiono mai nelle liste genealogiche. Inoltre, queste quattro donne, a titolo diverso, sono peccatrici. Abbiamo Tamar, che si finge pro-stituta pur di avere un figlio. Troviamo poi Raab, prostituta di mestiere, che giunge a tradire il suo popolo. C’è Betsabea, la moglie adultera di Uria. Conclude Rut, la moabita, che si fa sposare da un ricco vedovo. Ma c’è una quinta donna, quella determinante per la nascita del Messia, Maria, che resta incinta di un figlio prima della nozze. Sul perché di queste donne nella genealogia di Cristo le inter-pretazioni sono state varie. Noi ora ci concentreremo sulla singolarità e sul ruolo di ognuna nel disegno della salvezza.

Tamar: quando la giustizia «trasgredisce

Tamar era una donna molto bella, se ci at-teniamo al significato del suo nome «palma» (cf Ct 7,8). Stando a Gen 38 appare anche una don-na inquieta nei confronti del Dio degli Ebrei. Vuo-le infatti introdursi nell’albo di Israele. Ha però solo una possibilità: il grembo. Tamar è pure una donna frustrata a causa di una maternità sempre contraddetta. Dai primi due figli di Giuda, infat-ti, non è riuscita ad avere prole, data la morte troppo precoce di entrambi. Ci sarebbe un terzo figlio, Sela, ma Giuda, temendo per la sua vita, adduce il pretesto della giovane età del ragazzo e rimanda a casa sua Tamar senza assicurarle una discendenza, come avrebbe previsto invece la legge del levirato. Tamar non si scoraggia, attende paziente-mente la situazione propizia. E questa pare veri-ficarsi quando Giuda, rimasto vedovo, si reca a Timna per la tosatura delle pecore. Tamar viene a saperlo e si fa trovare sulla strada vestita da pro-stituta. A quel tempo queste donne non andava-no scoperte ma velate. Tamar è ben consapevole del suo gesto e della trasgressione della Legge del Dio degli Ebrei ma vuoi far valere un suo diritto, a tutti i costi. Giuda si fa tentare e cede alla passione. Al termine, promette un capretto come ricompensa a quel genere di amore che va pagato subito. Tamar allora, furbescamente, chiede come pegno il sigillo, il nastro dell’abito e il bastone di Giuda. Questi acconsente. Il gior-no dopo Giuda manda il pattuito ma non trova più la prostituta. Dopo tre mesi, viene a sapere che la nuora è rimasta incinta di uno sconosciu-to; esce allora con una espressione sdegnata e

Cinque donne alla culla di Gesù

Page 45: Voce per la Comunità

45

allo stesso istante ipocrita: «Conducetela fuori e sia bruciata!» (Gen 38,24). Tamar lascia fare, ma mentre viene condotta via manda i pegni al suocero dicendogli di essere incinta del pro-prietario. Giuda comprende ed esclama: «Lei è più giusta di me: infatti, io non l’ho data al mio figlio Sela» (Gen 38,26). L’adultera è riconosciu-ta giusta. Passaggio davvero notevole! Scrive Erri de Luca: «Tamar inaugura la breve lista di donne entrate nell’elenco del Mes-sia, che con il loro corpo infrangono la Legge per dare una più giusta e misteriosa applicazio-ne». Nascono due gemelli, Peres e Zerach, lottatori fin dal grembo materno. Il primogenito sarebbe Zerach, a cui viene attaccato alla mano un filo rosso dalla levatrice. Ma poi questi ritira la mano e viene alla luce Peres. È interessante il simbolo del filo rosso che troveremo cordicella, dopo molto tempo, nella storia di Raab, la pro-stituta di Gerico. Per lei questa cordicella signi-ficherà la salvezza. Dentro la matassa sovente arruffata della storia c’è un filo rosso,quello di Dio; è certamente un filo esile ma che traccia il cammino della salvezza, la quale passa attraverso i calcoli umanissimi e le grandi debo-lezze del vecchio Giuda, la morte improvvisa di Er, l’egoismo di Onan e, non da ultimo, attraver-so la furbizia e la caparbietà di Tamar.

Raab: il coraggio della fede

Raab (Racab in Mt 1,15) era una prosti-tuta, una di quelle donne che vendono il pro-prio corpo al piacere maschile. Viveva ai mar-gini di Gerico (cf Gs 2,15); la sua professione l’aveva relegata, un po’ per scelta, un po’ per-ché costretta dalla morale dei ben pensanti, ai margini della sua città. Raab era una donna fa-cile al tradimento e alla menzogna. Non siamo davanti ad una figura esem-plare, eppure nell’episodio che la vede protago-nista emergono anche delle indubbie qualità: anzitutto, anche se appare strano, la sua fede nel Dio di Israele. Alle spie degli ebrei, da lei ac-colte, dice: «So che il Signore vi ha consegnato la terra. Ci è piombato addosso il terrore di voi e davanti a voi tremano tutti gli abitanti della regione, poiché udimmo che il Signore ha pro-sciugato le acque del Mar Rosso davanti a voi, quando usciste dall’Egitto» (Gs 2,9-10). Queste parole sono una vera e propria confessione di fede nel Dio liberatore. Ma non è tutto! Raab professa la sua fede anche nel Dio creatore: «II Signore, vostro Dio, è Dio lassù in cielo e quag-giù sulla terra» (Gs 2,11). È chiaro che alla fede Raab è giunta mediante una tradizione orale a lei pervenuta. Questa non l’ha lasciata indiffe-rente. Ora che ha davanti degli Israeliti è ben cosciente della forza di questo popolo, e rico-nosce come gli eventi della storia sono condotti

da Dio. Raab, pur dentro le sue contraddizioni, crede; è una donna di fede e diremmo anche una donna sapiente perché sa discernere la presenza di Dio nella storia. Il Nuovo Testamen-to lo riconosce, tanto che l’autore della Lettera agli Ebrei la introduce tra i padri e le madri di Israele: «Per fede, Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto con be-nevolenza gli esploratori» (11,31). Anche nella vicenda di Raab troviamo il simbolo del filo rosso; per lei costituirà il ri-cordo del giuramento fatto dai due esploratori (cf Gs 2,17-21). Davvero, la salvezza di Dio pas-sa attraverso incontri imprevisti, segni umili e magari insignificanti, secondo una nostra logi-ca. Ma è lo stile di un Dio che accompagna la storia non tra prodigi clamorosi ed evidenti ma dentro la trama del quotidiano. Sono proprio questi spaccati di realtà «minore» (cosa sarà mai una cordicella scarlatta?) a guarire il nostro cuore dall’incredulità e aprire lo sguardo nella fede alla mano provvidente di Dio. Una tradizione vuole che Raab sia anda-ta in sposa a Giosuè, il condottiero di Israele. Sembra che la storia biblica abbia meno pregiu-dizi della storia profana.

Rut: pietà e fedeltà

II libro di Rut ha dei collegamenti con la storia di Tamar: in 4,12 si parla di Peres, figlio di Tamar e Giuda e, in 4,18-22, Peres è tra gli an-tenati di Davide. Un altro aspetto da evidenzia-re è che i dieci nomi della genealogia con i quali si chiude il libro si trovano anche in Mt 1,3-6. Rut era la nuora di Noemi, una donna la cui esistenza fu tutta una discesa, almeno ini-zialmente. A causa di una grave carestia lascia Betlemme e con il marito e i due figli emigra in terra straniera. È strano, ma Noemi e la sua fa-miglia devono lasciare la «casa del pane» (tale è il significato del nome Betlemme), la terra promessa da Dio per poter vivere. Nel nuovo paese poi muore Elimèlec, il marito, e dopo dieci anni i due figli Maclon e Chilion, che nel frattempo si erano sposati con Orpa e Rut. Al colmo delle sventura, entrambi muoiono senza lasciare discendenza.

Page 46: Voce per la Comunità

46

Noemi si trova nel-lo stato più misere-vole: vedova, con due nuore, vedove a loro volta, senza prole e in terra pa-gana. Che fare? No-emi decide di ritor-nare a Betlemme, nella terra santa. E qui subentra una svolta importante. Al momento della separazione dalle due nuore, Rut, con grande coraggio,

ma anche sincero affetto, decide di non abbando-nare la suocera, ma si seguirla: non teme di entra-re a far parte di un popolo notoriamente ostile al suo. Giunta a Betlemme nel tempo della mie-titura, senza perdersi d’animo Rut va a spigolare nel campo di Booz, un lontano parente di Noemi. Abbiamo poi il famoso episodio notturno sull’aia, dove Rut va ad accovacciarsi ai piedi di Booz. Rut si offre a Booz permettendogli di unirsi a lei: questo farà sì che egli la riscatti. L’episodio si conclude con le nozze, e la nascita dopo poco di Obed, il nonno di Davide. Si chiedeva Teodoreto di Ciro: «Perché la storia di Rut è stata scritta? Prima di tutto a causa del Signore Gesù Cristo che è disceso da lei secon-do la carne... Ella poi si distinse perché era piena di pietà e ricevette dal Signore una ricompensa così grande che divenne l’antenata di colui che è la Be-nedizione delle genti».

Betsabea: la bellezza al servizio del potere

«A fianco di Davide ci fu una donna che, benché modesta di nascita, gli fu pari nel bene e nel male e, proprio in questo, non meno contrad-dittoria del suo consorte: Betsabea, la madre di Salomone, che ella mise sul trono come successo-re di Davide, passando sopra i cadaveri di tutti i suoi possibili concorrenti nelle successione». Così E. Drewermann descrive Betsabea, una donna che non solo tradì il marito ma lo fece uccidere dal suo amante, il re Davide. La storia di Betsabea è narrata nel secondo libro di Samuele (11,1-12,23) e nel primo libro dei Re (1,11-53). Qualche autore, leggendo tra le righe e interrogar!-^ dosi sul racconto, si è chiesto se non fosse stata proprio Betsabea a voler sedurre il re secondo un piano ben preciso, più che Davide ad aver ceduto alla concupiscenza. Con il fascino della sua bellezza, più che vittima della passione di Davide ne sarebbe stata allora l’artefice. Sono supposizioni che il testo non conferma né smen-tisce. È certo però che quando vedrà in pericolo la successione regale, forte del suo ascendente sul vecchio re, Betsabea farà sì che non Adonia ma Sa-

lomone sia designato ufficialmente a succedere a Davide. La sua bellezza è al servizio del potere. Ciò che sconcerta in questa storia, difficile da accettare, è che Mikal, la prima moglie di Davi-de, era stata ripudiata da Dio a causa del suo atteg-giamento sprezzante verso il re (cf 2 Sam 6,1-23), mentre Betsabea, la pec-catrice, sulla cui coscien-za grava un grande peccato, viene scelta per dare al re un successore, Salomone. Questo figlio, che esce da viscere contorte dal peccato, sarà amato da Dio ed edificherà il tempio, luogo della presen-za di JHWH tra il suo popolo. Il disegno di Dio si compie all’interno di una storia attraversata dal sangue, procede tra purificazioni e pentimenti. Betsabea, donna della colpa, certamente, ma an-che donna riscattata tramite il pentimento di Da-vide, che la inserisce nientemeno che nell’albero genealogico di Gesù Cristo.

Maria: la nuova Eva Maria è l’ultima donna dell’elenco di Mat-teo. Con lei la storia delle attese si compie.La nascita di Gesù è descritta in modo molto so-brio, quasi al limite della pura c r o n a c a (cf Lc. 2,6-7). Maria compie tre gesti, i ge-sti di ogni donna di-venuta ma-dre: «diede alla luce», « a v v o l s e in fasce», «pose in una man-giatoia». Il tutto in un profondo silenzio. C’è silenzio alla culla di Cristo: Maria è là in modo adorante e allo stesso tempo attivo. Mai come in lei Dio e l’umanità si incontrano. Ad una donna era stata promessa la salvez-za (Èva), dalle donne, lungo il fiume delle genera-zioni, era stata «cullata» nella speranza (Sara, Re-becca, Rachele...), in una donna si è formata fino a prendere corpo (Maria), ancora ad una donna, quella dell’Apocalisse (la Chiesa), è assicurata la vittoria finale sul dragone. A Natale, nella gioia dell’Emmanuele, noi ammiriamo in Maria di Nàzaret l’icona della don-na nuova. Davanti a questo segno, Dio vuole as-sicurarci, ancora una volta, sul nostro futuro. Sul travaglio della nostra nascita, nella fatica per un mondo più giusto, nella lotta tra il bene e le tante dominanti mondane, veglia Maria, che come ver-gine ci custodisce e come madre ci dona Gesù Cri-sto, nostro Salvatore.

Page 47: Voce per la Comunità

47

Si è concretizzata una nuova iniziativa nelle scorse setti-mane a Botticino in tema di attenzione all’ambiente ed eco-sostenibilità: presso due dei tre oratori facenti capo all’Uni-tà Pastorale vengono realizzati ed attivati due impianti di produzione di energia elettrica da fonte solare (i cosiddetti fotovoltaici).

Si tratta di due impianti identici da 20 kwp l’uno che sono posizionati rispettivamente sui tetti dell’Oratorio di Botticino Sera e di San Gallo, realizzati dalla Beghelli di Bologna ed installati dalle squadre di spe-cialisti della Cooperativa sociale NEOS di Brescia, che si occupa di risparmio energetico e produzione di energia da fonti rinnovabili. Anche per l’Oratorio di Botticino Mattina si stanno facendo le opportune valutazioni e lo studio di fattibi-lità; i tempi però in questo caso sono più lunghi, alla luce di tetti che risultano in condizioni peggiori e di impianti elettrici da razionalizzare preventivamente Dopo attenta analisi e previa verifica con gli uffici preposti della Curia, le Parrocchie di Santa Maria As-sunta e di San Bartolomeo apostolo hanno effettuato una scelta che consentirà, attraverso l’accesso agli incentivi del quarto Conto energia, di autofinanziare gli impianti stessi, producendo una media di 22.000 kilovattora ogni anno per ognuno dei due oratori. In particolare gli incentivi, che verranno erogati per 20 anni, serviranno per pagare i mutui attivati per acquistare gli impianti e per generare anche delle ulteriori entrate, utilizzabili ad esempio per effettuare interventi di manutenzione agli edifici, come nel caso di San Gallo, dove, proprio in virtù di questi incentivi, si è potuto procedere con il rifacimento di un tetto piuttosto malandato e bisognoso di sistemazione. In aggiunta agli incentivi poi , gli Oratori avranno la disponibilità dei suddetti kilowattora di energia elettrica, nella modalità del cosiddetto “scambio sul posto”, con conseguente significativo risparmio sulle bollette elettriche. Ma, oltre alle motivazioni ed alle convenienze di tipo ECOnomico, che pure ci sono e che giustificano ampiamente il progetto, ci preme sottolineare le motivazioni ECOlogiche, che ci consentiranno ad esempio, per ognuno dei due impianti, di evitare la dispersione in atmosfera di circa 12.600 kg di CO2 (anidride carbonica) e altri gas nocivi, pari alla quantità assorbita ogni anno da 1.750 alberi. E’ un piccolo contributo nella direzione di una maggiore attenzione alla salvaguardia del Creato, per tradurre anche un po’ nei fatti il nostro impegno a conservare con responsabilità le risorse che ci sono state donate; può essere anche una testimonianza ed un incoraggiamento alle famiglie che possono scegliere di intraprendere un analogo percorso di attenzione all’ambiente attraverso le energie rinnovabili e attraverso il risparmio energe-tico. Giacomo Mantelli

Energia dal sui nostri Oratori

“I credenti, quelli veri, sono sognatori, visionari impenitenti, uomini e donne abitati dalla promessa, ma paradossalmente sono anche uomini e donne legati a filo stretto a questa terra, abitata per sempre dalla nascita di Gesù, il figlio di Dio”.

Page 48: Voce per la Comunità

48

Dentro ‘La’ Festa Un po’ tutti ci stiamo abituando, e anche specia-lizzando, a fare le feste.Ogni motivo è buono per organizzarne. Festa è una parola ormai così inflazionata che il suo vero senso ci sfugge.

Ma cosa è davvero una festa?E quando possiamo dire che stiamo proprio facendo festa?Ci sono delle condizioni che la identificano come tale?E dobbiamo fare festa sempre? Se sì, perché? Se no, perché? E’ Natale! Festeggiamolo, ci mancherebbe!Nel nostro mondo alcuni ne hanno perso il senso e il motivo, ma noi no.E’ fresco qui, in testa. Nel cuore, di più.Nasce Gesù, diciamo ai nostri bambini. Gesù era… bla, bla…; sua mamma era… bla ,bla…;è nato a Betlemme in una grotta… bla, bla…; proba-bilmente faceva freddo e allora il bue e l’asinello… e ancora bla bla; e poi i pastori e il gloria degli angeli ecc. ecc. Bella la Storia, ma anche la Cultura col suo albero, col presepio, con la pastorella della banda,col panettone e i regali, con le luci per le strade, con i saluti e con lo stare in casa insieme, al calduccio.Un’ottima ricetta! Tutto l’insieme dice di una gran festa.Penso ne goda anche il Padre Eterno. E’ un modo il nostro per dirgli che l’ha combinata talmente bella che non riusciamo a togliercela di dosso. A pensarci però… ma non ha mandato Lui quel bambino, preparandogli a distanza una strada lunga e ‘fantastica’? Si racconta, e noi lo annunciamo, che fin dall’eternità avesse progettato un’Uscita da sé straordinaria. Vo-leva a tutti i costi farsi conoscere e riversare su qual-cun altro che non fosse all’interno della sua famiglia quella energia stratosferica d’amore che non ce la fa proprio a stare nella sua pelle, per costituzione, per struttura interna. Certo non avrebbe potuto baloccar-si e provare gratificazione con cosucce tipo stelle e comete e universi con buchi neri e galassie collocate su distanze siderali ridicole per le sue doti di sposta-mento; o con vulcani e deserti e calure da arrostircisi

Il 3 marzo 2012 ISIDORO verrà ordinato DIACONO

dal Vescovo Abraham Desta nella chiesa parrocchiale di Zway,

a 160 km dalla capitale dell’Etiopia, Addis Abeba.Prima di ricevere l’Ordinazione Presbiterale (sacerdote) Isi-doro viene ordinato Diacono.. La preghiera di consacrazione definisce l’identità propria:

“Dio onnipotente, sorgente di grazia, dispensatore di ogni ordine e ministero, assistici con il tuo aiuto. Tu vivi in eterno e tutto disponi e rinnovi con la tua prov-videnza di Padre. Per mezzo del Verbo tuo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore, tua potenza e sapienza, compi nel tempo l’eterno disegno del tuo amore.Per opera dello Spirito Santo tu hai formato la Chiesa, corpo del Cristo, varia e molteplice nei suoi carismi, articolata e compatta nelle sue membra; così hai di-sposto che mediante i tre gradi del ministero da te isti-tuito cresca e si edifichi il nuovo tempio, come in antico scegliesti i figli di Levi a servizio del tabernacolo santo.Agli inizi della tua Chiesa gli apostoli del tuo Figlio, guidati dallo Spirito Santo, scelsero sette uomini stima-ti dal popolo, come collaboratori nel ministero.Con la preghiera e con l’imposizione delle mani affi-darono loro il servizio della carità, per potersi dedicare pienamente all’orazione e all’annunzio della parola.Ora, o Padre, ascolta la nostra preghiera: guarda con bontà questo tuo figlio che noi consacriamo come dia-cono perché serva al tuo altare nella santa Chiesa.Ti supplichiamo, o Signore, effondi in lui lo Spirito San-to, che lo fortifichi con i sette doni della tua grazia, per-ché compia fedelmente l’opera del ministero. Sia pieno di ogni virtù: sincero nella carità, premuroso verso i poveri e i deboli, umile nel suo servizio, retto e puro di cuore, vigilante e fedele nello spirito. L’esempio della sua vita, generosa e casta, sia un richiamo costante al vangelo e susciti imitatori nel tuo popolo santo.Sostenuto dalla coscienza del bene compiuto, forte e perseverante nella fede sia immagine del tuo Figlio, che non è venuto per essere servito ma per servire, e giunga con lui alla gloria del tuo regno. Egli è Dio e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.”

Isidoro,prete a ‘60 anni’

Page 49: Voce per la Comunità

49

e depressioni; o con montagne spettacolari e freddi polari e abissi oceanici, …Ci voleva qual-cuno che in qualche modo gli assomiglias-se e potesse metterglisi di fronte, come un Tu a cui rivol-gere la parola

e da cui essere riconosciuto e, possibilmente, ri-cambiato.Capace anche lui poi, questo qualcuno, di divertirsi alla grande con tecnologie futuriste, viaggetti spa-ziali e nuotate nell’aria e nell’acqua; cavalcando animali, facendo magie d’ogni sorta, diventando signore di quel po’ po’ di ben di dio e… giocando pure a nascondino. Anzi, tutta quella roba avrebbe avuto senso solo per uno come lui e con lui.Ha deciso allora che suo Figlio diventasse la sua Uscita, per essere sicuro che ci sarebbe stato un successo pieno e un rientro trionfale con una serie infinita di Tu con cui farsi compagnia poi per le eternità.A un Tu così serviva una carta di identità divina. “Se non ci assomigliamo che ci diciamo?”, avrà detto. “E se lo costringo a ricambiarmi che gusto c’è? Un’alleanza dev’essere in qualche modo pari-taria. Chi ci sta, ci sta liberamente.Il Figlio, di lui sono sicuro, lo mando dopo, quando è l’ora. Con Tu spero vada bene.” E all’inizio ha funzionato, ma solo per un po’. Troppo presto sono terminate quelle passeggiate nel giardino e le chiacchierate confidenziali. Qual-cuno ci si è messo di traverso e gli ha inoculato uno stupido sospetto sul Suo conto.E così il primo Tu, in coppia, ha avuto la pensata di credersi bello senza la sorgente e di potersi fare lui il suo mondo. Non poteva starci né in cielo né in terra una assurdità simile: vivere a piacimento sen-za conoscere il programma né il carica-batterie. Infatti noi… ci stiamo ancora arrabattando mica male per sistemare i cocci, che – tra l’altro – non sappiamo come mettere insieme da soli. Bella ere-dità! Tant’è!Allora Quello lassù, il progettatore dell’Uscita, te-nendoci troppo al disegno di partenza che era il migliore possibile (si sa che è un perfezionista!), ha pensato a un’operazione di salvataggio, a un aggiustamento in corsa, incredibilmente più strabi-liante, per convincere il Tu che Lui faceva sul serio e che Ci voleva tutti comunque, a qualsiasi prezzo, ‘figli’ in casa come e con suo Figlio.L’operazione di recupero è stata più difficile del previsto. La libertà cocciuta del Tu ne inventava una più di Bertoldo nel mettere i paletti tra le ruo-te. Tutto si doveva fare con suo Figlio, e quello era d’accordo a metterci tutto quello che occorreva per dimostrare l’assunto di partenza: “Ci voglia-

mo bene. Che bello se altri partecipassero a questo nostro amore e si innamorassero liberamente! Mio Figlio diventa il primo, gli insegna come fare ed è fatta.”Tutto predisposto: esempi di buon affetto a iosa, segni, alleanza con regole precise perché Tu non si butti la zappa sui piedi, pedagogie veterotestamen-tarie con giudici, re e profeti per tutte le tribù.E poi il Figlio… “Voglio proprio vedere se non ca-piscono che gli vogliamo bene!...Solo che ci hanno costretto a dare il sangue.” Eccoci qua. Alla Pasqua di Morte e Resurrezione, dove il top del progetto si è svelato. E il Natale è orientato lì, dove si spiega tutto.Il prototipo della festa è la Pasqua, e la domenica con l’Eucarestia che la celebra facendone memo-ria per noi. E’ lì l’inizio della nuova vita e dell’al-leanza finalmente riuscita, della risposta libera e possibile per tutti, l’inizio della festa. Pienamente realizzata nel Figlio e pronta per tutti quelli che vogliono, con i sostegni e le chiarificazioni neces-sarie. Chi ci sta, sta già seminando. Qualcosa cresce an-che se non si vede bene. Basta togliere il veloe la festa è perfetta. Crederci. Senza accorgerci più di tanto siamo andati alle ra-dici della festa, che c’è già ma è anche una promes-sa a cui affidarci, a cui credere.San Paolo dice alla grande di quel progetto nella lettera agli Efesini 1,3-10. E dovrebbe annunciarlo ogni discepolo di quel Gesù che è nato a Betlemme, Figlio di Dio, fattosi come noi, adesso alla destra di suo Padre, presso cui ci chiama. Il posto c’è.Impossibile non avere almeno il cuore in festa. Buon Natale! … suona meglio adesso.

Isidoro

Page 50: Voce per la Comunità

50

ANNO PASTORALE 2011-2012

La campagna di microbenefìcenza “Supercent” rientra a pieno titolo fra gli eventi impoilanti della Chie-sa bresciana. Promossa dalla Ca-rilas diocesana di Broscia, grazie al supporto operativo di Congrega della carità apostolica e Fondazio-ne Opera Caritas San Martino, la campagna è una di quelle piccole cose “in grado di cambiare il mon-do”, come ha sottolineato lo stesso Vescovo in conclusione del suo in-tervento. La straordinarietà di una iniziativa che si sostanzia di piccoli gesti (perché piccolo è il dono di 1 centesinio) sta proprio nella ca-pacità di coinvolgere un numero sempre maggiore di persone per-ché la cifra raccolta alla fine diventi significativa e possa aiutare tante famiglie che si trovano in difficoltà in seguito alla crisi economica che sta coinvolgendo il Paese. Sempli-ce è il meccanismo su cui si fonda “Supercent”: spingere i brescia-

ni titolari di conto corrente pres-so gli istituti di credito che hanno aderito all’iniziativa (Ubi Banca di Vallecamonica e Banco di Brescia, Banche di credito cooperativo del-la provincia, Credito bergamasco, Monte dei Paschi e Intesa San Paolo, oltre 650 sportelli su tutto il territorio provinciale che garanti-scono di effettuare l’operazione a costo zero) a devolvere almeno un centesimo di euro per ognuna delle operazioni bancarie che svolgono durante l’anno. Una nuova sfida alla poIl vescovo di Brescia, monsignori, Luciano Monari, ha sottolinealo come l’ini-ziativa avrà successo «se tutti si attivano: è una beneficenza in rete, che ci aiuta a sentirci insieme». Proprio la coralità rafforza l’inter-vento, considerato che «la nostra è una società che offre moltissime possibilità, ma, allo stesso tempo, rischia di lasciare indietro chi non

sta al passo. - ha aggiunto monsi-gnor Monari - Lo sforzo deve esse-re quello di non lasciare che nessu-no rimanga emarginato».

Promosso dalla Caritas, dalla Congrega della carità apostolica e dalla Fondazione Opera San Martino. Donare una piccola cifra per ogni operazione bancaria effettuata.

La scelta pastorale delle relazioni. Una scelta pastorale che certamente troverà rinnovato vigore all’interno del cammino sinodale verso le unità pastorali, forme di capillarità che nascono da un bisogno sentito, quello della prossimità: “in una comunità cristiana ci si deve sentire prossimi gli uni degli altri; non ci possono essere persone o famiglie che nessuno ha in nota; bisogna che ogni battezzato si senta parte viva della comunità. E tutto questo si può ottenere solo con uno sforzo di prossimità”. Così il nostro Vescovo, al convegno delle caritas parrocchiali “Chiesa, profumo di relazioni”, rispondendo a una domanda sul rapporto caritas e unità pastorali: “L’efficacia dell’atti-vità pastorale dipende molto dalla presenza sul territorio: se sguarniamo il territorio, raccògliendo semplicemente tutto in un centro, la vicinanza alle persone, inevitabilmente, diminuisce e, quindi, diminuisce anche l’efficacia del servizio pastorale. Bisogna centralizzare la programmazione, non il servizio, che invece deve rimanere il più ampio e diffuso possibile”. E' in questo tempo propizio di discernimento comunitario che anche le Caritas sono chia-mate a contribuire all'armonizzazione del tessuto pastorale, rinnovando il loro essere "presenze di comunione" nella capillarità del "farsi progetto" accanto agli "ultimi, forza della comunione".

un centesimo per aiutare i poveri

AIUTAMI AD AIUTARE Rivolgitiallatuabancaechie-diallosportelloilmodulodiadesione:tisaràindicatoilnumerodioperazionidicontocorrentechemediamentesvol-giinunmese;disponiconunbonificounadonazionemensilecorrispondentealmenoatanticentesimiquantesonoleoperazioni. Inpocheparole:perogniope-razionedicontocorrentedoniuncen-tesimo,masevuoi...puoiversareanchequalcosadipiù.Sonopochispiccioli,semplici briciole, che però una voltaraccolte diverranno un aiuto preziosoperchiènelbisogno.

PER SAPERNE DI PIÙVieniatrovarmisulsito:

www.supercent.it:troverainews,video,progettietantealtre

informazioniperconoscermimeglio.

Page 51: Voce per la Comunità

51

"L'Italia sono anch'io" è una Campagna nazionale promos-sa, nel 150° anniversario dell’unità d’Italia, da 19 organizzazioni della società civile (Acli, Arci, Asgi, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cnca, Comitato 1° Marzo, Coordinamento nazionale degli Enti locali per la pace e i diritti umani, Emmaus Italia, Federazione Chiese Evangeliche In Italia, Fondazione Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Rete G2, Sei Ugl, Tavola della Pace, Terra del Fuoco) e dall’editore Carlo Feltrinelli. Presidente del Comitato promotore è il Sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio. L'iniziativa si propone di riportare all’attenzione dell’opinione pubblica e del dibattito politico il tema dei diritti di cittadinanza e la possibilità per chiun-que nasca o viva in Italia di partecipare alle scelte della comunità di cui fa parte.

Oggi nel nostro Paese vivono oltre 5 milioni di persone di origine straniera. Molti di loro sono bambini e ragazzi nati o cresciuti qui, che tuttavia solo al compimento del 18° anno di età si vedono riconosciuta la possibilità di ottenere la cittadinanza, iniziando nella maggior parte dei casi un lungo percorso burocratico. Questo genera disuguaglianze e ingiustizie, limita la possibilità di una piena integrazione, disattende il dettato costituzionale (art. 3) che stabilisce l’uguaglianza tra le persone e impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno raggiungimento. I promotori della campagna si propongono di contribuire a rimuovere questi ostacoli, attraverso un’azione di sen-sibilizzazione che inizia ora, ma soprattutto attraverso la modifica dell’attuale legislazione che codifica le disugua-glianze. Per questo, dall’autunno 2011 promuoveranno la raccolta di firme per due leggi di iniziativa popolare, una di riforma dell’attuale normativa sulla cittadinanza, l’altra sul diritto di voto alle elezioni amministrative.

Oggi vi racconto la mia piccola storia: mi chiamo Lamiaa ho 11anni, sono nata a Reggio Emilia e faccio la prima media. A scuola va tutto bene, stavo benissimo, vivevo felice e serena fino a due anni fa circa, quando un giorno ricevo un 10 in grammatica, ero cosi felice perché non succedeva tutti i giorni, ma il commento della maestra mi lasciò un po’ perplessa; le sue parole mi fecero riflettere sulla mia identità. Lei mi disse : “Lamiaa sei stata bravissima hai superato gli italiani!” “Che cosa?”, dicevo fra me e me. “Ma io sono italiana!” Quando tornai a casa, mia mamma notò la mia rabbia: era arrivato il momento della discussione di un argomento che non avevo mai aperto prima d’ora con i miei genitori. Mia mamma in quel giorno mi disse:”Ma non c’è niente di male se ti chiamano stranièra.” Perché secondo lei non è affatto un insulto. Ma il problema non era questione di insulto, ma era da verificare se io sono stranièra o meno. E io replicai: “Mamma, ma io non mi sento stranièra, sono nata e cresciuta in Italia, io non nego le mie origini, ma casa mia è in Italia e mi sento italiana. Il Marocco lo adoro, sì, però lo sento più il paese dei miei genitori che mio, non so se mi capisci.... Non lo so, io non ci ho mai pensato prima e davo per scontato che io sono italiana!” E la discussione finì, almeno in quel giorno, con un silenzio che di-ceva tanto. Passa un anno, e vado alle medie, emozionata e un po’ spaventata dalle novità. Siccome mia mamma durante l’estate mi aveva insegnato un po’ di francese con la pronuncia giusta, la mia insegnante fin dalla prima lezione aveva nota-to questo e mi disse:”Brava, hai una bella pronuncia, da dove

vieni?” E io pensai in quel momento: “Ancora? Ma cosa vuol dire da dove vengo? Da Reggio Emilia, no? Ah, forse voleva dire da dove vengono i miei genitori?”. Allora ho detto:“Cara prof, i miei genitori vengono dal Marocco, e io sono nata a Reggio Emilia.” Adesso, per favore, chiariamo la faccenda: non chiamatemi mai stranièra o immigrata, a voi la scelta, potete chiamarmi italo araba, oppure italo marocchina, ma non sono affatto stranièra; i miei genitori tanti anni fa hanno scelto di immigrare e sono venuti in Italia. Ma io non ho mai immigrato, sono nata in Italia, per cui mi sento italiana, non so con quale percentuale, però lo sono, perchè lo sento dentro e lo credo. Sento come se il Marocco fosse mio papà e l’Italia mia mamma e nessuno potrebbe mai togliermi dal cuore uno dei due. Questa non è solo la mia storia, ma è la storia di tutti i bambini e i ragazzi, figli di immigrati, che sono nati in Italia e, purtroppo, riscontrano, oltre a questi stessi miei problemi, altri problemi….. Da qua, vorrei lanciare un messaggio: concede-te la cittadinanza italiana a tutti i nativi, risparmiateci tutti i problemi inutili che non finiscono mai, e smettetela di farci vivere situazioni, che ci fanno sentire quello che non siamo. Lasciateci studiare e costruire il nostro futuro con serenità, e ricordatevi che italiani lo sentiamo dentro davvero.

Lamia Zilaf, 11 anni

Page 52: Voce per la Comunità

52

UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINOCommissione pastorale familiare e coppia

Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

Segni e sognie se Dio

sognasse con noi?novembre 2011La dimensione della figliolanza è forse il segno più

universale che Dio ha lasciato nell’umanità, la sua traccia evidente nella natura umana. L’essere figlio ci mette nelle condizioni di partecipare inconfutabilmente a un dono che ci precede, a legami inalienabili che ci strutturano, a un mandato di futuro carico di speranza e di responsabilità. Attraverso il sacrificio di Gesù Cristo, l’Unigenito, il Suo sogno è che tutti possano diventare eletti con una figlio-lanza piena ed eterna. In questo, la Chiesa si fa grembo materno e germe di una nuova umanità, di quel Regno di Dio di cui tanto parla il Vangelo e che si concretizza a partire proprio dalla famiglia cristiana, fondata sul sacra-mento del matrimonio, piccola chiesa domestica e culla della vita.Anche oggi, forse con nuove sfide e fragilità, le famiglie italiane mostrano gravi fatiche nell’accogliere i figli e nell’educarli alla fede. É dovere di tutta la comunità cri-stiana e della società civile sostenere tali sforzi, favorire la piena libertà di diventare genitori e offrire il maggior bene possibile ai minori. Dagli anni ’90, il nostro tasso di crescita è sotto lo zero, nel senso che non c’è un reale ricambio generazionale e, nonostante alcuni segnali di ri-presa dati dall’immigrazione, la tendenza sostanzialmente non è affatto mutata. Molte sono le analisi del fenomeno del crollo della natalità e parecchie, ovviamente, sono le interpretazioni; non di meno, però, un dato di fondo sem-bra essere costante: la sfiducia e la paura del futuro!Di certo pesa molto il fenomeno delle separazioni e divor-zi, le difficoltà lavorative e la quasi assenza di politiche fa-miliari, che fanno di casa – salute – istruzione una cabala indecifrabile. Inutile ripeterlo: da soli non ce la possiamo fare!Bisogna, allora, riprendere a sognare co cuore di Dio…che di paternità e di maternità se ne intende e che nel mo-dello di Nazareth ci ha dato un nuovo segno di salvezza. Nessuno è così solo sulla terra da non avere un Padre nei cieli, recita una bella preghiera, nella speranza però che il cielo inizi davvero ai nostri giorni…Nella nostra diocesi appaiono come lumicini coraggiosi alcuni esempi di grande speranza, che chiedono di essere notati e magari un po’ sostenuti. Proviamo ad inforcare gli occhiali dell’ottimismo.Beh, nel campo educativo, espressione di genitorialità spirituale, Brescia viene da un recente passato abbastanza glorioso, che ci ha lasciato in eredità 253 Scuole dell’in-fanzia e una cinquantina di Istituti scolastici di altri gradi. Nuove risposte ai bisogni dei genitori, poi, sono rappre-sentate dal centinaio di Asili Nido affiliati all’ADASM,

organizzazione che riunisce le Scuole per la prima infan-zia d’ispirazione cristiana. Anche nel mondo dell’adozio-ne, le famiglie bresciane offrono spunti di speranza e di dimostrazione tangibile di sincera generosità.Qui, come nel mondo dell’affido, sarebbe auspicabile po-tersi ritrovare ogni tanto nel segno della fede e della con-divisione della medesima esperienza di vita.Nel mondo associativo, ancora per fare un esempio, la grande associazione di Famiglie Numerose, di “sapore” nostrano, ma di “profumo” nazionale, si presenta come un utile strumento di aggregazione e di sostegno solidale, di rivendicazione e di promozione sociale.Con una sana lente d’ingrandimento, si può notare la Co-munità Effatà di Cologne, costituita da tre nuclei familiari e da due suore Operaie. Anche le Comunità famiglia, con ragazzi in affido o con sostegno di mamme sole, sono una bella stella nel nostro panorama diocesano: le Suore delle Poverelle, con più centri d’intervento; l’Istituto Razzetti; i Padri Pavoniani; la Casa S. Elisabetta; la Casa Le dimore; il particolarissimo “Asilo” di suor Paola; per non parlare poi dei Consultori, dei Centri di Ascolto, dei Centri Aiuto alla Vita e del Movimento per la vita…Accanto a queste eccellenti istituzioni, nel segno della novità, vorrei eviden-ziare il sorgere di alcune case famiglia, dove un nucleo familiare apre la propria porta, nel regime dell’affido, a dei bambini e ragazzi minorenni. Esiste più di un esempio in diocesi e ogni realtà, proprio come una famiglia, porta delle specifiche originalità, sia nella storia della sua costi-tuzione che nella struttura del menage quotidiano.Mi sembra giusto e necessario che i molti operatori di pa-storale familiare possano conoscere e apprezzare questo firmamento di speranza, dove tantissimi bambini e ragazzi imparano alla scuola dell’amore caritatevole che cosa si-gnifichi essere figli! dicembre 2011

La solitudine esistenziale è in se stessa una realtà che dice mancanza, privazione e perdita di senso.A volte, pur non essendo isolati da altre persone, maga-ri anche ben conosciute, ci si trova ugualmente ad essere soli, senza cioè quella necessaria condivisione di vita e quei legami esistenziali che supportano ogni storia umana.Nella Rivelazione biblica, la Parola potente del Dio Crea-tore viene ad affermare la solitudine come contrasto peg-giorativo rispetto alla bontà di tutta la sua opera. Allora, stando al racconto di Genesi 2, il progredire della crea-zione colma la misura di vuoto, innestando quel legame di corrispondenza e differenza tra l’uomo e la donna (Ish e Ishà), lì richiamati in Adamo ed Eva. “Non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gn 2,18). Gli studiosi e i maggiori commentatori hanno sottolineato con chiarezza il significato del verbo origi-nale, qui tradotto con “aiuto”, affermando che si tratta di un’espressione che dice riferimento alla potenza miseri-cordiosa di Dio che salva, avvalorando questo con altri paralleli nella Bibbia. “L’ aiuto”, quindi, è “amore che salva”. Questa è la logica di tutta l’azione divina, che in

pagine per lafamiglia e... dintorni

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

Page 53: Voce per la Comunità

53

Gesù Cristo ha trovato la sua massima e definitiva espressione efficace: Dio ci salva con l’amore miseri-cordioso; Dio ci salva nell’amore sacrificale del dono totale della vita del Figlio!Quando vogliamo ottenere un aiuto da qualcuno, usiamo spesso dire: “Mi potresti dare una mano?”, richiamando forse il significato della concretezza e più in là nel ragionamento anche quello del patto, del legame. A ben guardare, però, seguendo quanto detto qui sopra, l’espressione potrebbe cambiare, dicendo:“Mi potresti offrire il tuo cuore?”... Il Signore ci ha plasmati a sua immagine e somiglianza, facendo emergere in noi l’essere strutturalmente relazionali e capaci di pienezza d’amore, nella libertà e nella ve-rità. Infatti, nell’opera salvifica, solo la relazione tra noi come popolo e con Gesù come Figlio Unigenito, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, può portare sal-vezza eterna.Tra le solitudini che oggi imperversano nella nostra società, della tecnologia e dell’individualismo, grida-no alla Chiesa la situazione di molti fratelli e sorellenelle situazioni di vedovanza, di coloro che non si sono mai legati stabilmente a qualcuno, oppure, dei tanti separati e divorziati. Non possiamo rimanere sordi a queste richieste di aiuto, ma con rinnovata fede dobbiamo offrire il nostro cuore, con soluzioni originali e speranzose.Troppi monolocali raccolgono le lacrime e le insoddi-sfazioni di molte persone sole, magari proprio quelle che ci passano accanto tutti i giorni e con cui condi-vidiamo lavoro, vita sociale e impegno ecclesiale. La fraternità è la medicina a tanti mali e la prevenzione per evitare innumerevoli tragedie umane...Nel passato era facile trovare aggregazioni di perso-ne e di fedeli, sia per necessità che per scelta. Alcune di queste, poi, sfociavano anche in virtuosi cammini di fede e in fruttuose strade di carità, altre, rimaneva-no soluzioni pratiche per affrontare meglio la vita. Il sogno di Dio di vederci sempre immersi in relazionibuone e significative dev’essere riattivato, ora cer-cando di rinverdire idee del passato, oppure, inven-tando soluzioni completamente nuove. Ad esempio, la pratica del buon vicinato, con lo scambio di parole riconoscenti e di favori supportivi, potrebbe smorzare tante tensioni e rompere pericolosi isolamenti; come pure, la bella occasione del pranzo domenicale da aprire a chi è solo, e questo sia in case private che in ambienti parrocchiali (è una pratica in voga in parec-chie parti del mondo, dopo la S.Messa domenicale). Ci sono molti anziani soli in case enormi e, dall’altraparte, ci sono giovani coppie/famiglie in case picco-lissime, seppur con mutui impegnativi: perché non mettere insieme leì due cose e garantire più qualità di legami e di vivibilità a tutti? Ancora, molte persone separate/divorziate si ritrovano senza la possibilità di sostenere da sole una casa e con la triste realtà di una pesante solitudine da affrontare: perché non creare si-

Appuntamento. Santa Messa per sposi coi loro figli, fidanzati e animatori della pastorale familiare. Ogni ultimo sabato del mese, alle ore 21 presso Centro Pastorale “Paolo VI” a Brescia.

2 - la famiglia genera la vitaQuesto il titolo della seconda Catechesi preparatoria all’ IMF.Brevi pensieri dopo la lettura. La famiglia nasce dalla coppia, dalla differenza sessuale voluta da Dio, anch’essa rende possibile l’essere e vivere “ad immagine e somiglianza”.La generazione umana è legata alla comunione delle persone che la differenza sessuale rende possibile, ma la generazione non è solo il momento della nascita; anche se parte dall’incontro dell’uomo con la donna, passa per la gestazione e va oltre il “lieto evento”.La generazione continua nell’alleanza, in legami stabili dove è possibile aver cura dell’altro, coniuge o figlio. La differenza ses-suale è un “cosa buona”, ci scopriamo femmine di fronte a un maschio e viceversa e il nostro corpo sessuato permette la co-munione, il dono della persona alla persona.Nel dono totale all’altro ad-viene la vita. Sapere che all’origine del mio esserci c’è stata la comunione di due persone, l’amore, è una radice forte che dà sicurezza e fiducia nella vita.In famiglia ci si dona la vita continuamente e nei modi più di-versi.Generare l’altro, darlo alla luce, significa per esempio offrirgli speranza e futuro col perdono, significa indicargli un orizzonte di bene, significa generarlo alla fede facendo spazio a Dio tra me e lui, significa aprirlo ai bisogni degli altri, al senso del dovere, all’assunzione di responsabilità, alla fatica necessaria alla conqui-sta. La generazione non si esaurisce con la nascita di un amore, di un figlio, di un nipote ma si estende all’arco intero della vita dell’uomo, nel suo aver cura, nell’educare, nell’aver pazienza, nell’accogliere, nell’aprirsi alla novità e soprattutto alla vita nel-lo Spirito di Cristo, attraverso la fede praticata e vissuta. Allora anche in mezzo a fatiche e stanchezze potremo testimoniare che Lui ci ha “generati ad una speranza viva” (1 Pt 1,3). C’è bisogno di affermare questo con la vita familiare oggi più che mai..

Chiara Pedraccini

LA FAMIGLIAIL LAVOROLA FESTA

IN PREPARAZIONE ALL’INCONTRO MONDIALE

tuazioni di ospitalità dignitose e riservate, abitando insieme a famiglie di supporto?Spesso capita di incontrare persone che non hanno scelto di essere sole, ma che tanti fatti hanno portato a non sposarsi o a non fare il salto della consacrazione. Il rischio è di chiudersi a riccio, di sentirsi inutili o di vivere completamente ripiegatisu se stessi. Anche in questo caso, ci vorrebbe la spinta a unirsi per reciproco sostegno e per inventare una nuova fecondità di bene nella propria vita. Insomma, il motto è: “Nessuno sia solo; tutti abbiano una famiglia!”.

don Giorgio Cominisegretariato diocesano pastorale familiare

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

Page 54: Voce per la Comunità

54

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

3 - la famiglia vive la prova Questa terza Catechesi preparatoria all’ IMF pro-pone una sosta di riflessione sulla prova. Ci è successo almeno una volta, di pensare che una vita, anche familiare, riuscita non debba contemplare l’esperienza della prova. Non è così. La prova non è il fallimento ma un’esperienza con/nella quale sveliamo a noi stessi e a Dio cosa abbiamo davvero nel cuore. Non solo quali sentimenti ed emozioni ma soprattutto su quale fondamento abbiamo costruito finora. La prova può assumere volti diversi: la difficoltà a diventa-re genitori, le relazioni familiari, gli insuccessi scolastici dei figli, la malattia o la perdita di una persona cara, l’amicizia tradita, il lavoro che delude nelle aspettative o che allontana dagli affetti, la perdita dello stesso, l’incapacità dei figli a superare ostacoli alla loro portata, il tradimento. Alcune prove arrivano improvvise e inaspettate, altre sono in un certo senso prevedibili perché legate al ciclo di vita familiare - per esempio il non dormire mai una notte tutta intera per mesi -, op-pure a situazioni già sperimentate che non possiamo cambiare. Ma una cosa le accumuna tutte: invitano a fare delle scelte, con atteggia-menti concreti, decisioni, fanno nascere in noi domande profonde, ci fanno scoprire che non possiamo controllare tutto, che i responsabili di quello che sta accadendo non sono sempre solo gli altri. La prima tentazione di fronte alla prova è il rifiuto, la paura della fatica, del cambiamento e del disorientamento. E non sempre ci affidiamo al coniuge per condividere, capire, fare discernimento insieme. Quando invece accogliamo la prova, la viviamo standoci dentro, non per forza ma perché chiediamo al Signore cosa dobbia-mo fare, cosa Lui ci suggerisce e Gli offriamo anche questo momen-to della vita personale e familiare allora non saremo annientati, non ci sentiremo persi, senza speranza, senza futuro. Anche la grazia del sacramento della riconciliazione è un forte aiuto. La promessa che il Signore ha realizzato col suo popolo in esilio nel deserto vale anche per noi: “Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni” (Dt 8,4). Alle prove non ci si abitua mai, però è importante fare me-moria di tutte le volte che il Signore ha aperto una via inaspettata dove per noi c’era solo un vicolo cieco; di tutte le volte che di fronte a Lui abbiamo subito ridimensionato un ostacolo che ci sembrava insormontabile, di quando la nostra umiltà è stata preziosa, di quan-do Dio ci ha aperto gli occhi e abbiamo cambiato il modo di leggere quella situazione. Questa memoria ci aiuta nel discernimento anche del tempo presente, comprendiamo che aver affrontato un ostacolo è stato come fare il gradino di una scala in salita, ci aiuta a farci pros-simo a chi è nella prova, ad accompagnarlo al Signore, che ha cura di tutti noi e che ci sostiene nel tessere la vita famigliare.

“Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momento di dif-ficoltà, di grave crisi, che pensano alla separazione o sono già separati ma desiderano ritrovare se stessi e una re-lazione di coppia chiara e stabile. Per info: [email protected] e www.retrouvaille.it.

numero verde da numero fisso

800-123958da cellulare3462225896

Il Gruppo Galilea un cammino difede per persone che vivono situazioni

matrimoniali difficili o irregolari (es. divor-ziati-risposati). Gli incontri sono mensili,

al centro la Parola di Dio, con ampispazi di ascolto, riflessione e condivisione.

Ogni primo sabato del mese. Gli incontri si tengono da calendario an-nuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Bre-

scia) un sabato al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00.

Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio

Diocesano di Pastorale Familiare.

Pomeriggi di spiritualità coniugale presso Chiesa della S. Famiglia di Nazaret Fantasina - Cellatica (ore 16.00 - 18.00).

CALENDARIO ANNUALE:Domenica 22 gennaio - Domenica 26

febbraio - Domenica 18 marzo - Domeni-ca 15 aprile - Domenica 27 maggio

LA FAMIGLIAIL LAVOROLA FESTA

IN PREPARAZIONE ALL’INCONTRO MONDIALE

Page 55: Voce per la Comunità

55

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

SENTiEri di STELLEè un cammino di preghiera per tutte le comunità cristiane della nostra diocesi.Ad esse si chiede solidarietà con le famiglie ele persone che soffrono per le situazioni di crisirelazionale, come ad esempio gravi difficoltà,separazioni, divorzio, ecc.L’immagine (Sentieri di Stelle) evoca un duplicesignificato: da un lato, quando i piedi camminanoal buio è meglio volgere lo sguardo al tracciatoceleste, che risplende con sicurezza e non deludemai; dall’altro, ciascuno ha il dovere di indicare achi sta soffrendo strade di consolazione e modellidi santità, facendosi carico dei pesi degli altri,iniziando proprio con l’orazione. L’Ufficio Famiglia, unitamente ai Gruppi Galilea della nostra diocesi, chiede alle parrocchie/unità pastorali di ospitare questa preghiera, coinvolgendo in primis i membri del Consiglio pastorale, i catechisti. Le parrocchie dell’Unità Pastorale di Botticino aderiscono ufficialmente all’iniziativa, fissando questo incontro di pre ghiera il martedì sera durante l’Adorazione Eucaristica e in particolare il terzo martedì di ogni mese.

Una lucida lettura di come gestiamo il tempo nel nostro tempoII tempo è un’espressione fondamentale della vita sociale. Molte delle conversazioni quotidiane che scambiarne con le persone familiari e amiche riguardano il vissuto personale del tempo: se scorre troppo in fretta o se, invece, è interminabile; se lo si attende con trepidazione o lo si teme angosciati. Le emozioni misurano l’intensità della parte-cipazione soggettiva agli eventi della vita; l’educazione familiare è sempre una verifica dell’uso del tempo che è l’unico bene sottoposto interamente alla responsabilità personale.Ogni società, ogni epoca storica tende a costruire una particolare per-cezione della temporalità, un riferimento generalizzato che attribuisce particolari sfumature di senso all’esperienza del tempo.Prevale oggi la sensazione che il tempo sfugga alla possibilità di con-trollo e di comprensione delle persone.Nella vita della città, la possibilità d’incontrarsi è strettamente legata a fissare gli appuntamenti, all’indicazione di un luogo e di un’ora. Ridotto a criterio di misura, il tempo appare sempre scarso.La scoperta dell’orologio rappresentò una tappa importante della si-gnoria sul tempo, collocando in alto, sulla torre campanaria, quasi un

vessillo del potere dei singoli cittadini di gestire il tempo, scandendolo al ritmo della comunità. Sembra, invece, imporsi oggi non la fierezza del controllo ma il dubbio e il rammarico: perché ci manca sempre il tempo? Perché capita sempre qualcosa o arriva sempre qualcuno che ci «porta via» il tempo?Chi regola il tempo? Chi ne è il padrone? La risposta esclude possa es-sere la famiglia; se mai il potere parrebbe risiedere nelle grandi orga-nizzazioni del lavoro o del tempo libero, nelle istituzioni che s’impongono sulla famiglia. Adulti e bambini sanno solo che la società (il datore di lavoro, l’ufficio imposte, l’insegnante...) è spietata nel sanzionare i ritardi, nel controllare i tempi o nel punire lo «scarso rendimento» del tempo.Il nervosismo, il torpore emozionale e l’ansia della prestazioneLa svolta impressa all’evoluzione sociale dalla tecnologia avanzata ha avuto pesanti conseguenze sulla cultura tradizionale del tempo. Alcune espressioni, diventate linguaggio comune, sono anche lo specchio in cui si riflettono stili di vita e comportamenti che contraddicono, come rischiose tentazioni, conquiste importanti della nuova cultura.- «Non ho tempo». La fretta e il ritmo della prestazione corrodono il tempo della vita. Ogni volta esso è insuffi ciente. La ristrettezza del tem-po rende agitati e ansiosi. Nel nervosismo si diventa impazienti e si lascia

FAMIGLIA E RITUALITA’

i riti che introducono al tempo liturgico

Tempo che corre tempo che conta

Page 56: Voce per la Comunità

56

libero sfogo agli istinti aggressivi.Ne è un esempio evidente l’esperienza del traffico, dove l’altro appare subito come intralcio che ci «ruba» il tempo. Tutto nella città è segna-to dalla concitazione ossessiva, come denunciano i comportamenti dei bambini, sensori straordinari del clima in cui sono immersi, i quali appa-iono permanentemente iperattivi e chiassosi. Il baccano dei bambini è sempre più insopportabile agli adulti perché ricorda loro il caos della città e lo stress della loro vita.- «Vivi il presente», «Afferra l’attimo». Il presente dell’attimo non ha consistenza: appena avviene, già è passato. La brevità nella nuova per-cezione del tempo è compensata dalla sua qualità estetica. Il pluralismo degli orientamenti di vita ha ridotto i valori etici in più modesti «criteri di preferenza» e il credere in un «rito individuale» fatto a propria mi-sura: nasce un individuo realista, relativista, aperto a ogni possibilità. La pretesa di considerare la vita come un incessante esperimento sen-za approdo, il desiderio di fruire dell’immediato come accumulo delle opportunità e come gratificazione istantanea, innescano il sentimento minaccioso dell’estraneità e dello sradicamento, una penosa e inter-minabile «assenza d’identità», tanto forte da diventare quasi costume collettivo.La difesa immediata dallo stress è ricercata inducendo un torpore emo-zionale costante che attenui i segnali e difenda dal «rumore». La di-sattenzione, la distrazione, la negligenza producono un certo distacco generalizzato nei confronti delle occupazioni e delle relazioni, per im-pedire l’intrusione degli altri.- «Il tempo è denaro». Quanto più il tempo è compresso e veloce, tanto più la competizione si fa serrata e il tempo diventa il metro dell’effi-cienza e il parametro dell’autorealizzazione. Oggi i criteri sono quelli dell’utilità: si considerano i risultati. Valore simbolico per eccellenza è, infatti, il denaro, che è un mezzo generalizzato di scambio (con il denaro si può fare «tutto»). Il tempo diventa mercé, risorsa economica preziosa perché scarsa, ed entra nei processi produttivi al pari di altre risorse. Il lavoro, che si proclama fondamento della vita comune e della demo-crazia, è ridotto a denaro. L’esperienza del tempo diventa ancor più fastidiosa e accresce l’ansia della prestazione.Il nervosismo, il torpore emozionale e l’ansia della prestazione accom-pagnano così frequentemente e fortemente la quotidianità fino a diven-tare stili normali di vita.Si cerca di ovviare alla scarsità del tempo attraverso una sua gestione accurata, ma proprio questo sforzo ci rende ancor più vulnerabili e fa sentire fastidiosa la sensazione della nostra dipendenza. L’organizza-zione razionale del tempo comporta che, in ogni scelta, si calcoli il rap-porto tra mezzo e fine: l’agire è il mezzo mediante il quale perseguiamo i fini stabiliti.La crisi della festaLa razionalizzazione della vita sociale limita sempre più lo spazio della gratuità e quindi porta a un impoverimento progressivo delle ritualità familiari, civili e religiose. I riti, infatti, non si possono compiere sotto la dominanza dell’orologio. L’esperienza della festa perde così sempre più terreno, occupato invece dalle attività del «tempo libero». Ma si tratta di due esperienze diverse: il tempo della festa nasce dal valore unico delle persone ed è il terreno fertile delle ritualità e dei significati che

rigenerano la quotidianità del tempo feriale; il tempo libero procura il riposo e l’evasione che staccano dalla quotidianità solo per riprenderla subito dopo. In una società fondata sulla prestazione e sulla produzione, il tempo della festa sembra vuoto, improduttivo, inutile. L’esclusiva cen-tralità del presente azzera il tempo, cancella la memoria e l’anticipa-zione del futuro, dimensioni essenziali della festa. Prevale la domanda esasperata di «divertimento», mentre il giorno festivo stenta ad assume-re una dimensione umana: è vissuto più come un tempo individuale che come uno spazio personale e sociale.La lingua greca conosce due parole per dire il «tempo»-, chronos e kairòs. Il primo indica il tempo misurato dall’orologio, quello che sta nell’agenda dei programmi e degli appuntamenti. Il secondo segna gli incontri essenziali e vitali dell’esistenza, quando l’intenzione è di incon-trare non gli individui della società ma l’«altro», colui che da senso alla vita, il prossimo che costituisce il proprio ambiente vitale, con il quale si stabiliscono i «legami» che fanno essere. Kairòs sono gli eventi che aprono all’attesa e alla sorpresa. È il «tempo pieno», l’intervallo vitale della meraviglia!Per vivere il kairòs, il tempo liberato dalla prestazione e dall’utilità in vista del denaro, è indispensabile produrre un’alternativa e una critica del tempo del lavoro. Non si può vivere di sola prestazione: è indispen-sabile anche la gratuità; è necessario anche ciò che appare «inutile». L’identificazione di questo tempo ha bisogno anche della cultura fami-liare e dei suoi simboli.

Tempo per la famigliaII tempo familiare, infatti, non è un tempo che si aggiunge agli altri; non può essere un’ulteriore cosa da fare, né può essere inteso come pura pausa dal lavoro. L’intenzione del tempo familiare è invece di dare sen-so, valore e consistenza a tutti gli altri tempi della vita; di dare insieme significato e speranza. È un tempo qualitativo e non solo quantitativo. Nella gratuità familiare nascono i riti: l’accoglienza e il saluto, gli scambi affettivi e i pasti comuni... Il «dolce far niente» familiare, il tempo della vacanza, il gioco domestico, sono, infatti, tempi che sono vissuti con l’in-tensità del rito.Nelle società tradizionali, il kairòs aveva per sua natura qualità reli-giosa e rituale; definiva il presente della vita comune in riferimento ad un tempo sacro, disposto da un’iniziativa più grande rispetto a quella umana e quotidiana.Perdendo il suo riferimento religioso e l’alternanza festiva, il fare quoti-diano sembra non approdare mai a una meta, come non avesse un sen-so. Il futuro non può partire, non riesce neppure a essere immaginato. Il bighellone senza mete o il turista, che è solo di passaggio, diventano le metafore della fine delle certezze, del tempo vissuto senza forma, fluido e informe, casuale e disordinato. Il reale è sostituito dall’immaginario, più precisamente, dal virtuale. Si alimenta così la sfera dell’immaginario e dello spettacolo: il vuoto del reale è riempito subito dalla fantastiche-ria. Ci s’immerge in una mitologia molto individuale, sconosciuta agli altri e alla stessa persona che la adotta, come avviene nel videogioco o nel romanzo fantastico e magico.

La distrazione, il ritualismo e la frettaII nervosismo, il torpore emozionale e l’ansia della prestazione sono oggi talmente invasivi e i legami tanto fragili che, anziché essere disper-si e corretti dalle ritualità familiari e dalla cura dell’anima, rinforzano altrettanti stili di vita caratterizzati dalla distrazione (scarsa attitudine all’attenzione verso di sé, verso gli altri e verso le cose), dal ritualismo (quando il distacco emozionale trasforma i rapporti vitali in copioni sen-za anima), dalla fretta (l’incapacità e l’insofferenza nel vivere il tempo).Distrazione, ritualismo e fretta sono anche i principali nemici, sempre in agguato, dell’azione liturgica. I riti d’inizio (e il tempo che precede im-mediatamente la celebrazione) attivano le disposizioni mentali ed emo-zionali essenziali dell’attenzione perché si possa passare (e quale salto si tratta di compiere!) dal tempo della prestazione (chronos) al «tempo pieno» della Grazia (kairòs).Il passaggio a un altro ordine del tempo e dell’esperienza avviene at-traverso le ritualità della fede (che sono simili a quelle familiari ma più potenti e quindi più difficili) che mettono a parte un luogo e un tempo

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

Page 57: Voce per la Comunità

57

e lo donano al Signore (lo «consacrano»). I riti religiosi (la celebrazione della fede) richiedono un linguaggio appropriato, dove le parole, pur avendo lo stesso significato della vita quotidiana, hanno un altro senso, perché alludono al Mistero, dove le azioni e gli oggetti sono tolti dal loro utilizzo pratico e sono trasformati in segni divini. Nella celebrazione eucaristica «si mangia» ma non per fame; si beve non per sete e nemmeno per «compagnia»; ci si muove e si «agisce» non in funzione di qualche scopo, ma solo per rappresentare l’invisibile Presenza del Signore risorto. Si compiono azioni, ma gli effetti ordinar! che ne derivano non sono quelli fisici. Il corpo non smette di essere es-senziale, come lo è nella vita di ogni giorno, ma nella liturgia si rende quasi trasparente alla luce che proviene da Altrove. Il corpo non si sottrae alla percezione dei suoi cinque sensi, ma si trova ad abitare un territorio nuovo, quello della gratuità e della pienezza di significato (il «tempo pieno»). Durante l’Eucaristia gli occhi non si chiudono per lasciar spazio all’immaginazione, sono ben fissi all’Evangelario che avanza, all’Ostia esposta, al calice contemplato, anche se non vedono «nulla» di ciò che il fedele solo crede.Nei confronti della realtà quotidiana si crea come un «gioco», nel senso «meccanico» di distanza, intervallo, parentesi. Senza questo spazio e questo tempo altro, la cele-brazione rischia di non riuscire a dire l’indicibile, a creare comunione con il Mistero inaccessibile. Dio appare solo nella fede, ed è come la Luce che tutto fa risplendere e alla quale ogni segno allude, ma in se stessa è «inguardabile» perché «abbagliante».Nella liturgia non si rinuncia ai sensi: si sospende la loro funzione usuale per percepire diversamente. La vera ascesi quindi è l’attenzione, non la rinuncia.La distrazione si combatte, infatti, attraverso la concentrazione sui gesti semplici e solenni che alludono all’azione di Gesù. Il ritualismo si contrasta quando si entra nella celebrazione con cuore libero e aperto, disposto a lasciarsi guardare e incontrare dal Signore, mentre impara a volgere lo sguardo, a orientare l’orecchio, a disporsi alla parola, a muovere il corpo, secondo le sapienti (e antiche) regole del rito. La fretta si risolve quando si accetta di uscire da sé, per considerare il mondo non più come oggetto da manipolare e dominare, ma come dimora da abitare nella consonanza della risposta corale e nella fraternità espressa dal canto dell’assemblea.I riti d’inizio della celebrazione eucaristica hanno quindi lo scopo di rendere reale l’Invisibile, con un’intensità che deve contrastare il peso della distrazione, del ritualismo e della fretta. Per questo, come vedremo, il fascio di Luce che l’assemblea appena composta raccoglie, lascia immedia-tamente intravedere la propria oscura miseria e subito predispone a riconoscersi peccatori.

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

La potenza del bacioLa partecipazione è una dimensione essenziale nella preghiera liturgica. I cre-

denti proclamano e celebrano un fatto - il Mistero cristiano - ritenuto storica-mente fondato, vissuto come reale, celebrato come essenziale per la loro vita, riconosciuto come costitutivo per la loro identità. Nella liturgia i cristiani s’impe-gnano in una professione di fede che non interpella solo la loro ragione, ma riguarda il senso complessivo dell’esistere; coinvolge, quindi, tutta la persona e la tocca negli affetti, nei sentimenti e nelle emozioni.È indicativo, infatti, che la celebrazione eucaristica inizi con un gesto semplice e immediato di affetto umano: il bacio all’altare.Gli affetti sono ciò che da senso e gusto alla vita; sono tra le cose più belle che la quotidianità dell’esistenza riservi; riempiono di felicità così come a volte, nella mancanza, nell’indelicatezza, nel tradimento, fanno piangere fino alla disperazione.L’affetto è anche la segreta bellezza della ritualità della liturgia. Il linguaggio dei riti, infatti, non si ferma a constatare che Dio c’è o a celebrare la fede, ma genera le relazioni tra le persone. «Cristo Gesù Salvatore, tu sei Parola del Padre qui ci raduni insieme, Tu...»-, come si possono pronunciare queste parole con verità, nel canto o nella preghiera, senza sentirsi toccati dentro? In latino, infatti, «affectus» è opera del tatto, significa «essere toccato». L’affetto che si prova quando si prega (e che più propriamente è chiamato devozione) dice il modo con cui si percepisce e si vive l’invisibile Presenza di Dio. Dice anche come si considerano le persone che si hanno vicino e, a sua volta, manifesta agli altri come si sta partecipando alla celebrazione. Nella liturgia i gesti esprimono sempre il cuore e per questo diventano bellez-za, tenerezza, qualità dello sguardo, del sorriso, della voce, del gesto, del mo-vimento di tutti coloro che celebrano e non solo di chi presiede. Senza affetto tutto muore nel ritualismo che, della preghiera, è negazione totale.

Un saluto dalle grandi conseguenzeII gesto più quotidiano della comunicazione affettiva, il bacio, metafora eroti-ca e nuziale, linguaggio dell’affetto e dell’amicizia, diventa così, atto liturgico importante.Il segno di venerazione del bacio imprime all’azione liturgica un movimento essenziale: l’altare e ciò che avverrà su quella pietra sono definiti, da subito, il centro della celebrazione, l’espressione visibile dell’amore totale di Cristo donato e ricevuto. In realtà, più in generale, è tutta l’assemblea che viene trasfigurata dal rito liturgico, in quel bacio. Subito dopo il segno della croce, colui che presiede, infatti, si rivolge all’assemblea con la parola umana più impegnativa: «Fratelli...». Si tratta di un saluto, colmo d’affetto, più vincolante di quello rivolto ad amici, a conoscenti, a simpatizzanti. Gli amici si scelgono, la fraternità è data. Finché resiste lo sguardo rapito in Cristo, fin quando si fissa ‘altare, avviene nell’assemblea un vero miracolo: quella massa multiforme ed eterogenea di conoscenti e di sconosciuti, di amici e di estranei, di simpatizzanti e di indifferenti, diventa «un cuor solo e un’anima sola», annullando ogni altro aggettivo (anche le distinzioni di genere: non è necessario, di per sé, all’appel-lativo «fratelli» aggiungere «sorelle»). Poste davanti al Signore, finché dura l’atto di fede, tutte le diversità sono ricondotte a unità. Le differenze bambino/adulto, povero/ricco, servo/padrone, uomo/donna, almeno nella parentesi li-turgica, non hanno più alcun valore. A essere precisi, infatti, non si potrebbe dire «Messa dei bambini», «Messa dei giovani», «Messa degli anziani»...Il segno della pace, un più tardi, simbolizzerà e realizzerà una comunione e una fraternità che «non sono di questo mondo». Prefigurerà «ciò che sarà», l’orizzonte escatologico del cielo e della terra nuova. Ogni persona partecipa all’Eucaristia in base alla propria età e condizione di vita, che però l’evento dell’altare ha il potere di relativizzare nella forma più radicale. All’assemblea liturgica possono partecipare due vicini di casa che non si parlano, due cittadini in conflitto, due compagni di lavoro (o di scuola) che non si sopportano, due parenti che si detestano, due coniugi che vivono separati... Nella misura in cui

Page 58: Voce per la Comunità

58

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

credono al sacramento che celebrano, almeno per quella parentesi di tempo, quegli stati di vita sono annullati. In caso contrario non sarebbe possibile cele-brare: le parole del Maestro sono inequivocabili: «Lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Resistere all’invito potrebbe comportare di «mangiare e bere la propria condanna» (1 Cor 11,29).

Una possibilità realeA chi celebra l’Eucaristia, almeno per un momento, è dato di sperimentare (non d’immaginare o di fantasticare) alzando gli occhi sull’assemblea che prega sen-za distoglierli dall’altare, che i contrasti e i conflitti possono ricomporsi, che le diversità sono ricchezze, che il Pane della vita sostiene i deboli e dona loro di non arrendersi al male, di non rassegnarsi all’ingiustizia, di superare i torti.Il sacramento realizza ciò che simbolizza: sull’altare si celebra la vittoria sulla morte. A chi prega è dato un tempo e un luogo in cui sperimentare, attraverso l’affetto divino, che la morte non è più il cupo destino dell’esistenza. La fede che riconosce il Signore lì presente attesta che la paura della morte può esse-re umanamente portata, annullandone il potere distruttivo. Liberati dal terrore della morte si sperimenta, così, la pace, accolta come il dono più prezioso. La pace è anche liberazione dai pregiudizi, dalle grettezze, dalle chiusure della mente e del cuore. L’analisi scientifica della realtà sociale è utile per interpretare i segni dei tempi. Per chi vive la liturgia e vuole orientarsi nella complessità del mondo, non sono d’aiuto, invece, le ideologie e le utopie. I cristiani conoscono bene il senso e il valore delle grandi parole della vita: pace, solidarietà, uguaglian-za, fraternità, misericordia, perché le vivono concretamente nell’aula liturgi-ca quando i loro occhi rimangono fissi su Cristo all’altare. Nella quotidianità della vita in famiglia, sul lavoro, nella società il cristiano sperimenterà spesso la contraddizione tra il dono vissuto nel sacramento e la condotta etica.Constaterà la presenza del peccato in lui e nel mondo. Uscito dalla chiesa, già forse sugli scalini del sagrato, sperimenterà ancora i condizionamenti del pre-giudizio, l’ansia per il futuro, l’incapacità del perdono, i pensieri della vendetta. Non perderà però la speranza e non si arrenderà alla mediocrità, perché ri-corderà di aver «toccato con mano» (sensibilmente) la possibilità reale di quei valori quando, nella celebrazione sacramentale, ha abitato, per un momento almeno, il confine tra ordine storico mondano e il Regno di Dio, ha realizzato la sintesi più compiuta e perfetta dell’immanenza (il qui e adesso) e della trascen-denza (il futuro escatologico).La liturgia, infatti, appartiene al corpo e alla terra, ma istituisce un nuovo ordine di significati e di finalità. Senza cedere al dominio oscuro dell’emozionale e

alle illusioni dell’immediatezza, l’invisibile Presenza non allontana dalla storia e dalla terra ma mette fuori gioco le richieste e le leggi del mondo. La liturgia è azione, non fantasia; cambia la realtà, non ne modifica solo la percezione.«Nell’esperienza liturgica, l’esistenza vissuta nell’orizzonte ultimo del mon-do si lascia interpretare come limite che la liturgia consente di superare. Quest’ultima, dandosi all’interno del mondo un orizzonte che non è quello del mondo, dimostra che il mondo non è intrascendibile; e, anche se essa non si appella a un al di là, senza prima sottomettersi alle condizioni dell’ai di qua, comunque prova che per essa il mondo perde la propria struttura d’orizzonte» (J.Y. LACOSTE, Esperienza e assoluto, p 68).

L’esperienza più vicina all’accadere liturgicoII tempo liturgico si presenta, quindi, come un tempo altro: un diverso modo di vivere e sentire il mondo, una vera modificazione dell’esperienza di sé e della realtà.Non esistono equivalenti del miracolo della liturgia: nessun’altra esperienza umana permette di vivere ciò che i sacramenti, celebrati nella fede, operano.L’esperienza che meno si allontana e meglio riesce a darne un’immagine è, forse, l’evento della maternità. La maternità è, infatti, prima di tutto, un’intensa esperienza inferiore, un fatto reale ma, per molti versi, incomunicabile. In quanto avvenimento umano straordinario, costituisce, insieme, un fatto di natura biologi-ca, una complessa esperienza psicologica e un evento di alto contenuto umano e spirituale. Diventare madre è un’esperienza che coinvolge integralmente il corpo, la psiche e lo spirito della donna. Le tracce della trascendenza sono lì talmente attive che si diventa madri solo con il tempo.Questa complessa esperienza inferiore comporta un’elaborazione mentale pro-fonda, che inizia fin dal concepimento e non si chiude al momento del parto ma richiede ulteriore tempo e lavoro mentale e spirituale.Lo stesso avviene nella liturgia: solo con il tempo, attraverso un lungo percor-so di catechesi e di ascesi si diventa capaci di celebrare.La maternità comporta un cambiamento sostanziale. Diventata madre non è più la donna di prima. La madre stessa è come senza parole di fronte ad un avvenimento che capita dentro il suo corpo, eppure lo supera e lo trascende, davanti ad un processo irreversibile (sarà madre per sempre, per tutta la vita e per ogni momento della vita) che da le vertigini, dentro un’avventura che la coinvolge totalmente. Vive la maternità come un’esperienza che non può essere completamente trasmessa a chi non l’ha provata: lo sembrano dire gli sguardi di complicità delle madri che si incontrano e, a volte, i silenzi (o anche le incompren-sioni) verso i padri dei loro figli, che pur essendo partecipi e parte in causa non accedono certo alla medesima esperienza. L’intima gratificazione della mater-nità può, d’improvviso, apparire più forte del desiderio sessuale, dell’attrazione (non del significato e del valore) della vita di coppia.Anche la pace liturgica non è comunicabile agli estranei. Lo riconosceva l’antica disciplina dell’arcano. L’invisibile Presenza non è infatti data dalle emozioni e dai sentimenti (che, con un po’ di competenza, possono essere descritti), non è data neppure dal rito. Piuttosto, è il Signore che si dona attraverso il rito e tocca il corpo e l’anima di chi partecipa nella fede. Anche per la mamma il figlio è «invisibile»: non ancora nato lo sente vivo nel suo corpo, ma chi sarà questo figlio? Lo stringe tra le braccia a pochi mesi (o anni) ma che ne sarà di questo bambino? Lo accompagna adolescente ma che adulto diventerà? Ogni volta la domanda cerca l’invisibile e la risposta sta solo nella speranza e nella fiducia.Nell’anima e nel corpo della donna che diventa madre avvengono passaggi e maturazioni di notevole complessità. C’è il tempo in cui la donna intesse con la creatura che porta in grembo il primo dialogo inferiore, immaginario. Poi il momento del parto con il suo travaglio indicibile e le sue emozioni travolgenti: quasi la sensazione di essere puri strumenti della natura, di appartenere alla fertilità della terra e alla vita del mondo. Ci sono, infine, i primi giorni dalla nascita, dove la nuova madre intesse i legami d’intimità con il suo bambino e compie gesti semplici e quotidiani ma con un’intensità e uno stile che solo la mamma è capace di fare: tenerlo in braccio, accarezzare e manipolare il suo corpo, presentargli gli oggetti, orientarlo alle prime esperienze del mondo (Donald Winnicott).Il generare della liturgiaL’Eucaristia da sempre è la stessa ma è vissuta secondo gradi diversi di consa-pevolezza dai bambini, dagli adolescenti, dagli adulti e dagli anziani. È sem-pre la stessa ma si da in una molteplicità di forme: feriali, festive, parrocchiali, patronali, familiari, in piccolo gruppo. Incontra e trasforma gli eventi umani più distanti: la nascita e la morte, la gioia e il dolore, il fervore e la mediocrità.Il generare non appartiene solo al dominio degli eventi fisiologici. Metaforica-mente può essere esteso a tutte le attività umane: alla vita lavorativa e profes-sionale, alla produzione artistica, all’azione sociale. Lo si dice specificatamente della fede quando la catechesi spiega che la comunità cristiana genera i suoi figli alla fede, attraverso i sacramenti.La riscoperta della maternità, come dimensione essenziale della femminilità, non può avvenire fuori dalle conquiste culturali delle donne: quelle di una mag-giore consapevolezza dell’essere persona e del suo spazio nella società, del riconoscimento del valore assoluto della maternità ma anche dei possibili effetti perversi del sentimento materno. Non si rinnova il rapporto madre-figlio se non

Con il bacio, l’altare e ciò che avverrà su quella «pietra» sono definiti, da subito, il centro della celebrazione.

Page 59: Voce per la Comunità

59

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

si libera quello madre-donna, attraverso la ricerca di una corrispon-denza sempre più esplicita dei valori della maternità con quelli della femminilità, con la qualità della vita personale. Il movimento di libe-razione della donna è un punto di arrivo della modernità: segno di una società libera, mobile, emancipata.Generazioni di teologi e di pastori, di catechisti e di fedeli, donne e uomini, hanno sognato il rinnovamento della liturgia con la pas-sione degli innamorati. Hanno ricercato e ricercano una corrispon-denza sempre più vitale e reale tra le parole della fede e i gesti del corpo, fra le verità celebrate e la qualità della vita comunitaria e personale.Lo spazio materno, pur nelle sue ambivalenze, costituisce il luogo di grandi valori personali e sociali. Rappresenta il codice dell’umanizza-zione, la sfida ai valori dominanti dell’utile e del vantaggio perché è vocazione alla donazione di sé, capacità di offrire, dall’infanzia alla vecchiaia, la possibilità di amare, di godere e far godere.La decisione di generare esprime inoltre la fiducia nel nuovo e nel futuro, nella possibilità di trasmettere valori positivi che i figli potranno fare propri.Lo stesso si può dire anche della liturgia, ma senza ambivalenze, nel senso più pieno, perché il soggetto che agisce è lo Spirito del Signore.

L’affetto è anche la se-greta bellezza della ritualità della liturgia. Senza affetto tutto muore

nel ritualismo.

Ilgruppodivolontari,giovaniemenogiovani,dell’Orato-riostasistemandogliultimidettagliperconsegnareaivisitatoriuno scenario completamentenuovo,ma sempre suggestivo eemozionante.LavenutadiGesùvienecollocata,perquestaedi-zione,inun’ambientazionenaturale:nellaquietedelpaesaggiolacustre. Perdareuntoccodirealismoinpiùnonmancherannoipersonaggiinmovimento,lacolonnasonoraconoltrediecipun-tivoceel’alternarsidelgiornoedellanotte,accompagnatianchedafenomenimeteorologiciqualipioggia,neveenebbia. Legiornatedifestatroverannocosì,inquestoangolome-ticolosamentericreato,un’occasioneperguardareconstuporeallanascitadelSalvatore,lapossibilitàdiritrovareun’emozionenelsilenzio.El’umiltàdellamangiatoiapotràessereopportunitàperconcedersiunapausainquestotempotantofreneticoquan-toprecarioperguardarelameravigliacheogniannosirinnova. Perquantilovolessero,ilpresepiosaràvisitabile,soloifestivi,daNatalefinoal15gennaiodalleore10,30alle12edalle14,30alle19esabato7gennaiodalleore14alle17 BuonNatale!

Gruppo Presepio dell’Oratorio di San Gallo

Presepio San Gallo 27° edizione L’appuntamentoconilpresepio diSanGallosirinnovaanche quest’anno. La parrocchia e il gruppo presepio

oratorio San Gallo organizzano:

Diamo luce al Presepio…piccola rassegna di presepi di San Gallo

Se credi ancora che fare il presepio possa essere un momento bello, di fede

e tradizione, non farti domande costruisci il tuo presepe … non importa con che materiale, in quale stile, l’ importante che

serva a te, ad avvicinarti al vero Natale e possa donare a chi lo vedrà

un momento di gioia e serenità Anche quest’anno ti chiediamo

di condividere il tuo presepio con tutti noi… come?

Basta segnalarlo a Egidio , Renzo o Pietro, noi passeremo a visitarlo e faremo alcune

fotografie da esporre all’ ingresso del presepe dell’ oratorio… sarà un modo per condividere

le tue idee con i tanti, che ci vengono a trovare… Le segnalazioni vanno fatte

entro domenica 18 dicembre .Egidio 030 2199982Renzo 030 2199863Pietro 030 2199881

Page 60: Voce per la Comunità

60

La scuola parrocchiale “Don Orione” si innesta in una storia e un territorio ricco di attenzione educativa e di for-mazione cristiana: la scuola è ospitata in quello che per molti parroci anziani è stato l’inizio del seminario, successiva-mente ha ospitato il seminario minore della famiglia religiosa degli Orionini. Da alcuni anni la scuola è gestita dalla parrocchia di Botticino Sera che vede in questo investimento un aspetto dell’attenzione educativa che caratterizza ogni cristiano. Si propone alle famiglie la possibilità di vivere in maniera costruttiva il rapporto educativo, favorendo la vicinanza tra genitori, alunni ed insegnati. L’obbiettivo è quello di aiutare i ragazzi a crescere con una personalità matura, sicura e capace nello stile di vita propriamente cristiano. Per favorire questo è parte integrante del percorso l’attenzione alla persona con un supporto particolare e individuale per alcune necessità educative particolari.La scuola secondaria di primo grado (medie) si fonda su una tradizione forte e su una certa diffusione sul territorio anche fuori dai confini parrocchiali. Cinque anni fa la scuola ha fatto la scelta di iniziare la scuola primaria per rispondere più opportunamente alle famiglie e alle loro esigenze presenti sul territorio di Botticino. La scuola primaria giunge quest’anno alla conclusione del suo primo ciclo: lo sforzo della parrocchia è stato intenso e finalmente quest’anno potremo fare domanda di estensione della parità avendo realizzato l’adeguamento delle strutture necessarie per garantire la sicurezza degli ambienti secondo la normativa ministeriale esistente. Ora lo sguardo corre al futuro...con i migliori auspici, certi che la scuola paritaria offre un servizio pubblico almeno al pari della scuola statale, pertanto la scuola della parrocchia non è antagonista, vuole piuttosto essere una delle possibili alternative.

PER…. CORSI PER CONOSCERE E FARE Da alcuni anni la Scuola Don Orione dell’Unità parrocchiale di Botticino organizza occasioni di incontro per la comunità in orario serale , con l’obiettivo di favorire momenti di crescita umana e cultu-rale.Un’attenzione particolare viene rivolta all’aspetto della salute, secon-do il vecchio adagio latino ” mens sana in corpore sano” ecco allora i corsi di ginnastica dolce e Yoga; senza trascurare il training auto-geno. Per chi ama cimentarsi in nuovi percorsi gastronomici vengono proposti il corso di cucina e quello di pasticceria, sempre molto seguiti ed apprezzati. Non mancano laboratori di manualità creativa: cucito, di foto-grafia, arte e decoro. Completano il percorso : il corso sulla memoria per motivare i non più giovanissimi a scongiurare il rischio di perderla, uno studio sulla grafia per aiutarci a comprendere meglio il nostro carattere, attitudi-ni, potenzialità e debolezze…. Quest’anno l’offerta “formativa” sarà potenziata con la proposta di un laboratorio di scrittura, di conoscenza dell’arte contempora-nea, di iconografia. La realtà ci porta infine ad offrire un aiuto a quelle famiglie che devono affrontare il problema dell’accudimento di persone anziane

, ecco allora alcuni incontri con il geriatra che può for-nire indicazioni pratiche su come muoversi in presenza di tali problematiche. I corsi partiranno in due monumenti: una prima par-te in autunno, la seconda in primavera, secondo un calendario che verrà distri-buito e pubblicato sul sito della parrocchia:www.parrocchiebotticino.it

Gent.le Sig.ra Preside,nell’informarla che verremo quanto prima a ritirare il diploma di ....., vo-

levo approfittare della presente per rinnovare a lei e a tutti gli insegnanti

della scuola i miei ringraziamenti per l’anno scolastico scorso.

.... nello scorso anno scolastico è mol-to evoluto e si è responsabilizzato,

certamente maturato, anche grazie alle attenzioni degli insegnanti della

Vostra scuola che hanno saputo cogliere le fragilità di mio figlio. A te-stimonianza di tutto ciò, ...., in questi

primi giorni di scuola superiore si sta dimostrando molto volenteroso e, pur conscio che non sarà mai, per sua natura, un grande studioso, ha certamente appreso da voi metodo

e responsabilità che mai nessuno prima aveva lui spiegato; anche la

capacità di credere in se stesso è stato un valore aggiunto che il suo gruppo

insegnati ha trasmesso a ....Spero per lui che possa anche nei

prossimi anni incontrare insegnati positivi, pazienti, professionisti come

tutti voi avete dimostrato di essere svolgendo con passione

il vostro difficile compito.Pregandola di girare ai suoi collabo-

ratori i miei sinceri ringraziamenti la saluto caramente.

il papà

Scuola Parrocchiale don Orione

QUI SCUOLA

Page 61: Voce per la Comunità

61

I "doveri" della scuola cattolicaEducare l'uomo, trasmettere la fedeLuogo di missione, diventa parte integrante dell'evangelizzazione La scuola cattolica da sempre si caratterizza perché accanto all'istru-zione pone l'educazione, nell'attenzione a formare l'uomo nella sua integralità e in tutte le sue dimensioni da quella umana a quella spirituale, da quella cultura-le a quella etica. In questo processo formativo la trasmis-sione del-la fede è parte irri-nunciabile perché la persona si umanizza maggiormente se incontra Gesù Cristo che è l'uomo perfetto. L'educazione vista in quest'ottica diventa par-te integrante e fondamen-tale dell'evangelizzazione e rende così la scuola catto-lica luogo di missione che, guardando a Gesù maestro di verità e di vita, indica la strada della piena promo-zione dell'uomo. Il far cre-scere nel sapere delle varie discipline è già qualcosa di grande e di bello, ma la sor-presa si fa ancora più pro-fonda quando offriamo ai giovani, che ci sono affidati, la possibilità di scoprire il senso della vita, la ricerca libera della verità, la bellez-za del saper costruire delle relazioni e la presenza di quel germe divino che c'è in ciascuno, germe che co-stituisce la grandezza della persona. La scuola cattolica ha proprio questo compi-to, non può accontentarsi di trasmettere un sapere qualunque, la sua atten-zione deve essere quella

di dare pienezza all'uomo, di renderlo capace di ave-re fiducia in se stesso non perché è intelligente o ricco, ma perché va scoprendo di giorno in giorno il senso del suo essere creatura divina. Solo così l'educazio-ne cristiana risponde in ma-niera profonda al desiderio di verità, bontà, bellezza e

felicità che sono nel cuo-re di ogni per-sona, coope-rando alla sua maturità, allo sviluppo della sua libertà e

al desiderio di raggiungere la somiglianza con quel Dio amore che ci ha creati. Paolo VI in una del-le sue splendide omelie a conclusione del Concilio diceva: "Amare Dio signifi-ca trovare e servire l'uomo, l'uomo vero, l'uomo inte-grale; amare l'uomo e fare il cammino insieme con lui significa trovare Dio termi-ne trascendente, principio e ragione di ogni amore". Queste parole sin-tetizzino in modo straor-dinario e al tempo stesso concreto quello che deve essere il cammino educa-tivo che siamo chiamati a compiere se voghamo ri-dare alla nostra società un volto nuovo, più pulito, più autentico, più umano e cri-stiano. E questo è compito di tutti, ma lo è in special modo per la scuola cattoli-ca che è opera della Chiesa e ha come suo obiettivo di fondo quello di sollecitare le risorse positive dei ragaz-zi per aiutarli a dare voce ai loro talenti.

Non si tratta di trasmettere soltanto i saperi; l'attenzione costante è per la pienezza della persona umana

Mons. Crociata La scuola paritaria

Risorsa importante per la società italiana

"Il momento che il nostro Paese sta attraversan-do ha carattere di difficoltà straordinaria, non solo nel passaggio istituzionale e politico, ma anche, e per taluni aspetti soprattutto, nelle ricadute sociali ed economiche della crisi. Di queste difficoltà siamo pienamente avverti-ti e seguiamo da vicino, conviva apprensione per il bene della nostra gente, gli sviluppi al momento non definiti". Così si è espresso nei giorni scorsi, mons. Mariano Cro-ciata, segretario generale della Cei, intervenendo a Ron-cade (Tv) alla seconda Conferenza sulla scuola libera pa-ritaria e formazione professionale. In Italia la legge sulla parità 62/2000 afferma che il sistema nazionale di istru-zione non si identifica con la scuola statale. Da ciò deri-va, ha spiegato mons. Crociata, che "il sistema nazionale non può considerarsi tale se mancano le scuole parita-rie", cui “Va attribuito un valore costitutivo". Eppure, "ad oggi è ancora avvertita una differenza di trattamento fra gli alunni delle scuole statali e quelli delle scuole paritarie, per via dell'incerta consistenza e tempestività delle pur modeste sovvenzioni". La parità scolastica è un pilastro fondamentale, assieme all'autonomia, del sistema edu-cativo. di istruzione e di formazione, ha sostenuto an-cora il Segretario generale della Cei. Se la parità assolve, infatti, un servizio pubblico dentro il sistema scolastico nazionale, sembra logico che la sua attuazione risponda alle finalità proprie della scuola in quanto tale e sia soste-nuta anche sul piano economico, oltre che pedagogico e culturale". "È una risorsa - ha aggiunto - su cui la società italiana deve poter contare per l'educazione delle nuove generazioni: non un di più o un privilegio per pochi, ma una offerta formativa rivolta a tutti coloro che intendano usufruirne, con parità di doveri e diritti, secondo la logi-ca della sussidiarietà che in questi anni si è consolidata anche sul piano costituzionale". La scuola paritaria "non vive in contrapposizione o in alternativa alla scuola stata-le, ma si pone accanto, come altra possibilità e garanzia di accesso all'istruzione e alla formazione, nel rispetto della ‘libertà di scelta educativa da parte delle famiglie'. Per mons. Crociata, "è necessario che il tema della parità sia adeguatamente sostenuto dalla promozione di una cultura scevra da pregiudizi ideologici e da stereotipi, che nulla hanno a che vedere con il valore educativo e cultu-rale espresso dalla scuola paritaria. "

Page 62: Voce per la Comunità

62

pellegrinaggio di fiducia a Berlino per l’incontro europeo Participare al pellegrinaggio di fiducia a Berlino vuol dire...... pregare, cantare, fare silenzio e parlare della fede con decine di migliaia di giovani europei;... sperimentare l’ospitalità delle famiglie;... scoprire la presenza di Dio in una città aperta alle tradizioni, culture e religioni le più diversi;... impegnarsi per la comunione in una città divisa per molti anni, aprire un cammino di pace, di fiducia e di speranza fra gli uomini.informazioni presso gli oratori

Per un’altra stradaitinerario anno oratoriano 2011-2012

2° tappa - Avvento Natalela strada della verità“Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”: sono uomini colti e sapienti quelli che intraprendono il viaggio.Uomini che hanno tutti i “dati” possibili a portata di mano. Gente con il na-vigatore aggiornato insomma. Eppure non sanno dov’è. Manca ancora qual-cosa ed è una stella, un segno divino che li guida. Il Signore ci offre ancora una volta un’indicazione per trovare la strada giusta: guarda di fronte a te, cambia i tuoi occhi e vedrai la strada della verità.Forse tutto quello che hai intorno, informazioni, strumenti, oggetti non sono più utili: stanno diventando troppi, banali. Forse il tuo sguardo è sem-pre orientato a terra e non vedi una stella, sfolgorante, nel cielo.

PER LA COMUNITÀ EDUCATIVASuperare la banalità di alcune proposte, offrire sguardi alti e impegnativi, questo lo scopo della seconda tappa che si svolge nel periodo di avvento.È l’occasione per richiamare nei nostri progetti educativi momenti dedicati alla contemplazione, alla preghiera, all’annuncio dell’importanza Cristo nella nostra vita e in quella dei nostri ragazzi.Saper vedere la stella, saperne interpretare il cammino: ritorna l’invito ad imparare a leggere la propria vita in modo vocazionale e ad aprirsi ad un ac-compagnamento spirituale costante.

INTERROGATIVI L’invito a percorrere la strada della verità ci offre alcuni spunti di verifica:1. Quali occasioni di spiritualità e di accompagnamento spirituale offriamo ai nostri bambini, ragazzi ed adolescenti?Sono occasioni di riflessione e verifica della propria vita?2. Sappiamo leggere criticamente la realtà (e aiutare i ragazzi a farlo) evitando proposte superficiali ed atteggiamenti che banalizzino i rapporti tra le persone ed il consumo delle cose?

I RE MAGIScopri nei racconti di que-

sti saggi venuti dall’Orien-

te un atteggiamento di

speranza, di attesa e di

adorazione: può diventare

il tuo!

-

Page 63: Voce per la Comunità

63

NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINOincontro settimanale alle ore 20,00

per adolescenti e giovani nelle rispettive parrocchie

presso l’oratorio

ZONA PASTORALE- Botticino SeraLA VITA UNA BUONA NOTIZIAitinerario di spiritualità per giovanimartedì 17 gennaio e martedì 7 febbraio

Giornate di spiritualità per giovani presso l’Eremo di BiennoLa vita buona del Vangelo

meditazioni del Vescovo Lucianoe animazione dell’équipe diocesana da sabato 28 aprile

(ore 15.00) a martedì 1 maggio 2012 (ore 17.00)

SICHAR (2^ domenica del mese)gruppo vocazionale diocesano aperto alle giovani e ai giovani de-siderosi di cercare luce per la propria scelta di vita, con attenzione a tutte le vocazioni (vita matrimoniale, consacrata, missionaria, diaconale, presbiterale…) Sì, per tutta la Vita GIOVANI CHE: - desiderano acquisire uno stile di preghiera e di discernimento - stanno vivendo forme di servizio in gruppi catechistici, caritati-vi, missionari; - stanno valutando la possibilità dell’anno civile o di volontariato; - desiderano aprirsi a forme di impegno socio-politico; - appartengono ad associazioni o a gruppi ecclesiali; - stanno approfondendo la loro ricerca vocazionale. OBIETTIVO:Aiutare a scoprire la volontà di Dio sulla propria vita attraverso un cammino di fede, di ricerca e discernimento vocazionale, aper-to ad ogni tipo vocazione (matrimonio, vita consacrata, missiona-ria, diaconale, presbiterale…). MEZZI:Ascolto della Parola di Dio (Lectio divina) Discernimento spiri-tuale; Silenzio - Preghiera - Eucarestia Piccolo gruppo - Equipe di animazione Confronto - Condivisione - Testimonianze

Progetto Giovani & Comunitàtre mesi di esperienza per i giovani e le giovani

di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso la vita comunitaria e il servizio, si confrontano

sulle proprie scelte di vita ispirate ai valori cristianiINFO:

ufficio Caritas 030.3757746 ufficio Vocazioni 030.3722245

-

Celebrazioni penitenzialisabato 31 marzo 2012 ore 17.00presso il Centro Pastorale Paolo VIpresieduta da don Giovanni Milesi

segue Veglia delle Palme

Scuola di Preghiera in Cattedrale

PASSIONE PER LA VITApresieduta dal Vescovo

in Quaresima - ore 20.30giovedì 1 marzo 2012giovedì 8 marzo 2012

giovedì 15 marzo 2012giovedì 22 marzo 2012

il Soffio della Vita Risortacon Maria verso PENTECOSTE

soste di preghiera presso alcuni Santuari guidate dal Vescovo

nel Tempo Pasquale - ore 20.30venerdì 20 aprile

Santuario della Madonna a Rovatovenerdì 27 aprile

Santuario della B.V. a Bovegnovenerdì 4 maggio (veglia per la 49^ GMPV e per gli ordinandi presbiteri)nella Basilica a Botticino (Santuario)

venerdì 11 maggioSantuario dell’Annunciata a Piancogno

venerdì 18 maggioSantuario della Stella a Bagnolo

sabato 26 maggioVEGLIA DI PENTECOSTE

proposte di qualità adolescenti e giovani

cresimati Botticino Mattina il giovedì ore 20,30

Botticino Sera il venerdì ore 20,30San Gallo il sabato ore 19,45

Page 64: Voce per la Comunità

64

Il periodo prece-dente ad un sinodo è sempre un’occasione: l’as-semblea sinodale potrà coinvolgere un numero grande (ma limitato) di persone, mentre nel tempo preparatorio, attraverso il racconto, le domande, la riflessione, la formazione personale e la pre-ghiera il sinodo può davvero coinvolgere molti. Addirittura sento dire, da chi è un po’ più esperto di me, che il vero sinodo è il periodo precedente: è la capacità di ascoltare, suscitare dubbi e domande, cercare insieme risposte creative e originali ai proble-mi che abbiamo di fronte. Detto questo: non è una forma un po’ buonista di democrazia ecclesiale quella di domandare a bambini, ragazzi e giovani qualcosa prima del sinodo? È minima-mente realistico che abbiano un’opinione sul tema del proprio oratorio del contesto delle Unità Pastorali?Credo che la risposta la possiamo dare su due livelli di-versi: innanzitutto credo che, se anche i nostri ragazzi non sapranno darci idee strutturali, sapranno senz’altro dirci perché per loro l’oratorio è importante e cosa e chi lo rende decisivo per la loro crescita.Saranno queste indicazioni che potranno essere tenute presenti quando si andranno ad individua-re le modalità concrete di gestione degli oratori nel nuovo contesto pastorale.Ma c’è una risposta che mi interessa di più e che in qualche modo il Papa ha ricordato ancora una volta durante la sua visita nel suo paese natale: “In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel

Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede.Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà ineffi-cace”.Tante volte ci capita di dare ai problemi del no-stro tempo una risposta in termini strutturali ed organizzativi: credo che l’ascolto dei giovani, la loro formazione, il confronto con la loro idea di Chiesa – forse meno articolata teologicamente, ma certamente molto più agganciata al suo es-sere fondamentalmente comunità che custodisce, vive e racconta la Buona notizia di Gesù – può essere un salutare modo per offrire al Sinodo uno spazio ulteriore per la lettura dei segni dello Spirito.

mare aperto

Che cos'è l'oratorio?

SPIEGARE L'ORATORIO AI BAMBINI

cosa pensano i nostri ragazzi?

I grandi del nostro quartiere o paese, molti anni fa, hanno pensato che i bambini avevano bisogno di un posto dove giocare, stare insieme e conoscere meglio Gesù.Così, con l’impegno di tutti, hanno realizzato le aule per il catechismo, i campetti da calcio e per giocare a pallabollata o a bandierina, il piccolo bar, magari una cappellina. Ma l’oratorio non sono i muri e le stanze, sono le persone che lo vivono, che dedicano il loro tempo al bene dei più piccoli.L’oratorio è una piccola ma vera comunità, cioè:- in oratorio ci si vuole bene, e ci si preoccupa gli uni degli altri;- l’oratorio fa parte della parrocchia, cioè il luogo dove si incontrano tutti i battezzati del nostro quartiere o paese;- l’oratorio è dedicato soprattutto ai bambini, ai ragazzi, agli adolescenti: cioè a quanti stanno diventando grandi.In oratorio si fanno molte cose all’apparenza diverse: si pre-ga, si gioca, si impara, si sta insieme, si canta, si disegna, si conoscono gli amici del proprio gruppo, gli animatori e i ca-techisti.

Perché si fanno cose tanto diverse? Perché l’incontro con Gesù riguarda ognuno di noi completamente:- riguarda la nostra mente e la nostra intelligenza, per que-sto si impara…- riguarda il nostro cuore, per questo si prega e si cerca di diventare amici…- riguarda le nostre mani, per questo si disegna e si fanno i lavoretti- riguarda i nostri piedi, per questo si gioca e si corre…- riguarda la nostra bocca, per questo si canta…- riguarda le nostre orecchie, per questo si ascolta la parola di Dio, attraverso la voce dei catechisti, deisacerdoti, degli animatori, degli amici…Infine: l’oratorio è un posto bello, dove ognuno deve trovarsi bene.Per questo compito di tutti è quello di non escludere nessuno e di invitare anche chi è più antipatico o poco conosciuto a vivere insieme a noi l’avventura di conoscere Gesù proprio i contenuti completi in questo posto!

-

Page 65: Voce per la Comunità

65

-

SPIEGARE IL METODO DELL’ORATORIO AI BAMBINI

Ti sei mai accorto che l’oratorio è un posto diverso dagli altri?

Cerco di spiegarmi meglio: innanzitutto in oratorio le cose non hanno valore solo perché costano. Il tuo catechista, gli anima-tori del grest, il ping pong, l’uso del campetto: non dipendono da quanto hai pagato, ma sono lì per te, comunque. Si chia-ma gratuità, ed è il desiderio di voler bene, concretamente, a tutti, soprattutto ai più piccoli, così come ci ha insegnato Gesù.La seconda differenza è che in oratorio un sacco di cose si fanno in gruppo. I lavori di gruppo, il catechismo, il grest, le partite di pallone o di pallavolo: crescere insieme con l’aiuto di un bravo animatore, è l’occasione per crescere meglio, fare buone amicizie, scoprire il bello di vivere insieme agli altri.Proprio per questo in oratorio ci sono tanti gruppi: divisi per fasce d’età ma anche per interesse. Il gruppo missionario, i chierichetti, il coro, la caritas, l’Azione Cattolica, gli sportivi… quanti modi diversi per conoscere Gesù e mettere il pro-prio tempo a servizio della comunità!Inoltre l’oratorio vuole incontrare e dialogare con il territorio in cui è inserito: cerca di conoscere e far conoscere le varie iniziative ed è aperto a tutti; attraverso le sue iniziative cerca di costruire una buona comunità, nella quale crescano legami di rispetto e amicizia.In pratica l’oratorio:- convoca: cioè invita grandi e piccoli, a seconda delle iniziative, a partecipare a momenti di festa, incontro, rifles-sione, preghiera…- accoglie: cioè aspetta a braccia aperte tutti quelli che hanno accettato l’invito, offre loro un volto sorridente, ri-spetta tutti, offre attraverso i sacerdoti, i religiosi e gli animatori un’attenzione personale soprattutto a chi è più piccolo o è in difficoltà.- propone: non si dimentica che il grande motivo per cui esiste è far incontrare tutti con la persona di Gesù, che è vivo e presente nella chiesa.Per questo propone momenti e attività che aiutano a co-noscerlo meglio.

Il progetto educativo

Quella dell’oratorio non è una proposta banale ed estemporanea.Quando si incontra una persona per imparare ad amarla bisogna conoscerla meglio e per avere l’interesse a cono-scerla, bisogna affezionarsi almeno un po’. E c’è bisogno di tempo.Per questo la proposta dell’oratorio non è fatta di grandi eventi, mega feste, appuntamenti saltuari e straordinari, ma di un cammino settimanale, che normalmente viene chiamato itinerario. Per questo è affascinante, ricco di incontri e di persone, ma anche esigente e, in qualche tratto, faticoso. Per questo non basta farsi trascinare da questo percorso, ma è necessario decidersi per affrontarlo con entusiasmo ed energia.Il cammino degli oratori ha quindi delle caratteristiche particolari:- è graduale, non offre tutto subito e considera le capacità e le attitudini di ogni età. Vuole quindi offrire le occasioni di scoperta, conoscenza e crescita giuste per ogni bambino e ragazzo;- vuole essere completo, nel senso che vuole portare all’incontro con Gesù e al sentirsi parte della chiesa attraverso la conoscenza, il desiderio dell’incontro, la capacità di vivere e celebrare ciò che si è conosciuto e apprezzato;- è aperto sulla vita e sulla storia: cioè non è un cammino standard (realizzato una volta per tutte e sempre uguale) ma vuole incontrare i fatti, le gioie e le paure dei bambini e dei ragazzi dell’oratorio e non è estraneo al mondo che stiamo vivendo, ma cerca di capire gli eventi della storia, l’attualità, le occasioni e le preoccupazioni della nostra società;- si pone delle mete globali molto chiare, ma con tanti obiettivi intermedi diversi per ogni fascia d’età.Le mete del cammino sono: a) accompagnare il bisogno di stare insieme b) incontrare Gesù c) sentirsi parte della chiesa d) testimoniare agli altri la propria fede in famiglia, nella scuola, nel mondo.

SPIEGARE IL CAMMINO DELL’ORATORIO AI RAGAZZI

Page 66: Voce per la Comunità

66

-

SPIEGARE LE FINALITÀ DELL’ORATORIO

AGLI ADOLESCENTI

Perchè l’oratorio?

Da molti anni la diocesi di Brescia si è dotato di un progetto di pastorale Giovanile, un’occasione per riflettere sul modo di pro-porre l’incontro con Cristo vivo ai giovani, un incontro che, in molti casi, avviene oltre l’oratorio.È un progetto che prevede percorsi esigenti, che iniziano con queste tracce:1. Accogliere, allargare e collegare le molteplici domande che un giovane si pone facendole crescere fino a diventare invocazioni. Spesso non solo è carente la domanda religiosa, ma risulta in difficoltà la stessa domanda di vita. Per questo è importante educare le domande, sviluppare il senso critico, far crescere una vita in cui la Parola fatta carne, che è Cristo, possa risuonare come salvezza, senso ritrovato.2. Educare a un confronto anche razionale con i modelli di vita, le correnti di pensiero di oggi, le linee culturali che orientano l'esistenza umana, così come aiuta a compiere il catechismo dei giovani. Senza una seria riflessione sulla cultura del tempo in cui si vive, non è possibile aiutare i giovani a crescere nella fede.3. Proporre in modo chiaro e appassionato la persona di Gesù come centro della vita, sostenere una decisione radicale per Lui e la sua sequela. Proposte quotidiane e straordinarie, tempi di confronto e di silenzio, catechesi approfondite e preghiera aiuteranno questo momento importante, costruiranno una spiritualità giovanile che, così caratterizzata, diventa la capacità di dare unità a tutti i fatti della vita del giovane secondo lo sguardo di Gesù, secondo il suo Spirito. Tale momento deve trovare attenti non solo catechisti o animatori o amici, ma anche una guida spirituale, che vive in mezzo ai giovani e si colloca correttamente nella vita di gruppo e della comunità, ma sa aiutare singolarmente ciascuno a rispon-dere allo sguardo amorevole di Cristo.4. A questo punto, allora, diventa necessaria una attenzione vocazionale: nell'incontro tra il giovane e Cristo risuona sempre perentorio un "seguimi", che si concretizza in maniera singolarissima per ogni vita. Ogni vocazione esige di essere servita con cammini specifici.5. Perché l'educazione alla fede non resti sforzo sterile bisogna esigere che i giovani ridicano in maniera originale al mon-do e alle generazioni future, il deposito della fede loro consegnato, arricchito della propria carica vitale e della propria esperienza.

L’oratorio si propone di educare bambini, ragazzi, adolescenti e giovani, secondo il modello di uomo proposta da Gesù. È un’educazione che non vuole avere un risultato automatico (devi diventare così…) anzi, si compie in un rapporto di libertà: attra-verso l’esperienza, il confronto con sé stessi, gli altri ed il mondo ogni ragazzo potrà costruire, con l’aiuto di chi è più grande, il proprio cammino di vita e di fede.Le iniziative dell’oratorio, quindi cercano di liberare i giovani dai condizionamenti negativi, favorire il sorgere di domande sul senso della vita, proporre il Vangelo di Gesù, attraverso le persone, i luoghi e i segni della vita della comunità cristiana.

Attraversi l’oratorio, quindi, ogni ragazzo viene aiutato a conoscersiì meglio, a scoprire le proprie doti e i propri limiti, a coltivare i propri desideri, ma anche a scoprire il disegno di Dio sulla propria vita.Perché questo sia possibile l’oratorio offre una molteplicità di proposte, che riguardano tutta la persona: la catechesi, la formazione, spazi di espressività e creatività, lo sport…Ogni attività dell’oratorio quindi, dovrebbe essere proposta armonicamente rispetto alle alte, in modo da poter diven-tare occasione di crescita e maturazione.La proposta dell’oratorio è quindi essenzialmente globale (riguarda tutte le dimensioni della persona), di gruppo (offre sempre il confronto con gli altri), graduale.Ecco perché in oratorio spesso ci accorgiamo che ci sono proposte diverse a seconda delle diverse fasce d’età: sono vere e proprie tappe, che vogliono aiutare la comprensione e la consapevolezza dei doni ricevuti, aprendo ogni scoperta al servizio.

SPIEGARE L’ORATORIO OLTRE L’ORATORIO AI GIOVANI

Page 67: Voce per la Comunità

67

Le “figure” impegnate negli oratori sono molte: dal catechista all'animatore di gruppo, dall'animatore sportivo al responsabile delle attività culturali o ricreative, dal sacerdote, alla religiosa, dal giovane all'adulto, ecc. Non sempre è facile percepirsi all'interno di un progetto pastorale unitario, come non sempre l’essere animatore o responsabile è percepito nella dimensione educativa che esso comporta. In una proposta comunitaria, come è quella dell’oratorio, ogni educatore o animatore è parte di una comunità. È insieme che si fa proposta e si fa animazione. L'esperienza della comunità oratoriana ha una forte accentuazione educativa: l'essere e il fare di ogni animatore cerca di rea-lizzare questa caratterizzazione.Fare l'animatore o dare la propria disponibilità al progetto dell'oratorio comporta quindi il mettersi in un lavoro comunitario e in una passione educativa tipica.La “comunità educativa” dell'oratorio, è la comunità (insieme) di tutti coloro che si impegnano a diversi livelli e con compiti diversi a costruire e servire il progetto educativo dell'oratorio (catechesi, animatori, sa-cerdoti, genitori, educatori, religiose, volontari, ecc.).Compiti della comunità educativa dell’oratorio sono:-l’animazione dell’oratorio e della realtà giovanile;-favorire il protagonismo dei giovani;- allargare la corresponsabilità degli adulti;- collocare gruppi, movimenti e associazioni nella comunità educativa;-Inserire la comunità educativa dell'oratorio nella comunità parrocchiale;- Inserire la comunità educativa dell'oratorio nel territorio.

-

SPIEGARE LA COMUNITÀ EDUCATIVA DELL’ORATORIOLa comunità dell'oratorio

Credochel’oratoriononpossaenondebbacompetereconaltrerealtàcomediscoteche,pub,oivaribardiPiazzaleArnaldo;lasuafinalitànonèlastessae,moltospesso,l’obiettivononèsoloquellodidivertire,bensìdiformareigiovani.Questopuòavvenireconlaprogettazionediesperienzefortieformativecomeicampeggi,laGiornataMondialedellaGioventù,ilcatechismo,icentridiascolto,iviaggiorganizzatiperCapo-danno. Noncredomanchinoleproposte,ancheseovviamenteèsempremeglioaumentinoemigliorino..inrealtàbastacoglierle,volerlecogliere. Iopossotestimoniarelagrandedifferenzachec’ètral’uscirecongliamici,andareinmontagnacongliamici,farsimagariunviaggiocongliamici.Vabenissimo,cisidiverte,siimparaaconosceremeglioglialtriedècomunqueunabellaesperienza. Maprimadiandareaconoscereglialtrisideveconoscereséstessi..ealgiornod’oggi,chicifaguar-darenelnostrointimo? Nelnostroquotidianoèdifficileprendersiunattimopersé,perpensareaqualcosadipiùgrandedinoi. L’unicoaiutocheiohotrovatoinquestadirezione,l’hotrovatolì,inoratorio,frequentandocampeggiseguitidalDonedaivarianimatori,facendocosedivertenticomeunaciaspolata,deigiochiorganizzatiinoratorio,unacacciaaltesoro. Mirendocontochetuttoquestomihaarricchitaedhaformatolapersonachesonoora,pienadivaloriimportanti,trasmessiattraversolapassionechevedevoneimieianimatori,attraversolariflessioneel’introspezione,grazieaqualcunochemihadatol’opportunitàdipensareancheaqualcosachevadaoltrelascuola,ladanza,gliamici,lafamiglia.Cisidiverte,sistacongliamici,siimparaarelazionarsiconglialtrie,senzamagarineancheaccorgersene,sicresceesimatura. Esonosicurachecrescere,maturareePENSAREnonsianocosenoiose,nétantomenobanali.Van-nopreseinconsiderazione,inquantofannopartedinoi..evannovalorizzate. Eccodimostratocheanchel’oratoriohaancoramoltosucuicontare,tuttoquellochec’èbisognodifareèprovarepercredere!. Vanessa

L’unico aiuto che io ho trovato..., l’ho trovato lì...

Page 68: Voce per la Comunità

68

Una lunga lettera per far affiorare attese, speranze, paure. Un vero e proprio percorso di maturazione. Il tutto condito di ironia. Così si presenta la canzone di Lucio Dalla “L’anno che verrà”. Il brano suona come una lunga lettera attraverso la quale fare affiorare le proprie attese, speranze, paure e dove avviene - nel suo svi-lupparsi - una sorta di maturazione dell’autore stesso. Emerge allora lo ‘scrivere’ non tanto come distrazione, ma come occasione per riflettere, in un contesto di intimità con l’altro e non semplicemente con se stessi. Al centro vi è la dimensione del futuro nella quale coesistono, in maniera contrastante, i nostri dubbi più profondi e le aspirazioni più vitali. L’an-no che verrà è custode di speranze e sogni ambiziosi, ma trascina con sé anche un senso di inadeguatezza. Questa canzone è stata definita più volte visionaria perché descrivendo, talvolta anche in modo paradossa-le, uno scenario futuro, è capace di raccontare con nostalgia e amarezza l’attesa di una trasformazione auspicata, ma anche il timore che il nuo-vo non sia all’altezza delle nostre previsioni. In parte siamo quindi mossi dalla speranza e dall’euforia del cambiamento: si aspettano novità, situa-zioni sorprendenti, esperienze completamente nuove e imprevedibili. I desideri si espandono in una ricerca spasmodica dell’inedito. Si vorrebbe vivere ogni giorno come qualcosa di sorprendente, di magico, che sappia meravigliare. Talvolta ciò che cerchiamo diventa lo stupore a tutti i costi, la rottura delle regole in un vorticoso susseguirsi di colpi di scena.

“C’ero anch’io” In un contesto fatto di timori e silenzi, la televisione assurge al ruolo di nuovo (o antico) profeta del futuro… annunciatore di novità e di cambiamenti. Ed è fondamentale essere presente al nuovo che avanza, poter dire “C’ero anche io”, accaparrare ogni esperienza, non tralasciare

Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.

Da quando sei partito c’è una grossa novità,l’anno vecchio è finito ormai

ma qualcosa ancora qui non va.

Si esce poco la sera compreso quando è festae c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino

alla finestra,e si sta senza parlare per intere settimane,

e a quelli che hanno niente da diredel tempo ne rimane.

Ma la televisione ha detto che il nuovo annoporterà una trasformazione

e tutti quanti stiamo già aspettando

l’ANNO che VERRÀ

A conclusione di queste pagine dedicate alla riflessione sull’oratorio nella prospettiva del prossimo Sinodo diocesano sulle Unità Pastorali viene rivolto l’invito ad esprimere idee, preoccu-pazioni, riflessioni. E in particolare:- La regia educativa degli oratori:quali scelte possiamo maturare per assicurare, nei nostri oratori, una presenza educativa costante e legata alla comunità? Come la parrocchie si possono organizzare per dare indicazioni educative e pastorali per gli oratori? Quali aspetti educativi e/o servizi operativi il nostro oratorio può donare anche agli altri?- La responsabilità di funzionamento dei singoli oratori:chi si prende le responsabilità necessarie per aprire e chiudere l’oratorio? Quali servizi educativi possiamo e dobbiamo continuare ad assicurare?- I cammini formativi:quali ambiti di formazione possono essere demandati alla collaborazione tra più parrocchie? Riu-sciamo a immaginare alcuni percorsi? Da quali si potrebbe già partire?-Oratori a tema:ci sono alcuni percorsi particolari di cui sentiamo la necessità e che il singolo oratorio non riesce ad organizzare? Come possiamo organizzare una pastorale per i giovani (20-30 anni) che possa offrire un reale sostegno e appartenenza a questa fascia di età?Ci sono altre questioni che meritano attenzione? Abbiamo qualcosa da suggerire sul futuro degli oratori?

percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi

E’ aperta la consultazioneTuTTI INvITATI A DARE RISPOSTE

Page 69: Voce per la Comunità

69

nulla. E ciò che conta non è l’attesa, ma il ‘farsi presente del futuro’, da vivere subito, intensamente, senza fiato. Per-ché davvero tutto sembra ‘passare in un istante’. La speranza è allora fuori di noi, si appoggia su quello che verrà. Altre volte, se il futuro con cui ci confrontia-mo non è rassicurante, ci pietrifica nella volontà di restare immutabili. Quando ciò accade, per reazione, mettiamo in atto una chiusura nei confronti del cam-biamento, poiché confrontarsi con esso ci costringe a una rimessa in discussione di chi siamo. Ne consegue che ogni meta-morfosi, sia sociale che individuale, ci appare come una minaccia, quasi fosse un’ entità astratta che ci sovrasta. Il cam-biamento appartiene all’uomo, quindi alla fine ciò di cui abbiamo tanta paura siamo proprio noi, che possiamo essere autori di un rinnovamento. Il futuro di-venta così il tempo delle opportunità.

“Mi sto preparando” Nel testo della canzone è pre-sente questa fase di riscatto nell’ istante in cui affermo la mia volontà di essere nel futuro. Ma non solo. Viene espresso un passaggio ulteriore: mi sto preparan-do è questa la novità. La vera novità la costruiamo noi; la novità della nostra

vita nasce prima di tutto in noi, dallo sguardo che sappiamo dare alle cose e alle esperienze, alla profondità con la quale entriamo e stiamo nel mon-do. La speranza in un futuro miglio-re non nasce dall’immaginazione, dall’attesa che si realizzi il desiderato; non importa che cosa avverrà, ciò che conta è stare nel futuro che ci viene incontro con vigilanza e matu-rità. Inoltre prepararsi al futuro implica che si abbiano gli strumen-ti per poterlo fare. Noi possediamo delle risorse per modificarci e guar-dare al futuro come un tempo reale e possibile. Reale in quanto luogo in cui realizzare un’evoluzione concreta di noi stessi, dei nostri progetti, del nostro vis-suto; ma anche tempo delle possibilità ancora inespresse. È un cambio di prospettiva decisivo. Quello di chi non si pone nel mondo come spettatore passivo e iner-me davanti agli avvenimenti, auspican-do che siano favorevoli e meno oppres-sivi del passato, ma “tendendo verso” il futuro col cuore, con tutta la propria storia. Gli uomini sono quindi prota-gonisti e testimoni della vita che cam-bia, dell’avvenire che diventa passato,

trascinandosi dietro le proprie speranze trasformate in azioni. La fiducia nell’anno che verrà è riposta nell’uomo che verrà, un uomo che sarà capace di donare al tempo il significato più profondo e duraturo delle proprie intenzioni, che crederà nella modificabilità della vita di ciascuno.

L’autore È sempre affascinante ripercorrere la storia artistica di un cantautore come Lucio. È una vicenda che sfiora i 50 anni di car-riera e che parte a Bologna, dove nasce il 4 marzo del 1943. Poco più che adolescente si appassiona alla musica jazz, impara a suo-nare il clarinetto, che la madre gli regala per il suo tredicesimo compleanno, ed entra a far parte di un gruppo: la Rheno Dixieland Band in cui suona anche un gio-vanissimo Pupi Avati che, da lì a poco, deciderà di cambiare strada per intraprendere quella cinema-tografica. Nel 1963 Lucio Dalla viene notato da Gino Paoli il qua-

le lo incoraggia ad iniziare una carriera da solista che lo porterà poi a sfociare nella canzone d’autore. Nonostante questo, non abbandonerà mai il suo amore per il jazz e l’improvvisazione musicale, che influen-zeranno fortemente le sue produzioni arti-stiche, nella creazione di un suono aspro e ritmicamente originale, nella composizione di linee melodiche ricche di impreviste va-riazioni. Lucio Dalla si rivela fin da subito nella sua particolarità ed ecletticità: spe-rimenta numerosi generi musicali, dalla musica ritmica a quella pop fino ad arri-vare alla lirica, senza restare ingabbiato in nessuna definizione artistica. In come è profondo il mare Dalla canta di un pensie-ro che come l’oceano, non si può bloccare né recintare e lui fa lo stesso con la sua musica. La lascia correre libera, attraverso brani più impegnati come Mela da scarto sulla delinquenza minorile, testi sofisticati come Anidride solforosa e Il giorno aveva cinque teste. Fino ad arrivare alle canzoni della sua maturità artistica, di cui egli è sia com-positore che paroliere, quelle che gli confe-riscono una grande popolarità e affetto del pubblico: Futura, L’ultima luna, L’anno che verrà, Anna e Marco… impossibile ci-tarle tutte. Il suo stile è poetico, ironico, talvol-ta onirico. Lucio Dalla è narratore di storie irriverenti e originali. Altre volte invece par-la di sé in prima persona rivelando i suoi sogni, le sue emozioni, la sua fascinazione per il mare. Tutto questo utilizzando un registro poco formale, di tutti giorni, che si delinea nelle sfumature più diverse: co-mico, divertente, ma anche inquietante e malinconico. Ciò che traspare di più dalla sua produzione artistica è la capacità di di-vertirsi, di mettere in atto ogni volta una follia musicale, con l’aria scanzonata di chi si trova casualmente a comporre al pianoforte di una stanza d’albergo di fronte al mare, una delle più belle canzo-ni mai scritte come Caruso.

sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,ogni Cristo scenderà dalla croceanche gli uccelli faranno ritorno.

Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno,anche i muti potranno parlare

mentre i sordi già lo fanno.E si farà l’amore ognuno come gli va,

anche i preti potranno sposarsima soltanto a una certa età,

e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,saranno forse i troppo furbi

e i cretini di ogni età.

Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dicoe come sono contento

di essere qui in questo momento,vedi, vedi, vedi, vedi,

vedi caro amico cosa si deve inventareper poterci ridere sopra,

per continuare a sperare.

E se quest’anno poi passasse in un istante,vedi amico mio

come diventa importanteche in questo istante ci sia anch’io.

L’anno che sta arrivando tra un anno passeràio mi sto preparando è questa la novità.

percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi

Page 70: Voce per la Comunità

70

PROGRAMMA 17.00 Accoglienza di tutti i partecipanti nel parcheggio dell’Iveco 17.30 PREGHIERA ECUMENICA Tema: IL LAVORO - LA PERSONA - LA PACE Presiede S.E. Mons. Giancarlo Bregantini - Presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace Testimonianze: Alfredo Bazoli Presidente di Mine Action ItalyZeggai Nighisti Coordinatrice regionale dell’associazione Donne eritree 18.30 PARTENZA DELLA MARCIA 18.45 Camper Emergenza 19.00 Basilica dei Santi Faustino e Giovita MOMENTO DI APPROFONDIMENTO Tema: EDUCARE ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE Presiede S.E. Mons. Giovanni Giudici - Presidente di Pax Christi Italia Testimonianze: Cristiana Calabrese - (Collettivo giovani di Pax Christi) Camilla Lombardi e Laura Zatti - (Giovani AVS – Caritas Diocesana di Brescia) 20.20 Piazza Loggia MOMENTO DI SILENZIO E DEPOSIZIONE DEI FIORI 21.00 Carceri di Canton Mombello MOMENTO DI SOLIDARIETÀ Tema: POVERTÀ E SOLIDARIETÀ Presiede S.E. Mons. Giuseppe Merisi

Presidente della Caritas Italiana Testimonianza:Lydia Keklikian (Volontariato Carcere) Messaggio dei carcerati 22.30 Collegiata dei Santi Nazaro e Celso CELEBRAZIONE EUCARISTICA (Diretta su TV 2000) Presiede S.E. Mons. Luciano Monari - Vescovo di Brescia 23.30 Oratorio dei Santi Nazaro e Celso MOMENTO CONVIVIALE Siamo tutti invitati a vivere la Marcia nel digiuno e nella preghiera e ad offrire nella S. Messa il corrispettivo della cena a favore del Vol-Ca (Volontariato Carcere).

44 ª MARCIA NAZIONALE PER LA PACE Brescia 31 dicembre 2011

Il Santo Padre Benedetto XVI ha scelto il seguente tema per la celebrazione della 45ª Giornata Mondiale della Pace del prossimo 1° gennaio 2012: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace». Il tema entra nel vivo di una questione urgente nel mondo di oggi: ascoltare e valorizzare le nuove generazioni nella realizzazione del bene comune e nell’affermazione di un ordine so-ciale giusto e pacifico dove possano essere pienamen-te espressi e realizzati i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo.Risulta quindi un dovere delle presenti generazioni quello di porre le future nelle condizioni di esprime-re in maniera libera e responsabile l’urgenza per un “mondo nuovo”. La Chiesa accoglie i giovani e le loro istanze come il segno di una sempre promettente pri-mavera ed indica loro Gesù come modello di amore che rende «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). I responsabili della cosa pubblica sono chiamati ad operare affinché istituzioni, leggi e ambienti di vita siano pervasi da umanesimo trascendente che offra alle nuove generazioni opportunità di piena realizza-zione e lavoro per costruire la civiltà dell’amore fra-terno coerente alle più profonde esigenze di verità, di libertà, di amore e di giustizia dell’uomo.Di qui, allora, la dimensione profetica del tema scelto dal Santo Padre, che si inserisce ne solco della “pe-dagogia della pace” tracciato da Giovanni Paolo II nel 1985 («La pace ed i giovani camminano insieme»), nel 1979 («Per giungere alla pace, educare alla pace») e nel 2004 («Un impegno sempre attuale: educare alla pace»).I giovani dovranno essere operatori di giustizia e di pace in un mondo complesso e globalizzato. Ciò rende necessaria una nuova “alleanza pedagogica” di tutti i soggetti responsabili. Il tema preannuncia una prezio-sa tappa del Magistero proposto da Benedetto XVI nei Messaggi per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, iniziato nel segno della verità (2006: «Nella verità la pace»), proseguito con le riflessioni sulla di-gnità dell’uomo (2007: «Persona umana, cuore della pace»), sulla famiglia umana (2008: «Famiglia umana, comunità di pace»), sulla povertà (2009: «Combatte-te la povertà, costruire la pace»), sulla custodia del creato (2010: «Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato») e sulla libertà religiosa (2011: «Libertà reli-giosa, via per la pace»), e che ora si rivolge alle menti e ai cuori pulsanti dei giovani: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace».

Per informazioni ed iscrizioni:Diocesi di Brescia - www.diocesi.brescia.it

[email protected] - Tel. 030.3722.236 - Fax 030.3722.265

Page 71: Voce per la Comunità

71

PARROCCHIE DI BOTTICINO

NORMANDIA BRETAGNA PARIGI

Viaggio in pullman di 8/9 giorni in Francia alla scoperta di luoghi incante-voli di interesse culturale, paesaggistico e religioso . Chiese, cattedrali, castelli sulle rive della Loira, cittadine, borghi caratteristici, la costa dell’oce-ano, con il bellissimo isolotto Mont St.Michel e ... Parigi (la città più visitata al mondo).

Le date (fine maggio-giugno 2012 ) con il pro-gramma e la quota di partecipazione verran-no comunicate al più presto per dare inizio alle iscrizioni.

visita il SITO WEB delle parrocchie di Botticino: www.parrocchiebotticino.it

Sabato 31 dicembre 2011 - Brescia

partenza ore 17.00 piazzale Iveco

Giovedì 12 gennaio - ore 20.30 Missionari Comboniani

incontro con Flavio Lotti coordinatore della Tavola della Pace

Venerdì 20 gennaio - ore 20.30 Sala Civica “I. Calvino” Rezzato concerto per la pace del Sermig – Arsenale della pace di Torino

Giovedì 26 gennaio - ore 20.30 Parrocchia di S. Luigi Gonzaga

Venerdì 3 febbraio - ore 20.30 Oratorio Botticino Mattina incontro con operatori e volontari dei carceri di Brescia

Domenica 12 febbraio

Lunedì 13 febbraio - ore 17.00 Oratorio Sante Capitanio e Gerosa

ultimo dell’anno in oratorioOgni parrocchia di Botticino organizza presso i locali dell’oratorio la festa dell’ultimo dell’anno

per le famiglie con attività di animazionePer in fo rmaz ion i e i s c r i z i on i :

BOTTICINO MATTINA Tecla 3404179216 - Marilisa 3406740423 Claudia 3480325970 -€ 25,00 adulti €15,00 bambiniSAN GALLO Silvana 0302199893 Carolina 0302199951 € 25,00 adulti (per bambini prezzo diverso)

BOTTICINO SERA segreteria presso oratorio tel.0302692094 € 25,00 adulti € 15,00 bambini

Per adolescenti di 3^ media e 1^ superiore delle tre parrocchie presso l’oratorio di Sera con possibilità di cena e animazioneQuota di partecipazione € 15,00; iscrizione presso la segreteria a Sera.

Page 72: Voce per la Comunità

sabato 28 gennaio 2012Liturgia della Parola e Cresime celebrate dal Vescovo di Brescia per le tre parrocchie di Botticino Basilica-Santuario di Botticino Sera ore 16,30

domenica 29 gennaio 2012 S.Messa di Prima Comunione

Botticino Mattina ore 9,15 - San Gallo ore 10,30 - Botticino Sera ore 11,30

festività natalizie

GIORNATA PENITENZIALE e del PERDONO SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE

per riallacciare i rapporti di pace con Dio e i fratellimercoledì 21 a San Gallo - giovedì 22 a Botticino Mattina - venerdì 23 a Botticino Sera

***Celebrazione Comunitaria della Riconciliazione con confessioni a San Gallo, Botticino Sera e Mattina 16,30 e 20,00 (Villaggio giovedì 22 dicembre ore 9.00)

Confessioni individuali sabato 24 dicembre a BOTTICINO SERA dalle 10,00 alle 11,00 e dalle 15,00 alle 18,30 a BOTTICINO MATTINA dalle 15,00 alle 18,30 a SAN GALLO 18,00-20,00

***SOLENNITA' DEL SANTO NATALE S.Messa nella vigilia ore 17,00 chiesa Sacra Famiglia SANTA MESSA NELLA NOTTE ore 21,00 a San Gallo - ore 22,30 a Botticino Mattina - ore 24,00 a Botticino Sera SANTE MESSE NEL GIORNO come orario festivo. Vespro e benedizione ore 16,00 a S.Gallo e Sera - ore 17,00 a Mattina *** lunedì 26 dicembre: S.Stefano S.Gallo ore 10,00 - Botticino Mattina ore 10,00 - Botticino Sera ore 9,00 e 11,00

*** venerdì 30 dicembre: SACRA FAMIGLIA: S.Gallo ore 17,30 - Mattina ore 18,00 - Sera ore 18,30 ***sabato 31 dicembre S.MESSA DI RINGRAZIAMENTO a San Gallo ore 18,30 - Botticino Sera ore 18,30 (ore 17,00 villaggio) a Botticino Mattina ore 19,00***domenica 1 GENNAIO 2012 SS.MADRE DI DIO e GIORNATA DELLA PACE A BOTTICINO SERA ore 10,30 - 16,00 - 18,45 A SAN GALLO ore 17,30 A BOTTICINO MATTINA ore 11,00 e 17,30

***venerdì 6 gennaio EPIFANIA DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo ore 16,00 nelle tre chiese parrocchiali Vespri - bacio a Gesù Bambino e benedizione bambini***domenica 8 gennaio : BATTESIMO DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo NB: a Botticino Mattina le SS.Messe delle festività infrasettimanali sono in chiesa parrocchiale.