universitÀ degli studi di verona scuola di economia …...di acquirenti e, allo stesso tempo,...
TRANSCRIPT
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA
SCUOLA DI ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di Laurea Magistrale in
Marketing e Comunicazione d’Impresa
Il Social Media Marketing come nuova opportunità
per il B2B: evidenze dal settore dei dispositivi medici in
Italia
Relatore
Prof. Federico Brunetti
Laureanda
Engerta Gjepali
Anno Accademico 2017/18
Ai miei nonni,
la mia radice, la mia forza, il mio cuore
INDICE
INTRODUZIONE ................................................................................................... 9
CAPITOLO 1 IL MARKETING BUSINESS TO BUSINESS ........................... 13
1.1 Definizione del concetto di “business to business” .................................. 13
1.2 La rilevanza delle imprese B2B nel panorama economico italiano .......... 15
1.2.1 La struttura economica italiana ........................................................... 15
1.2.2 Il peso del B2B in Italia ...................................................................... 16
1.2.3 L’Italia nel contesto mondiale ............................................................. 18
1.3 Tipologie di cliente industriale.................................................................. 20
1.4 Tipologie di prodotti e servizi industriali .................................................. 22
1.5 La demarcazione tra mercato B2B e B2C ................................................. 24
1.6 Il marketing B2B ....................................................................................... 26
1.6.1 Definizione di marketing..................................................................... 26
1.6.2 Le difficoltà del marketing ad inserirsi nel B2B ................................. 27
1.6.3 Le peculiarità del settore B2B rispetto al settore B2C ........................ 29
1.7 Analisi della domanda ............................................................................... 33
1.7.1 L’importanza della conoscenza della domanda del mercato B2B ...... 33
1.7.2 Il processo e il comportamento d’acquisto delle organizzazioni ........ 34
1.8 Il marketing relazionale ............................................................................ 40
1.8.1 Introduzione al concetto di marketing relazionale .............................. 40
1.8.2 I fattori scatenanti la necessità di un nuovo approccio ....................... 42
1.8.3 La storia del paradigma relazionale nella letteratura del marketing ... 43
1.8.4 Il passaggio dal marketing tradizionale al marketing relazionale ....... 44
1.8.5 Il marketing relazionale oggi .............................................................. 46
1.9 La comunicazione nel mercato B2B ......................................................... 51
1.9.1 Introduzione al concetto di comunicazione......................................... 51
1.9.2 La comunicazione aziendale ............................................................... 52
1.9.3 Il ruolo della comunicazione nel settore business to business ............ 53
1.9.4 Verso un nuovo modo di comunicare ................................................. 54
CAPITOLO 2 IL SOCIAL MEDIA MARKETING ......................................... 57
2.1 Internet: dalle origini del web alle prospettive future ............................... 57
2.2 L’utilizzo di internet in Italia .................................................................... 62
2.2.1 Dalle origini di Internet in Italia alla situazione corrente ................... 62
2.2.2 Le differenze generazionali ................................................................. 63
2.3 Le imprese italiane e Internet .................................................................... 65
2.4 Il digital marketing .................................................................................... 66
2.4.1 Introduzione al concetto di digital marketing ..................................... 66
2.4.2 Le fasi del Web in parallelo con quelle del digital marketing ............ 67
2.4.3 Gli strumenti del digital marketer ....................................................... 68
2.5 Il Social Media Marketing ........................................................................ 72
2.5.1 Introduzione al Social Media Marketing............................................. 72
2.5.2 I social media del Social Media Marketing......................................... 74
2.5.3 La diffusione dei social network in Italia e nel mondo ....................... 80
2.5.4 Le strategie aziendali di Social Media Marketing............................... 83
2.5.5 I possibili obiettivi dell’adozione del Social Media Marketing .......... 84
2.5.6 Il monitoraggio dei risultati ................................................................. 86
2.5.7 Il Social Media Marketing e le aziende italiane .................................. 87
CAPITOLO 3 IL SETTORE B2B E IL SOCIAL MEDIA MARKETING ........ 91
3.1 Il Social Media Marketing: un approccio prevalentemente B2C .............. 91
3.2 Il ritardo del SMM nel B2B: uno sguardo alle motivazioni...................... 93
3.3 Le determinanti dell’adozione del Social Media Marketing nel B2B....... 95
3.4 Il Social Media Marketing B2B e B2C: le differenze ............................... 96
3.5 Gli acquirenti business e l’uso dei social media ....................................... 98
3.6 Le tipologie di B2B users .......................................................................... 99
3.7 Il modello di integrazione dei SM nel marketing communication mix .. 101
3.8 Il caso di successo di Maersk Line sui social media ............................... 104
3.9 Il settore B2B in Italia e Social Media Marketing .................................. 107
CAPITOLO 4 L’USO DEI SOCIAL MEDIA E IL SETTORE DEI DISPOSITIVI
MEDICI IN ITALIA .................................................................................................... 113
4.1 Introduzione all’analisi empirica............................................................. 113
4.2 Ricerca empirica...................................................................................... 118
4.2.1 Analisi quantitativa ........................................................................... 119
4.2.2 Analisi qualitativa ............................................................................. 128
4.2.3 Caso studio: Service Med SpA e il Social Media Marketing............ 140
CONCLUSIONI .................................................................................................. 152
APPENDICE A ................................................................................................... 156
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................ 174
SITOGRAFIA ..................................................................................................... 182
RINGRAZIAMENTI .......................................................................................... 184
9
INTRODUZIONE
La scelta di questa tesi è maturata grazie ad un’esperienza di stage svoltasi presso Service
Med SpA, un’azienda del veronese che opera nel settore dei dispositivi antidecubito da
oltre 20 anni. Trattandosi di un contesto prevalentemente business to business è sorto in
prima battuta l’interrogativo circa il ruolo e la diffusione dei social media in questo
particolare ambito, per poi addentrarsi in un settore specifico, ovvero quello dei
dispositivi medici in Italia.
Gli sviluppi tecnologici hanno comportato significativi cambiamenti per le aziende
e, in particolare, nel modo in cui esse interagiscono con il proprio pubblico. L’avvento
delle tecnologie del Web 2.0 e il crescente successo dei social media ha permesso forme
di comunicazione via via più dirette e interattive. Un altro aspetto rilevante sono i dati
sull’utilizzo di internet, secondo cui gli individui trascorrono più tempo sulle loro
piattaforme social che su qualunque altro sito web.
Se il potenziale e il potere delle piattaforme social è noto e sfruttato in un numero
crescente di ambiti, sia pubblici che privati, mi sono posta la questione se anche in quello
B2B e, nello specifico in un settore che lavora indirettamente con la salute delle persone,
valesse lo stesso. Ha senso non dare questo meccanismo per scontato se si considerano
alcune peculiarità insite in un’impresa in quanto B2B, e in secondo luogo in quanto
impresa che tratta un tema delicato come la salute.
Parlare di business to business vuol dire osservare quanto accade dietro le quinte
di tutte quelle fasi che precedono l’offerta di prodotti e servizi ai consumatori finali.
Quando si usufruisce di un servizio o si acquista un bene, quello è soltanto l’ultimo stadio
di una filiera che racchiude in sé una molteplicità di altri scambi tra vari attori. A livello
10
italiano, gli scambi B2B nel 2017 rappresentano il 75% del fatturato nazionale, ma spesso,
soprattutto dal lato marketing, questo settore non viene adeguatamente considerato perché
ritenuto poco stimolante e attraente. Tuttavia, negli ultimi anni sta acquisendo
un’importanza crescente, tanto è vero che per approfondire le specifiche del settore è nato
un apposito filone di studi, ovvero il marketing B2B. Fondamentalmente, le peculiarità
che contraddistinguono le imprese che operano in questo contesto sono il ridotto numero
di acquirenti e, allo stesso tempo, l’alto valore degli scambi, l’importanza delle relazioni
e la presenza di prodotti e servizi altamente eterogenei e complessi a cui si associa un
processo d’acquisto più lungo e formale di quello B2C.
Lo scopo di questa tesi è quindi, in primis, quello di esplorare la letteratura riguardo
il rapporto tra social media e imprese B2B, focalizzando l’attenzione su come le
peculiarità sopracitate si traducano in opportunità e criticità nell’utilizzo di questo canale
online.
A questa sezione esplorativa segue un’indagine sul campo attraverso vari approcci
a cui corrispondono obiettivi di ricerca diversi. Tramite un’analisi quantitativa si illustra
il livello di diffusione dei social media tra le imprese dei dispositivi medici in Italia per
capire quanto questa opportunità sia sfruttata. Attraverso interviste rivolte ai diretti
interessati si mira, invece, ad indagare sulla strategia di gestione dei social media di queste
imprese. Con l’approfondimento di un caso studio si vuole infine inquadrare la strategia
di social media marketing all’interno di un più ampio progetto aziendale.
Questo elaborato si articola in 4 capitoli.
Al primo capitolo è affidato il compito di introdurre il concetto di business to
business in tutte le sue sfaccettature. Si illustra la complessità di questo settore attraverso
l’analisi degli acquirenti e dei prodotti e servizi per poi schematizzarne i tratti
caratteristici. Si affronta poi il rapporto con il marketing, a partire da un excursus storico
fino ai cambiamenti che stanno avvenendo al giorno d’oggi, soprattutto sul lato della
comunicazione.
All’interno del secondo capitolo si sviluppa la questione del social media marketing
inquadrandola all’interno del più generale concetto di digital marketing. Vengono, quindi,
prima delineate le strategie, le opportunità e le criticità del web marketing e poi declinate
sui canali social media. L’obiettivo è quello di raffigurare le piattaforme online come
strumento per la strategia aziendale.
11
L’intento del terzo capitolo è quello di affrontare lo studio dei social media con una
prospettiva business to business illustrandone lo stato dell’arte e mettendo in risalto le
lacune esistenti. Si intende comprendere meglio le ragioni sottostanti ad un maggiore
scetticismo e clima di incertezza nell’adozione dei social media da parte delle imprese
B2B rispetto alla controparte B2C.
Il focus del quarto capitolo è interamente sul settore dei dispositivi medici in Italia
evidenziando il suo rapporto con i social media attraverso la conduzione di ricerche
empiriche di varia natura. Una prima analisi quantitativa è strumentale alla comprensione
del livello di diffusione di questo strumento, mentre quella qualitativa punta a
comprendere la strategia e la percezione di questo strumento da parte delle aziende. Si
conclude con un caso aziendale con il fine di inquadrare la strategia di social media
all’interno di una più ampia visione aziendale.
12
13
CAPITOLO 1
IL MARKETING BUSINESS TO BUSINESS
1.1 Definizione del concetto di “business to business”
Il concetto che sta alla base di questo elaborato è quello di business to business, pertanto
si è selezionato un campionario di definizioni con l’obiettivo di raffigurare nel modo più
completo possibile tutte le sfumature di significato che l’espressione porta con sé.
Ognuno degli autori citati, infatti, si sofferma su aspetti differenti della questione
risaltando una varietà di sfaccettature che meritano di essere prese in analisi.
“Il mercato business to business include imprese che vendono prodotti o servizi ad
altre imprese che a loro volta li usano nella produzione di altri beni e servizi che sono
venduti, noleggiati o forniti ad altri. Sono inclusi nella definizione infatti anche se le
imprese destinatarie fanno vendita al dettaglio e all’ingrosso che quindi acquistano per
poi rivendere o noleggiare ad altri” (Kotler e Amstrong, 2001, in Zimmerman e Blythe,
2013). A queste imprese vanno però aggiunte anche istituzioni come ospedali e
associazioni e lo Stato a tutti i livelli (Zimmerman e Blythe, 2013).
“B2B indica le transazioni che avvengono tra entità organizzate e l’oggetto della
transazione, beni/servizi, sono impiegati nel processo di produzione” (Giacomazzi,
2002).
“L’espressione business to business indica in senso lato l’insieme delle imprese
fornitrici di altre imprese, organizzazioni o amministrazioni di qualsiasi tipo, inclusi i
professionisti, che acquistano determinati prodotti per lo svolgimento della propria
attività. Il concetto di marketing business to business ingloba quindi tutti i rapporti
14
commerciali in cui la domanda è costituita da produttori, reti di distribuzione (grossisti,
dettaglianti, broker, concessionari), aziende di servizi, enti no-profit, istituzioni”
(Guerini et al., 2004).
“Business-to-Business o B2B indica le relazioni che un'impresa detiene con i propri
fornitori per attività di approvvigionamento, di pianificazione e monitoraggio della
produzione, o di sussidio nelle attività di sviluppo del prodotto, oppure le relazioni che
l'impresa detiene con clienti professionali, cioè altre imprese, collocate in punti diversi
della filiera produttiva” (Russo e Confente, 2017).
Zimmerman e Blythe, riprendendo quanto detto da Kotler, si soffermano
maggiormente sull’articolazione della tipologia degli attori in gioco. Infatti, come verrà
approfondito più avanti, parlare solo di “imprese” è improprio perché la varietà dei
soggetti coinvolti è molto più ampia. Per semplicità, spesso nell’elaborato si menzionerà
il termine imprese, intendendo il termine più generale “organizzazione” che ingloba
dentro di sé tutte le categorie, dalle università, alle no profit, ai liberi professionisti.
Giacomazzi, nella sua espressione definitoria così ermetica, parla di “transazioni”
tra entità organizzate, mentre Guerini, Confente e Russo, hanno adottato il termine
“relazione” che ha il pregio di abbracciare una sfera di interazioni più ampia rispetto a
quello che invece una transazione può fare, in quanto è vicino ad un significato
prettamente economico.
Inoltre, Confente e Russo fanno emergere un’interessante complessità di questi
scambi, non riferendosi solo a prodotti e servizi ma sottolineando invece una natura
poliedrica di queste relazioni.
Un comune denominatore delle definizioni sopra menzionate è l’utilizzo
dell’espressione “business to business” piuttosto che “industriale”, seppur a prima vista
intercambiabili. Il vantaggio è che B2B porta già con sé un’idea di relazione, un
dinamismo che sfugge allo statico “industriale”. In secondo luogo, la locuzione “business
to business è adatta ad un uso intersettoriale, comprendendo qualunque tipologia di
prodotto e servizio, mentre lo stesso non si può dire di industriale che richiama un ambito
molto circoscritto poco rappresentativo della realtà economica odierna.
15
Quello che si trae da queste definizioni è che in sé il termine business to business
racchiude le relazioni di scambio di beni e servizi che intercorrono tra le organizzazioni;
usato invece come aggettivo qualificativo di “mercato” e “impresa” significa che si tratta
rispettivamente di mercati in cui avvengono scambi tra imprese, e imprese che
intrattengono scambi fra di esse. Al contrario, B2C rappresenta le relazioni tra impresa e
consumatore finale dei propri beni e servizi.
Le aziende operanti nel B2B, quindi, si situano in diverse posizioni lungo una
filiera, caratteristica di ogni settore. Per filiera si intende un sistema di imprese
interconnesse che aggiungono valore ad un flusso di input che vengono trasformati fino
ad ottenere prodotti o servizi destinati al consumatore finale (Figura 1).
Ogni componente della filiera è fornitore e cliente a sua volta, ma la logica di fornitura
non è lineare come a prima vista potrebbe apparire: per esempio, i produttori di acciaio
lo forniscono direttamente ai fabbricanti di automobili ma anche a numerosi produttori di
componenti che, a loro volta, sono fornitori dei fabbricanti di automobili. Analogamente,
molti erogatori di servizi, spaziano su tutti i componenti di ogni filiera (Giacomazzi,
2002).
1.2 La rilevanza delle imprese B2B nel panorama economico italiano
1.2.1 La struttura economica italiana
Tradizionalmente, sono le piccole imprese a essere un sostegno portante della struttura
economica italiana, mentre la restante minoranza è rappresentata da medie imprese e
Figura 1 Filiera. Adattamento da Russo (2018)
Fornitore
(1° livello)
Fornitore
(2° livello)
Impresa
manifatturiera Centro
distributivo
Cliente
finale
Prodotti/servizi
Informazioni
Risorse finanziarie
16
grandi (Bocconcelli, Grandinetti e Tunisini, 2015)1. Nello specifico, secondo il 9°
censimento dell’ISTAT che fotografa la situazione al 31 dicembre 2011, il numero delle
imprese attive è di 4.4 milioni; di queste il 99,4 % sono piccole imprese; lo 0,5% è
costituito da imprese di medie dimensioni e il residuo 1% invece dalle cosiddette grandi
imprese.
Più interessante e rilevante al fine dello scritto è il 63,3% delle imprese con almeno
3 addetti (oltre 660 mila unità) che dichiara di intrattenere almeno una relazione stabile,
di tipo contrattuale o informale, con altre aziende o istituzioni. L’attivazione di accordi
produttivi interessa in misura maggiore le grandi imprese (90%) e il settore Costruzioni
(85%) e industria in senso stretto (75%). Tra le tipologie di relazioni prevalgono quelle
meno impegnative, come gli accordi di commessa o fornitura (rispettivamente 74,1% e
56% delle imprese con relazioni). Meno frequenti e ad appannaggio delle grandi imprese
sono i legami formali come consorzi (7%), contratti di rete (4%) e franchising (3,3%).
1.2.2 Il peso del B2B in Italia
Riprendendo il concetto di Giacomazzi (2002), si stima che il volume d’affari generato
dagli acquirenti industriali sia superiore rispetto alle vendite ai consumatori perché
coinvolge numerosi attori della filiera produttiva prima di giungere al consumatore finale.
Il mercato industriale assume quindi, per via della dimensione che lo caratterizza, una
rilevanza maggiore rispetto a quello consumer oltre ad una maggiore complessità.
Nel caso italiano si trova una proporzione del 75% di scambi industriali, mentre il
restante 25% è rivolto al consumatore finale. Analizzando i dati del 2017, il fatturato
totale delle aziende italiane è risultato di 3.600 miliardi di euro, di cui il 75% è fatto
appunto di transazioni di tipo business to business: sono 2.700 miliardi, di cui 2.200 tra
imprese italiane e 500 verso imprese estere. Solo il restante 25%, 900 miliardi, è generato
da acquisti del consumatore finale2.
In particolare, ritroviamo dati interessanti su un articolo de ” Il Sole 24 ORE”, che
riporta i risultati di un’indagine dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica & e-
1 La classificazione adottata dall'Unione Europea classifica come micro imprese quelle con meno di 10
dipendenti e 2 milioni di euro turnover; piccole imprese quelle tra 10 e 49 dipendenti e un fatturato di 2-10
milioni di euro; aziende di medie dimensioni quelle tra 50 e 249 dipendenti e 10-43 milioni di euro fatturato
e le grandi imprese quelle con oltre 250 dipendenti e 44 milioni di euro di fatturato. 2 https://www.digital4.biz/supply-chain/ecommerce-b2b-italia-335-miliardi-fattura- elettronica-amazon-
business/ (ultimo accesso: 20/11/2018)
17
Commerce B2B, sulla “filiera delle filiere”3.
La rete di imprese che dalle materie prime realizza beni pronti per i consumatori è
composta da oltre 5 milioni di imprese. In termine di valore, i maggiori volumi sono
scambiati tra produttori e rivenditori (18%) e tra fornitori di semilavorati e produttori
(16%). Seguono ex aequo al 14% i rapporti tra i fornitori di materie prime e quelli di
semilavorati e tra grossisti e rivenditori. Un altro 10% è intermediato tra produttori e
grossisti e un 7% tra fornitori di materie prime e i produttori. La parte restante è
rappresentata dalle operazioni B2B tra l’intera filiera e altri fornitori di servizi come, per
esempio, logistica, ed edilizia.
L’indagine fornisce uno sguardo interessante anche sulla proporzione online e offline
degli scambi. L’e-commerce B2B è diffuso, per oltre il 50% delle operazioni, nei rapporti
tra produttori e rivenditori e per circa il 30% tra produttori e fornitori. Nella tabella
sottostante (Figura 2), si possono osservare le proporzioni tra il totale del transato e la
parte e-commerce nelle categorie più importanti. È il settore dell’Automotive quello più
all’avanguardia che registra una quota di scambi online pari a quella offline.
Figura 2 Le filiere. (Il Sole 24 ORE, 2017)
3https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2017-06-09/e-commerce-b2b-business-che-italia-
310-miliardi-111818.shtml?uuid=AESJW (ultimo accesso: 22/11/2018)
18
Dati più recenti segnalano che il valore delle transazioni digitali tra aziende nel
2017 è salito dell’8%, e vale il 15% di tutti gli scambi B2B. Sono 130mila imprese che
hanno il ciclo dell’ordine digitale: 13mila sono connesse via EDI4 e hanno scambiato 165
milioni di documenti5.
1.2.3 L’Italia nel contesto mondiale
Dai dati offerti da Prometeia6, nel 2011 il commercio internazionale è stato
caratterizzato da meno della metà dai prodotti finali, la restante quota è composta in
primis da beni di prima lavorazione (28,7%), e a seguire le materie prime (18,3%) e i
beni intermedi (12,2%).
Anche se i prodotti finiti primeggiano ancora, è interessante sottolineare come
invece il trend sia negativo, a favore di una crescita degli scambi a monte della filiera,
ovvero di materie prime (Figura 3).
4 l sistema EDI (Electronic Data Interchange) consente lo scambio di documenti normalizzati tra i Sistemi
Informativi dei partecipanti a una relazione commerciale. Per un maggior approfondimento, consultare il
sito https://www.edicomgroup.com/it_IT/solutions/edi/what_is.html 5 https://www.digital4.biz/supply-chain/ecommerce-b2b-italia-335-miliardi-fattura-elettronica-amazon-
business/ (ultimo accesso: 20/12/2019) 6 Prometeia è un’azienda di consulenza, sviluppo software e ricerca economica.
http://formazionelavoro.regione.emilia-romagna.it/sito-fse/POR-2014-
2020/allegati/Lanza_FSE_18giugno2013.pdf/@@download/file/Lanza_FSE_18giugno2013.pdf
(ultimo accesso:20/12/2019)
Figura 3 Il commercio internazionale per fase di filiera. (Prometeia, 2013)
19
Ragionando invece sulle distanze delle filiere globali, si riscontra che la direzione
è quella di un’organizzazione sempre più aperta dato che la distanza geografica media fra
venditore e acquirente subisce un aumento per quasi tutte le fasi della filiera (Figura 4).
In tutto ciò, l’Italia conserva e rafforza la sua posizione all’interno degli scambi di
prodotti finiti posizionandosi al terzo posto del podio dei principali esportatori di prodotti
finiti, lasciandosi superare solo da Germania e Svizzera. Allo stesso tempo però registra
un calo significativo dei prodotti intermedi (Figura 5).
Figura 5
Figura 4 Distanze percorse dagli scambi
internazionali per fasi di fliera. (Prometeia, 2013)
Figura 5 Indice di specializzazione 1995-2011. (Prometeia, 2013)
20
1.3 Tipologie di cliente industriale
La caratteristica sostanziale che separa il mercato industriale da quello dei consumatori è
che nei primi la domanda è costituita da altre entità organizzate mentre nei secondi da
individui e famiglie. Nel dare la definizione di B2B si è detto che parlare solo di imprese
è riduttivo, perché lo spettro è molto più ampio.
La letteratura offre una suddivisione molto dettagliata e specifica sulla tipologia di cliente
industriale, ovvero le imprese industriali, le organizzazioni rivenditrici, lo Stato e le
istituzioni pubbliche e private (Zimmerman e Blythe, 2013).
Imprese industriali
Questa prima categoria può essere a sua volta segmentata in OEMs (Original-Equipment-
Manufacturers), utilizzatore finale e mercato secondario.
Le OEMs sono aziende che realizzano un'apparecchiatura che verrà poi
installata in un prodotto finito, sul quale il costruttore finale appone il proprio
marchio, utilizzando integralmente o quasi componenti prodotti da fornitori, gli
OEM appunto. I computer sono un esempio chiarificatore, in quanto formati da
una molteplicità di parti, quali software e microprocessori. Per i buyer OEM è
la qualità del prodotto o del servizio ad essere cruciale. Questi acquirenti di
solito operano in base a specifiche abbastanza precise, stabilite dai propri
ingegneri e designer di produzione. Risulta quindi difficile e alquanto
improbabile che l'impresa fornitrice possa intervenire per cambiare le
specifiche. Ciò significa che l’introduzione di un nuovo prodotto da proporre ad
una impresa OEM sarà un processo lungo, poiché la società fornitrice dovrà
stabilire una relazione a lungo termine con il cliente, al fine di essere coinvolta
nella fase di progettazione per i nuovi prodotti.
Le aziende come acquirenti finali acquistano prodotti o servizi che esauriscono
all'interno dell'organizzazione, o come componenti delle proprie
apparecchiature o per far funzionare correttamente le apparecchiature. Si tratta
di solito di prodotti che vengono ordinati in grandi quantità, come l’olio per la
lubrificazione dei macchinari, che poi ovviamente non vengono rivendute.
Rientrano in questa tipologia anche i servizi di pulizie, i servizi legali o di
contabilità.
21
All’interno del mercato secondario si trovano imprese che sono coinvolte nelle
cosiddette operazioni MRO (maintaining, reparing, overhauling), ovvero le
operazioni di manutenzione, riparazione e revisione che i prodotti necessitano
una volta essere stati venduti. Nel caso degli ascensori ad esempio, ad effettuare
queste operazioni di MRO sono quasi sempre imprese indipendenti dalla quella
produttrice. Pertanto, esse comprano componenti, attrezzature o i servizi di cui
hanno bisogno da altri fornitori presenti sul mercato.
Organizzazioni rivenditrici
La maggior parte dei beni della manifattura vengono venduti all’utente finale attraverso
intermediari, ovvero dettaglianti e grossisti. Essi forniscono servizi utili come
l’immagazzinamento delle merci e la formazione di portafogli prodotti: proprio grazie al
valore aggiunto derivante da questi servizi, gli intermediari ricoprono un ruolo cruciale,
anche nella determinazione del prezzo finale. I rivenditori sono guidati quasi interamente
dai loro clienti finali, nel senso che i primi saranno disposti a comprare un bene solo se
percepiscono che esso possa avere un mercato di sbocco. A differenza degli acquirenti
OEM, i rivenditori non hanno bisogno di comprendere gli aspetti tecnici dei prodotti che
acquistano, ma devono semplicemente essere fiduciosi che i consumatori finali desiderino
questi prodotti. Tutte le funzioni svolte dai rivenditori possono così essere sintetizzate:
negoziazioni con i fornitori;
attività promozionali, come advertising, promozioni;
attività di magazzino e gestione della merce;
trasporto;
attività di inventario;
controllo del credito;
pricing;
analisi di mercato riguardo i consumatori e i competitor.
Stato
Lo stato, su vari livelli, rappresenta il più grande mercato al mondo. La struttura di un
paese è molto variabile; nel caso italiano la suddivisione è regionale e poi ciascuna di esse
22
è dotata delle sue provincie. Le transazioni con un ente pubblico sono regolate da norme
molto rigide. Solitamente si decide tramite asta a chi affidarsi per una certa fornitura. In
alcuni casi lo Stato ha bisogno di comprare beni o servizi che generalmente le normali
imprese non producono, come possono essere le attrezzature militari.
Istituzioni
Le istituzioni raggruppano al loro interno le scuole, le università, gli ospedali, le
organizzazioni benefiche, le organizzazioni no-profit di qualunque tipo e così via. In certi
casi si tratta di istituzioni pubbliche (le scuole e le università, ad esempio), che però
gestiscono in modo autonomo gli acquisti, in altri casi invece possono essere del tutto
indipendenti, come lo sono alcune organizzazioni a scopo benefico. Tradizionalmente si
tende sempre a pensare che le risorse finanziarie delle istituzioni siano carenti quindi poco
attraenti economicamente, nella pratica però hanno un notevole potere di spesa.
1.4 Tipologie di prodotti e servizi industriali
Per prodotto o servizio industriale si intende l’oggetto delle transazioni business to
business. Come si è visto, gli acquirenti spaziano dalle no profit alle imprese commerciali,
quindi come si può intuire, “prodotto industriale” è un contenitore generico ma le
specifiche all’interno non sono trascurabili. Kotler (1999) e Foglio (2000) reputano
esaustiva la seguente segmentazione: macchinari; impianti; materie prime;
componentistica e accessori, beni intermedi-semifiniti; beni di consumo industriali. Di
seguito si analizza nel dettaglio la composizione dell’offerta.
I macchinari, che si ritrovano nei costi fissi da ammortizzare, sono
essenziali nella produzione di altri beni o parti di essi. Hanno solitamente
lunghi tempi di obsolescenza e si suddividono in pesanti e leggeri.
Sono chiamati macchinari pesanti le macchine per movimentazione da
terra, vagoni, navi, macchinari per manutenzione. Si tratta quindi di prodotti
molto complessi realizzati e disegnati per personalizzate necessità
produttive. Ne consegue che l’investimento sia elevato.
I macchinari leggeri sono parti di impianti di entità minore, con un ciclo di
vita inferiore che sono per di più standardizzati. Tutto ciò si riflette in un
23
prezzo in genere più basso rispetto a quello dei macchinari pesanti.
Appartengono a questa categoria i motori vari, piccoli macchinari,
apparecchiature elettriche e macchinari per manutenzione.
A queste due tipologie si aggiungono una serie di attrezzatture connesse,
ovvero beni complementari che vengono utilizzati dalle imprese con un
ruolo di supporto. È il caso ad esempio delle attrezzature per il carico.
Gli impianti industriali intervengono con la creazione di strutture quali
piattaforme petrolifere o edifici industriali e per questo fatti su misura delle
esigenze dei clienti. Rilevanti sono le distinzioni tra le diverse tipologie: gli
impianti chiavi in mano, gli impianti prodotto in mano e gli impianti
mercato in mano, ovvero che il fornitore dell’impianto deve provvedere
direttamente o indirettamente sul mercato la produzione ottenuta o una parte
di essa.
Le materie prime sono prodotti estratti o ottenuti tramite particolari processi
ambientali (foresta, mare, terra, etc.) che vengono venduti da importatori,
commercianti, aziende estrattive ad imprese di trasformazione per quantità
cospicue. Si tratta di un mercato in cui le transazioni tra domanda e offerta
sono fortemente regolamentate date le frequenti speculazioni a cui sono
soggette.
I beni intermedi-semifiniti sono quelle materie prime che hanno già subito
un processo di trasformazione fino a diventare laminati di ferro, piastre e
tubi in acciaio, prefabbricati in cemento, legname, tessuti e così via.
La componentistica e gli accessori sono destinati alla produzione e
permettono la realizzazione di prodotti finiti. Sono compresi componenti
elettronici, idraulici, pneumatici, bulloneria, viti, tubi, etc.
I beni di consumo industriali non entrano a far parte del prodotto finito bensì
sono essenziali nella quotidiana attività di un’impresa nel suo
funzionamento, manutenzione, produzione. Si tratta di beni acquistati con
continuità in quanto consumati sistematicamente come l’elettricità, la
benzina, i combustibili, cancelleria, divise da lavoro.
24
Accanto ai prodotti industriali si trovano i servizi industriali. Le categorie che
racchiudono sono infinite, pertanto è impossibile riuscire ad esaurire tutte le casistiche, si
elencano di seguito quindi solo i più comuni:
servizi di consulenza, ovvero servizi a supporto dell’attività aziendale che
spaziano dalle consulenze finanziarie, all’auditing, alla comunicazione;
servizi di trasporto merci, nel caso in cui le aziende non siano provviste
internamente di questi servizi si affidano a trasportatori esterni;
servizi di manutenzione, che assicurano lo svolgimento delle attività
aziendali intervenendo periodicamente o all’occorrenza su impianti e
macchinari;
servizi di vigilanza, che provvedono alla sicurezza diurna o notturna
dell’impresa.
1.5 La demarcazione tra mercato B2B e B2C
Prima di indagare le specificità del settore business to business contrapponendole a quelle
business to consumer, si analizza il rapporto che intercorre tra i due mondi.
I due settori operano in sinergia in quanto sono parte di un’unica grande filiera che si
esplicita nell’offerta di prodotti e servizi che sono destinati al cliente finale, che
rappresenta la domanda diretta del mondo consumer e la domanda derivata rispetto al
mondo business (Figura 6) (Foglio, 2000).
25
Figura 6 Integrazione mercato industriale e mercato dei consumi. Adattamento da Foglio (2000)
Presentato il modello e confrontato con la realtà, si può notare come questi confini
non siano mai così netti e che la linea di demarcazione tra B2B e B2C sia sfuocata.
Significativo in questo senso è l’esempio presentato da LaPlaca e Jerome M. Katrichis
(2009). Non è raro che un manager presenti una ricevuta da un fast food alla propria
azienda per ottenere il rimborso spese. Allora questo fast food che ha servito un manager
durante un suo viaggio di lavoro è un puro B2C? Spesso, inoltre, le aziende si accordano
con alberghi, bar, ristoranti per ottenere delle convenzioni per i propri dipendenti. Le
contaminazioni sono quindi la normalità, anche se a sfuggire sono probabilmente più le
attività B2B che sussistono in un’organizzazione B2C che viceversa. Le etichette B2B e
B2C applicate alle aziende stanno a simboleggiare quindi una prevalenza di un certo tipo
di transazioni, non la totalità, in quanto appunto sarà difficile ritrovare nella realtà imprese
puramente appartenenti ad un mercato o all’altro.
Un altro contributo in questo senso è quello di Gummensson e Polese (2009). Il loro
invito è quello di non ragionare a compartimenti stagni quando si parla di B2B e B2C.
Spesso, sostengono, per un’esigenza di etichettare tutto, tipica del mondo occidentale, si
corre il rischio di avere dei modelli molto ben costruiti e attraenti nella teoria che però
poco riflettono la realtà. Il suggerimento è quello di procedere facendosi ispirare dalla
filosofia orientale del taoismo che propone una visione unitaria della realtà con le sue
correlazioni e interazioni. Propongono di non concentrarsi a vedere il B2B come un’isola,
26
ma come la parte di un sistema che interagisce di continuo con il B2C e i neonati, frutto
della tecnologia, C2B e C2C con lo scopo della co-creazione del valore (Figura 7),
(Gummenson e Polese, 2009).
1.6 Il marketing B2B
1.6.1 Definizione di marketing
Il marketing consiste fondamentalmente nel soddisfare le esigenze dei clienti; per essere
in grado di riuscirci con successo, l’operatore deve comprendere le esigenze dei
consumatori, sviluppare prodotti che forniscano valore superiore per il cliente, fissargli
un prezzo, promuoverli e distribuirli in modo efficace per farli vendere facilmente. Per
riassumere quindi, il marketing è il processo attraverso il quale le aziende forniscono
valore ai clienti e costruiscono relazioni solide per ricevere, a loro volta, in cambio valore
da essi. Il concetto di valore nel marketing è molto ampio e, se tradizionalmente lo si
intendeva solo come value-for-money, al giorno d’oggi si focalizza l’attenzione anche su
un approccio di value-for-me, ovvero una versione customizzata e più personale rispetto
al mero significato di valore economico (Minestroni, 2010).
Dalla definizione data, l’approccio di marketing sembra a prima vista perfettamente
calzante sia nel caso di un’impresa business to consumer sia business to business. La co-
creazione di valore infatti appartiene ad entrambe le sfere. Eppure, è innegabile che a
primeggiare sia stato senza dubbio il marketing nel mondo consumer.
Figura 7 Combinando B e C. (Gummensson, 2008 in Gummenson e Polese, 2009)
27
1.6.2 Le difficoltà del marketing ad inserirsi nel B2B
Marketing, marketing B2B e marketing B2C. Qual è la relazione che intercorre fra queste
tre aree? Coincidono? Sono differenti? Se sì, in cosa? Sono questi gli interrogativi a cui
si cerca di rispondere, per nulla banali e storicamente affrontati nella letteratura.
Smallbone (1969) si interroga se davvero il marketing industriale sia diverso. Sostiene
che, come tutti gli anestesisti, chirurghi, neurologi siano tutti medici ma specializzati in
un certo ramo, allo stesso modo il marketing B2B e B2C lo sono nel marketing, ovvero
delle ramificazioni. In più aggiunge che al tempo in cui parla, ovvero nel 1969, le
peculiarità del B2B siano trattate ancora molto superficialmente.
La necessità di distinguere gli scambi fra imprese, industrial marketing, e gli scambi
fra imprese e consumatori, consumer marketing, è stata sistematicamente sostenuta nella
letteratura tradizionale di marketing in base a differenze oggettive esistenti a livello di
assetto dei mercati, di prodotti, di caratteristiche della domanda e soprattutto a livello di
motivazioni e comportamento d’acquisto dei clienti. Fin dalle origini tuttavia, il
fondamento portante dell’intero apparato concettuale del marketing business to business
è identificato nella peculiarità del comportamento d’acquisto del cliente industriale
(Guerini et al., 2004).
Data la complessità e il contesto in cui si opera, il processo d’acquisto di
un’organizzazione è stato visto come più razionale e ponderato rispetto a quello di un
consumatore che compra per sé o per la famiglia. Questa è l’argomentazione più forte su
cui si basa l’esistenza del marketing B2B.
Un’obiezione a questa argomentazione arriva da Zimmerman e Blythe (2013) che
sostanzialmente si interrogano in modo provocatorio se una persona a capo del marketing
di un’azienda che vende dentifrici non sarebbe capace di vendere attrezzature per la
trivellazione petrolifera. Se la risposta fosse no, sostengono, allora significherebbe
pensare che le persone smettano di essere umane quando vestono i panni di un acquirente
industriale.
Questo equivale a chiedersi se le ricerche sperimentali di Tversky e Kahneman sulla
mente umana valgano solo per l’acquirente consumer piuttosto che quello industriale. Le
scoperte dell’economia comportamentale hanno portato all’eclissi dell’homo
oeconomicus che compie le sue scelte agendo in maniera razionale, lasciando spazio ad
28
un uomo più realistico che nel processo decisionale compie scelte utilizzando un numero
limitato di euristiche piuttosto che sofisticati processi razionali.
La risposta al quesito sopra menzionato di Zimmerman e Blythe, è retorica, non può
esistere una scissione della natura umana, pur ammettendo che in certi contesti la mente
umana agisce più razionalmente che in altre. Quindi ha senso studiare le specificità dei
due ambiti del marketing, senza dimenticarsi però che sempre di marketing si tratta e che
gli acquirenti, seppur nelle loro differenze, sono sempre umani, con i loro limiti e virtù.
La letteratura del marketing, seppur concependo teorie e principi comuni, ha
assunto sin dal principio, il punto di vista di quello consumer, collezionando anche un
consistente numero di casi pratici studio. Non si può dire lo stesso dell’industrial
marketing, che è stato trattato in modo marginale dagli studiosi e accolto con maggiore
resistenza dalle imprese B2B.
Il marketing business to business non ha generato sin da subito un grande successo,
ponendosi così sempre un passo indietro rispetto a quello rivolto ai consumatori finali. La
ragione, come suggerisce anche Foglio (2000), è da ricercarsi nella complessità di questo
tipo funzione in settori offrono prodotti e servizi di cui il marketing mix non risulta così
evidente come è invece quello di un bene di consumo. Vendere una scatola di cioccolatini
e vendere invece alle imprese macchinari per produrre questi cioccolatini richiede
senz’altro uno sforzo d’immaginazione differente in quanto l’immedesimazione con il
cliente finale dei cioccolatini e le sue aspettative è molto più immediata.
L’interesse per il tema è segnalato anche dalle riviste sorte con lo scopo di
accogliere la letteratura in materia di marketing business to business:
Industrial Marketing Management1972-
Advances in Business Marketing and Purchasing 1986-
Journal of Business and Industrial Marketing 1986-
Industrial Marketing & Purchasing 1986–1989
Journal of Business to Business Marketing 1993-
the IMPGroup Journal 2006-
Journal of Business Market Management 2007-
29
1.6.3 Le peculiarità del settore B2B rispetto al settore B2C
“The greater of the risk of the purchase decision, the greater are the costs.
The more people are involved in the purchase decision.
The greater the informed nature of buyer.
The greater the adjustment needed between the buyer and the seller.”
(Smallbone, 1969)
Con questa citazione di Smallbone, che racchiude una concatenazione di nessi
causa-effetto, si introducono le peculiarità del settore industriale rispetto a quello
consumer. Sono proprio queste differenze esistenti tra il mercato B2B e B2C che sono
alla base dell’esistenza del marketing specifico per entrambe le categorie e, quindi, la loro
comprensione porta all’intuizione anche di approcci differenti alla strategia di marketing.
Le peculiarità del settore industriale sono numerose, ma coerentemente con lo scopo di
questa trattazione, è stata fatta una selezione sia sugli elementi che sul grado di dettaglio
della loro presentazione. Si esplicitano quindi solo gli elementi che si ritengono utili alla
comprensione di strategie di marketing differenti nei due settori seppur consapevoli di
non esaurire nella sua pienezza il tema.
Indagando la letteratura al riguardo, queste caratterizzazioni sono spesso
semplicemente presentate sotto forma di elenco, mentre altre volte si trovano dei
raggruppamenti tematici. Tra le categorizzazioni proposte, si citano le seguenti:
Smallbone (1969):
- differenze scaturite dal mercato o dagli acquirenti industriali;
- differenze originate dalle caratteristiche del prodotto industriale;
- differenze dovute all’impostazione operativa;
- altre differenze.
Zimmerman e Blythe (2013):
- elementi interni all’impresa;
- differenze riguardanti il cliente e il marketing;
- differenze riguardanti elementi incontrollabili e l’ambiente esterno.
30
Seppur interessanti, si ritiene però di non procedere per categorizzazioni data la
complessità che ciascun elemento di differenziazione porta con sé. Ciascun elemento
verrà, quindi, esposto singolarmente.
Eterogeneità e complessità
Come si poteva già intuire con la presentazione della tipologia di acquirenti business, così
come dalla categorizzazione di prodotti e servizi, il mondo business to business è
caratterizzato da una notevole eterogeneità e complessità. Ad accrescere la problematicità
del tema, subentrano anche un articolato processo d’acquisto e il relativo comportamento
dell’acquirente business che verranno approfonditi ulteriormente più avanti (Foglio,
2000).
Dimensione
La dimensione del mercato B2B è di gran lunga maggiore di quello business to consumer.
Sono comprese infatti le innumerevoli transazioni che avvengono a monte della filiera
del prodotto finito (Foglio, 2000; Giacomazzi, 2002; Zimmerman e Blythe, 2013). Un
esempio che fa capire bene le proporzioni arriva dagli Stati Uniti, dove nel 2010 il
Dipartimento della Difesa Americana ha speso 365.9 miliardi di dollari per l’acquisto di
beni e servizi, mentre la Ford Motor Company spende solo 65 miliardi all’anno (United
Nations Global Compact, 2012 in Zimmerman e Blythe, 2013). Non fa eccezione il caso
italiano che, come visto in precedenza, riporta una proporzione del 75% e 25% tra il
fatturato rispettivamente scaturito dagli scambi business e scambi consumer.
Concentrazione
Quello B2B è considerato un mercato ad elevata concentrazione sotto il punto di vista
geografico, numerico, delle vendite e degli acquisti (Foglio, 2000).
È comune infatti, in tanti settori, che clienti e acquirenti si localizzino nella stessa
area geografica (Foglio, 2000; Giacomazzi 2017; Kotler, Keller, Ancarani e Costabile,
2017; Smallbone, 1969). Il vantaggio maggiore risiede nei minori costi di vendita, ma
allo stesso tempo i marketing manager devono tenere sotto controllo eventuali
spostamenti regionali di imprese e interi distretti produttivi.
31
La concentrazione la si osserva anche dal ridotto numero potenziali di acquirenti
rispetto a quanto accade nel mercato dei consumatori, benché la situazione non sia affatto
generalizzata (Foglio, 2000; Giacomazzi, 2002; Guerini, 2004; Kotler, Keller, Ancarani
e Costabile 2017; Smallbone, 1969). Il ristretto numero di clienti rende praticabile un
rapporto commerciale più mirato e diretto con essi, tanto è vero che spesso ci si attende
che i fornitori personalizzino i beni e i servizi offerti sotto la guida di specifiche esigenze
della domanda.
Di conseguenza, sono frequenti i casi in cui un fornitore rappresenti una quota
importante degli acquisti di un cliente, e, viceversa, quelle in cui un cliente assorbe una
quota importante delle vendite di un fornitore (Foglio, 2000). Questo accade per esempio
nel settore dell’auto e dell’energia nucleare, dove il successo di molte aziende fornitrici
consiste proprio dall’opportunità di firmare grossi contratti con poche e grosse aziende.
Domanda
La natura della domanda industriale che, inserita in una catena di trasformazioni, è
derivata ovvero determinata, nel volume e nell’andamento, dall’esistenza di una o più
domande a valle della filiera. In queste circostanze, una corretta comprensione della
domanda implica l’analisi non solo dei clienti diretti, ma anche dei clienti dei clienti, in
una logica di bottom up marketing. Questo concetto ribadisce ancora di più quanto
un’azienda B2B non sia un sistema isolato e si evince l’importanza di tenere sotto
controllo costante i mercati di consumo che appartengono alla sua filiera anche se la
reperibilità di dati per poter fare delle previsioni è alquanto complicata (Zimmerman e
Blythe, 2013).
Generalmente, nel mercato delle imprese, la domanda è poco sensibile alle
variazioni di prezzo e per questo viene definita anelastica. È una caratteristica soprattutto
del breve periodo, infatti se ad esempio il fornitore di pellame alzasse il prezzo, il suo
cliente fabbricante di cinture in pelle non varierebbe di molto i quantitativi dei propri
ordini. Nel lungo periodo, invece, potrebbe variare i propri metodi di produzione oppure
trovare alternative valide. Significativo è il caso segnalato da Giacomazzi (2002)
dell’aumento del petrolio negli anni Settanta che ebbe ricadute nell’immediato sui costi
che le imprese si trovarono a sostenere, ma col passare del tempo attivarono programmi
di risparmio energetico che gli permisero un significativo recupero.
32
Un’altra caratteristica è che ad un incremento in percentuale della domanda di beni
e servizi da parte dei consumatori finali non corrisponde un aumento proporzionale della
domanda industriale. La domanda derivata viene pertanto qualificata come fluttuante.
Infatti, un aumento del 10% della domanda di consumo può addirittura determinare un
aumento del 200% della domanda industriale utile a soddisfarla. Lo stesso ragionamento
vale anche nella situazione contraria, una piccola diminuzione percentuale del 10% della
domanda finale potrebbe significare un collasso totale di domanda industriale. In
economia, questo viene chiamato effetto accelerazione, come riportato anche in Kotler,
Keller, Ancarani e Costabile (2017) e Giacomazzi (2002).
Il processo decisionale degli acquirenti
Nella letteratura è largamente condiviso che il processo decisionale dei buyer industriali
sia normalmente più “professionale” di quello di un consumatore perché influenzato da
numerose variabili che impongono e giustificano quindi una maggiore attenzione.
L’acquirente industriale viene profilato come un soggetto competente che prende le
proprie decisioni d’acquisto in maniera razionale e professionale dopo aver condotto
ricerche, esaminato le specifiche, fatto le dovute comparazioni. Sebbene se ne parli al
singolare, il processo d’acquisto prevede solitamente un team rappresentante varie
funzioni e competenze che lavora per prendere decisioni d’acquisto in maniera collegiale.
La maggiore complessità del processo d’acquisto si evince anche dai tempi lunghi e dalla
formalità delle procedure per l’acquisto. A giustificare una maggiore razionalità è anche
il fatto che l’acquisto viene compiuto per soddisfare un bisogno di tipo funzionale e non
soggettivo. Il bene industriale infatti viene scelto per la sua capacità di fornire un adeguato
ed efficiente contributo all’attività di un’organizzazione. Pertanto l’atteggiamento di un
buyer è più imparziale e più impermeabile ad aspetti di natura emozionale, contrariamente
a quanto accade per un consumatore finale.
Acquisto più diretto
Le compravendite tra produttore e utilizzatore industriale avvengono solitamente senza
l’intervento di ulteriori intermediari, soprattutto nel caso in cui si tratti di prodotti o servizi
costosi e complessi (Kotler, Keller, Ancarani e Costabile 2017). Spesso si crea così una
catena molto più corta rispetto a quella produttore e utilizzatore finale del mondo
33
consumer, anche perché risulta non banale individuare nel mercato intermediari con le
competenze specifiche richieste in presenza di prodotti e servizi molto complessi
(Giacomazzi, 2002).
Reciprocità nei rapporti di vendita e acquisto
Accade spesso che le imprese, nella scelta dei loro fornitori, considerino in una situazione
privilegiata quelle organizzazioni che sono loro clienti. Ad esempio una cartiera sceglie
come fornitore di prodotti chimici un’azienda che acquisti allo stesso tempo la carta da
loro. Questo tipo di rapporto viene detto reciproco, ed è tipo dell’ambito industriale dato
che riesce difficile immaginare un rapporto analogo per i consumatori finali.
Mercati orizzontali e mercati verticali
Un’altra tipicità del settore business to business è la presenza sia mercati orizzontali che
verticali, ovvero rispettivamente quando un’impresa vende i suoi prodotti e servizi ad una
pluralità di settori industriali e il caso contrario, ovvero solamente ad uno solo.
1.7 Analisi della domanda
1.7.1 L’importanza della conoscenza della domanda del mercato B2B
Il requisito fondamentale per indirizzare un’azione di marketing è la conoscenza del
destinatario della stessa, ovvero la domanda. Come è stato già anticipato in precedenza,
il mercato business (mercato di sbocco delle imprese B2B) è caratterizzato da una forte
eterogeneità che ne deriva dalla varietà di organizzazioni che lo compongono.
Si procede ora ad un’analisi più approfondita dei processi d’acquisto e del
comportamento d’acquisto della domanda cercando di soffermarsi sugli aspetti
caratterizzanti lo stesso. Data la premessa è intuitivo comprendere come possa essere
presuntuosa e surreale la proposta di un modello universale adatto a tutte le entità. Si tratta
quindi della presentazione a carattere generale degli elementi e processi fondanti a cui
dovrebbe seguire uno sforzo del lettore nell’adattare la teoria alle specifiche realtà.
34
1.7.2 Il processo e il comportamento d’acquisto delle organizzazioni
Per offrire una panoramica circa la modalità e le dinamiche con cui avvengono gli acquisti
nel mercato business, segue una breve analisi delle situazioni d’acquisto, del processo
d’acquisto e del comportamento d’acquisto.
Situazioni d’acquisto
La letteratura nell’ambito business to business, in linea anche con quella consumer,
prevede tre situazioni d’acquisto a cui susseguono accortezze specifiche, ovvero:
riacquisto invariato;
riacquisto modificato;
nuovo acquisto.
In base alla categoria a cui appartiene l’acquisto specifico, al rischio percepito e alla
rilevanza del prodotto o servizio in questione, aumenta o diminuisce la complessità e il
coinvolgimento dell’organizzazione in termini di tempo, di quantità e qualità delle
informazioni raccolte, e in ultimo di numerosità e di funzioni coinvolte nel processo.
Centro acquisti
Webster e Wind (1972) sono gli autori di riferimento, anche per gli studiosi più recenti,
in tema di centro acquisti di un’organizzazione. Riprendendo la definizione da essi
fornita, il centro acquisti comprende gli individui e i gruppi che prendono parte al
processo decisionale e che pertanto condividono i rischi derivanti dalla decisione e alcuni
obiettivi. Per il responsabile marketing è importante riuscire ad identificarli in modo da
tarare l’approccio al cliente.
Gli autori italiani Foglio e Giacomazzi, semplificando un po’ quanto elaborato da
Webster e Wind, concordano nella seguente composizione di ruoli in un centro acquisti:
iniziatori: coloro che percepiscono un bisogno;
utilizzatori: coloro che utilizzano il bene o il servizio acquistato;
influenzatori: coloro che influenzano direttamente o indirettamente il
processo decisionale;
35
decisori: coloro che hanno l’autorità di scegliere tra le alternative esistenti.
Dando invece uno sguardo alla letteratura straniera, in particolare Kotler e
Armstrong (2010) e Zimmerman e Blythe (2013), si riscontrano delle lievi differenze dato
che entrambi hanno preferito riproporre un’articolazione più fedele a quella teorizzata da
Webster e Wind.
In primis, propongono la distinzione tra decisore e acquirente, dove rispettivamente
il primo detiene la facoltà di scegliere o approvare i fornitori definitivi mentre il secondo
possiede l’autorità di scegliere il fornitore e la definizione dei termini d’acquisto.
Un’altra aggiunta degli autori sopramenzionati è quello dei gatekeepers, ovvero dei
soggetti che controllano il flusso delle informazioni, o in maniera proattiva raccogliendo
materiale informativo o semplicemente filtrandole.
Indipendentemente dalla scelta di essere più completi o meno, a livello generale si
possono fare delle osservazioni sul centro acquisti.
I ruoli sopra menzionati non sono esclusivi uno con l’altro, infatti un soggetto
potrebbe ricoprirne più di uno, a seconda della tipologia e della dimensione
dell’organizzazione e dalla complessità e dal costo del bene o servizio in questione.
Inoltre, non si può non osservare la similarità con il mondo consumer, da dove
appunto trae origine questo modello. I ruoli pensati in ambito famigliare durante un
processo d’acquisto sono stati poi adattati al contesto più formale e strutturato delle
organizzazioni.
Fasi del processo d’acquisto
Le fasi che caratterizzano il processo d’acquisto in un contesto business sono le seguenti:
individuazione di un bisogno, come può essere l’obsolescenza di un
impianto, lo sviluppo di nuovi prodotti, l’insoddisfazione verso i fornitori
attuali;
descrizione generale del prodotto e delle sue specifiche;
ricerca delle informazioni;
richiesta di offerte o emissioni di bandi di gara;
valutazione delle alternative e scelta del fornitore;
36
emissione dell’ordine e relativo pagamento;
post-acquisto.
La durata di ciascuna fase e quindi nel complesso la durata dell’intero ciclo può
essere più o meno lunga a seconda della situazione d’acquisto, del costo, del rischio
percepito e della rilevanza che il prodotto o il servizio ricopre per l’organizzazione. Le
decisioni di acquisto infatti possono essere di routine o estremamente complesse,
coinvolgere soltanto pochi responsabili oppure tantissimi, richiedere lunghe negoziazioni
interne oppure pochissime.
Comportamento d’acquisto
È il comportamento d’acquisto più del processo d’acquisto ad essere un campo più
dinamico ed interessante su cui la letteratura è intervenuta maggiormente dati gli spunti
più complessi e stimolanti. Se per le fasi d’acquisto il dibattito scientifico non sia stato
così intenso ed acceso, lo stesso non si può dire nell’analisi sul comportamento
d’acquisto.
Oggi si parla di un atteggiamento più razionale e più ponderato dell’acquirente
business rispetto ad un consumatore finale, ovvero la differenza consiste in un diverso
grado di razionalità, ma nessuno più si esprime in termini radicali essendo stato
ampiamente superato il concetto di razionalità assoluta.
Il processo, però, non è stato affatto scontato. Andando per ordine, in origine la
teoria economica si basava su una tipologia di consumatore perfettamente razionale e
capace di compiere scelte ragionate massimizzando la propria utilità, e tutto ciò veniva
traslato e amplificato nell’ambito organizzativo. Nella teoria economica tradizionale, le
interazioni economiche tra fornitore e acquirente venivano quindi viste nella logica della
mera massimizzazione del profitto per le parti, pertanto nessun altro aspetto di questo
rapporto era ritenuto meritevole di considerazione. Gli agenti economici si delineavano
come soggetti perfettamente informati e quindi con decisioni altrettanto ponderate e
orientate all’ottenimento del massimo profitto (LaPlaca e Vinhas da Silva, 2016).
Le motivazioni che tradizionalmente hanno supportato questa tesi sono ben trattate
da Guerini (2004):
37
la superiore complessità dei prodotti rispetto ai beni e ai servizi di consumo, sia
in termini tecnologici che applicativi;
la natura funzionale del bisogno che muove il cliente;
la professionalità, la competenza e il rigore dell’acquirente;
la collegialità del processo decisionale.
Si riconosce un notevole contributo alle scienze umane, quali la psicologia, e
all’economia comportamentale a cui si deve l’introduzione della razionalità limitata dei
soggetti economici a discapito della razionalità olimpica che per i secoli precedenti aveva
caratterizzato la teoria economica.
Questo passaggio rientra in un cambiamento più ampio che ha riguardato il
marketing business to business, ovvero l’adozione del paradigma del relationship
marketing a scapito del marketing tradizionale che verrà meglio affrontato nel paragrafo
successivo.
In generale, come segnalato da LaPlaca e Vinhas da Silva (2016), molto rimane
ancora da esplorare nel mondo business to business, e uno dei temi ancora poco battuti è
proprio la ricerca sul processo decisionale dell'acquisto organizzativo con lo scopo di
suscitare una più profonda comprensione del ruolo dei fattori non economici, che sono
parte di quella sfera di cosiddetta irrazionalità, che intervengono nel rapporto tra
acquirente e fornitore7.
A sostegno di quanto detto dagli autori, si è osservato l’indice della 15° edizione
del libro di Marketing Management, uno dei massimi punti di riferimenti del marketing,
di Kotler, Keller, Ancarani e Costabile (2017) riguardo alle tematiche toccate
nell’affrontare il comportamento d’acquisto del mercato di consumo e quello business. Si
è notato lo spazio riservato al cliente B2B è molto più ristretto e affrontando la lettura
dello stesso vi si trova solo qualche considerazione di carattere generale senza quel grado
di dettaglio ed esaustività riservato al cliente finale.
Se, per esempio, la letteratura sull’influenza delle emozioni nel processo d’acquisto
dei consumatori, grazie anche al contributo delle neuroscienze, sia estesa e
7 LaPlaca P., Vinhas da Silva R., (2016) “A paradigm shift from economic exchange to behavioral theory:
a quest for better explanations and predictions”, Psychology & Marketing, 33:4, pp. 232–249, Wiley
Periodicals, Inc. DOI: 10.1002/mar.20872, 2016
38
abbondantemente esplorata, lo stesso non si riscontra in ambito business dove gli studi
sono lacunosi a proposito. Una delle rare pubblicazioni scientifiche a riguardo proviene
dall’India dove Pandey e Mookerjee (2018), a conclusione delle loro recenti ricerche,
hanno contribuito a sdoganare l’influenza della sfera emozionale nel processo d’acquisto
delle organizzazioni8.
Andando indietro nel passato, Leavitt nel 1965 “ammette l’influenza della
reputazione aziendale e di altri elementi intangibili non direttamente legati al prodotto
sulle decisioni di acquisto delle imprese e, qualche anno più tardi, Lehmann e Shaugnessy
(1974), nel valutare l’importanza relativa degli attributi dell’offerta nella selezione di un
fornitore, scoprono che tali elementi sono fra quelli di maggiore peso” (Guerini, 2004).
Anche se questi studi sono stati spot e non c’è ancora una sistematicità della
letteratura a trattare gli elementi intangibili che sono significativi per l’acquirente
business, si può di certo affermare che né il prezzo né le caratteristiche intrinseche del
prodotto, né la combinazione delle due, spiegano dunque fino in fondo la decisione
d’acquisto.
Si conviene quindi che l’operato del centro d’acquisti sia esposto e suscettibile
all’influenza di una molteplicità di fattori non economici.
Zimmerman e Blythe (2013), ad esempio, si sono cimentati nell’individuazione
delle sfere tematiche che potenzialmente ricoprono un ruolo nelle dinamiche decisionali.
Sono stati catalogati come elementi di natura fisica; tecnologica; economica; politica e
legale; etica e culturale.
Fattori fisici
Secondo la teoria economica tradizionale la scelta dei fornitori per un’impresa dovrebbe
essere guidata dal principio del minor prezzo e della più alta qualità, mentre invece anche
la vicinanza geografica incide deviando così le scelte. Se il mercato globale rende
possibile una maggiore possibilità di scelta del fornitore, spesso però la tendenza è quella
di preferire l’approvvigionamento all’interno del mercato domestico a discapito quindi di
fornitori fuori dai confini nazionali che potenzialmente potrebbero offrire anche un
8 Pandey S. K., Mookerjee A., (2018) “Assessing the role of emotions in B2B decision making: an
exploratory study”, Journal of Indian Business Research, 10:2, pp. 170-192, https://doi.org/10.1108/JIBR-
10-2017-0171, 2018
39
prezzo più basso. Il discorso è riferito in maniera preponderante ai prodotti dato che la
fruibilità dei servizi implica in sé la vicinanza fisica come requisito.
Fattori tecnologici
Nonostante gli sforzi per armonizzare gli standard tecnici, a livello europeo ad esempio,
si riscontra come varie organizzazioni spesso commercino in via preferenziale con le ex
colonie dove appunto c’è compatibilità delle caratteristiche tecniche che costituiscono
quindi ancora una discriminante.
Fattori economici
Non sono trascurabili le influenze sia a livello macroeconomico, come la domanda e il
livello di tassazione di un paese, che microeconomico che intervengono nella decisione
d’acquisto facendo apparire un paese così come un’azienda più o meno attraente e
conveniente per il proprio approvvigionamento.
Fattori politici e legali
Manovre di politica economica quali per i rapporti con l’estero o incentivi per favorire il
mercato interno incidono ovviamente nelle scelte d’acquisto delle organizzazioni.
Fattori etici
Come regola generale, seppur nella pratica le eccezioni non siano purtroppo così rade,
l’acquirente è interessato ad acquistare da quelle aziende che ritiene essere più virtuose
eticamente.
Fattori culturali
La cultura intesa come valori, usanze, lingua e religione interferiscono con le decisioni
d’acquisto nel mondo business to business.
È impossibile non notare come quanto detto non sia poi così distante da quello che
già appartiene alla letteratura delle influenze del comportamento d’acquisto del
consumatore. Quello che risulta è che quindi che “I buyer non appartengono ad una specie
protetta, né soffrono di sdoppiamento della personalità, da privati consumatori si
comportano in un modo e da professionisti in un altro; le loro decisioni non sono fondate
40
esclusivamente su criteri funzionali e calcoli economici, ma risentono di opinioni e
princìpi personali, di atteggiamenti benevoli od ostili nei confronti di determinate marche,
di motivazioni individuali, che fatalmente condizionano le scelte di prodotti e fornitori”
(Guerini, 2004).
1.8 Il marketing relazionale
1.8.1 Introduzione al concetto di marketing relazionale
Sebbene la rappresentazione grafica di una filiera, grazie alla sua linearità e semplicità,
sia spesso ricorrente quando si tratta di business to business, la realtà in cui un’impresa è
immersa, invece, si specchia più in un network di relazioni. Ne risulta quindi una rete di
molteplici interconnessioni che si avvicina di più all’immagine proposta da uno dei
massimi esperti del marketing relazionale9 Evert Gummenson (Figura 8).
Figura 8 Il network di relazioni per un’impresa. (Gummenson, 2008 in Gummenson e Polese, 2009).
9 È proprio Philip Kotler a ritenerlo il massimo esperto in materia di marketing relazionale, come si può
vedere in un commento al libro “Total Relationship Marketing” del 2002 di Evert Gummenson appunto.
41
Analizzando il marketing business to business non si può omettere di considerare
l’aspetto delle relazioni (Albadvi e Hosseini, 2011)10, il quale è il fulcro di un filone di
studi, ovvero il marketing relazionale o relationship marketing. Il focus è appunto l’analisi
delle relazioni, le reti in cui sono immerse le imprese e le interazioni (Gummenson,
2006)11 con lo scopo di indirizzare i manager su come creare, mantenere e migliorare
queste relazioni in una logica strategica (Berry, 1983 in Albadvi e Hosseini, 2011).
Le relazioni non hanno una natura meramente economica, ma assumono
sfaccettature molto più complesse di cui le imprese stanno gradualmente acquisendo
consapevolezza. Sebbene sia tradizionalmente appurato che i clienti costituiscano un
elemento chiave e quindi il rapporto con essi meriti un’attenzione particolare, negli ultimi
decenni le organizzazioni hanno ampliato la loro visuale monitorando e interagendo con
uno spettro di stakeholder molto più ampio, dai clienti ai fornitori, alle comunità locali,
alle associazioni ambientaliste e altri ancora. Assume rilievo quindi ogni genere di
rapporto che direttamente o indirettamente influisca sul successo aziendale.
Sebbene al giorno d’oggi l’approccio relazionale abbracci in maniera indiscriminata
sia il marketing delle imprese che lavorano direttamente nel mercato del consumo che
quello business, è da quest’ultimo che si rinvengono i primi germogli (Guerini, 2004).
Se per il mondo consumer la sopravvivenza e il successo, come si pensava almeno
inizialmente, potevano essere basato su acquisti spot e non continuativi dei clienti, per il
settore business to business, invece, è stato chiaro da prima che le relazioni durature con
i propri clienti creassero mutui benefici molto più cospicui di una strategia basata sulla
transazione spot (Leonidou, 2004 in Saura, Deltoro e Taulet, 2009)12. Le ragioni
sottostanti a questa intuizione si possono ricavare da quanto detto in precedenza sulle
specificità che contraddistinguono questo settore.
Primo fra tutti, è determinante l’elevata concentrazione del mercato degli
acquirenti, seppur non in maniera generalizzata. Pochi ma grossi acquirenti sono capaci,
quindi, con l’interruzione del rapporto contrattuale, di danneggiare l’impresa in maniera
10 Albadvi A., Hosseini M, (2011) "Mapping B2B value exchange in marketing relationships: a systematic
approach", Journal of Business & Industrial Marketing, 26:7, pp. 503-513,
https://doi.org/10.1108/08858621111162307 11 Gummeson E., Marketing Relazionale. Gestione del marketing nei network di relazioni, Milano, Ulrico
Hoepli Editore, 2006 12 Saura I., Deltoro M, Taulet A., (2009) "The value of B2B relationships", Industrial Management & Data
Systems, 109:5, pp.593-609, https://doi.org/10.1108/02635570910957605
42
importante, motivo per cui la customer retention assume un ruolo essenziale.
Un’implicazione di questo fattore è che ovviamente disponendo di una clientela più
ristretta si rende più praticabile la coltivazione dei rapporti in maniera anche più diretta e
profonda. In secondo luogo, si questo rende possibile anche la natura customizzata che
spesso i prodotti e servizi B2B hanno. La customizzazione spesso richiede investimenti
notevoli per l’impresa. Questi investimenti risulteranno proficui solo se ritroveranno
riscontro con una fornitura continua del prodotto o del servizio nel tempo al medesimo
buyer.
Infine, il ciclo di vendita solitamente è lungo e la negoziazione richiede cicli lunghi
di trattative e anche questo rivela ancora una necessità di instaurare relazioni durevoli.
1.8.2 I fattori scatenanti la necessità di un nuovo approccio
Non è stato casuale che l’adozione dell’approccio relazionale e il suo successo tra le
imprese abbia preso il via proprio negli anni Settanta e poi consolidatosi nei decenni
successivi.
È il periodo infatti di una forte intensità competitiva che richiede maggiori sforzi e
propone sfide più complesse che le aziende devono affrontare per difendere o conquistarsi
un posto nel mercato. Sono ben articolate da Giulivi (2001) le determinanti che hanno
avuto un impatto nel far percepire al mondo economico il bisogno di un nuovo approccio,
quello relazionale (Figura 9).
Incertezza
Intensità
Competitività
Gap di risorse
Strategia
relazionale
Globalizzazione
Virtualizzazione
Deregolamentazione
Tecnologia
Customizzazione
Informazione
Multimedialità
Tempo
Concentrazione
Frammentazione
Articolazione
Variabilità
Figura 9 Le variabili di mercato che conducono alla strategia relazionale. Adattamento da Giulivi (2001)
43
Fra tutti spicca la globalizzazione, un processo che ha imposto alle imprese un
nuovo modo di intendere i rapporti, sia commerciali che non, all’interno e all’esterno
dell’impresa, richiedendo una sistematicità e una vera e propria strategia nella gestione
degli stessi.
Non si può non citare inoltre anche l’influenza che internet e le nuove tecnologie
che hanno appunto offerto nuovi strumenti per relazionarsi in un modo innovativo fuori
dai classici schemi.
È in un contesto competitivo sempre più ostico e dinamico come quello appena
descritto, dove c’è un continuo rincorrersi ed imitarsi, che spicca il valore delle relazioni,
considerate una fonte di vantaggio competitivo sostenibile per le imprese grazie alla
intrinseca difficoltà di imitazione da parte dei competitor (Guerini, 2004; Albadvi e
Hosseini, 2011).
1.8.3 La storia del paradigma relazionale nella letteratura del marketing
La cura delle relazioni, come si evince da quanto detto sinora, deve quindi appartenere al
marketing delle aziende B2B, ma questo in letteratura, così come anche nella pratica, non
è stato affatto un processo scontato.
Si prosegue quindi con un breve excursus storico con l’illustrazione delle tappe
fondamentali che lo hanno segnato.
I primi passi sono stati mossi da McGarry negli anni Cinquanta che per primo ebbe
l’intuizione di inserire tra le attività del marketing la gestione dei contatti e lo sviluppo di
rapporti interdipendenti tra l’impresa e gli stakeholder. Vi si trovano però anche pareri
discordanti, come ad esempio quello di LaPlaca e da Silva (2016), che sostengono
fortemente che le prime elaborazioni sul tema siano risalenti addirittura all’Ottocento con
il contributo di John Wanamaker. Secondo gli autori, a Wanamaker non viene
riconosciuto sufficiente merito intellettuale dei suoi studi in materia. Wanamaker avrebbe
infatti elaborato per primo il concetto di mutualità e intuito come questo fosse un requisito
imprescindibile dell’esistenza delle relazioni business, ma anche, soprattutto, l’unica via
praticabile per raggiungere la soddisfazione a lungo termine della propria clientela nel
rispetto di tutti gli stakeholder e in maniera sostenibile.
44
Agli anni Sessanta si deve invece l’interessamento verso il tema della cooperazione
tra i vari attori lungo la filiera in una prospettiva anche di marketing relazionale.
Il passo decisivo è stato compiuto negli anni Settanta, quando apparve chiaro che il
paradigma dominante del management poco si prestasse all’interpretazione del mercato
business to business, e di quello consumer relativamente ai servizi. Gli esperti del campo
hanno quindi cercato di formulare un paradigma alternativo che si nutrisse proprio di
quelle peculiarità proprie delle imprese B2B in primis e poi del mondo dei servizi in
generale. Nella sezione successiva verrà approfondito meglio questo passaggio nei suoi
tratti salienti.
Formalmente, si deve agli anni Ottanta, in particolare allo studioso Berry (1983)
l’introduzione del concetto di relationship marketing (Rasul, 2018)13.
È a partire dagli anni Novanta che il marketing relazionale ha espresso il suo
potenziale trovando applicazione anche nel mercato dei beni di consumo ed oggi è tra gli
approcci più utilizzati, complici i nuovi strumenti tecnologici che hanno reso la gestione
delle relazioni più pratica ed economica.
1.8.4 Il passaggio dal marketing tradizionale al marketing relazionale
Prima di procedere a illustrare il processo di transizione dall’approccio tradizionale a
quello relazionale sopra menzionato, si ritiene opportuno chiarire, in prima battuta, che
cosa effettivamente costituisca il marketing nella sua accezione tradizionale.
È da Kotler (1967) 14 che si possono estrapolare le attività tipiche della funzione del
marketing tradizionale, ovvero:
processi decisionali e di analisi finalizzati alla predisposizione di piani e
programmi;
processi operativi volti alla decisione del marketing mix;
modelli e tecniche di mercato e gestione.
13 Rasul T., (2018) “Relationship marketing’s importance in modern corporate culture”, The journal of
developing areas, 52:1 14 Si tratta della prima edizione del volume di “Marketing Management” pubblicata appunto nel 1967.
45
Fondamentalmente i compiti del marketing erano quindi l’analisi dell’assetto
competitivo con lo scopo di definire la segmentazione, la differenziazione, il
posizionamento oltre che la gestione delle classiche 4P, ovvero Price, Product,
Promotion, Place.
Non compare di fatto il concetto di relazione, in quanto la prospettiva adottata è
unidirezionale in cui il cliente viene considerato come mero destinatario, se non bersaglio.
Inoltre, il nucleo di partenza di ogni strategia è la singola transazione tra cliente e
azienda, dove assume un ruolo preponderante l’aspetto economico (Hoekstra, Leeflang e
Witting,1999, in Guerini, 2001).
Fisicamente parlando, la funzione marketing era confinata a un ufficio a sé stante,
all’interno dell’azienda senza il coinvolgimento delle altre funzioni aziendali.
Questo paradigma ha però evidenziato dei limiti, soprattutto a partire dagli anni
Settanta quando il contesto in cui le imprese erano solite operare si è fatto più competitivo.
Gli esperti quindi di fronte alle incongruenze tra la realtà e teoria, hanno iniziato a cercare
soluzioni alternative, a partire dalla rielaborazione di studi già esistenti fino ad arrivare
alla formulazione di nuove idee che partono da assunti differenti propri del mercato B2B.
Così si iniziò a parlare di marketing relazionale come di un approccio adatto al
mercato B2B e al mercato dei servizi che si pone come obiettivo quello di imbastire,
negoziare e gestire le relazioni di scambio con gruppi chiave di interesse al fine di
perseguire vantaggi competitivi sostenibili in specifici mercati, sulla base di accordi a
lungo termine con clienti e fornitori. Secondo questa impostazione, il marketing andrebbe
inteso come la gestione delle relazioni in un lungo periodo. Al centro di ogni scambio tra
cliente e fornitore quindi va messo il cliente e la soddisfazione delle sue aspettative sulla
qualità e sul servizio offerti.
Sulla base di questa premessa allora, ogni attore coinvolto nello scambio assume
un ruolo attivo e di conseguenza ogni strategia avrà un orizzonte temporale medio/lungo
per permettere alla relazione di crearsi e consolidarsi.
Nella tabella sottostante (Tabella 1) si riportano in sintesi i passaggi cruciali tra i
due paradigmi.
46
Marketing transazionale Marketing relazionale Orientamento alla singola transazione Orientamento alla relazione e alla fidelizzazione
Approccio basato sull’azione Approccio basato sull’interazione
Atteggiamento competitivo e conflittuale Atteggiamento collaborativo
Ruolo passivo del cliente Ruolo attivo del cliente
Prospettiva statica Prospettiva dinamico-evolutiva
Discontinuità dei contatti con il cliente Continuità dei contatti con il cliente
Orientamento al breve periodo Orientamento al lungo periodo
Focus sul prodotto Focus sul valore per il cliente
Acquisizione nuovi clienti Mantenimento dei clienti in portafoglio
Limitato impegno nella soddisfazione delle
esigenze del cliente
Elevato impegno nella soddisfazione del cliente
Bassa interdipendenza Alta interdipendenza
Qualità come obiettivo della produzione Qualità come obiettivo di tutti i processi di
formazione del valore
Qualità dell’output Qualità della relazione
Enfasi sulle attività di prevendita Enfasi su assistenza post vendita e customer
service
Produzione di massa Customerizzazione di massa e personalizzazione
Tabella 1 Marketing tradizionale e marketing relazionale a confronto. Adattamento da Guerini (2004)
1.8.5 Il marketing relazionale oggi
Nel tempo il paradigma del marketing tradizionale non è scomparso ma è stato riproposto
sulla base di queste nuovi adattamenti propri del marketing relazionale. Come sottolineato
da Rasul (2018)15 oggi più che mai è impossibile negare l’importanza di un approccio
relazionale del marketing per il successo di un’azienda. È oramai consolidato che le
imprese per avere successo e generare brand equity devono puntare in maniera strategica
sulla gestione della rete di relazioni in un’ottica di mutuo beneficio e in una prospettiva
di lungo periodo. È proprio questo il meccanismo su cui si fonda la co-creazione del
valore.
In particolare, gestire le relazioni significa capire forza e debolezza dei legami con
gli stakeholder e l’importanza dello scambio e della condivisione di informazione tra di
essi (Kotler e Keller, 2006).
Oggi è tra gli approcci più utilizzati, complici anche i nuovi strumenti tecnologici
che hanno reso la gestione delle relazioni più pratica ed economica. In questo senso i
15 Rasul T., (2018) Relationship marketing’s importance in modern corporate culture, The journal of
developing areas, 52:1
47
social si stanno dimostrando un valido alleato ma non sempre questa opportunità viene
colta e sfruttata al massimo delle sue potenzialità (Prasongsukarn, 2006 in Rasul 2018).
Questo connubio tra marketing relazionale e social media verrà approfondito in modo più
puntuale nel corso dell’elaborato.
Quanto appena detto sul binomio relazioni-social media costituisce una delle tante
sfide su cui gli studiosi, nei tempi più recenti, si stanno cimentando per mettere in luce
aspetti più specifici e fornire un supporto a chi opera direttamente sul campo. Di seguito
vengono presentati alcuni tra i più temi più accesi e interessanti su cui vertono le ricerche
più recenti sul tema.
La mappatura delle relazioni
Tra i gap presenti in letteratura c’è sicuramente di metodo per l’assegnazione di un valore
alle singole relazioni che si intrattengono in modo poi da segmentare, selezionare e
concentrarsi su quelle con un più alto valore. Il trend degli ultimi anni delle imprese è la
concentrazione degli sforzi verso relazioni sempre meno numerose ma più strette (Ulaga
e Eggert, 2006 in Saura, Deltoro e Taulet, 2009). Un elemento utile nella discriminazione
dei partner è il Customer Lifetime Value (CLV, che nel caso business diventa BCLV),
ovvero il guadagno che un cliente può generare nel tempo all’azienda. A questo proposito
gli studiosi Albadvi e Hosseini hanno proposto il seguente schema (Figura 10) per
mappare queste relazioni in un’ottica di strategica. In breve, si tratta di ottenere un unico
schema finale in cui siano evidenziati le interconnessioni tra l’azienda in questione (focal
company) e gli altri stakeholder (star schema), e allo stesso tempo anche le relazioni tra
gli stakeholder stessi (community schema) mettendo in luce, per ogni coppia, quale sia
l’oggetto scambiato, specificando se tangibile o intangibile e il verso dello scambio, se
unidirezionale o bidirezionale. In questo modo il marketing e l’azienda dovrebbero
riuscire ad ottenere un quadro tangibile, completo e dettagliato della situazione che possa
essere sfruttata come punto di partenza per il proprio operato.
48
Relazione tra relationship value, trust, satisfaction e loyalty, commitment
Dato per vero il valore di un rapporto continuativo nel tempo, si pone la questione su
quali siano gli ingredienti che rendano possibile tutto questo.
La transazione dal paradigma tradizionale a quello relazionale porta con sé anche
lo spostamento dell’attenzione dagli elementi tangibili a favore di quelli intangibili che
nutrono le relazioni (Vargo e Lusch, 2004 in Saura, Deltoro e Taulet, 2009). Oltretutto,
fra i fattori intangibili, indagando la letteratura in tema relationship marketing si evince
la predilezione per lo studio di variabili come trust, commitment, loyalty, relationship
1. Describing the
focal company
2. Recognizing the
business customers
3. Identifying the
value exchanges
3.1 Focal-customer
value exchanges
3.2 Customer-customer
value with exchanges
4. Finalizing the value
exchanges
5. Mapping the BCVN
Star schema Community
schema
6. Concluding the final map
(Compound schema of BCVN)
Figura 10 Le fasi per la mappatura del valore delle relazioni.
(Adattamento personale da Albadvi e Hosseini, 2011)
49
value piuttosto che temi con connotazioni negative quali potere, opportunismo e conflitto
ad esempio. L’insieme di queste caratteristiche relazionali è stato variamente etichettato,
da norme relazionali a capitale relazionale, oltre che connettori relazionali (Vosgerau,
Anderson, Ross, 2008)16.
Prima di elaborare e verificare le relazioni esistenti tra trust, loyalty, commitment e
satisfaction e relational value, lo sforzo degli studiosi si è concentrato anche
nell’elaborazione delle definizioni degli stessi termini ed espressioni in una prospettiva
relazionale e inerente alla sfera business to business.
Si presentano di seguito le terminologie con le relative definizioni.
Relationship value
Il valore ha significati polisemici, ma in un’ottica relazionale viene definito come:
“…the trade off between the multiple benefits and sacrifices of the supplier’s supply, as
perceived by the main deciders in the customer organization, taking into consideration
the offers from the available alternative suppliers in a specific use situation (Eggert e
Ulaga,
2002, in Saura, Deltoro e Taulet, 2009).
L’espressione è quindi presentata in termini di trade-off tra i molteplici benefici e
sacrifici nel rapporto acquirente-fornitore, sebbene il tema sia ancora immaturo e in corso
di approfondimenti da parte degli studiosi (Confente e Russo, 2017).
Trust e Commitment
Morgan e Hunt (1994) hanno posto al centro della teoria del marketing relazionale i
concetti di trust e commitment.
La fiducia, così come il concetto di commitment, vengono reputati in letteratura
come ingredienti imprescindibile per lo sviluppo di relazioni proficue e di lunga durata
nel mercato business to business.
In particolare, il termine di trust è inteso come:
16 Vosgerau J., Anderson E., Ross W.T Jr., (2008) “Can innacurate perceptions in business-to-business
(B2B) relationships be beneficial”, Marketing Science, 27:2, pp. 205-224
50
“…the firm’s belief that another company will perform actions that will result in
positive outcomes for the firm, as well as not take unexpected actions that would result in
negative outcomes for the firm (Anderson and Narus, 1990 in Saura, Deltoro e Taulet,
2009).
Si evince quindi che la condizione sine qua non della necessità di fiducia sia la
vulnerabilità delle parti, ovvero il gioco di interdipendenze che sussiste per il
raggiungimento dei relativi obiettivi ambiti.
Per commitment invece si intende la convinzione di un partner che la relazione sia
talmente importante da giustificarne sforzi e sacrifici per garantirne la sua lunga durata.
Satisfaction
In materia di soddisfazione del cliente, la letteratura B2B prende in prestito quanto già
ormai noto nell’ambito B2C. Un qualunque centro d’acquisto si può ritenere soddisfatto
se l’intera esperienza di acquisto e uso del prodotto o del servizio è stata nel complesso
positiva comparata con le aspettative a riguardo (Saura, Deltoro e Taulet, 2009).
Loyalty
La fedeltà dei propri clienti costituisce un elemento strategico e fonte di vantaggio
competitivo per le imprese. L’importanza della customer loyalty è sintetizzata in quel
concetto di Customer Lifetime Value di cui si è prima brevemente trattato. Come ribadito
da Russo e Confente (2017) e Saura, Deltoro e Taulet (2009) la fedeltà si manifesta sotto
forma di due dimensioni complementari, da un lato quello comportamentale, dall’altro
quello affettivo:
“…loyalty is the degree to which a customer exhibits repeat purchasing behavior from a
service provider, possesses a positive attitudinal disposition toward the provider, and
considers using only this provider when a need for this service arises. (Gremler e Brown,
1996, in e Saura, Deltoro e Taulet 2009).
Per quanto riguarda le interconnessioni tra le variabili appena definite, si espone
sinteticamente quanto emerso recentemente dalle indagini empiriche di alcuni studiosi:
51
il relationship value emerge come una variabile critica che contribuisce
positivamente a generare trust, commitment e satisfaction all’interno delle
relazioni, producendo così effetti sulla fedeltà del cliente (Saura, Deltoro e
Taulet 2009);
esiste un diretto e significativo impatto di commitment e satisfaction
nell’incrementare la loyalty (Lee M., Kang M. e Kang J.; Saura, Deltoro e
Taulet 2009);
manca un effetto diretto di variabili appartenenti alla sfera affettiva, quali il
trust, su azioni comportamentali come la loyalty. L’effetto c’è ma è indiretto,
ovvero il trust condiziona la loyalty tramite l’effetto sul commitment (Ulaga e
Eggert, 2006, Shabbir et al, 2007, Tian et al, 2008 in Saura, Deltoro e Taulet
2009);
sono i costi di transazione ad avere maggiore influenza sulla customer loyalty
(Confente e Russo, 2017);
la customer loyalty si ottiene costruendo un’immagine affidabile di sé;
la customer satisfaction da sola non è sufficiente per creare relazioni di lungo
periodo, occorre creare valore aggiunto con la customer service (Confente e
Russo, 2017);
commitment e trust portano alla customer retention.
1.9 La comunicazione nel mercato B2B
1.9.1 Introduzione al concetto di comunicazione
Prima di contestualizzare la comunicazione nell’ambito aziendale e poi più nello
specifico in quello del mercato B2B, si ritiene opportuno offrire una breve panoramica
sui capisaldi della comunicazione in termini generali.
Paul Waztlawick17 (1967) ha notevolmente contribuito all’arricchimento della
conoscenza in materia. Indubbiamente, gli assiomi della comunicazione da lui formulati
17 Paul Watzlawick (1921-2007) è stato uno psicologo austriaco che nel 1967, assieme a Janet Beavin
Bavelas e Don D. Jackson nel Mental Research Institute di Palo Alto, sviluppò la teoria della
comunicazione umana intitolata “Pragmatica della comunicazione umana”, considerata pietra miliare
della comunicazione interpersonale per la terapia in ambito familiare.
52
esprimono verità senza tempo, che sopravvivono ai cambiamenti e alle innovazioni
tecnologiche nel campo della comunicazione. Ai fini del presente lavoro, hanno
particolare rilevanza questi tre, ossia:
non si può non comunicare;
ogni comunicazione ha una componente di contenuto e una di relazione;
gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari.
Molto semplicemente, il processo di comunicazione si palesa in una serie di
passaggi che trasmettono un messaggio da un emittente a un ricevente. Tale processo è
stato oggetto di varie rappresentazioni schematiche che hanno progressivamente
arricchito di nuove variabili la letteratura in merito.
1.9.2 La comunicazione aziendale
Spostando l’attenzione al contesto aziendale, la comunicazione svolge una funzione
imprescindibile.
La comunicazione aziendale si definisce come un processo di comprensione e
condivisione delle informazioni tra le persone all'interno e all'esterno di
un'organizzazione (McLean e Moman 2012; Pearson e Nelson 2000 in Gesell, Glas ed
Essig 2018). Lo scopo è quindi quello di assistere l'organizzazione nel raggiungimento
dei suoi obiettivi indirizzando contenuti diversi all’intera platea di stakeholder. Si
forniscono quindi informazioni sull’identità aziendale, sulla propria offerta di prodotti e
servizi e anche sulla situazione economico-finanziaria. Giacomazzi (2002), a seconda
dello specifico obbiettivo da perseguire, distingue così le varie tipologie di
comunicazione:
comunicazione istituzionale, tramite cui l’impresa intende influenzare gli
stakeholder sull’immagine e il posizionamento d’impresa;
comunicazione commerciale, che a sua volta si distingue in comunicazione
di marca che mira alla costruzione e alla gestione dell’immagine di marca,
e la comunicazione di prodotto;
53
Comunicazione interna, che si indirizza a dipendenti, organizzazioni
sindacali e il gruppo dirigenziale.
La comunicazione d’impresa, di qualunque tipologia essa sia, rappresenta una leva
del marketing operativo in stretta connessione con le altre leve (Signori, 2008)18.
Nella figura sottostante (Figura 11) si contestualizzano i modelli classici della
comunicazione nell’ambito aziendale costruendo così un quadro olistico dei fattori chiave
del processo. Un elemento degno di particolare attenzione è come i contenuti e le
codifiche del messaggio di comunicazione aziendale debbano discendere dagli obiettivi
di marketing, e indirettamente da quelli strategici. È inoltre interessante mostrare la
complessità della ricezione del messaggio che coinvolge sia riceventi diretti che indiretti
sotto l’effetto delle influenze di contesto.
Figura 11 La mappa del processo di comunicazione esterna aziendale. (Signori, 2008)
1.9.3 Il ruolo della comunicazione nel settore business to business
Il ruolo della comunicazione nelle imprese business to business è stato inizialmente
marginale. Ragionando in un’ottica transazionale, pressoché tutto lo sforzo comunicativo
era concentrato sull’attività della forza vendite che, approcciandosi direttamente con i
clienti, aveva l’incarico di persuadere e offrire loro tutte le informazioni richieste in
18 Signori P., Visioni, percorsi e verifiche nei controlli manageriali. Applicazioni al marketing e alla
comunicazione, Milano, McGraw-Hill, 2008
54
maniera unidirezionale (Uslenghi, 2004; Hänninen e Karjaluoto, 2017; Grönroos Ch.,
2004)19. Cercando di costruire una scala gerarchica delle leve del marketing mix in un
contesto business to business, sono il prezzo e il prodotto a primeggiare di gran lunga
sulla comunicazione.
Il peso della funzione comunicativa ha invece iniziato ad acquisire maggiore credito
con la progressiva affermazione del paradigma relazionale, discusso in precedenza. Si
realizza quanto sia limitativo intendere la comunicazione solo come mezzo con cui
promuovere un prodotto o servizio quando invece essa riveste un ruolo chiave e
determinante nella costruzione, sviluppo e continuità a lungo termine delle relazioni
(Anderson e Narus 1990; Mohr e Spekman 1994; Murphy e Sashi 2018 in Gesell, Glas
ed Essig 2018; Hänninen e Karjaluoto, 2017). Nello specifico della relazione cliente-
fornitore, il fattore comunicazione interviene con una funzione di mediazione nella
trasformazione del valore percepito dal cliente in lealtà, sia nella sua forma attitudinale
che comportamentale (Gilliland and Johnston, 1997; Keller, 2009 in Hänninen e
Karjaluoto, 2017), oltre ad avere un ruolo sulla customer satisfaction.
1.9.4 Verso un nuovo modo di comunicare
Le strategie di comunicazione dei mercati B2B e B2C vengono normalmente viste come
se fossero due universi paralleli ognuno con le proprie regole dettate dalla diversa natura
dei rispettivi clienti: da un lato il consumatore che, seppur sempre più evoluto, è guidato
dall’impulso emotivo, generalizzando molto la categoria, dall’altro il buyer industriale
mosso da obiettivi puramente utilitaristici.
I confini così netti, tra una comunicazione emotiva per i consumatori e una
comunicazione invece fredda e del tutto informativa per i buyer industriali, stanno invece
lasciando spazio a contaminazioni da entrambe le parti, andando verso una convergenza
dei due mondi.
19 Grönroos Ch., (2004) "The relationship marketing process: communication, interaction, dialogue,
value", Journal of Business & Industrial Marketing, 19:2, pp. 99-113,
https://doi.org/10.1108/08858620410523981
55
Adottando il punto di vista business, in un clima di continui e rapidi cambiamenti
anche la comunicazione ne viene pervasa e sollecitata a modificarsi sotto molteplici punti
di vista: i contenuti, lo stile, i mezzi di comunicazione.
Contenuti
Uslenghi (2004) ha ben espresso la tradizione di un contenuto serio e razionale della
comunicazione business, coerente con l’immagine professionale e impassibile del buyer
industriale. Ne segue quindi che il contenuto debba caratterizzarsi per indicazioni
particolareggiate sugli attributi tangibili del prodotto o servizio, sui vantaggi per
l’utilizzatore e sulle modalità di impiego o fruizione. Ecco quindi la netta dominanza di
testi prolissi, che si soffermano su spiegazioni dettagliate, demo, schede tecniche
accompagnate da tabelle e schemi. Questa è detta strategia dell’hard selling.
Se si pensa ai bisogni relazionali sopra menzionati e alla componente emotiva insita
in ogni persona, risulta limitativo puntare solo sulla proposta di contenuti solo sugli
aspetti tecnici e funzionali. I clienti, infatti, in fin dei conti acquistano molto più che
prodotti o servizi, ovvero anche affidabilità, lealtà, serietà e competenza.
Ne consegue quindi che l’impresa debba comunicare insieme alle caratteristiche del
prodotto, anche la propria competenza, l’onestà, la continuità, l’attenzione, i valori etici
che si garantisce all’acquirente oltre ovviamente ad un buon prodotto o servizio. La
qualità e il prezzo del prodotto rimangono necessarie ma non sufficienti per assicurarsi la
preferenza dei clienti.
Stile
Anche dal punto di vista stilistico si registra un cambio di rotta.
L’aspetto visual da molto essenziale e realistico cerca sempre più di rappresentare
immagini più gradevoli, aggiungendo ad esempio alle foto dei prodotti anche
un’ambientazione piacevole per chi guarda.
Anche in merito alla scrittura, c’è da sottolineare come si cerchi di smussare la
rigidità dell’esposizione, ad esempio sfruttando l’uso di figure retoriche.
56
Mezzi di comunicazione
Sotto l’aspetto dei canali di comunicazione, studi empirici fanno emergere come per i
buyer stiano acquisendo crescente importanza anche fonti di informazioni non
tradizionali, quali informazioni da terze parti, siti web, telefonate, fiere, email (Adamson
et al., 2012 in Hänninen e Karjaluoto, 2017) e social media (Järvinen et al., 2012 in
Hänninen e Karjaluoto, 2017). Per quanto riguarda questo ultimo aspetto, il tema è ancora
acerbo sia nella pratica che nella letteratura (LaPlaca e Da Silva 2016; Hänninen e
Karjaluoto, 2017).
Alla luce di quanto esposto, non si può di certo sostenere che si stia assistendo ad
una conversione della comunicazione business to business al puro intrattenimento. Quello
che non si può negare, però, è una maggiore attenzione anche alla componente più
“leggera” sia da un punto di vista stilistico che contenutistico della comunicazione e un
timido utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione, quali i social media di cui si parlerà
in modo dettagliato nel corso della trattazione.
57
CAPITOLO 2
IL SOCIAL MEDIA MARKETING
2.1 Internet: dalle origini del web alle prospettive future
È innegabile come le tecnologie e internet20 stiano rivoluzionando la società plasmandone
ogni suo aspetto, dal modo di fare business alla politica, dalla salute all’ambiente, o anche
semplicemente al modo di relazionarsi gli uni con gli altri (Dodson, 2016)21. Con un tasso
di crescita medio degli utilizzatori del 1.066% dal 2000 al 2018 (Internet Word Stats,
2018), Internet è ad oggi il principale mezzo di comunicazione, oltre a detenere anche il
primato sulla velocità di pubblicazione delle informazioni (Rudamn e Bruwar, 2016). A
questa crescita a quattro cifre, si è accompagnato un progresso tecnologico a favore di
device in grado di supportare la connessione in Rete.
Gli inarrestabili cambiamenti nel mondo del web continuano a susseguirsi a ritmi
sostenuti portando continue novità e trasformando quanto sembrava innovativo in
obsoleto in tempi brevissimi. Alcuni cambiamenti, però, sono stati talmente rivoluzionari
da scandire nella storia del web delle vere e proprie ere. Per offrire una panoramica di
questa evoluzione nei suoi tratti salienti si procede approfondendo la storia del web
soffermandosi sulle tappe principali.
2.1.1 La storia del Web
Il World Wide Web è il più grande contenitore di conoscenza della storia umana. A questo
patrimonio, nel giugno 2018 avevano accesso oltre 4,8 miliardi, pari a circa il 55% della
20 Internet è la contrazione della locuzione Interconnected Networks, che si traduce in Reti Interconnesse. 21 Dodson I., The art of digital marketing: The Definitive Guide to Creating Strategic, Targeted, and
Measurable Online Campaigns, New Jersey, John Wiley & Sons, Inc., Hoboken, 2016
58
popolazione della Terra (Internet Growth Statistics, 2019)22. Prima dello sviluppo del
web le informazioni venivano recuperate attraverso una serie di passaggi e comandi
complicati per localizzare i dati, tra cui la preparazione di una connessione remota e il
download i dati in un computer locale, richiedendo pertanto una profonda conoscenza
informatica (Fumelli, 2017)23.
Probabilmente, l’anno in cui ha senso cominciare a parlare di storia del web è il
1989. A quell’epoca il ricercatore al CERN di Ginerva Tim Berners-Lee24 presentò una
bozza preliminare del protocollo di rete per il web in cui proponeva l’adozione dei
documenti ipertestuali25. Due anni dopo, più precisamente, il 6 agosto 1991 è la data
storica a cui risale la pubblicazione del primo sito web funzionante e accessibile da HTTP
con un indirizzo WWW. WorldWideWeb (Figura 12).
Figura 12 La prima pagina Web della storia. (Wikipedia, ultimo accesso: 29/12/2018)
A questa pagina ne sono susseguite moltissime altre, arrivando all’esosa cifra di
1.949.840.215 nel 201926. In parallelo a questa crescita, si sono verificate importanti
rivoluzioni digitali definite Web 1.0; Web 2.0; Web 3.0.
22 https://www.internetworldstats.com/emarketing.htm, (ultimo accesso: 22/01/2019) 23 https://www.webhouseit.com/la-storia-del-world-wide-web-in-breve/, (ultimo accesso: 01/01/2019). 24 Timothy John Berners-Lee è nato a Londra l’8 giugno 1955 ed è un noto informatico britannico vincitore
del premio Turing 2016. 25 Questa bozza è tutt’ora disponibile sul sito http://www.w3.org/Administrationon/HTandCERN.txt 26 Il dato è stato rilevato sul sito di Internet Lives Stats
http://www.univr.it/main?ent=catdoc&id=3007&uo=92 (ultimo accesso: 20/01/2019) che offre statistiche
in tempo reale su quanto accade sul web.
59
La prima fase è stata chiamata in modo retrospettivo Web 1.0 e indicativamente
definisce il decennio 1990-2000. Essa è stata originariamente contrassegnata da
documenti statici. In particolare, i primi siti Web erano formati da un insieme di pagine
“statiche” con testo e immagini, concatenate da semplici link incrociati ed esclusivamente
realizzate in linguaggio HTML (Rudman, 2010 in Rudman e Bruwer, 2016; Fumelli,
2017). Si trattava di un ambiente virtuale in cui informazioni e dati venivano visualizzati
senza prevedere alcuna interazione con l’utente. Date queste caratteristiche, il web 1.0 è
stato etichettato anche come il “read-only Web”, in cui appunto l’utenza poteva solo
consultare le pagine passivamente. Ad oggi, benchè non siano la parte preponderante,
questa tipologia di siti permane ancora (Rudman, 2010 in Rudman e Bruwer, 2016).
La concettualizzazione della successiva visione del web 2.0 è attribuita a Tim
O’Reilly27, che nel 2004, nel corso di una conferenza, diede vita a questo termine per
definire l’importanza dei cambiamenti che stavano rivoluzionando la Rete. Si riferiva al
Web 2.0, detto anche “read-write web”, che ha segnato la rete dagli anni 2000 fino
all’incirca al 2006. Innanzitutto, con l’introduzione dei linguaggi di programmazione
dinamici, gli sviluppatori hanno permesso all’utenza anche non tecnica di interagire con
i contenuti dei siti internet. Inoltre, per la prima volta si è data grande importanza
all’aspetto della usability e al modo di condividere i contenuti da parte degli stessi utenti.
Il frutto di queste intuizioni sono quindi i Blogs, Wiki, Social Network e Forum. Di base
c’è lo sfruttamento del concetto della cosiddetta intelligenza collettiva. Se ne deduce una
nuova declinazione del web, ovvero quella dell’uso sociale tramite un gruppo di
applicazioni basate sui presupposti ideologici e tecnologici che consentono la creazione
e lo scambio di contenuti generati dagli stessi utenti. Si osserva pertanto il passaggio da
una filosofia “one to many” a quella “many to many” in cui il web prendeva le sembianze
di una piattaforma che veicola queste interazioni tramite l’uso anche nuove applicazioni,
le cosiddette mashup. Sono proprio queste applicazioni che permettono di ottenere la
maggior parte delle funzionalità usando il “software come un servizio”. I dati si
alimentano sfruttando e mixando sorgenti multiple generate dagli utenti che forniscono i
propri contenuti e servizi con modalità che ne consente il riutilizzo di altri creando la
27 Tom O’Reilly è il fondatore e amministratore delegato della casa editrice statunitense Media O’Reilly,
inizialmente O'Reilly & Associates, specializzata nella pubblicazione di libri e siti riguardanti l'informatica.
Una caratteristica peculiare delle loro pubblicazioni è la raffigurazione di animali sempre diversi sulla
copertina di ogni libro (Wikipedia, ultimo accesso: 04/01/2019).
60
cosiddetta "architettura della partecipazione". Il risultato è una user experience sempre
più soddisfacente.
Con web 3.0 si intendono significati piuttosto diverse, non c’è ancora una
definizione univoca capace di offrire una perfetta chiarezza sul fenomeno. Sono però in
circolazione alcuni concetti chiave che in un futuro prossimo concorreranno alla sua
identificazione.
Quello che è certo è il web non ha smesso di evolversi entrando nel 2006 nella fase
del “read-write-execute web”. Fondamentalmente, non si tratta di mutamenti dovuti
all’introduzione di nuove tecnologie, bensì di reinventare quanto già disponibile verso
nuove prospettive d’utilizzo. Lo scenario prospettato è quello di un unico e vasto database
(“Data Web”) in cui le informazioni saranno agglomerate e che sarà utilizzabile in diverse
applicazioni per recuperare dati da fornire all’utenza.
Le intelligenze artificiali28 caratterizzeranno questa fase digitale grazie ad algoritmi
sempre più sofisticati che permetteranno un orientamento migliore resa in una rete sempre
più affollata.
Inoltre, ad affiancare il termine web in questa fase vi è l’aggettivo “semantico”. Si
può intendere come una declinazione del concetto di “Rete come database” e si tratta
dell’introduzione dei contenuti correlati a determinate parole chiave, che permettono una
ricerca di informazioni più performante. L’ambizione è quella di rendere i documenti
pubblicati (pagine HTML, file, immagini) interpretabili, cioè associarli a informazioni e
metadati che ne specifichino il contesto semantico in un formato adatto alla ricerca,
all'interpretazione e, più in generale, all'elaborazione automatica. Per fare ciò, il web
semantico si basa sul paradigma che qualunque tipo di fonte, e in particolare le fonti
informative non strutturate, siano codificate tutte con gli stessi criteri. Per rendere meglio
il concetto, si cita una metafora usata da uno dei co-fondatori dell’espressione Semantic-
Web, ovvero Jim Hendler:
“Se da una parte si trova la tua patente e dall’altra il numero di identificazione
della tua auto, ci deve essere un modo per collegare insieme queste due cose. Ci deve
essere un modo per le macchine per capire che queste due cose sono legate tra loro29”
28 Si definisce intelligenza artificiale un software capace di interagire con l’utenza. 29 Traduzione personale
61
Come ultimo, un aspetto affascinante è la tridimensionalità che promette di
riprodurre la realtà in formato digitale grazie allo sviluppo di nuove sofisticate tecnologie.
Quindi non più una Rete di pagine, ma di veri e propri spazi in cui ci si “muove” per
trovare quanto si cerca. In questo campo, l’esperienza di Second Life è stata
probabilmente determinante30.
Osservando la situazione attuale, si può capire come ancora non ci sia stata una
piena realizzazione delle rivoluzioni caratterizzanti il web 3.0; si tratta infatti di uno stadio
iniziale di cui non si può prevedere la data precisa in cui giungerà alla piena realizzazione,
ma quello che con certezza si può affermare è che tutto ciò, presto o tardi si avvererà
(Metz, 2007)31.
Per concludere, la progressione delle tre fasi della rete può essere sintetizzata in
questo modo:
Web 1.0: pagine web statiche indirizzate ad un utente con ruolo passivo;
Web 2.0: nascita delle applicazioni mashup e l’interattività veicolata anche
dall’avvento del social (user-generated content);
Web 3.0: componente semantica32 e propensione verso la
tridimensionalità. Si rivoluziona il modo degli utenti di interagire con le
macchine e con la rete portando con sé nuovi rischi e opportunità (Rudman
e Bruwer, 2016).
30 Second Life è una piattaforma virtuale lanciata nel 2003 dalla società americana Linden Lab, fondata
alcuni anni prima da Philip Rosedale, imprenditore e fisico statunitense. Sostanzialmente è un sito internet
in cui gli utenti possono vivere una seconda vita digitale: possono scegliere dove e come muoversi,
comprare una casa, aprire un’attività commerciale, avere relazioni personali ed economiche. Ha avuto un
riscontro molto positivo dagli utenti per più di 10 anni consecutivi, mentre di recente ha registrato un alto
tasso di abbandono. (Il post, 2018). 31 Metz C., (2007) “Web 3.0. The Internet is changing…again”, PC Magazine, pp 74-79 32 Nel mondo informatico, si parla di intelligenza semantica per indicare quelle tecnologie in grado di
trasformare informazioni non strutturate, ad esempio i contenuti di un sito web, in un insieme (database) di
informazioni strutturate che può essere interpretato ed elaborato automaticamente sulla base delle proprietà
semantiche dei dati. In altre parole, l'intelligenza semantica è in grado di lavorare con i "concetti": ciò è
reso possibile dalla combinazione di analisi semantica e codici di mark-up, che riescono a tradurre in
linguaggio informatico i domini della conoscenza (anonimo).
62
2.2 L’utilizzo di internet in Italia
2.2.1 Dalle origini di Internet in Italia alla situazione corrente
Presentata l’evoluzione del web, ci si focalizza ora sullo specifico caso italiano. Il
rapporto Internet Italia 201833, che restituisce informazioni sulla situazione dell’Italia e
Internet dal 2006 al 2016, contiene alcuni dati e riflessioni meritevoli di un
approfondimento al fine di presentare un quadro attuale e completo sulla questione.
Risale al 30 aprile 1986 il primo collegamento ad Internet in Italia che servì a
mettere in contatto l’Istituto del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnuce) a Pisa e la
stazione di Roaring Creek in Pennsylvania utilizzando la rete satellitare atlantica
SATNET con una linea da 28kbs. Con questo passo, l’Italia diventava il quarto paese
europeo, dopo Norvegia, Regno Unito e Germania, ad aver accesso alla rete. Se l’inizio
sembrava promettente, col passare degli anni il Paese ha rallentato i suoi ritmi
collocandosi sempre indietro nelle adozioni delle ICT al confronto con gli paesi europei.
Questo ritardo è confermato anche in un recente articolo apparso su “Il Sole 24 ORE” in
cui emerge che, secondo i dati Eurostat, l’Italia è quartultima per accesso al web, con solo
il 71% della popolazione che nel 2017 ha usato la rete (negli ultimi tre mesi dalla
rilevazione), contro una media europea dell’84%. Il dato è maggiore per i maschi (74%)
rispetto alle femmine (68%) e si riferisce alle sole persone tra 16 e 74 anni di età. Se nel
2007 l’Italia era la 23esima su 28 paesi censiti dall’istituto (con il 38%), ha perso una
posizione dieci anni più tardi, scivolando al 24esimo posto nel 201734. Pur essendoci
tuttora questo gap, c’è da segnalare come l’Italia abbia conosciuto miglioramenti
notevoli. Le persone che non hanno mai usato Internet, infatti, sono passate dal 63,0% al
32,7%, nel decennio tra il 2006 e il 2016. A questo sia aggiunge un aumento sia degli
33 La ricerca è frutto di un lavoro congiunto dell’Istat e FUB a cui hanno partecipato Emanuela Bologna,
Rita Fornari e Laura Zannella per l’Istat, Cosimo Dolente e Giacinto Matarazzo per la Fondazione Ugo
Bordoni (FUB). 34 https://nova.ilsole24ore.com/infodata/agenda-digitale-tra-gli-italiani-e-internet-non-e-mai-stato-vero-
amore/?refresh_ce=1 (ultimo accesso: 03/01/2019)
63
utenti regolari di Internet del 28,9% sia degli utenti forti del 29,9%. Il grafico sottostante
(Grafico 1) restituisce una lettura più immediata di quanto appena espresso.
Grafico 1 Persone di 6 anni e più per utilizzo di Internet nel periodo 2006-2016 (valori percentuali). (Istat, 2018)
2.2.2 Le differenze generazionali
Il rapporto con le tecnologie ICT è per eccellenza l’ambito in cui sono molto nitide le
differenze generazionali che si palesano sotto forma di molteplici aspetti: diversità
nell’utilizzo; differenze negli scopi di utilizzo; device utilizzati.
Diversità nell’utilizzo
Sull’accesso a internet la situazione è la seguente: i maggiori utilizzatori sono la
generazione delle reti (1996 - 2010), a seguire i Millenials (1981 - 1995), la generazione
64
X (1966 - 1980), i Baby Boomers (1946 - 1965), la generazione 0 (1926 - 1945) (Grafico
2).
Differenze nella tipologia degli usi
In base alle informazioni disponibili le attività principali svolte su internet sono:
attività di comunicazione;
attività culturali o ludiche;
attività legate al commercio elettronico e ai servizi bancari online.
L’utilizzo della rete per comunicare è l’attività più diffusa ed è trasversale a tutte le
generazioni. L’uso di Internet per comunicare è meno frequente fra i membri più anziani
della generazione dei baby boomers, ovvero i nati nel 1946-1950, per i quali si registra
anche un incremento modesto nel corso del decennio (soltanto due punti percentuali).
Per le attività di commercio elettronico via Internet, l’aumento maggiore della
percentuale di utilizzatori si osserva per i millennials.
Grafico 2 Tassi di utilizzo regolare di Internet nel periodo 2006-2016 per generazione, sesso e classi di età
(valori percentuali). (Istat, 2018)
65
Per quanto riguarda l’utilizzo della rete per svolgere attività culturali o ludiche gli
incrementi maggiori si registrano per le due generazioni meno giovani: i baby boomers
(+33 punti percentuali) e la generazione di transizione (+28 punti percentuali).
A mitigare l’effetto età c’è l’istruzione, infatti il livello di istruzione è in grado di
annullare i divari tra le generazioni. I Baby boomers laureati utilizzano internet per
comunicare quanto i Millennials diplomati (95% circa) e più dei Millennials con un basso
titolo di studio (89% circa).
Device utilizzati
Se nei primi anni 2000 in Italia, e in generale anche nel resto del mondo, l’unico modo
per accedere ad internet era il computer, ad oggi i dispositivi si moltiplicati. Complice
l’innovazione tecnologica, i device per collegarsi in rete sono non solo aumentati, ma
hanno anche permesso l’utilizzo in mobilità.
Nel 2016 il 78,3% degli utenti regolari di Internet (di età maggiore di 15 anni) hanno
utilizzato uno smartphone per accedere alla Rete, il 49,6% un PC, il 31,1%, un laptop o
un netbook, il 28,8% un tablet e il 5,8% altri dispositivi mobili tra cui ebook, smartwatch.
È interessante sottolineare come prevalentemente la preferenza sia l’utilizzo di un solo
dispositivo (38,3%) o al più due (34,9%). La restante parte si suddivide tra chi ne utilizza
tre, il 19,3%, e una piccola nicchia, il 7,5%, che accede da quattro o cinque dispositivi.
Anche da questo punto di vista la variabile generazione ha una sua significativa
influenza. Se fino a 34 anni la tendenza è quella di combinare il PC con il cellulare, di cui
quasi un quarto accede esclusivamente tramite cellulare, per le persone con età 55 anni e
più prevale invece l’uso esclusivo del PC.
2.3 Le imprese italiane e Internet
Il 9° Censimento Generale dell’Industria dei Servizi e delle Istituzioni Non Profit
nell’offrire un “Check–Up delle imprese italiane” analizza anche il loro rapporto con
Internet. Quello che ne emerge è una debole capacità di sfruttare le opportunità offerte
dalla rete come strumento di informazione e comunicazione soprattutto da parte delle
microimprese. Infatti, solo il 77% delle imprese tra i 3 e 9 addetti dispone di una
connessione internet. Il 65,7% utilizza un collegamento in banda larga ed il 16,5% una
66
connessione mobile. Significativo è il fatto che il 42,2% delle microimprese reputi
internet non necessario o inutile per l’attività che svolge. L’utilizzo di internet rimane
circoscritto ai servizi bancari e finanziari (62,8%), alla ricerca di informazioni (42,1%), e
allo svolgimento di procedure amministrative (26,9%). Un terzo delle microimprese
utilizza un sito web o pagine internet. L’opportunità di vendere on line tramite e-
commerce è sfruttata soltanto dal 5,1%, mentre il 23,4% dichiara invece di acquistare sul
web.
2.4 Il digital marketing
2.4.1 Introduzione al concetto di digital marketing
Il proliferare del web ha offerto terreno fertile a chi si occupa di marketing prospettando
nuovi orizzonti e portando profonde trasformazioni in termini di strumenti e strategie
(Piñeiro-Otero e Martínez-Rolán, 2016)35. Allo stato attuale la comunicazione online è
diventata parte essenziale del marketing operativo. Da questo connubio dei principi di
marketing e dell’offerta di Internet, in tutte le sue sfaccettature, ha tratto origine una
specifica disciplina: il digital marketing. Le espressioni che definiscono questo nuovo
fenomeno, provenienti sia dalla letteratura che dai marketer, sono varie; solo per citarne
alcune: Internet marketing, e-marketing, Web marketing e modern marketing. Nella
sostanza, comunque, si concorda nel dire che ognuna di queste espressioni, in modo
indistinto, rappresenti l’insieme delle attività di marketing che utilizzano i canali web per
sviluppare la propria rete commerciale, analizzare i trend di mercato, prevederne
l’andamento e creare offerte sul profilo del cliente target. Questa ramo del marketing si
nutre quindi delle continue innovazioni del web, del moltiplicarsi dei device e degli utenti,
e si distingue da quello tradizionale per la sua interattività, ubiquità e la effettiva
realizzazione della visione user/customer-centred (Piñeiro-Otero e Martínez-Rolán,
2016).
35 Piñeiro-Otero T., Martínez-Rolán X., Understanding Digital Marketing. Basics and Actions, Switzerland
Springer International Publishing, 2016
67
2.4.2 Le fasi del Web in parallelo con quelle del digital marketing
Lo sviluppo all’approccio al marketing online è evoluto di pari passo con l’evoluzione
del Web che è stata presentata nei paragrafi precedenti. Come espresso da Peretti (2011)36,
le fasi di sviluppo legate alle strategie di marketing online sono sostanzialmente tre:
1) fase informativa;
2) fase relazionale - vendita;
3) fase collaborativa.
Parallelamente alla fase del web 1.0, gli obiettivi delle aziende rispetto a internet
erano relativi alla messa online di contenuti informativi rivolti a clienti attuali o
potenziali. La rete fungeva quindi da ulteriore canale di comunicazione dove lasciare
traccia della propria esistenza, della propria identità e del proprio portafoglio di prodotti
e servizi.
Nella seconda fase invece, le aziende cominciano ad apprezzare l’opportunità di
una comunicazione a due vie, con i clienti coinvolti attivamente alla costruzione di una
relazione (social media). La svolta che ha segnato il modo di fare business è anche
l’utilizzo del web come un nuovo canale di vendita, ovvero l’e-commerce che ha generato
negli anni un crescente successo.
La terza fase, che rispecchia anche lo stadio attuale, vede un ruolo del cliente
particolarmente attivo e stimolato dalle aziende che mirano ad instaurare un dialogo
brand-utente in un modo così diretto e spontaneo riducendo la distanza tra azienda e
consumatore ai minimi storici. Complici i nuovi media, in special modo i social network,
il consumatore accoglie l’invito delle aziende a co-creare l’identità di brand, come anche
allo sviluppo di nuovi prodotti.37 La nuova sfida del marketing online è quindi quella di
creare strategie capaci, non solo di coinvolgere i consumatori, ma anche di ascoltarli e
offrirgli il necessario supporto per accettare in maniera naturale e personale i brand.38
36 Peretti P, Marketing digitale: Scenari, Strategie, Strumenti, Milano, Apogeo, 2011 37 Esemplificativo è il contest “Crea il tuo gusto” attivato dall’azienda “San Carlo”, che arrivato alla sua
quarta edizione nel 2018, ha visto la partecipazione di oltre 250 mila consumatori che tramite i canali social
hanno espresso nuove proposte per un nuovo gusto di patatine da lanciare sul mercato dalla stessa azienda. 38 Pavanello L. Il marketing digitale. Il caso Porsche Italia: Tesi di Laurea magistrale in Marketing e
Comunicazione, Università Ca’Foscari di Venezia, a.a 2011-2012
68
2.4.3 Gli strumenti del digital marketer
Al digital marketer competono tutte le attività di SEO e SEM, Content Marketing, e Social
Media Marketing, oltre che gestione di strumenti quali Google AdWords, l’Email
Marketing, la Lead Generation. Si spiegano brevemente i significati delle realtà appena
menzionate39.
Per attività SEO (Search Engine Optimization) si intende il processo attraverso il
quale si migliora la visibilità di un sito internet nei risultati di ricerca organica di un
motore di ricerca. La strategia si può implementare in due direzioni: SEO On-Page e SEO
Off-Page. Mentre la prima lavora direttamente sul sito tramite espedienti tecnici per
migliorare il posizionamento nei SERP (Search Engine Result Pages), la seconda si
concentra su quanto si possa fare all’esterno del sito per poter raggiungere il medesimo
risultato, ovvero una migliore visibilità del sito.
SEM (Search Engine Marketing) ha lo stesso obiettivo del SEO, cambiano solo gli
strumenti. Si tratta infatti di servirsi di pubblicità online a pagamento, ovvero
l’inserimento di riferimenti testuali di un’azienda in motore di ricerca, che verranno
visualizzati dagli utenti visualizzati nel momento della digitazione di specifiche keyword,
siano esse frasi o parole. Il modello è quello del Pay-Per-Click (PPC) all’interno di
Google AdWords o dei social media (es Facebook Ad). In questi circuiti l’inserzionista
acquista le keyword potenzialmente più rilevanti per la ricerca, per poi effettivamente
pagare solo quando il potenziale acquirente clicca sull’annuncio. Viene inglobato nel
SEM anche il contextual advertising, che crea un permette di collocare, dietro pagamento,
un’inserzione all’interno di un articolo sulla base delle affinità delle parole chiave.
Il Content Marketing è fondamentale per il raggiungimento dei principali obiettivi
del web marketing. Con l’espressione si intende l’attività di creazione condivisione di
contenuti strumentali all'acquisizione e al mantenimento di clienti. La finalità diretta non
è la vendita di prodotti e servizi, bensì instaurare con il pubblico una relazione duratura e
proficua per ambo le parti. Si sfruttano quindi, diversamente dalle attività di SEO e SEM,
i contenuti come video, guide e articoli. Lo scopo del content marketing non è
direttamente vendere ma informare il cliente per generare con esso una relazione stabile
fruttuosa e duratura. A fare chiarezza sull’argomento vi è il Content Marketing Institute
39 La letteratura in merito non è molto ampia, per questo si sono consultati soprattutto materiale online,
maggiormente blog come Ninja Marketing e Digital4Marketing.
69
negli USA, mentre in Italia hanno contributo Alberto Maestri e Francesco Gavatorta con
il loro libro “Content Evolution” del 2015.
L'Email Marketing è una forma di marketing diretto (DEM) che si occupa di
sviluppare strategie nella fase di creazione e lancio di comunicazioni tramite email per il
target richiesto da un’azienda. Lo scopo di queste e-mail può essere vario: l’invio di
contenuti promozioni, il costante aggiornamento sulle news aziendali, gestione delle
relazioni di lungo periodo.
La Lead Generation si basa sul concetto dell’acquisizione dei lead, ovvero un
potenziale cliente ha manifestato un qualche interesse sui prodotti o servizi dell’azienda.
è quell’insieme di azioni di marketing che hanno come obiettivo l’acquisizione e la
generazione di contatti interessati. Si tratta quindi di riuscire a rintracciare e stilare una
lista dei contatti realmente interessati a cui poi indirizzare in modo efficiente ed efficiente
la propria offerta, col fine ultimo di trasformare questi lead in clienti fidelizzati.
Con Social Media Marketing si ingloba la serie di attività promozionali (acquisti
online, aumento di traffico verso i siti), di gestione delle relazioni con gli stakeholder,
posizionamento della marca, gestione delle risorse umane che oggi viene svolta sui social
media. Nel paragrafo successivo si provvederà a fornire un approfondimento maggiore
sull’argomento.
Come appare evidente tutti questi strumenti richiedono specifiche conoscenze e
competenze, con il continuo bisogno di aggiornamento. Appurato che digital marketer
non ci si improvvisa, si è creata la domanda di corsi dove poter apprendere quanto le basi
per potersi muovere con consapevolezza in questo mondo. Oltre a corsi e master,
universitari, Google stessa offre gratuitamente delle sessioni dove apprendere sfruttare le
nuove opportunità digitali per portare benefici alle aziende (Figura 13).
70
Oltre a questi requisiti di tipo tecnico, la strategia di digital marketing impone la
creazione di sinergia tra tutti gli strumenti web al fine creare un tutt’uno armonioso.
Creare sinergia significa intendere ciascuno strumento del digital marketing come parte
di un tutto, e come compartimenti stagni. La visione unitaria si declina anche nel rapporto
tra offline e online, mirando all’integrazione di queste attività nel web con quelle
effettuate sui media più tradizionali in un’ottica di omnicanalità. Non bisogna trascurare
che accanto a “digital” si accompagna la parola “marketing”, che con i suoi principi
fondanti dovrebbe ispirare le decisioni in questo campo. Addentrandosi nel significato
profondo del digital marketing emerge quindi una notevole complessità che richiede
un’attenta, accurata e completa gestione strategica in tutte le sue fasi, da quella
preliminare all’analisi finali dei risultati ottenuti. A proposito dei risultati ottenuti il
digital marketing ha il vantaggio di permettere la misurazione di ogni attività e quindi il
monitoraggio costante i risultati raggiunti e quindi anche il confronto con gli obiettivi
generali prefissati.
Si può concludere dicendo che le opportunità offerte da Internet sono una risorsa
preziosa per le aziende. Questa risorsa, di per sé, non è però garante di risultati positivi.
La propria presenza online presuppone una strategia con obiettivi concreti che siano in
linea con il brand e l’immagine del business. La mancata pianificazione può significare
non solo di quanto investito in termini di tempo, risorse umane e denaro, ma addirittura
risvolti negativi sull’organizzazione, in termini di immagine, reputazione e credibilità del
brand (Piñeiro-Otero e Martínez-Rolán, 2016).
Figura 13 Schermate di inserzioni di Google per pubblicizzare un corso
di digital training. (Account personale di Instagram, 2019)
71
2.4.4 Piano di digital marketing
Un piano di marketing digitale è un documento strategico che, a partire da un’analisi della
situazione corrente di un’azienda, fissa alcuni obiettivi di medio-lungo periodo da
raggiungere tramite gli strumenti del web. Gli obiettivi devono discendere da una più alta
strategia aziendale. Si formalizzano inoltre i responsabili di ciascuna attività, il time frame
e gli strumenti di controllo e monitoraggio. Molte sono le analogie con il piano di
marketing convenzionale, ma la differenza più caratterizzante è la flessibilità di quello
digitale. La flessibilità è infatti un requisito imprescindibile data la volubilità del web40
che con i suoi cambiamenti può stravolgere e rendere inefficace il piano.
Riguardo alla struttura del piano, non esiste il modello per eccellenza, si trovano
piuttosto delle linee guida capaci di indirizzare verso la stesura di un piano che risulti
ottimale. Una delle varianti è la costituzione di un piano di quattro fasi.
La prima fase è analitica in cui si mira ad ottenere conoscenza della propria identità
aziendale e dell’ambiente esterno:
mission, vision, value proposition
analisi SWOT, generale e online;
analisi dei competitors online;
ricerche di mercato online;
brand reputation;
analisi dei comportamenti di ricerca;
mappatura degli influencers online.
Segue la fase strategica in cui è necessario definire elementi importanti, ovvero:
obiettivi che siano misurabili, realistici, specifici, concordati, assegnati a
qualcuno, temporali e flessibili (Piñeiro-Otero e Martínez-Rolán, 2016; Per
essere adeguati gli obiettivi devono essere
target;
40 Un caso emblematico è la dichiarazione risalente a novembre del 2018 del CEO dei social network Marc
Zuckerberg. Come riportato maggiori testate nazionali e internazionali Zuckerberg sbalordiva tutti
esordendo con: “Sì, ho pensato di chiudere Facebook”.
72
strategia generale;
posizionamento.
Nella terza fase, quella operativa in cui ci si addentra nella strategia generale per
l’esplicitazione di concrete tattiche:
media selection;
azioni principali.
Nella quarta e ultima fase avviene il monitoraggio, ovvero la definizione dei Key
Performance Indicators (KPIs) rilevanti che offrono un benchmark in cui inquadrare
l’andamento dei risultati rispetto agli obiettivi.
2.5 Il Social Media Marketing
2.5.1 Introduzione al Social Media Marketing
Riprendendo quanto spiegato nel paragrafo precedente, il social media marketing (SMM),
è uno degli ambiti del digital marketing e di seguito se ne propone un approfondimento,
coerentemente con lo scopo della trattazione. In particolare, l’obiettivo è quello di
rappresentare le nuove opportunità che i social media stanno offrendo alle imprese e alle
loro strategie di marketing.
Come ribadito anche da Zimmerman e Sahlin (2010), il social media marketing è
un nuovo potente strumento che esce dagli schemi dei media tradizionali, ma tutto quello
che si conosce del marketing è ancora valido. Si tratta di una nuova tecnica per
raggiungere obiettivi già noti per chi si occupa di marketing, non di un nuovo mondo.
I social media rappresentano uno strumento ideale per materializzare un incontro
duraturo tra domanda e offerta nel mercato, facendo leva sulle nuove potenzialità offerte
dalle tecnologie. Tutto ciò ha da subito affascinato e catturato l’attenzione dei marketers,
trattandosi anche di un canale relativamente facile da usare e senza barriere all’ingresso
Michaelidou et al. (2011). L’intuizione è stata quella di sfruttare i social media, frutto
del Web 2.0, imparando a cogliere le opportunità in essi insite, ossia l’interazione tra
utenti e l’azienda e la potenzialità di raggiungere un pubblico vastissimo a costi minimi.
Questo nuovo strumento mette in luce quanto il potere si stia spostando verso il
73
consumatore che può influenzare la percezione di un marchio e le decisioni di acquisto di
altri utenti attraverso tali media online come LinkedIn, Facebook, Twitter e blog (Rotella,
2010).
Dietro al fascino di questa nuova disciplina si cela anche un mondo di incertezza,
velocità e imprevedibilità, dove si susseguono tendenze di cui è difficile stabilire a priori
la durata effettiva e quindi le strategie in merito sono sempre accompagnate da un certo
livello di rischio. Basti pensare, ad esempio, alle implicazioni economico-sociali delle
dichiarazioni di Zuckerberg, citate nei paragrafi precedenti, che ammetteva apertamente
di aver pensato di chiudere Facebook.
Quanto detto sulle competenze necessarie di digital marketing, va ancora di più
rimarcato in questo contesto. Per elevare i social media da piattaforme di svago e
passatempo per gli utenti a strumento di marketing, occorre munirsi di conoscenze e
competenze adeguate. Il social media marketing non va quindi sottovalutato, occorrono
persone con talento e conoscenze affinché tale strumento effettivamente concorra
positivamente al raggiungimento degli obiettivi aziendali. È solo in questo modo che i
manager potranno apprezzare il valore e il potenziale del social media, che in molti casi
sono oggetto di pregiudizio, considerati solo elemento di distrazione per i lavoratori con
influenze negative sulla loro produttività.
Oltre alle piattaforme e agli strumenti di social media, c’è bisogno di una
comprensione del processo di social media marketing che include il targeting del
pubblico, la definizione ed esecuzione della strategia, la gestione dei contenuti, il
monitoraggio e analisi dei risultati. In più, in questo ambiente spicca anche il requisito
della capacità di lavoro di squadra in quanto l’essenza dell’attività del digital marketer
richiede il coinvolgimento e la collaborazione con gran parte delle altre funzioni
aziendali, oltre che con un eventuale media team (Altimeter, 2011; Rangan, 2012 in
Atwong, 2015)41.
Un recente sondaggio del settore ha segnalato una carenza di talenti disponibili
nelle aree di marketing che coinvolgono social media marketing (Atwong, 2015)42. Si è
41 Atwong C.T., (2015) “A social media practicum: an action-learning approach to social media marketing
and analytics”, Marketing Education Review, 25:1, pp. 27–31, DOI: 10.1080/10528008.2015.999578
Questo è riconfermato ad esempio nell’intervista alla social media manager di Moretti SpA presente in
appendice A.
74
generata infatti nel mercato delle aziende una domanda di talenti esperti capaci di
generare valore aggiunto per le imprese a partire proprio dai social media, e più in
generale dagli strumenti del digital marketing. Per soddisfare queste richieste negli anni
più recenti sono così sorti in tutto il mondo corsi online o tradizionali, per cercare di
sistematizzare e offrire una formazione in questa disciplina in continua evoluzione. Tra
le piattaforme virtuali più famose a livello mondiale vi è l’Online Marketing
Institute,43che offre, dietro corrispettivo economico, lezioni online sotto forma di video
di breve durata suddivisi per tematiche. Dal lato invece dei corsi universitari, si segnala
l’esempio dell’Università degli Studi di Verona che a partire dall’anno accademico
2017/2018 ha introdotto l’insegnamento di Digital Business & Web Marketing con
l’obiettivo di avvicinare gli studenti del corso di Marketing e Comunicazione d’Impresa
ai temi della digitalizzazione dei processi e delle attività di impresa, con un focus sulle
ripercussioni che la rete sta avendo nel marketing44.
2.5.2 I social media del Social Media Marketing
Spesso nell’uso comune si tende erroneamente a usare le espressioni “Social Media” e
“Social Network” come intercambiabili. I social network, però, sono solo una delle
categorie che compongono il vasto universo dei social media. Pertanto si ritiene
opportuno proporre una classificazione per fare chiarezza su quello che effettivamente si
intende per social media e come si raggruppano i diversi social al suo interno. Prima di
procedere sono d’obbligo alcune precisazioni. In primis, i confini fra essi non sono così
netti, in quanto le contaminazioni sono molto frequenti e gli aggiornamenti degli stessi
sono all’ordine del giorno. In secondo luogo, per quanto la globalizzazione abbia
determinato la diffusione dei social in tutto il mondo, permangono delle specificità che
variano da nazione a nazione, per motivazioni politiche piuttosto che socio-culturali che
hanno favorito il successo di certi social a scapito di altri. Negli ultimi anni molte sono
state le classificazioni di social media proposte da vari autori, tra le tante si propone quella
di Zimmerman e Sahlin (2010):
43 https://www.onlinemarketinginstitute.org/ (ultimo accesso: 09/02/2019) 44 https://www.univr.it/it/ (ultimo accesso: 10/02/2019)
75
Blog
Servizi di Social Network
Social Network completi: Facebook e My Space
Social Network per messaggi brevi: Twitter e Plurk
Social Network Professionali
Altri Social Network
Social Media per la condivisione di:
Video: YouTube, Vimeo, Ustrema
Foto: Flickr, Photobucket, Picasa
Audio: Podcast Alley, Blogtalk radio
Social media per servizi di informazione
Servizi di geolocalizzazione e incontri
Servizi di community building
Siti di community building
Wikis
Piattaforme di recensione
Sono molto comuni anche classificazioni che sfruttano l’uso di infografiche, un
esempio è il Social Media Prisma, giunto ormai alla sua quinta versione 2017-2018
(Figura 14) elaborata dalla società tedesca di social media marketing Ethority45.
45 https://ethority.de/en/social-media-prism/ (ultimo accesso: 19/02/2019)
76
Figura 14 Conversation in Social Media, version 5.0. (Ethority, 2018)
Fatta questa premessa su quanto effettivamente sia ampio e vario il mondo dei
social media, va da sé che ogni azienda dovrà compiere una scelta su quale sia il suo mix
più appropriato su cui concentrare strategicamente le proprie risorse che si sa essere
limitate. Tale combinazione dovrebbe essere ragionevolmente intesa come flessibile,
tenendo presente la continua e rapida evoluzione della tecnologia e delle preferenze dei
propri interlocutori.
Osservando il panorama delle imprese, le categorie social più comunemente usate
dalle imprese sono la categoria di blog e social network, e in particolare il social Facebook
e il microblog Twitter (Chan e Guillet, 2011; Enli e Skorgerbo, 2013 in Alves et al.,
2016).
77
I blog, abbreviazione di web log, sono una sorta un diario online in cui una persona
ricopre il ruolo di gestore della pagina. La caratteristica peculiare è che i contenuti,
proposti sotto forma di post in ordine cronologico inverso, possono non solo essere
visualizzati ma i visitatori hanno anche la facoltà di esprimere il proprio pensiero
lasciando un commento. Per rimanere sempre aggiornati sui propri blog preferiti è inoltre
prevista l’iscrizione agli stessi.
Invece, un social network è uno spazio virtuale che consente agli utenti di costruire
un profilo privato, semipubblico, o pubblico e di interagire con una propria rete di contatti.
Osservando le dinamiche al suo interno, si palesa come la natura e la definizione delle
relazioni nell’ambito della rete sociale di utenti siano molto vari. L’evoluzione dei social
network nel tempo ha mostrato che, accanto alla crescita e allo sviluppo di social network
generalisti, ovvero aperti e rivolti a un pubblico potenziale di utenti ampia e
indifferenziata, in parallelo hanno trovato via via spazio anche servizi di tipo verticale
rivolti a gruppi predefiniti di audience. Il caso per eccellenza è LinkedIn, notoriamente
conosciuto come social network professionale. L’altro dato evidente è che, grazie
all’insieme degli strumenti e delle funzionalità sociali reso disponibile attraverso la
singola piattaforma, specie se di tipo generalista, il social network assume sempre di più
le caratteristiche di servizio web di tipo orizzontale, volto a soddisfare numerose e
differenti esigenze di navigazione dell’utente, arrivando a rappresentare, pertanto, il
principale ingresso al web per una quota sempre maggiore di soggetti.
Si approfondiscono quindi i principali social network e piattaforme di micro-
blogging più diffusi nel mondo business46.
Facebook, grazie al suo bacino d’utenza e alle cifre che ruotano attorno ad esso, è senza
dubbio il social network per eccellenza. I dati sulla sua diffusione47 lo proclamano, ancora
nel 2018, come il social più diffuso sia nel territorio nazionale che nel mondo. Questa
piattaforma di social networking raccoglie infatti oltre 2 miliardi di utenti attivi in tutto
46 Si veda il paragrafo “2.2.6 L’utilizzo dei social media nelle imprese italiane” in cui si discute in maniera
più puntuale sui dati della effettiva diffusione dei social media in Italia. 47 Si veda il paragrafo successivo che offre informazioni più complete sulla diffusione dei social media in
Italia e nel mondo.
78
il mondo48, e confrontando il dato con la popolazione mondiale, è facile intuire come la
porzione degli utilizzatori raggiunga una percentuale molto elevata. Gli utenti registrati
dispongono di un profilo personale in cui si crea una sorta di diario cronologico
accessibile ai propri amici, o all’intera comunità, con contenuti di vario genere inseriti o
condivisi dal soggetto. Il meccanismo è basato sull’invito ad altri utenti a diventare loro
"amici" e, una volta che una richiesta di amicizia è accettata, si diventa parte della rete
dell'utente. Gli amici possono scambiarsi messaggi privati, taggarsi nei post o scrivere
sulla bacheca dell’altro. È prevista inoltre una chat integrata (Messenger) che è di recente
diventata anche un’entità autonoma, in cui colloquiare privatamente con un amico o
gruppi di amici. In aggiunta, c’è la possibilità di unirsi ai “gruppi” organizzati per città,
luogo di lavoro, scuola, passione o altro.
Oltre alle persone, negli ultimi anni il trend è quello che vede la propria bacheca
popolarsi di sempre più pagine aziendali che lo hanno introdotto nel proprio
communication mix. Non si poteva infatti rimanere indifferenti a dati tanto elevati
generati da questo potente mezzo ed è così che la community di Facebook si è
gradualmente popolata di pagine aziendali, attirando non solo i grandi business ma anche
le piccole realtà.
YouTube
YouTube è una piattaforma di condivisione video gratuito fondato nel 2005 e dal 2006
proprietà di Google, che è diventato uno dei siti più popolari nel mondo. È prevista una
registrazione di un account che offre la possibilità di caricare e condividere un numero
illimitato di video. Questi account sono chiamati "canali" e possono essere marchiati per
incorporare il logo e i colori dell'utente. Inoltre, anche per poter usufruire delle
funzionalità di mettere “mi piace” e di commentare i contenuti presenti è richiesta
l’iscrizione, basta invece una semplice connessione ad Internet se l’utente intende
solamente visualizzare i contenuti già caricati da altri. I video possono essere riprodotti
sul sito web di YouTube o incorporati direttamente in un altro sito come può essere quello
di un'organizzazione. Quindi YouTube può essere considerato un servizio di hosting e
streaming video gratuito. Il suo successo mondiale è anche testimoniato anche da alcuni
48https://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/08/15/la-mappa-delle-social-app-whatsapp-batte-facebook/
(ultimo accesso: 20/02/2019)
79
numeri: oltre un miliardo di iscritti e altrettante sono le visualizzazioni giornaliere di
video sul canale.
Questi numeri straordinari non hanno lasciato indifferente il mondo business, che a
partire dalla creazione di un proprio canale ha reso questo social uno strumento
potentissimo di business. Le opportunità offerte spaziano vari ambiti, dalla brand
awareness, alla promozione di eventi, prodotti e servizi, all’attività di customer care e
post-vendita a obiettivi di gestione del training di clienti, dipendenti o partner.
Fondato nel 2003, LinkedIn è oggi un sito di social networking business-oriented
principalmente utilizzato per professionisti con una logica di networking, originariamente
pensato per trovare lavoro in maniera semplice e creare connessioni. Gli utenti registrati
costruiscono la loro rete di contatti con persone che conoscono e/o che stimano
nell’ambito business, inviando o a loro volta accettando le richieste di "connessione"49.
Gli utenti registrati possono presentare informazioni sul loro stato attuale, posizione
attuale, posizioni passate, e l'educazione nel loro profilo. Le persone usano LinkedIn per
trovare lavoro, persone e opportunità di lavoro consigliate da chi è nella loro rete. I datori
di lavoro possono elencare lavori e cercare candidati mentre chi invece è in cerca di lavoro
può visitare il profilo dei responsabili delle assunzioni e potenziali datori di lavoro per
crearsi un’opinione sull’ambiente lavorativo. In generale, i professionisti usano LinkedIn
per rimanere in contatto con le proprie fonti di riferimento nell’ambiente business. Ad
oggi, sono più di 562 milioni gli iscritti a livello mondiale, di cui 11 milioni solo in Italia
(Il Sole 24 ORE, 2018)50.
Twitter è un social media che rientra nella categoria dei micro-blogging, creato nel 2006
dalla Obvious Corporation di San Francisco, e divenuto molto popolare grazie soprattutto
alla sua facilità di utilizzo. In questo spazio virtuale viene consentito agli utenti registrati
di inviare e leggere brevi messaggi, meglio conosciuti come tweet. I tweet sono quindi
49 Kerin A.R., Rudelius W., Hartly W.S., Pellegrini., Marketing, McGraw Hill, 2014 50 https://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2018-05-03/linkedin-compie-15-anni-e-italia-e-terza-piu-
grande-community-workers-40-d-europa-154416.shtml?uuid=AEnUtMiE&refresh_ce=1 (ultimo accesso:
10/02/2019)
80
post esclusivamente testuali contenenti fino a 140 caratteri, visualizzati sul profilo del
mittente pagina e consegnati ai seguaci del mittente che sono noti come follower. Gli
utenti registrati possono inviare e ricevere questi tweet tramite il sito Web Twitter, Short
Message Service o applicazioni esterne (ad esempio, TweetDeck o Twhirl). Twitter ha la
straordinaria capacità per un social media di indicizzare in maniera immediata qualsiasi
contenuto pubblicato nella sua piattaforma grazie all’uso degli hashtag, configurandosi
così come un perfetto motore di ricerca per rimanere aggiornati su quanto accade nel
mondo.
Alcune aziende hanno quindi integrato Twitter nella propria strategia avendo
imparato ad apprezzare e sfruttare le sue peculiarità. Gli obiettivi sono dei più vari,
dall’invio di messaggi sulle loro ultime notizie, eventi imminenti, articoli, scadenze,
consigli tecnici puntando all’instaurazione di un dialogo con i propri clienti. È possibile
incorporare i tweet recenti direttamente sul proprio sito web, rendendo possibile l’offerta
tempestiva di contenuti associati a Twitter e conferendo così dinamicità ad un sito che
poteva essere generalmente più statico.
Per quanto riguarda la sostenibilità economica di questi servizi, sin dal principio il
modello di business scelto per i social network è stato caratterizzato, similarmente agli
altri servizi web di tipo orizzontale, dalla valorizzazione dei contatti in termini
pubblicitari a fronte di un servizio completamente gratuito (o quasi) per gli utenti.
Dall’altro lato sono previsti una serie di servizi a pagamento nell’utilizzo dei social media
nell’ambito business.
2.5.3 La diffusione dei social network in Italia e nel mondo
Come emerge anche nel grafico sottostante (Grafico 3), nell’ultimo anno Facebook (66%)
conferma indiscusso il suo dominio a livello globale, sulle altre piattaforme social. A
seguire si trovano Pinterest, Twitter, YouTube, Instagram e Reddit51.
51 Reddit, definito come “The front page of the Internet”, è nato nel 2005 e rappresenta una grande
community virtuale in cui gli utenti pubblicano contenuti che vengono valutati dagli altri utenti in maniera
del tutto libera. I contenuti con più voti positivi si posizionano in testa alla home page secondo una logica
di pieno potere alla community. Questo social è molto popolare negli Stati Uniti.
81
Grafico 3 La proporzione dell'utilizzo dei social network nel mondo da gennaio 2018 a gennaio 2019.
(StatCounter, ultimo accesso: 01/02/2019)
Secondo i dati Alexa (2018) (Tabella 2) che riporta informazioni sul numero di
utenti, Facebook primeggia superando la soglia dei due miliardi di utenti mensili, diffuso
in oltre il 90% dei territori del pianeta. Da questa fonte si ritrovano altri due social network
cinesi: Qzone con 568 milioni di utenti e Weibo, un sito di microblogging, quasi un ibrido
fra Facebook e Twitter, con 376 milioni di utenti. Infine, fra i 200 e i 300 milioni di utenti,
si collocano Twitter, Google+, Snapchat e Pinterest. Chiude l’elenco LinkedIn, che risulta
comunque essere il più diffuso social network professionale con circa 106 milioni di
utenti.
82
Traslando l’attenzione solo sull’Italia, si riportano nella tabella sottostante (Tabella
3) i livelli di diffusione dei social network per dispositivi di connessione ed effettuando
anche delle comparazioni tra i dati nazionali a quelli globali.
Social
Network
Desktop Mobile Tablet Totale
Italia Mondo Italia Mondo Italia Mondo Italia Mondo
Facebook 53,0 47,4 75,2 72,5 50,6 44,4 70,3 65,9
Twitter 13,9 16,3 3,3 7,3 6,4 6,5 5,2 9,1
YouTube 12,8 8,3 2.1 2,9 1,6 1,7 3,9 4,0
Tumblr 7,4 2,7 0,42 0,0 1,6 0,7 1,7 0,0
6,0 6,4 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 1,4
Pinterest 2,6 16,8 14,8 14,2 37,9 45,8 13,8 16,4
Instagram 0,0 0,0 3,6 2,1 0,0 0,0 3,0 1,7
Tabella 3 Diffusione dei social media in Italia e nel mondo secondo il criterio dei device utlizzati. (Rielaborazione
personale da dati Statcounter. ultimo accesso: 09/02/2019)
Emerge anche qui come Facebook si distacchi nettamente dagli altri servizi in Italia
e nel mondo. La sua diffusione in Italia risulta essere di circa 4 punti più alta di quella
mondiale. Quest’ultimo dato si spiega principalmente in termini di accesso da desktop e
tablet, mentre la diffusione per accesso da dispositivo mobile risulta quasi allineata a
Tabella 2 Numero medio di utenti attivi nel mese, su scala globale, per social network.
(Elaborazione FUB su dati Alexa, 2018)
83
quella mondiale. Il Paese presenta diffusioni più alte alla media mondiale anche per altri
due social: più di un punto percentuale per Instagram che si dimostra essere usato
esclusivamente tramite dispositivo mobile riportando valori praticamente nulli per gli altri
device a prescindere dalla posizione geografica; analogamente per Tumbrl, l’Italia si
presenta a più di un punto sopra il livello mondiale ma con una situazione inversa rispetto
a Instagram, ovvero con valori superiori di diffusione per desktop e tablet rispetto al
mobile. YouTube è il social in cui si constata una situazione allineata tra Italia e mondo
circa il livello di diffusione generale e i device tramite cui gli utenti prediligono il suo
utilizzo, ovvero nell’ordine desktop, tablet e in ultimo il mobile. Gli altri social network
considerati, ovvero Twitter, Reddit e Pinterest presentano in Italia livelli di diffusione
totali inferiori alle medie mondiali.
Inoltre, il nostro paese presenta la specificità di avere livelli di accesso da desktop
sempre molto superiori rispetto a quello da mobile e da tablet, ad eccezione di Instagram
che è stato ideato quasi esclusivamente per i dispositivi mobili, e Pinterest.
2.5.4 Le strategie aziendali di Social Media Marketing
Per poter riuscire ad integrare efficacemente i social media nella strategia aziendale non
basta informarsi da fonti terze circa i trend generali e le caratteristiche tecniche. Per
diventare parte della comunità social, occorre cimentarsi in prima persona per capirne
preliminarmente la cultura e le dinamiche peculiari di ciascuna realtà, e solo
successivamente quindi iniziare a contribuire e poi trarre vantaggio dall'essere parte della
comunità.
Un passaggio obbligatorio è che un’azienda si chieda e identifichi bene innanzitutto gli
obiettivi da raggiungere. In base al budget, al know-know, al target di vendita e di
comunicazione, l’azienda, potrà optare per linee strategiche differenti di social media
marketing, nonché un percorso evolutivo:
Presidio. Si tratta del livello base, ovvero l’esigenza è quella di essere
semplicemente presenti con un account nei social media più coerenti in base
all’azienda, settore e obiettivi da raggiungere.
84
Ascolto e monitoraggio. L’ascolto è una fase cruciale, assieme al monitoraggio
continuo. Quest’attività è necessario per mappare cosa si dice in rete dell’azienda,
dei prodotti e servizi associati, o dei propri competitor. Con il tempo, l’idea è
quella di capire quali comportamenti siano ben accolti e quali invece siano da
evitare, quali siano le informazioni che interessano maggiormente i membri della
comunità52 e quali siano le modalità vincenti con cui veicolarle.
Partecipazione alle conversazioni. Questa attività può essere svolta anche in
contemporanea a quella dell’ascolto. È possibile attuarla ricorrendo tramite il
supporto alle conversazioni degli utenti, offrendo contributi utili agli stessi con
linguaggi consoni a quelli della community, rispondendo ai commenti oppure
attivando veri e propri servizi di customer care.
Strategia. Previa la comprensione del proprio posizionamento online e degli
obiettivi aziendali, si arriva alla fase di struttura di una vera e propria strategia. Si
potranno quindi mettere in atto le proprie strategie che possono ad esempio essere
di marketing virale, piuttosto che il ricorso a delle sponsorizzazioni. Ciò significa
contribuire alla comunità ad esempio promuovendo apertamente i propri prodotti
e servizi, il proprio brand o la cultura aziendale. Condivisione vuol dire anche
alimentare la comunità con informazioni non prettamente commerciali ma di cui
il target ne riconosce il valore, tenendo presente che la comunità non è fatta solo
di clienti o potenziali tali, ma racchiude una vasta platea di stakeholder a cui si
può avere interesse indirizzare precisi obiettivi.
Engagement e misurazione dei risultati. Ogni attività va misurata assegnando un
valore più o meno attendibile alla voce ROI del piano di business per evidenziare
i frutti e aggiustare eventualmente la propria strategia.
2.5.5 I possibili obiettivi dell’adozione del Social Media Marketing
È solo negli anni più recenti che gli studiosi hanno preso in esame il tema del social media
marketing facendo ricerche empiriche per porre le basi di una letteratura a riguardo e, allo
stesso tempo, fornire alcuni punti fermi a chi praticamente si cimenta direttamente con
52 Uno strumento utile in tal senso potrebbe essere Google Allert.
85
l’implementazione di un progetto di social media per un’azienda. Complici la relativa
novità del canale nell’area business e le difficoltà nell’identificare e rappresentare i
risultati ottenuti, manca la ricetta vincente della strategia perfetta, però quello che si può
senz’altro constatare è che non poche aziende stanno beneficiando sotto molteplici fronti
di questo strumento.
Alves et al (2016) 53 ha provveduto a sistematizzare lo stato attuale delle ricerche
svolte a livello globale evidenziando i benefici sino ad allora confermati, ovvero:
miglioramento dell’atteggiamento verso il brand (Kim e Ko, 2012; Kumar e
Mirchandani, 2012; Kumar et al., 2013);
lead generation;
alimentazione della word of mouth (Luo & Zhang, 2013; Yu et al., 2013);
incremento delle vendite (Kumar e Mirchandani, 2012);
maggiore durata e qualità delle relazioni;
generazione di maggiore traffico nel sito web.
A questo si aggiungono altri benefici emersi in un altro studio.54 Oltre a confermare che
indicare che la presenza sui social network può avere un ruolo importante nello sviluppo
delle relazioni e nell'aumento delle vendite, e del senso di appartenenza si fa notare che
quando le aziende promuovono l'azienda in modo creativo modo che consentiva ai
consumatori di interagire con i contenuti (fotografie, testi, concorsi, lotterie, promozioni
etc.), i consumatori erano più disponibili a impegnarsi con l'azienda e promuovere i loro
prodotti attraverso WOM.
Ricerche più recenti mettono invece in luce come i social possano giocare un ruolo
chiave per far raggiungere obiettivi aziendali concreti, come la riduzione dei costi del
servizio clienti, il monitoraggio della percezione del brand presso il pubblico di
riferimento, la capacità di attrarre i talenti e le risorse migliori.
53 Alves H., Fernandes C., Raposo M., (2016) “Social Media Marketing: a literature review and
implications”, Psychology & Marketing, 33:12, pp. 1029–1038 54 Nobre H., Silva., (2016) “Social Network Marketing Strategy and SME Strategy Benefits”, Journal of
Transnational Management, 19:138–151, DOI: 10.1080/15475778.2014.904658
86
Per concludere, le potenzialità del social media marketing si apprezzano a pieno se
si supera la miopia della focalizzazione vendite, e se invece si cominciano a osservare
opportunità e risvolti anche verso gli altri stakeholder aziendali.
2.5.6 Il monitoraggio dei risultati
La fase della misurazione dei risultati del social media marketing è un passaggio molto
delicato e controverso. Se un’azienda ha dedicato parte delle sue risorse investendo in
questa strategia, si aspetta di averne un ritorno, altrimenti senza risultati concreti è facile
che ridimensioni o cancelli dal tutto questa voce dal budget. Oltre a dimostrare l’impatto
sul business, misurare i risultati è determinante anche per i responsabili di marketing per
far trasparire quello che funziona e quello che invece non porta valore e quindi necessita
di un cambio di tattica. La misurazione dei risultati rimane comunque un nervo scoperto
perché se è vero che il trend è quello di un aumento delle risorse impiegate in questa
disciplina, sono pochi gli addetti ai lavori che riescono a dimostrare i risultati ottenuti in
termini quantitativi.
Lo strumento tipico del mondo economico in questo senso è il calcolo del ROI,
dove molto semplicemente si rapportano gli investimenti effettuati con il ritorno
economico ottenuto. Nei social media marketing tuttavia non si può pensare di applicare
questa formula così com’è, in quanto sarebbe riduttivo e poco rappresentativo della realtà.
Occorre infatti fare alcune importanti considerazioni.
“Se il marketing tradizionale riguarda la velocità, i social media riguardano
l'accelerazione.” Prendendo a prestito questi concetti fisici, Rotella (2011) intende
esprimere la differenza in merito alla misurazione dei risultati delle due strategie.
Nell’ambito del marketing tradizionale si misura in un certo istante di tempo, ad esempio,
quante persone hanno ricevuto il messaggio espresso su degli opuscoli, facendo una stima
sul numero di opuscoli effettivamente distribuiti. Al contrario, le metriche dei social
media considerano che la diffusione e condivisione del messaggio cresca nel tempo. Ad
esempio, un "tweet" esposto a 400 follower potrebbe avere molto maggiore e raggiungere
addirittura migliaia di utenti, grazie al meccanismo del retweet, o in generale la
condivisione del contenuto
In secondo luogo non bisogna trascurare il principio che il ROI è una metrica di
business che deve sempre essere correlata ad un obiettivo di business che sia specifico.
87
Occorre quindi calarsi nei singoli social e dentro ciascuno di essi fissare e misurare
specifici obiettivi.
Infine, non esiste una formula univoca che possa racchiudere e rappresentare il
valore complessivamente generato. Uno dei motivi è che per valore non si intende solo
quello monetario, ma si spazia in termini di qualità delle relazioni, awareness, risparmio
dei costi di customer service, piuttosto che l’impatto sulla reputazione. Con il maturare
della disciplina nel tempo, le aziende stanno cominciando a riconsiderare le metriche
analizzate e a capire che misurare il ROI con la classica formula economica porti
all’evidenza solo una parte del valore generato dai social55.
Nonostante la complessità, rimane comunque indispensabile prevedere nella
propria strategia un tempo, coerente con altri elementi, in cui andare a verificare in termini
numerici i benefici prodotti dalla strategia sui social media (Zimmerman e Sahlin, 2010).
2.5.7 Il Social Media Marketing e le aziende italiane
L'uso dei social media nel business è ancora limitato e ha avuto più successo in alcuni
settori piuttosto che altri. In comparti come ad esempio quello della salute o il mondo
business to business, lo scetticismo è di gran lunga maggiore (Alves et al., 2016).
L’Eurostat ha rilevato che nel 2017 un’impresa europea su due usa i social media,
più precisamente il 47%. Già solo nel 2013, il dato era nettamente inferiore, ad avere una
pagina social erano infatti solo una su tre. I social network più utilizzati sono piattaforme
come Facebook o LinkedIn. Lo scorso anno le ha utilizzate il 45% delle aziende europee.
Sempre nell’ambito di questa indagine, emergono anche dati sulla situazione dell’Italia
nello specifico. Il caso italiano è allineato con quello europeo, con il 44% delle imprese
italiane con una propria pagina social. Anche qui è Facebook a primeggiare, a seguire
YouTube e Twitter (Grafico 4).
55 Report annuale Hootsuite sui trend dei social media a livello globale “I trend dei social media nel 2018”
88
Grafico 4 L'utilizzo dei social media da parte delle aziende italiane.
(Il Sole 24 ORE. Ultimo accesso: 03/02/2019)
Inoltre dal censimento Istat del 2011 delle imprese è che l’11,6% delle
microimprese è presente sul web utilizzando almeno un social media tra i più diffusi
(social network, blog aziendali, o wiki). Sono soprattutto le imprese attività nella ricerca,
selezione e fornitura di personale ad utilizzare questi strumenti (47%), seguite da quelle
che svolgono attività di programmazione e trasmissione (42,1%) e dalle agenzie di
viaggio (41,8%). Le principali motivazioni per le quali le microimprese utilizzano i social
media sono relative al miglioramento dell’immagine aziendale (34,1%), alla
collaborazione con altre imprese od organizzazioni (29,4%) e all’interazione con la
clientela (15,9%). Inoltre, un dato interessante è che la propensione all’utilizzo di
strumenti “social” è maggiore tra le microimprese attive nei mercati internazionali.
89
È da Barometro Hootsuite (2018)56che si rinvengono invece dati più attuali che
fotografano il rapporto aziende italiane e social media. Il quadro che emerge è quello di
una generale fiducia, come confermato da un 86% degli intervistati che reputa la presenza
sui social media sia ormai un requisito fondamentale per essere competitivi sul mercato.
La percezione che la presenza online non sia considerata una moda passeggera è segnalata
dal 70% degli intervistati che prevede anche di incrementare l’utilizzo dei social nell’anno
successo mesi, e già il 65% ha registrato già un aumento rispetto all’anno precedente.
Inoltre, a dimostrazione che lo spettro dei social media utilizzati sia sempre più ampio si
evidenzia come il 47% delle aziende dichiari di disporre almeno quattro profili social
attivi e il 43% ne ha almeno uno (da 1 a 3). Fra tutti spicca l’adozione di Facebook, che
sfiora il 99%, il secondo posto è ricoperto da Instagram con un 77% e a seguire con un
distacco più ampio si posizionano Twitter e LinkedIn con un 63%.
Per quello che riguarda invece la gestione emerge come ci sia una netta tendenza e
preferenza ad affidare il social media marketing a risorse interne all’azienda con una
media di 1,5 persone dedicate.
Venendo invece alle motivazioni concrete che spingono verso tale strategia,
spiccano i concetti di brand reputation e brand awareness. Se fino a qui la situazione è
allineata a quella degli altri paesi che hanno preso parte all’indagine, è invece
nell’obiettivo dell’aumento delle conversioni e delle vendite che il Paese si distingue. Per
gli altri paesi, infatti, prevale l’obiettivo della creazione di una community e quindi di
engagement su quello delle vendite. In questo senso sono solo però il 16% che
rispettivamente hanno adottato il Social Selling e il Social Commerce, contro invece un
46% degli intervistati che utilizza i social media per ottenere insight sui clienti o i
potenziali clienti. Infine, si intravedono anche indizi di come i social media stiano
collaborando per supportare altre funzioni aziendali, quali il customer service e il
recruitment.
56 Si tratta di un sondaggio che racchiude le risposte di più di 9 mila aziende di 19 paesi per raccogliere
informazioni da parte dei responsabili o comunque chiunque abbia a che fare con la strategia e la gestione
dei social media. La ricerca si è svolta da febbraio a maggio 2018 e ha avuto come oggetto sia aziende
business to business che business to consumer.
90
91
CAPITOLO 3
IL SETTORE B2B E IL SOCIAL MEDIA MARKETING
3.1 Il Social Media Marketing: un approccio prevalentemente B2C
Le considerazioni finora condotte sull’uso dei social media da parte delle aziende non
contenevano alcuna distinzione di queste ultime, se non qualche accenno alle loro
dimensioni. Le imprese, però, come spiegato nel primo capitolo, non sono tutte uguali per
tanti aspetti e uno dei più significativi è la distinzione tra business to business (B2B),
business to consumer (B2C) oltre ai modelli misti e le B2B2C. L’obiettivo che ci si pone
è quindi quello di focalizzarsi sul rapporto tra social media e organizzazioni B2B,
illustrando se e quanto la letteratura ha fatto emergere a riguardo.
“Sarebbero da escludere, o sarebbe poco profittevole avere una Fan Page, per le aziende
che normalmente non lavorano con il pubblico e/o che generalmente vivono di B2B.” 57
Il punto di partenza è questa citazione estrapolata da una tesi di laurea, discussa
abbastanza di recente, in cui si mostra scetticismo sul connubio social media e settore
business to business.
L’intenzione è quindi quella di capire quanto ci sia di vero, se questa sia la linea di
pensiero più diffusa e, laddove non lo fosse, come si coniugano questi due mondi sia nella
pratica che nella letteratura.
È un dato di fatto che la ricerca in tema di social media marketing sia tutt’ora
dominata da una prospettiva di interazioni business to consumer. Il fenomeno dell’uso
57 Citazione da Jacopo Tarantini, Università degli Studi di Bologna, Tesi di laurea magistrale in Scienze
di Internet, L’utilizzo del Social Media Marketing nell’ambito della strategia aziendale, 2011-2012
92
delle piattaforme di social media come leva di marketing è stato in principio guidato dalla
capacità di raggiungere una platea dell’ordine di milioni di consumatori con contenuti
legati al brand col fine di creare engagement. Se si richiamano alla mente le peculiarità
del settore B2B, quali la presenza di pochi e importanti clienti, è facile intuire come queste
potenzialità apprezzate dal mondo consumer, non abbiano invece destato particolare
attenzione in questo contesto.
Gli studi circa il connubio B2B e social media sono ad uno stadio primordiale e
quindi lacunosi, come dimostrano anche le citazioni piuttosto recenti che seguono:
Nevertheless, research on the adoption and use of social media
in B2B settings is still in its infancy (Siamagka et al., 2015; Pomirleanu et al., 2013;
Michaelidou et al., 2011), and more studies on the use of social media in the B2B
context are
necessary (…) (Pascucci et al., 2018)”.
“However, despite the existing body of literature on the adoption of social media in
B2C, research on the adoption of this new technology in the B2B sector is still in its
infancy (Lashgari et al., 2018).”
“However, the extent to which this theory is applicable to other business model
domains such as B2B, Mixed B2C/B2B and B2B2C domains is relatively under-
researched (Swani et al., 2017).”
“Despite the emergence of studies that examine the use of SMM techniques by B2B
organizations, our understanding of this important area is comparatively limited (Itani,
Agnihotri, Dingus, 2017; Salo, 2017; Siamagka, Christodoulides, Michaelidou, Valvi,
2015).”
“Despite their increasing relevance and perceived value in B2B (e-Marketer, 2013)
research on the adoption and use of social media channels by B2B organizations is still
in its embryonic stage, with only a handful of studies exploring the marketing potential
of social media in industrial settings (Siamagka, 2015).”
93
“However, the studies related to social media in B2B are exremely limited (Keinanen e
Kuvalainen, 2015)”
I pochi dati disponibili segnalano che sono in aumento le imprese B2B che si stanno
affacciando all’uso dei social media, ma resta ancora poco chiaro quanto questo uso sia
diffuso e, soprattutto, come i social media siano integrati e la percezione dell’importanza
di questo canale nella funzione marketing (Järvinen et al., 2012; Keinanen e Kuvalainen,
2015).
Molti sono i B2B manager convinti che i social media, in modo particolare i social
network, siano più adatti ad un contesto B2C poiché si rivolgono alle persone come
individui (Lashgari et al., 2018). Non è quindi raro imbattersi in un atteggiamento di
scetticismo tra i manager che reputano che la natura del settore poco si presti ad un canale
come quello dei social media e che quindi incapace di portare dei benefici.
3.2 Il ritardo del SMM nel B2B: uno sguardo alle motivazioni
Chi si è affacciato allo studio del mondo business to business si sarà sicuramente
imbattuto in una vasta letteratura circa l’importanza del mantenimento dei rapporti face-
to-face in questo settore di prodotti e servizi prevalentemente tecnici58. Il rapporto
interpersonale tra cliente e commerciale aziendale è quindi considerata la pietra portante
su cui poggia la gestione delle relazioni (Ford et al., 1998 in Huotari et al., 2015)59 e la
comunicazione di marketing (Kho, 2008 in Huotari et al., 2015).
È in questo concetto che risiede il fulcro della giustificazione che spiega il ritardo
nell’adozione dei social media, in quanto, appunto, il canale veicola una comunicazione
incentrata sullo schema many-to-many e mediata da un supporto tecnologico, e quindi a
prima vista poco adatto ad un mondo che punta tradizionalmente sulle relazioni high
58 Per un maggiore approfondimento si rimanda ai paragrafi “1.6.3 Le peculiarità del settore business to
business rispetto al settore business to consumer” e “1.9.3. Il ruolo della comunicazione nel settore
business to business”. 59 Huotari L, Ulkuniemi P., Saraniemi S., Mäläskä M, (2015) "Analysis of content creation in social media
by B2B companies", Journal of Business & Industrial Marketing, 30: 6, pp. 761-770,
https://doi.org/10.1108/JBIM-05-2013-0118
94
touch e one-to-one (Jarvinen, Tollinen, Karjaluoto, Jayawardhena, 2012 in Flanigan,
Obermier, 2016)60. Se l’opportunità di raggiungere un pubblico vastissimo ha generato
subito interesse nel business to consumer, lo scetticismo nel B2B nasce dal fatto che
solitamente i clienti delle imprese sono solitamente limitati e quindi viene meno questa
esigenza di uno strumento che permetta di raggiungerli tutti.
Kietzmann et al. (2011) ha anche identificato altri fattori che hanno fatto da freno
al fenomeno in questione. Oltre alle perplessità a livello manageriale, c’è anche
l’incapacità di strutturare una strategia, causata anche da una mancanza di risorse, sia
economiche che umane incentrate, da dedicare alla gestione del SMM.
Michaelidou et al. (2011) aggiunge ai fattori anche il mancato stimolo da parte del
settore, l’incertezza riguardo ai possibili benefici che si possono raggiungere e, in
generale, la mancata familiarità dei dirigenti con i social media.
Se a quanto detto si aggiungono delle generali considerazioni sui rischi della
presenza in internet, risulta facile comprendere le esitazioni ad entrare a farne parte. Le
principali implicazioni dello sviluppo delle comunicazioni di marketing sui canali online
sono l'interattività, la trasparenza e la memoria. Queste caratteristiche possono costituire
delle opportunità, ma allo stesso tempo assumere connotazioni negative e rappresentare
rischi e minacce trasformandosi in una barriera all’entrata.
Nel favorire l’uso delle piattaforme social non è stato di particolare incentivo
neanche il lato accademico, che si è dimostrato lento nell’orientare le imprese verso
questa nuova opportunità (Flanigan e Obernier, 2016). Infatti, la ricerca sull'integrazione
dei social media con altri canali di comunicazione di marketing non è ancora un tema
maturo e, quindi, non in grado di rassicurare e mitigare le incertezze da parte delle
organizzazioni circa l’utilizzo di questa tecnologia (Mangold e Faulds, 2009; Swani e
Brown, 2011; Lacka e Chong, 2016 in Lashgari et al., 2018). Una delle ragioni è che
alcuni studiosi sono tuttora convinti che i social media, in particolare i social network,
siano spazi virtuali adatti solo all’ambito economico B2C (Palmer and Koenig-Lewis,
2009 in Lashgari et al., 2018).
Sono queste le motivazioni che sostanzialmente si celano dietro ad un ritmo più
lento dell’adozione dei social media nel business to business.
60 Flanigan R.L., Obermier R.T., (2016) “An assessment of the use of social media in the industrial
distribution business-to-business market sector, The Journal of Technology Studies, pp. 18-28
95
3.3 Le determinanti dell’adozione del Social Media Marketing nel B2B
Dopo aver affrontato le ragioni di una generale diffidenza, c’è da dire anche che, negli
anni più recenti, si sono distinti anche ricercatori che hanno sottolineato l'importanza dei
social media per le aziende B2B. Addirittura, i social network sono considerati da alcuni
di essi un importante investimento per garantire la sopravvivenza dell'impresa (Lashgari
et al., 2018).
Spinti dalle evidenze che riconoscono un ruolo significativo anche in un contesto
B2B, gli studiosi hanno quindi intrapreso percorsi di ricerca facendo trasparire i social
media come mezzo per attrarre potenziali clienti e coltivare relazioni con quelli che lo
sono già. Tutto questo è coerente con la letteratura che rimarca il ruolo di gestione delle
relazioni dei social media (Siamagka, 2015).
Se è vero che non ci sono abbastanza dati sulla diffusione del SMM nel B2B,
Siamagka et al. (2015) ricerca se ci siano delle determinanti in grado di predire e spiegare
l’adozione dei social media in questo contesto. Nello specifico, si testa il modello TAM
(Technology Acceptance Model) sviluppato da Davis (1989) che ha riscosso grande
successo nella capacità predittiva dell’adozione delle nuove tecnologie. Il modello ha
trovato applicazione sia in territorio B2B che B2C circa la predizione di adozione di vari
strumenti tecnologici, come ad esempio lo shopping online. L’obiettivo era quindi quello
di verificare se le determinanti di questo modello erano confermate anche in merito al
connubio B2B e social media, e testare perciò la sua capacità predettiva anche in quel
contesto.
Gli assiomi del TAM, riferiti generalmente all’adozione delle tecnologie, sono i
seguenti:
la percezione dell’utilità dello strumento e della facilità di utilizzo hanno
impatto positivo sull’adozione della specifica tecnologia;
la percezione della facilità di utilizzo ha un impatto positivo sulla percezione
dell’utilità;
la dimostrabilità dei risultati e i risvolti in termini di immagine hanno un
impatto positivo sulla percezione dell’utilità;
la percezione di barriere ha un impatto negativo sulla percezione dell’utilità;
96
la propensione innovativa dell’azienda ha un impatto positivo
nell’adozione;
alti livelli di innovazione aziendale rafforzano il legame tra la percezione
dell’utilità e dell’adozione; la percezione della facilità di utilizzo e
l’adozione.
Alcune di queste affermazioni, calate nella situazione “aziende B2B e adozione dei
social media” , sono state confermate, altre invece non hanno trovato riscontro. In
particolare, è emerso che la percezione dell’utilità e il livello innovativo aziendale sono
le derminanti chiave nell’adozione dei social media, mentre invece la facilità d’uso dello
strumento è risultato irrilevante. La percezione dell’utilità, inoltre, è risultata influenzata
negativamente dalla percezione delle barriere, e invece positivamente dalla possibilità di
miglioramento d’immagine. Un altro fattore, che è risultato determinante, è la pressione
esercitata dagli stakeholder chiave quali buyers e concorrenti.
3.4 Il Social Media Marketing B2B e B2C: le differenze
Tra le questioni ancora poco esplorate c’è anche una domanda di fondo che, nella sua
semplicità, è tutt’altro che banale: il social media marketing B2B e B2C è davvero così
diverso? Se sì, in che cosa?
Iankova et al. (2018) si è posto questo interrogativo e, allo stato attuale, afferma
che la letteratura esistente si trova abbastanza concorde nell’affermare che l’uso dei social
media sia differente in campo business to business, e quindi necessiti di una base teorica
a sé stante, ma effettivamente sono poche le occasioni in cui queste differenze sono state
indagate e sistematizzate. Detto ciò, va precisato quanto parlare di una dicotomia tra B2B
e B2C sia troppo semplicistico perché i confini non sono così netti (Leek e Christodoules,
2011 in Iankova et al., 2018).
Si approfondiscono quindi le aree su cui sono state messe in luce le differenze tra
un approccio B2B e B2C al social media marketing.
97
Velocità di adozione della strategia di SMM
È un dato di fatto che le aziende B2C siano state molto più veloci nell'adottare i social
media come strumento strategico, mentre le imprese B2B spesso trovano difficoltà a
integrare le piattaforme social nel loro mix di marketing.
Obiettivi e strategie prefissati
Sebbene tra le potenzialità maggiormente apprezzate dal B2C dei social media
ci sia l’opportunità della gestione della relazione con i propri consumatori
(comunicazione many-to-many), il mondo business to business si focalizza
invece sui risvolti nelle vendite, key account management, gestione del rapporto
tra datori di lavoro e dipendenti (Iankova et al, 2018). La spiegazione di questa
diversità, come confermato anche da Jarvinen et al (2012), è da ricercare nelle
peculiarità del B2B61 in cui emerge una realtà di interazioni con i clienti fondata
tradizionalmente sul face-to-face. È per questo che il ruolo assunto dai social
media nella comunicazione è molto marginale.
Nelle organizzazioni B2B i social media sono usati con l’obiettivo di
incrementare il traffico sul sito web aziendale (attività di Search Engine
Optimization)62 e/o indirizzare gli utenti alle landing page, oltre che in una
logica di customer service e lead generation (Itani et al 2017; Swan et al 2014).
Se l’ambito B2B dei social media apprezza particolarmente la targettizazione
del pubblico, al contrario a quello B2C interessa raggiungere il più vasto
pubblico possibile (Moore et al., 2013), anche se un certo livello di
targettizzazione c’è sempre.
Le aziende business to business sfruttano i social media tendenzialmente nella
fase di acquisizione della clientela piuttosto che nelle successive fasi di
costruzione e mantenimento delle relazioni con i clienti.
61 Si veda il paragrafo “1.6.3 Le peculiarità del settore business to business rispetto al settore business to
consumer” che presenta nel dettaglio le caratterizzazioni del settore B2B. 62 Si veda il paragrafo “2.4.3 Gli strumenti del digital marketer” dove è stato spiegato meglio questo
strumento.
98
Preferenze di canale
Le aziende business to business hanno una preferenza per i social professionali come
LinkedIn, mentre le aziende business to consumer prediligono i social media generalisti
rivolti alla massa come Facebook (Moore, 2013).
Contenuto
Emergono anche differenze nel contenuto sia su Twitter che Facebook, nel senso che i
post delle imprese B2B contengono più link, informazioni di prodotto e contenuti
emozionali rispetto ad una strategia B2C (Swani, 2017).
3.5 Gli acquirenti business e l’uso dei social media
Come suggerisce il modello TAM precedentemente menzionato, i manager cominceranno
ad usare i social media se li percepiranno come utili, ovvero se i propri buyer si
dimostreranno interessati e se effettivamente considereranno di valore la strategia del
proprio fornitore sulle piattaforme online.
Da questo ragionamento nasce l’idea dei finlandesi Keinänen e Kuivalainen (2015)
di investigare quali siano i fattori che influiscono sull’uso dei social media da parte dei
buyer per scopi di business. Nello specifico, lo studio si propone di osservare le variabili
significative sia nell’ambito personale che organizzaztivo.
I risultati mostrano come l’uso per scopi di business dei social media sia più assiduo
da parte di chi ne fa un uso significativo anche nel privato, ovvero c’è una correlazione
positiva tra uso privato e uso per fini lavorativi.
Un’altra scoperta è che la cultura aziendale non risulta impattare l’utilizzo dei social
media da parte dei buyer.
Al contrario, il comportamento dei colleghi influenza l'uso di social media, nel
senso che se i propri colleghi sono soliti usare i social per scopi business, la persona sarà
più predisposta a seguirne l’esempio.
99
3.6 Le tipologie di B2B users
Le tipologie di users B2C sono stati largamente analizzati nella letteratura. Molte sono le
classificazioni e le etichette per identificarne le varie tipologie. Li e Bernoff (2008)
individuano sei gruppi di utenti in base a come partecipano ai social media: creators,
critics, collectors, joiners, spectactors e inactives.
Creators. Sono coloro che, assieme ai critics, sviluppano i contenuti nei social
media. Il ruolo attivo dei creators si esplicita nell’immissione di nuovi contenuti
del canale, siano essi elementi video, foto o testuali.
Critics. Il loro è un ruolo di reazione ai contenuti generati dai creators. Le
modalità di risposte possono essere varie, tra cui ad esempio l’espressione della
propria opinione tramite un commento.
Collectors. Il contenuto generato dai precedenti attori, affinchè sia fruibile in
maniera ottimale ha bisogno di essere riorganizzato ed è a questo che servono i
collectors. Per svolgere questa attività possono sfruttare, ad esempio, il potere
degli hashtag e dei tag.
Joiners. Chi aggiorna periodicamente il proprio profilo sui social media viene
identificato come joiner.
Spectators. Gli spectators sono i cosiddetti consumatori dei social media.
Inactives: Coloro che possiedono un profilo sui social media, ma di fatto i loro
accessi sono piuttosto rari.
Nonostante questi siano stati analizzati in una prospettiva B2C, specularmente si
possono ritrovare i medesimi ruoli nella controparte B2B.
Gli users di questi ultimi è interessante osservarli anche in una prospettiva di User
Generation Content (UGC), ovvero come potenziali creatori di contenuti. Huotari et al.
(2015) ha esaminato gli users B2B da questo punto di vista e ne è seguita la suddivisione
che qui proposta. Una prima discriminazione è tra gli users interni e quelli esterni rispetto
all’impresa.
Gli utenti interni sono tutti i soggetti che rientrano nel libro paga aziendale. Sono
quindi compresi i corporate users e gli employee users.
100
Corporate users. Il contenuto generato e diffuso viene percepito all’esterno
come proveniente dalla voce aziendale stessa senza che essa sia associata a
nessun dipendente in particolare. Solitamente dietro alla gestione di questo
flusso di comunicazione si cela la figura del responsabile marketing
dell’azienda, ma l’audience non sarà comunque in grado di identificarla.
Employee users. Gli users che oltre che per uso personale interagiscono sui
social media anche in qualità di dipendenti di un’azienda, possono diventare
brand ambassadors esercitando un livello di influenza più o meno alto sugli altri
utenti. Al fenomeno va prestata particolare attenzione sia per imparare a
sfruttarne le potenzialità sia, dall’altro lato, perché questo può comportare anche
dei rischi, specialmente se la voce del dipendente non è allineata con quella
aziendale.
Ne consegue che l’azienda potrà scegliere tra due alternative circa la creazione dei
contenuti da parte degli utenti interni. Decidendo di affidare il flusso di comunicazione
in uscita al solo marketing, si vedrà privata del supporto dei dipendenti ma faticherà meno
ad avere il controllo dei messaggi emessi; se invece dovesse decidere di lasciare la parola
anche ai dipendenti, occorrerà implementare delle sessioni volte a stimolare e indirizzare
il contributo online di precisi soggetti.
Gli utenti esterni sono invece tutti quelli che non rientrano nella categoria degli
interni, e sono, a loro volta, divisi in gruppi: corporate users, customer users, professional
user, civilian user.
Corporate users. Il contenuto generato e diffuso viene percepito all’esterno
come proveniente dalla voce aziendale stessa.
Customer users. Essi rappresentano la categoria degli acquirenti o dei potenziali
tali. Si tratta del target di marketing più strategico e per questo va anche
monitorata la presenza di influencer al suo interno.
Professional user. Questa categoria comprende gli stakeholder che
intrattengono relazioni professionali con l’azienda, ma non sono né clienti né
potenziali tali. Un esempio sono i consulenti.
101
Civilian users. C’è anche una fetta di pubblico che interagisce con i social media
aziendali come individui senza quindi essere legati professionalmente
all’azienda.
Si percepisce come la platea degli stakeholder rilevanti anche in ambito di social
media B2B sia ampia e non ristretta unicamente ai buyer. I contenuti e le possibili reazioni
provenienti da ognuno di essi vanno monitorati prestando loro adeguata attenzione.
3.7 Il modello di integrazione dei SM nel marketing communication mix
Lashgari et al. (2018) ha studiato ed elaborato un modello olistico per l’adozione e
l’integrazione dei social social media nei canali di comunicazione in un contesto B2B
(Figura 15).
Il modello prevede tre fasi: la selezione, l’adozione e l’integrazione.
Il primo passaggio è il processo di selezione dei contenuti da postare che viene
determinato in base agli obiettivi e al target di riferimento. Il contenuto può essere di tipo
tecnico, promozionale, di prodotto e/o servizi, ambientale e finanziario. Anche gli
obiettivi possono essere dei più vari: lead generation, brand awareness, customer loyalty
etc. Di conseguenza questo influirà sulla social media selection e la sequenza delle
piattaforme dove i messaggi della comunicazione appariranno.
Successivamente, nella fase pratica di adozione di uno specifico social media,
occorre definire il tipo di struttura per la diffusione dei contenuti che dipende dagli
obiettivi, dal tipo di contenuto e dal target. Fondamentalmente le due strutture tra cui
scegliere sono il modello lineare (flat) e quello gerarchico (hierarchy), che segnalano
quindi una sorta di gerarchia o meno tra i social media. In questa fase va definito anche il
ruolo del moderatore. Questa figura è un elemento essenziale per la sua funzione di
miglioramento del flusso comunicativo oltre che di direzione delle discussioni verso certi
tipi di contenuto. Il tipo di accessibilità delle informazioni (pubbliche o con limitazioni)
è un altro punto su cui riflettere. Limitare l’accesso ad alcune informazioni (es. specifiche
tecniche di prodotto) e offrirle solo su specifica richiesta potrebbe essere una strategia per
indirizzarle ad un target di qualità e ottenere allo stesso tempo informazioni dagli stessi.
102
Inoltre, la creazione di comunità online offre l’opportunità di rafforzare i legami,
fornendo ai partecipanti dei contenuti in esclusiva.
In ultimo, nel processo di integrazione, ma questo vale anche in generale, l’azienda
deve decidere se optare per una presenza ad hoc oppure continua, ovvero se mantenere
un flusso continuo di comunicazione oppure se circoscriverlo a certi momenti particolari.
Lo svantaggio del secondo metodo appena descritto (ad hoc) consiste nel non riuscire a
mantenere un’interazione attiva con il pubblico, rischiando così di cadere in un modello
di comunicazione lineare. A determinare la scelta contribuiscono le risorse a disposizione,
sia economiche che umane, e ancora di più le competenze.
103
Figura 15 Modello di azione e integrazione dei social media nella strategia di comunicazione. (Rielaborazione
personale da Lashgari et al., 2018)
104
3.8 Il caso di successo di Maersk Line sui social media
Si presenta il caso di successo del colosso Maersk Line che ha saputo sfruttare le
potenzialità dei social media in modo innovativo e lungimirante.
Come recita anche il suo payoff “The world’s largest contanier shipping
company”, Maersk Line è la più grande azienda di trasporto container per via marittima
del mondo. Si tratta di una divisione del gruppo danese A.P. Møller – Maersk che vanta
un ampio portafoglio di prodotti e servizi che abbraccia diversi settori. Maersk Line conta
oltre 108mila dipendenti e una presenza attiva in oltre 135 Paesi in tutto il mondo.
L’azienda ha attirato a sé gli occhi dei marketers da quando, nel 2011, ha
implementato una delle più grosse campagne web in termini di strumenti utilizzati e
risultati raggiunti, sviluppata attraverso una massiccia e variegata presenza online.
Maersk Line è arrivata a presidiare oltre al blog e al sito web, fino a 9 piattaforme di
social network. È su questi ultimi che ha registrato cifre notevoli arrivando a superare i 3
milioni di fan su Facebook, e raggiungendo follower dell’ordine di decine e centinaia di
migliaia di follower rispettivamente su LinkedIn e Twitter (Figura 16 ).
Il suo successo online e la sua lungimiranza nell’investimento in un campo, ai tempi,
ancora meno conosciuto di adesso, l’ha resa il caso più citato di azienda B2B sui social
network63.
63
Pascucci F., Ancillai C., Cardinali S., (2018) "Exploring antecedents of social media usage in B2B: a
systematic review", Management Research Review, 41:6, pp. 629-656, https://doi.org/10.1108/MRR-07-
2017-0212
3.106.641 mi piace
497.701follower
75.600follower
Figura 16 Le cifre di Maersk Line sui principali social network.
(Rielaborazione personale, 2019)
105
Anche se negli anni la sua strategia sui social media ha subito dei cambiamenti, ci
si sofferma su alcuni elementi particolarmente distintivi e originali che l’hanno
caratterizzata.
Il primo aspetto che emerge è come ad ogni social network corrisponda un preciso
target. Il range di stakeholder a cui punta la comunicazione è davvero ampio e comprende
non solo clienti o potenziali tali, ma anche dipendenti, associazioni, appassionati e
competitor. Va da sé che a target diversi sottostanno altrettanti obiettivi e strategie
diverse.
Il team addetto alla comunicazione di Maersk Line ha avuto l’intuizione e
l’intelligenza di non cadere nella trappola dell’utilizzo dei canali social per uno scopo
strettamente incentrato sulle vendite. Infatti nelle loro pagine sui social network non si
trova alcuna traccia di riferimenti specifici alla loro offerta di prodotti e servizi in
un’ottica commerciale. È la tecnica dello storytelling, invece, il filo conduttore della loro
presenza online. I post che riempiono le bacheche sono infatti storie di vicende sulla vita
a bordo delle navi raccontate dal punto di vista degli stessi dipendenti e resi ancora più
accattivanti attraverso l’uso di foto, immagini e video alcuni anche amatoriali
direttamente girati da loro. È con questi racconti multimediali che l’azienda mostra al
pubblico il suo lato più umano, soffermandosi con coraggio anche su episodi spiacevoli,
quali gli incidenti, che talvolta segnano le giornate sulle navi.
L’utilizzo dei dipendenti come content creator giova all’azienda da più punti di
vista:
i dipendenti si vedono valorizzati e considerati. Si riconoscono nei contenuti e
sono più predisposti alla condivisione dei post anche nei loro profili personali
perché per loro motivo di orgoglio. In questo modo ne trae vantaggio anche la
pagina aziendale ottendendo maggiore visibilità;
se a creare gran parte dei contenuti sono i dipendenti stessi, l’azienda risparmia
sulle spese di risorse umane dedicate a questa funzione;
gli utenti si ritrovano contenuti originali, non “preconfezionati” e quindi più
avvincenti e credibili.
106
Si analizza di seguito l’attività di Maersk Line sul canale principale Facebook, nel
mese di gennaio 2019, con lo scopo di illustrare alcuni degli aspetti del suo grande
successo (Tabella 4).
Data -
gennaio
2019
Tipo di
contenuto Contenuto
Lik
e e
react
.
Com
men
ti
Con
div
isio
ni
Rea
ctio
ns
4 Foto+link+
descrizione
Una nuova tecnologia IBM
nel mondo dei trasporti per
digitalizzare il commercio
374 10 61 Love;
wow
7 Foto+link+
descrizione
Impegno a ridurre l’impatto
sui clienti con percorsi
alternativi durante il
capodanno cinese
498 8 84 Love;
wow
8 Video+link+
descrizione
Nuovo servizio di instant
booking 182 7 44
Love;
wow
11 Foto+link+
descrizione
Risultati di business
raggiunti 401 7 66
Love;
wow
25 Foto+link+
descrizione
Intervista al CEO su
Bloomberg 641 4 105
Love;
wow
28 Video+link+
descrizione
Risultati raggiunti a livello
di brand positioning 410 10 69
Love;
wow
30 Foto+link+
descrizione
Partecipazione ad un
convegno 281 11 28
Love;
wow
107
30 Foto+link+
descrizione
Rassicurazione sulla
puntualità dei trasporti
ferroviari in Iraq
85 0 3 Love;
wow
31 Video+link+
descrizione
Invito a scaricare la App
Maersk 130 3 28
Love;
wow
Tabella 4 Attività di Maersk Line nel mese di gennaio 2019 su Facebook. (Rielaborazione personale, 2019)
Come si evince dalla tabella, i post pubblicati nel mese sono 8, con una media di
0,26 post al giorno, quindi non si tratta di una presenza particolarmente assidua.
È invece notevole il livello di interazione che ha il pubblico, registrando numeri
altissimi a livello di condivisioni. A dimostrazione dell’alto coinvolgimento emotivo che
riesce ad ottenere tramite i suoi post, corredati da foto/video, link e testo di
accompagnamento, si segnala una presenza costante di reactions (love e wow).
Circa i contenuti, si spazia molto: diffusione di risultati raggiunti, introduzioni di
nuovi servizi e tecnologie e servizi, riferimenti ad eventi specifici di alcuni paesi.
Riguardo all’ultimo tema, l’azienda, seppur globale, si dimostra vicina e attenta agli
accadimenti di ogni singolo paese in cui opera. È il caso del post del 7 gennaio in cui
comunica percorsi alternativi per recare meno disagio in occasione del Capodanno cinese.
Così facendo si conquista l’immagine di azienda capace di ascoltare le esigenze delle
persone all’interno del suo business.
3.9 Il settore B2B in Italia e Social Media Marketing
Si analizza la situazione italiana in merito al rapporto tra imprese B2B e social media.
Pascucci et al. (2018), dopo una revisione della letteratura sul tema, stabilisce che la
maggior parte degli studi proviene da Stati Uniti e Europa. In Europa, i paesi più studiati
sono la Finlandia (5 studi), Germania e Regno Unito (2 studi), mentre gli articoli
transnazionali sono 3. A livello italiano, quindi, nulla si sa dagli articoli accademici, se
non qualche informazione ricavabile dagli studi aggregati a livello europeo. Questo però
non significa che nel Paese nazionale il tema non sia percepito come rilevante. Vari sono
108
gli incontri in cui si discute dei trend dei social media con prospettiva B2B, come
dimostrano gli eventi che si tengono annualmente nella città di Milano per discutere e
aggiornarsi sul fenomeno.64
Gli unici dati concreti, invece, provengono dall’indagine “V Osservatorio sul
marketing B2B in Italia” realizzata da CRIBIS65 e Business International, con il
patrocinio di AISM66. Oltre 800 aziende sono state coinvolte nella raccolta dei dati che
sono stati rielaborati e pubblicati a marzo 2016, con periodo di riferimento l’anno 2015.
La ricerca, giunta al quinto anno, prende in esame la linea strategica di marketing
adottata dal mercato B2B italiano. I temi caratteristici su cui si concentra l’indagine sono:
la struttura organizzativa e la composizione dello staff marketing nelle aziende, gli
obiettivi e le metriche di valutazione, le voci del budget marketing e il ROI, gli strumenti
utilizzati e le prospettive per il futuro.
Ci si sofferma, quindi, sugli aspetti più interessanti che l’indagine ha messo in luce.
Come evidenziato dal grafico, il budget dedicato alla gestione dei social media
rappresenta il 18% del totale delle spese di marketing, mentre sono dedicate porzioni
superiori a fiere, e-mail marketing e convegni e workshop (Grafico 5).
64 https://businessinternational.it/Eventi/3778/Social-Media-Marketing-B2B (ultimo accesso: 02/03/2019) 65 CRIBIS D&B è una società specializzata nella fornitura di informazioni economiche, soluzioni per le
decisioni di business e credit scoring. La sua nascita risale al 2009, grazie all’acquisizione da parte del
Gruppo CRIF di Dun & Bradstreet Italia.
https://www.cribis.com/ (ultimo accesso: 03/03/2019) 66 AISM (Associazione Italiana Sviluppo Marketing) è un’associazione senza fini di lucro impegnata per
lo sviluppo della cultura e della professionalità del Marketing sul territorio Italiano.
https://www.aism.org/ (ultimo accesso: 03/03/2019)
109
Grafico 5 Le voci del budget di marketing. (Rielaborazione personale da V Osservatorio sul marketing
B2B in Italia, 2016)
Andando invece a vedere le previsioni di aumento del budget delle voci di
marketing, la notizia positiva è che i social media si posizionano al primo posto, con il
57% degli intervistati che annuncia che crescerà (Grafico 6).
Grafico 6 Voci di spesa del marketing che si prevede cresceranno nei prossimi 2-3 anni.
(Rielaborazione personale da V Osservatorio sul marketing B2B in Italia, 2016)
7
2
3
9
11
11
18
20
20
22
28
29
35
41
44
0 10 20 30 40 50
Altro
Online Video
Mobile Marketing
Search engine marketing
Sponsorship
Telemarketing
Social Media
CRM
Pubblicità Online
Public Relation
Direct marketing tradizionale
Pubblicità (escluso online)
Convegni e workshop
Email marketing
Fiere
%
7
12
16
19
20
3030
38
33
39
39
4857
33
36
43
36
28
4045
37
22
29
30
2521
34
19
22
20
16
1169
3
8
5
56
26
33
20
25
36
201916
41
24
27
2216
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
Pubblicità (escluso online)
Sponsorship
Fiere
Direct marketing tradizionale
TelemarketingConvegni e workshop
Public Relation
Email marketingMobile Marketing
CRM
Search engine marketing
Pubblicità Online
Social Media
Crescerà Rimarrà invariato Diminuirà Non so/ Non applicabile
110
Circa i temi su cui si ammette una maggiore impreparazione, si conferma quanto
espresso in precedenza circa la mancanza di un modello di misurabilità dei risultati (27%).
A questo elemento segue la carenza di conoscenze in termini di big data (26%) e di social
media (25%) (Grafico 7).
Grafico 7 Temi emergenti su cui ci si sente più impreparati. (Rielaborazione personale da V
Osservatorio sul marketing B2B in Italia, 2016)
Se si osservano le variabili che fanno di un marketer un buon marketer, al primo
posto spicca la capacità di acquisizione di nuovi clienti (68%), mentre il lavoro sui social
media ha un’influenza piuttosto ininfluente (6%). Una considerazione è quindi che
l’importanza dei social media non è di per sé significativa ma assume valore per le aziende
solo se dimostra effetti su variabili di business quali l’acquisizione di nuovi clienti e la
fidelizzazione (Grafico 8).
7
10
10
12
12
13
13
14
16
17
22
24
25
26
27
0 5 10 15 20 25 30
Customer Experience
Reputation Management
Design/creatività
Brand Loyalty e Awareness
Social Responsability
Content Marketing
Consumerizzazione
Lead Scoring
Behavioural Marketing
eCommerce
Green Marketing
Lead Generation & Nurturing
Social Media
Big Data
ROI e misurabilità finanziaria
%
111
Grafico 8 Le tre metriche più importanti per valutare un marketer B2B. (Rielaborazione personale da
V Osservatorio sul marketing B2B in Italia, 2016)
Riguardo alle priorità nel marketing digitale in generale, spiccano il
posizionamento sui motori di ricerca, la lead generation e la misurabilità dei risultati dei
social media (Grafico 9).
Grafico 9 Le priorità in termini di marketing digitale (Rielaborazione personale da V Osservatorio sul
marketing B2B in Italia, 2016)
.
Riguardo alla linea strategica sull’uso dei social media, un dato importante è come
il 20% dichiari proprio di non utilizzarli; mentre chi li adotta li sfrutta come canale di
comunicazione (63%), advertising (29%) e monitoraggio del brand (29%). È solo l’11%
che usa le piattaforme social come canale di vendita (Grafico 10).
1
6
21
32
35
40
49
49
68
0 10 20 30 40 50 60 70 80
Altro
Social Media
Customer Experience
Brand awareness
Ricavi per cliente
Fatturato
ROI
Fidelizzazione
Acquisizione di nuovi clienti
%
16
18
28
32
36
37
49
51
0 10 20 30 40 50 60
Online advertising
User experience
Analisi del traffico online
Fidelizzazione
ROI
Misurabilità dell'efficacia dei social…
Lead generation
Posizionamento sui motori di ricerca
%
112
Grafico 10 L’uso dei social media. (Rielaborazione personale da V Osservatorio sul marketing B2B in
Italia, 2016)
Concludendo si può affermare che i social media suscitano una crescente attrazione
da parte delle aziende B2B italiane, tanto è vero che si prevede un aumento degli
investimenti in tal senso. Questo ottimismo è però smorzato da una consapevolezza di
mancanze di conoscenze e competenze a riguardo, così come la mancanza di uno
strumento di misurazione dei benefici generati dal social media marketing.
1
11
14
18
20
29
29
63
0 10 20 30 40 50 60 70
Altro
Canale di vendita
Strumento di CRM e Customer Service
Recruiting
Non sono utilizzati
Monitoraggio del brand
Advertising
Canale di comunicazione
%
113
CAPITOLO 4
L’USO DEI SOCIAL MEDIA E IL SETTORE DEI DISPOSITIVI
MEDICI IN ITALIA
4.1 Introduzione all’analisi empirica
Come si è evidenziato nel capitolo precedente, il fenomeno dei social media suscita
crescente interesse nel mondo del business to business italiano. Poche, però, sono le
informazioni disponibili che permettano la ricostruzione di un quadro attuale e dettagliato
a livello nazionale. Lo scopo di questa indagine empirica dell’elaborato, compatibilmente
con le risorse a disposizione, è pertanto quello di contribuire all’illustrazione del rapporto
delle imprese B2B italiane e social media mediante l’analisi di uno specifico settore,
quello dei dispositivi medici (DM). La scelta è ricaduta su questo particolare ambito per
motivazioni diverse.
In prima battuta, l’interesse è sorto in seguito ad un’esperienza di stage in
un’impresa del settore, Service Med SPA, dove è emersa la questione dei social media
come strumento di marketing. In quest’occasione ci si è imbattutti nella mancanza di linee
guida e informazioni che potessero fungere da base di partenza per l’implementazione di
una strategia. La scarsità delle informazioni era presente su più fronti:
la gestione dei social media in un settore B2B;
la gestione dei social media nel settore dei dispositivi medici;
il trend dei social media nel settore;
le strategie di SMM adottate dalle aziende del settore;
i risultati raggiunti e le prospettive future;
la modalità di creazione dei contenuti;
la valorizzazione o meno dei canali social da parte degli acquirenti del settore;
il processo d’integrazione dei canali di social media con gli altri canali;
114
i benefici del social media marketing alla strategia aziendale.
Mancavano, quindi, i riferimenti sia a livello di gestione dei social media per
un’impresa in quanto B2B, sia contestualizzati nello specifico settore dei dispositivi
medici. Se la panoramica del fenomeno “imprese B2B e social media” è stata esposta
all’interno del terzo capitolo, in questo, invece, l’approfondimento è incentrato sul settore
dei dispositivi medici in Italia.
In secondo luogo, questo settore, grazie alla sua varietà di business model delle
imprese al suo interno, permette di studiare eventuali differenze tra le imprese puramente
B2B e quelle che invece servono indirettamente anche il cliente finale secondo uno
schema B2B2C.
Trattandosi di salute, un tema così delicato e di considerevole interesse, è curioso
anche esplorare la sua presenza sui social network, spesso oggetto di pregiudizio e ritenuti
fonte di fake news e notizie poco accurate. Una sfida persa in partenza oppure si sta anche
questo argomento si sta ritagliando il suo spazio nel mondo social?
In ultimo, come sottolineato anche in un articolo de “IL SOLE 24 ORE” (2018)67,
la filiera della salute (o white economy) è qualificata come un driver dell’economia
italiana, con un contributo del 10,7% al PIL nazionale. Il suo valore non è solo economico,
ma si valorizza anche il risvolto nel miglioramento della salute e quindi del benessere
generale della società. In una nazione con una popolazione sempre più vecchia, i
dispositivi medici sono il motore della medicina del futuro delle 4P (predittiva,
preventiva, partecipativa e personalizzata).
4.2 Il settore dei dispositivi medici in Italia
Un passaggio fondamentale è chiarire che cosa è e cosa invece non è un dispositivo
medico e per fare questo ci si affida a quanto indicato dalla legge italiana. Un dispositivo
medico, secondo la definizione del D.Lgs 46/97, è qualsiasi strumento, apparecchio,
impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione (compreso il
software informatico impiegato per il corretto funzionamento) e destinato dal fabbricante
a essere impiegato nell’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o
67https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-01-31/dalla-filiera-salute-l-11percento-pil-white-
economy-driver-economia-italiana-092136.shtml?uuid=AEiYqurD (ultimo accesso: 01/03/2019)
115
attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o
compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica
dell’anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale
prodotto non eserciti l’azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi
farmacologici o immunologici mediante processo metabolico ma la cui funzione possa
essere coadiuvata da tali mezzi.
I dispositivi medici sono classificati in quattro classi in funzione della complessità
e del rischio crescenti:
Classe I: dispositivi meno critici, quali la gran parte di quelli non attivi e non
invasivi, ad esempio il termometro (all’interno della classe I sono individuabili
2 sottoclassi: la classe I sterile, quelli forniti in stato sterile, e la classe I m –
quelli che svolgono una funzione di misura);
Classe IIa: dispositivi a rischio medio, quali alcuni dispositivi non attivi
(invasivi e non) e dispositivi attivi che interagiscono con il corpo in maniera
non pericolosa, ad esempio pomate per la gestione del microambiente delle
ferite;
Classe IIb: dispositivi a rischio medio/alto, quali alcuni dispositivi non attivi
(specie invasivi) e dispositivi attivi che interagiscono con il corpo in maniera
pericolosa, ad esempio pomate che entrano in contatto con la lesione in
profondità;
Classe III: dispositivi ad alto rischio, quali gran parte di quelli impiantabili,
quelli contenenti farmaci o derivati animali e alcuni dispositivi medici che
agiscono sulle funzioni di organi vitali, ad esempio le protesi.
Nel corso degli ultimi anni i dispositivi medici stanno progressivamente
rappresentando una componente fondamentale di risposta al bisogno di salute della
popolazione. I soggetti erogatori di prestazioni sanitarie hanno visto una crescita
esponenziale del numero e della varietà delle tecnologie mediche sul mercato, e dall’altro
lato i pazienti ne hanno tratto giovamento in termini di benessere e qualità della vita. Con
gli scenari di una popolazione sempre più vecchia, la diffusione e la domanda, sia a livello
globale che nazionale, da parte degli utenti professionali e dei privati è in aumento. Il
116
piano sanitario nazionale, quindi, sta affrontando seri problemi di gestione di questo
incremento della spesa pubblica per l’acquisto dei dispositivi medici e per le prestazioni
ad essi associate.
Sono i report annuali di Assobiomedica68 l’unico punto di riferimento per
l’approfondimento di questo settore69. Allo scopo di valorizzare e promuovere il settore
in Italia, questa federazione ha dato via ad un osservatorio permanente sui temi di
produzione, ricerca e innovazione.
Il settore dei dispositivi medici è caratterizzato per l’elevata eterogeneità delle
famiglie di prodotti e per le competenze scientifiche e tecniche altrettanto variegate che
si sperimentano in esso. È tipicamente un settore ad alta intensità tecnologica e
innovativa, con rilevanti investimenti in ricerca e sviluppo studi clinici e con una forza
lavoro specializzata con elevato titolo di studio.
Nel 2017 ammontano a 3.883 le imprese sul territorio con una prevalenza del 95%
di quelle di piccole e medie dimensioni. Offrono impiego a 76.000 dipendenti e si
ripartiscono in aziende che si occupano di distribuzione (44%), di servizi (5%) e di
produzione (51%). A fare da traino, sia per numerosità (70%) che per fatturato (80%)
sono per lo più imprese situate nel centro-nord: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e
Toscana. Tra quelle a carattere multinazionale il 40% sono italiane, mentre il 60% sono
estere. Il principale acquirente è la sanità pubblica nazionale, segue quella privata e gli
utilizzatori finali.
Il mondo dei dispositivi medici non è tutto uguale, ma presenta al suo interno alcuni
comparti caratteristici (Figura 17):
68 Assobiomedica è la Federazione di Confindustria che rappresenta le imprese che forniscono dispositivi
medici alle strutture sanitarie italiane pubbliche e private, e direttamente ai cittadini tramite le reti delle
farmacie e sanitarie.
https://www.assobiomedica.it/it/index.html (ultimo accesso: 28/02/2019) 69 I dati presi in esame in questo elaborato sono estrapolato dall’ultimo report disponibile, ovvero quello
del 2017, per la prima volta presentato con delle infografiche. Il rapporto 2018 non è ancora disponibile
alla data odierna.
(https://www.assobiomedica.it/it/pubblicazioni/rapporto-pri/index.html: ultimo accesso: 01/03/2019)
117
biomedicale (45%); dispositivi monuso o single user come protesi ortopediche,
aghi e siringhe, pacemaker, stent, protesi acustiche, defibrillatori;
biomedicale strumentale (19%); strumenti e apparecchiature per chirurgia,
monitoraggio, riabilitazione e supporto;
borderline (10%); prodotti ad azione meccanica e non farmacologica come
colliri e sciroppi;
attrezzature tecniche (10%); attrezzature ospedaliere, strumentazioni per
laboratorio di studi medici e odontoiatrici;
servizi e software (6%); servizi di gestione e manutenzione delle tecnologie
sanitarie, sterilizzazione, logistica, telemedicina e medicina 4.0, sviluppo
software e app di gestione connessi all’uso dei dispositivi medici;
elettromedicale (5%): TAC, RMN, radiografi, ecografi, ECG, mammografi;
diagnostica in vitro (5%): analisi di laboratorio, diagnostica molecolare,
selftesting, self-testing, bedside-testing, test del DNA, test predittivi di
genomica.
Le imprese che operano in più comparti (1%) sono state attribuite a quello
prevalente.
Figura 17 Le imprese di dispositivi medici e i suoi comparti. (Assobiomedica, 2017)
118
All’interno dei report annuali di Assobiomedica nulla emerge circa la
comunicazione di queste imprese, tantomeno il loro rapporto con i social media.
Ricercando invece approfondimenti sotto la tematica della salute e i social media, per la
prima volta l’Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano nel suo report
del 201870 ha incluso un focus sull’uso dei social media da parte delle strutture
ospedaliere. In un capitolo dedicato, “Le aziende diventano social”, tramite un’indagine
quantitativa e qualitativa, si esplorano diversi temi: i principali social media utilizzati
dalle aziende sanitarie, le principali finalità dell’utilizzo dei social media nelle aziende
sanitarie; tipologia di contenuti veicolati. Una delle conclusioni più sorprendenti è come
per la maggior parte delle aziende sanitarie la presenza sui social media sia percepita
come imprescindibile.
E per le aziende del settore dei dispositivi medici?
4.2 Ricerca empirica
Per l’esplorazione e l’analisi del rapporto tra le imprese del settore dei dispositivi medici
e i social media, si è ritenuto opportuno procedere con 3 tipologie diverse di ricerca:
- quantitativa;
- qualitativa;
- un caso aziendale.
Ad ogni approccio corrispondono domande di ricerca specifiche che verranno esplicitate
di volta in volta assieme alla metodologia seguita per la relativa fase.
70http://www.cergas.unibocconi.eu/wps/wcm/connect/224a071c-c555-4557-b845-
de75277b1ade/Rapporto+OASI+2018_Executive+Summary.pdf?MOD=AJPERES&CVID=mtVqeK6
(ultimo accesso 02/03/2019)
119
4.2.1 Analisi quantitativa
Domande di ricerca
Gli obiettivi della ricerca esplorativa sono così espressi:
RQ1: Qual è il livello di diffusione e utilizzo dei social media tra le imprese di dispositivi
medici in Italia?
RQ2: Esiste una correlazione tra il modello di business B2B e B2B2C e l’attività sui
social media?
RQ3: Quali sono icomparti più attivi?
RQ4: Esiste una correlazione tra nazionalità dell’impresa e il livello di attività sui social
media?
RQ5: Esiste una correlazione tra livello di attività sui social media e imprese
produttrici/produttrici e distributrici, e quelle che invece fanno solo attività di
distribuzione dei DM?
RQ6: Quali sono i social media più diffusi e quelli con maggiore livello di attività?
RQ7: Qual è il livello di integrazione dei canali social media con gli altri canali online e
offline?
Metodologia
Si espongono di seguito le fasi principali della metodologia.
A. Costruzione del campione:
1. ricerca sul sito del Ministero della Salute l’elenco delle imprese di dispositivi
medici ricavandole dal database dei dispositivi medici;
2. utilizzo di un generatore automatico Google di numeri per la selezione di
campione di 100 aziende;
3. costruzione di un elenco del campione delle 100 aziende (popolazione totale:
3.883 imprese);
4. Scarto dall’elenco delle imprese senza sito internet e selezione di nuove imprese
con cui rimpiazzarle (ripetizione dei punti 2-3);
5. scarto dall’elenco delle imprese con modello di business B2C e selezione di
nuove imprese con cui rimpiazzarle (ripetizione dei punti 2-3).
120
B. Costruzione di una tabella con le unità statistiche e le seguenti variabili (Allegato A):
1. Caratteristiche del campione:
- italiane/estere;
- B2B/B2B e B2B2C;
- produttrici-produttrici e distributrici/distributrici;
- comparto: biomedicale/biomedicale/strumentale/diagnostica in
vitro/servizi e software/elettromedicale/attrezzature tecniche/comparto
misto;
- geografia: nord/centro/sud e isole.
2. Rapporto con i social media:
- collegamento diretto dal sito web ai social media;
- presenza sui social media: Facebook, YouTube, Instagram, LinkedIn,
- attività sui singoli social media (criterio di attività: se numero di post
maggiore o uguale a 4 nel mese di gennaio 201971).
Analisi dei dati
Per avere una visione generale delle aziende selezionate, esse sono state raggruppate in
forma tabellare (Tabella 5) secondo questi criteri: B2B/B2B2C; produttrici-produttrici e
distributrici/distributrici; nord/centro/sud e isole; italiane/estere.
Le imprese del campione sono per il 66% B2B, il restante 34%, invece, contiene
nel proprio portafoglio anche prodotti direttamente fruibili/acquistabili dal consumatore
finale (B2B2C). I consumatori entrano in contatto con i dispositivi delle imprese B2B2C
o perché li comprano dai rivenditori, o dalle aziende produttrici stesse, o perché li
ritrovano nelle strutture ospedaliere, piuttosto che nelle case di cura o nelle case di riposo.
Per fare un esempio, rientrano in questa categoria i produttori di cuscini antidecubito,
ovvero dispositivi medici che il singolo può comprare direttamente dal produttore, da un
rivenditore, oppure può ritrovarseli a disposizione mentre è ricoverato in ospedale e nelle
case di cura, oppure mentre la permanenza in una casa di riposo. La ratio di tale
71 Il criterio è stato stabilito prendendo spunto dallo studio di Flanigan e Obernier (2016) che nella sua
ricerca ha definito come attive le imprese con almeno un post negli ultimi 7 giorni rispetto alla data di
osservazione.
121
categorizzazione è l’eventuale rilevazione di correlazioni tra l’appartenenza all’una o
all’altra categoria e la strategia di social media.
Un altro elemento di distinzione è tra imprese che operano unicamente come
distributori (12%) e quelle che in aggregato operano come produttrici o come produttrici
e distributrici (78%) di dispositivi medici, anche non di proprio marchio. L’obiettivo è di
individuare una relazione tra queste variabili e l’uso dei social media.
La collocazione geografica è stata considerata per avere un sostegno sulla capacità
rappresentativa del campione. Se il rapporto di Assobiomedica (2017) indica che le
imprese del centro-nord costituiscono l’80% del totale, nel campione esaminato la
percentuale sale di 9 punti percentuali (89%). Il campione risulta quindi leggermente in
difetto rispetto alla rappresentatività geografica. Ai fini dello scopo della ricerca il dato è
però di secondaria importanza.
È stata infine osservata l’italianità o meno delle imprese. La presenza delle italiane
è netta, con un 79% contro il 21% delle straniere. Questo dato è utile per analizzare
eventuali peculiarità delle aziende nazionali rispetto a quelle estere nell’uso dei social
media.
Caratteristiche delle imprese di DM N°(%)
B2B 66
B2B2C 34
Produttrici/Produttrici e Distributrici 78
Distributrici 12
Nord 75
Centro 14
Sud e Isole 11
Italiane 79
Estere 21
Tabella 5 Caratteristiche delle imprese del campione. (Rielaborazione personale, 2019)
122
RQ1: Qual è il livello di diffusione e utilizzo dei social media tra le imprese di dispositivi
medici in Italia?
Si è cercato di stabilire il livello di diffusione e di utilizzo delle imprese del settore dei
DM sui principali social media, ovvero Facebook, LinkedIn, Twitter, YouTube e
Instagram (Grafico 11; Grafico 12).
Il primo dato d’interesse è la proporzione di aziende che non sono presenti su nessun
canale, ovvero il 28% contro il restante 72% che invece è presente su almeno uno. Se a
prima vista potrebbe sembrare un risultato impressionante in senso positivo, a
ridimensionare il dato provvede invece il dato sull’attività. È infatti solo il 31% a farne
un effettivo utilizzo, ed è su questo dato che seguono dei parallelismi.
Confrontando questo risultato (31%) con quello del generico settore B2B italiano
(80%)72, si nota l’ampio divario (-49%) delle imprese di DM nell’utilizzo dei social
media. Una considerazione importante su questo confronto è che l’indagine CBIBIS sul
B2B è riferita alla situazione nell’anno 2015, mentre i dati sul settore dei DM al 2019,
pertanto nel frattempo le statistiche delle prime potrebbero essere variate.
Al confronto con l’adozione dei social media da parte di generiche imprese in Italia
(56%)73, la diffusione nel settore in questione (31%) risulta anche qui inferiore (-25%).
Analogamente alla situazione precedente, anche questo gap andrebbe aggiustato
considerando che i dati del confronto derivano da una rielaborazione de “Il SOLE 24
ORE” avente come anno di riferimento il 2017.
Osservando solo la presenza e non l’utilizzo, dal grafico 11 si può notare
l’andamento tendenzialmente descrescente all’aumentare dei social media: 1 solo canale
per l’1%; 2 canali per il 15%; 3 canali per il 21%; 4 canali per il 13%; 5 canali per il 2%.
Il numero medio di piattaforme social del campione esaminato è quindi di 1.8,
ovvero quasi due social per ciascuna azienda.
72 Si veda il paragrafo “3.9 Il settore B2B in Italia e Social Media Marketing” 73 Si veda il paragrafo “2.5.7 Il Social Media Marketing e le aziende italiane”
123
Grafico 11 La diffusione dei social media tra le imprese di DM in Italia..
(Rielaborazione personale, 2019)
Grafico 12 L'utilizzo dei social media tra le imprese di DM in Italia. (Rielaborazione personale, 2019)
RQ2: Esiste una correlazione tra il modello di business B2B e B2B2C e l’attività sui
social media?
Come mostrato di seguito (Grafico 13), sono 18 le imprese B2B ad essere attive su almeno
un social media, ovvero il 27%, mentre quelle B2B2C sono al 29% con solo 2 punti
percentuali di distacco. Si può pertanto affermare che non ci sia una correlazione tra il
modello puro di B2B e imprese che offrono nel proprio portafoglio anche prodotti
destinati all’uso diretto da parte dei consumatori finali.
28%
19%15%
21%
13%
2%
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
0 1 2 3 4 5
Imprese di DM e n° SM
31%
69%
Imprese di DM e attività sui SM
ATTIVE NON ATTIVE
124
Grafico 13 L'attività sui social media delle imprese B2B di DM in Italia.
(Rielaborazione personale, 2019)
RQ3: Quali sono i comparti più attivi?
Nell’esaminare i comparti più attivi in merito all’uso dei social media è emerso che è
quello borderline a distinguersi con il 75% di imprese che puntano sui canali online
(Grafico 14). Non sembra invece fare grossa differenza il fatto di disporre di un’offerta
variegata che spazia tra i vari comparti (29%) in cui i dispositivi medici sono suddivisi.
Tra le organizzazioni impegnate nell’offerta di servizi e software selezionate è invece
stata rilevata attività nulla (0%).
Grafico 14 Livello di attività sui social media in ciascun comparto di DM in Italia.
(Rielaborazione personale, 2019)
27%
29%
26%
27%
27%
28%
28%
29%
29%
30%
B2B B2B2C
Livello attività sui SM delle imprese B2B e B2B2C di DM
B2B B2B2C
0%25%
29%29%29%
31%43%
75%
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80%
Servizi e Software
Biomedicale strumentale
Comparti misti
Elettromedicale
Livello di attività sui SM in ciascun comparto di DM
125
RQ4: Esiste una correlazione tra nazionalità dell’impresa e il livello di attività sui social
media?
Come si evince dal grafico, c’è una correlazione tra l’origine dell’impresa e il suo livello
di attività sui social media (Grafico 15). Se tra le imprese estere operanti in Italia l’utilizzo
delle piattaforme online sfiora il 50%, tra le italiane invece il dato è appena superiore al
20%. Una prima spiegazione è che le imprese estere sono multinazionali e quindi imprese
di grandi dimensioni con risorse molto maggiori. Il fenomeno, tuttavia, non è tutto
spiegato con le dimensioni aziendali, dato che non mancano tra le aziende italiane quelle
con carattere multinazionale.
Grafico 15 Il livello di attività tra le imprese italiane ed estere di DM operanti in Italia.
(Rielaborazione personale, 2019)
RQ5: Esiste una correlazione tra livello di attività sui social media e imprese
produttrici/produttrici e distributrici, e quelle che invece fanno solo attività di
distribuzione dei DM?
Il grafico 16 mostra come nelle aziende produttrici/produttrici e distributrici l’utilizzo dei
social media (36%) sia superiore di 11 punti percentuali rispetto a quelle impegnate solo
nella distribuzione.
24%
48%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
Italiane estere
Livello attività tra imprese italiane ed estere di DM in Italia
126
Grafico 16 Il livello di attività tra le imprese produttrici/produttrici e distributrici, e
distributrici. (Rielaborazione personale, 2019)
RQ6: Quali sono i social media più diffusi e quelli con maggiore livello di attività?
Si osservano ora le piattaforme social più diffuse, distinguendo tra chi possiede un profilo
e chi ne fa un uso effettivo (Grafico 17).
Nel campione considerato la diffusione di profili di social media da parte delle
imprese B2B del settore dei dispositivi medici in Italia social media più diffusi si presenta
così: Facebook (22%), LinkedIn (20%), Twitter e YouTube (18%), Instagram (7%).
Facebook si riconferma anche in questo contesto la piattaforma più comune, pur non
essendoci un distacco coì netto dagli altri seocial media, infatti LinkedIn lo segue con
solo 2 punti in meno di distacco.
Avere un profilo sui social media non implica necessariamente un effettivo utilizzo
degli stessi. La rappresentazione grafica dei dati a confronto ne è la conferma. Per
Facebook la corrispondenza è molto buona, infatti il 90% di chi possiede un profilo ne fa
anche un utilizzo significativo. Questo è un ulteriore indice di popolarità della
piattafroma.
Per Twitter e LinkedIn la situazione è differente, ovvero è solo la metà delle imprese
presenti con un profilo su queste due piattafome ad essere attiva. Ne deriva che la
presenza su questi social sia per uno scopo di presidio oppure qualche azienda potrebbe
essere nella fase di ascolto che precede la partecipazione attiva. Un’altra spiegazione è
anche che i due social vengano strategicamente aggiornati raramente.
36%
25%
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
produttrici/produttrici e distribuitrici distributrici
Livello di attività tra imprese produttrici/produttrici e distributrici, e
distributrici
127
Instagram, con già una presenza molto bassa (7%), registra solo il 13% di attività.
Questo social media, a causa delle sue caratteristiche intrinsiche (uso esclusivo di foto,
condivisione dei contenuti disincentivata etc.) e il suo target (prettamente giovani), si
dimostra poco apprezzata o troppo sfidante per il mondo business to business dei
dispositivi medici.
La peggiore corrispondenza è per YouTube, che con il suo 0% si posiziona come
il social peggiore per livello di attività. La ragione di fondo è che la creazione di contenuti
digitali richiede molto tempo e solitamente si tratta di video istituzionali, tutorial di
prodotto che naturalmente non hanno dei cicli vita brevi come i post degli altri social
media. Quindi in questo caso la variabile più adatta è il livello di presenza con un canale,
ovvero il 18%.
RQ7: Qual è il livello di integrazione dei canali social media con gli altri canali online e
offline?
Un primo segnale di integrazione dei canali è la presenza dei bottoni di collegamento dal
sito web ai social media. Tra le aziende attive il risultato è positivo, ovvero il 90% di esse
Grafico 17 I social media più diffusi e quelli più utilizzati tra le imprese B2B del settore dei
dispositivi medici in Italia. (Rielaborazione personale, 2019)
22% 20% 18% 18%
7%
90%
53% 53%
0%
13%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Facebook LinkedIn Twitter YouTube Instagram
Presenza e attività delle imprese di DM sui SM
Proporzione di attività per ciascun SM
Livello di presenza delle imprese di DM con un profilo su ciascun media
128
ha inglobato nel proprio sito web la possibilità per i visitatori di raggiungere direttamente
i profili aziendali sulle piattaforme social dove si è presenti (Grafico 18).
Grafico 18 Il livello di diffusione del collegamento diretto dal sito web
ai SM delle aziende di DM in Italia attive sui SM. (Rielaborazione personale, 2019)
4.2.2 Analisi qualitativa
Per l’analisi qualitativa dell’elaborato si è ricorso ad alcune interviste coinvolgendo
direttamente 5 imprese B2B del settore dei dispositivi medici in Italia. È importante
sottolinare che sono solo 2 le imprese B2B del campione, le restanti 3 presentano
un’ampia gamma di prodotti e servizi, alcuni destinati esclusivamente ad acquirenti
business altri invece destinati anche all’uso dei consumatori finali tramite degli
intermediari, come ad esempio le ortopedie.
L’obiettivo generale è quello di fare luce su alcune questioni impossibili da studiare
con l’analisi quantitativa. È interessante osservare il processo di creazione dei contenuti
dato che il settore è molto tecnico e che richiede un linguaggio specifico. Inoltre
trattandosi di un tema delicato come quello della salute, intervengono leggi e normative
di settore che regolano alcuni aspetti della comunicazione. A dimostrazione di quanto
detto, anche il semplice accesso alle informazioni dei vari siti web è normato (Figura 18).
90%
10%
Collegamento diretto sito Web- profili SM
Sì No
129
L’eventuale social media manager come si rapporta con questa complessità? È un
esperto di entrambi gli ambiti oppure la questione viene risolta con una collaborazione
tra varie funzioni? Da quest’ultimo interrogativo ne nasce un altro circa l’utilizzo delle
agenzie di comunicazione piuttosto che delle risorse interne. Per le prime infatti è quasi
scontata la mancanza di conoscenze tecniche e pertanto la collaborazione con le altre
funzioni aziendali è obbligata. Nel caso invece di risorse interne si tratta di capire a quale
funzione aziendale è affidata la gestione dei social media.
Gli altri aspetti da approfondire ruotano attorno alla generale struttura della strategia
aziendale sui social media, soffermandosi ad affrontare la questione degli obiettivi da
perseguire e il target della comunicazione. In ultimo, ma non per importanza si tratta di
comprendere se il trend delle imprese di questo settore sui social media è in crescita
oppure i risultanti ottenuti sono scoraggianti.
Domande di ricerca
Le domande di ricerca sono così elencate:
Figura 18 Le linee guida del Ministero della Salute 28/03/2013 sulla comunicazione sul sito web delle aziende
di dispositivi medici
130
RQ7: Qual è il livello di integrazione dei canali social media con gli altri canali online e
offline?
RQ8: Qual è il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social media?
RQ9: Qual è la percezione delle aziende delle opportunità e delle potenzialità dei social
media del settore?
RQ10: Qual è La strategia di social media marketing?
RQ11: Avviene la misurazione dei risultati?
RQ12: Come avviene la gestione dei social media (interna o esterna; numero di risorse
umane coinvolte; fascia d’età delle persone coinvolte)?
RQ13: Quali sono le prospettive future dell’utilizzo dei social media nelle aziende B2B
del settore dei dispositivi medici in Italia?
A ciascun obiettivo di ricerca corrispondono più domande dell’intervista, pertanto
verranno esposte in una prima fase le domande con le relative risposte a cui segue una
rielaborazione seguendo lo schema degli obiettivi di ricerca.
Metodologia
Sono state condotte 5 interviste ad aziende del settore cercando di avere un campione
abbastanza eterogeneo di unità statistiche. L’intervista è strutturata in 3 parti:
- profilo dell’azienda;
- profilo dell’intervistato;
- relazione tra azienda e social media (11 domande aperte).
Con alcuni interlocutori la comunicazione è avvenuta per via telefonica, con altri invece
lo scambio è avvenuto via e-mail. Tutte le imprese coinvolte sono state contattate tra
febbraio e marzo. Le interviste complete sono contenute nell’appendice A.
Analisi dei dati
Sono state sintetizzate in forma tabellare le caratteristiche sia in forma aggregata (Tabella
5) sia individualmente prese (Tabella 6). Il campione delle aziende intervistate è
composto da 2 aziende puramente B2B, mentre le restanti 3 sono riconducibili ad aziende
131
con un portafoglio prodotti misto. Per portafoglio misto si intende che oltre a prodotti
destinati ai buyer professionali, ci sono anche quelli che, tramite degli intermediari,
saranno utilizzati dai consumatori finali. La maggioranza di queste si trova al nord Italia
e si tratta di un mix di micro (1), piccole (1) e medie imprese (3), rispecchiando all’incirca
la struttura dimensionale a livello nazionale. Solo 2 sono esclusivamente distributrici di
dispositivi medici mentre le altre (3) si occupano anche della produzione degli stessi.
Aziende N° %
B2B 2 40%
B2B e B2B2C 3 60%
Nord 4 80%
Centro 1 20%
Sud e Isole 0 0%
Produttore e distributore 3 60%
Distributore 2 40%
Micro 1 20%
Piccola 1 20%
Media 3 60%
Grande 0 0%
Tabella 6 Le caratteristiche delle aziende intervistate. (Rielaborazione personale, 2019)
Si espongono ora tutte le domande e una rielaborazione in forma aggregata delle risposte
ottenute.
Azienda B2B/B2B e B2B2C
Area geografica (Italia)
Produttori e distributori/distributori
Dimensioni aziendali
A B2B e B2B2C Nord Distributore Media impresa
B B2B Nord Produttore e distributore Microimpresa
C B2B e B2B2C Nord Distributore Piccola impresa
D B2B Nord Produttore e distributore Media impresa
E B2B e B2B2C Centro Produttore e distributore Media impresa
Tabella 7 Le caratteristiche delle imprese intervistate. (Rielaborazione personale, 2019)
132
1. L’azienda è presente sui social media?
Tutte le aziende intervistate sono presenti sui social media.
2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?
Tutte le aziende sono presenti su LinkedIn, lo stesso vale per Facebook con l’eccezione
di un’impresa B2B. A seguire si trovano Twitter e Instagram (2 imprese), e in ultimo
YouTube con solo un profilo presente. In media ciascuna azienda possiede 2,8 profili
social.
La presenza su questi social media è relativamente recente, in media 2 anni fa. Circa
i soggetti che hanno spinto per approdare su queste piattaforme le risposte sono state
molto varie. Per alcune aziende l’iniziativa è partita direttamente dall’area marketing, per
altre invece è stato un processo condiviso a livello dirigenziale.
3. Siete attivi?
Tutti si sono dichiarati attivi su almeno un social. Emerge anche in questo contesto che
avere un profilo non è sinonimo di presenza attiva. Nessuna azienda infatti è attiva su tutti
i social su cui ha dichiarato di avere un account aziendale. La maggior parte considera il
portafoglio social media con un proprio personale ordine gerarchico. All’apice di questa
gerarchia tranne in un caso, si trova Facebook. LinkedIn viene invece trattato come
secondario, tranne in un solo caso. Le soglie per stabilire se un’azienda attiva o meno
sono state definite dagli stessi intervistatori. Per qualcuno si va dai 1-2 post a settimana,
per altri invece lo stesso numero è spalmato su un intero mese. Per Twitter, YouTube e
Instagram emerge all’unanimità un aggiornamento spot, quindi non un’attività continua
ma circoscritta a particolari circostanze.
“Instagram nell’ultimo anno è utilizzato soprattutto durante gli eventi fieristici, con foto
e video dello stand e/o luogo della fiera.” (Azienda B, B2B)
4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale? La
strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì, qual è il
vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete raggiungere
negli specifici social media?
133
La maggioranza dichiara di possedere una strategia, quindi degli obiettivi e uno specifico
target da raggiungere. Ancora una volta Facebook viene riconfermato come canale
principale, sia per quelle aziende che intendono raggiungere i professionisti del mondo
sanitario sia quelle che invece hanno destinatari misti tra figure business e consumatori
finali.
“Facebook, Twitter e YouTube sono i social media principali, ovvero i canali social più
strategici per raggiungere anche i consumatori finali. In particolare su Facebook e
Twitter ci sono tanti potenziali clienti, ovvero tante sanitarie, tante farmacie, tanti
terapisti (fisioterapisti, osteopati) che stanno aggiornando le loro pagine. Siamo quindi
seguiti non solo dai clienti finali, ma anche da questa tipologia di target.” (Azienda A,
B2B e B2B2C)
“Attualmente non abbiamo una strategia social. Riteniamo la presenza su Facebook
fondamentale, come avere il website aziendale, ma più per una questione di dimostrare
serietà e professionalità della nostra azienda che come canale di vendita.” (Azienda B,
B2B)
“Pubblichiamo per i clienti informazioni anche tecniche con lo scopo di farci pubblicità,
far conoscere il nostro brand. Targhetizziamo sempre per raggiungere le figure
professionali che pensiamo siano interessate a quello che facciamo.” (Azienda C, B2B)
“L’obiettivo strategico è la creazione di articoli che forniscano informazioni realmente
utili agli acquirenti dei nostri prodotti. Noi puntiamo a raggiungere soprattutto i figli o i
caregiver delle persone anziane, che sono poi i clienti diretti di alcuni dei nostri prodotti.
Il risultato che vorremmo ottenere è che loro vadano dal distributore richiedendo di
preferenza i prodotti Moretti SPA. I nostri contenuti vengono poi spesso anche ricondivisi
dai clienti diretti Moretti, ad esempio le ortopedie, secondo una logica di network.”
(Azienda E, B2B e B2B2C)
134
5. Chi si occupa della gestione dei social media?
Tutti gli intervistati si occupano personalmente della gestione dei social media. Solo in
un caso si tratta di una persona non proveniente da una formazione di marketing e
comunicazione, trattandosi direttamente del fondatore e proprietario aziendale, anche se
l’intenzione futura era comunque di affidarsi ad un’agenzia di comunicazione. La
gestione è quindi nella totalità affidata ad una persona interna all’azienda appartenente
all’area marketing e/o comunicazione, affiancata solo in un caso da un’agenzia esterna.
6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?
Sono di varie tipologie i post condivisi e altrettanto differenti i processi di creazione degli
stessi. Nello specifico è interessante rimarcare quanto il lavoro in team sia fondamentale
nella costruzione dei post di prodotto. È infatti essenziale l’intervento di un esperto, sia
esso un medico piuttosto che un product specialist, se non nella fase di creazione per lo
meno in una fase di controllo delle informazioni antecedente la loro diffusione in rete.
Questo è stato un elemento che ha accumunato tutte le risposte, ad eccezione ovviamente
del caso in cui se ne occupa direttamente il fondatore e dirigente dell’azienda, il quale
dichiara di occuparsi personalmente a 360 gradi del processo di creazione dei contenuti.
Alcuni intervistati hanno sottolineato anche la necessità di coinvolgimento di persone
esperte in ambito grafico per i contenuti foto, video, e infografici, oltre che soggetti
competenti in ambito normativo.
“Post informativo di prodotto: in collaborazione con i product specialist si decide quali
prodotti vogliono comunicare e informazioni condividere. Se ad esempio viene lanciato
un nuovo tutore per il ginocchio, si fa un post dedicato a quel prodotto.” (Azienda A, B2B
e B2B2C)
“Poi a seconda dell’articolo ci sono interlocutori differenti, quali i colleghi di Ricerca e
Sviluppo per le parti più tecniche, l’ufficio commerciale, come anche chi si occupa delle
normative.” (Azienda E, B2B e B2B2C)
“In base ai congressi e ai risultati raggiunti richiedo un’infografica all’agenzia di
comunicazione.” (Azienda D, B2B)
135
7. Vi è una fase di raccolta e rielaborazione dei dati raccolti tramite i social media?
Tranne in un caso, tutti gli intervistati prevedono una fase di raccolta dei risultati ottenuti,
per la maggioranza a cadenza mensile, in cui si osservano le metriche più importanti
direttamente dai report creati dai social media stessi. I valori più citati riguardano
indicatori che esprimono il livello di interazione del pubblico e l’indice di copertura. In
nessun caso è stato citato il calcolo del ROI.
“Lo scopo è quello di capire quali sono i post più interessanti per il pubblico di
riferimento. Quindi si valuta l’interazione che ciascun post ha avuto, i suoi like etc.”
(Azienda A, B2B e B2B2C)
“Sì, raccolgo i risultati mensili automaticamente offerti da Facebook e li archivio man
mano.” (Azienda C, B2B e B2B2C)
“Sì, mensilmente. Analisi della copertura, delle condivisioni e del pubblico acquisito.”
(Azienda D, B2B)
8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?
A parte il caso dell’azienda che manifesta una mancanza di strategia, in tutti gli altri casi
si rileva un clima di soddisfazione dei risultati raggiunti.
“Per ora sì, sia per il lavoro svolto verso il consumatore finale che verso i professionisti
del settore.” (Azienda A, B2B e B2B2C)
“Non molto.” (Azienda B, B2B)
“Sì, ma ci sembra che si possa fare molto di più.” (Azienda C, B2B e B2B2C)
“Sì.” (Azienda D, B2B)
“Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti. Moretti sui social è più che duplicata in un
anno. Raggiungiamo mediamente 30.000 persone alla settimana e un centinaio di queste
136
interagiscono con il contenuto che viene proposto. Questi sono valori per noi significativi
e importanti.” (Azienda E, B2B e B2B2C)
9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali sono?
Se per alcuni non si sono rilevate criticità particolari nell’utilizzo dei social, altri invece
fanno emergere le seguenti problematiche:
la tempestività di risposta quando lo strumento viene utilizzato come strumento
di customer care
“Proprio perché viene utilizzato anche come strumento di customer care, la
tempestività di risposta è importante. Non bisogna far trascorrere troppo
tempo. Essendo dispositivi medici, le risposte devono essere chiare e semplici.”
(Azienda A, B2B2C)
Geolocalizzazione a livello mondiale
“La criticità è dovuta alla questione della geolocalizzazione. Facebook punta
molto su questo dato, ma nel nostro caso non è molto efficace, in quanto il
nostro profilo di cliente è molto selezionato (rivenditori) e molto vasto (Europa,
Nord Africa, Medio Oriente, Alcuni paesi dell’Asia, e Sud America). Per
Facebook questa zona e troppo vasta, mentre la ricerca dei rivenditori è molto
limitata. Inoltre essendo il nostro pubblico solamente B2B, questo restringe
molto la fetta di utenti interessati al nostro profilo.” (Azienda B, B2B)
10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?
Per la maggioranza c’è un interesse molto deciso a proseguire con la strategia di social
media marketing. Nello specifico:
- in due casi l’intenzione è quella di svilupparsi ulteriormente con maggiori
risorse o ampliandosi su altri canali
“Sì assolutamente, come detto prima ci vogliamo appoggiare ad un’agenzia
esterna perché ci rendiamo conto che si può fare ancora molto più di così.”
(Azienda C, B2B e B2B2C)
137
Sì, l’obiettivo è quello di iniziare ad elaborare video da pubblicare sul canale
YouTube.” (Azienda D, B2B)
- progetto per mantenere attiva la presenza sui social non si prevedono
investimenti ulteriori in tal senso se non per occasioni spot
“Certo come detto, riteniamo fondamentale la presenza sui social, non siamo
però interessati ad investire denaro e/o risorse, se non per aumentare la
visibilità durante eventi fieristici.” (Azienda B, B2B)
- progetto di proseguimento nella strategia di SMM
“Sì, assolutamente sì.” (Azienda A, B2B e B2B2C; Azienda E, B2B e B2B2C)
11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali?
Circa l’integrazione, sono molto diverse le linee intraprese:
- chi dichiara di non integrare né sul lato online né quello offline;
- chi lavora sull’integrazione sia online che offline;
“Assolutamente sì. Sia con quelli online come può essere il sito web, sia con
quelli offline, ovvero sui cataloghi dei prodotti, brochure e più in generale sugli
strumenti classici di marketing.” (Azienda A, B2B e B2B2C)
“Sì, attraverso pubblicità su riviste specializzate e comunicati stampa.”
(Azienda D, B2B)
- chi è impegnato sul lato online
“Sì, lo scorso anno, oltre al sito è stato implementato un Magazine di un
dominio di terzo livello del dominio Madre Moretti SpA dove appunto è stato
creato un vero e proprio magazine aziendale. Quest’anno invece abbiamo in
programma una ristrutturazione del sito col fine di renderlo più organico.
L’obiettivo generale, aldilà anche dei social è quello di migliorare anche il
posizionamento dell’azienda nei motori di ricerca.” (Azienda E, B2B e B2B2C)
138
Conclusioni
Si riassumono brevemente i risultati raccolti dalle interviste sopra esaminate:
RQ7: Qual è il livello di integrazione dei canali social media con gli altri canali online e
offline
Il concetto di integrazione dei canali social nel contesto delle imprese B2B operanti nel
settore dei dispositivi medici in Italia si dimostra ancora in una fase primordiale,
soprattutto circa la connessione del mondo online con quello offline.
RQ8: Qual è il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social media?
È stato molto interessante esplorare questo processo per osservare l’approccio degli
addetti ai social media nell’affrontare tematiche così specifiche e tecniche che
caratterizzano il settore. Il lavoro in team accomuna tutte le varie situazioni aziendali, sia
appunto per l’ideazione e il controllo delle informazioni, sia dal punto di vista di
competenze grafiche. Il social media manager deve quindi trovare il modo di creare
sinergia tra tutte queste funzioni al fine di proporre dei contenuti non solo curati
esteticamente ma anche corretti nelle informazioni, nel rispetto anche dei vincoli
normativi.
RQ9: Qual è la percezione delle aziende delle opportunità e delle potenzialità dei social
media del settore?
I social media, in particolare Facebook e LinkedIn, vengono sempre più percepiti come
una sorta di biglietto da visita virtuale, un punto di riferimento anche per i professionisti
che lavorano nel campo. Quindi esserci è fondamentale per dimostrarsi agli occhi dei
professionisti come aziende al passo con i tempi. Dal punto di vista delle vendite, il ruolo
delle piattaforme social sembra essere quello di incrementare il traffico sul sito web.
Un altro dato significativo è la percezione dei social media come uno strumento dalle
ottime potenzialità nella comunicazione immediata, ovvero la chat di Facebook, ad
esempio, prende sempre più la forma di un servizio di customer care.
In generale, le imprese operanti nel puro B2B sembrano avere maggiori difficoltà e
perplessità circa l’individuazione dei possibili benefici traibili da una strategia di social
139
media marketing. Per quelle invece che dispongono di un portafoglio prodotti misto tra
B2B e B2B2C le potenzialità sembrano più nitide.
RQ10: Qual è la strategia di social media marketing?
Sembra essere chiaro a tutti come LinkedIn sia ormai un punto di riferimento per i
professionisti ed esserci non è più una scelta bensì un must per il mondo business. Si è
pertanto consci che si tratta di un social con un taglio professionale. Come parlare a dei
professionisti è molto complicato e questa complessità fatica ad essere affrontata, tanto è
vero che tutti ce l’hanno ma quasi nessuno lo usa. Facebook è invece il più gettonato. Da
una parte il motivo risiede nel fatto che alcune aziende, pur avendo come clienti diretti
gli acquirenti business sfruttano il potere comunicativo di questo canale per raggiungere
direttamente gli utilizzatori di alcuni dei loro prodotti. In questo senso la linea strategica
si declina nella diffusione di contenuti circa i temi della salute collegati ai prodotti oltre
che post mirati alla costruzione di una brand awareness e brand reputation. L’altra
motivazione che spiega il successo di Facebook è la possibilità di ritrovare anche lì i
professionisti che dimostrano un’interazione sempre maggiore con i contenuti di queste
pagine. Questo però non è affatto un processo automatico, occorre fornire agli acquirenti
business contenuti che possano essere per lui significativi e quindi ricavarne dei benefici.
Una sanitaria ad esempio è predisposta a seguire la pagina social del suo fornitore di
dispositivi medici se questo gli offre post già pronti da condividere con i propri follower.
Per un medico, invece, che non deve vendere nulla ai propri pazienti è utile una pagina
Facebook che lo tenga informato sui prodotti in commercio.
RQ11:Avviene la misurazione dei risultati?
Risulta prassi raccogliere i report periodici generati dai social media stessi che misurano
le performance aziendali circa il livello di copertura e l’interazione raggiunta con il
pubblico. Allo stesso tempo nessun intervistato ha mai chiamato in causa il calcolo del
ROI, a conferma di quanto l’attività sui social media ancora non disponga di un modello
di misurazione dei risultati che tenga conto di tutte le sfumature di benefici potenziali che
genera per l’azienda.
140
RQ12: Come avviene la gestione dei social media (interna o esterna; numero di risorse
umane coinvolte; fascia d’età delle persone coinvolte)?
La gestione dei social media è generalmente in mano a figure appartenenti all’area
marketing e comunicazione, pur trattandosi di imprese micro, picccole e medie. Questo a
testimoniare che non sono solo le grandi imprese ad aver compreso l’importanza della
disciplina del marketing in un ambito B2B. Solitamente ad occuparsi dei social media è
una persona sola, ricordando però l’importanza del coinvolgimento di altre funzioni
interne all’aziende oppure esterne come le agenzie di comunicazione.
RQ13: Quali sono le prospettive future dell’utilizzo dei social media nelle aziende B2B
del settore dei dispositivi medici in Italia?
Il clima circa l’uso dei social media per il futuro è di generale ottimismo, con una
previsione di ampliamento degli investimenti in questa strategia.
4.2.3 Caso studio: Service Med SpA e il Social Media Marketing
4.2.3.1 Service Med SpA: mission e vision aziendali
In questo paragrafo si approfondisce il caso di Service Med SpA e il suo rapporto con i
social media. Si tratta di un’azienda di medie dimensioni situata a Bussolengo (Verona)
che dal 1992 è impegnata nella produzione e distribuzione di dispositivi medici. Nasce e
raggiunge l’apice del suo successo nell’ambito dei sistemi antidecubito74, ma negli anni
più recenti sta attraversando profondi cambiamenti. Non solo antidecubito, quindi, ma
un’offerta di prodotti e servizi più ampia che ambisce ad accompagnare gradualmente il
paziente in maniera sempre più completa a garanzia del suo benessere. Per conoscere
meglio l’azienda si illustra di seguito la sua mission e vision.
74 Per superficie antidecubito si intende un dispositivo medico progettato per la redistribuzione delle
pressioni in grado di gestire i carichi tissutali, gestire le forze di frizione e di scivolamento e capace di
migliorare il microclima. La sua funzione principale si manifesta soprattutto nella prevenzione ma è
documentato che l’utilizzo di tali sistemi, se di ultima generazione, migliorano i processi di guarigione di
lesioni già esistenti favorendo la granulazione e svolgendo anche un’attività terapeutica sul dolore.
https://www.servicemed.it/il-ruolo-delle-superfici-antidecubito-nel-wound-care/ (ultimo accesso:
27/02/2019)
141
Mission
“Facilitare Istituzioni, Pazienti, Care Givers nell’assistenza sanitaria intra ed extra
ospedaliera per la prevenzione e cura delle lesioni cutanee, attraverso la fornitura
integrata di dispositivi medici appropriati e servizi di supporto, massimizzando il
rapporto costo/beneficio per l’individuo e per l’Organismo pagatore” (Service Med SpA,
2019
Se fino al 2016 la mission aziendale era incentrata solo sul core business, ovvero la
produzione e la distribuzione di sistemi antidecubito, negli anni più recenti la sua
formulazione è attinente ad una più generica offerta di dispositivi medici legati alla cura
e prevenzione delle lesioni cutanee (wound care). La ragione d’essere dell’azienda
diventa quindi l’offerta di prodotti e servizi per un approccio più completo alle lesioni
cutanee.
Un altro aspetto interessante che emerge dall’analisi della mission è il target. Si
menziona infatti un’assistenza intra e extra ospedaliera, quindi si esce fuori dai confini
delle strutture ospedaliere offrendo soluzioni anche per ambulatori e il domiciliare
privato. La gestione della wound care avviene quindi all’interno degli ospedali, a volte
con un reparto specifico (dermatologia), altre volte i pazienti sono invece ricoverati in
altri reparti trasversali che trattano più patologie; fuori dall’ospedale negli ambulatori
privati convenzionati e anche direttamente nelle case dei pazienti.
Si sottolinea inoltre l’attenzione verso la sostenibilità economica delle proprie
soluzioni, impegnandosi quindi ad andare incontro alle esigenze e capacità di spesa dei
buyer.
Vision
“Essere partner delle Amministrazioni pubbliche e private per il miglioramento delle
condizioni del paziente allettato proponendosi come Patient Care Provider che possa
prendersi cura del paziente a 360 gradi e fornendo tutti i dispositivi medici di cui ha
bisogno nell’ottica di una gestione efficiente (meno costi) ed efficace (maggiori
risultati)” (Service Med SpA, 2019)
142
La vision slega l’azienda dal solo reparto del wound care, allargando la prospettiva a tutti
i dispositivi medici che possano migliorare le condizioni del paziente allettato, a
prescindere da dove esso si trovi. Queste affermazioni assumono maggiore significato se
si pensa a quanto detto circa l’invecchiamento della popolazione nazionale e il
conseguente sovraffollamento degli ospedali. Service Med SpA con le sue soluzioni si
propone di inserirsi in questo quadro riducendo il reparto di lungo degenza
accompagnando il paziente a casa con i propri prodotti e servizi. L’obiettivo è che le
amministrazioni pubbliche e private si rivolgano a Service Med SpA per la gestione del
paziente dentro e fuori le loro strutture.
4.2.3.2 La storia dell’azienda
La ricostruzione della storia aziendale è stata possibile grazie al contributo dell’attuale
Chief Operating Officer (COO) Antonio Artese che ne ha raccontato le tappe
fondamentali.
Service Med nasce tra il 1992 e il 1993 da 3 soci che avevano in origine un ruolo
commerciale in una multinazionale di apparati medicali. Grazie a questo lavoro avevano
acquisito notevoli conoscenze del mondo della sanità nella regione Veneto. Decisero
pertanto di mettersi in proprio nell’attività di vendita di sistemi antidecubito. In questa
fase l’azienda dei 3 soci si occupava della distribuzione dei prodotti per conto di grandi
multinazionali che ne erano invece i produttori.
La loro prima intuizione fu quella di offrire un servizio di noleggio, anziché la
vendita, perché avevano capito che gli ospedali che compravano questi materiali avevano
difficoltà nel gestirli. I sistemi antidecubito necessitano sia di continua manutenzione sia
della sanificazione. Fino a quel momento erano stati gli ospedali stessi ad occuparsi delle
suddette operazioni. Per queste strutture, soprattutto se pubbliche, era più difficile
comprare asset piuttosto che sostenere spese correnti. Gli investimenti erano per questo
motivo più contratti e di conseguenza vendere non era il modello di business più
strategico. Il noleggio invece rappresentava la soluzione a tutte quelle problematiche
sopra menzionate. Il servizio ideale doveva includere la consegna, il ritiro, la
sanificazione e la manutenzione. Ed è quello che hanno fatto, diventando i primi nel
Veneto ma anche a livello nazionale a presentarsi al mercato con questo tipo di offerta.
143
Questo tipo di attività, che è tutt’ora il core business dell’azienda, è un modello di
business che non è comune in tutti i paesi dell’Europa. In qualche stato si è abbozzato un
servizio del genere, ma praticamente nessuno in Europa è riuscito a replicare esattamente
questo modello di business. Alcuni lavorano tradizionalmente con l’acquisto e la
rivendita, altri hanno dei servizi inclusi, altri ancora operano con terze parti che
forniscono i servizi alle strutture da loro servite. Oggi in Italia, almeno la sanità pubblica,
opta quasi in toto (99%) per un servizio di noleggio onnicomprensivo e quasi nessuno si
affida più all’acquisto.
L’azienda si sviluppa poi territorialmente, integrando all’unico centro sanificazione
a Bussolengo (Verona) altri due centri sempre nel Veneto. Con il tempo è continuata la
loro espansione geografica sia nella stessa regione che in quelle limitrofi: Friuli Venezia-
Giulia e Trentino Alto-Adige.
Questo processo è proseguito fino al 2010 quando i soci dell’azienda notarono che
la qualità dei sistemi Arjo Huntleigh, maggiore produttore di materassi antidecubito nel
mondo e loro fornitore, non investiva più in termini qualitativi, ma aveva delocalizzato le
produzioni in Cina. Questo si traduceva in una difficoltà di risposta tempestiva sui
malfunzionamenti che mal si conciliavano con il tipo di business che si stava facendo.
Forti anche del fatto che da 20 anni si occupavano della manutenzione e conoscevano
benissimo i materassi Arjo Huntleigh e di altri produttori, si domandarono se fosse il caso
di produrre una loro linea di sistemi antidecubito. Scelgono di diventare produttori e così
nacque MKS (dalle iniziali dei cognomi dei soci fondatori Martinelli, Kinzer e Siviero).
Sfruttando le conoscenze basiche acquisite con la distribuzione del Limbus 4
(prodotto di Arjo Hunteleigh) hanno lavorato all’ideazione e sviluppo di nuovi sistemi
antidecubito. I punti di forza dovevano essere la qualità superiore sia dei materiali che
della struttura del compressore e allo stesso tempo cercando di creare prodotti con
caratteristiche più idonee al servizio. Si diede così vita a linee di produzione di sistemi
antidecubito prima manuali e poi automatici di cui il modello UP AIR è il top di gamma.
L’intuizione imprenditoriale dei tre soci ha portato l’azienda a raggiungere 17 milioni di
fatturato.
Nel frattempo continuava la coesistenza di due diverse società: MKS impegnata
solo nella produzione e Service Med sul lato commerciale partecipando quindi alle gare
pubbliche e di fatto offrendo il servizio di noleggio.
144
Questo è andato avanti fino al 2015 quando i soci hanno deciso di cedere le due
attività al fondo SGR di Banca Intesa che mirava ad investire in piccole-medie imprese
con prospettive di sviluppo. Questo fondo chiuso nel 2016 ha fuso le due società dando
vita alla forma societaria nella sua forma odierna, ovvero la Service Med SpA a cui i
fondatori partecipano tutt’ora come soci di minoranza. Da allora l’azienda sta puntando
all’ampliamento del proprio portafoglio e prodotti introducendo dispositivi medici che
affrontino la gestione del wound care a 360°. Ad oggi permane il core business nella
fornitura di sistemi antidecubito a ospedali, case di cura e di riposo, con allo stesso tempo
la distribuzione di altri dispositivi medici che agiscono sia in fase di prevenzione che di
cura del delle lesioni cutanee.
4.2.3.3 L’offerta di prodotti e servizi
Ad oggi l’offerta di Service Med SpA si distingue nel settore sanitario per la qualità dei
suoi prodotti e per l’efficienza e la modernità dei suoi servizi. Il tutto è rivolto al territorio
nazionale grazie ad una fitta, capillare ed efficiente capillare rete commerciale.
Il portafoglio prodotti si articola nel seguente modo:
- sistemi antidecubito statici. I sistemi antidecubito statici rappresentano un
importante strumento per scaricare la pressione di contatto esercitata dal corpo
su una superficie. Queste soluzioni permettono infatti la ridistribuzione delle
pressioni, gestendo i carichi, le forze di frizione e di scivolamento. Si tratta di
soluzioni semplici ed efficaci che possono essere adottate anche a casa con
estrema facilità.
- sistemi antidecubito dinamici. Essi si compongono di due parti, il materasso e
il compressore. Il compressore fa confluire l’aria all’interno del materasso, che
si gonfia e sgonfia in maniera alternata (fluttuazione) secondo un ciclo
temporale che rispecchia il fisiologico cambio di posizione di persone non
compromesse neurologicamente.
- wound care. Si tratta di una linea di prodotti studiata per la diagnosi
dell’arteriopatia periferica e la guarigione di ulcere e lesioni da decubito, grazie
all’ossigenoterapia, l’elettroceutica e l’elettrostimolazione.
145
L’azienda è rinomata per aver creato valore intorno ai propri sistemi antidecubito tramite
prestazioni di servizi completi per i propri acquirenti: consegna e ritiro, manutenzione e
sanificazione. Oltretutto, Service Med SpA è stata la prima in Italia a gestire gli ordini e
le segnalazioni dei clienti tramite la piattaforma web SMOW (Service Med On Web)
(Figura 19).
Figura 19 Il servizio di gestione on-line del servizio di noleggio tramite la piattaforma SMOW accessibile dal sito web
aziendale (Service Med SpA, 2019)
4.2.3.4 Il marketing in Service Med SpA
Fino al 2016 la gestione della funzione marketing era incorporata a livello dirigenziale
dai 3 soci fondatori secondo un modello top down. La relazione tra i commerciali e gli
acquirenti business era da sempre stata considerata il perno della strategia aziendale. Gli
strumenti della comunicazione erano sostanzialmente tutto il materiale promozionale
(brochure di prodotto), la partecipazione alle fiere di settore e la presenza di un sito web,
che si presentava molto statica, sintetica e poco interattiva. L’approccio customer oriented
era ancora una filosofia poco assimilata nella struttura aziendale. Il processo di
cambiamento è avvenuto con l’intervento del nuovo amministratore delegato che ha
intrapreso cambiamenti nella strategia di marketing su più fronti.
La struttura di un ufficio marketing
L’attività di marketing ha trovato concretizzazione in un responsabile (Chief Strategy &
R.D Officer) a cui risponde il product manager che dal 2016 collabora con un’agenzia di
comunicazione.
146
Rebranding
Il passo successivo è stato il rebranding aziendale affidato all’agenzia di comunicazione.
La nuova Service Med SpA aveva bisogno di un volto e di una personalità le sue
declinazioni sotto forma di logo e payoff aziendale, sito web, social media, nuove
brochure corporate e di prodotto, nuove foto che raffigurassero la nuova realtà aziendale.
Più in generale si sono poste le basi per una comunicazione che fosse realistica, coerente,
non standardizzata e al passo con i tempi.
Di seguito si presenta il confronto tra vecchio e nuovo marchio (Figura 20). Quello
vecchio risulta molto pulito, tanto da non trasmettere una personalità specifica. Nel
complesso, quindi, il marchio non è dotato di una forza particolarmente distintiva. Un
altro elemento da considerare è lo spazio riservato alla tag line “servizi e forniture
medicali” che è troppo ridotto non rendendo leggibile il messaggio che dovrebbe meglio
descrivere il brand. Il nuovo logo, invece, si presenta con colori atipici per il settore e con
una linea continua che simula dinamismo verso la costruzione di una forma sferica al cui
centro si posiziona metaforicamente il paziente. Il suo payoff “human wide care” assume
una posizione visibile e comunica come l’azienda si sia aperta ad obiettivi più ampi
interessandosi alla generica e più completa cura della persona. L’inserimento di una
parola come “human” genera da subito la percezione di un’azienda attenta al benessere
della persona.
4.2.3.5 La comunicazione aziendale e i social media
L’attuale strategia di comunicazione si sviluppa attraverso i seguenti canali/strumenti:
sito web;
relazione face-to-face tra la forza commerciale e i clienti;
Figura 20 Vecchio (sx) e nuovo logo (dx) Service Med
147
social media;
fiere nazionali e internazionali;
materiale promozionale (depliant corporate/di prodotto, e gadget).
Come si può notare, i social media rientrano nel communication mix aziendale e
attraverso un’intervista al product manager Gabriele Borsoi si approfondisce meglio
questo rapporto.
I social media
1. Da quando siete sui social media? Con quale obiettivo siete partiti? Su spinta di
chi?
“I social media sono entrati a fare parte del communication mix di Service Med SpA
quando nel maggio 2017 si è creato un profilo aziendale su Facebook e LinkedIn.
Fondamentalmente, si era osservato che i più grandi competitor erano già approdati su
Facebook e quindi la motivazione iniziale era quella di presidio. Fino a inizio 2018 non
c’è mai stata una vera e propria partecipazione con una strategia strutturata, era più una
fase di ascolto del pubblico e analisi delle dinamiche interne al social. Dopo questo anno
di prova e in concomitanza con prodotti l’entrata nel portafoglio di prodotti rivolti anche
direttamente al consumatore privato la presenza sul social ha cominciato ad essere più
strategica.
La strategia era quella di vendere e fare in modo che Service Med fosse un punto
di riferimento per gli utenti per quel che riguarda le piaghe da decubito. Infatti abbiamo
scritto molti articoli che creavano cultura. Era l’unico modo per diventare un punto di
riferimento. L’utente che ha una piaga, va online per cercare soluzioni e noi volevamo
farci trovare lì. In breve, gli scopi da raggiungere sono la vendita dei prodotti B2C e fare
in generale informazione sul tema delle lesioni cutanee.”
2. Qual è il target della comunicazione? Ha senso rivolgersi ai professionisti del
settore?
“Usiamo questi canali per vendere ai privati, per la vendita ai medici o altre strutture ci
sono le gare e procedimenti più lunghi per i quali non sono rilevanti i social. Service Med
148
SpA è una B2B. Gran parte del suo fatturato, il 90%, deriva dagli enti pubblici e quindi
non c’è la valutazione del sito o dei profili social, la valutazione è invece fatta su
parametri oggettivi. Per quanto riguarda i professionisti, anche qui non i social non
hanno molto senso. Il professionista va su Linkedin dove legge l’articolo scientifico. Dato
che il nostro scopo è quello di vendere, allora ha senso usare Facebook, perché mi
permette perché mi permette di entrare in contatto con i consumatori finali. Linkedin
assume un ruolo secondario perché lì ci sono solo professionisti.”
3. Pensi i tuoi clienti consultino i tuoi social? In quale fase? Pre-durante o dopo
l’acquisto?
“I clienti B2C nella fase pre- acquisto, per raccolta di informazioni. Per il B2B, i
professionisti over 50 no, quelli più giovani probabilmente sì. Se un medico dovesse
comprare un’apparecchiatura abbastanza costosa, per valutare la reputazione del suo
venditore si baserebbe la relazione, non guarderebbe i social media.”
4. Qual è il rapporto tra i social media e i dipendenti?
“Molta della parte commerciale non ha un profilo social, e chi ce l’ha invece lo usa solo
a scopo personale e non interagisce molto con i contenuti della pagina aziendale. Sono
pochi, soprattutto i più giovani, i dipendenti che interagiscono sulla pagina Facebook,
con mi piace, commenti e condivisioni. Quando sono state aperte le pagine, è stata
mandata una mail ai tutti i dipendenti con il link della pagina Facebook a cui sono stati
invitati a mettere mi piace. Ma solo qualcuno lo ha fatto. Non interagiscono più di tanto
con commenti o altro. Il video aziendale è stato il contenuto maggiormente condiviso,
perché molti di loro avevano partecipato al video in maniera diretta.”
5. Come vi approcciate alla misurazione dei risultati? Quali sono le aspettative?
“Circa la misurazione dei risultati, non vi è una vera e proprio calcolo del ROI, ci si
affida più ai report dell’agenzia di comunicazione. I social media non vengono visti come
un canale marketing per la vecchia generazione, pertanto gli investimenti e le aspettative
non sono molto elevate.”
Questo è confermato anche dall’intervista al CFO dell’azienda che considera il rapporto
face-to-face il fulcro di questo tipo di business. In aggiunta lo scetticismo sull’uso dei
149
social da parte sua in ambito lavorativo è anche dovuto allo scarso controllo dei contenuti
che girano in rete e quindi questo poco si presta alla rigorosità e precisione richieste in un
settore che tratta della salute delle persone.
6. Come è organizzata la gestione dei social media?
“L’attività si svolge in team. Ogni mese avviene un incontro con l’agenzia di
comunicazione per stabilire e costruire insieme un piano editoriale. I testi degli articoli
sono scritti e pubblicati dall’agenzia previa mia approvazione.”
7. Integrate i social media con gli altri canali?
“A livello di integrazione dei canali di comunicazione, la situazione è ancora poco
matura, in quanto l’unica azione in questo senso è stato il collegamento diretto tra i social
media e il sito web aziendale. Con la comunicazione offline non c’è ancora nessun tipo
di relazione”
8. Quali sono i progetti futuri?
“L’intenzione è quella di continuare la strategia in una logica di B2C, ovvero tramite la
sponsorizzazione di prodotti destinati al consumatore finale, oltre che continuare nella
creazione di contenuti informativi circa i temi delle lesioni cutanee. Il fine è generare nel
pubblico finale un’associazione tra il tema delle lesioni cutanee e Service Med SpA”
150
151
152
CONCLUSIONI
L’uso dei social media ha acquisito un ruolo sempre più rilevante nelle strategie aziendali
degli ultimi anni. Sono complici le innovazioni tecnologiche, la diffusione e la popolarità
dei canali social presso il pubblico oltre che il crescente bisogno da parte delle
organizzazioni di puntare verso l’intangibile per distinguersi all’interno di un ambiente
competitivo sempre più ostico. I social media hanno rivoluzionato il modo di fare impresa
sotto molteplici punti di vista: nella promozione del brand, nell’attività di recruitment,
nell’attività customer service, nell’interazione con la propria clientela, nel processo di
sviluppo di prodotti e servizi e altri ancora.
Non è però bastata la diffusione di questo strumento e le numerose esperienze
positive collezionate a diffonderne un utilizzo generalizzato, o per meglio dire un utilizzo
che sia significativo e che sfrutti al meglio le potenzialità dei social media. Questo è
risultato evidente soprattutto nell’ambito business to business, tradizionalmente noto per
l’elevata complessità dei suoi prodotti e dei servizi, per i lunghi tempi di negoziazione e
per la presenza di pochi ma grandi buyer. Sono queste le caratteristiche che hanno favorito
una strategia aziendale fortemente incentrata sul rapporto face-to-face. Molti sono i
manager B2B convinti che i social media, in modo particolare i social network, siano più
adatti ad un contesto B2C poiché si rivolgono alle persone come individui e non come
buyer professionisti. A incoraggiare il processo di adozione di una strategia social in
ambito B2B non ha contribuito nemmeno la letteratura, nettamente in ritardo rispetto alla
controparte B2C nell’offrire indicazioni e linee guida per chi intende intraprendere questa
tattica. È infatti solo negli ultimi anni che questo fenomeno sta cominciando ad essere
studiato anche in ottica B2B. Seppur i dati siano tuttora lacunosi sotto ogni punto di vista,
sembra però che sia possibile poter affermare con certezza che il trend vada verso un
153
numero crescente di imprese che stanno includendo i social media nel loro
communication mix.
È in questo clima di ricerche, ancora in una fase iniziale, che si inserisce il lavoro
empirico di questo elaborato. Attraverso l’analisi del settore dei dispositivi medici in
Italia si intende contribuire alla letteratura in merito.
L’analisi quantitativa mette in luce come la quota di imprese con almeno un profilo
sui social media sia abbastanza alta (72%), tuttavia il dato si riduce drasticamente se si
osservano quelle effettivamente attive (31%) su almeno una piattaforma. Con questo
ultimo risultato il settore in questione si posiziona indietro sia rispetto al settore B2B
italiano sia al confronto con le generiche imprese italiane.
Dalle interviste a cui sono state direttamente sottoposte alcune organizzazioni
emerge, invece, come tra gli stessi social media manager siano ancora poco chiare le
potenzialità e le opportunità di questo canale nei confronti dei buyer professionali. Un
altro elemento interessante è il fondamentale requisito del lavoro in team, in particolare
si sottolinea il necessario il coinvolgimento del product specialist per la creazione dei
contenuti data la delicatezza del tema della salute. Si mostra una palese incertezza anche
in merito alla misurazione dei risultati e una mancanza di un approccio strategico
all’integrazione di questi canali, soprattutto sul lato offline. Un segno positivo, invece, si
registra circa le prospettive future: in molti si dichiarano propensi ad un ampliamento
degli investimenti in questo senso.
Dall’analisi del caso aziendale di Service Med SpA risulta ancora più evidente come
il ruolo dei social media sia ancora apprezzato maggiormente in un’ottica B2BC, mentre
permane scetticismo e incertezza nel caso ci si debba rivolgere al mondo B2B.
Si può affermare che si nota un ritardo del settore dei dispositivi medici
nell’adozione dei social media. Si registrano strategie di social media marketing
significative in genere più da parte delle imprese estere che quelle italiane. Si appura,
inoltre, come sia abbastanza radicato il concetto che i social media siano il nuovo biglietto
da visita, ma in pochi riescono a sfruttare in maniera ottimale questa opportunità. Le
motivazioni sono molteplici: in primis la mancanza di linee guida per chi intende
intraprendere questa strategia e soprattutto la scarsità di dati che dimostrino l’effettiva
utilità dello strumento, dall’altro lato si avverte ancora una percezione ristretta sulle
opportunità che questo canale offre. È importante allargare la visione e cominciare ad
154
affacciarsi ai social media non limitandosi a pensarli esclusivamente come opportunità di
vendita, ma occorre intravedere in loro spazi dove ad esempio portare la propria cultura,
coinvolgere i propri dipendenti, mostrare i propri risultati, raccontare la propria storia al
fine di migliorare la propria immagine e reputazione. Un altro punto d’incontro tra il B2B
e i social media è la possibilità di questo strumento di incentivare e contribuire a rafforzare
la relazione di lungo termine con i propri clienti. L’effetto di queste ultimi aspetti può
portare miglioramenti non solo sulle vendite in maniera indiretta, ma può contribuire ad
attirare verso sé le migliori risorse umane, a creare un maggiore senso di appartenenza da
parte dei dipendenti, a favorire un atteggiamento positivo da parte della generica platea
degli stakeholder verso l’azienda e creare engagement da parte dei clienti attuali.
Tutto ciò è fondamentale se si pensa ad uno scenario competitivo sempre più ostico
e dove nella gara tra chi ha il prodotto o servizio migliore, vince chi è capace di impostare
il proprio vantaggio competitivo anche sull’intangibile.
155
156
APPENDICE A
MEDILAND SRL (A)
Data intervista: 04/03/2019
Durata intervista: 30 minuti
Modalità intervista: chiamata telefonica
A. PROFILO DELL’AZIENDA
1. Nome dell’azienda: Mediland Srl (A)
2. Città e regione: Arese (Milano), Lombardia
3. Dimensione dell’azienda: media impresa
4. Prodotti/servizi offerti e business model: distributori di dispositivi medici (vedi sito
e specifica quali prodotti, mettimi qui il link che vedo io se sei in dubbio)
5. Tipologie di clienti e in che proporzione: Non è prevista attività di vendita rivolta
direttamente al consumatore finale. I clienti dell’azienda sono ospedali, rivenditori al
dettaglio tra cui le ortopedie, ambulatori e professionisti della sanità.
6. Presenza dell’ufficio marketing internamente all’azienda: Sì
B. PROFILO DELL’INTERVISTATO
1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: Communication Manager, sia della
comunicazione interna che esterna.
2. Età dell’intervistato: 38 anni
3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Laurea magistrale in Economia e Commercio
4. Periodo di lavoro nell’azienda: 1 anno
C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA
1. L’azienda è presente sui social media?
Sì.
2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?
157
Facebook, Twitter, LinkedIn:2016
YouTube: aprile 2018
L’iniziativa di approdare sui social media è stata sia dell’area marketing. Il vantaggio di
essere un’azienda di medie dimensioni è quello di poter avere un dialogo diretto e
ravvicinato con la direzione, anche sui temi della comunicazione.
3. Siete attivi?
Sì, attivi su tutti i social, in particolar modo su Facebook e Twitter. YouTube viene
aggiornato ogni qual volta che viene creato un contenuto digitale. Per LinkedIn
l’aggiornamento è spot, in occasione di nuovi contenuti istituzionali, come ad esempio
lanci di collaborazioni, distribuzioni di nuovi brand o eventi o corsi in programma.
4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?
La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,
qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete
raggiungere negli specifici social media?
Facebook, Twitter e YouTube sono i social media principali, ovvero i canali social più
strategici per raggiungere anche i consumatori finali. In particolare su Facebook e Twitter
ci sono tanti potenziali clienti, ovvero tante sanitarie, tante farmacie, tanti terapisti
(fisioterapisti, osteopati) che stanno aggiornando le loro pagine. Siamo quindi seguiti non
solo dai clienti finali, ma anche da questa tipologia di target.
Più che medici, sono tanti i terapisti come fisioterapisti e osteopati che mostrano
maggior interesse. LinkedIn è invece destinato ad una comunicazione istituzionale,
trattandosi di un social business
5. Chi si occupa della gestione dei social media?
Il Communication manager, quindi solo una persona.
6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?
Ci sono 4 tipologie di post:
Informativo di prodotto: in collaborazione con i product specialist si decide quali
prodotti vogliono comunicare e informazioni condividere. Se ad esempio viene
lanciato un nuovo tutore per il ginocchio, si fa un post dedicato a quel prodotto.
158
Informativo: in collaborazione con alcuni medici vengono creati dei contenuti su
tematiche come la disabilità, in alternativa vengono condivisi articoli presenti già
in rete.
Generica: si tratta di un tipo di comunicazione più light. Questa categoria ingloba
tutti quei post di auguri per le feste piuttosto che annuncio dei giorni di chiusura
aziendale.
Istituzionale: si comunica la collaborazione con nuovi partner, gli eventi a cui si
partecipa. Questi post viaggiano in esclusiva sul canale di LinkedIn. Su LinkedIn
ci sono tantissimi medici, ma anche altri attori del settore (operatori, agenti di
vendita) e più in generale i professionisti.
7. Vi è una fase di raccolta e rielaborazione dei dati raccolti tramite i social media?
Sì assolutamente. Vi sono due livelli di analisi:
Qualitativa: lo scopo è quello di capire quali sono i post più interessanti per il
pubblico di riferimento. Quindi si valuta l’interazione che ciascun post ha avuto,
i suoi like etc.
Statistico: sono collegate a metriche per calcolare l’interesse vero e propri follone
8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?
Per ora sì, sia per il lavoro svolto verso il consumatore finale che verso i professionisti
del settore. Riceviamo tanti messaggi dai consumatori finali, quindi il canale Facebook è
utilizzato dai consumatori finali per rivolgere delle domande, dubbi direttamente
dall’azienda, come una sorta di customer service.
9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali sono
queste criticità?
Proprio perché viene utilizzato anche come strumento di customer care, la tempestività di
risposta è importante. Non bisogna far trascorrere troppo tempo. Essendo dispositivi
medici, le risposte devono essere chiare e semplici.
10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?
Sì, assolutamente sì.
159
11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali?
Assolutamente sì. Sia con quelli online come può essere il sito web, sia con quelli offline,
ovvero sui cataloghi dei prodotti, brochure e più in generale sugli strumenti classici di
marketing
Domanda aggiuntiva: I social media hanno senso per un’azienda B2B?
Sì, Facebook è il nuovo biglietto da visita anche per le aziende del settore medicale che
operano nel B2B, ovvero oltre al sito è importante essere anche sui social media. Questo
perché tanti operatori del settore, che sono il nostro target (operatori sanitari, farmacie,
fisioterapisti, medici, terapisti) sono presenti in questi canali e interagiscono, quindi molto
attivi.
160
MEDICAL TRADING SRL (B)
Data intervista: 04/03/2019
Modalità intervista: via e-mail
A. PROFILO DELL’AZIENDA
1. Nome dell’azienda: Medical Trading s.r.l. (B)
2. Città e regione: Cadorago (Como), Lombardia
3. Dimensione: Microimpresa
4. Prodotti/servizi offerti e business model: Dispositivi medici per la sterilizzazione e
accessori
5. Tipologie di clienti e in che proporzione: Rivenditori e grossisti del settore medico,
dentale, estetico. I rapporti con gli utilizzatori sono solitamente limitati per questioni
inerenti l’assistenza e/o manutenzione.
6. Presenza dell’ufficio marketing internamente all’azienda: Si
B. PROFILO DELL’INTERVISTATO
1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: Direttore ufficio marketing
2. Età dell’intervistato: 30 anni
3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Laurea
4. Periodo di lavoro nell’azienda: dal 2011 (8 anni)
C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA
1. L’azienda è presente sui social media?
Sì
2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?
Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram, da circa il 2012/2013
161
3. Siete attivi?
Su Facebook abbastanza attivi con 1 post ogni 1/2 mesi. Maggiore attività durante gli
eventi fieristici e festività (Natale, Pasqua, vacanze estive).
Twitter, inizialmente eravamo più attivi ma ormai lo abbiamo quasi abbandonato.
LinkedIn non lo utilizziamo molto.
Instagram nell’ultimo anno è utilizzato soprattutto durante gli eventi fieristici, con foto e
video dello stand e/o luogo della fiera.
4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?
La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,
qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari ce intendete
raggiungere negli specifici social media?
Attualmente non abbiamo una strategia social. Inizialmente cercavamo di mantenere
aggiornati Facebook e Twitter contemporaneamente. Ma dopo 2/3 anni riscuotendo poco
risposte su Twitter abbiamo iniziato ad aggiornalo meno frequentemente.
Facebook e il nostro social principale, inizialmente puntavamo molto su questa
nuova tecnologia per aumentare la visibilità del nostro brand e dei nostri prodotti, ma fino
ad ora ciò non è avvenuto.
Riteniamo la presenza su Facebook fondamentale, come avere il website aziendale,
ma più per una questione di dimostrare serietà e professionalità della nostra azienda che
come canale di vendita.
5. Chi si occupa della gestione dei social media?
Me ne occupo personalmente.
6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?
I contenuti sono uniformati ad altro materiale pubblicitario (brochure, cataloghi). Essendo
sempre prodotti internamente dal nostro ufficio marketing, utilizziamo le stesse immagini
adattandole alle dimensioni richieste dal social network.
162
7. Vi è una fase di raccolta e rielaborazione dei dati raccolti tramite i social media?
Solitamente no, solamente durante la sponsorizzazione della nostra partecipazione ad un
evento fieristico, abbiamo sponsorizzato la nostra presenza aumentando la nostra
visibilità ed ottenendo molto più follower. Abbiamo utilizzato i dati ottenuti, ma il
pubblico interessato alla nostra pagina non sono direttamente il nostro pubblico di
maggiore interesse.
8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?
Non molto.
9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali sono
queste criticità?
La criticità è dovuta alla questione della geolocalizzazione. Facebook punta molto su
questo dato, ma nel nostro caso non e molto efficace, in quanto il nostro profilo di cliente
e molto selezionato (rivenditori) e molto vasto (Europa, Nord Africa, Medio Oriente,
Alcuni paesi dell’Asia, e Sud America). Per Facebook questa zona è troppo vasta, mentre
la ricerca dei rivenditori e molto limitata. Inoltre essendo il mostro pubblico solamente
B2B, questo restringe molto la fetta di utenti interessati al nostro profilo. Raramente il
proprietario la persona in contatto con la mostra azienda, ci di dimostra interessato alla
nostra pagina, ma solamente dal suo profilo privato. Mentre gli utilizzatori finali, abbiamo
veramente pochi contatti che ci seguono sui social.
Invece abbiamo riscontrato successo per quanto riguarda la possibilità di chattare
direttamente e velocemente. È capitato spesso che alcuni utilizzatori ci contattassero per
questioni di assistenza e/o informazioni, ma non si sono dimostrati interessati a seguire la
nostra pagina. Una volta ricevuta risposta alla loro questioni non ci hanno più contattato.
10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?
Certo come detto, riteniamo fondamentale la presenza sui social, non siamo però
interessati ad investire denaro e/o risorse, se non per aumentare la visibilità durante eventi
fieristici.
163
11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali?
Il canale social si integra solamente per quanto concerne l’assistenza, ma rimane in fatto
passivo per quanto riguarda la nostra azienda.
164
INTERMED SRL (C)
Data intervista: 19/02/2019
Durata intervista: 20 minuti
Modalità intervista: chiamata telefonica
A. PROFILO DELL’AZIENDA
1. Nome dell’azienda: Intermed Srl (C)
2. Città e regione: Milano, Lombardia
3. Dimensione dell’azienda: piccola impresa
4. Prodotti/servizi offerti e business model: Dispositivi medici di varie tipologie,
elettromedicali, monouso
5. Tipologie di clienti e in che proporzione: Clientela varia, medici, Università,
ortopedie, farmacie, grossisti
6. L’azienda è dotata di un ufficio marketing? Sì
B. PROFILO DELL’INTERVISTATO
1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: Responsabile commerciale e socio dell’azienda
2. Età dell’intervistato: 52 anni
3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Diploma di scuola media superiore
4. Periodo di lavoro nell’azienda: Dalla sua fondazione, dal 1996 (23 anni)
C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA
1. L’azienda è presente sui social media?
Sì, l’azienda è presente sui social.
2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?
Siamo presenti su Facebook e LinkedIn da circa due anni su spinta del marketing.
165
3. Siete attivi?
Sì lo siamo.
4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?
La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,
qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete
raggiungere negli specifici social media?
Pubblichiamo x per i clienti, informazioni anche tecniche con lo scopo di farci pubblicità,
far conoscere il nostro brand. Targhetizziamo sempre per raggiungere le figure
professionali che pensiamo siano interessate a quello che facciamo.
5. Chi si occupa della gestione dei social media?
Io personalmente.
6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?
Sono io che in autonomia, in base alla mia esperienza e conoscenza, a seconda del tema
scelgo e decido cosa dire.
7. Vi è una fase di raccolta e di rielaborazione dei feedback giunti tramite i social
media?
Si, raccolgo i risultati mensili automaticamente offerti da Facebook e li archivio man
mano. Mi rendo conto che serve un approccio più professionale, quindi stiamo seriamente
pensando di affidarci ad un’agenzia esterna di comunicazione che ci gestisca i social
network.
8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?
Sì, ma ci sembra che si possa fare molto di più.
9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali?
No, nessuna criticità.
166
10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?
Sì assolutamente, come detto prima ci vogliamo appoggiare ad un’agenzia esterna perché
ci rendiamo conto che si può fare ancora molto più di così.
11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali di comunicazione?
No.
167
AZIENDA (D)
Data intervista: 21/02/2019
Modalità intervista: scambio di e-mail
B. PROFILO DELL’INTERVISTATO
1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: Marketing assistant
2. Età dell’intervistato: 24 anni
3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Laurea triennale
4. Periodo di lavoro nell’azienda: Giugno 2018 (1 anno)
C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA
1. L’azienda è presente sui social media?
Sì.
2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?
LinkedIn, da giugno 2018. Su spinta dell’AD e del direttore commerciale
3. Siete attivi?
In media 2 post a settimana
4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?
La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,
qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete
raggiungere negli specifici social media?
Abbiamo un calendario editoriale scandito dai congressi e dal raggiungimento di obiettivi
(di vendita e di documenti qualitativi). Per ora operiamo solo su LinkedIn in quanto il
nostro target di riferimento sono medici o esperti del settore.
5. Chi si occupa della gestione dei social media?
Io affiancata da un’agenzia di comunicazione di Milano
168
6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?
In base ai congressi e ai risultati raggiunti richiedo un’infografica all’agenzia di
comunicazione. Assieme al marketing manager elaboriamo un contenuto testuale da
affiancare all’infografica
7. Vi è una fase di raccolta e di rielaborazione dei feedback giunti tramite i social
media?
Sì, mensilmente. Analisi della copertura, delle condivisioni e del pubblico acquistato.
8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?
Sì.
9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali?
Attualmente no.
10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?
Si, l’obiettivo è quello di iniziare ad elaborare video da pubblicare sul canale YouTube.
11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali di comunicazione?
Sì, attraverso pubblicità su riviste specializzate e comunicati stampa.
169
MORETTI SPA (E)
Data intervista: 28/01/2019
Durata intervista: 30 minuti
Modalità intervista: chiamata telefonica
A. PROFILO DELL’AZIENDA
1. Nome dell’azienda: Moretti SPA (E)
2. Città e regione: Meleto, Cavriglia (Arezzo), Toscana
3. Dimensione dell’azienda: 63 dipendenti
4. Prodotti/servizi offerti e business model: L’amplia offerta si compone delle seguenti
categorie di prodotti:
ortopedia: ausili per l'Home Care e per la vita quotidiana degli anziani e
dei pazienti diversamente abili;
mobilità: carrozzine da accompagnamento, carrozzine autospinta,
carrozzine elettriche, scooter elettrici a tre o quattro ruote;
antidecubito: materassi statici e ad aria, cuscini ed altri ausili per la
prevenzione del decubito.
misuratori di pressione: misuratori di pressione e stetoscopi professionali
e per automisurazione. Una linea completa di parti di ricambio ed accessori;
home care – prodotti per la salute: prodotti per la cura e la terapia
domiciliare della persona e del bambino;
elettromedicali: elettroterapie ad uso medicale, aspiratori chirurgici ed una
moderna linea di prodotti elettromedicali per uso professionale ed ospedaliero;
diagnostica medica: ossimetri, elettrocardiografi, doppler fetali e
vascolari, defibrillatori, monitors paziente, ecografi, cardiotocografi, spirometri e
colposcopi;
monouso e articoli sanitari: articoli sterili e monouso, articoli sanitari;
170
emergenza: prodotti e attrezzature per l'emergenza, la rianimazione ed il
pronto soccorso;
mobilio e arredo ospedalieri: letti da visita medica, carrelli ed arredamento
per ambulatorio;
strumentario chirurgico e dentale-sterilizzazione.
5. Tipologie di clienti e in che proporzione: I clienti sono al 100% business, ovvero non
si vende direttamente ai domiciliari privati. L’azienda dispone di una capillare rete di
agenti che rintracciano ospedali, case di cura e di riposo, sanitarie, ortopedie per offrire i
nostri prodotti.
6. Presenza dell’ufficio marketing internamente all’azienda: Sì
B. PROFILO DELL’INTERVISTATO
1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: consulente in digital content management
2. Età dell’intervistato: 34 anni
3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Laurea magistrale in Progettazione e Gestione
della Comunicazione d’impresa presso Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
4. Periodo di lavoro nell’azienda: inizio 2018 (1 anno)
C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA
1. L’azienda è presente sui social media?
Sì, l’azienda è presente sui social media.
2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?
Siamo presenti da anni su Facebook, LinkedIn e da circa una settimana anche su
Instagram. L’idea di sviluppare una strategia social ben strutturata proviene da:
171
Moretti Service e Consulting: uno spin-off, una sorta di agenzia di comunicazione a
disposizione anche dei clienti. L’amministratore delegato è Filippo (45 anni), che assieme
alla sorella Chiara Fabbrini sono a capo dell’azienda. Qualche anno fa c’è stato appunto
il passaggio generazionale dai genitori ai figli.
3. Siete attivi?
Siamo attivi soprattutto su Facebook, che è il nostro canale social principale, mentre in
modo secondario Linkedin, Instagram.
4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?
La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,
qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete
raggiungere negli specifici social media?
Sì certo, c’è ovviamente una strategia. L’obiettivo strategico è la creazione di articoli che
forniscano informazioni realmente utili agli acquirenti dei nostri prodotti. Noi puntiamo
a raggiungere soprattutto i figli o i caregiver delle persone anziane, che sono poi i clienti
diretti di alcuni dei nostri prodotti. Il risultato che vorremmo ottenere è che loro vadano
dal distributore richiedendo di preferenza i prodotti Moretti SPA. I nostri contenuti
vengono poi spesso anche ricondivisi dai clienti diretti Moretti, ad esempio le ortopedie,
secondo una logica di network. Per ora Facebook la fa da padrone sulla strategia.
Su Linkedin non c’è al momento una vera e propria attività specifica, è solo per presidio
in cui i contenuti proposti sul magazine vengono ripostati.
5. Chi si occupa della gestione dei social media?
Ce ne occupiamo io e la Moretti Service&Consulting.
6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?
Gli articoli per lo più li scrivo direttamente io. In aggiunta abbiamo al momento attiva
una collaborazione con una blogger e giornalista.
Poi a seconda dell’articolo ci sono interlocutori differenti, quali i colleghi di Ricerca e
Sviluppo per le parti più tecniche, l’ufficio commerciale, come anche chi si occupa delle
172
normative. Per la parte grafica, a volte ci affidiamo a fornitori esterni. È capitato nel caso
di video e shooting. Della redazione di immagini e grafica, invece, ad occuparsene è la
nostra agenzia interna.
7. Vi è una fase di raccolta e di rielaborazione dei feedback giunti tramite i social
media?
Facciamo campagne pubblicitarie con cui sponsorizziamo i contenuti che produciamo. Di
questi analizzano i risultati che raggiungiamo in termini di copertura, cioè quante persone
sono state raggiunte da quel contenuto; monitoriamo quanti poi hanno effettivamente letto
un determinato articolo o hanno eventualmente lasciato il proprio indirizzo e-mail per
essere ricontattati da noi.
8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?
Dopo un anno di lavoro sui social, sono state tratte delle conclusioni. L’azienda ha, ad
esempio, deciso di investire anche nella comunicazione nei punti vendita, tramite
espositori ad esempio, per rendere ancora più evidente il brand. Siamo soddisfatti dei
risultati raggiunti. Moretti sui social è più che duplicata in un anno. Raggiungiamo
mediamente 30.000 persone alla settimana e un centinaio di queste interagiscono con il
contenuto che viene proposto. Questi sono valori per noi significativi e importanti.
9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali?
Non abbiamo rilevato criticità particolari, se non quelle legate a problematiche specifiche
di Facebook che a volte porta a risultati un po’ falsati.
10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?
Sì, assolutamente.
173
11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali di comunicazione?
Sì, lo scorso anno, oltre al sito è stato implementato un Magazine di un dominio di terzo
livello del dominio Madre Moretti SpA dove appunto è stato creato un vero e proprio
magazine aziendale. Quest’anno invece abbiamo in programma una ristrutturazione del
sito col fine di renderlo più organico. L’obiettivo generale, aldilà anche dei social è quello
di migliorare anche il posizionamento dell’azienda nei motori di ricerca. Ad esempio si
vuole che l’utente che digiterà “Come scegliere una carrozzina?” trovi nei nostri contenuti
una risposta precisa e completa alle sue esigenze. L’attività social è quindi integrata con
una strategia di comunicazione digitale a 360 gradi.
L’offline è invece più una comunicazione “commerciale”, di prodotto, per il momento.
174
BIBLIOGRAFIA
Albadvi A., Hosseini M., (2011) "Mapping B2B value exchange in marketing
relationships: a systematic approach", Journal of Business & Industrial Marketing, 26:7,
pp. 503-513, https://doi.org/10.1108/08858621111162307
Alves H., Fernandes C., Raposo M., (2016) “Social Media Marketing: a literature review
and implications”, Psychology & Marketing, 33:12, pp. 1029–1038
Arias T.J, Acebrón B.L., (2001) "Postmodern approaches in business‐to‐business
marketing and marketing research", Journal of Business & Industrial Marketing, 16:1,
pp. 7-20, https://doi.org/10.1108/08858620110364431
Atwong C.T., (2015) “A social media practicum: an action-learning approach to social
media marketing and analytics”, Marketing Education Review, 25:1, pp. 27–31, DOI:
10.1080/10528008.2015.999578
Bocconcelli R., Grandinetti R., Tunisini A., (2015), “Made in Italy: the italian
contribution to the development of business marketing discipline and practices”, Journal
of Business-to-Business Marketing, 22:3, 161-196, DOI:
10.1080/1051712X.2015.1081013
Davidaviciene V., Pabedinskaite A., Davidavicius S., (2017) “Social
Networks in B2B and B2C Communication”, Transformations in Business & Economics,
16:1, pp. 69-84
De Chernatony L., McDonald M., Wallace E., Creating powerful brands, New York,
Routledge, 2011
Dodson I., The art of digital marketing: the definitive guide to creating strategic, targeted,
and measurable online campaigns, New Jersey, John Wiley & Sons, 2016
175
Flanigan R.L., Obermier R.T., (2016) “An assessment of the use of social media in the
industrial distribution business-to-business market sector, The Journal of Technology
Studies, pp. 18-28
Foglio A., Il marketing industriale, Milano, Franco Angeli, 2000
Gesell C., Glas A. H., Essig M., (2018) “Business-to-Business communication in a
dynamic environment: A systematic adductive analysis referring to ramp-up
management”, Journal of Business-to-Business Marketing, 25:4, pp.339-355,
DOI:10.1080/1051712X.2018.1532664
Giacomazzi F., Marketing industriale, Milano, McGraw-Hill, 2002
Giulivi A., Marketing relazionale e comunicazione business-to-business, Milano, Franco
Angeli s.r.l, 2001
Grönroos Ch., (2004) "The relationship marketing process: communication, interaction,
dialogue, value", Journal of Business & Industrial Marketing, 19:2, pp. 99-113,
https://doi.org/10.1108/08858620410523981
Guesalaga R., (2018) “The use of social media in sales: individual and organizational
antecedents, and the role of customer engagement in social media”, Industrial
Marketing Management, 54, pp. 71-79
Guerini A., Bona A., Sinatra A., Uslenghi A., Percorsi evolutivi del marketing: marketing
internazionale, marketing relazionale, media, new media e marketing, comunicazione
business to business, Milano, Guerini Studio, 2004
Gummeson E., Marketing Relazionale. Gestione del marketing nei network di relazioni,
Milano, Ulrico Hoepli Editore S.p.A, 2006
176
Gummesson E., Polese F., (2009), “B2B is not an island!, Journal of Business & Industrial
Marketing”, 24: 5/6, pp. 337-350, https://doi.org/10.1108/08858620910966228
Kerin A.R., Rudelius W., Hartly W.S., Pellegrini., Marketing, McGraw Hill, 2014
Hanna Keinänen, Olli Kuivalainen, (2015) "Antecedents of social media B2B use in
industrial marketing context: customers’view", Journal of Business & Industrial
Marketing, Vol. 30:6, pp.711-722, https://doi.org/10.1108/JBIM-04-2013-0095
Hänninen N., Karjaluoto H., (2017) "The effect of marketing communication on business
relationship loyalty", Marketing Intelligence & Planning, 35:4, pp. 458-472,
https://doi.org/10.1108/MIP-01-2016-0006
Huotari L, Ulkuniemi P., Saraniemi S., Mäläskä M, (2015) "Analysis of content creation
in social media by B2B companies", Journal of Business & Industrial Marketing, 30: 6,
pp. 761-770, https://doi.org/10.1108/JBIM-05-2013-0118
Karjaluoto H., Mustonen N., Ulkuniemi P., (2015) "The role of digital channels in
industrial marketing communications", Journal of Business & Industrial Marketing,
30:6, pp. 703-710, https://doi.org/10.1108/JBIM-04-2013-0092
Kotler Ph., Il marketing secondo Kotler, Milano, Il Sole 24 ORE, 1999
Kotler Ph., Armstrong G., Principi di Marketing. 13° edizione, Milano, Pearson Paravia
Bruno Mondadori, 2010
Kotler Ph., Keller K.L., Fabio Ancarani., Michele Costabile, Marketing management. 15°
edizione, Milano, Torino, Pearson Italia, 2017
Kotler Ph., Keller, K.L., Marketing Management. 12° edizione, Upper Saddle River, New
Jersey, Prentice Hall, Inc. 2006
177
Lacoste S., (2016) “Perspectives on social media and its use by key account managers”,
Industrial Marketing Management, 54, pp. 33-43
LaPlaca P.J., Katrichis J.M., (2009) “Reply: assessing b2b research in the marketing
literature: focus versus relevance”, Journal of Business-to-Business Marketing, 16:1-2,
pp. 55-61, DOI: 10.1080/10517120802484288
Lashgari M., Sutton-Brady C., Klaus Solberg Søilen K.S., Ulfvengren P., (2018)
"Adoption strategies of social media in B2B firms: a multiple case study approach",
Journal of Business & Industrial Marketing, 33:5, pp.730-743,
https://doi.org/10.1108/JBIM-10-2016-0242
Liu A., Leach M., Chugh R., (2015) "A sales process framework to regain B2B
customers", Journal of Business & Industrial Marketing, 30:8, pp. 906-914,
https://doi.org/10.1108/JBIM-02-2014-0026
Metz C., (2007) “Web 3.0. The Internet is changing…again”, PC Magazine, pp. 74-79
Mehmet I., Clarke R.J., (2015) “B2B social media semantics: Analysing multimodal
online meanings in marketing conversations”, Industrial Marketing Management, 54, pp.
92-106
Michaelidou N., Siamagka, N.T., Christodoulides G., (2011) “Usage, barriers and
measurement of social media marketing: an exploratory investigation of small and
medium B2B brands”, Industrial Marketing Management, 40:7, pp. 1153-1159
Minestroni L., Il manuale della marca, Bologna, Fausto Lupetti editore, 2010
Morlacchi P., Wilkinson I.F., Young L. C., (2005) “Social Networks of Researchers in
B2B Marketing: A Case Study of the IMP Group 1984–1999”, Journal of Business to-
Business Marketing, 12:1, pp. 3-34, DOI: 10.1300/J033v12n01_02
178
Nobre H., Silva., (2016) “Social Network Marketing Strategy and SME Strategy
Benefits”, Journal of Transnational Management, 19:138–151, DOI:
10.1080/15475778.2014.904658
Pandey S. K., Mookerjee A., (2018) “Assessing the role of emotions in B2B decision
making: an exploratory study”, Journal of Indian Business Research, 10:2, pp. 170-192,
https://doi.org/10.1108/JIBR-10-2017-0171, 2018
Pascucci F., Ancillai C., Cardinali S., (2018) "Exploring antecedents of social media
usage in B2B: a systematic review", Management Research Review, 41: 6, pp. 629-656,
https://doi.org/10.1108/MRR-07-2017-0212
Peretti P, Marketing digitale: Scenari, Strategie, Strumenti, Milano, Apogeo, 2011
Piñeiro-Otero T., Martínez-Rolán X., Understanding Digital Marketing. Basics and
Actions, Switzerland Springer International Publishing, 2016
Preedip Balaji B., Vinay M.S., Shalini B.G., Mohan Raju J.S., (2018) "An integrative
review of Web 3.0 in academic libraries", Library Hi Tech News, 35:4, pp. 13-17,
https://doi.org/10.1108/LHTN-12-2017-0092
Rasul T., (2018) “Relationship marketing’s importance in modern corporate culture”,
The Journal of Developing Areas, 52:1
Rudman R., Bruwer R., (2016) "Defining Web 3.0: opportunities and challenges", The
Electronic Library, 34: 1, pp.132-154, https://doi.org/10.1108/EL-08-2014-0140
Russo I., Confente I., Customer loyalty and supply chain management. Business-to-
business customer loyalty analysis, New York, Routledge, 2017
Santosh Kumar Pandey, Amit Mookerjee, (2018) "Assessing the role of emotions in B2B
decision making: an exploratory study", Journal of Indian Business Research, 10:2, pp.
170-192, https://doi.org/10.1108/JIBR-10-2017-0171
179
Saura I., Deltoro M, Taulet A., (2009) "The value of B2B relationships", Industrial
Management & Data Systems, 109:5, pp. 593-609,
https://doi.org/10.1108/02635570910957605
Sheldrake Ph., The marketing century: how marketing drives business and shapes society,
The Chartered Institute of Marketing, 2011
Siamagka N.Th., Christodoulides G., Michaelidou N., Valvi A., (2015) “Determinants of
social media adoption by B2B organizations”, Industrial Marketing Management, 51, pp.
89–99
Signori P., Visioni, percorsi e verifiche nei controlli manageriali. Applicazioni al
marketing e alla comunicazione, Milano, McGraw-Hill, 2008
Sofiadin A.B.M, (2014) "Sustainable development, e-learning and Web 3.0: A descriptive
literature review", Journal of Information, Communication and Ethics in Society, 12:3,
pp.157-176, https://doi.org/10.1108/JICES-03-2014-0018
Swani K., Brown P.B., Milne R.G., (2014) “Should tweets differ for B2B and B2C? An
analysis of Fortune 500 companies' Twitter communications”, 17:3, pp. 22-30
Swani K., Milne G. R., Brian P. Brown, Assaf G.A., Donthud N., (2017) “What
messages to post? Evaluating the popularity of social media communications in
business versus consumer markets”, Industrial Marketing Management, 62, pp. 77–87
Tarantini J., Università degli Studi di Bologna, Tesi di laurea magistrale in Scienze di
Internet, L’utilizzo del Social Media Marketing nell’ambito della strategia aziendale,
2011-2012
Terawatanavong C., Ali Quazi A., (2006) "Conceptualising the link between national
cultural dimensions and B2B relationships", Asia Pacific Journal of Marketing and
Logistics, 18:3, pp. 173-183, https://doi.org/10.1108/13555850610675643
180
Vosgerau J., Anderson E., Ross W.T Jr., (2008) “Can innacurate perceptions in business-
to-business (B2B) relationships be beneficial”, Marketing Science, 27:2, pp. 205-224
Wang Y., Pauleen J.D., Zhang T., (2016) “How social media applications affect B2B
communication and improve business performance in SMEs”, Industrial Marketing
Management, 54, pp. 4-14
Wang Y., Rod M., Ji Sh., Deng Q., (2017) "Social media capability in B2B marketing:
toward a definition and a research model", Journal of Business & Industrial Marketing,
32:8, pp. 1125-1135, https://doi.org/10.1108/JBIM-10-2016-0250
Zimmerman A., Blythe J., Business to business marketing management. A global
perspective, New York, Routledge, 2013
181
182
SITOGRAFIA
https://www.aism.org
https://www.assobiomedica.it
https://www.businessinternational.it
https://www.cribis.com/
https://www.digital4.biz/
https://ethority.de/en/
https://hootsuite.com/it/
https://www.ilsole24ore.com/
http://www.internetlivestats.com/
https://www.internetworldstats.com/
https://www.istat.it/
http://www.salute.gov.it/portale/home.html
https://www.onlinemarketinginstitute.org/
https://www.prometeia.it/
https://www.servicemed.it/
https://statcounter.com/
https://www.univr.it/it/
https://www.web-stat.com/
https://it.wikipedia.org/
183
184
RINGRAZIAMENTI
Questo traguardo tanto voluto, desiderato, e un po’ anche sudato non avrebbe lo stesso
sapore senza tutte le persone incontrate lungo il cammino. Persone che mi hanno aiutata,
in tutti i modi in cui una persona può essere aiutata. Persone che hanno creduto in me,
quando io ero la prima a non crederci. Persone che hanno capito bene tutte le mie
debolezze e le mie insicurezze e se ne sono prese cura. Persone che mi hanno spronata a
crescere e a superare i miei limiti.
Ringrazio in primis il Professor Brunetti, il relatore di questa tesi, per la pazienza e la
professionalità con cui mi ha guidato, consigliato e supportato durante tutte le fasi della
stesura. Lo ringrazio anche in qualità di tutor aziendale per avermi accompagnata nelle
mie prime esperienze lavorative. È stato un piacere e un onore essere seguita da una
persona che stimo tantissimo.
Tutte le aziende che, in modo disinteressato e con tanta disponibilità, hanno contribuito a
questo lavoro.
Gabriele, per aver creduto in me e per avermi accompagnata durante tutto il periodo in
azienda con estrema professionalità. Per avermi aiutata a superare alcuni miei limiti e per
avermi resa un po’ più consapevole delle mie capacità. È stato fondamentale il tuo
contributo anche durante la scrittura della tesi. Ti sarò sempre infinitamente grata per tutto
quello che hai fatto per me.
La mia famiglia per esserci sempre stata.
Mia sorella, perché in fondo, anche se siamo così diverse, ci vogliamo bene e tu me lo
dimostri ogni volta che mi tendi la mano quando mi vedi in difficoltà.
Tutta la famiglia Calabrese, dalla cui parte non è mai mancato l’affetto e il supporto,
nonostante la distanza che ci separa. Grazie per tutto il calore che sapete trasmettermi in
ogni occasione.
185
Tutto il gruppo dei miei compagni di Università con cui ho condiviso questo percorso.
Elena, per la tua capacità di infondere allegria e per tua la disponibilità che supera ogni
confine. Per il tuo modo di fare così spontaneo e genuino, e per la bontà che metti in ogni
tuo gesto. Senza te non sarebbe stata la stessa cosa. Grazie. Spero di non perderci mai di
vista.
Giorgia, per tutto il filo da torcere che ci siamo date a vicenda e per avermi dato la
possibilità di conoscerti fino in fondo. Una persona meravigliosa dietro a strati di
apparenze. Sei stata un punto di riferimento fondamentale.
Leo, per il tuo punto di vista sempre fuori dalle righe e per la leggerezza che sai dare alle
cose facendo vedere tutto sotto un’altra prospettiva.
Gaia, per la tua simpatia contagiosa e la tua solarità
Silvia, per essere sempre fonte di saggi consigli.
Teresa, per essere la mia amica da sempre.
Giulia, una spalla su cui so che posso contare. Un mix di cuore, simpatia e intelligenza di cui da
qualche anno non riesco più a fare a meno.
Il gruppo Erasmus, uno ad uno, per avermi fatto vivere tra i momenti più belli della mia vita che
custodisco gelosamente nel mio cuore. Mi avete insegnato tanto.
Flora, per essere la mia nonna acquisita, la mia amica, la mia confidente, il mio faro
sempre presente quando mi perdo. A te devo tutto quello che di bello ho adesso. Sei da
sempre un modello per me. Vorrei diventare come te, o almeno la metà.
Vincenzo, perché ultimamente hai sentito più spesso le parole “B2B”, “tesi”, “Social
Media” che la parola “amore”. Un grazie speciale al mio amico, al mio fidanzato, al mio
complice, al mio compagno di vita, al mio fan numero uno. Spero un giorno di riuscire a
fare per te quello che tu fai per me.
Tutti i miei amici, colleghi, compagni che ho incontrato nel mio cammino.
186
E concludo riprendendo da dove tutto è cominciato. Un grazie va a voi nonni, mio
sostegno, mia radice, mio cuore. Qualcuno di voi abita distante, qualcuno è ancora più
lontano, ma io vi sento tutti vicini nel mio quotidiano. Eternamente grazie per essere i
miei nonni. Spero di avervi resi un po’ orgogliosi e mi piace immaginarvi mentre vi
emozionate insieme a me quest’oggi.
187