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THE MELAMMU PROJECT http://www.aakkl.helsinki.fi/melammu/ “Eracle tra Oriente e Occidente” SILVIA MARIA CHIODI Published in Melammu Symposia 4: A. Panaino and A. Piras (eds.), Schools of Oriental Studies and the Development of Modern Historiography. Proceedings of the Fourth Annual Symposium of the Assyrian and Babylonian Intellectual Heritage Project. Held in Ravenna, Italy, October 13-17, 2001 (Milan: Università di Bologna & IsIao 2004), pp. 93-116. Publisher: http://www.mimesisedizioni.it/ This article was downloaded from the website of the Melammu Project: http://www.aakkl.helsinki.fi/melammu/ The Melammu Project investigates the continuity, transformation and diffusion of Mesopotamian culture throughout the ancient world. A central objective of the project is to create an electronic database collecting the relevant textual, art-historical, archaeological, ethnographic and linguistic evidence, which is available on the website, alongside bibliographies of relevant themes. In addition, the project organizes symposia focusing on different aspects of cultural continuity and evolution in the ancient world. The Digital Library available at the website of the Melammu Project contains articles from the Melammu Symposia volumes, as well as related essays. All downloads at this website are freely available for personal, non-commercial use. Commercial use is strictly prohibited. For inquiries, please contact [email protected] .

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THE MELAMMU PROJECT

http://www.aakkl.helsinki.fi/melammu/

“Eracle tra Oriente e Occidente”

SILVIA MARIA CHIODI

Published in Melammu Symposia 4:

A. Panaino and A. Piras (eds.),

Schools of Oriental Studies and the Development

of Modern Historiography.

Proceedings of the Fourth Annual Symposium of the

Assyrian and Babylonian Intellectual Heritage Project.

Held in Ravenna, Italy, October 13-17, 2001

(Milan: Università di Bologna & IsIao 2004), pp. 93-116.

Publisher: http://www.mimesisedizioni.it/

This article was downloaded from the website of the Melammu Project:

http://www.aakkl.helsinki.fi/melammu/

The Melammu Project investigates the continuity, transformation and diffusion of

Mesopotamian culture throughout the ancient world. A central objective of the project is to

create an electronic database collecting the relevant textual, art-historical, archaeological,

ethnographic and linguistic evidence, which is available on the website, alongside

bibliographies of relevant themes. In addition, the project organizes symposia focusing on

different aspects of cultural continuity and evolution in the ancient world.

The Digital Library available at the website of the Melammu Project contains articles from

the Melammu Symposia volumes, as well as related essays. All downloads at this website

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CHIODI ERACLE TRA ORIENTE E OCCIDENTE

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SILVIA MARIA CHIODI Roma

Eracle tra Oriente e Occidente

a doppia natura di Eracle, eroe edio, ha da sempre appassionato glistudiosi del mondo antico e molto

è stato scritto sulle sue origini orientali,ravvisate in Mesopotamia,1 Fenicia edEgitto… La spinta iniziale di queste ana-lisi fu data dagli stessi antichi, da Erodotoche, nelle sue Storie, non lo considerò un

eroe e un dio greco, ma uno straniero.2

Nella ricerca della patria natia di Era-cle, gli studiosi contemporanei hanno po-sto l’attenzione su numerosi aspetti: daquelli propriamente iconografici a quelli,invece, che toccavano la sua natura, lasua ambivalente condizione di dio e dieroe, le sue fatiche, la sua vittoria sulla

L

1 Sono state notate, a tal proposito, delle somiglianze,purtroppo mute, in quanto iconografiche, tra le im-prese di Eracle e quelle di divinità della terra tra i duefiumi, identificate dagli studiosi come Ninurta o Nin-girsu. Sono stati evidenziati, inoltre, dei paralleli trale fatiche di Ercole con le vicende accorse al re diUruk, Gilgameš, e che sono narrate nell’Epopea diGilgameš. Molte di queste attestazione sono riportateda W. Burkert in Structure and History in GreekMythology and Ritual (Berkeley 1979), trad. it. di F.Nuzzaco, Mito e rituale in Grecia. Struttura e storia(Milano 1992), 128 sgg.Nel chiedersi se Eracle possa essere consideratoun’importazione dell’Oriente del VII secolo lo stu-dioso sottolinea, tra le altre cose, che «… la prima erozza immagine di una lotta col leone, su un piedi-stallo di tripode del tardo periodo geometrico prove-niente da Atene, che è quasi contemporaneo al primodocumento di scrittura greca, è di derivazione orien-tale, sebbene si possa a buon diritto pensare che rap-presenti Eracle» (p. 132). Egli ricorda, inoltre, chenel 1939 Frankfort ipotizzò tale migrazione nel IIImillennio mentre nel 1958 Brudege avanzò l’ipotesiche essa si diffuse, da Tiro alla Lidia, nella primametà del bronzo (p. 133, n. 28).La menzione di Tiro apre il problema relativo allapossibile mediazione fenicia. Il culto di Nergal interra greca è, con certezza, attestato nel III secoloa.C. in una iscrizione bilingue, greca-fenicia, trovatanel Pireo, CIS I, 119 = KAI 59, e su cui ci sofferme-remo nel prosieguo del lavoro.Tra le tante ipotesi, includenti od escludenti tale me-diazione, si ricorda quella avanzata da Lipinski inDieux et Déesses de l’univers phénicien et punique(Leuven 1995), 242-243. Lo studioso belga, nel sof-fermarsi sull’assimilazione in epoca greco-romana diNergal con Eracle – attestata a Palmira, Hatra e aTarso –, afferma che probabilmente l’identificazionefra i due dèi risale almeno al V secolo a.C., come

dimostrerebbero due monete di questo periodo tro-vate a Tarso in cui è incisa la legenda «Nrgl Trz»«Nergal di Tarso». In ambedue il dio è raffiguratocon arco, lancia o scettro ed in una è rappresentatoritto su un leone. Questa iconografia richiama quellacontemporanea di Eracle incisa su due monete diCipro (Lapéthos). Secondo Lipinski, questo paralleli-smo iconografico e temporale escluderebbe l’ipotesinel processo sincretistico di una mediazione del diofenicio Melqart.W. Burkert, Mito e rituale in Grecia, 132, a sua voltaricorda che la morte di Eracle sul rogo del monteOeta ha il suo corrispettivo a Tarso nell’incendio deldio Santas/Sandas/Sandes, alias Eracle e, aggiungia-mo noi, dato che anche di Melqart le fonti ci infor-mano del suo «passare per il fuoco», gli studiosidiscutono, anche in questo caso, se sia possibile sta-bilire una connessione tra Eracle-Melqart-Nergal.Discussa è anche l’ipotesi di un’identificazione diNergal con Melqart (la versione della Lista di E. F.Weidner in Altababylonische Götterlisten, in Archivfür Keilschriftforschungen 2 (1924-25), 1-18 e 71-82identifica dma-lik a dU.GUR) in diversi siti fenici:ricordo tra gli altri, oltre Tarso, Palmira e Hatra di cuiabbiamo già detto, anche Ibiza, Akko, Cartagine;Tharros, Thasos. Che, in terra Fenicia si praticasse ilculto di Nergal non deve certo stupire, in quanto,come testimonia la Bibbia, in II Re 17, 24.30 (ricor-dato da H. Donner - W. Röllig, Kanaanäische undAramäische Inschriften, II (Wiesbaden 1968), 72-73),i cittadini di Khuta furono mandati dagli assiri a Sa-maria e lì hanno praticato il culto di Nergal, e come silegge in un’iscrizione su sigillo del II millennio, tro-vato a Tell Ta‘annek, un certo Atna -ili si definisce«servitore di Nergal» (E. Sellin, Tell Ta‘annek 1(1904) Abb. 22).2 Le possibili patrie di Eracle sono, secondo Erodoto,Le Storie, II, 43-44, l’Egitto, Tiro e Taso.

A. Panaino & A. Piras (eds.)MELAMMU SYMPOSIA IV (Milano 2004)ISBN 88-88483-206-3

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morte, il suo nome3...In questo lavoro ci si soffermerà su

quest’ultimo aspetto e sui rapporti diEracle con il mesopotamico Nergal, am-bedue, seppur in maniera diversa, vinci-tori del funesto destino di morte.

Come è noto, la divinità di Eracle è af-fermata per la prima volta nell’Odissea,più precisamente nel Libro XI, dove conqueste parole Omero fa narrare ad Ulisseil suo incontro con il mitico personaggio:

E poi conobbi la grande forza di Eracle,ma la parvenza sola: lui tra i numi immortaligode il banchetto, possiede Ebe caviglia bella,figlia del gran Zeus e di Era sandali d’oro.4

Il passo è stato ritenuto da alcuni stu-diosi interpolato. Rohde, ad esempio, sot-tolineò che «chi scrisse questo trattava lateologia a modo suo: né Omero né i Gre-ci posteriori conoscono affatto questa op-posizione tra un «se stesso», che vive pie-namente ed è quindi costituito dall’unionedi anima e corpo, ed un vuoto «simula-cro» che non può essere l’anima, confi-nato nell’Ade»,5 anche se, nota ancora, la«… distinzione tra un eíd lon dall’autos,pienamente vivente, è molto simile ciòche Stesicoro e già Esiodo (v. Paraphras.Antiq. Lycophr., 822, p. 71 Scheer; cf.Bergk, P. Lyr.4, III, p. 215) hanno rac-contato di Elena e del suo eíd lon. Forsequesta favola ha dato la spinta all’intro-duzione dei versi 602 sgg6». Secondolo studioso inglese G.S. Kirk quanto siafferma nell’Odissea in merito alla par-venza, all’eíd lon di Eracle ha come sco-po quello di «conciliare la versione se-condo la quale Eracle era morto e disce-so nell’Ade come tutti con l’idea con-traddittoria, che non compare altrove

nell’Iliade e nell’Odissea, che era ascesoall’Olimpo, aveva sposato Ebe e sarebbevissuto in eterno. C’è una situazioneesattamente simile in una poema fram-mentario di Esiodo, le Ehoiai o Catalogodelle donne».7 Di conseguenza «L’idea ditrasformare Eracle in un dio non sembramolto antica, non anteriore al VII secoloa.C. … perché i poemi omerici asserisco-no due volte specificamente che egli eramortale …».8 Inoltre «L’Odissea vennecomposta nella sua monumentale formaprimaria intorno al 700 a.C., ma sembrache poco dopo venissero fatte delle ag-giunte ai libri XI e XXIV… Ecco perchéil VII secolo appare il periodo più proba-bile per l’emergere di Eracle come dio.Questa idea è universalmente attestatanell’arte e nella letteratura a partire dalVI secolo».9

Sia che si voglia considerare o meno ilpasso un’interpolazione – questione que-sta che tocca il problema relativo a quan-do Eracle fu considerato dio10 e se divennetale dopo la sua morte, come attesta poco

3 Secondo l’interpretazione greca Eracle significhe-rebbe «gloria di Era», mentre, per quella orientale,deriverebbe dal nome di un dio mesopotamico:Nergal o Erra. Si veda, a tal proposito, W. Burkert,Mito e rituale in Grecia, 133 e n. 27.4 Odissea, libro XI, rr. 601-604, trad. it. di R. Calzec-chi Onesti (Milano 1976), 199.5 E. Rohde, Psyche. Seelncult und Unsterblichkeits-glaube der Griechen (Freiburg im Breisgau 1980-1984), trad. it. di E. Codignola e A. Oberdorfer, Psyche.Culto delle anime presso i Greci, I (Bari 1982), 63.6 E. Rohde, Psyche, 63 n. 2.

7 G.S. Kirk, The Nature of Greek Myths (Har-mondsworth 1974), trad. it. di M. Carpitella, La natu-ra dei miti greci (Bari 1984), 185.8 G.S. Kirk, La natura dei miti greci, 184.9 G.S. Kirk, La natura dei miti greci, 186.10 Secondo E. Rohde, Psyche, 187: «Fra gli dèi venneinnalzato dalla fede Ercole, che Omero non conosce-va ancora come «eroe», nel senso moderno, e che inparecchi luoghi si continuò anche di poi a veneraresotto forma di «eroe». Esculapio veniva consideratoora eroe, ora dio, ciò che era stato fin da principio(nella nota 3 scrive: «Anche Achille è venerato p. es.

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dopo Esiodo nell’Ehoiai, mentre su questopunto vi è il silenzio più assoluto in Ome-ro, il quale si limita a registrare la pre-senza della parvenza di Eracle nell’Ade11

– rimane aperto il problema, sottolineatoda Rohde di questa estranea opposizione,nel mondo greco, tra «un se stesso» e ilsimulacro,12 per cui non è fuor di luogodomandarci se questa sia ravvisabile nellateologia mesopotamica.

Come si cercherà di dimostrare, taledicotomia è rintracciabile nella figura diNergal, anche se vi sono delle differenzesostanziali ravvisabili, soprattutto, inquella che potremmo chiamare «storia»di Eracle. Ovvero, se Eracle fu, comeipotizza Kirk, nell’ipotetica originariacultura greca considerato un eroe che do-po la morte, per veleno o sul rogo, di-venne dio, si deve, allora, subito ricorda-

re che differentemente da lui Nergal na-sce e rimane dio.

Le fonti mesopotamiche, che permet-tono di avanzare tale ipotesi, sono diverse;tra queste, tre sono di primaria rilevanza.

La prima si trova in un passo tratto dalpoemetto sumerico Gilgameš, Enkidu e gliInferi, la seconda è la sua traduzione ac-cadica, contenuta nella Tavola XI dell’E-popea classica di Gilgameš, la terza è laversione di Sultantepe e di Uruk di Ner-gal ed Ereškigal. Esse attestano, a talproposito e come vedremo, due differenteideologie.

Gilgameš, si racconta alle rr. 225-229del poemetto sumerico, così si rivolse alcapo del pantheon, Enlil, quando il suoservo Enkidu venne trattenuto negli Infe-ri perché non aveva seguito i consigli delre di Uruk:

«[Padr]e Enlil, [mi è scivolato] il pukku negli Inferi, il mekku mi è scivolato negli Inferi!Enkidu, che era andato (per prendermeli), l’hanno trattenuto agli Inferi!Non lo trattiene Namtar, non lo trattiene Asakku, lo trattengono gli Inferi!Non lo trattiene il divino spirito (dgidim) di Nergal, che non risparmia, lo trattengono gli Inferi!Non cadde in battaglia, lo trattengono gli Inferi.

Nell’invocazione ripetuta con identi-che parole anche davanti al dio Enki, ildio della saggezza, si afferma, alla r.228, che nell’aldilà non risiede Nergal inpersona, ma «il divino spirito di Nergal»,«dg i d i m - d n è - e r i 11 - g á l ». Da ciò si

possono trarre due ipotesi:a) Nergal, come tutti coloro che hanno

varcato la soglia degli Inferi, siano essiuomini o divinità, è diventato uno spiri-to, un fantasma. Egli vive nell’aldilà inuna condizione simile a quella di un

ora come dio, ora come eroe»). Ed a qualche altroeroicizzato si cominciò a sacrificare “come ad undio,” non senza influenza probabilmente dell’oracolodelfico, che almeno per Licurgo pare abbia iniziato ilpassaggio dalla venerazione eroica alla divinità. Ilimiti fra eroe e dio cominciarono a confondersi, enon raramente un eroe di autorità locale limitatissimavien designato come “dio,” senza che si debba pensa-re per ciò ad una vera e propria elevazione al rangodivino e alla mutuazione quindi del rito sacrificale,che ne sarebbe dovuta seguire. La dignità eroica pa-reva manifestamente già un po’ scemata, se pure nonera giunto ancora il tempo in cui denominare unmorto “eroe” non significava quasi più distinguerlodagli altri morti».11 A tal proposito E. Rohde, Psyche, 63 sottolinea«Ulisse getta uno sguardo nell’interno del regno deimorti, cosa propriamente impossibile poiché egli se

ne stava all’ingresso e vi scorge figure d’eroi checontinuano l’occupazione cui si erano dedicati unavolta in vita, come veri “simulacri” (eíd la) dei vi-venti: Minosse che giudica le anime, Orione che cac-cia, Ercole con l’arco sempre teso in mano e la frec-cia incoccata “simile ad uno che continuamente saet-ti.” Non è questi Ercole, l’“eroe-dio” dei tempi poste-riori: il poeta non sa ancora che il figlio di Giove fuinnalzato sulla comune sorte de’ mortali, come ilprimo poeta del viaggio all’Ade non sa ancora nulladel rapimento di Achille dall’Ade. Il che natural-mente doveva sembrare alla maggior parte dei lettoriun’omissione. Ed essi hanno così inserito sfacciata-mente tre versi».12 Per quanto concerne le critiche rivolte all’inter-pretazione, avanzata da Rhode, della psyche omerica edell’eíd lon si veda G. Reale, Corpo, anima e salute(Milano 1999), 81 sg. ed, in questo contributo, la n. 17.

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morto comune, anche se il suo spirito èdivinizzato come ci fa comprendere lapresenza del d i n g i r davanti al termineg i d i m . Eppure, sappiamo che Nergalera anche considerato un importante diodel cielo e che si muoveva liberamentetra questi due reami. Non ci rimane, allo-ra, che la seconda possibilità.

b) In cielo si trovava il dio in persona,mentre negli Inferi vi era solo il suo di-vino g i d i m. Questa seconda ipotesi, nonsolo si inserirebbe nella concezione rela-tiva all’aldilà, come luogo di residenzadegli spiriti, ma, in un certo qual modoprecede, nonostante alcune e per certiversi sostanziali differenze teologiche,quello che la redazione più recente delmito di Nergal ed Ereškigal espone, e dicui parleremo in seguito, e di quanto sievince da un testo, tradotto alcuni anni fada W.G. Lambert13 e recentemente ritra-dotto da G. Pettinato,14 relativo alla pri-gionia di Ningizzida nell’aldilà e alla sualiberazione per mezzo di una statua.15

La dicotomia, purtroppo solo accen-nata nel testo sumerico, del dio Nergalrichiama quella tratteggiata nell’Odisseadi Eracle anche se vi è un’importante dif-ferenza. Mentre, infatti, nel passo grecoprima citato si afferma che negli inferi vi èl’eíd lon, non la psyche di Eracle, in quel-lo sumerico si legge che lì si trova il di-vino g i d i m, ovvero il divino spirito – checorrisponde per certi aspetti alla psycheomerica –, di Nergal. Questo dato ci con-duce a porci le seguenti domande: qual è,in Omero, il rapporto tra l’eíd lon e la

psyche? Vi è, in sumerico, un lemma cor-rispondente all’eíd lon greco?

Secondo Vernant «In Omero esistono...tre modi di apparizione soprannaturale,designati con la stessa parola eíd lon. Inprimo luogo lo spettro, phasma, creato daun dio a somiglianza di una persona incarne ed ossa, come quello che Apollofabbrica «uguale allo stesso Enea e iden-tico nelle armi». Il vero Enea si trova alsicuro a Pergamo… In secondo luogo ilsogno, l’immagine onirica, oneiros, con-cepito come l’apparizione durante il son-no di un doppio spettrale inviato daglidèi a immagine di un essere reale… Infinee soprattutto le psychai dei morti, chia-mate eíd la kamónt n, ombre dei defunti.Ci si rivolge alla psyche come ci si rivol-gerebbe alla persona in carne ed ossa; lapsyche ne ha l’esatta apparenza, pur es-sendo priva di esistenza reale, il che larende, nella sua somiglianza con l’esseredi cui ha assunto l’aspetto, paragonabilead un ombra o a un sogno, a un soffio difumo».16

La psyche, in quanto eíd lon, si carat-terizza, dunque, come il fantasma del de-funto, il suo doppio che, «nel momento incui si mostra presente, rivela anche la suaappartenenza a un inaccessibile altrove,il suo non essere di questo mondo»17

così, ad esempio, essa viene delineata inun famosissimo passo dell’Iliade (libroXXIII, 72) dove viene magistralmentedescritta l’apparizione di Patroclo mortoal dormiente Achille:

13 W.G. Lambert, «A new Babylonian Descent to theNetherworld», in Abusch, T. - Steinkeller, P. (eds.),Lingering over Words. Studies in Ancient Near East-ern Literature in Honor of W.L. Moran (Atlanta1990), 289-300.14 G. Pettinato, I miti degli Inferi Assiro-Babilonesi(Brescia 2003), 126-28.15 Si veda a questo proposito della scrivente, «Intro-duzione», in G. Pettinato, Nergal ed Ereškigal. Ilpoema assiro-babilonese degli Inferi (Roma 2000),

27-28, ed anche, «Mi scusi: qual è la via per l’aldilà»,in G. Pettinato (a cura), I miti degli Inferi Assiro-Babilonesi (Brescia 2003), 44-45.16 J.P. Vernant, Entre mythe et politique, 1996, trad.it. di A. Ghilardotti, Tra mito e politica (Milano1998), 275-76.17 J.P. Vernant, Tra mito e politica, 277. G. Reale,Corpo, anima e salute, 82, scrive a tal proposito: «Lapsyche, in verità, non rappresenta affatto un «altroio», come pensava Rohde, bensì … il «non essere più

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Ed ecco a lui venne l’anima (psyche) del misero Patroclo,gli somigliava in tutto, grandezza, occhi belli,voci, e vesti uguali vestiva sul corpo;gli stette sopra la testa e gli parlò parola:«Tu dormi, Achille, e ti scordi di me:mai, vivo, mi trascuravi, ma mi trascuri da morto.Seppelliscimi in fretta, e passerò le porte dell’Ade.Lontano mi tengono le anime, fantasmi (eíd la) di morti,non vogliono che tra loro mi mescoli di là dal fiume,ma erro così, per la casa larghe porte dell’Ade».18

(…)«Perché, testa cara, sei venuto fin quie mi comandi queste cose a una a una? Sì, certocompirò tutto quanto, obbedirò come chiedi:ma vieni vicino e almeno un istante, abbracciàti,godiamoci il pianto amaro a vicenda!»Tese le braccia, parlando così,ma non l’afferrò: l’anima come fumo sotto la terrasparì stridendo; saltò su Achille, stupito,batté le mani insieme e disse mesta parola:«Ah! C’è dunque, anche nella dimora dell’Ade,un’ombra, un fantasma (eíd lon), ma dentro non c’è più la mente.Tutta la notte l’ombra del misero Patroclom’è stata intorno, gemendo e piangendo:molte cose ordinava. Gli somigliava prodigiosamente».19

Non è fuor luogo ricordare che l’espres-sione usata dall’aedo greco per delinearecome l’anima di Patroclo comunicò adAchille sia analoga a quelle che si trova

nei documenti sumerici, come ad esem-pio nel Cilindro A di Gudea, governatoredi Lagaš attorno al 2200 a.C., dove allerighe 5-6 della Colonna IX si legge:

Per la seconda volta a colui che dormiva, a colui che dormiva,egli (il dio Ningirsu) stette sopra la testa e comunicò con lui.20

dell’io», la sua negazione: un suo permanere emble-matico appunto nella dimensione del «non più», del«non più vivo». Walter Otto indica giustamente nellapsyche omerica una rappresentazione dell’«esseredell’essere stato». A ragione scrive: «I morti sono sìsoltanto ombre, ma non per questo non sono. Essihanno un loro proprio modo d’essere e possono per-fino … destarsi per qualche attimo, riprendendo co-scienza e parola, non però possibilità d’azione. Nonsi tratta di una prosecuzione della vita, perché, quelloproprio dei morti, è l’essere dell’essere stato. I Grecihanno capito che l’essere stato è esso stesso esserenel senso vero e proprio della parola». I Sumeri primae gli Accadi poi, diversamente dai Greci, non soloconcepirono ciò che resta dell’essere umano co-sciente, ma anche in grado di agire.18 Iliade, Libro XXIII, rr. 65-74, trad. it. di R. Cal-zecchi Onesti (Milano 1977), 421-422.19 Iliade, Libro XXIII, rr. 94-107, trad. it. di R. Cal-zecchi Onesti, 422-423.

20 Trad. it. di G. Pettinato, in S.M. Chiodi - G. Petti-nato, «Sogni rituali nella Lagaš presargonica» in P.Negri Scafa - P. Gentili (a cura), Donum Natalicium.Studi in onore di C. Saporetti in occasione del suo60° compleanno (Roma 2000), 201-212. Una simile epiù antica espressione si ritrova nella Stele degli Av-voltoi di Eannatum, VI 18 sgg.:

A lui che giace, a lui che giace, egli si appressòalla testa; a lui che giace, a Eannatum, il [suoama]to signore [Ningirsu], si appressò alla testa.(Trad. di G. Pettinato, I Re di Sumer (Brescia2003), 149-150).

Per quanto concerne l’interscambio culturale tra ilmondo vicino orientale e quello greco è interessantesottolineare che Omero per descrivere l’aspetto, lafigura dell’essere umano utilizza il lemma démas, dalui usato solo all’accusativo di relazione (si veda a talproposito B. Snell, La cultura greca e le origini delpensiero europeo, 24, J.P. Vernant, «Corps obscur,corps éclant», in L’individu, la mort, l’amour (Paris

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Diversamente dal passo greco è un dio,non un fantasma, colui che comunica conil governatore, ma interessante rimane ildato che per esprimere il gesto del dioche trasmette il messaggio oracolarevenga usata, come in Omero, l’espres-sione «stare sopra la testa». Il fatto diutilizzare gli stessi stereotipi letterariporta a pensare che l’interscambio tramondo orientale e mondo greco non sisia fermato alla sola trasmissione delpensiero, ma va ben oltre, per cui non èinverosimile cercare un punto di contattoideologico tra il concetto di psyche ome-rica e quella sumerica di g i d i m .

La psyche, secondo Omero, dunque,assomiglia prodigiosamente al defunto,ma essa è solo un ombra, un fantasma

privo di mente ed in quanto tale è privadi corpo. Quando, infatti, Achille tese lebraccia, essa «come fumo sotto la terrasparì stridendo». Anche il g i d i m , per iSumeri, è la copia perfetta del defunto,diversamente, però, dalla psyche omericain esso vi è ancora la mente ed, inoltre,viene delineato, stando almeno ad unpasso che sarà fra poco citato, come do-tato di un corpo, seppur diverso da quelloterreno.21 Secondo il poema Gilgameš,Enkidu e gli Inferi, rr. 242-254, il diodella saggezza Enki, dopo aver accolto lesuppliche del re di Uruk relative adEnkidu preso prigioniero dagli Inferi,chiese al dio Sole di aprire una finestradegli Inferi:

Ed appena questi ebbe aperto una finestra negli Inferi,il suo servo (Enkidu), come una folata di vento, venne fuori dagli Inferi.

1989), trad. it. di A. Ghilardotti, L’individuo, lamorte, l’amore (Milano 2000), 5; demas dal verbodemo “significa innalzare una costruzione a ordinisovrapposti, come si fa per un muro di mattoni.” Perquanto concerne le etimologie «ad assonanze» comu-ni fra queste due culture si veda Burkert, Da Omeroai magi (Venezia 1999), 14 sgg.). Ora, nelle linguaaccadica, per designare «la forma, la sembianza»dell’essere umano viene utilizzato il termine damtu(CAD, D, p. 74, sub voce damtu B), in ebraico da-mah (si veda G. Pettinato, Il rituale per la successio-ne al trono (Roma 1992), 201 § 21 con i relativi ri-mandi bibliografici). L’accostamento dei lemmi: dé-mas-damtu-damah viene spontanea. Se si dimostrasseveritiera o almeno plausibile la derivazione di taletermine greco dal semitico, per di più in un ambitocosì importante in quanto relativo alla persona uma-na, allora l’influenza vicino orientale sulla culturagreca è più profonda di quanto sospettato fino ad ora.Inoltre, G. Reale, Corpo, anima e salute, 98, sottoli-nea che «il termine omerico per persona è ‘testa’» oraanche in sumerico e in accadico viene usato lo stessotermine. In questo caso non si può però parlare diderivazione linguistica.Venendo alla suddivisione dei poteri tra Zeus, Posei-done e Ade, delineata nel Libro XV, alle rr. 187-193dell’Iliade, e messa in parallelo da W. Burkert, in DaOmero ai magi, 21-22 con alcuni passi del poemababilonese Atramkhasis, si veda, della scrivente:«Rapporto cielo, terra, Inferi nel mondo mesopotami-co», in S. Graziani (a cura), Studi sul Vicino Orienteantico dedicati alla memoria di Luigi Cagni, (Istituto

Universitario di Napoli - Dipartimento di Studi Asia-tici, Series Minor LXI) vol. I (Napoli 2000), 107-124.Nello stesso contributo sono ravvisati altri parallelicon le opere omeriche.F. Graf, Griechische Mythologie (München-Zürich1985), trad. it. di C. Romani, Il mito in Grecia (Bari19882), 6-7, ha posto, inoltre, in parallelo due fram-menti, di altrettante opere, uno di Ibico e l’altro diSofocle, in cui viene menzionata la perdita dellapianta della giovinezza – che un asino, incaricato daZeus, doveva portare agli uomini – a causa di un ser-pente, con quanto si narra nella XI Tav., r. 259 sgg.,dell’Epopea di Gilgameš. Si veda a tal propositodella scrivente: «Immortalità e giovinezza», in Volu-me in onore di G. Pettinato, in stampa.Vorrei, infine, ricordare che la terminologia usata daPlatone, nel Timeo 41c, per designare ciò che il de-miurgo fornisce per la formazione dell’essere umano,ovvero “il seme e il pricipio,” si ritrova, pur con ledebite differenze, nel prologo sumerico dell’Inno allazappa; a tal proposito si veda della scrivente: Le con-cezioni dell’oltretomba presso i Sumeri (Roma 1994),339 n. 3.21 Sia la psyche omerica che il g id im sumerico,inoltre, vengono generalmente menzionati e descrittisolo quando abbandonano il cadavere. Diverso è il casodell’e#emmu; si veda a tal proposito della scrivente,Le concezioni dell’oltretomba presso i Sumeri, 359-371, e della stessa «Il prigioniero e il morto. Epopeadi Gilgameš. Tav. X, r. 318-320», in OA, MiscellaneaII (1995), 159-171. Sulla psyche omerica si veda, tragli altri, G. Reale, Corpo, anima e salute, 35 e 75 sgg.

CHIODI ERACLE TRA ORIENTE E OCCIDENTE

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Allora essi si abbracciarono e baciarono l’un l’altro, essi conversarono sospirando:

“Hai visto gli ordinamenti degli Inferi?”“Io non te li dirò, amico mio, non te li dirò!

Se io infatti, ti dicessi gli ordinamenti degli Inferi,allora tu ti sederesti e piangeresti.” “Io voglio sedermi e piangere.”

“Il mio corpo, al cui contatto il tuo cuore gioiva,[ ] ...”: disse:

“(il mio corpo) è mangiato dai vermi, come [un vecchio vestito].[il mio corpo] è come una crepa della terra, pieno di polvere.”

“Ahimè!”: il signore gridò, e si buttò nella polvere.

Come si evince dalle rr. 250-253, coluiche appare «come una folata di vento»viene indicato come il servo, non come ilfantasma, e viene considerato come do-tato di un corpo, seppur diverso da quelloterreno.

Lo scriba accadico, nel tradurre ed in

un certo qual modo reinterpretando ilpasso, inglobato nella XII tavola dell’Epo-pea di Gilgameš, afferma che, per esau-dire, parzialmente, il desiderio di Gilga-meš, il dio della saggezza non si rivolseal dio del sole, ma a Nergal ed appenaquesti:

(…) ebbe aperto una fessura negli Inferi,lo spirito di Enkidu, come una folata di vento, uscì fuori dagli Inferi.

Allora essi fecero per abbracciarsi, me non vi riuscirono;essi conversarono sospirando:

“dimmi amico mio, dimmi amico mio,dimmi gli ordinamenti degli Inferi che tu hai visto”

“Io non te li posso dire, amico mio, non te li posso dire!Se io infatti, ti dicessi gli ordinamenti degli Inferi che ho visto,

allora [tu] ti butteresti giù e piangeresti.”“[Io] mi voglio buttare giù e piangere.”

“Il mio [corp]o, che tu potevi toccare e del quale il tuo cuore gioiva,[il mio corp]o è mangiato dai vermi, come un vecchio vestito.

[Il mio corpo che tu potevi to]ccare e del quale il tuo cuore gioiva,è come una crepa [del terreno,] piena di polvere.”

[“Ahimè”], egli gridò e si buttò nella po]lvere.[“Ahimè”], egli gridò [e si buttò nella polvere].

La descrizione del commovente e fal-limentare abbraccio richiama il passoomerico. Non è, poi, forse un caso che

qui lo scriba accadico, diversamente daquello sumerico, sottolinei che colui cheappare al re di Uruk è il fantasma di

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Enkidu. Il termine da lui utilizzato, con-trariamente a quanto ci si sarebbe aspet-tato, non è e#emmu, il corrispettivo delgidim sumerico e della psyche greca, mautukku.

Generalmente utilizzato per designarelo spirito, buono o cattivo, di divinità edi uomini, utukku corrisponde al sumeri-co udug, un segno, quest’ultimo, moltosimile a quello di gidim – per cui i duesegni sono stati spesso confusi nelle tra-

scrizioni degli studiosi contemporanei.Gli scribi li hanno talvolta usati comesinonimi, come si evince, ad esempio, daun passo sumerico tratto dall’Incante-simo al dio sole Utu. Alla r. 120, relativaalla sezione riguardante gli spettri che,per vari motivi, rendono, a dir poco, dif-ficoltosa la vita dei viventi, lo scribadella fonte A ha utilizzato il lemma«u d u g », mentre quelli della fonte C e E«g i d i m »:

A lú-ti-la udug ug5-ga-šè b[a-a]n-gi-aC+E lú al-t[i + l]a gidim ú-ga-šè ba-gi4(?)F x x lul-la-ta […]

l’uomo vivo si è trasformato in un u d u g / g i d i m dei morti

Purtroppo, proprio per la difficoltà dilettura dei due segni, che ha portato allaloro confusione nella trascrizione delletavolette, è impossibile comprendere se equali differenze intercorrevano tra i duelemmi.

La descrizione che le fonti sumericheforniscono del gidim non ci permettono,allo stato attuale degli studi, di rintrac-ciare un termine parallelo a quello dieíd lon, anche se, da quanto è possibilecomprendere, questi veniva consideratouna perfetta replica del defunto, un suoduplicato dotato di un corpo non «terre-no». Proprio questo dato porta a conside-rare il passo in cui si menziona la pre-senza del divino gidim di Nergal negliInferi non lontano da quello omerico in-centrato sulla presenza dell’eíd lon diEracle nell’Ade, anche se questi deve es-sere inteso come un impalpabile fanta-

sma. Idea, quest’ultima rintracciabile,come si è visto, nella tradizione assiro-babilonese, che ci fornisce, inoltre, di-versi termini relativi alla rappresentazio-ne dello spettro, ovvero dell’e#emmu. Tresono, a tal proposito, i più importanti e sitratta di: ardan!n m"ti; zaq"qu/ziq"qu;šaru.22 Il primo può essere considerato uncorrispettivo dell’eíd lon omerico.

Secondo The Assyrian Dictionary (d’orain poi CAD), ardan!nu/din!nu23 ha duepossibili valori: 1) sostituto 2) spettro. Ilprimo lo si trova utilizzato nelle lettere(dove il termine deve essere inteso comeil rappresentante, il commissario – spes-so del re), e nei rituali magici di sostitu-zione di una persona (spesso attraversol’utilizzo di una piccola statua). Il secon-do, ovvero quello di spettro, si caratte-rizza come il «doppio», lo spettro dellapersona morta come in questo passo:

ár-da-na-an m"ti i$bassu imâtEgli è stato afferrato dal «doppio» della persona morta e morità.24

22 Per gli altri termini si veda J. Bottéro, «La mitolo-gia della morte», in P. Xella (a cura), La mitologiadella morte (Verona 1987), 57 sg.23 Il corrispettivo sumerico di ard!nanu/din!nu èsag , che significa anche, testa e forma dell’essere

umano. Tale termine si trova anche nei testi di crea-zione dell’essere umano.24 Labat, TDP 108 IV 20, cfr. TDP 88 r. 6, citato dalCAD, D, sub voce din!nu, 2, p. 150.

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Altrove viene specificato che il «dop-pio» altro non è che il gidim o il cattivo

e#emmu, come ad esempio:

GIDIM ár-da-na-an m"ti [i$bassu]il GIDIM, il doppio della persona morta, lo ha afferrato.25

ša … ár-da-na-nu mi-tù e#emmu lemnu $abtušse … il doppio della persona morta, il cattivo e!emmu, lo ha afferrato.26

Il g i d i m /e#emmu si caratterizza, dun-que, come il «doppio» della persona mortae l’espressione «GIDIM ár-da-na-an»come quella «ár-da-na-an e#emmu» ri-cordano quella omerica di eíd la kamón-t n, ovvero di «fantasmi, ombre, replichedei defunti» che ricorre in Odissea, XI,476; XXIV, 14 e in Iliade XXIII, 72.

Il termine ard!nanu/din!nu, inoltre,viene applicato sia ai vivi che ai morti.Nei rituali magici esso viene associatoanche alla piccola statua che ha il com-pito di sostituire in «toto» la persona che«rappresenta»; in questo caso il lemmacopre un arco semantico vicino a quellodi eíd lon associato alle immagini arti-ficiali fabbricate dall’uomo, ovvero alkolossós di cui parlano Erodoto e Pau-sania.27

Venendo a zaq"qu/ziq"qu,28 si osservache tale termine ricopre almeno tre campi

semantici: 1) fantasma, spettro, ma anchenullità, inesistenza e idiozia; 2) posto in-festato di spettri; 3) il/un dio del sogno.Tale lemma ricorre nel passo, sia sumeri-co che accadico, relativo al momentaneoritorno di Enkidu sulla terra, contenuto,ricordiamo, in Gilgameš, Enkidu e gliInferi e nella XII Tav. dell’Epopea diGilgameš. Nella traduzione proposta daG. Pettinato si legge che Enkidu giunseal cospetto di Gilgameš «come una folatadi vento», diversamente, secondo il CAD,egli si «materializzò» come un «fanta-sma», avvicinando, in tal modo il lemmaziq"qu a šaru nel suo quarto significato.29

Ambedue le rese sono possibili, si deveperò sottolineare che, in alcuni casi, taletermine ha valore, appunto, di vento.

Venendo alla terza parola accadica,presa qui in considerazione, ovvero, šaruquesta ha cinque significati, ovvero quello

25 Ibid. 124: 26, citato dal CAD, D, sub voce din!nu,2, p. 150.26 ZA 45 206 IV 6 (Bogh. inc.) citato dal CAD, D,sub voce din!nu, 2, p. 150.27 Erodoto, Le storie VI, 58 e I, 51, Pausania IV, 38.Per quanto concerne il rapporto tra eíd lon e kolossósin Erodoto ed in Pausania si veda J. P. Vernant, Figu-res, idoles, masques (Paris 1990), trad. it. di A. Zan-gara, Figure, idoli e maschere (Milano 2001), 35sgg., dello stesso si veda anche, Mythe et pensée chezles Grecs. Etudes de psychologie historique (Paris1971), trad. it. di M. Romano e B. Bravo, Mito e pen-siero presso i Greci. Studi di psicologia storica (To-rino 1978), 343 sgg.28 zaq"qu/ziq"qu traduce il sumerico l i - i l ; l í l ; s ìg-s ìg ; s i - s i - ig .29 Elena Cassin, «Le mort: valeur er représentation enMésopotamie ancienne», in G. Gnoli - J.P. Vernant (acura), La mort, les morts dans les sociétés anciennes(Cambridge 1982), 363, afferma che Assurbanipal«... se vante d’avoir anéanti les sanctuaires élamites,de sorte que les dieux e les déesses du pays n’ont plus

existence, littéralement: «sont réduits à [n’être plusqu’]un souffle». Le passage est intéressant parce qu’ilmet l’accent sur le lien que l’on établissait entre letemple et le ou les dieu(x) qui l’habite(nt), comme sila ruine de son siège privait du même coup la divinitéconcerneé de son existence. Les soldats profanent lesbosquets sacrés «où nul étranger n’avait jamaispénétré, ni foulé l’orée» et y mettent le feu». Nellanota 43 a p. 370 scrive: «les dieux et le déesses dupays d’Elam amnâ ana zaq"qi, littéralement: “jecomptai comme un souffle.” La traduction que don-nent ce passage CAD (1961), Z, p. 59a, et (1977), N1,p. 226b: “I counted [turned] their gods and goddessesas [into] powerless ghosts,” ne me semble pas rendreexactement la signification du passage, qui met plutôtl’accent sur le rôle tout à fait inexistant auquel sontréduits ces dieux chassés de leurs demeures parl’envahisseur, et qui, de ce fait, ont perdu leur effica-cité et leurs pouvoir…. La traduction de zaq"qu par«souffle», à laquelle je me tiens, est la plus littérale etexprime bien l’état d’errance propre à ces dieux quine peuvent plus se fixer nulle part».

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di: 1) vento; 2) punto cardinale, direzio-ne; 3) aria, afflato; 4) alito, emanazione;5) vuotezza, nullità, vanità, bugia, etc. Di

questi il valore che qui interessa è ilquarto. In KAR 21, alla r. 11 relativa aldefunto, si legge:

lu e#emmu ša ina $#ri nadûma IM-šú la edpu šumšu la zukru“Se è lo spirito (di qualcuno) che fu buttato fuori nella steppa, il cui “alito” non ha lasciatoil corpo, il cui nome non è stato menzionato (nelle offerte funebri).”

Tre tipi di fantasmi che disturbano iviventi sono qui elencati: lo spirito diuna persona non seppellita, quello chenon ha lasciato il corpo e, infine, lospettro a cui nessuno fa offerte. La se-conda accezione è la più interessante inquanto si accenna ad un “alito” – IM-šu –che non ha abbandonato il corpo del de-funto.

Secondo il CAD “alito” deve esserequi tradotto con “spirito” in quanto inalcuni contesti il termine sembra riferirsiad esseri demoniaci – chiamati “vento,”“vento del deserto,” “cattivo vento” –considerati spiriti di persone deceduteprivate, per i più diversi motivi, delle ne-cessarie cure che permettono al loro spi-rito di abbandonare il corpo.30

L’e#emmu, dunque, abbandona, con ilsopraggiungere della morte, il corpo deldefunto (in altri testi sembra fuoriusciredalla bocca31), è immaginato come la per-fetta replica del vivente ed appare o è

simile ad un vento. In quanto tale non èdotato di un corpo e sembra, sulla basedei significati correlati, relegato al mon-do del non essere, questo, chiaramente,rispetto a quello in cui vivono e agisconogli esseri umani. Tale descrizione lo av-vicina alla psyche omerica come alla suadefinizione di eíd la kamónt n, anche sei campi semantici ricoperti dai tre termi-ni prima analizzati, sono, senz’ombra didubbio, più ampi e variegati di quelliomerici.

Tornando, dopo questa lunga digres-sione, al tema che qui ci interessa, ovve-ro a quello relativo alla presenza di Ner-gal negli Inferi, osserviamo che il passosumerico – citato all’inizio di questo la-voro ed in cui si accennava alla presenza,nel regno di Ereškigal del divino gidimdel dio – è stato tradotto, ma anche rein-terpretato dallo scriba accadico.

Inglobato nella XII Tav. dell’Epopeadi Gilgameš in cui si narra del viaggio di

30 E’ interessante, a tal proposito notare che il sume-rico [b]a-bar - ra mu-un-nà è equivalente a e-de-pu šá GIDIM.KAR 21 richiama un incantesimo (RA 17, 176 i 9')riguardante probabilmente lo spirito di Ardat-Lili incui si afferma:

ša e-#é-em-ma-ša [i]na pî la kuteššûIl cui e#emmu non è stato espluso dalla bocca.

Mentre alla r. 11 di KAR 21 si parla di un “alito,”ovvero di uno spirito che non ha lasciato il corpo, quiviene menzionato l’e#emmu che, però, in questo caso,fuoriesce dalla bocca. KAR 21 sembra, avere, inoltre,un corrispettivo sumerico. Si tratta di un difficile bra-no tratto dall’Incantesimo ad Utu, rr. 124-126, in cuisi legge:

gidim im-ri-a-ni a-ba-su8-ge-eš "làl#(?) ì-nun a-ba-da-ku5-dè125 su lú-ulù dumu dingir-ra-"na# [x x] x-e-dè

zi su dugud-da ka-ta- "i#(?) x x x [x x] é-

da-ku5-ru-neSe sono invece gli spiriti di famiglia che

girovagano, fa sì che miele e burro siano recisi,125 fa sì che il corpo della persona, il figlio del suo dio [non sia avvicina]to,

lo spirito vitale del corpo pesante che esce dalla bocca [è uscito?] … che possono recidere.

In questa ultima composizione ciò che dovrebbe la-sciare il cadavere, non la bocca, è designato con «z i»,ovvero lo spirito vitale infuso negli uomini. Tutto dastudiare è il rapporto tra «z i», ovvero spirito vitale e«IM », vento, così come il loro rapporto con il lem-ma g id im/e#emmu. Si tratta, però, di uno studio cheesula dal presente lavoro. Per una prima analisi delproblema rimandiamo della scrivente a: «Il prigionie-ro e il morto. Epopea di Gilgameš, Tav. X, rr. 318-320», in OA Miscellanea II (1995), 159-171.31 Si veda nota precedente.

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Enkidu verso gli Inferi per cercare di re-cuperare il pukku e il mekku, lì caduti,del suo imprigionamento – in quanto eglinon segue i consigli del re di Uruk sucome ci si debba comportare per passare

lì inosservato –, lo scriba con queste pa-role presenta la supplica di Gilgameš aldio Enlil affinché faccia tornare l’amicosulla terra:

56 «Padre Enlil, oggi, mi è caduto il pukku negli Inferi, il mekku mi è caduto negli Inferi!

Enkidu, che era andato per riportarmeli su, lo trattengono gli Inferi.Non lo trattiene Namtar, non lo trattiene Asakku, lo trattengono gli Inferi colà!

60 Non lo trattiene il rappresentante (r!bi$u) di Nergal, lo trattengono gli Inferi.Non cadde in battaglia, lo trattengono gli Inferi.

Come si può leggere, alla r. 60, loscriba non ha scritto: «Non lo trattiene ildivino gidim di Nergal…», ma «Non lotrattiene il r!bi$u di Nergal…», ovvero ilrappresentante, l’ambasciatore, l’alter egodel dio.

Vi sono a questo punto due possibilità:o affermiano che gli Accadi hanno consi-derato l’e#emmu – la resa accadica delgidim sumerico – un r!bi$u, ovvero un«rappresentante» della persona deceduta,oppure r!bi$u può, in certi casi, avere unsignificato simile a quello di ardan!nuprecedentemente affrontato.

Per quanto concerne la prima ipotesi sideve, innanzitutto, sottolineare che r!-bi$u oltre a indicare un rappresentanteufficiale dell’alta autorità, designava an-che un demone o un genio protettore, e –dal periodo di Ur III – un giudice.32

L’e#emmu non ha questi valori, a menoche non si voglia considerare un aspetto:il suo potere benefico e malefico nei con-fronti degli esseri viventi. In tal caso,però, il suo campo d’azione sembra li-mitato al mondo umano, differentementedai demoni, dai geni protettori divini e,

in taluni casi, dai divini gidim che agi-scono in tutto il cosmo

Lo scriba accadico ha tradotto conr!bi$u proprio il «dingir gidim», ovvero«il divino spirito», non un semplice spi-rito umano e, nella stessa Tavola XIIdell’Epopea di Gilgameš, ha definito En-kidu, tornato momentaneamente sulla ter-ra, un utukku, non un e#emmu; e, come siè già detto, con utukku venivano indicatisia gli spiriti benefici che malefici. Aquesto punto non ci si può non chiederequale differenza intercorrava tra utukku er!bi$u, visto che ambeude indicano, intaluni casi, gli spiriti buoni e cattivi.33

R!bi$u, differentemente da utukku, habisogno, davanti al segno, del determi-nativo divino, in mancanza di questo ge-neralmente il suo significato cambia. Diconseguenza sembra che con questo ter-mine si volesse indicare un demone o ungenio protettivo divino mentre, con utukkuoltre a questi anche gli spiriti dei defunti.Non è forse un caso che Enkidu fu defi-nito utukku, egli, infatti, non appartenevaal mondo divino.

Nell’Epopea di Gilgameš lo scriba,

32 Si veda CAD, R, sub voce r!bi$u, p. 20-23.33 E’ interessante notare che il corrispettivo sumericodi utukku è udug. Ora, gli scribi accadici traducevanor!bi$u non solo il sumerico maškim, ma anche udug(per quanto concerne maškim si veda la serie di scon-

giuri Udug-hul-a-meš dove compare spesso al postodel demone Asag, Maškim), la qual cosa dimostre-rebbe quanto sia sottile la differenza fra r!bi$u e u-tukku.

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però, non ha apposto davanti a r!bi$u ildeterminativo divino, e veniamo così allaseconda ipotesi. Proprio per tale motivodeduciamo che, in questo caso, non lo siconsiderava un demone o un genio pro-tettore, ma un rappresentante ufficiale. Inquanto tale, la sua funzione non è moltadiversa da quella svolta da un sostituto,come si evince dal primo significato deltermine ardan!nu/dananu. E’, però, veroche, in questo lavoro, è stato preso inconsiderazione il secondo valore di talelemma, ovvero quello di doppio, di so-stituto del defunto ed in questo caso nonsi tratta di un qualcuno che fa le veci diun altro, ma, del fantasma del morto.Come vedremo, nel caso specifico diNergal colui lo che rappresenta è, e nonè, un’altra divinità in quanto ha un diver-sa persona, ma ha la stessa natura di co-lui che rappresenta. Proprio per questomotivo, possiamo affermare che, nel rac-conto che analizzeremo, r!bi$u copre unarco semantico vicino a quello di arda-n!nu che, come si è detto, può essere

considerato il corrispettivo dell’eíd longreco. Proprio questi dati, insieme alladescrizione del fallimentare abbraccio fraGilgameš ed Enkidu – contenuto nellamedesima Tavola – porta a considerare ilpasso simile a quello omerico relativo allapresenza dell’eíd lon di Eracle nell’Ade.

Ma chi era il r!bi$u di Nergal negliInferi e di cui accenna la Tavola XIIdell’Epopea di Gilgameš? Il passo primacitato tace su questo punto ci viene, però,incontro un altro poemetto babilonese,Nergal ed Ereškigal. Si tratta di un testodagli interessanti risvolti teologici e checonobbe un gran successo nel mondo an-tico; basti pensare che noi oggi abbiamoa disposizione tre copie di questo rac-conto provenienti rispettivamente dallaMesopotamia, dall’Egitto e dalla Turchiae che abbracciano un periodo di tempoche va da circa il 1400 al 500/400 a.C.

Come si cercherà di dimostrare, proba-bilmente dietro al termine r!bi$u si na-sconde, in questo caso, il dio Erra.

Versioni di Sultantepe e di Uruk

Le versioni che vengono qui prese invisione sono quelle provenienti da Uruke da Sultantepe. La prima è molto fram-mentaria, ma è in più punti parallela conquella di Sultantepe, la più lunga e la piùcompleta. Non sarà analizzata, invece,quella proveniente da Tell el-Amarna inquanto incompleta, non tutto il testo è,infatti, riportato come ammette lo stessoscriba alla fine della sua copiatura; masoprattutto perché non è illuminante suipunti di cui ci stiamo qui occupando.

Il racconto, come è noto, narra della

discesa agli Inferi del dio Nergal a se-guito di un comportamento irriguardosonei confronti di Namtar, il messaggero diEreškigal.

La narrazione, dopo una lacuna dicirca 15 righe di cui 10 sono state inte-grate dagli studiosi sulla base del rac-conto di Tell el-Amarna, si apre con ladescrizione del viaggio del messaggeroceleste Kakka verso la cittadella infera,incaricato dal dio del cielo Anu di comu-nicare il seguente messaggio alla reginaEreškigal:

I 30 «Anu [tuo] padre mi ha mandato [a te] (con il messaggio): “Poiché tu non puoi salire sopra,nel tuo anno non puoi salire al nostro cospetto,

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e noi non possiamo scendere giù,nel nostro mese non possiamo scendere al tuo cospetto,

35 possa un tuo messaggero venire (qui)e ripulire il desco ricevendo la tua spettanza;tutto ciò che io gli darò, egli deve consegnarlo integralmente a te”».34

Seguono fra Kakka ed Ereškigal deiconvenevoli ed infine la regina delle te-nebre decide di mandare come suo rap-presentante al banchetto celeste: Namtar.Che cosa successe nella corte celestequando questo dio dell’aldilà si presentò

non è subito detto in quanto la narrazionesi interrompe; quando riprende troviamoil dio della saggezza Ea intento a biasi-mare Nergal per il suo comportamentoirrispettoso:

r. II 0' [Ea aprì la sua bocca e disse, a Nergal rivolse la parola:]…1' [ ] … [ ]

«[Quando il messaggero di Ereškigal] giunse ne[lla corte di Anu]dal suo viaggio [dal Paese da cui non si ritorna]

[gli dèi davanti] a lui si inchinarono tutti,5 [gli dèi grandi], i signori dei destini,

poiché da lui emanava l’aura, l’aura (del potere) [degli Inferi],[degli dèi] che abitano nell’Ir[kalla].

E tu perché non ti sei inchinato al suo cospetto?[ ] Con i miei occhi ti guardavo di traverso,

10 ma tu facevi finta di non capire,… I tuoi occhi erano rivolti al suolo».

Quasi nulla, purtroppo, è conservato della risposta di Nergal:

S II 12-17 (Rotto:) [Nergal aprì la sua bocca e disse, ad Ea rivolse la parola:][ ] voglio alzarmi[ ] hai detto

20' …il corpo per quanto la mia divinità è… farò in due (raddoppierò)35

34 Trad. it. di G. Pettinato, Nergal ed Ereškigal, 77.D’ora in poi sarà citata questa traduzione.35 S II 17' (Rotto:) 18' [ lu]-ut-bi x 19' [ ] x taq-bi 20' [ ] x ma-la d ingir x ana 2-šú e$-$ep-šú.Diversamente G. Pettinato, Nergal ed Ereškigal, 81,non integra il “corpo,” ma si veda commento ad II 20,p. 112; C. Saporetti, Appunti sul poemetto “Nergal edEreškigal,” OA Miscellanea I (1994), 26, così tradu-ce le righe in questione «[…Nergal gli rispose: “…Volevo al]zarmi … tu hai detto … sarà raddoppiatoquanto (hanno offerto?) gli dèi(?)”», C. Saporetti,Nergal ed Ereškigal (Pisa 1995), 47: «“[… che io ]mi alzi, [Farò ciò che] tu hai detto, […] quanto … perdue lo raddoppierà”»; O.R. Gurney, The Myth of

Nergal and Ereškigal, AnSt 10 (1960), 113: «Nergalopened his mouth to speak and said to Ea:] [“…] Iwill arise […] you said […] … he/I will twine itdouble”»; G.G.W. Müller, in K. Hecker et al. (eds.),Weisheitstexte, Mythen und Epen, TUAT III, Mythenund Epen II (Gütersloh 1994) p. 762: «[Nergal tatseinen Mund auf zu sprechen und sagte zu Ea]: [“…ich will mich] aufmachen, […] sagtest du, […] …werde ich verdoppeln”»; M. Hutter, AltorientalischeVorstellungen von der Unterwelt. Literar- und reli-gionsgeschichtliche Überlegungen zu “Nergal undEreškigal,” Orbis Biblicus et Orientalis 63 (Freiburg-Göttingen 1985), 22 «[Nergal öffnete seinen Mund,er sagte zu Ea und sprach]: [“… ich will mich]aufmachen, [ich will beherzigen, was] du sagtest. …ich will es verdoppeln”».

CHIODI ERACLE TRA ORIENTE E OCCIDENTE

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Ci chiediamo se l’ultima frase, pur-troppo mutila, sulla base di quello chenoi sappiamo del racconto e di altri ele-menti che verranno in seguito elencati,non possa essere interpretata in questadirezione: il testo sta qui accennando aquello che accadrà nel prosieguo dellanarrazione. In altri termini, sembra chequi Nergal si proponga di sdoppiare sestesso, di creare un «doppio» di sé, peravere la meglio sulle ferree leggi degliInferi.36 Prima di soffermarci su questoaspetto è utile continuare il racconto chevia via chiarirà quello che stiamo cer-cando di dimostrare.

Ea, ascoltato il proposito di Nergal,

dopo aver pensato tra sé, dà alcuni con-sigli al dio per poter portare a buon ter-mine la sua «missione». Innanzittutto,dopo avergli ricordato che la sua solaspada poco può fare nell’aldilà, gli ordi-na di costruire un seggio per Anu e Nin-gizzida (nella versione di Sultantepe), oper Ea Ninšiku (in quella di Uruk). Com-piuta la prima opera egli gli impartiscealcune raccomandazioni che, quando sitroverà nel regno delle tenebre, dovràeseguire alla lettera per non essere quidefinitivamente trattenuto, preso prigio-niero. Solo se egli si atterrà scrupolosa-mente ad esse potrà tornare sano e salvoin cielo:

«Non appena tu arriverai e ti si offrirà un trono 40 non correre a sederti su di esso;

quando il cuoco ti porterà del pane, non correre a mangiarlo;quando il macellaio ti offrirà la carne, non correre a mangiarla;

quando il birraio ti offrirà la birra, non correre a berla;quando ti si porterà acqua per pulire i piedi non correre a pulirti i piedi;

50 quando essa (= Ereškigal) entrerà nel bagnoe avrà indosso come abito solo il suo corpoe ti mostrerà così le sue grazie,

tu, non alzare gli occhi su di lei alla maniera di un uomo e di una donna.

Accettare qualsiasi offerta, dividerecibo o bevande con le divinità di questoreame significa creare un vincolo inscin-dibile con l’oltretomba, per questo Nergaldeve fare attenzione. Questo concettonon è esclusivo dei Mesopotamici, lo ri-troviamo espresso in altre culture, comead esempio in Grecia nell’Inno omerico aDemetra, in cui viene narrato il ratto diPersefone da parte di Ade, il dolore dellamadre e il loro temporaneo ritrovarsi.Proprio quando madre e figlia felice-

mente si rincontrano, Demetra «presa dacupo terrore e interrompendo gli abbrac-ci»37 domanda con ansia alla figlia se es-sa ha mangiato qualcosa negli Inferi. Secosì fosse stato ella, allora, sarebbe statadestinata a vivere con il re dell’oltre-tomba per un terzo dell’anno e solo ilresto del tempo in cielo con gli immortali.

Ma torniamo al mito mesopotamico,dove – dopo una rottura di alcune righein parte integrate dagli studiosi – ritro-viamo Nergal intento a recarsi nell’oltre-

36 Oppure se colui che parla non è Nergal, ma Ea, ildio della saggezza sembra proporre, per salvareNergal, lo sdoppiamento del dio della guerra, cosic-ché diventi impossibile renderlo definitivamente e in

toto prigioniero della Terra del non ritorno.37 Inno a Demetra, r. 391-392, trad. it. di F. Càssola,in Inni omerici (Milano 1997), 69.

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tomba. Giunto alla porta degli Inferi, ilportinaio, da quello che si comprendevista la frammentarietà del testo, glichiede di attendere, in quanto deve riferi-re sul viaggiatore. Quando la narrazioneriprende troviamo Namtar intento a scru-tare il nuovo arrivato; e a questo punto

della narrazione lo scriba inserisce undato: colui che Namtar scorge non viene,come ci si aspetterebbe, chiamato Nergal,ma Erra. Come vedremo, questo ele-mento sarà molto importante per il pro-blema che stiamo qui analizzando:

S III 20' Namtar andò e da dietro la porta scrutò Erra.38

Namtar, impallidì come un tamariscotagliato, le sue labbra divennero lucidecome il bordo di una cannuccia vedendoErra, il dio che lo aveva offeso e che nonsi era inchinato al suo cospetto quando

egli era salito in cielo per ordine dellaregina delle tenebre. Egli, allora, corseverso Ereškigal e le rivelò con queste pa-role l’identità del nuovo venuto:

S III 24' “Mia Signora, quando tu mi mandasti [da Anu], tuo padre,S III 25' entrando nel cortile [di Anu]

U III 1' si inchinarono davanti a me gli dèi tutti, [ ]U III 1'-2' si inchinarono tutti gli dèi al mio cospettoS III 28-31 [ ]U III 3' ora sono scesi al Paese del non ritorno.”39

Il plurale usato dallo scriba di Uruk èproblematico. Un gruppo di divinità èsceso negli Inferi – e a questo punto nonci si può non chiedere chi siano e perchécolà si siano recati –, o, invece, non sideve forse leggere questa riga alla luce diquanto ha scritto precedentemente ilcompilatore della tavoletta di Sultantepealla col. II r. 20' di cui abbiamo parlatoprima? Anche qui purtroppo si tratta di

un passo molto mutilo per cui, prima diavanzare una qualsiasi ipotesi, è megliocontinuare la narrazione che, come ve-dremo, chiarirà l’uso apparentemente im-proprio del plurale.

Ereškigal, ascoltate da Namtar le no-vità, pronuncia inizialmente alcune frasidal significato incomprensibile e in se-guito gli impartisce il seguente ordine:

S III 40' «Va, Namta[r ]».U III 11' «Va, Namtar e fai entrare al mio cospetto quel dèi».

U III 12' Namtar andò e fece entrare gli dèi Erra.40

Nella versione di Uruk, come si puòvedere, lo scriba non ha scritto alla r. 11',come ci si sarebbe aspettati, d i n g i r

šá-a-šú, «quel dio», e alla r. 12' d i n g i rd e r - r a «il dio Erra», ma d i n g i r -m e š šá-a-šú, «quel dèi» spiegato nella

38 S III 20 dnam-tar il-lik-m[a ina $]i-li giš.ig ip-pa-la-šú dèr-ra.39 S III 24 be-el-ti ul-"tú# [ana da-nim a]d-ki taš-pu-ri-ni-ma S III 25 ana ki-sal-li [da-nim ina] e-re-bi-ja S III 26 kan-su áš-r[u dingir.meš ina p!ni-ya] U III 1' kan-su áš-r[u dingir.meš ina p!ni-ya] S III 27 kan-su [ ] U III 1'/2' [kan-su] // dingir.meš ina igi-ja "it#-

[bu-ú] S III 28-31 [ ] S III 32 "e#-[nin-na ] U III 3' e-ni-na it-tar-du ana kur.nu.g[i4.a ].40 S III 40 a-"lik#-ma dnam-ta[r ] U III 11' a-lik-ma dnam-tar-ri dingir.meš šá-a-šú šu-ri-bi ana mah-ri-ja U III 12' dnam-tar-ri il-lik-ma ú-še-rib din-gir.meš dèr-ra.

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riga seguente con d i n g i r . m e š d e r -r a , «gli dèi Erra». Non si tratta di unerrore scribale, ma probabilmente di unartificio per far capire all’ascoltatore cheun dio, che in realtà è doppio, sta var-

cando la soglia degli Inferi. Questo è inperfetta concordanza con quanto affer-mava precedentemente alla r. 3 della col.III la stessa versione di Uruk:

U III 3' ora sono scesi al Paese del non ritorno.

e probabilmente anche con quanto ripor-tava «lo scriba di Sultantepe» quando fa-

ceva dire a Nergal (o a Ea) il suo intentocon queste parole:

S II 20' [… il corpo per] quanto la mia divinità è … farò in due (raddoppierò).

In altri termini, Nergal per cercare dieludere le leggi dell’aldilà si è sdoppiato,è diventato «gli Erra» anche se apparen-temente è sempre uno. Interessante, inol-tre, è la scelta che lo scriba fa del nomedel dio. Egli poteva benissimo dire chegli «dèi Nergal» varcano la soglia degliInferi, invece preferisce, proprio in que-sto momento della narrazione, cambiarenome, come se volesse marcare ulterior-mente il cambiamento di status del dio.Inoltre, se Erra fosse semplicemente unaltro nome di Nergal non si capirebbeperché il compilatore del mito scambi idue nomi solo in momenti precisi e pro-blematici della narrazione. Ma, ancorauna volta, per capire meglio questo giocodelle alternanze è importante continuarel’esposizione del mito.

Arrivato al cospetto di Ereškigal, il diodel cielo comunica alla regina delle tene-bre che è giunto colà per odine di Anu.Per tutta risposta Ereškigal gli offre disedersi su un trono, così potrà esercitarela giustizia dei grandi dèi. Il dio non vi siavvicinò. Gli portarono allora il pane,poi la carne, poi la birra, ma egli rifiutòtutti i doni. Ereškigal, allora, entrò in ba-gno e si denudò, ma egli rimase impassi-bile. A questo punto il testo diventaframmentario. Da quanto si può capire,Ereškigal, vista fallire la sua tattica, si

consulta con i grandi dèi dell’aldilà.Sembra che Nergal – nominato al singo-lare – ascolti le loro discussioni e a causadi ciò cambi repentinamente parere inmerito al suo comportamento. Quando ilmito riprende la narrazione troviamo an-cora una volta Ereškigal intenta a spo-gliarsi, a questo punto il dio del cielo –non nominato dallo scriba – cede alle se-duzioni della regina degli Inferi. Il testosi interrompe nuovamente e quando ri-prende troviamo il dio che chiede implo-rante ad Ereškigal di tornare nuovamen-te, seppur momentaneamente, in cielo.Non conosciamo la risposta della regina,sappiamo però che egli va senza indugiverso la porta degli Inferi ed ordina alportinaio di lasciarlo andare, di liberarloper ordine di Ereškigal.

A questo punto Nergal, nominato alsingolare, sale le lunghe scale che porta-no in cielo e qui suo padre Ea, lo aspergecon acqua di fonte per renderlo calvo,strabico e deforme cosicché non lo rico-nosca il messaggero di Ereškigal che si-curamente verrà a cercarlo.

Ereškigal, intanto, ignara di quello cheè successo, chiama Namtar e lo incaricadi purificare la casa, di portare un seggioe del cibo per il messaggero di Anu colàgiunto. Namtar, però, le comunica checosa nel frattempo era successo:

S IV 48' [il messaggero di Anu], nostro padre, che è venuto a noiU V 3/ [il messaggero] di Anu, nostro padre, che è venuto a noi

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S IV 49' prima che il sole spuntasse, è salito al suo monte.U V /3 prima che il sole spuntasse, sono saliti al suo monte.41

Anche questa volta il compilatore diUruk usa il plurale, in perfetto accordocon quanto affermava precendentemente

quando descriveva “il dèi” che si era pre-sentato agli Inferi:

U III 3' ora sono scesi al Paese del non ritorno.”

Ricalcando qui ancora una volta la plu-ralità del dio quando si presenta ed entranella Terra del non ritorno.

Ereškigal ascoltata la notizia, si ab-bandona a scene di disperazione:

S IV 50 [Ere]škigal inspirò ed emise un forte grido,dal trono si buttò giù, per terra,

dai suoi occhi cominciarono a scendere lacrime:sulle sue guance scorrevano le sue lacrime:

«Erra, mio amante, mio piacere,non mi ero ancora saziata del suo piacere che già mi ha abbandonato;

Erra mio amante, mio piacere,non mi ero ancora saziata del suo piacere che già mi ha abbandonato».

Come si può notare, Ereškigal rivendi-ca come suo amante Erra, non Nergal eanche questo è in armonia con quantoprecedentemente aveva affermato lo scri-ba di Sultantepe relativamente al dio cheera entrato negli Inferi – Namtar scorge

alla soglia Erra e non Nergal – come se sivolesse sottolineare che colui che agiscenegli Inferi non sia Nergal, ma il suodoppio, il suo alter ego, Erra. Ma conti-nuiamo la narrazione e vediamo qual è lareazione di Namtar:

S IV 58' Namtar aprì la sua bocca e disse, ad Ereškigal rivolse la parola:U V 10 Namtar aprì la sua bocca e disse, ad Ereškigal rivolse la parola:

S IV 59' [«Da Anu, tuo padre,] mandami: voglio prendere prigioniero quel dioU V 11 [«Da Anu, tuo padre,] mandami: voglio prendere prigioniero quel dèi

S IV 60'U V 11 e portartelo.”42

Come si può notare lo scriba di Urukfa dire a Namtar che egli vuol prendereprigioniero non “il dio” che ha offeso la

regina, ma “il dèi,” come se egli fossesempre stato conscio del gioco che Nergalaveva attuato.

41 S IV 48 [dumu šip-ri šá da-nim a]d-ni šá il-li-ka-na-ši U V 3/ [dumu šip-ri] šá d60 ad-ka šá il-lik-an-na-a-šú S IV 49 [la-am ur-ra i-nam-mi-ru šá-d]a-šú e-"tu#-li U V /3 la-am ur-ra i-nam-mi-ru šá-da-šú i-te-lu.42 S IV 58 "dnam#-tar pa-a-šú du11-ma du11.ga anadereš-ki-gal a-mat muár

U V 10 [dnam-tar pa-a-šú] dù-ma du11.ga anadereš-ki-gal a-mat muár

S IV 59 [ana da-nim ad-k]a šu-p[u]-"ur!#-[in-ni-m]a dingir šá-a-šú lu $ab-tak-ma U V 11/ [ana d60 a]d-ka šu-pur-in-ni-madingir.meš šá-a-šú lu-u$-bat-tak-ma S IV 60 [ lu]l!-qa-ak-ki ka-a-ši U V /1 lul-qa-ka ka-a-šú.

CHIODI ERACLE TRA ORIENTE E OCCIDENTE

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Ereškigal, continua il racconto, dopoessersi abbandonata a scene di dispera-

zione, incarica Namtar di salire in cielo edi ripetere le seguenti parole ai grandi dèi:

V 3 «Da quando ero fanciulla ed adolescente

non ho avuto modo di conoscere i giochi delle vergini,5 non ho conosciuto nessun gioco dei bambini.

[Quel dio che] avete inviato a me si è unito a me, possa (ora) egli giacere con me.Mandate qui quel dio perché possa essere il mio amante, perché possa giacere

con me.

Io sono diventata impura, non sono più vergine, non posso quindi emettere sentenze sui grandi dèi,

sui grandi dèi che abitano l’Irkalla!

10 Se voi non manderete qui quel diosecondo [le leggi dell’Irkal]la e del Grande Paese,

allora io farò salire i morti, perché possano mangiare i vivi,farò diventare i morti più numerosi dei vivi».

Ereškigal non menziona il nome deldio che l’ha sedotta e il testo di Sultan-tepe usa sempre il singolare.43

La minaccia di Ereškigal, se attuataporterebbe ad un totale sovvertimentodell’ordine cosmico, cosa questa da evi-tare assolutamente. Ecco, allora, che cosaescogita ancora una volta il dio dellasaggezza Ea. Egli invita Namtar ad entra-re nel vasto cortile del cielo – dove tuttigli dèi sono riuniti – per cercare, sempreche lo trovi, il fuggiasco. Inutile dire cheNamtar non riconosce “il dèi” nella divi-nità strabica e deforme, per cui se netorna a mani vuote negli Inferi. Ereški-gal, però, non si fa ingannare dall’astutoEa e ordina a Namtar di prendere prigio-niero proprio quello strano dio che sicu-ramente altro non è che colui che l’ha

abbandonata.Il testo a questo punto diventa lacuno-

so; da quello che si comprende, Namtartrovato colui che cercava e che alla r. 2e 5 della col. VI chiama Erra, sembraesprimere il desiderio di ucciderlo; inseguito gli spiega tutte le regole dellaterra tenebrosa. Innanzittutto egli deveportarsi un trono44 più altri sei oggetti dicui nulla sappiamo in quanto il testo hamolte lacune.

Da quanto si evince da quel che rimanedel racconto di Sultantepe, il dio celeste– il nome purtroppo non è conservato –pone qualcosa nel suo cuore, ed unge ilsuo tendine e tende l’arco, ma mentre ac-cede agli Inferi attraverso le sette porteviene piano piano spogliato da tutto ciòche egli aveva portato con sé45:

43 Si potrebbe ipotizzare che ella non conoscesse ilnome di colui che aveva giaciuto con lei; in realtà,alla col. IV di S. r. 54, 56, la regina degli Inferi lo hachiamato Erra. Per una diversa interpretazione si ve-da M. Hutter, Altorientalische Vorstellungen von derUnterwelt, p. 71.44 Il seggio, probabilmente, era funzionale alla suanuova vita negli Inferi. Sposando Ereškigal egli di-venta il re di questa terra tenebrosa e, come tale,

quando sarà seduto sul suo trono, emetterà sui nuoviarrivati le sentenze degli Inferi.45 La svestizione della divinità celeste mentre oltre-passa le soglie degli Inferi è un classico nella lettera-tura mesopotamica. Anche la dea dell’amore, Ištar, fuspogliata di tutto ciò che indossava quando varcò lesette porte, per cui giunse davanti a sua sorellaEreškigal nuda e quindi impotente.

CHIODI ERACLE TRA ORIENTE E OCCIDENTE

111

S. VI 28 (Egli) entrò quindi nella vasta corte,

le andò incontro e sorrise;30 la prese per i capelli;

dal [trono?] … [ ]la prese [per la chio]matanto era l’amore nel suo amore;

si abbracciarono allora fratello e sorella35 e nella camera da letto essi voluttuosamente entrarono.

Un giorno, due giorni fecero l’amore la regina E[reškigal ed E]rra;tre giorni, [quattro giorni], DITTO

cinque giorni [ ] DITTOsei giorni [ ] DITTO;

40 [ ] [ quando ] giunse.

Il finale del racconto è dapprima lacu-noso e poi rotto, per cui non si possonotrarre altri dati oltre a quelli che ci offrequest’ultimo passo. Innanzittutto, daquanto si evince, secondo lo scriba diSultantepe, il dio che fa l’amore con laregina degli Inferi è Erra, anche se pocoprima chiamò Nergal il dio che scese ne-gli Inferi.46 Sembra quasi, che sia l’autoredella tavoletta di Sultentatepe sia quellodi Uruk, volutamente nominino sempre ildio che agisce negli Inferi con il nome diErra, mentre invece quando l’azione sisvolge in cielo oppure quando nell’aldilàsi deve prendere una decisione, conquello di Nergal; inoltre il redattore diUruk usa il singolare-plurale quando siriferisce a colui/coloro che agisce/ononegli Inferi.

Che cosa significa tutto questo scam-bio di nomi? Che cosa vuol dirci lo scri-ba con questo artificio?

Si potrebbe ipotizzare, come si è già

detto, che in realtà nulla si celi dietroquesto mito perché Erra altro non è cheun altro nome di Nergal, ma se così fossenon si capirebbe l’alternanza dei nomisolo in precisi e importanti momenti dellanarrazione mitica e non in qualsiasi mo-mento della vicenda. Ricordo, infatti, chechi offende in cielo l’araldo della reginadegli Inferi è Nergal. Ne dovrebbe con-seguire che colui che scende agli Inferidebba sempre essere Nergal, eppure, loscriba di Uruk nomina il dio celeste,usando un singolare-plurale, che attendedi poter varcare le soglie degli Inferi conun altro nome: Erra. Ed è sempre Erra,anzi gli Erra, colui/coloro che Namtar faentrare dietro ordine di Ereškigal. Ambe-due le versioni, poi, affermano che il dioche Ereškigal reclama come amante è Er-ra, così come colui che fa l’amore con leiè chiamato con tale nome. Diversamente,il dio fuggito dal regno delle tenebre ecolui che qui ritorna è nominato Nergal.

46 Di questo scambio di nomi si era già accorta V.Afanasieva, «Vom Gleichgewicht der Toten und derLebenden», ZA 70 (1981), 167, anche se non si sof-

ferma su tale aspetto. Dato questo ripreso da G. Selz,UGASL (Philadelphia 1995), 299 n. 46, ambedue nongiungono, però, alle conclusioni da me tratte.

CHIODI ERACLE TRA ORIENTE E OCCIDENTE

112

Probabilmente quello che il mito vuoldirci è che il dio che si unì con la reginadegli Inferi, cioè Erra, è e non è Nergal,per cui queste due divinità sono e nonsono la stessa divinità. Sembra, in altritermini, che qui ci troviamo di fronte aduna speculazione sulla natura e sulla per-sona del dio, che si può così riassumere:Nergal è due, ma nel contempo è uno; lanatura è una, ma le persone sono due:Nergal ed Erra. La loro identica naturaspiega anche la loro interscambiabilità equindi la difficoltà di riconoscerli. Pro-prio questo aspetto permetterà a Nergal,diventato due, di sfuggire alla dura leggedell’aldilà. Una parte di sé, la sua copia,può benissimo qui essere trattenuta, ma

non in toto il dio in persona; il discorsovale anche rovesciato. Solo così diven-gono chiari gli strani plurali-singolariusati dallo scriba di Uruk, i quali a lorovolta sembrano chiarire la frase mutiladella versione di Sultantepe: «[il corpoper] quanto la mia divinità è … raddop-pierò».

In altri termini, Nergal attraverso taleastuzia è riuscito ad aggirare, rispettan-dola, una ferrea legge degli Inferi di cuisiamo edotti, ad esempio, dalla composi-zione sumerica: La discesa di Inannaagli Inferi. Quando la dea, si legge neltesto, si accinse a lasciare il tenebrosoregno dei morti, gli Annunna, i grandidèi, la fermarono e le dissero:

«Chi mai salito al Kur, ne è disceso libero?Se ora Inanna vuol scendere dal Kur,una testa per la sua testa dia!».47

Per quanto concerne Nergal il suo so-stituto, almeno da come si evince dalmito, altro non è che la sua replica, il suoperfetto gemello. Attraverso questo stra-tagemma il dio non solo riesce ad averela meglio sugli Inferi, ma riesce a di-ventare un dio più potente in quanto al-larga la sua sfera di influenza. Egli, in-fatti, oltre ad essere, in terra, il dio dellaguerra diviene, in quanto sposo di Ereš-kigal, il sovrano degli Inferi. Chiara-mente questo status si attua solo nellacondizione di gemello.

Se cerchiamo altre fonti che possanoconfermare quanto detto fino ad ora que-ste si possono ritrovare tra le speculazio-

ni astrologiche. Si deve innazittutto sot-tolineare che Nergal, forse non a caso,oltre ad essere associato al pianeta Mar-te, fu identificato con un emblematicosegno zodiacale: i gemelli. Questi, poi,nell’Astrolabio B,48 dove vengono fornitii nomi dei Grandi (MAŠ.TAB.BA.GAL.GAL) e dei Piccoli Gemelli (MAŠ.TAB.BA.TUR.TUR), sono rispettivamente chia-mati Nergal e Erra (mentre i piccoli Lu-galgirra e Meslamtaea49).

Questo testo astrologico, inoltre, forni-sce un illuminante passo il cui contenutoben si inserisce con quanto sottilmenteafferma questo mito. Alla col. III r. 1-10della sezione A (KAV 218) si legge50:

III 1 i t i - g a [ n é - g á l é - n u n t u10] 6 ITI.GAN hé-gal-lu u nu-uh-šu2 M U L [ … u r - s a g k a l a - g a

d i r - r a - g a l ]7 uk-ta-ma-ru UR.SAG dan-nu

3 u r u r u g a l - l a - [ t a b a - r a ] - è 8 dU+GUR iš-tu er-$e-ti i-la-a4 u r 4 - u r 4 [ d i n g i r - m a š ] - t a b - b a 9 ka-šu-uš [DINGIR].MEŠ ki-lal-la-an

47 Discesa di Inanna agli Inferi, rr. 286-289, trad. it.di G. Pettinato, Mitologia sumerica (Torino 2001),275.48 Astrolabio B, III 33 sgg.

49 Diversamente in M u l. a p i n vengono invertiti.50 Compilato nel periodo neo-assiro però le primecopie sono del periodo medio-assiro (1400-1300).

CHIODI ERACLE TRA ORIENTE E OCCIDENTE

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5 i t i u r - s a gG Ì R . B Í L A Š . D U

10 ITI UR.SAG [gít-m]a-li dU+GUR

«Nel mese Gan (IX51) abbondanza e prosperità/ vengono accumulate, l’eroe forte,/ Nergal(in sum. Erra) è salito dagli Inferi/ unendo (sum. raccogliendo) i due dèi gemelli,/ è il mesedel giovane eroe Nergal».

Il verbo sumerico ur4-ur4, raccogliere,significa tornare insieme, diventare uno eil testo accadico chiarifica che cosa sivuol dire: «rendere uno i due gemelli», iquali hanno ragione di esistere solo inquanto sono separati, mentre, quando unosale, essi scompaiono perché esiste in

questa nuova condizione solo una divi-nità. I gemelli, in altri termini, risultanocome due emanazioni della stessa divi-nità, e tale dato non può non richiamarequanto si afferma, anche se in modo la-cunoso nella versione di Sultantepe delmito di Nergal ed Ereškigal:

S II 20' [… il corpo per] quanto la mia divinità è … farò in due (raddoppierò).

Questi passi confermano la nostra in-terpretazione del mito di Nergal ed Ereš-kigal, ma essi non sono gli unici.

Un amuleto neo-assiro discusso da

Wiggermann52 mostra nel verso due figu-re identiche con mazza e doppia ascia,mentre nel recto viene riportato il se-guente testo:

1 dMAŠ.dMAŠ MAŠ.TAB.BA maš-maš, coppia,SAG.GÁ DU.DU andate davanti,GABA $UL.GÁL il petto del cattivoNU.UN.GI.GI fate vacillare.

5 ZI dASAL.LÚ.$I Per la vita di AsalluhiLUGAL AN.KI.A $É.PÀD re del cielo e della terra sii scongiurato;DINGIR $UL NAM.BA. il dio cattivo non siTE.GE26. DA ÉN avvicini. Scongiuro.

Il testo, indirizzato al dio maš-maš, igemelli, un nome di Nergal, ma anche,ricorda Wiggermann, di Meslamtaea e diLugalgirra, mostra, secondo lo studiosoche «… the incantation concerns the re-duplicated god on the other side» egliinoltre osserva che «The amulet and thetext imply that one god, Meslantaea, isimagined as having two identical bodies»,anche se, a proposito di Meslantaea, os-serva che la scelta dell’identificazionedel dio o degli dèi non è facile, e si basasolo sulla presenza della mazza e della

doppia ascia, ma osserva poco dopo: «inthe new b"t m#seri manuscript SpTU 369:2 it is Lugalgirra who is armed withmace and axe (also Nergal and a figurewhose name is broken), which stressesthe identity of two gods, and the futilityof choosing».

Comunque stiano qui le cose, a noiinteressava portare un’ulteriore attesta-zione relativa ad un dio «replicato», inquanto ciò mostra la diffusione di questaideologia.

Altri due testi sono a questo proposito

51 IX mese = novembre-dicembre. Si veda E. Reiner,En$ma, Anu, Enlil, Tablets 50-51, in BabylonianPlanetary Omens 2 (Malibu 1981), 82.52 F.A.M. Wiggermann, Mesopotamian ProtectiveSpirits. The ritual texts (Groningen 1992), 38, si vedaanche 18sgg., relative a quattro statue divine redupli-

cate, e 68 in cui si afferma: «Our suspicion that themace is the sign of office of the divine deputy(u d u g /r!bi$u), and that the divine deputy appearsas the “god with the mace” on OB (and later periphe-ral) seals, must be substantiated elsewhere».

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illuminanti. Si tratta di un passo riportatoda Tallqvist,53 3 R 66, IV 17 in cuiNergal è chiamato: il!ni ša m!t Namar«gli dèi (al plurale) del paese di Namar»,ed un altro, riportato da E. von Weiher,54

in cui si afferma che a causa di un incen-dio nella cappella di Nergal «i due Ner-gal» furono trasportati dall’Eanna di Uruknel tempio del dio Lugalmarad:

.................... U4.2.KAM .............. il secondo giornošá arahdu’$zi ina mu-ši del mese di Tammuz, di nottei-šá-a-ta ina b"t dnèrgal un fuoco scoppiò nel tempio di Nergalta-an-da-qu-ut lúza-zak-ku T. il funzionario Zazakkuu mdnabû-n!$ir a-na muh-hi e Nabû-n %ir sono subito accorsi.it-tal-ku-nu ina giš$illi Grazie alla protezione degli dèišá il!nimeš šu-lum a-na tutto ciò che vi era là dentromim-ma ma-la ina lìb-bi si è potuto salvare.

15 il!nimeš a-na b"t dlugal-marad-da Gli dèi, al tempio di Lugalmarad,nu-ul-le!-ti-iq abbiamo portato.

Gli dèi, il!nimeš, della r. 15 sono, se-condo E. von Weiher,55 i «due Nergal»,in quanto alla r. 23 dello stesso testo silegge: «a-na dnèrgal (IGI.DU)meš ki-lál-le-e» che lo studioso identifica con Lugal-girra e Meslantaea.

Come si può comprendere da questiultimi passi, soprattutto quelli riportatida Wiggermann e da E. von Weiher l’ideadi una divinità raddoppiata non è certoestranea al mondo mesopotamico, e ilsignificato di questa dualità ci viene for-nito dal mito di Nergal ed Ereškigal dauna parte e dall’Astrolabio B dall’altra.

Giunti a questo punto credo risultichiaro che probabilmente il r!bi$u di cuisi parla nella XII Tavola dell’Epopea diGilgameš ninivita possa essere intesocome Erra, il suo identico gemello.

Si è aperto questo lavoro affermando

che la dicotomia di Eracle, accennata nellibro undicesimo dell’Odissea, è rintrac-ciabile nella figura di Nergal così come èstata delineata nel poemetto sumericoGilgameš, Enkidu e gli Inferi, nella XIITavola dell’Epopea di Gilgameš ninivitae nella versione di Uruk Sultantepe diNergal ed Ereškigal, ora, le analogie fraqueste due figure furono percepite daglistessi antichi come dimostrerebbe, tral’altro, l’associazione di Eracle al segnozodiacale dei Gemelli che per gli Assiri-Babilonesi, come si è visto, era propriodi Nergal o forse sarebbe meglio dire de-gli dèi Nergal.

Eracle, in compagnia di Apollo o diTeseo,56 non è l’unica divinità o eroegreco ad essere associato ai Gemelli;Bouché-Leclercq ricorda, ad esempio, iDioscuri Castore e Polluce, Apollo e

53 K. Tallqvist, Akkadische Götterepitheta, StOr VII(1938), 392.54 E. von Weiher, Der Babylonische Gott Nergal,AOAT 11 (Neukirchen-Vluyn 1971), 62, n. 1.55 E. von Weiher, Der Babylonische Gott Nergal, 62,n. 1.56 Di Teseo, in compagnia di Piritoo, si racconta – siveda per le fonti R. Graves, Greek Myths, trad. it. di E.Morpurgo, I miti Greci (Milano 1987), 333 nota 4 –la sua catabasi e liberazione per mezzo dell’inter-vento di Eracle. I due erano scesi agli Inferi con

l’intento di rapire Persefone. Giunti colà, furono ac-colti da Ade che li invitò ad un banchetto. Appena,però, essi si sedettero sui seggi – che procuravanol’oblio – non poterono più alzarsi. Eracle, con il per-messo di Persefone, potè liberare il solo Teseo. Piri-too, a causa della sua audacia fu punito a restare negliInferi. «Dei sedili del sovrano dell’oltretomba, scriveC. Saporetti, Nergal ed Ereškigal, 1, sembra, per certiversi, antesignano un altro seggio, anche se fatto dilegno: quello su cui Ereškigal ha tentato di far sedereNergal, con cui era adirata».

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Bacco; Zetho e Anfione; Trittolemo eGiasone, i Cabiri di Samotracia.57 Eracle,però, è l’unico fra questi – a quanto miconsta – ad essere associato al pianetaMarte; connessione che, secondo AchilleStazio ed Aristotele, sarebbe stata avan-zata degli Egiziani, mentre per Macrobiodai Caldei: «Chaldaei stellam Herculisvocant quam reliqui omnes Martis ap-pellant».58 Il problema che rimane aperto,ma che esula dal presente lavoro, è lacomprensione delle vie e dei tempi didiffusione, dato questo importante nonsolo per i periodi antichi, ma anche perquelli più recenti per cercare di com-prendere se anche la teologia babilonesesu Nergal, non solo quella sumerica, èdocumentata nel mondo greco.

A tal proposito, anche se si tratta diuna attestazione riguardante una stranie-ra, vorrei ricordare una iscrizione bilin-gue del III secolo a.C. rinvenuta nel Pi-reo, dunque in terra greca, in cui una si-doniana afferma che il monumento fune-bre fu fatto costruire da Yaton-Bêl, figliodi Ešmun-Sillè , capo dei sacerdoti deldèi Nergal59: dove Nergal è al singolare,mentre l’apposizione dèi è al plurale: ’lmnrgl. Pur essendo noto che nelle iscrizio-ni fenicie si trova talvolta il plurale ’lmper indicare una singola divinità, ritengoperò che questa caratteristica riferita aNergal possa avere una motivazione teo-logica che affonda le sue radici nel mon-do mesopotamico, la patria di origine delculto di questo dio. Questa iscrizione di-mostrerebbe che la sidoniana praticavaun culto di Nergal più vicino a quelloteologicamente delineato nella versionedi Sultantepe-Uruk che a quello sumericodimostrando che l’impatto della cultura

mesopotamica con i paesi vicini e, inquesto caso, indirettamente con la Gre-cia, sono stati continui e fecondi.

Riportando, dopo questa lunga digres-sione, la nostra attenzione alla traduzio-ne-interpretazione data dallo scriba ba-bilonese al passo sumerico prima citato,si può, sulla base di quanto è stato finoad ora detto, ipotizzare che egli rese ilsumerico «il divino spirito (dg i d i m ) diNergal» con «il rappresentante di Nergal»in quanto sostituì l’idea di una scissionedel dio con quella di un suo reduplica-mento, per cui il r!bi$u, o il rappresen-tante di Nergal di cui si parla nella XIITav. dell’Epopea di Gilgameš ninivitapotrebbe essere inteso come Erra, il suoidentico gemello.

Una speculazione che, per certi versi econ le debite differenze, si pone a metàstrada tra quella avanzata dai Sumeri equella degli Accadi si può rintracciarenella teologia egiziana, dove troviamo,innanzittutto, l’idea di scissione del dio,come nel mondo sumerico, e quella di riu-nione di ciò che precedentemente era scis-so, come attesta il passo tratto dall’Astro-labio B più su citato.

In un Inno ad Ammone (IV 16 sgg.) diepoca post-amarniana, redatto dunque nonmolto tempo dopo la copiatura a Tell el-Amarna del mito di Nergal ed Ereškigal,viene delineata la presenza del dio intutto il cosmo secondo questo schema: ilba del dio creatore, ovvero la sua ener-gia, la sua forza vitale, la sua apparizio-ne, si trova in cielo mentre il suo corponegli Inferi, e la sua immagine sulla ter-ra. In questo modo, sottolinea Hornung,60

«la divinità è pensata come presentenell’intero mondo ordinato della creazione

57 A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque (Paris1899), 135-136.58 Per le altre attestazioni si veda A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque, 98-99 n. 459 KAI 59: «’nk ’spt bt ’šmnšlm $dnt ’š y#n’ ly ytnbl bn

’šmn$lh rb khnm’lm nrgl».60 E. Hornung, Der Eine und die Vielen. ÄgyptischeGottesvorstellungen (Darmstadt 19904), trad. it. di D.Scaiola, Gli dèi dell’antico Egitto (Roma 1992), 204.

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… La residenza preferita è sempre ilcielo… Gli Inferi costituiscono un luogodi soggiorno secondario e temporaneo, incui il Ba e il corpo si uniscono ogni not-te. Sulla terra gli dèi vivono solo nelleimmagini, nel re in quanto immagine deldio, nelle immagini cultuali dei templi,in animali, piante e oggetti sacri».

Diversamente dal Nergal accadico,Ammone non si è sdoppiato, duplicato,ma, si è semplicemente scisso in dueparti: da un lato il Ba, dall’altro il corpo,e questo richiama in un certo qual modo ilpasso sumerico – dunque non accadico –relativo a Nergal, in cui si afferma chenegli Inferi non risiede il dio in persona,ma il suo divino spirito, lasciando in uncerto qual modo intendere che il dio inpersona, il suo sé, si trovava in cielo co-me ben chiarisce, anche se avanza unaformulazione teologica diversa, la tradu-zione del passo in lingua accadica. Inol-tre, mentre la riunione del dio Ammoneavviene negli Inferi ogni notte, i due ge-melli – ovvero Erra e Nergal – secondo iltesto astrologico scritto in lingua accadi-ca prima riportato, si riuniscono sullaterra una volta all’anno.

I testi accadici ci fornisco, infine, unaltro testo relativo questa volta al dioNingizzida di cui si narra la sua singolareliberazione dagli Inferi attraverso unostratagemma.

A causa del cattivo stato di conserva-

zione della tavoletta su cui fu inciso ilracconto, non conosciamo perché egli fupreso prigioniero dalla terra tenebrosa,né la motivazione del suo viaggio. Daquello che si comprende, Ningizzida, do-po essere stato fatto prigioniero, subisceil giudizio degli Anunna infernali per ve-nir poi condotto alla presenza di Ereški-gal. A questo punto del racconto inter-viene Ningiridu/Ninsiskurra, la madre deldio, che intercede per la sua liberazione.Il riscatto sarà attuato per mezzo di unprezioso simulacro del dio defunto, allar. 15 del v., mi-li-it la-ni-šu ovvero“statua del suo corpo.” La traduzione aquesto proposito è però incerta, in quan-to, come afferma W.G. Lambert: «As formi-li-it, the only other occurrences seemto be in ARM 13 19, where there is men-tion of the militu of a snake … From thecontexts the word seems to refer to amodel or replica of something, but itsetymology is not clear».61

Se la traduzione qui offerta è esatta, lastatua si presenterebbe come un sostitutodel dio, essa, infatti, non rappresenta, maè Ningizzida, è il dio, è colui che essa“raffigura.” In tal modo egli è semprepresente, per mezzo della sua statua, nelregno di Ereškigal, mentre il dio liberatosi trova sulla terra ed in cielo. Si avrebbeprobabilente, inoltre, un altro corrispetti-vo del termine greco eíd lon, in questocaso, però, associato al kolossós.

61 W.G. Lambert, «A new Babylonian Descent to the Netherworld», p. 294 ad Rev. 14.