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Società Italiana di MEDICINA GENERALE Periodico bimestrale. Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n°46 art.1, comma 1, DCB PISA Aut. trib. di Firenze n. 4387 del 12-05-94 - IR - IP Vertigine acuta Malattia policistica renale autosomica Ipotiroidismo BPCO Vaccinazione antinfluenzale Health Search Mille GPG ISSN 1724-1375 4 Agosto 2012 www.simg.it

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Direttore ResponsabileClaudio Cricelli

Direttore EditorialeAlessandro Rossi

Direttore ScientificoGiuseppe Ventriglia

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RedazioneLucia CastelliTel. 050 31 30 224 • [email protected]

StampaIndustrie Grafiche Pacini • Pisa

4Agosto2012

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Rivista Società Italiana di Medicina GeneraleIntervistaIntervista al prof. Vincenzo AtellaSpesa sanitaria sotto controllo. Ma quale? ................................................. 3

Disease managementLa vertigine acuta: gestione da parte del medico di medicina generale e integrazione specialisticaA. Micarelli, I. Pavone, M. Cosmelli, M. Alessandrini ............................................ 4

Attualità in UrologiaLa malattia policistica renale autosomica dominante dell’adulto: tributo alla sua identitàS. Campo, C. Cricelli, A. Filippi, P. Lora Aprile, G. Piccinocchi ............................... 8

Nuove tematicheSuicidio e tentativo di suicidio come evento sentinella per il medico di medicina generaleM. Pompili, P. Girardi ...................................................................................... 11

RicercaL’evoluzione dei consumi alcolici e dei fenomeni alcol-correlati in Italia F. Beccaria, S. Rolando ................................................................................... 20

SIMGiovaniForum - Accessi impropri al Pronto Soccorso e H24. L’opinione di due medici in formazioneC. Lamanna, E. Trastulli .................................................................................. 27

Decision makingLa gestione dell’ipotiroidismo in Medicina Generale: nuove opportunità terapeutiche per la compliance e il raggiungimento del target terapeutico G. Medea ...................................................................................................... 29

Focus onNuovi indirizzi per la gestione della BPCO: il paziente al centro del processo di curaG. Bettoncelli ................................................................................................ 34

Dossier influenzaVaccinazione antinfluenzale: come incrementare le coperture vaccinali. Razionale, strategie e strumentiP. Bonanni, M. Ruggeri, A. Rossi ...................................................................... 38

Conoscere MilleGPG ............................................................ 45

Inserto specialeHS-Newsletter

Finito di stampare presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. - Settembre 2012Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, [email protected], http://www.aidro.org.I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Ospedaletto (Pisa).

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Intervista al prof. Vincenzo AtellaSpesa sanitaria sotto controllo. Ma quale?

Vincenzo AtellaFacoltà di Economia, Università Tor Vergata di Roma

3Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.4>>> agosto 2012

Negli ultimi anni, grazie alle politiche di conteni-mento, la spesa sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ha visto ridurre il suo tasso di crescita: nel 2010, per esempio, secondo i dati del Ministero della Salute, l’incremento è stato dello 0,9% rispetto all’anno precedente, mentre nel 2009 la crescita rispetto al 2008 è stata pari al 2,9%. Una recente indagine condotta dal CEIS Tor Vergata di Roma e Health Search, l’istituto di ricerca della SIMG, ha rilevato un interessante fenomeno: se la spesa per la cura del paziente (riguardante visite specialistiche, diagnostica, far-maci, ricoveri ospedalieri) è rimasta, dal 2004 al 2010, pressoché costante, a segnare un aumen-to è stata invece la spesa legata al funzionamento del SSN (la struttura burocratica e amministrati-va, la logistica e così via). A parlarci dei risultati è Vincenzo Atella, professore all’Università Tor Vergata di Roma, che ha elaborato i dati.

Professore, che cosa è emerso dalla ricerca?«I dati sulla spesa del SSN che ogni anno il dica-stero della Salute pubblica sono in realtà aggre-gati e non riescono a inquadrare esattamente il dettaglio dei costi. Con la nostra indagine, basata su un confronto anno per anno tra i dati di spesa pro-capite di fonte HS-SiSSI sui medici di medici-na generale (MMG) (inclusi ricoveri ospedalieri) e i dati del Ministero, siamo riusciti a scorporare la spesa nelle sue macro-voci: da una parte quella più direttamente implicata nell’assistenza ai cit-tadini e dall’altra quella riferibile al funzionamento del sistema sanitario, in un certo senso accesso-ria. E il risultato dell’analisi è molto interessan-te: dal 2004 – periodo in cui la spesa sanitaria ha iniziato a ridurre i suoi ritmi di crescita – al 2010, è emerso che la spesa legata all’assisten-za è rimasta pressoché costante, mentre quel-

la accessoria ha continuato a crescere con un aumento, nel giro di 5-6 anni, di circa 640 euro pro capite. E il fenomeno è ancora più marcato se si prendono in considerazioni le regioni con piano di rientro: se la spesa assistenziale è in molti casi diminuita, quella gestionale è andata aumentan-do, arrivando a un differenziale pro-capite, tra 2004 e 2010, di circa 700 euro, contro i 500 delle regioni senza piano».

Che cosa significa questa situazione?«Sono due le conclusioni che si possono tirare: la prima è che riusciamo a tenere sotto control-lo solo quella parte di spesa che è monitorata. La seconda è che, in questa situazione, è chiaro che le proposte di contenimento, se non addirit-tura di taglio, siano sempre dirette a questa voce, andando a incidere quindi sul servizio ai cittadini».

Un gatto che si morde la coda quindi. C’è una via d’uscita?«Il problema è che sulla spesa accessoria man-cano quasi totalmente informazioni. Certo, nei cassetti dei direttori generali di ciascuna ASL si troverà senz’altro il rendiconto di ogni minimo movimento, ma il fatto è che, salvo forse qualche eccezione di Aziende più avanzate, sono dati non sistematizzati e soprattutto non confrontabili. E gestiti in questo modo sono quasi inutili».

Però, a quanto sta trapelando, il processo di spending review nella sanità, almeno in una prima fase, verrà fatta sulla voce dei beni e servizi«Anche qui va fatta chiarezza. È vero che in questa categoria sono compresi beni come la carta da fotocopie, i contratti dell’energia o telefonici, ma vi rientrano anche l’acquisto di prestazioni sani-

tarie, quali le ore di assistenza cardiologica, e i farmaci. Il punto è che si andrà ad agire sulla parte di spesa su cui ci sono informazioni: ancora una volta quella produttiva e non quella gestionale».

Adesso si parla molto anche di agenda digitale. Crede che il processo potrà essere di qualche aiuto? Ed eventualmente quale potrebbe essere la tempistica per rendere monitorabili tutti i dati?«Servirebbe soltanto un po’ di buona volontà. In alcuni settori il processo è stato già avviato con successo. Se ce ne fossero le intenzioni, pro-babilmente in un paio d’anni si potrebbero già vedere dei risultati».

Ma quale potrebbe essere, in termini economici, l’impatto di questa operazione?«Una stima è difficile, ma qualche considerazio-ne la si può fare: se la spesa complessiva fosse cresciuta allo stesso ritmo di quella rilevata da HS-SiSSI, nel 2010 la spesa pro-capite sarebbe stata di circa 300 euro più bassa. Va detto che in questo valore rientrano anche costi non gestio-nali, come quelli per l’igiene pubblica, veteri-naria, prevenzione, e una parte della spesa di lungodegenza: in via cautelativa, possiamo pren-dere in considerazione un risparmio di 200 euro pro capite. Facendo un calcolo grossolano, la stima di costi aggiuntivi evitabili potrebbe essere allora di 12 miliardi per l’intera popolazione. Ma al di là dell’approssimazione, il dato certo è che si tratta di svariati miliardi».

Suona come un’occasione persa«Proprio così».

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La vertigine acuta: gestione da parte del medico di medicina

generale e integrazione specialistica

Alessandro Micarelli1, Isabella Pavone1, Massimo Cosmelli2, Marco Alessandrini11 Cattedra di Otorinolaringoiatria, Università di Roma “Tor Vergata”; 2 Medico di Medicina Generale, Roma

4 Rivista Società Italiana di Medicina Generale n.4>>> agosto 2012

IntroduzioneLa vertigine è una sensazione spiacevole definita come “percezione illusoria di movi-mento”, ma tale terminologia raramente è propria dei pazienti, i quali intendono con il termine vertigine una serie di condizioni cliniche quali capogiri, sbandamenti, sen-sazione di testa vuota, di testa leggera, di stordimento. La vertigine rappresenta una delle più comuni cause di visita medica, pertan-to è importante che il medico di medicina generale (MMG) sia a conoscenza delle principali patologie che ne sono alla base. Questo al fine di poter distinguere forme benigne e non evolutive, anche se fastidio-se e angoscianti per il paziente, da forme secondarie a patologie più gravi ma che spesso sostengono una sintomatologia sfu-mata e meno allarmante. Per comprendere le diverse sindromi vertiginose e formula-re un corretto iter diagnostico-terapeutico distinguiamo forme acute, di breve durata e spesso a carattere occasionale, da forme ricorrenti, croniche e periodiche. La durata delle prime può variare da pochi secondi a intere settimane, con sintomi associati quali nausea, vomito, acufeni, ipoacusia, senso di pressione endoauricolare, così come segni neurologici più o meno focali quali le turbe della coordinazione del movimento o deficit di più nervi cranici.Il labirinto eziologico delle sindromi vertigi-nose non è meno complesso di quello clini-co; correntemente si riconoscono vertigini

di origine centrale e vertigini di origine peri-ferica (Tab. I).Una delle caratteristiche proprie della ver-tigine è l’elevato grado di informazioni, utili per un corretto inquadramento diagnostico, che è possibile ottenere attraverso i dati anamnestici e il rilevamento di alcuni segni riscontrabili solo all’esordio dei sintomi; su questo principio si basa il ruolo fondamen-tale del MMG quale possibile primo soc-corritore del paziente vertiginoso. Poiché il corteo sintomatologico può rappresentare la prima espressione di processi morbosi diversi, di natura sistemica, neurologica, otoiatrica, oculistica o anche psicopatolo-gica, la finalità del percorso diagnostico è quella di restringere il campo a un piccolo numero di ipotesi razionalmente ordinate secondo un criterio probabilistico.

Algoritmo diagnostico della vertigine acutaL’equilibrio è il risultato di una complessa interazione tra strutture periferiche, come gli apparati vestibolari, visivi e i sistemi pro-priocettivi spinali, e strutture centrali come il cervelletto, i sistemi tronco-encefalici di integrazione dei riflessi oculo-vestibolari e la corteccia cerebrale che, in ultima anali-si, restituisce la percezione del movimento come risultante dell’integrazione dell’atti-vità di tutte le strutture coinvolte. L’integrità funzionale di queste strutture, periferiche e centrali, è tale che la vertigine può consegui-

re al malfunzionamento di uno qualsiasi dei componenti. Se la vertigine in sé non indica con esattezza la localizzazione del danno, una coorte di altri elementi, solo in apparen-za accessori, potrebbe indirizzare il percorso diagnostico verso il sottosistema coinvolto. Come proposto da A. Belal, attraverso la valutazione della sintomatologia associata alla vertigine acuta e alla sua modalità di presentazione, è possibile proporre un algo-ritmo diagnostico che permetta di restringe-re il campo delle ipotesi a quattro principali sottotipi (Fig. 1):1. Vertigine acuta con segni neurologiciSe a una sindrome vertiginosa acuta si associano sintomi e segni quali dismetria, disfonia, disfagia, miosi e/o ptosi unilaterali, deficit di altri nervi cranici o disturbi emiso-mici del movimento, è necessario escludere la presenza di una patologia in fossa crani-ca posteriore, di natura vascolare, espansi-va, ischemica o emorragica.Inoltre è opportuno citare la Vertigine Emicranica rappresentata da crisi vertigino-se di durata variabile, associate a emicrania, che può precedere, essere concomitan-te o seguire l’episodio vertiginoso stesso. L’anamnesi del paziente risulta spesso posi-tiva per cinetosi, dolori addominali in età infantile e pregresso torcicollo spasmodico.2. Vertigine acuta senza segni uditiviUna vertigine a esordio acuto senza segni uditivi dovrebbe essere collocata periferi-camente, nel labirinto o a livello del nervo vestibolare.

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Disease managementLa vertigine acuta

5Rivista Società Italiana di Medicina Generale

L’esordio dopo i 40 anni, a breve distanza da un episodio influenzale, con una durata della fase di acuzie di ore o giorni, segui-ta da una fase prolungata di “disequilibrio” subcontinuo scarsamente sensibile alle variazioni di posizione, orientano verso la neuronite vestibolare, caratterizzata da una prognosi favorevole e dal recupero comple-to, o quasi, dopo alcuni mesi.Il possibile ruolo eziologico di vasculiti siste-miche o di aterosclerosi diffusa impongono una diagnosi differenziale con fenome-ni ischemici del labirinto per occlusione dell’arteria vestibolare anteriore.L’età giovanile richiede l’esclusione di un’infrequente sclerosi multipla che esordi-sce con vertigine.3. Vertigine acuta con segni uditiviL’associazione di una vertigine acuta con segni uditivi come ipoacusia, iperacusia o acufeni potrebbe conseguire a una pato-logia infettiva; se insorta in età giovanile, l’ipotesi più probabile è quella di una forma virale o batterica, la cui prognosi è solita-mente favorevole.In età avanzata, o in presenza di fattori di

rischio cardiovascolari, prende maggior corpo l’ipotesi di un danno ischemico da occlusione dell’arteria uditiva interna.Se il paziente è un subacqueo o se il disturbo è comparso in coincidenza con uno starnuto, un accesso di tosse o soffiandosi energica-mente il naso, è sospettabile una fistola peri-linfatica: tra i diversi test menzioniamo il più semplice che consiste nel provocare la ver-tigine con un aumento di pressione, anche solo digitale, nel condotto uditivo.Una sintomatologia vertiginosa acuta, della durata di minuti o ore, sovente preceduta da ovattamento auricolare, ipoacusia e acufe-ni, indirizza l’ipotesi diagnostica verso una condizione di idrope endolinfatica, di cui la Malattia di Ménière risulta essere la princi-pale esponente.4. Vertigine acuta posizionaleUna vertigine acuta senza altri segni se non la nausea e/o il vomito, tipicamente scate-nata dai cambiamenti di posizione o dalla rotazione del capo, indica con alta proba-bilità una vertigine parossistica posizionale benigna, per la trattazione della quale si rinvia al n. 1/2012 di questa rivista.

Per meglio inquadrare il paziente nell’algo-ritmo diagnostico-decisionale, è utile avva-lersi anche di semplici riscontri semeiotici. Qualora la crisi vertiginosa lo consenta, è indicato raccogliere le informazioni pro-venienti dalle prove segmentario-toniche, basate sulla regolazione motoria della posizione statica e dinamica. Tra queste ricordiamo il noto Test di Romberg, in cui si invita il soggetto a mantenere una stazione eretta con piedi uniti, e il Valzer Test dove il paziente esegue una marcia sul posto per circa 30 secondi. La direzione delle nette oscillazioni nel primo test e dell’evidente rotazione nel secondo indicano con buona approssimazione il sistema vestibolare ipo-valente. Questi dati, presi isolatamente, non sono dirimenti e devono quindi essere inte-grati con le informazioni provenienti dalla ricerca del nistagmo. Come noto, il nistag-mo è un movimento ritmico, non volonta-rio dei globi oculari, composto da una fase lenta e da una fase rapida, che rappresenta spesso, ma non in modo inequivocabile, un segno dello sbilanciamento vestibolare periferico.

Tabella I.

Principali cause di vertigine periferica e centrale (da Labuguen, 2006, mod.).

Principali cause di vertigine periferica

Descrizione

Vertigine parossistica posizionale benigna

Distacco degli otoliti e loro impegno nei canali semicircolari posteriori, laterali e più raramente anteriori. A eziologia per lo più idiopatica, talvolta associata a traumi cranici ed eventi ipertensivi

Neuronite vestibolare acuta Infiammazione del nervo vestibolare, probabilmente a eziologia virale, spesso preceduta da episodio infiammatorio delle prime vie aeree

Labirintite acuta Infiammazione del labirinto causata da infezione virale (ad esempio in corso di parotite epidemica), batterica (ad esempio in corso di scarlattina) o come complicazione di un’otite media purulenta

Malattia di Ménière Aumento del liquido endolinfatico nel labirinto (idrope endolinfatica) che genera sindrome vertiginosa acuta rotatoria, spesso preceduta da ovattamento auricolare, ipoacusia e acufeni

Fistola perilinfatica Comunicazione tra orecchio medio e orecchio interno; solitamente successiva a traumi cranici, barotraumi, otochirurgia, vigorosi esercizi o colpi di tosse

Otosclerosi Osteodistrofia a carattere ereditario e per lo più bilaterale della capsula labirintica, che conduce a ipoacusia, acufeni e, in alcune occasioni, a vertigini

Principali cause di vertigine centrale

Descrizione

Tumori dell’angolo ponto cerebellare Neurinoma del nervo acustico, ependimoma infratentoriale, glioma, medulloblastoma e meningioma

Patologie cerebrovascolari In particolare nei soggetti affetti da alterazioni del sistema vertebro-basilare

Emicrania Mal di testa episodico, solitamente unilaterale e pulsante, accompagnato da sintomi quali nausea, vomito, fotofobia e, talvolta, preceduto da aura

Sclerosi multipla Malattia cronica demielinizzante del sistema nervoso centrale. Un episodio vertiginoso acuto o una perdita di equilibrio possono rappresentarne l’esordio

Intossicazione Reazione avversa all’utilizzo di farmaci o successiva ad abuso alcolico

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Disease management A. Micarelli, et al.

6 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

FIgura 1.

Algoritmo diagnostico in corso di vertigine acuta.

Vertigine acuta

Il paziente è affetto da vertigine acuta propriamente detta?

Il paziente è in trattamento con farmaci

che possono causare vertigine?

Iter diagnostico per pre-sincope e disequilibrio

Se possibile sospendere trattamento

Probabile patologia dell’orecchio medio

Presenza di otalgia e/o otorrea?

Presenza di segni neurologici associati?

Presenza di segni uditivi (ipoacusia e/o acufeni)?

Processi ischemico-emorragici ed espansivi in fossa cranica

posteriore, vertigine emicranica

Patologie infettive, infiammatorie, ischemiche, ecc., del labirinto,

malattia di Ménière

Fenomeni ischemici del labirinto posteriore, neuronite vestibolare,

sclerosi multipla, vertigine posizionale parossistica benigna

Sì NO

Sì NO

SìNO

NO

NO

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Disease managementLa vertigine acuta

7Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Il nistagmo dovrebbe essere osservato con l’ausilio degli occhiali di Frenzel, strumento raccomandato anche perché di facile frui-bilità ed essenzialmente composto da due lenti positive di 20 diottrie, che consente la rilevazione dei movimenti oculari patologici privando il soggetto della fissazione visiva. Questo al fine di rilevare il nistagmo sponta-neo, preferibilmente con il paziente in posi-zione supina, e qualora possibile, definirne la direzione della fase rapida. Una corretta interpretazione di questi dati semeiologici consente di distinguere le sin-dromi vertiginose in irritative e deficitarie. Nelle prime, come nella Malattia di Ménière, la fase rapida del nistagmo devia verso il lato affetto, ma in quel momento prevalente, e la direzione nelle prove segmentario-toni-che verso il lato sano ma ipovalente. Nelle seconde, come accade in corso di neuroni-te vestibolare, la fase rapida del nistagmo devia verso il lato sano, e in quel momento prevalente, mentre la direzione nelle prove segmentario-toniche verso il lato patologico e ipovalente. Questo precoce inquadramento tornerebbe utile sia al MMG sia al medico specialista qualora prenda in carico il paziente succes-sivamente.

Principi generali di terapia medicaDurante la crisi vertiginosa acuta il target terapeutico è volto a controllare da un lato il sintomo vertigine con il correlato emoziona-le e dall’altro i disturbi neurovegetativi come la nausea e il vomito. Il Centro Del Vomito (CDV) riceve molteplici afferenze eccitato-rie, tra le quali anche quelle provenienti dai nuclei vestibolari, che ne modulano l’attività agendo su recettori dopaminergici, musca-rinici, serotoninergici e istaminici. D’altro canto, l’azione dei farmaci antagonizzanti i suddetti recettori non avviene solo a livello del CDV, ma anche in altre regioni cere-brali dove può alterare quei parametri utili al MMG e allo specialista per un corretto

inquadramento diagnostico della sindrome vertiginosa. Per questo motivo sarebbe pre-feribile praticare il trattamento dopo il rilievo dei dati precedentemente descritti e per soli 3-4 giorni, al fine di non ritardare i mecca-nismi di compenso vestibolare.In riferimento a quanto espresso, il tratta-mento sintomatico si basa su diversi prin-cipi. Farmaci ipnotico-sedativi della famiglia delle benzodiazepine (ad esempio deloraze-pam, al dosaggio di 2 mg/die) o alcuni anti-istaminici (come il dimenidrinato al dosag-gio di 100-300 mg/die) controllano la sin-tomatologia bloccando sia l’attività del CDV che delle afferenze vestibolari che a questo pervengono. Altri composti come la meto-clopramide (al dosaggio di 10-30 mg/die) possiedono un’attività anti-dopaminergica e anti-serotoninergica sia a livello del CDV che a livello gastro-duodenale dove modificano l’onda peristaltica. Analoga funzione, ma selettiva sui recettori serotoninergici, svolge anche l’ondansentron (dose giornaliera: 8 mg). Inoltre noi consigliamo l’uso precoce e routinario del dispositivo P6 Nausea Control Sea-Band, in quanto abbiamo constatato, su un numero significativo di pazienti, una riduzione della sintomatologia specie di tipo neurovegetativo. Infatti tale dispositivo, facilmente reperibile, rappresentato da due piccoli braccialetti elasticizzati applicabili a livello del carpo, incrementa l’attività vaga-le anti-peristaltica. Il suo utilizzo, già ampio nelle chinetosi, può essere prolungato poi-ché non interferisce sui parametri prima menzionati e non presenta effetti collaterali.

Di seguito riportiamo suggerimenti terapeu-tici utili al MMG che si trovi a dover gestire alcune sindromi vertiginose acute:• Neuronite vestibolare: oltre al trattamento sintomatico la tera-

pia è affidata ai farmaci corticosteroi-dei, volti a controllare il fenomeno flo-gistico, come ad esempio prednisone al dosaggio iniziale di 25-50 mg/die per 4-5 giorni. È consigliabile l’utilizzo di betaistina al dosaggio di 48 mg/die per

30 giorni in quanto, tra gli altri effetti, risulta favorente il compenso vestibo-lare. Infine, proprio per promuovere tali meccanismi di compenso, è indicato mobilizzare il paziente quanto prima e indurlo a riprendere le attività quotidia-ne ancor più con esercizi riabilitativi.

• Malattia di Ménière:a) singola crisi: trattamento sintomatico;

diuretici osmotici (es. glicerolo, 1 g/kg/die per os o e.v. in soluzione acquosa al 50%; acetazolamide, 5 mg/kg/die), volti a indurre una deplezione del liqui-do endolinfatico, o corticosteroidi se si ipotizza una forma immunitaria o flogi-stica (es. prednisone 25 mg/die);

b) fase intercritica: al fine di ridurre nume-ro e durata delle crisi si consiglia betai-stina (48-96 mg/die per oltre 6 mesi), dieta iposodica, astensione da fumo e alcool.

• Vertigine emicranica:a) singolo episodio: trattamento sintoma-

tico; analgesici (es. associazione para-cetamolo, ac. acetilsalicilico, caffeina), triptani (es. sumatriptan; max 300 mg/die); antiemetici (es. metoclopramide; 10 mg/die; P6 Nausea Control Sea-Band);

b) profilassi delle crisi: calcio-antago-nisti (es. flunarizina; 10 mg/die) e antidepressivi triciclici (amitriptilina; 30-50 mg/die).

Bibliografia di riferimentoCortesina G, Albera R. Trattato di vestibologia, vol, 1. Torino: Contatto et Archimedica 2008.

Belal A. The dizziness maze a simple road map. Otorhinolaryngol Nova 2002-03;12:77-8.

Alessandrini M, Napolitano B, Micarelli A, et al. P6 acupressure effectiveness on acute vertiginous patients. J Altern Complement Med 2012; in press.

Labuguen RH. Initial evaluation of Vertigo. Am Fam Physician 2006;73:244-51.

Strupp M, Brandt T. Diagnosis and treatment of vertigo and dizziness. Dtsch Arztebl Int 2008;105:173-80.

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La malattia policistica renale autosomica dominante dell’adulto: tributo alla sua identità

Salvatore Campo, Claudio Cricelli, Alessandro Filippi, Pierangelo Lora Aprile, Gaetano Piccinocchi

Medici di Medicina Generale, SIMG

8 Rivista Società Italiana di Medicina Generale n.4>>> agosto 2012

IntroduzioneLa malattia policistica renale autosomica dominante dell’adulto (Autosomal dominant polycystic kidney disease, ADPKD) è una delle malattie genetiche più comuni, con un’incidenza di 1 su 1000, ed è la princi-pale causa genetica di insufficienza renale dell’adulto. Nel mondo, è la causa di tera-pia sostitutiva emodialitica nel 5-10% dei pazienti. È una malattia geneticamente eterogenea e se ne distinguono due tipi; il tipo I, causato da mutazioni del gene PKD1 che codifica per la policistina-1, è la forma più diffusa e aggressiva, responsabile di maggiore mortalità prematura e colpi-sce soggetti di età più giovane e il tipo II, causato da mutazioni del gene PKD2 che codifica per la policistina-2, che rappre-senta il 10-15% dei casi, a evoluzione più lenta. Il gene PKD1, mutato in circa l’85% dei pazienti, si trova sul cromosoma 16. Il gene PKD2, localizzato sul cromosoma 4, risulta mutato nel rimanente 15% circa dei pazienti. L’ADPKD presenta penetranza completa, interessando tutti i soggetti che hanno ereditato la mutazione genetica, ed espressività variabile, in quanto l’epoca e i modi di insorgenza e di sviluppo delle cisti può essere variabile; questo comporta che, nell’attività clinica, bisogna sottoporre i congiunti di primo grado di un paziente affetto da ADPKD a uno screening diagno-stico. È stata descritta una possibile condi-zione di eterozigosi per le mutazioni PKD1 e PKD2 1-5. La malattia ha un esordio tra i

40 e i 50 anni, ma può manifestarsi anche prima, e ha un’impronta sistemica perché, oltre al rene, altri organi possono essere interessati dalle cisti (fegato, pancreas e milza) e, inoltre, è possibile un interessa-mento del sistema cardiovascolare relati-vamente alla presenza di ipertensione, di aneurismi cerebrali e coronarici, di dila-tazioni dell’arco aortico e di valvulopatie cardiache. La malattia è anche associata, rispetto alla popolazione generale, a una maggiore prevalenza di diverticoli del colon e di ernie inguinali 1-4. La caratteristica prin-cipale della malattia consiste nel formarsi di cisti in entrambi i reni che progressivamen-te aumentano in numero e dimensioni fino a causare la perdita critica della funzionalità renale nella metà circa dei pazienti.

La clinicaEssendo la malattia, soprattutto all’esordio, frequentemente asintomatica, la diagnosi è spesso casuale, nel corso di indagini moti-vate da altri quesiti clinici; talvolta presenta segni clinici correlati (sensazione d’ingom-bro, palpazione di una massa in sede lom-bare, dolori lombari, micro-macro-ematuria, riduzione della clearance della creatinina, ecc.) che portano alle indagini e alla diagno-si. L’ipertensione arteriosa è frequente e ne può essere una condizione di esordio clinico. Ne possono essere complicanze la nefroli-tiasi, le infezioni urinarie e, anche se rara, la rottura delle cisti nelle vie urinarie (ematuria) o in sede retroperitoneale (dolore, febbre,

ecc.). La diagnosi strumentale è ecografica e, nei casi sospetti, con TAC. La diagnosi di certezza è genetica ma bisogna tener conto dei suoi costi e del fatto che riesce a dimo-strare mutazioni certe in circa 41-63% dei casi e mutazioni certe e verosimilmente associate a malattia nel 78-89% dei casi 6 7. In Italia, è possibile eseguire la diagno-si genetica solo presso la Fondazione San Raffaele di Milano dove le UO di Nefrologia possono trasmettere un campione di sangue del paziente, previo accordo. Nelle procedure diagnostiche, l’ADPKD deve essere distinta dalle cisti renali semplici, uniche o multiple, abbastanza comuni nell’adulto, che interes-sano parzialmente i reni e che generalmente non presentano un’evoluzione critica. Nella Tabella I sono elencate le condizioni con presenza di cisti renali, con codifica ICD-IX, e tra le quali il medico di medicina generale (MMG) deve saper scegliere nel codificare la condizione clinica del paziente nel software operativo di studio.Alcune di queste condizioni hanno deno-minazioni che per assonanza potrebbero essere considerate dei sinonimi e se non viene effettuata una valutazione diagnosti-ca attenta è possibile che le denominazioni possano essere usate indifferentemente. Considerato che nell’ordinaria attività clini-ca non è semplice procedere alla diagnosi genetica per la conferma diagnostica, è necessario ricorrere a criteri clinici e stru-mentali. Tra i criteri clinici, sono indicativi per ADPKD: insorgenza tra i 40 e i 50 anni

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Attualità in UrologiaLa malattia policistica renale autosomica dominante dell’adulto

9Rivista Società Italiana di Medicina Generale

o anche prima, evoluzione della malattia e familiarità. Nel 1994, Revine et al. hanno definito le caratteristiche ecografiche utili a diagnosticare il PKD1 e consistenti nella presenza di almeno due cisti (uni o bilatera-li) tra 15 e 29 anni e la presenza di almeno due cisti in ciascun rene tra 30 e 59 anni 8. Uno studio di Pei et al., pubblicato nel 2009 sul Journal of the American Society of Nephrology, ha dato un consistente con-tributo per una più accurata diagnosi. Gli Autori hanno esaminato 577 soggetti da 58 famiglie a rischio di PKD1 e 371 da 39 famiglie a rischio di PKD2; li hanno sotto-posti a indagini ecografiche e genetiche e dalla valutazione dei dati di sensibilità e specificità hanno estrapolato dei criteri diagnostici ecografici predittivi, in assenza di uno studio genetico, per ADPKD 9. Nella Tabella II sono rappresentate le caratteristi-che ecografiche che possono suggerire la diagnosi di ADPKD.

Tabella II .

Caratteristiche ecografiche che possono suggerire la diagnosi di ADPKD 9.

15-39 anni 3 o più cisti uni o bilaterali

40-59 anni 2 o più cisti in ciascun rene

≥ 60 anni 4 o più cisti in ciascun rene

Per altro verso, fra i 30 e 39 anni, l’assen-za di riscontro ecografico di cisti può far escludere la presenza di malattia e, sopra i 40 anni, il riscontro ecografico di nessuna cisti o di una sola cisti renale ha un valore predittivo negativo del 100%, con false-negative rate dello 0,7% 9. Pertanto, com-plessivamente, la diagnosi può derivare dai seguenti criteri clinico-strumentali:• insorgenza 40-50 anni o meno;

• caratteristiche ecografiche delle cisti (Tab. II);

• evoluzione della malattia;• familiarità;• esame genetico positivo.Attualmente, non sono disponibili terapie capaci di arrestare o rallentare l’evoluzione della ADPKD; è possibile, invece, controllare le comorbidità o le complicanze per evitare che costituiscano componenti peggiorative per l’evoluzione della malattia. In tal senso, la sorveglianza clinica deve essere indiriz-zata, oltre a un monitoraggio della funzione renale, al controllo ottimale dell’iperten-sione arteriosa e di altri fattori di rischio cardiovascolari che possono contribuire a rendere più severo il danno renale, alla con-ferma o meno di condizioni associate alla presenza di cisti, alla prevenzione delle infe-zioni e della formazione di calcoli, ecc. La dimostrazione che la Policistina-1 si com-plessa con la tuberina e agisce come un inibitore endogeno dell’attività del mamma-lian Target of Rapamycin (mTOR) ha destato molto interesse ai fini terapeutici. L’uso di un inibitore di mTOR (rapamicina o il deriva-to everolimus), in pazienti affetti da ADPKD, inibendo l’mTOR, determinerebbe l’arresto del ciclo cellulare e quindi l’apoptosi  10. I recenti discordanti risultati di alcuni studi sull’uso degli inibitori dell’m-TOR nell’uo-mo possono generare interrogativi circa la loro posologia e il momento ottimale del trattamento e confusione sui reali benefici clinici della terapia 11. È il primo vero ten-tativo della ricerca scientifica di porre freno all’evoluzione della malattia e, anche se i primi risultati non sono entusiasmanti, può essere l’inizio di un percorso che potrebbe portare i pazienti affetti a guardare il futuro con maggiore fiducia.

Perché l’attenzione della Medicina Generale italiana per l’ADPKD?Nell’universo di cui il MMG si prende cura, alcune patologie o condizioni interessano decine o centinaia di assistiti, altre hanno una prevalenza meno evidente ma, per l’in-tensità della patogenicità e per il coinvolgi-mento del sistema socio-sanitario, posso-no meritare attenzione, ancor più se poco conosciute. Di queste fa parte l’ADPKD. Alcune motivazioni, epidemiologiche e clini-che, possono portare la Medicina Generale italiana a impegnarsi per una migliore conoscenza della malattia: 1. i dati epidemiologici italiani disponibili

sono parziali in quanto riguardanti cam-pioni non significativi dell’intera popo-lazione;

2. l’ADPKD è una condizione poco nota nei suoi profili diagnostico e patogenetico;

3. Il non corretto inquadramento diagno-stico dell’ADPKD può indurre a sotto-valutare il rilievo clinico della malattia, per il rischio di insufficienza renale e come condizione ad alto rischio cardio-vascolare;

4. la corretta diagnosi ha significato clini-co per il paziente e, essendo una malat-tia autosomica dominante, valutativo-diagnostico per i familiari di I grado; pertanto la presa in carico riguarda sia il paziente sia la relativa famiglia.

Per questo abbiamo voluto iniziare un percorso che possa portare la Medicina Generale a conoscere meglio la malattia per gestire al meglio le persone che ne sono affette. L’Associazione Italiana Rene Policistico (AIRP) ha voluto coinvolgere la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) nella tappa del suo Road Show 2010-2012 che il 31 marzo 2012 ha inte-ressato Palermo; è stata un’occasione per conoscere un’Associazione di pazienti che si sta prodigando per diffondere la cono-scenza della malattia e per ottenerne l’at-tenzione del mondo socio-sanitario. Una delle criticità di sistema che è emersa, oltre la carente conoscenza della malattia, riguarda l’assenza di riconoscimento ai fini dell’esenzione alla partecipazione alla spesa sanitaria e che riguardi la persona affetta, indipendentemente dallo stadio di malattia

Tabella I.

Condizioni che comportano la presenza di cisti renali.

593.2 Cisti renali acquisita; cisti rene

753.1 Malattia cistica rene

753.11 Cisti renale congenita, singola

753.12 Rene policistico

753.13 Rene policistico autosomico dominante (ADPKD)

753.14 Rene policistico autosomico recessivo

753.17 Rene con midollare a spugna

753.19 Rene multicistico

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Attualità in Urologia S. Campo, et al.

10 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

renale cronica e/o dalla percentuale di inva-lidità riconosciuta. L’esperienza comune ha rinforzato le nostre motivazioni all’impegno che si era già manifestato con la progetta-zione di un primo studio preliminare, valuta-tivo epidemiologico, sulla malattia.

Bibliografia1 Igarashi P, Somlo S. Genetics and

pathogenesis of polycystic kidney disease. J Am Soc Nephrol 2002;13:2384-98.

2 Hateboer N, v Dijk MA, Bogdanova N, et al. Comparison of phenotypes of polycystic kidney disease types 1 and 2. European PKD1-PKD2 Study Group. Lancet 1999;353:103-7.

3 Parfrey PS, Bear JC, Morgan J, et al. The

diagnosis and prognosis of autosomal dominant polycystic kidney disease. N Engl J Med 1990;323:1085-90.

4 Ravine D, Walker RG, Gibson RN, et al. Phenotype and genotype heterogeneity in autosomal dominant polycystic kidney disease. Lancet 1992;340:1330-3.

5 Pei Y, Paterson AD, Wang KR, et al. Bilineal disease and trans-heterozygotes in autosomal dominant polycystic kidney disease. Am J Hum Genet 2001;68:355-63.

6 Rossetti S, Consugar M, Chapman A, et al., CRISP Consortium. Comprehensive molecular diagnostics in autosomal dominant polycystic kidney disease. J Am Soc Nephrol 2007;18:2143-60.

7 Garcia-Gonzalez M, Jones J, Allen S, et al. Evaluating the clinical utility of a molecular

genetic test for polycystic kidney disease. Mol Genet Metab 2007;92:160-7.

8 Ravine D, Gibson RN, Walker RG, et al. Evaluation of ultrasonographic diagnostic criteria for autosomal dominant polycystic kidney disease 1. Lancet 1994;343:824-7.

9 Pei Y, Obaji J, Dupuis A, et al. Unified Criteria for Ultrasonographic Diagnosis of ADPKD. J Am Soc Nephrol (JASN) 2009;20:205-12.

10 Shillingford JM, Murcia NS, Larson CH, et al. The mTOR pathway is regulated by polycystin-1 and its inhibition reverses renal cystogenesis in polycystic kidney disease. Proc Natl Acad Sci USA 2006;103:5466-71.

11 Grantham JJ, Bennett WM, Perrone RD. mTOR Inhibitors and Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease. N Engl J Med 2011;364:286-9.

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Suicidio e tentativo di suicidio come evento sentinella per il medico di medicina generale

Maurizio Pompili, Paolo GirardiDipartimento di Neuroscienze, Salute Mentale e Organi di Senso, Servizio per la Prevenzione del Suicidio, Ospedale Sant’Andrea, Sapienza Università di Roma

11Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.4>>> agosto 2012

Il suicidio è un fenomeno complesso che ha attirato l’attenzione di filosofi, teolo-gi, medici, sociologi e artisti nel corso dei secoli. È difficile spiegare perché alcuni individui decidano di suicidarsi mentre altri in situazioni simili o persino peggiori non facciano altrettanto. Sappiamo però che la maggior parte dei suicidi può esse-re prevenuta. Il suicidio è attualmente un problema grave nella salute pubblica nella maggior parte delle nazioni. È una delle prime cause di morte nel mondo soprat-tutto tra i giovani. Affligge profondamente gli individui, le famiglie, i luoghi di lavoro, la comunità e la società nel suo comples-so. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che ogni anno nel mondo sono circa un milione gli individui che commetto-no il suicidio, mentre un numero di individui variabile da 10 a 20 volte più grande ha tentato il suicidio. Ciò rappresenta in media una morte per suicidio ogni 40 secondi e un tentativo di suicidio ogni 3 secondi. Stando ai dati attuali e all’analisi dei tassi di morte per suicidio nel mondo, le stime suggeri-scono che nel 2020, le vittime potrebbero salire a un milione e mezzo 1. In tutte le nazioni, il suicidio è attualmente tra le prime tre cause di morte nella fascia di età 15-34 anni; nel recente passato il fenomeno predominava tra gli anziani, ma ai nostri giorni è più allarmante tra i giovani sia in termini assoluti che relativi in un terzo delle nazioni. Questo dato rappresenta una perdita di vite umane più alta rispetto alla

perdita di vite causata da guerre e omicidi ogni anno; tre volte la perdita di vite umane registrata nella tragedia dello Tsunami nel Sud-Est dell’Asia nel dicembre del 2004; inoltre ogni giorno muoiono a causa del suicidio l’equivalente delle vittime causate dall’attacco alle torri gemelle di New York l’11 settembre del 2001. È dunque un fenomeno che non può essere ignorato e vi è la necessità di infrangere quel silenzio e quel composto, ma deleterio, sviamento dal tema attuato quotidianamente.Secondo quanto affermato da un documento dell’OMS 2 il suicidio è un problema di gran-de entità nei paesi europei, soprattutto tra i nuovi stati indipendenti dell’Europa dell’Est. I governi di tutte le nazioni del mondo sono impegnati nella lotta contro il suicidio pro-muovendo la consapevolezza e migliorando gli interventi e le tecniche preventive. Ogni individuo può fare qualcosa per aiutare a ridurre il numero delle persone che con-siderano il suicidio come una soluzione al loro dolore mentale. Il fondatore della suici-dologia Edwin Shneidman 3 chiama questo dolore insopportabile psychache, che signi-fica “tormento nella psiche”. Shneidman suggerisce che le domande chiave che possono essere rivolte a una persona che vuol commettere il suicidio sono “Dove senti dolore?” e “Come posso aiutarti?”. Se il ruolo del suicidio è quello di porre fine a un insopportabile dolore mentale, allora il com-pito principale di colui che deve occuparsi di tale individuo è quello di alleviare tale

dolore. Se infatti si ha successo in questo compito, quell’individuo che voleva morire sceglierà di vivere. Shneidman 3 inoltre con-sidera che le fonti principali di dolore psico-logico: vergogna, colpa, rabbia, solitudine, disperazione, hanno origine nei bisogni psicologici frustrati e negati. Nell’individuo suicida è la frustrazione di questi bisogni e il dolore che da essa deriva a essere con-siderata una condizione insopportabile per la quale il suicidio è visto come il rimedio più adeguato. Ci sono bisogni psicologici con i quali l’individuo vive e che definisco-no la sua personalità e bisogni psicologici che quando sono frustrati inducono l’indi-viduo a scegliere di morire. Potremmo dire che si tratta della frustrazione di bisogni vitali; questi bisogni psicologici includono il bisogno di raggiungere qualche obiettivo come affiliarsi a un amico o a un gruppo di persone, l’autonomia, l’opporsi a qualcosa, l’imporsi e il bisogno di essere accettati, compresi e il conforto. Shneidman 4, padre della suicidologia, ha proposto la seguente definizione del suicidio: “Attualmente nel mondo occidentale, il suicidio è un atto conscio di auto-annientamento, meglio definibile come uno stato di malessere generalizzato in un individuo bisognoso che alle prese con un problema, conside-ra il suicidio come la migliore soluzione”. Shneidman 3 ha inoltre suggerito che il sui-cidio è meglio comprensibile se considerato non come un movimento verso la morte ma come un movimento di allontanamento da

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Nuove tematiche M. Pompili, P. Girardi

12 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

qualcosa che è sempre lo stesso: emozioni intollerabili, dolore insopportabile o ango-scia inaccettabile, in breve psychache.Ci sono tre caratteristiche nello stato men-tale della persona suicida:1. ambivalenza: la maggior parte delle

persone hanno sentimenti contradditto-ri circa l’idea di suicidarsi. Il desiderio di vivere e quello di morire si alterna-no nell’individuo suicida. C’è sempre il bisogno di risolvere il dolore psicologi-co, sotto il quale si nasconde il deside-rio di vivere. Infatti, molte persone sui-cide in realtà non vogliono morire; ma sono afflitte da un tormento psichico che, se risolto, fa allontanare i pensieri e i propositi suicidari;

2. impulsività: il suicidio è un atto impulsivo. Come ogni altro impulso, quello di com-mettere il suicidio è transitorio e dura da minuti a ore. È generalmente innescato da eventi negativi nella vita di tutti i gior-ni. La risoluzione di queste crisi, apre la strada alla possibilità di poter risolvere alla base l’impulso suicida;

3. rigidità: quando gli individui sono suici-di, il loro pensiero, i loro sentimenti e le loro azione sono ristretti. Pensano costantemente al suicidio e non sono in grado di considerare altre soluzioni al problema. Hanno pensieri drastici. Molti individui suicidi comunicano il loro intento. Spesso inviano segnali, e affer-mano di “voler morire”, “sentirsi inutili” o cose simili. Sono tutte richieste di aiuto che non devono essere ignorate.

Ognuno dovrebbe saper riconoscere i segnali d’allarme per il suicidio. Spesso il soggetto a rischio di suicidio si presenta con pensieri identificabili con le seguenti espressioni: essere tristi, depressi, “Vorrei essere morto”, “Non riesco a fare nulla”, “Non posso più andare avanti così”, “Sono un perdente”, “Gli altri staranno meglio senza di me”. Tutti dovrebbero riconosce-re i segnali d’allarme per il suicidio. Colui che minaccia di farsi male o di uccidersi, oppure lo desidera ed è in cerca di mezzi come armi da fuoco, farmaci o altro e che parla della morte, cosa insolita per tale per-sona, dovrebbe indurre la considerazione di un alto rischio di suicidio. Inoltre, un alto rischio di suicidio è associato a sentimenti

di disperazione, rabbia incontrollabile, ricer-ca di vendetta, agire in modo imprudente o rischioso senza meditare sulle conse-guenze di un certo comportamento, sentirsi intrappolati e sentirsi senza via d’uscita. Il rischio è poi associato al consumo di alcol e droga, all’allontanamento dalle amicizie, dalla famiglia, e dai contatti sociali; ansia, agitazione, disturbi del sonno sono sempre identificabili in presenza di rischio di sui-cidio. L’individuo a rischio spesso riferisce cambiamenti marcati del tono dell’umore, mancanza di motivi per vivere e non identi-ficare il senso della vita.Il suicidio si può prevenire. La maggior parte degli individui con rischio di suicidio vogliono assolutamente vivere; non riesco-no però a trovare possibili alternative ai loro problemi. La maggior parte degli individui emette chiari segnali inerenti la loro inten-zione suicida, ma spesso gli altri non colgo-no il significato di tali messaggi oppure non sanno come rispondere alla loro richiesta d’aiuto. Parlare del suicidio non induce nell’altro un proposito suicidario; al contrario, l’individuo in crisi e che pensa al gesto si sente solle-vato e ha l’opportunità di sperimentare un contatto empatico.

Il suicidio e tentativo di suicidio come evento sentinella per il medico di medicina generaleIn termini generali in ambito sanitario un evento sentinella è “un evento avverso di particolare gravità, potenzialmente evita-bile, che può comportare  morte o grave danno al paziente e che determina una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del servizio sanitario. Il verificarsi di un solo caso è sufficiente per dare luogo a un’in-dagine conoscitiva diretta ad accertare se vi abbiano contribuito fattori eliminabili o riducibili e per attuare le adeguate misure correttive da parte dell’organizzazione” 5. Il problema dell’evento sentinella è partico-larmente rilevante in ambito ospedaliero. Una recente indagine ha messo in eviden-za che il suicidio è il principale degli eventi sentinella che si registrano negli ospeda-li italiani. Al contrario di quanto spesso assunto, il suicidio di pazienti ricoverati

non avviene nei reparti di psichiatria bensì in primo luogo nei reparti di medicina interna e chirurgia 6. Il medico di base ha un ruolo cruciale nella prevenzione del suicidio. I dati della lettera-tura riportano che frequentemente i sogget-ti che commettono il suicidio si sono recati da un operatore della salute, in primo luogo un medico di base, nei mesi e settimane precedenti la morte 7 8. Secondo la review di Luoma et al. 7, il 45% delle persone dece-dute per suicidio aveva avuto un contatto con la medicina di base nel mese prece-dente il suicidio. Altri studi in accordo con questa review indicano che percentuali tra il 25 e il 75%, dei pazienti che commettono il suicidio hanno un contatto con la medicina di base in un lasso di tempo che varia da 30 a 90 giorni 9-17. Allungando il periodo preso in considera-zione fino a 180 giorni, si apprende che l’82% di coloro che muoiono per una over-dose avevano ricevuto una visita medica 10. Anderson et al.  18 in uno studio compren-dente 472 individui che si erano suicidati tra il 1991 e il 1995 in una regione della Danimarca, hanno osservato che ben il 66% di loro avevano consultato un medi-co di base, di cui il 13 e il 7% erano stati dimessi rispettivamente da un ospedale psichiatrico e da un ospedale generale.Spesso i medici di base hanno difficoltà ad assicurare una situazione di calma in cui poter accertare il rischio di suicidio 19-21. È auspicabile un canale diretto con i servizi di salute mentale e la possibilità di consul-tazione tra medico di base e psichiatra di riferimento. Il medico di base nel sospetto di rischio di suicidio dovrebbe ascoltare attentamente e astenersi da ogni giudizio; dovrebbe ricostruire la storia del paziente e verificare il supporto sociale e familiare a disposizione del paziente. Successivamente dovrebbe concentrarsi sullo status psichico e sulla visita fisica (soprattutto se vi è stato un tentativo di suicidio). Nel caso di un com-portamento suicidario, il medico può chie-dere “Perché adesso?” come momento per esplorare le vicissitudini che hanno portato al gesto 22. È importante discutere l’ideazio-ne suicidaria con il paziente senza temere che ciò possa aumentare il rischio, potendo al contrario essere di aiuto per esplorare l’hopelessness, l’anedonia, l’insonnia, l’an-

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Nuove tematicheSuicidio e tentativo di suicidio come evento sentinella per il MMG

13Rivista Società Italiana di Medicina Generale

sia grave, la diminuzione della concentra-zione e l’agitazione psicomotoria 23.I programmi rivolti ai medici di base con nozioni riguardanti il riconoscimento della depressione e del rischio di suicidio sono di grande valore per sfruttare la posizione strategica di questi operatori 24. Nel 1983-1984 un programma di istruzione sul rico-noscimento della depressione rivolto ai medici di base dell’isola di Gotland (Svezia) fu seguito da una riduzione della mortalità per suicidio 25. Gli effetti benefici di questo programma si interruppero però quando nuovi medici sostituirono coloro che ave-vano preso parte al programma. Tuttavia gli effetti positivi sulla riduzione del tasso di suicidio si ripresentarono quando un nuovo programma fu riproposto ai medici di base 26. Più recentemente uno studio tedesco ha segnalato una riduzione dei tentativi di sui-cidio dopo un programma di istruzione sulla depressione  27. Meno incoraggianti sono stati gli studi inglesi nei quali l’istruzione ai medici di base sul come riconoscere la depressione non ha portato a una migliore diagnosi e terapia della depressione 28. Le cose però miglioravano se si poneva atten-zione a come migliorare l’aderenza al trat-tamento dei pazienti diagnosticati depressi ai quali era stata assegnata una terapia 29. Più recentemente Szanto et al. 30 hanno riportato che in una regione dell’Ungheria dopo un programma di istruzione rivolta ai medici di base per meglio diagnosticare la depressione si era osservato un declino del tasso di suicidio (da 59,7/100.000 a 49,9/100.000 in 5 cinque anni) rispetto a una regione presa come controllo. In questo studio comunque la presenza dell’alcolismo rendeva più difficile il riconoscimento della depressione e probabilmente non ha per-messo risultati ancora migliori.Notoriamente, il medico è addestrato a fronteggiare le emergenze somatiche e solo con maggiore difficoltà affronta le emer-genze prettamente psicologiche. Il risulta-to è la scarsa capacità di far fronte a crisi suicidarie o di relazionarsi correttamente con chi ha tentato il suicidio. Può accadere che il rischio di suicidio non sia sospettato quando il paziente si presenta con lamen-tele somatiche poco riconducibili a quadri organici ma piuttosto frutto di crisi emozio-

nali. Oppure, non si indaga se il paziente ha pensato al voler morire per paura di turbar-lo, di essere inopportuni oppure ritenendo a torto che chiedere sul suicidio possa far nascere l’idea in un individuo altrimenti mai toccato da pensieri suicidari. In altre occasioni si può assistere a un’impropria distanza tra medico e colui che ha tentato il suicidio, perdendo inevitabilmente la pos-sibilità di curare e valutare correttamente il paziente 31 32. Ciò che è più grave è il rischio di ripetizione del gesto suicidario da parte di quei soggetti che venuti a contatto con il personale sanitario non hanno ottenuto né consigli su come comportarsi una volta lasciato il posto di cura, né quella solidarie-tà che speravano di ricevere da parte del personale medico. Vale in termini generali, e in questo contesto per il medico di medi-cina generale, il motto scritto sul Tempio di Delfi ossia “Conosci te stesso” solo una conoscenza di che cosa significa per cia-scuno parlare di suicidio, pensare al tema, e proporre delle domande al paziente, per-mette di evidenziare se e quali difficoltà vi sono e come esse possono interferire nella corretta valutazione e gestione del rischio di suicidio.Alcune fonti hanno suggerito che la pre-venzione del suicidio dovrebbe inspirarsi alle campagne fatte negli ultimi decenni per ridurre la mortalità per patologie car-diovascolari. L’opinione pubblica ha ormai assorbito concetti come controllare regolar-mente la pressione arteriosa ed eventual-mente assumere una terapia, antipertensi-va, oppure controllare i valori di trigliceridi e colesterolo e ridurre o smettere il fumo di sigaretta. I messaggi reiterati nel tempo e con campagne ad hoc hanno portato la popolazione a prendere coscienza di com-portamenti poco salutari e quindi a cercare rimedi. Eppure, sebbene questi approcci possano adattarsi anche alla prevenzione del suicidio è l’approccio che fa leva sulla sofferenza dell’individuo che nei singoli casi deve guidare le misure di aiuto. Infatti, spesso alle prese con sconfitte, umiliazioni, vergogna, perdite relazionali ed economi-che il rischio di suicidio si presenta in indi-vidui altrimenti privi di elementi tipici della criticità suicidaria. Certamente, a un’attenta analisi questi individui presentano elementi di vulnerabilità venutisi a insediare nel corso

nello sviluppo, dalla nascita all’età adulta che uniti agli eventi attuali determinano il rischio di suicidio.

La prevenzione del suicidio inizia con la corretta conoscenza del fenomenoIl fenomeno dei comportamenti suicidari è sottostimato, stigmatizzato e miscono-sciuto. Sono molto più comuni miti e false credenze, che fatti sostenuti da una base scientifica. Una prima falsa credenza è quella che sostiene che le persone che commettono il suicidio raramente parlano delle loro inten-zioni e del loro intento. Al contrario, esse inviano spesso dei segnali verbali della loro intenzione. Ci sono studi che riportano che almeno 2/3 degli individui deceduti per un suicidio avevano espresso la loro intenzione di togliersi la vita. Oltre a questo, molte per-sone sono indecise sul vivere o sul morire, e “scommettono” con la morte, lasciando agli altri il compito di salvarli. Quasi nessuno commette il suicidio senza lasciar sapere agli altri come si sente. Diffusa è poi la convinzione, anche tra molti medici e professionisti del settore, che il parlare di suicidio possa funzionare da sti-molo a commettere il gesto. Ci si impegna invece a far comprendere che è vero il con-trario; ossia il rischio precede il colloquio, molti soggetti alle prese con problematiche psichiche e fisiche hanno già considerato il suicidio. La discussione di questi temi aiuta la persona in crisi a capire meglio i suoi problemi e le possibili soluzioni e spesso fornisce sollievo e comprensione. Uno dei cardini della prevenzione del suici-dio è la diffusione di una cultura del feno-meno suicidario nell’ambito del personale medico. I curanti non sempre possiedono quegli strumenti e quelle conoscenze utili per fronteggiare il rischio di suicidio. Si assiste infatti a decisioni arbitrarie di fronte a un paziente a rischio, decisioni che per lo stesso caso possono evocare risposte estremamente diverse tra i professionisti della salute mentale. Un punto cruciale nella prevenzione del suicidio può essere la riflessione su alcuni dati importanti come ad esempio che molti pazienti commet-tono il suicidio entro un anno dalla prima

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Nuove tematiche M. Pompili, P. Girardi

14 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

visita presso un servizio di salute mentale 3 oppure che un quarto della delle persone muoiono entro un anno dall’esordio della patologia e nell’ambito di un contatto con i servizi di salute mentale 33.

Modalità per aiutare un individuo che minaccia di suicidarsi:

• porre attenzione e imparare i segnali d’allarme;

• rendersi disponibile, mostrare interesse e supporto;

• chiedere se sta pensando al suicidio;• essere diretti, parlare apertamente e

senza esitazione del suicidio;• essere disponibile all’ascolto, permet-

tere di mostrare sentimenti ed essere disposti ad accettarli;

• non giudicare, non discutere sul fatto che il suicidio sia giusto o sbagliato o su sentimenti positivi e negativi, non dare lezioni sul valore della vita;

• non sfidare a compiere l’atto;• non dare suggerimenti facendo pren-

dere decisioni in modo da cambiare il comportamento;

• non chiedere “perché”, questo incorag-gia un atteggiamento difensivo;

• offrire empatia, non simpatia;• non mostrarsi turbati, questo crea

distanza;• non promettere la segretezza, anzi cer-

care supporto;• offrire speranza suggerendo che sono

disponibili delle alternative, non dare rassicurazioni meccanicamente, questo dà solo prova di mancata comprensione;

• agire! Rimuovere i mezzi letali, farsi aiutare da individui o istituzioni specia-lizzate nella gestione della crisi e nella prevenzione del suicidio;

• consapevolezza di sentimenti, pensieri e comportamenti: quasi tutti nel corso della vita pensano almeno una volta al suicidio. La maggior parte decide di vivere perché si rende conto che la crisi è temporanea e che invece la morte è qualcosa di definitivo. Comunque, gli individui nel momento più intenso della crisi percepiscono il loro dilemma come inaccettabile e perdono il controllo. Gli individui in crisi e a rischio di suicidio provano sentimenti riconducibili alle situazioni elencate di seguito:

– non possono ridurre il dolore;– non possono pensare chiaramente;– non possono prendere decisioni;– non riescono a vedere soluzioni;– non riescono a dormire, mangiare o

lavorare;– non riescono a uscire dalla depressione;– non riescono a liberarsi della tristezza;– non riescono a considerare un cambia-

mento;– non riescono a vedersi come individui di

valore;– non riescono ad attirare l’attenzione

degli altri;– non riescono a mantenere il controllo.

Il 10 settembre 2012 si è celebrata la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio proposta dall’Intenatio-nal Association for Suicide Prevention e dall’OMS. Questa iniziativa rappresenta l’impegno a coinvolgere sempre più indi-vidui per contribuire alla prevenzione del suicidio attraverso attività di varia natura come convegni, conferenze, appunta-menti sportivi e campagne pubblicitarie. Uno sforzo coordinato può permettere di sfruttare l’alleanza tra coloro che si occu-pano della salute e gli individui che hanno acquisito elementi per fare prevenzione; inoltre coloro che hanno perso un loro caro a causa del suicidio possono farsi portatori di importanti messaggi preventi-vi condividendo la loro tragica esperienza. I ricercatori, i volontari, gli operatori della salute mentale e i parenti delle vittime del suicidio dovrebbero essere i depositari di informazioni. Il lettore è rimandato anche ai seguenti siti per opportuni approfondimen-ti: www.prevenireilsuicidio.it, www.racefor-life.it, www.giornataprevenzionesuicidio.it.Lo scopo è creare un contatto che porti alla riduzione della sfiducia, della disperazione e che possa dare speranza alla persona nella possibilità di cambiare in meglio le cose. Per facilitare la comunicazione è richiesto un approccio calmo e accogliente senza espri-mere giudizi. È molto importante attenersi ai suggerimenti elencati nella Tabella I. La sfida della prevenzione del suicidio dovrebbe essere intrapresa dalla collettività. Gli addetti alla salute mentale e tutti gli ope-ratori che entrano in contatto con la popo-lazione generale per fornire servizi di assi-

stenza, consulenza e supporto dovrebbero essere coloro che veicolano informazioni chiare e precise sul riconoscimento e sulla gestione del soggetto suicida. Campagne di sensibilizzazione a livello nazionale proposte dalle autorità competenti dovrebbero esse-re estese a tutta la popolazione rispettando le guidelines proposte ai mass-media per la diffusione di servizi e reportage riguardanti il fenomeno suicidario.

Suicidio del pazienteIl suicidio è un atto personale ma tutti ne sentiamo gli effetti. Così recita uno slogan diffuso da una grande associazione statu-nitense che si occupa della prevenzione del suicidio. Secondo le stime di questa associazione, ogni anno 180000 individui entrano nella categoria dei sopravvissuti (survivors), ossia individui che hanno perso un caro per suicidio. Il termine sopravvis-suto è dunque utilizzato per descrivere le difficoltà che le persone che hanno perso un caro a causa del suicidio devono affon-dare quotidianamente. L’impatto è sulle famiglie, la comunità e la società nella sua interezza. Ogni suicidio sottrae a chi rima-ne in vita un potenziale di affetti, creatività e di un contributo ai vari aspetti della vita. Non si tratta solo della perdita della vita di un individuo ma soprattutto del vuoto che esso lascia nelle molteplici attività dei viventi. I sopravvissuti sono la più grande comunità di vittime che ruota nell’area della salute mentale connessa al suicidio 34. La perdita di una persona cara per suicidio è scioc-cante, dolorosa e inaspettata. Il lutto che segue questa esperienza è un processo individuale molto complesso, che si risol-ve in tempi diversi, nei casi più fortunati. Il dolore non segue sempre un percorso line-are e non necessariamente progredisce e si risolve. Queste persone non si aspettano di tornare alla vita normale che svolgevano prima dell’evento ma vogliono adattarsi a una vita senza la persona cara.L’American Psychiatric Association consi-dera il trauma derivante dalla perdita di un caro per suicidio “catastrofico” al pari di un’esperienza in un campo di concen-tramento.Sebbene coloro che hanno perso un caro per

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Nuove tematicheSuicidio e tentativo di suicidio come evento sentinella per il MMG

15Rivista Società Italiana di Medicina Generale

suicidio condividono molte emozioni tipiche del lutto, essi affrontano però una gamma di sentimenti unici per la loro condizione. Molti studi hanno identificato ripercussioni notevoli sia sulla vita professionale sia sulla vita privata dei curanti che possono dunque essere anch’essi considerati dei sopravvis-suti 35. L’idea di non aver fatto abbastanza e il sentirsi in colpa, aggiunta alla paura di azioni

legali sono solo alcuni della fitta lista di sen-timenti e reazioni di fronte al suicidio di un proprio paziente 19 31. Le reazioni dei curanti di fronte al suicidio del paziente sono tali da compromettere la loro vita professionale e quella personale 36. Alcuni studi evidenziano che gli psichiatri sono in grado di ricordare nome e dettagli dei loro pazienti che si sono suicidati anche distanza di 30 anni 37.

ConclusioniLa formazione di addetti alla salute in gene-re e a quella mentale in particolare rap-presenta un obiettivo importante per iden-tificare, valutare e gestire la persona con intento suicida nella comunità. Nonostante la complessità e la gravità del problema, la prevenzione del suicidio non può essere vista solo come responsabilità degli esperti, piuttosto la prevenzione del suicidio dovreb-be riguardare tutti.Lo scopo di questo lavoro è stato quello di considerare alcune problematiche dei curanti e il rischio di suicidio dei loro pazienti. Da quanto esposto ritorna il problema di identificare i soggetti a rischio al di là della comunicazione da parte del paziente. Spesso i pazienti evitano di riferire i loro propositi suicidari ma sono pronti a discuterne se il curante pone specifiche domande circa la loro intenzione di uccidersi. Il fornire istru-zione e informazioni ai medici di base  38 e al personale infermieristico  39 ha grande impatto su come vengono valutati e gestiti i pazienti a rischio; questo è un elemento che sottolinea l’importanza di programmi di istru-zione specifici. Infatti, vari studi riportano un miglioramento delle abilità di riconoscimento del rischio di suicidio e delle attitudini nei confronti del suicidio.Non va dimenticato comunque che molti di coloro che necessitano di contatti con il sistema sanitario non accedono purtroppo ad alcuna cura medica. Per concludere, vorremmo nuovamente sottolineare che la prevenzione del suicidio deve basarsi oltre che sulla ricerca spe-rimentale anche su maggiore sensibilità individuale. La formazione degli operatori riveste un ruolo decisivo per correggere atteggiamenti e attitudini spesso danno-si e ingiustificati. Sebbene la mole delle informazioni sul suicidio sia sempre più mastodontica, la nostra comprensione di questo fenomeno è tutt’altro che comple-ta, un assunto che deve farci riflettere sulle direzioni future che debbono intraprendere ricerca di base e ricerca clinica.Il suicidio affligge profondamente gli indivi-dui, le famiglie, i luoghi di lavoro, la comu-nità e la società nel suo complesso. Coloro che perdono un loro caro a causa del suici-dio rimangono a lungo traumatizzati e sono anch’essi a rischio di suicidio. La sfida della

Tabella I.

Suggerimenti per la gestione della crisi suicidarla.

Come comunicare

Ascoltare attentamente, con calma

Comprendere i sentimenti dell’altro con empatia

Emettere segnali non verbali di accettazione e rispetto

Esprimere rispetto per le opinioni e i valori della persona in crisi

Parlare onestamente e con semplicità

Esprimere la propria preoccupazione, l’accudimento e la solidarietà

Concentrarsi sui sentimenti della persona in crisi

Come non comunicare

Interrompere troppo spesso

Esprimere il proprio disagio

Dare l’impressione di essere occupato e frettoloso

Dare ordini

Fare affermazioni intrusive o poco chiare

Fare troppe domande

Domande utili

Ti senti triste?

Senti che nessuno si prende cura di te?

Pensi che non valga la pena di vivere?

Pensi che vorresti suicidarti?

Indagine sulla pianificazione del suicidio

Ti è capitato di fare piani per porre fine alla tua vita?

Hai un’idea di come farlo?

Indagine su possibili metodi di suicidio

Possiedi farmaci, armi da fuoco o altri mezzi per commettere il suicidio?

Sono facilmente accessibili e disponibili?

Indagine su un preciso lasso di tempo

Hai deciso quando vuoi porre fine alla tua vita?

Quando hai intenzione di farlo?

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Nuove tematiche M. Pompili, P. Girardi

16 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

prevenzione del suicidio dovrebbe esse-re intrapresa dalla collettività. Gli addetti alla salute mentale e tutti gli operatori che entrano in contatto con la popolazione generale per fornire servizi di assistenza, consulenza e supporto dovrebbero essere coloro che veicolano informazioni chiare e precise sul riconoscimento e sulla gestione del soggetto suicida.Il medico di medicina generale è in un’inter-faccia importante con la popolazione gene-rale e con gli individui in crisi. Non solo è di fondamentale importanza per promuovere principi di salute pubblica ma può anche riconoscere coloro che più necessitano di aiuto in caso di rischio di suicidio. La pre-venzione del suicidio è possibile e il medico di medicina generale dovrebbe acquisire le abilità per confrontarsi con i vissuti degli individui in crisi che possono alle volte pre-sentare la loro sofferenza con modalità e richieste indirette. La valutazione con sem-plici strumenti può di fatto prevenire effica-cemente il fenomeno suicidario.

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Nuove tematicheSuicidio e tentativo di suicidio come evento sentinella per il MMG

17Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Medico di medicina generale e suicidioCome emerge chiaramente dall’articolo del prof. Pompili, il suicidio è un fenomeno di grande interesse per chiunque e non solo sotto il profilo medico, ma più in generale sotto quello antropologico e sociale.Per i medici però (e in particolare per i medici di medicina generale, MMG) il suicidio rappresenta un problema di rilevanza profes-sionale e quindi sul quale c’è bisogno di formazione.Il suicidio di un paziente non è per fortuna un evento frequente, ma quando si verifica può avere (come è ricordato dal prof. Pompili) conseguenze gravissime per il medico.Un MMG poi è spesso legato ai propri pazienti con rapporti che durano da decenni ed è quindi potenzialmente più fragile di fronte all’eventuale suicidio di un paziente.La lunga conoscenza con il paziente lo mette però anche in una condizione più favorevole a cogliere tempestivamente gli eventuali segnali di un rischio di suicidio. Inoltre un approccio bio-psico-sociale è caratteristico della Medicina Generale e anche questo aiuta ad avere una maggior sensibilità per il problema suicidio.Cercherò ora di sintetizzare alcuni punti che mi sembrano di particolare interesse per i MMG:• anche se in determinati contesti il suicidio è in aumento tra i giovani, ricordiamoci sempre che i pazienti più a rischio sono maschi,

anziani, soli;• esiste una familiarità specifica per il suicidio (indipendentemente dalla presenza o meno di malattie psichiatriche) e quindi

dovremmo indagare anche su questa;• il suicidio può essere presente in diverse malattie psichiatriche ma non è necessariamente sinonimo di malattia mentale; può

suicidarsi (o pensare di farlo) anche una persona perfettamente sana di mente;• non è vero il luogo comune “chi dice di volersi suicidare, poi non lo fa”; è anzi vero il contrario;• non è vero che fare al paziente delle domande sul suicidio è pericoloso perché potrebbe indurlo a pensarci; è invece molto utile

che un MMG trovi il coraggio di affrontare l’argomento con i pazienti;• l’inizio di una terapia farmacologica antidepressiva è un momento particolarmente a rischio di suicidio; esistono depressi così

inibiti che non hanno nemmeno le forze per suicidarsi, anche se vorrebbero farlo; un antidepressivo agisce prima sull’inibizione psicomotoria che sul tono dell’umore e quindi potrebbe dare a un paziente ancora molto depresso quel minimo di energia suffi-ciente a mettere in atto un proposito suicidario.

Tutto ciò premesso, un MMG dovrebbe comunque sempre ricordare ai parenti del paziente (e prima ancora a se stesso) che è un’uto-pia pensare di poter tenere sotto controllo un paziente 24 ore su 24.Questo non significa però che un medico possa abdicare al tentativo di fare tutto ciò che è ragionevole fare per ridurre il più possibile un eventuale rischio suicidario: per esempio cercare di non lasciare mai solo il paziente almeno nelle prime due settimane di una terapia antidepressiva, oppure attivarsi per eliminare tutti i mezzi idonei ad attuare un suicidio che fossero eventualmente a portata del paziente.Concludo con un consiglio di lettura: Paolo L. Bernardini, Le rive fatali di Keos. Il suicidio nella storia intellettuale europea da Montaigne a Kant, Fondazione Ariodante Fabretti. È un testo che racconta la fine del suicidio come argomento tabù fino a farlo diven-tare addirittura, come disse Albert Camus, “l’argomento centrale di tutta la filosofia”.

Paolo Carbonatto Responsabile Area Psichiatrica, SIMG

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L’evoluzione dei consumi alcolici e dei fenomeni alcolcorrelati in Italia

Franca Beccaria, Sara RolandoEclectica, ricerca e formazione, Torino

20 Rivista Società Italiana di Medicina Generale n.4>>> agosto 2012

Introduzione

L’attenzione per i consumi alcolici e i pro-blemi alcolcorrelati nell’ultimo decennio è andata crescendo, non solo da parte dei mass media e dell’opinione pubblica, ma anche di categorie professionali specifi-che, soprattutto a seguito dell’introduzio-ne di norme che hanno posto dei limiti di consumo in particolari circostanze (alla guida, sul lavoro) e dell’allarme provoca-to dal fenomeno degli incidenti stradali. Spesso è quindi in tono allarmistico che si parla di alcol, e a volte anche in maniera superficiale, soprattutto quando si tratta di descrivere il bere dei giovani, reiterando la secolare abitudine di attribuire a que-sto target stili di consumo trasgressivi e di rottura rispetto alla tradizione 1.Questo articolo si pone dunque l’obiettivo di fornire un quadro chiaro e sintetico del fenomeno dei consumi alcolici in Italia e della sua evoluzione, guardandolo in una prospettiva internazionale e focalizzando l’attenzione su alcuni aspetti culturali rile-vanti. Viene inoltre discusso l’impatto dei cambiamenti avvenuti nelle abitudini di consumo e di abuso delle bevande alcoli-che sul sistema dei servizi di prevenzione e di cura, per giungere, in conclusione, a fornire qualche spunto di riflessione sull’importanza che i medici di medicina generale dovrebbero avere nella preven-zione e nell’emersione dei problemi alcol-correlati.

Il trend dei consumiIl primo aspetto da considerare per inquadra-re il fenomeno dei consumi nel nostro Paese è che a partire dagli anni Settanta è andato costantemente decrescendo, pur in pre-senza di un aumento dei redditi, passando dai 19,72 l di alcol puro procapite/anno del 1970 ai 6,94 l del 2009 2 (Fig. 1). Si tratta di una riduzione drastica, avvenuta evidente-mente, almeno nei primi due decenni, senza l’influenza di alcuna specifica politica di set-tore, dato che la prima legge quadro sull’al-col (legge 125/01) 3 è stata emanata in Italia nel 2001, quando il calo dei consumi era ormai un trend consolidato. Come ha eviden-ziato uno studio specifico 4  5, il decremento si spiega principalmente alla luce dei cambia-menti socioeconomici che hanno investito il Paese dalla fine degli anni Sessanta, in parti-colare la massiccia urbanizzazione e i muta-menti nel mercato del lavoro, l’industrializ-zazione prima e la terziarizzazione poi, che hanno determinato una riorganizzazione dei tempi e dei luoghi di vita. A partire dagli anni Ottanta anche fattori quali l’organizzazione familiare, il ruolo della donna, la struttura dei pasti e una sempre maggiore attenzione per la salute, hanno contribuito a modificare gli stili di consumo degli Italiani, consolidando il trend negativo. Negli anni Novanta su questo trend favorevole si sono finalmente inserite le politiche sull’alcol, sfociate nella già citata legge del 2001. Si può quindi affermare che la riduzione dei consumi alcolici, e in partico-lare del vino, che è la bevanda che ha avuto

e ha ancora un peso maggiore sui consumi totali, è legata principalmente ai cambiamen-ti socioeconomici e al diffondersi di nuovi stili di vita, secondo quello che è stato definito un processo di auto-controllo che la società ha messo in atto negli ultimi 40 anni (ivi).

Quali cambiamenti?L’ultimo rapporto ISTAT 6 sugli italiani e l’al-col rileva che circa il 67% delle persone di età maggiore di 14 anni hanno consumato bevande alcoliche almeno una volta nella loro vita, quota che negli ultimi 10 anni è andata progressivamente diminuendo (dieci anni prima era pari a 72%). Ciò significa che sta aumentando, anche se lentamente, la quota di astemi, che in Italia ha sempre rappresentato una piccola percentuale, come accade tradizionalmente nelle culture cosiddette “bagnate” o mediterranee, carat-terizzate da un consumo prevalente di vino, quotidiano e legato ai pasti o ai momenti di convivialità 7. Negli ultimi dieci anni si nota però un progressivo calo del numero di consumatori giornalieri (-18,4%), accen-tuato specialmente tra le donne (-25,7%). Al contrario sono aumentati i consumatori occasionali (che nel 2011 rappresentano il 40,3% a fronte del 37,1% nel 2001) e quel-li fuori pasto, passati dal 24,9% del 2001 al 27,7% del 2011. Il tradizionale consu-mo quotidiano di vino riguarda quindi oggi meno di una persona su quattro (23,6%), tuttavia la bevanda tradizionale resta quella più consumata (53,3%), seguita dalla birra

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RicercaL’evoluzione dei consumi alcolici e dei fenomeni alcolcorrelati in Italia

21Rivista Società Italiana di Medicina Generale

(46,2%) e dagli aperitivi, gli amari e i supe-ralcolici (40,6%, quota stabile nel tempo). Nonostante questi dati sembrano con-fermare un andamento di consumo più moderato, secondo quelle che sono le linee guida per una sana alimentazione elaborate dall’INRANa il 15,2% di italiani con 11 anni e più assume almeno un comportamento a rischio e la fascia di popolazione più a rischio è quella degli over 65, anche se negli ultimi anni si evidenzia, anche per questa fascia di età, un trend in diminuzione.

Alcol e generazioni

Una ricerca qualitativa comparata 8 ha recentemente approfondito gli stili del bere assunti nel tempo da quattro diverse gene-razioni e mettendo a confronto l’Italia con

la Finlandia, Paese che tradizionalmente in ambito alcologico si situa all’opposto del nostro, in quanto esempio tipico di cultura nordica, che, diversamente da quella medi-terranea, è caratterizzata da un consumo prevalentemente concentrato nei fine set-timana, che predilige i superalcolici ed è in gran parte orientato all’intossicazione 9. A differenza dell’Italia, inoltre, la Finlandia ha un trend di consumo in crescita. Questi due Paesi rappresentano quindi due esem-pi paradigmatici per spiegare come, nono-stante i processi di globalizzazione in corso, l’Europa mostri ancora anime profonda-mente diverse rispetto al consumo di alco-lici. La ricerca ha evidenziato come alcuni cambiamenti siano comuni a entrambi i Paesi, primo tra tutti l’aumento delle occa-sioni di consumo e la complessificazione degli stili del bere: nella società contempo-ranea si sono infatti moltiplicati i contesti in cui si svolgono le relazioni sociali e, paral-lelamente, le occasioni in cui è possibile e opportuno, secondo le norme informali, consumare bevande alcoliche, con funzio-ni e modalità diverse a seconda dei casi. In entrambi i Paesi inoltre le donne, di pari passo con la loro emancipazione e l’ingres-so nel mercato del lavoro, hanno assunto stili di consumo più eclettici e sperimentali, riducendo le differenze di genere e propo-nendo esse stesse un nuovo modo di bere,

di natura meno razionale e più improntato alla ricerca di emozioni. Ciò che differenzia ancora in manie-ra sostanziale le due culture sono i valori d’uso prevalenti: in Italia quello alimentare e socializzante risultano ancora dominanti, mentre in Finlandia continua a prevalere quello intossicante.

La socializzazione all’alcolUno dei più importanti elementi di continu-ità che ha accomunato le esperienze degli Italiani negli ultimi 40 anni è il processo di socializzazione all’alcol, cioè quel proces-so attraverso cui un individuo si avvicina all’alcol e lo sperimenta, acquisendo i valori d’uso di questa sostanza e imparando come, dove e quando il consumo è appropriato 8 10. Queste regole informali vengono in gene-re trasmesse da una generazione all’altra indirettamente (attraverso l’osservazione) e direttamente, e determinano le prime e più durature rappresentazioni dell’alcol 11.Il citato studio comparativo tra Italia e Finlandia 8  12 ha evidenziato come il pro-cesso di socializzazione alcolica avvenga da sempre in modi molto diversi nei due contesi, con significati e ricadute altrettanto differenti. Nel nostro Paese i primi ricordi legati al consumo di alcol sono positivi e piacevoli, connessi ai valori della tradizione

FIgura 1

Consumi procapite degli adulti (15+), 1970-2009 (Fonte: WHO. Global Information System On Alcohol And Health).

a Secondo tali linee guida è da considerare a rischio il consumo che eccede: 2-3 unità alcoliche per l’uomo e 1-2 per le donne; 1 unità alcolica al giorno per gli anziani; qual-siasi quantità giornaliera per i minori tra 11 e 17 anni; il consumo di 6 o più unità alcoliche in un’unica occasione nell’anno; il consumo di almeno un’unità alcolica nell’anno per i minori di 11-15 anni. L’unità alcolica corri-sponde alla quantità di alcol contenuta in un bicchiere di vino (125 cl) di media gradazio-ne, una lattina di birra (330 cl), un bicchieri-no di superalcolico (40 cl).

19,72

6,94

20052000199519901985198019751970

25,0

20,0

15,0

10,0

5,0

0,0

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Ricerca F. Beccaria, S. Rolando

22 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

e della famiglia. I primi assaggi avvengono piuttosto precocemente, ma sotto l’attenta supervisione dei genitori (o dei nonni, per quanto riguarda le nuove generazioni) che adottano un atteggiamento permissivo/pro-tettivo nei confronti del bambino e dell’ado-lescente, trasmettendo loro, in un contesto di convivialità, le regole della moderazio-ne. Prima di giungere alle prime vere e proprie esperienze di consumo, i giovani italiani hanno la possibilità di assaggiare bevande alcoliche ripetute volte per diversi anni e il consenso dei genitori sottrae ogni potenziale significato di trasgressione alla sostanza alcol. Al contrario agli adolescenti finlandesi, come in tutti i Paesi scandina-vi e anglosassoni, è generalmente proibito bere alcolici in famiglia, così che la prima esperienza di consumo avviene di norma nel gruppo dei pari, di nascosto dai geni-tori e con un significato trasgressivo. Molto spesso inoltre il primo assaggio corrisponde alla prima intossicazione. Per questo biso-gna tenere conto del fatto che i dati a volte contradditori che mettono a confronto le età dei primi consumi in diversi Paesi, riportati sui giornali perlopiù in tono allarmistico, si riferiscono spesso a esperienze diverse e non del tutto paragonabili 12.Nonostante le ricerche svolte nei paesi anglosassoni abbiano evidenziato una cor-relazione tra l’inizio precoce dei consumi e l’abuso di alcol in adolescenza e in età adulta 13, bisogna dunque considerare le differenze culturali e tenere presente che i pochi studi italiani disponibili suggeriscono che la socializzazione in famiglia, sebbene precoce, possa avere anche una funzione protettiva rispetto ai comportamenti alcolici dei giovani 14-16.

I consumi alcolici nella popolazione giovanileDa alcuni anni anche in Italia si è iniziato a parlare di binge drinking − espressione anglosassone che significa letteralmente abbuffata alcolica − soprattutto a proposito, e a volte anche a sproposito, del bere dei giovani. Secondo l’ISTAT 6 infatti la popola-zione più a rischio di binge drinking (definito come consumo di 6 o più bevande alcoliche in un’unica occasione) è quella giovanile: sono il 15,1% i soggetti di età compresa

565547575047524142514248464040463547364543384437313931392644353336311847273524382735283023322826232527212027

837192619241726182317201719161814191315

819

2934

32

Danimarca

Lituania

Galles

Groenlandia

Lettonia

Estonia

Scozia

Repubblica Ceca

Ungaria

Slovenia

Inghilterra

Finlandia

Austria

Slovacchia

Croazia

Canada

Spagna

Romania

Germania

Ucraina

Polonia

Irlanda

Belgio

Norvegia

Belgio (Francia)

Svezia

Svizzera

Armenia

Grecia

Russia

Francia

Portogallo

Lussemburgo

Paesi bassi

Islanda

Italia

Usa

MKDa

Media HBSC (di genere)

Media HBSC (totale)

Ragazze (%)Ragazzi (%)

FIgura 2

Percentuale di 15enni che dichiarano di essersi ubriacati in due o più occasioni nella loro vita, confronto per genere (Fonte: dati HBSC relativi al 2009/2010).

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RicercaL’evoluzione dei consumi alcolici e dei fenomeni alcolcorrelati in Italia

23Rivista Società Italiana di Medicina Generale

tra i 18 e i 24 anni che risultano adottare questa pratica (almeno 1 volta nell’ultimo anno), perlopiù in momenti di socializza-zione, con marcate differenze di genere. Va tenuto presente tuttavia che nel 2011 que-sto comportamento risulta in calo rispetto all’anno precedente, sia tra i maschi (dal 23,3 al 21,8%) che tra le femmine (dal 9,7 al 7,9%), e che i dati più recenti risultano inferiori anche a quelli del 2005b per quan-

to riguarda i maschi (22,5%), mentre sono leggermente superiori per la popolazione femminile (7,5%). Secondo i dati Doxa – Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Al-col 17, il 14,6% dei giovani (13-24 anni) ha avuto negli ultimi 3 mesi almeno un’espe-rienza di binge drinking (definito in questa indagine come il consumo di 5 o più bevan-de nell’arco di due ore e lontano dai pasti), segnalando invece un aumento del feno-meno rispetto al 2005 (10,4%), tranne che nella fascia di età 16-19 anni. L’indagine Doxa rileva inoltre che tra il 2005 e il 2010 la quota di chi (13-24 anni) si è ubriacato almeno una volta nella vita ha registrato un

leggero incremento nella fascia di età più grande (20-24 anni), compensato da una diminuzione nelle fasce di età inferiori (13-15 e 16-19 anni), lasciando quindi presso-ché inalterato il dato generale.Per meglio comprendere queste informa-zioni, bisogna avere ben presenti almeno due aspetti. Il primo riguarda l’impossi-bilità di fare un confronto con il passato, essendo le prime rilevazioni sistematiche piuttosto recenti (la prima indagine Doxa-Osservatorio è del 1991, mentre la prima indagine multiscopo ISTAT del 1993). Il secondo attiene al come si posiziona il bere dei giovani Italiani nel contesto europeo e

FIgura 3

Percentuali di esperienze riportate di binge drinking (5 o più unità alcoliche nella stessa occasione): cambiamenti tra il 2007 e il 2011 (Fonte: dati ESPAD relativi al 2011).

b Il primo dato comparabile, dal momento che la rilevazione del 2003 presentava i dati aggregati per la popolazione over 11 anni.

Incremento significativoNessun cambiamento Decremento significativo

Malta

Estonia

BulgariaLettonia

GreciaUngaria

Cipro Francia

Monaco Belgio

Polonia

Italia

Svezia

Russia

Islanda

Norvegia

MoldaviaSerbia

Finlandia

Ucraina

Montenegro

Bosnia e Herzegovina

Romania

Croazia

Slovenia

Repubblica Ceca

Isole Faroe

Repubblica Slovacca

2011%

2007%

10 20 30 40 50 60

40

50

60

30

20

10

0

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Ricerca F. Beccaria, S. Rolando

24 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

internazionale. A questo fine sono a dispo-sizioni due principali fonti di dati, lo studio Health Behavior in School-aged Children dell’OMS (target: 11, 13, 15 anni) e i dati dell’European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs (ESPAD) (target: 15-16 anni). Per quanto riguarda la quota di 11enni che dichiarano di essersi ubria-cati almeno due volte nella vita, con l’1% per i maschi e il 2% per le femmine, l’Ita-lia si trova sotto la media (1 e 3%), circa a metà graduatoria. Rispetto alle quote dei 13enni e i 15enni, l’Italia slitta direttamen-te al terz’ultimo posto in una graduatoria composta da 38 Paesi, con percentuali che rappresentano appena un terzo e la metà della media europea (3 vs. 9% per i 13enni e 16,5 vs. 32% per i 15enni) (Fig. 2). Per la maggior parte dei paesi europei, inclu-sa l’Italia, queste percentuali sono in calo rispetto alla rilevazione del 2005/2006 18. Anche i dati dell’ESPAD 19 confermano che

l’ubriachezza è un fenomeno meno diffuso in Italia rispetto alla media dei Paesi coin-volti nella rilevazione (13 vs. 17%) e in dimi-nuzione (Fig. 3). In una prospettiva comparata, anche per quanto riguarda la diffusione del binge drin-king (ultimi 30 giorni), i giovani italiani, con il 35% di risposte affermative, si colloca di poco al di sotto della media degli altri Paesi europei (39%) ma molto lontano da quello relativo ai giovani danesi (56%), che si col-locano al primo posto. Rispetto ai dati 2007 si rileva inoltre un decremento di questo comportamento (dal 38 al 35%) 19.Per quanto riguarda invece i comportamenti di consumo, i giovani italiani sono allineati alla media (corso di vita e ultimo anno) e al di sopra della media rispetto ai consumi dell’ul-timo mese (63 vs. 57%). In conclusione si può dire che i giovani italiani consumano magari più frequentemente dei loro coetanei europei, ma più moderatamente. Per questo,

anche per quanto riguarda gli stili di consu-mo dei giovani, nonostante i citati cambia-menti rispetto al passato nell’ambito degli studi internazionali l’Italia viene considerata una “non-intoxicating culture” (cultura non orientata all’intossicazione) 20.

L’impatto dei cambiamenti sui serviziSecondo l’Istituto Superiore di Sanità la mortalità attribuibile all’alcol (totalmente o parzialmente) ha rappresentato nel 2008 il 3,8% della mortalità maschile (pari a 11.254 decessi) e il 2,1% di quella femmi-nile (pari a 6.407 decessi). In termini di mor-talità l’alcol ha il massimo impatto negativo tra i più giovani, con il 16,65% di decessi alcol correlati tra i 16-24enni, dovuti pre-valentemente alle cause accidentali e tra queste agli incidenti stradali. Tra le cause parzialmente attribuibili all’alcol quelle che

FIgura 4

Tassi di mortalità alcol-correlata standardizzati (cause selezionate*) (per 100.000) (Fonte: WHO, European HFA Database).

* Comprende una combinazione di cause di morte che la letteratura ha riconosciuto essere legate al consumo di alcol, quali ad esempio cancro all’esofago e alla laringe; sindrome di dipendenza alcolica; malattie croniche al fegato e cirrosi; tutte le cause esterne.

19751970 1980 19901935 1995 2000 20102005 2015

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36

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RicercaL’evoluzione dei consumi alcolici e dei fenomeni alcolcorrelati in Italia

25Rivista Società Italiana di Medicina Generale

nel 2008 hanno avuto un impatto maggiore sono la cirrosi epatica, le varici esofagee, il tumore della laringe, l’epilessia, il tumore del fegato, gli incidenti stradali, l’omicidio 3. Va tenuto presente che, come la curva dei consumi è in discesa, così anche quella delle morti alcol-correlate mostra un anda-mento simile 21 (Fig. 4). Anche per questo, oltre che per le caratteristiche del modello di consumo meno orientato all’intossicazio-ne, l’OMS colloca l’Italia tra i Paesi a livel-lo di rischio inferiore per quanto riguarda i consumi alcolici (livello 1 su scala 1-5) 22.Tuttavia essendosi modificate le carriere del bere individuali, cioè i modelli di consumo assunti nel corso di vita, è cambiata anche la prevalenza dei problemi alcolcorrelati. Una recente ricerca svolta in Piemonte 23 ha inda-gato la percezione di tali cambiamenti nei servizi pubblici e privati che a vario titolo ven-gono in contatto con il problema (SerD, ospe-dali, medici di medicina generale, gruppi di auto-mutuo aiuto, …). Lo studio ha messo in evidenza come il concetto stesso di alcolismo sia ormai difficile da definire in maniera uni-voca, poiché i tradizionali criteri diagnostici, come ad esempio tolleranza e astinenza, non sono più adatti a cogliere il fenomeno attuale. Inoltre il paziente-tipo del passato, che dopo una vita di consumi regolari e abbondanti sviluppava un problema cronico e si rivolgeva ai servizi per patologie organiche, è divenuto sempre più raro. Parallelamente però sono aumentati i problemi acuti, non solo sanitari ma anche sociali, legati soprattutto all’incre-mento dell’uso di alcolici a scopo farmaceuti-co, cioè come ansiolitico o antidepressivo, tra gli adulti, e all’incremento della ricerca degli effetti psicoattivi dell’alcol nella popolazione giovanile. In particolare due trend sembrano riconducibili a questi aspetti e rappresentano una sfida imprescindibile per i servizi: l’au-mento della comorbilità e del policonsumo.

Il (mancato) ruolo dei medici di medicina generaleSe il fenomeno e i potenziali clienti dei servizi sono in progressivo cambiamento, permangono però le difficoltà che da sem-pre ostacolano l’emersione del fenomeno e fanno sì che il problema venga diagno-sticato quando già è consolidato: manca-ta consapevolezza e sottovalutazione dei

rischi, vergogna e negazione, ambivalenza del ruolo dei familiari, stigma dei Servizi per le Dipendenze. Un nodo critico importante è risultato essere anche il mancato ruolo dei medici di medici-na generale, che potrebbero essere i primi a intercettare il problema, facendo emerge-re la domanda di aiuto e motivando i propri pazienti al trattamento, e quindi a rivolgersi a servizi specialistici. Il medico potrebbe avere un ruolo importante anche in termini di pre-venzione, attraverso l’adozione dei c.d. inter-venti brevi, che si sono dimostrati un efficace strumento di contrasto dell’abuso di alcolici 24-26. Sembra però che i medici tendano a sottovalutare o non considerare le proprie potenzialità abbiano una visione piuttosto limitata delle loro facoltà in questo senso. Gli ostacoli citati sono molti, a partire dalla nega-zione del problema da parte del paziente che si rinforza in un sistema medico-paziente perlopiù strutturato “a domanda” e non “a ini-ziativa”, nel quale non è interesse del medico affrontare argomenti non graditi all’assistito, a volte anche solo banalmente per mancanza di tempo. A ciò si aggiungono la mancanza di formazione specifica sui problemi alcolcor-relati e di strumenti adeguati ad affrontarli. Continua a pesare inoltre lo stigma legato ai Servizi per le dipendenze, che molti medici di medicina generale ritengono essere un servizio inadatto ad accogliere e trattare un alcolista, anche se negli ultimi anni i servizi territoriali sono profondamente mutati. Va detto tuttavia che ci sono anche casi positivi, in cui il medico riesce a facilitare la presa di coscienza del problema affrontan-dolo apertamente, coinvolgendo la famiglia e richiedendo delle analisi di laboratorio ad hoc. Questo tipo di rapporto potrebbe esse-re facilmente diffuso attraverso un’opera mirata di formazione e sensibilizzazione dei medici di medicina generale sui cam-biamenti in corso nei fenomeni di consumo e di abuso di alcol e sugli interventi brevi che si sono dimostrati efficaci in altri Paesi e che sono già stati sperimentati in alcune aree territoriali 27-29, adattandoli al nostro specifico contesto culturale.

Bibliografia1 Beccaria F, Prina F. Young people and alcohol

in Italy: an evolving relationship. Drugs Educ Prev Pol 2010;17:99-122.

2 WHO. Global Information System On Alcohol And Health. http://apps.who.int/ghodata/?theme=GISAH (ultima consultazione giugno 2012).

3 Ministero della Salute - 2012. Relazione del ministro della salute al parlamento sugli interventi realizzati ai sensi della legge 30.3.2001 n. 125 “Legge quadro in materia di alcol e problemi alcol-correlati” - http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1686_allegato.pdf

4 Allamani A, Cipriani F, Prina F, editors. I cambiamenti nei consumi di bevande alcoliche in Italia. Uno studio esplorativo sul decremento dei consumi negli anni 1970-2000. Quaderno n. 17 dell’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcool. Roma: Casa editrice Litos 2006.

5 Beccaria F, Cipriani F, Allamani A, et al. I cambiamenti nei consumi di bevande alcoliche in Italia. Uno studio esplorativo sul decremento dei consumi alcolici negli anni 1970-2000. Educazione Sanitaria e Promozione della Salute 2007;30:229-37.

6 ISTAT. L’uso e l’abuso di alcol in Italia. Anno 2011. Statistiche report. Roma 2012. http://www.istat.it/it/archivio/59033.

7 Cottino A. L’ingannevole sponda. Roma: NIS 1991.

8 Beccaria F, editor. Alcol e generazioni. Cambiamenti di stile e stili in cambiamento. Roma: Carocci 2010.

9 Room R, Mäkelä M. Typologies of the cultural position of drinking. J Stud Alcohol 2000;61:475-83.

10 Beccaria F, Petrilli E, Rolando S. La socializzazione all’alcol in Italia. MDD 2012;5:61-9.

11 Favretto AR. Alcol, socializzazione, educazione. In: Cottino A, Prina F, editors. Il bere giovane. Saggi su giovani e alcol. Milano: Franco Angeli 1997.

12 Rolando S, Beccaria F, Tigerstedt C, et al. First drink: what does it mean? The alcohol socialization process in different drinking cultures. Drugs Educ Prev Pol 2012;19:201-12.

13 Velleman R. How do children and young people learn about alcohol: a major review of the literature for the Joseph Rowntree Foundation. Bath: University of Bath 2009.

14 Bellis MA, Hughes K, Morleo M, et al. Predictors of risky alcohol consumption in schoolchildren and their implications for preventing alcohol-related harm. Subst Abuse Treat Prev Policy 2007;2:15.

15 Bonino S, Cattelino E, Ciairano S. Adolescenti a rischio. Firenze: Giunti 2003.

16 Strunin l, Lindeman K, Tempesta E, et al. Familial drinking in Italy: harmful or protective factors? Addiction Research and Theory 2010;18:344-58.

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Ricerca F. Beccaria, S. Rolando

26 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

17 Doxa – Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol. Gli italiani e l’alcol. Consumi, tendenze e atteggiamenti in Italia. 2011. http://www.fidae.it/AreaLibera/AreeTematiche/educazioni/salute/15-02-2011-giovani-e-alcool.pdf

18 Currie C, Zanotti C, Morgan A, et al. Social determinants of health and well-being among young people. Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) study: international report from the 2009/2010 survey. Copenhagen: WHO Regional Office for Europe, 2012 (Health Policy for Children and Adolescents, No. 6 - http://www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0003/163857/Social-determinants-of-health-and-well-being-among-young-people.pdf

19 Hibell B, Guttormsson U, Ahlströmet S, al. The 2011 Espad Report Substance Use Among Students in 36 European Countries. Stockholm: The Swedish Council for Information on Alcohol and Other Drugs (CAN) 2012.

20 Järvinen, M, Room R. Changing drunken

component or reducing alcohol-related harm. In Järvinen M e Room R, editors. Youth drinking cultures: European experiences. Ashgate: Chippenham 2007, pp. 161-72.

21 WHO. European HFA Database. http://data.euro.who.int/hfadb/ (ultima consultazione gennaio 2011).

22 WHO. Global status report on alcohol and health. Geneva: WHO publications 2011.

23 Rolando S, Beccaria F, Consoli A, et al. Il sistema di risposta ai problemi alcol correlati in Piemonte. Alcologia 2010;9:22-33.

24 Fleming RE, Barry K L, Manwell LB,  et al.  Brief physician advice for problem alcohol drinkers. A randomised controlled trial in community based primary care practices. JAMA 1997;277:1039-45.

25 Moyer A, Finney JW, Swearingen CE. Brief interventions for alcohol problems: a meta-analytic review of controlled investigations in treatment-seeking and non-treatment-seeking populations. Addiction 2002;97:279-92.

26 Kaner EF, Heather N, Brodie J, et al. Patient and practitioner characteristics predict brief alcohol intervention in primary health care. Brit J Gen Pract 2007;51:822-7.

27 Scafato E, Gandin C, Patussi V, editors. Linee guida clinica per l’identificazione e l’intervento breve. Centro Stampa De Vittoria 2009 - http://www.epicentro.iss.it/temi/alcol/linee/linee_guida_cliniche.pdf.

28 Struzzo P, De Faccio S, Moscatelli E, et al. Identificazione precoce dei bevitori a rischio in Assistenza Primaria in Italia: adattamento del questionario AUDIT e verifica dell’efficacia d’uso dello short-AUDIT test nel contesto nazionale. Bollettino per le Farmacodipendenze e l’Alcoolismo 2006;1-2:20-5.

29 Struzzo P, Gianmoena B, Kodiljia R. The attitude and knowledge of Italian family doctors in respect to early identification and brief intervention on alcohol & tobacco: a controlled study. General Practice online September 2003 http://www.priory.com/fam/italgp.htm.

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SIM

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FORUM ......................................................................................................................................................................................................................................................................

Accessi impropri al Pronto Soccorso e H24.L’opinione di due medici in formazione

Claudia Lamanna, Elisa TrastulliSIMGiovani, Terni

27Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.4>>> agosto 2012

Negli ultimi tempi si è ampiamente discus-so di come si potrebbe rinnovare il sistema sanitario in relazione alle nuove esigenze mediche della popolazione, soprattutto per l’incremento delle patologie croniche. È fuor di dubbio che il sistema sanita-rio necessiti di una riorganizzazione sia a livello ospedaliero sia in quello territoriale, nell’ambito dell’acuzie come della cronicità. L’incremento della patologia cronica non si è associato a una diminuzione degli accessi ai luoghi di cura per patologie acute, come si potrebbe immaginare, ma al contrario a un incremento di questi ultimi. Spesso gli accessi impropri al Pronto Soccorso (PS) sono legati a una mal gestione di patologie croniche a livello territoriale o comunque a una convinzione illusoria da parte degli utenti di poter aver risposte rapide ed effi-caci ai più svariati problemi. Come si evince da uno degli ultimi articoli pubblicati su questa rivista, sempre più si dovrebbe tendere alla gestione territoria-le della cura del paziente. In parte questo cambiamento si sta già concretizzando: le malattie croniche stanno cambiando il ruolo del medico di famiglia, che, da unico gesto-re della cura, diventa “regista” dell’equipe medica territoriale garantendo cosi la conti-nuità dell’assistenza.Noi medici in formazione come possiamo adattarci a questi cambiamenti? Come si modificherà la Medicina Generale? È chia-ro che siamo interessati in prima persona a queste problematiche poiché si stanno

trattando temi che forse determineranno i presupposti per la nascita di una nuova organizzazione sanitaria.

In tale contesto, da qualche tempo si è svi-luppato un dibattito riguardante i cosiddetti accessi impropri al PS, il ruolo del medico di famiglia, la possibilità di incrementare i fondi destinati alla rete territoriale, le rifor-me da applicare in ambito sanitario. Focalizzando l’attenzione su un aspetto ampiamente discusso, anche dai media (gli accessi impropri al PS) abbiamo cercato di approfondire l’argomento e di provare a fare alcune considerazioni.I dati ministeriali ci dicono che i PS italia-ni effettuano circa 47.000 accessi annui, 80% tra codici bianchi e verdi, i cosiddetti accessi impropri.A tal proposito il Presidente SIMG Cricelli pubblica una risposta a seguito del caos PS negando che il boom di accessi a tale ser-vizio sia legato a inefficienza e irresponsa-bilità dei MMG. Dall’ultimo rapporto Health Search emerge infatti che il MMG effettua in media circa 30 visite al dì. Da questo dato possiamo evincere il numero complessivo delle visite medie di tutti i MMG italiani, che sarebbe di circa 376 milioni/anno. Pertanto, anche se si dovessero intercettare gran parte dei codici bianchi e verdi, si trattereb-be di un aggravio irrisorio rispetto a quello abituale: un solo paziente in più al giorno da visitare per ogni medico!!“(…) Si accomodino, verrebbe da dire, non

ce ne accorgeremmo neppure, al massimo ci vorrà un’altra sedia in sala d’attesa!” (M. Tombesi).Ammesso che possa trattarsi di una solu-zione, i medici di famiglia sarebbero pronti a incrementare e migliorare l’assistenza territoriale per cercare di ridurre il sovraf-follamento del PS, ma a tal fine sarebbe necessario incrementare le risorse umane e finanziarie indirizzate verso le cure primarie. Si risolverebbe realmente il problema solo incrementando le risorse territoriali e della medicina generale? O forse alla base del sovraffollamento ci può essere una motiva-zione più complessa?L’analisi dei dati e delle valutazioni effettua-te circa gli accessi impropri alla struttura di pronto Soccorso richiede un attento esame di tutte le variabili possibili. Sono stati redat-ti studi in merito e il primum movens a spin-gere la popolazione sembrerebbe legato a fattori socio-culturali. La maggior parte dei soggetti ha una per-cezione erronea di gravità, urgenza o rischio e ritiene che le proprie problematiche siano valutabili solo in PS; spesso il MMG non viene neanche contattato. Oltre che dall’“abbattimento” delle liste d’attesa, il paziente sembrerebbe attratto e rassicurato da una struttura dotata di alta tecnologia e apparecchiature sofisticate. In questi ultimi mesi si è discusso circa la possibilità di ridurre il fenomeno degli accessi impropri, incrementando le ore di attività della medicina generale. A cosa ser-

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SIMGiovani C. Lamanna, E. Trastulli

28 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

virebbe una maggiore fruibilità dell’ambula-torio di MMG, in termini di orario e apertura nei giorni festivi, se tanto il problema non sarebbe legato alla difficoltà nella reperibi-lità del medico?In effetti durante l’attività ambulatoriale della medicina generale non sembra che gli accessi al PS si riducano drasticamente. Il massimo degli accessi al PS viene riscon-trato il lunedì mattina, quando è accertata una apertura ubiquitaria di tutti gli studi medici.Nessuno ha mai dimostrato che una mag-giore disponibilità oraria dei MMG determini una riduzione di accessi al PS ed è del tutto inverosimile che ciò possa accadere.Forse una sorta di “ricondizionamento edu-cativo della cittadinanza” potrebbe contene-re gli accessi.L’ipotesi di un h24 assimila la figura del medico di famiglia a quella del medico di PS. La “continuità ambulatoriale” non solo non comporterebbe una risoluzione del pro-blema, ma impoverirebbe la funzione del MMG. La matrice culturale di queste figu-re professionali infatti è molto diversa: non conoscere il quadro clinico completo del paziente annullerebbe il vero vantaggio del MMG e l’approccio olistico.

“Attenzione a non confondere le cure pri-marie con un pronto soccorso di serie B (…)”, l’emergenza urgenza è un’attività specialistica come la MG. “(…) Per decon-gestionare il PS bisogna far funzionare bene il sistema sanitario”, come sostiene Emilio Pozzi in un documento dell’Ordine dei Medici di Bergamo.Come si può ancora discutere sulle inadem-pienze del medico di medicina generale? Come si può ancora correlare l’intasamento del PS al lavoro del medico sul territorio? Sono anni che i MMG, occupandosi sempre più della cronicità, sono protagonisti di un lavoro che ha come ricaduta un processo di deospedalizzazione. Ne è testimonianza la progressiva e marcata riduzione di posti letto ospedalieri in tutte le Regioni negli ulti-mi dieci anni. L’occuparsi di prevenzione e di medicina di iniziativa, la presa in carico dell’anziano fragile, le cure territoriali programmate non sono forse un mezzo per ridurre le acuzie e prevenire le riacutizzazioni? A questo punto non è forse fuori luogo chiedere di fronteggiare anche le acuzie che si rivol-gono in modo improprio al PS attribuendo alla Medicina Generale il ruolo di medicina di attesa?

“(…) riportiamo l’attenzione sulla complessità delle persone e la gestione della persona nella sua complessità è propria delle Cure Primarie: rendiamoci conto di quan-to siamo importanti e tracciamo noi i solchi, le strade da percorrere.”

Barbara Starfield

Bibliografia1 Cricelli C. Comunicato stampa. Roma 20

gennaio 2012.2 Tombesi M. Codici bianche/verdi tra Pronto

Soccorso e Medicina Generale, febbraio 2012.

3 Rocco S, Fusello M. Il paziente non urgente (codice bianco) e il Pronto Soccorso. Emergency Care Journal 2008;IV(VI) - http://www.ecj.it.

4 Pozzi E. Comunicato Ordine dei Medici e Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Bergamo.

5 Puccetti L. Commento a: Rocco S, Fusello M. Il paziente non urgente (codice bianco) e il Pronto Soccorso. Emergency Care Journal 2008;IV(VI).

6 Starfield B. The hidden inequity in health care. Int J Equity Health 2011;10:15.

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Luglio-Settembre 2012 Numero 4

HS-NewsletterHS-NewsletterSOMMARIO

Health Search, istituto di ricerca della S.I.M.G.(Società Italiana di Medicina Generale)

HS-NewsletterLuglio - Settembre 2012

HS-Newsletter

News

Il contenimento della spesa sanitaria pubblica: alcune riflessioni a margine

della Spending Reviewa cura del

Prof. Vincenzo Atella

Direttore Scientifico Fondazione Farmafactoring,

Dipartimento di Economia e Finanza – Università

di Roma Tor Vergata, CHP – PCOR Stanford

University

-

Audizione ISTAT“Indagine conoscitiva sulla Patologia

diabetica in rapporto al SSN e alle connessioni con le malattie non

trasmissibili”a cura del

Capo Dipartimento per le

statistiche sociali ed ambientali

Dott.ssa L. L. Sabbadini

Analisi del mese

Cardiopatia congenita dell’adulto in Medicina Generale: prevalenza e

monitoraggio clinicoa cura del Dr. Giuliano Ermini

Area Cardiovascolare SIMG

Ultima pubblicazione HS

La patologia cardiovascolare nei soggetti asmatici o affetti da broncopatia ostruttiva cronica (BPCO): uno studio trasversale

retrospettivotratto da Respiratory Medicine

Progetti Internazionali e Team Operativo

Come accedere al Database:ricerche ed analisi

SOMMARIO

News...

HEALTH SEARCH (SIMG)Via Sestese, 6150141 Firenze. Italia+39 055 4590716 +39 055 494900Orario: Lunedì - Venerdì 9.00-18.00E-mail: [email protected]: www.healthsearch.it

Cardiopatia congenita dell’adulto in Medicina Generale: prevalenza e monitoraggio clinico

I soggetti adulti (di età superiore o uguale ai 18 anni) con cardiopatia congenita costituiscono quella categoria di pazienti in cui, alla nascita o durante i primi anni di vita, viene riscontrata una patologia cardiaca. Nello specifico la cardiopatie congenite racchiudono numerosi difetti anatomo-funzionali che riguardano i setti atriale e ventricolare, i grossi vasi cardiaci, nonché i sistemi valvolari cardiaci e polmonari... continua alle pagine 5-6

Analisi del mese...

Contatti

CEGEDIM STRATEGIC DATAAssistenza TecnicaNumero Verde: 800.199.846Orario: Lunedì - Venerdì 10.30-12.30, 14.30-17.00E-Mail: [email protected]

Health Search, istituto di ricerca della S.I.M.G.(Società Italiana di Medicina Generale)

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Commissione “Igiene e Sanità” del Senato della Repubblica - Roma, 15 maggio 2012

Indagine conoscitiva sulla Patologia diabetica in rapporto al SSN e alle connessioni con le malattie non trasmissibili

Il contenimento della Spesa Sanitaria Pubblica: alcune riflessioni a margine della Spending Review

a cura del Prof. Vincenzo Atella

continua a pag. 2

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SPEC

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News

(...continua dalla prima pagina)

Premessa

L’attività di spending review in cui è impegnato il governo sta suscitando notevoli attese per capire se e in che modo tagli tagli verranno applicati. Di sicuro, il settore della sanità fornirà un consistente contributo in termini di tagli, anche perché rimane uno dei pochi settori della pubblica amministrazione su cui si hanno dati e informazioni accurate. Tramontata per il momento l’idea di ottenere risparmi attraverso l’imposizione di maggiori tickets (anche sui ricoveri ospedalieri) e/o l’introduzione di una serie di franchigie, rimane da capire in che modo si potrà tagliare sui fondi.I dati recentemente presentati all’interno del Rapporto 2012 sulla sanità in controluce della Fondazione Farmafactoring mostrano come “la dinamica tendenziale dei costi indicherebbe l’esistenza di fattori strutturali che causerebbero nei prossimi anni una crescita: (a) importante; (b) incompatibile con i livelli di finanziamento; (c) esistono dei settori della sanità dove i costi sono aumentati più di altri settori. E’ necessario quindi intervenire, ma a nostro avviso sarebbe utile pensare quanto prima a una strategia di medio-lungo periodo, in grado di cambiare in modo strutturale il sentiero di crescita della spesa (evitando di intervenire con soluzioni tampone di anno in anno).

I fatti

Il primo punto da evidenziare è che se si guarda all’andamento della spesa sanitaria pubblica nell’ultimo decennio, confrontando la sola parte relativa ai servizi sanitari (farmaci, accertamenti diagnostici, visite specialistiche e ricoveri ospedalieri) con quella complessiva (che include anche i costi di struttura e gestione), si scopre che la prima è perfettamente stabile (in termini correnti!), mentre la seconda è risultata essere in continua crescita: nel 2004 il differenziale tra le due voci di costo era di circa 350 euro pro-capite per anno, mentre nel 2010 lo stesso differenziale è salito a circa 650 euro! (vedi Fig.1) Questo primo risultato mette in luce un fatto molto importante. Negli ultimi anni chi ha gestito la sanità è stato molto bravo a monitorare quella parte di spesa sanitaria che ha a che fare con la prestazione dei servizi sanitari, mentre poco o nulla si è fatto su tutte le altre voci di spesa. Il risultato è che il differenziale è sostanzialmente raddoppiato in 6 anni! Se poi guardassimo a questi dati separando le regioni “con” e “senza” piano di rientro, scopriremmo che le ultime sono riuscite a riallineare la spesa per servizi sanitari a livello di quella delle regioni “senza” piano di rientro (quindi abbassando la spesa per servizi sanitari), ma nulla è stato fatto sull’altro fronte.Il secondo punto riguarda invece l’utilizzo di strumenti di contenimento della spesa pubblica quali la compartecipazione o le franchigie (l’ipotesi maturata prima dell’estate). La letteratura internazionale sull’argomento è abbastanza concorde: questi strumenti sono molto utili dal punto di vista economico-finanziario perché in grado di controllare la spesa, ma producono grossi problemi dal punto di vista sanitario limitando l’accesso alle cure da parte dei pazienti. Il risultato finale è un trade-off tra risparmi di breve periodo e maggiori costi di cure nel lungo periodo, dovuto al fatto che questi strumenti riducono la compliance medica da parte del paziente, cosa che spesso porta a livelli di complicanze mediche maggiori nel lungo periodo.La lettura congiunta di questi due fenomeni dovrebbe portare a concludere che è sì necessario continuare ad intervenire sulla spesa sanitaria pubblica in Italia, ma sarebbe giunto il momento di guardare ad altri comparti della spesa che non siano i soliti noti e sui quali tanto si è fatto fino ad oggi per ridurre gli spechi. Insistere solo sulla parte di spesa che è già sotto controllo per farla ulteriormente diminuire ci farà risparmiare qualcosa oggi, ma ci farà spendere molto di più in futuro. Conviene?A margine di queste brevi considerazioni, è necessario aggiungere una ulteriore notazione che, purtroppo, viene da pochi valutata come rilevante per il controllo della spesa pubblica italiana. Se proviamo a guardare alla dinamica della spesa sanitaria italiana nel 2004 e la confrontiamo con quella degli ultimi anni ci rendiamo conto dei grossi passi in avanti che sono stati fatti. Siamo passati da tassi di crescita superiori al 5% all’anno a tassi in linea con il tasso di crescita del PIL. Il miglioramento che si è registrato è stato possibile grazie alla raccolta di dati e informazioni che hanno permesso al sistema di essere adeguatamente monitorato (oggi si conosce pressoché tutto su tutti i consumi sanitari!). I risultati della Figura 1 sono l’evidenza più chiara di questo fenomeno: senza informazioni non si fa monitoraggio e i settori in cui i dati non sono disponibili sono quelli in cui si è fatto di meno. Questa esperienza, che per ora è limitata al solo settore della sanità, dovrebbe essere quanto prima estesa a tutti gli altri settori della pubblica amministrazione, con l’obiettivo di capire quali sono i centri di spesa anomali e da lì intervenire per porvi rimedio.

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Il contenimento della Spesa Sanitaria Pubblica: alcune riflessioni a margine della Spending Review

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Una possibile soluzione per il futuro

Vale la pena di ricordare che la quantità di risorse necessarie per garantire la disponibilità di cure (a una popolazione che continuerà ad invecchiare) sarà sempre in aumento, con una progressione di spesa che, ad oggi, risulta difficilmente credibile possa essere garantita dallo Stato. Immaginare di recuperare efficienza per abbassare i costi è sicuramente uno dei percorsi da perseguire da subito, ma non sarà certo la strategia risolutiva in futuro. Il compito più importante per i policy makers sarà, invece, quello di affrontare i problemi della sanità in un contesto di approccio strutturale, e non certo secondo interventi ad hoc come ampiamente fatto negli anni passati e come si insiste a fare se si agisce solo su ticket e franchigie.Un altro importante risultato che emerge dalla lettura del Rapporto è che sono molte le esperienze a livello di ASL che hanno dimostrato come sia possibile migliorare la presa in carico dei pazienti da parte dei medici senza aumentare i costi del SSN. Investire in prevenzione sarà sicuramente la forma di investimento con il più elevato ritorno in termini di benefici per euro speso da parte della popolazione. Ma anche in questo caso sarà necessario capire dove esattamente intervenire e con quali strumenti. Da questo punto di vista, la disponibilità di dati e studi sempre più aggiornati e dettagliati potrà aiutare a capire i problemi della sanità e a disegnare soluzioni adatte.

Fig. 1 – Confronto tra spesa sanitaria totale (SSN) e spesa per la cura diretta dei pazienti (Health Search)

Fonte: Rapporto Fondazione Farmafactoring 2012

A cura del Prof. Vincenzo AtellaDirettore Scientifico Fondazione Farmafactoring, Dipartimento di Economia e Finanza – Università di Roma Tor Vergata, CHP – PCOR Stanford University

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Premessa

Rispetto agli obiettivi dell’indagine conoscitiva, il mio intervento – coerentemente con le funzioni istituzionali dell’Istat – è inteso ad offrire un insieme ampio di informazioni quantitative relative alla patologia diabetica, che spero possano contribuire al disegno delle politiche del nostro Paese.In particolare, mi soffermerò sulle principali misure epidemiologiche provenienti sia da indagini campionarie sia dalle principali fonti amministrative, relativamente alla prevalenza e alla mortalità, sui fattori di rischio, sulla qualità della vita dei pazienti diabetici nonché sulle tendenze in atto di utilizzo di alcuni servizi sanitari. In sintesi il diabete è una patologia cronica ad elevata complessità che colpisce soprattutto le persone anziane; i diabetici sono circa 3 milioni. Oltre i 75 anni una persona su 5 è affetta da diabete. Le disuguaglianze sociali nella patologia diabetica sono particolarmente accentuate con livelli di prevalenza e di mortalità più elevati nelle classi più svantaggiate, laddove i fattori di rischio, quali l’obesità e l’inattività fisica, tendono ad essere maggiormente diffusi. I soggetti con patologia diabetica sono in aumento, principalmente a causa del progressivo invecchiamento della popolazione, ma la mortalità è in lieve flessione negli ultimi 10 anni. Questo è un primo importante segnale di una tendenza al miglioramento nel percorso diagnostico e nel trattamento della malattia, come anche l’evoluzione dei consumi sanitari sembra avvalorare. L’aumento dei contatti con il medico di medicina generale è sintomo di una maggiore attenzione e continuità nella gestione della malattia e così anche la crescita delle visite specialistiche, degli accertamenti e del consumo di farmaci . Un più frequente rapporto con il proprio medico può inoltre avere ricadute positive anche sulla compliance del paziente.Si riducono fortemente i ricoveri, migliora l’appropriatezza ospedaliera in quanto diminuiscono i ricoveri per casi senza complicanze, anche il ricorso al regime ordinario è in calo a favore di trattamenti in day hospital o in regime ambulatoriale. Parallelamente cresce il ricorso a visite specialistiche e ad accertamenti diagnostici e la prevalenza nell’uso di farmaci specifici.È fondamentale l’adozione di un approccio globale alla malattia, esteso alle diverse componenti del rischio. L’azione di prevenzione nei confronti dei principali fattori di rischio, obesità e inattività fisica, particolarmente rilevanti anche in età infantile a fianco ad una assistenza sanitaria e cure efficaci e sostenibili sono elementi indispensabili per raggiungere ulteriori risultati significativi nei prossimi anni.

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I Consumi SanitariImportanti informazioni sulla patologia diabetica sono desumibili dal database Health Search-CSD LPD della Società italiana dei medici di medicina generale (SIMG). Tale database raccoglie una molteplicità di informazioni derivanti dalla pratica clinica quotidiana dei medici di medicina generale (MMG), a questi verrà affiancata un’analisi dei ricoveri.Per i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 di 15 anni e oltre è possibile descrivere il ricorso a visite mediche specialistiche o presso il medico di medicina generale, l’effettuazione di esami di laboratorio, accertamenti diagnostici, analizzare i consumi farmaceutici. Sono esclusi dal database i consumi sanitari che il paziente diabetico effettua senza ricorrere al medico di medicina generale, cioè eventuali visite mediche o esami effettuati nel settore privato senza prescrizione del MMG e le prestazioni sanitarie prescritte direttamente al paziente dai centri diabetologici pubblici. Il quadro è di estremo interesse soprattutto dal punto di vista della dinamica.repaglinide mostra un costante aumento tra il 2003 e il 2009 pur mantenendosi su percentuali più basse rispetto ad altri farmaci. L’uso dell’insulina rimane sostanzialmente stabile nel tempo e viene prescritta nel 2009 al’11,7% dei pazienti.L’aumento importante nella prevalenza d’uso della metformina è in linea con i protocolli di trattamento del diabete mellito di tipo 2, che individuano in questo principio attivo il trattamento di prima scelta soprattutto per le persone obese e in sovrappeso ma anche per le altre.Il profilo prescrittivo non risulta differenziato per ripartizione geografica. Tuttavia nelle isole si tendono a consumare più insulina e metformina. Il consumo di insulina risulta nettamente più elevato tra i pazienti di 15-44 anni, mentre per le altre categorie farmacologiche si osserva una tendenza crescente all’aumentare dell’età.

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Commissione “Igiene e Sanità” del Senato della Repubblica - Roma, 15 maggio 2012

Indagine conoscitiva sulla Patologia diabetica in rapporto al SSN e alle connessioni con le malattie non trasmissibili

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I Contatti con il Medico di Medicina GeneraleIl medico di medicina generale è certamente un punto di riferimento importante per la diagnosi precoce del diabete e per un adeguato monitoraggio dei comportamenti dei pazienti affetti da diabete. La quasi totalità dei pazienti si rivolge almeno una volta nell’anno al medico di medicina generale . La percentuale è passata dal 93% nel 2003 al 97% nel 2010 negli uomini e dal 94% al 99% nelle donne. Non si riscontrano differenze significative nelle ripartizioni geografiche.Le donne si rivolgono al medico di famiglia con una frequenza leggermente più elevata degli uomini: effettuano mediamente 15 contatti l’anno contro i 13 degli uomini. Questo dato è significativamente più elevato della media riferita a tutte le patologie che è pari a 8 nelle donne e a 6 negli uomini. Il dato nel 2010 risulta in aumento rispetto al 2003 quando il numero medio di contatti era pari a 12 nelle donne e a 9 negli uomini.A livello di ripartizione geografica si rileva una maggior frequenza dei contatti per i pazienti residenti al Sud e nelle Isole e tale differenza tende a mantenersi costante nel tempo.Il numero medio di contatti aumenta all’aumentare dell’età e tende ad essere pari al doppio nei pazienti con più di 75 anni rispetto ai pazienti con meno di 45 anni.

Il Consumo di Farmaci nei Pazienti con Diabete Mellito di Tipo 2Tra il 2003 e il 2009 analizzando i dati sui farmaci prescritti dai medici di medicina generale si è registrato un aumento importante nella prevalenza d’uso di metformina (la prescrizione passa dal 15,2% al 36,5% dei pazienti). Negli anni più recenti si è ridotto il consumo di sulfonamidi (dal 23% dei pazienti del 2005 al 17,2% del 2009). La repaglinide mostra un costante aumento tra il 2003 e il 2009 pur mantenendosi su percentuali più basse rispetto ad altri farmaci. L’uso dell’insulina rimane sostanzialmente stabile nel tempo e viene prescritta nel 2009 al’11,7% dei pazienti.L’aumento importante nella prevalenza d’uso della metformina è in linea con i protocolli di trattamento del diabete mellito di tipo 2, che individuano in questo principio attivo il trattamento di prima scelta soprattutto per le persone obese e in sovrappeso ma anche per le altre.Il profilo prescrittivo non risulta differenziato per ripartizione geografica. Tuttavia nelle isole si tendono a consumare più insulina e metformina. Il consumo di insulina risulta nettamente più elevato tra i pazienti di 15-44 anni, mentre per le altre categorie farmacologiche si osserva una tendenza crescente all’aumentare dell’età.

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Visite Specialistiche, Esami di Laboratorio ed Esami DiagnosticiNei pazienti affetti da diabete mellito di tipo2 aumenta nel tempo la quota di persone che effettua visite specialistiche, esami di laboratorio ed esami diagnostici per il tramite del medico di medicina generale. Gli esami diagnostici sono quelli che interessano la quota più elevata di pazienti (85% degli uomini e 87% delle donne); seguono gli esami di laboratorio (80% vs. 82%) e le visite specialistiche (68% vs. 71%). Le donne quindi ricorrono a questi servizi sanitari in misura maggiore degli uomini e le differenze di genere tendono a mantenersi costanti nel tempo.Non si osservano differenze significative di genere nel numero medio di prestazioni sanitarie per paziente. Ogni paziente effettua in media 3 visite specialistiche all’anno, 24 esami di laboratorio se uomo, 25 se donna, 27 esami diagnostici per paziente negli uomini e 29 nelle donne.I profili per genere ed età delle tre tipologie di prestazioni sanitarie sono molto simili. Il numero medio di prestazioni per paziente cresce al crescere dell’età con un massimo tra i 75 e i 79 anni. Decresce leggermente dopo gli 80 anni. Gli esami di laboratorio variano da un minimo nella classe 35-44 anni pari a 14 per ogni paziente negli uomini e a 20 nelle donne, ad un massimo nella classe di età 75-79 anni pari a 28 negli uomini e 27 nelle donne. Gli esami diagnostici presentano valori solo leggermente più alti, ma con analoghe differenze per età e sesso.L’analisi per ripartizione geografica non mostra differenze significative nel territorio.

a cura del Capo Dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali Dott.ssa L. L. Sabbadini

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Cardiopatia congenita dell’adulto in Medicina Generale: prevalenza e monitoraggio clinico

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PremessaI soggetti adulti (di età superiore o uguale ai 18 anni) con cardiopatia congenita costituiscono quella categoria di pazienti in cui, alla nascita o durante i primi anni di vita, viene riscontrata una patologia cardiaca. Nello specifico la cardiopatie congenite racchiudono numerosi difetti anatomo-funzionali che riguardano i setti atriale e ventricolare, i grossi vasi cardiaci, nonché i sistemi valvolari cardiaci e polmonari. Questo tipo di cardiopatie possono essere diagnosticate immediatamente alla nascita o, come avviene nella maggior parte dei casi, manifestarsi solo più tardivamente. In circa il 30% dei casi queste cardiopatie possono anche risolversi spontaneamente senza necessità di trattamento chirurgico.I cardiopatici congeniti adulti presentano delle problematiche che li rendono peculiari rispetto ai cardiopatici acquisiti (es.: soggetti con anamnesi positiva di infarto del miocardio). Le diverse problematiche sono correlate alla loro diagnosi iniziale di patologia, alla terapia a cui sono stati sottoposti in età pediatrica ed ai possibili difetti residui che possono variare da individuo ad individuo, con il differente inquadramento clinico che ne consegue. Ovviamente, per un corretto approccio clinico a questi pazienti è necessario che essi vengano periodicamente valutati con esami diagnostici appropriati e ricevano un accurato monitoraggio presso centri specialistici cardiologici. In questo contesto il medico di medicina generale svolge un ruolo chiave, poiché è l’unica figura a poter garantire il corretto continuum assistenziale tra la medicina specialistica ed il paziente cronico. Dati sulla prevalenza di questa patologia, assieme ad un’analisi quantitativa del monitoraggio clinico che ne consegue (richiesta di visita cardiologica ed esami strumentali) possono quindi rappresentare un importante informazione di salute pubblica.

MetodiIl periodo di riferimento è stato l’anno 2010. I pazienti, di età superiore ai 18 anni, sono stati considerati eleggibili qualora fossero stati presi in carico dai 700 “migliori” medici per la qualità del dato registrato nel database Health Search. Per quanto concerne il calcolo della prevalenza %, il numeratore e denominatore sono stati così definiti: Prevalenza di cardiopatia congenita:[numeratore] numero di pazienti (registrati da almeno due anni nelle liste dei medici di medicina generale) che riportavano una diagnosi di mania (codice ICD9CM: 745*-746*); [denominatore] popolazione attiva nelle liste di assistenza del medico di medicina generale con almeno 2 anni dalla presa in carico.Successivamente, tutte le stime ottenute sono state stratificate per sesso e classi di età.Infine, tra i pazienti con diagnosi di cardiopatia congenita stati calcolati i valori medi (e relativa deviazione standard (ds)) per quanto concerne: •esami elettrocardiogramma (ECG) per paziente nel corso dell’anno (tramite codice ICD9CM 89.50 o 89.52 o 89.41 o 89.43 o i termini *ecg*, *elettrocardiogramma*, *sfor* e *dinam*, catturati tramite il “diario clinico”);•esami ecocardiografi ci per paziente nel corso dell’anno (tramite codice ICD9CM 88.72.1 o 88.72.3 o il termine *ecografia cardiac*, catturato tramite il “diario clinico”);•richiesta di visita cardiologica per paziente nel corso dell’anno (tramite codice ICD9CM 89.7 o 89.01 o 89.52_P o i termini *v.*cardio*, *vis.*cardio*, *ECG+V.CARDIOLOGICA* e *VISITA CARDIOLOGICA*, catturati tramite il “diario clinico”).

RisultatiLe stime di prevalenza sono riportate in Tabella 1. Complessivamente, nella popolazione italiana registrata nelle liste di assistenza dei medici di medicina generale, la prevalenza di cardiopatia congenita risulta leggermente superiore allo 0.2%. Il sesso femminile risulta essere maggiormente colpito, sebbene in modo non eccessivamente più elevato rispetto ai maschi. Si osservano comunque, per entrambi i sessi, valori di prevalenza leggermente più elevati nella popolazione di età inferiore ai 75 anni. Per quanto riguarda la popolazione adulta con diagnosi di cardiopatia

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Analisi del mese

Il parere del Medico di Medicina GeneraleDati precisi sulla prevalenza e il tipo delle cardiopatie congenite nella popolazione adulta, riconosciute con l’acronimo GUCH (Grown-Up Congenital Heart disease), sono ancora carenti e si ritiene varino costantemente. Il notevole miglioramento della sopravvivenza dei pazienti con queste patologie ne ha determinato un continuo aumento di numero. Oltre a ciò alcune malformazioni (es. il difetto del setto interatriale, la coartazione aortica, l’anomalia di Ebstein) possono essere diagnosticati per la prima volta nell’età adulta. Nel 2000 si stimava che ci fossero circa 2800 adulti con cardiopatia congenita ogni milione di abitanti (0,28%), di cui più della metà con un difetto ritenuto a media o alta complessità tali da richiedere non solo l’attenzione di uno specialista cardiologo e cardiochirurgo. E’ interessante notare come i dati di Health Search, che fanno però riferimento al 2010, siano non molto dissimili dalla stima riportata. La prevalenza di pazienti con GUCH è infatti del 0,21% nei maschi e del 0,23% delle femmine del database HS. Considerando che a volte viene registrato più il problema (di solito grave: scompenso cardiaco, aritmie, ictus) causato dalla cardiopatia congenita (spesso ignota: il caso del calciatore Cassano insegna) che la cardiopatia stessa, si possono ritenere sostanzialmente uguali i dati di prevalenza supposti nel mondo e quelli dei MMG italiani che inviano i loro dati al database HS. Ogni MMG quindi ha in media 2-3 assistiti ogni 1000 dai 18 anni in su con una cardiopatia congenita che rischia di provocare all’apparato cardio-circolatorio quei gravi danni, di cui sopra, ed in modo particolare la morte improvvisa che potrebbe essere evitata con l’impianto di defibrillatori endocardiaci (ICD).Oltre alla inevitabile integrazione fra MMG e specialista nella diagnosi e nella gestione del paziente adulto con cardiopatia congenita, nel caso di cardiopatia nota dall’infanzia sarebbe importante il collegamento con il pediatra di libera scelta che nel momento del cambio assistenziale dell’adolescente dovrebbe fornire al MMG scelto i dati utili alla presa in cura.

a cura del Dr. Giuliano Ermini, Area Cardiovascolare SIMG

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Ultima pubblicazione HS

La patologia cardiovascolare nei soggetti asmatici o affetti da broncopatia ostruttiva cronica (BPCO): uno studio trasversale retrospettivo

Cazzola M, Calzetta L, Bettoncelli G, Cricelli C, Romeo F, Matera MG, Rogliani P.

Il paziente asmatico o con BPCO presenta, generalmente, altre comorbosità al momento della diagnosi della patologia respiratoria. Esistono infatti delle solide evidenze di aumentato rischio di patologia cardiovascolare (PCV) nel paziente con BPCO. Per contro, l’associazione tra asma e rischio di PCV è ancora oggetto di dibattito. L’obiettivo di questo studio consisteva quindi nel calcolare la prevalenza di PVC nei pazienti con BPCO o asma, utilizzando le informazioni del database italiano Health Search. Sono state impiegate le informazioni cliniche raccolte da 650 medici di medicina generale a partire da Gennaio 1998 fino a Dicembre 2009. E’ stato adottato un disegno trasversale.Sono stati quindi identificati i casi di BPCO ed asma tramite il sistema di codifica ICD9: i codici erano 491*, 492*, 496* per BPCO e 493* per asma. Allo stesso modo sono state catturate le patologie cardiovascolari che comprendevano la patologia ipertensiva (401*-5*), la cardiopatia ischemica (410*-414*), le patologie del sistema circolatorio polmonare (415*-417*), le aritmie cardiache (427*), lo scompenso cardiaco (428*), le patologie cerebrovascolari (430*-438*). I soggetti di età inferiore ai 15-34 anni sono stati esclusi perché in questa popolazione il rischio di BPCO è da considerarsi trascurabile. In una coorte composta da 690489 pazienti, 39741 (5.76%) risultavano affetti da asma e 25281 (3.66%) da BPCO. I soggetti di sesso femminile risultavano maggiormente affetti da asma, mentre quelli di sesso maschile da BPCO. Il rischio di BPCO aumentava con l’età per entrambi i sessi. La diagnosi di BPCO era significativamente associata con un’aumentata probabilità di diagnosi di PCV. Ad esempio, il rischio di infarto del miocardio risultava 2.91 (95% Intervalli di confidenza: 2.74-3.09) volte superiore nel paziente con BPCO rispetto alla popolazione generale. La patologia asmatica, sebbene concomitante alla PCV in più casi rispetto alla popolazione generale, dimostrava un’associazione più debole con le diagnosi di PCV rispetto alla BPCO.In conclusione questo studio dimostra come la BPCO presenti una forte associazione con la presenza di PCV. Inoltre, sebbene in maniera meno evidente, anche il soggetto asmatico risulta maggiormente affetto da PCV rispetto alla popolazione generale. Questi risultati dimostrano che sussiste la necessità di impostare il trattamento del soggetto con patologia respiratoria, da parte del medico di medicina generale che spesso riporta per primo la diagnosi di queste patologie, al di là del “singolo” inquadramento clinico del sistema broncopolmonare.

a cura dei ricercatori di Health Search

tratto da Respiratory Medicine

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Progetti Internazionali

SAFEGUARD: Safety Evalutation of Adverse Reactions in Diabetes www.safeguard-diabetes.orgIl progetto SAFEGUARD ha l’obiettivo di valutare e quantificare i rischi cardiovascolari, cerebrovascolari e pancreatici dei farmaci antidiabetici. Il progetto, oltre all’analisi delle segnalazioni spontanee e alla conduzione di studi sull’uomo, prevede l’impiego di database contenenti informazioni cliniche e terapeutiche di più di 1,7 milioni di pazienti in USA e in Europa, tra cui quelli inclusi in Health Search CSD LPD. Tale progetto consentirà di migliorare le conoscenze sulla sicurezza dei farmaci antidiabetici.

The EMA_TENDER (EU-ADR Alliance)www.alert-project.orgIl progetto EMA_TENDER (EU-ADR Alliance) nasce dal precedente progetto EU-ADR e ha lo scopo di studiare tre specifiche problematiche di sicurezza da farmaci: a) modalità e determinanti di impiego dei contraccettivi orali, b) monitoraggio dei rischi da pioglitazone e c) associazione tra bifosfonati e disturbi cardiovascolari. Il progetto impiega database clinici, tra cui Health Search CSD LPD, che coprono più di 45 milioni di pazienti provenienti da 5 paesi europei (Italia, Olanda, Regno Unito, Germania e Danimarca).

ARITMO: Arrhythmogenic potential of drugswww.aritmo-project.orgIl progetto ARITMO si propone di analizzare il profilo di rischio aritmogenico di circa 250 farmaci antipsicotici, anti-infettivi, ed anti-istaminici. La strategia consiste nell’utilizzo di dati provenienti da studi prospettici, database, tra i quali anche Health Search CSD LPD, e studi in-silico. Tutte queste informazioni verranno armonizzate con l’obiettivo di fornire un rapporto finale sul profilo di rischio aritmogenico dei farmaci osservati e sui determinanti clinici e genetici di tale rischio.

OCSE PSA: Early Diagnosis Project – PSA Il progetto OCSE si propone di valutare le modalità di impiego del test per i livelli del PSA (Prostate-Specific Antigen) nella diagnosi precoce del cancro della prostata. A tale fine il progetto utilizza database di medicina generale di diverse nazioni europee, tra cui Health Search CSD LPD per l’Italia. Lo studio consentirà di identificare le modalità di impiego del test PSA più efficienti nel diagnosticare in maniera precoce il cancro della prostata.

Health Search, istituto di ricerca della S.I.M.G. (Società Italiana di Medicina Generale)

Direttore Generale Direttore della Ricerca Consulenti Scientifici

Iacopo Cricelli Giampiero Mazzaglia Francesco Lapi Carlo Piccinni

Analisi Statistiche e Data Management

Alessandro Pasqua Serena Pecchioli Monica Simonetti Elisa Bianchini

Il team operativo

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Luglio-Settembre 2012 Numero 4Luglio - Settembre 2012 Numero 4

Ricerche, Analisi e Studi

L’Istituto Health Search (HS) mette a disposizione le proprie informazioni e le proprie risorse ai fini di un’attività di promozione della ricerca scientifica “no profit”. Poiché ogni richiesta di estrazione richiede un carico di lavoro aggiuntivo rispetto alle attività “istituzionali” proprie della struttura è importante fornire alcune brevi linee guida atte a facilitare i soggetti proponenti la ricerca.

Al fine di una corretta programmazione ogni richiesta dovrebbe contenere le seguenti informazioni: finalità della richiesta (ad es. congressi, lavori per ASL, pubblicazioni scientifiche); obiettivi dell’indagine; scadenze; periodo di riferimento; caratteristiche della popolazione in studio; uso dei codici internazionali di classificazione delle patologie (ICD-9 CM) e delle prescrizioni (ATC); la richiesta di accertamenti, ricoveri, visite specialistiche deve essere effettuata precisando l’esatta dicitura con cui le prestazioni sono definite in Millewin®; le informazioni da ricavare dagli accertamenti con valore necessitano di ulteriori specifiche di estrazione, ad esempio: *ultimo valore rispetto ad una determinata data; * media dei valori in un determinato arco temporale

Richieste “Semplici” (modulo e informazioni disponibili nel sito www.healthsearch.it sezione “Health Search/CSD-LPD” da compilare e rispedire all’indirizzo [email protected])

In particolare rientrano in questa categoria tutte quelle richieste che si limitano alla valutazione di un evento di tipo descrittivo, come ad esempio:

• Prevalenza di patologia• Incidenza cumulativa o Rischio• Prevalenza d’uso di farmaci• Prevalenza d’uso di prescrizione di indagini diagnostico-strumentali

Richieste “Articolate” (modulo e informazioni disponibili nel sito www.healthsearch.it sezione “Health Search/CSD-LPD” da compilare e rispedire all’indirizzo [email protected])

Se la richiesta del medico ricercatore, alla luce della maggiore articolazione della ricerca (es. studio caso-controllo o coorte, valutazioni di efficacia di interventi formativi, studi di valutazione economica) non rientra in tali modelli si renderà necessario un processo di revisione da parte di un apposito comitato scientifico per l’approvazione finale della ricerca.

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Comunicazioni

Il Team di Ricerca HS con il contributo scientifico della SIMG ha partecipato allo sviluppo di un nuovo e affascinante programma: MilleGPG.

Health Search, per la sua struttura assolutamente non finanziata, non può permettersi di sostenere ulteriori costi; tuttavia Millennium a fronte della fruttuosa e lunga collaborazione ha ritenuto di poterci sostenere.

Ai ricercatori HS è pertanto dedicato un listino speciale per il primo anno, totalmente esclusivo e riservato; dando la possibilità di acquisire gratuitamente la licenza MilleGPG ad un costo ridotto del 50% per il contratto di manutenzione per il I anno al fine di premiare lo sforzo che quotidianamente fate per consentire la sopravvivenza della nostra rete di ricerca.

Per ulteriori informazioni vi invitiamo a contattare l’ufficio commerciale Millennium al numero verde: 800 949 502

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Domanda di iscrizioneSIMG - Società Italiana di Medicina GeneraleVia Del Pignoncino 9/11, 50142 Firenze • Tel. 055 700027 • Fax 055 7130315 • [email protected] • www.simg.itLa presente scheda di iscrizione deve essere rispedita alla SIMG, via Del Pignoncino 9/11, 50142 Firenze, in originale oppure anche via fax allo 055 7130315, unitamente al pagamento della quota associativa pari a Euro 125,00 da effettuarsi tramite:• versamento sul c/c postale n. 14768501 intestato a SIMG - Società Italiana di Medicina Generale, via Del Pignoncino 9/11, 50142 Firenze; • inviando assegno circolare Non Trasferibile intestato a SIMG - Società Italiana di Medicina Generale, via Del Pignoncino 9/11, 50142 Firenze;• bonifico bancario personale effettuato a favore del conto corrente bancario intestato a: SOCIETA’ ITALIANA MEDICINA GENERALE; presso: Banca Nazionale del Lavoro,

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La gestione dell’ipotiroidismo in Medicina Generale: nuove opportunità terapeutiche per la compliance e il raggiungimento del target terapeutico

Gerardo MedeaArea Metabolica SIMG, Brescia

29Rivista Società Italiana di Medicina Generalen.4>>> agosto 2012

Introduzione: sintesi clinica dell’ipotiroidismo clinico e subclinicoL’ipotiroidismo è una malattia molto fre-quente nel mondo occidentale con una pre-valenza della forma primitiva del 3,5/1000 nelle donne e dello 0,6/1000 nei maschi. Dai dati Health Search del 2009 l’ipotiroidi-smo è al 16° posto tra le cause di maggior contatto degli assistiti con il proprio medico curante (1% del totale dei contatti, 0,5% nei maschi e 1,4% nelle femmine). Il trat-tamento dell’ipotiroidismo è considerato in genere semplice e di solito viene effettuato nell’ambito delle cure primarie. Studi tra-sversali hanno comunque dimostrato che tra il 40 e il 48% dei pazienti non sono trat-tati adeguatamente 1 2. L’ipotiroidismo primario è causato nella maggior parte dei casi dalla tiroidite di Hashimoto indipendentemente dal volume della tiroide (aumentato, normale o ridotto). In un recente studio italiano basato su oltre 4.000 pazienti con tiroidite di Hashimoto giunti all’osservazione nel periodo 1975-2005, circa la metà aveva ipotiroidismo mentre meno del 10% aveva una tiroide atrofica 3. La frequenza annuale della tiroidite di Hashimoto è aumentata di ben 14 volte nel 2005 rispetto al 1975, mentre l’età media dei pazienti che si presentano per una visita in Endocrinologia si è ridotta di un decennio (da circa 51 a circa 41 anni di età).

La forma congenita di ipotiroidismo con-genito, in Italia, ha una incidenza di circa 1:2000 nati vivi. Altre cause di ipotiroidismo permanente sono l’ablazione radioterapica o la tiroidec-tomia. Più raro è l’ipotiroidismo centrale (cioè da cause ipofisarie e/o ipotalamiche). Ricordiamo, infine, che sono in aumento le forme iatrogene legate a un più largo uso di farmaci quali l’amiodarone, l’interferone e il litio che però sono transitorie in quanto regrediscono con la sospensione del trat-tamento. Anche alcune forme di tiroiditi (tiroiditi postpartum; tiroidite dolorosa subacuta) determinano un ipotiroidismo temporaneo che in genere non necessita di trattamen-to farmacologico. Tuttavia, in circa il 30% delle donne con tiroidite postpartum l’ipoti-roidismo diventa permanente. Un aumento transitorio del TSH (thyroid-stimulating hor-mone), infine, può essere evidenziato sia durante la convalescenza da malattie non tiroidee sia nel corso dello screening neo-natale dell’ipotiroidismo.Un semplice algoritmo di  4 5 di trattamen-to di questa condizione è sintetizzato nella Figura 1.

In sintesiMentre è inequivocabile la necessità di trattare l’ipotiroidismo centrale e l’ipotiroi-dismo primario franco (cioè quello definito da valori sierici di TSH aumentati e di FT4 ridotti)  5 6, non è codificata la necessità di

trattare l’ipotiroidismo cosiddetto subclini-co o lieve o iniziale (cioè quello definito da valori di TSH aumentati e di FT4 ancora nei limiti dell’intervallo di normalità). Secondo lo schema presentato in Figura 1, pazien-ti con TSH > 10 mU/l (con o senza bassi livelli di tiroxina) e i pazienti con TSH tra 5 e 10 mU/l e bassi livelli di tiroxina dovreb-bero essere trattati 6 7 (preferibilmente dopo aver confermato l’aumento del TSH sierico in un secondo dosaggio); a meno che non si tratti di forma transitoria di ipotiroidismo (vedi sopra). Più controverso è il caso dell’Ipotiroidismo subclinico con TSH tra 5 e 10 mU/l e livelli di tiroxina normali: infatti è stato dimostrato in uno studio con un follow-up di 20 anni, che il rischio che tali pazienti vadano incontro a un ipotiroidismo franco è molto basso 8. Due recenti metanalisi 9 10 hanno dimostrato un’associazione tra ipotiroidismo subclinico e la morbo-mortalità cardiovascolare, ma non è stato confermato in un’altra metana-lisi un effetto protettivo della somministra-zione di tiroxina 11; In pratica si può operare nel seguente modo:a) il TSH andrebbe ripetuto insieme al

dosaggio degli anticorpi antitireoperos-sidasi entro tre mesi dal primo dosag-gio;

b) se il paziente ha sintomi suggestivi di ipotiroidismo e se l’aumento di TSH persiste può essere ragionevole effet-tuare un ciclo di cura per 3-6 mesi;

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Decision making G. Medea

30 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

se non si hanno miglioramenti, come succede in quasi la metà dei pazienti, è opportuno continuare la cura;

c) se il paziente non ha sintomi di ipotiroi-dismo non è consigliato il trattamento sostitutivo (fanno eccezione le gravide e le donne che hanno intenzione di ini-ziare una gravidanza) e il follow-up sarà così strutturato: – controlli annuali se il livello di TSH

si mantiene costante in presenza di anticorpi antitireoperossidasi (rischio di una progressione verso una forma di ipotiroidismo franco è meno del 5% l’anno)

– controlli triennali, se invece non

sono presenti anticorpi antitireope-rossidasi.

La terapia dell’ipotiroidismo

La levotiroxina, isomero levogiro della tiro-xina, è il trattamento di scelta dell’ipotiroi-dismo. Usata in tutto il mondo, Italia compresa, secondo il rapporto nazionale OSMED sull’uso dei farmaci 12, la levotiroxina assor-be la quasi totalità della spesa e della pre-scrizione del sottogruppo “preparati ormo-nali sistemici, esclusi ormoni sessuali”. La dose ottimale di levotiroxina è funzione del target terapeutico, ossia del livello di TSH da

raggiungere nel singolo individuo. Nel com-plesso, la dose ottimale giornaliera, capace di ripristinare i livelli di TSH in un range nor-male nella maggioranza dei pazienti adulti con ipotiroidismo, è fissata a 1,5-1,6 μg/kg/die (questa dose corrisponde a un dosaggio di 100 µg/die per una donna di 60 kg e di 125 per un maschio di 75 kg). Il raggiun-gimento del target terapeutico della tiroxi-na non dipende tuttavia unicamente dalla dose assunta, ma risente dell’interferenza di numerosi fattori, che richiedono adegua-menti di dosaggio per ottenere l’efficacia attesa. Il dosaggio del TSH rimane il metodo miglio-re per controllare l’efficacia della terapia

FIgura 1.

Algoritmo di trattamento dell’ipotiroidismo (da Vaidya et al., 2008, mod.) 4.

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Decision makingLa gestione dell’ipotiroidismo in Medicina Generale

31Rivista Società Italiana di Medicina Generale

con tiroxina, tranne che nelle persone con malattia ipofisaria. È per questo motivo che dopo aver iniziato una terapia, il TSH va controllato a distanza di 8-12 settimane e poi annualmente se il paziente assume una dose stabile di tiroxina. Bisogna tenere conto

di alcune condizioni che sono associate a fattori che provocano variazioni delle richie-ste di tiroxina, come la gravidanza, l’uso di estrogeni, il verificarsi di importanti variazio-ni di peso 13, l’invecchiamento (situazione in cui le dosi di tiroxina necessarie tendono a

ridursi sia per una ridotta clearance sia per una massa magra più bassa).Lo scopo del trattamento è fare in modo che il paziente riacquisti il suo stato di benes-sere con una dose di tiroxina aggiustata in maniera tale che il livello di TSH sia a metà del range di normalità, in pratica uguale o inferiore a 2,5 mU/L. Nelle persone anziane, sottopopolazione questa in cui mediamente i valori di TSH sono spostati verso destra anche in assenza di ipotiroidismo, è prefe-ribile accontentarsi di valori di TSH tra 2,5 e il valore massimo normale. La persistenza di disturbi da ipotiroidismo giustifica l’in-cremento della dose di tiroxina, incremento che deve essere graduale.Un livello soppressivo di TSH (<  0,1 µg) dovrebbe essere sempre evitato, come i bassi livelli di TSH negli anziani (< 60 anni) che aumentano il rischio di osteoporosi 14 e il rischio di fibrillazione atriale 15.Nelle Figure 2-4 sono riassunti i Fattori (far-maci, condizioni non patologiche e patolo-gie) che interferiscono con l’assorbimento e il metabolismo della levotiroxina e che pertanto richiedono un aggiustamento del suo dosaggio.Nel caso specifico dei farmaci (Fig. 2) quelli che diminuiscono l’acidità gastrica (ad es. il calcio carbonato) o inibiscono la secrezione acida gastrica (in particolare gli inibitori di pompa) diminuiscono l’assorbi-mento della levotiroxina presumibilmente perché essi diminuiscono la velocità di dis-

• AumentoponderaleodiBMI• Gravidanza• Pseudomalassorbimento

• Differentebioequivalenza delle preparazioni tiroxiniche

• AssunzionediT4 in vicinanza del cibo• Ingestionedicibiricchidisoiaefibre

Farmaci che:• assorbonoosequestranolaT4

• modificanol’aciditàgastrica

FIgura 2.

Farmaci e terapia tiroxinica: livelli di interferenza (da Centanni M, Franchi A, Santaguida MA, et al. La terapia tiroxinica: dall’empirismo al dosaggio individualizzato. Recenti Prog Med 2007;98:445-51).

Solfato ferroso

Sequestranti degli acidi biliari

Resine a scambio ionico

Chelanti dei fosfati

Orlistat?

Carbamazepina

Fenitoina

Fenobarbitale

Estrogeni

Raloxifene

Inibitori di pompa protonica

Sucralfato*

Idrossido di alluminio*

Idrossido di magnesio*

Calcio carbonato*

* Possono anche creare complessi insolubili con la tiroxina.

Riduzione acidità gastrica

Assorbimento nel lume intestinale

Accelerato catabolismo dellaT4

Legame alle proteine plasmatiche

FIgura 3.

Condizioni non patologiche di aumentata richiesta di levotiroxina (da Centanni M, Franchi A, Santaguida MA, et al. La terapia tiroxinica: dall’empirismo al dosaggio individualizzato. Recenti Prog Med 2007;98:445-51).

Aspetti biometrici e compliance del paziente

Caratteristiche del farmaco

Abitudini nutrizionali

Interferenze farmacologiche

È È È È

ÈÈ

ÈÈ

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Decision making G. Medea

32 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

soluzione delle compresse. Quindi, il far-maco arriverà al duodeno ancora in buona parte non disciolto. Conseguentemente, la quota di levotiroxina disponibile per l’as-sorbimento (e quindi assorbita) a livello duodenale sarà inferiore a quanto normal-mente osservabile. Un’altra interferenza molto comune è il cibo (Fig. 3) 16-18.Infatti, si raccomanda l’assunzione di levo-tiroxina il mattino, a digiuno lontano dall’in-gestione di cibi solidi o liquidi, incluso il caffè  19 poiché l’assorbimento della levoti-roxina e, è rapido ed efficace soprattutto nei primi 60-90 minuti dopo l’ingestione.Possibili meccanismi teoricamente coinvolti in questo fenomeno sono: 1) l’assorbimento da parte di albumina o

altre proteine;2) l’aumento del volume gastrointestina-

le, con conseguente diminuzione della concentrazione nell’intestino, cioè nel sito di assorbimento, e quindi diminu-zione della velocità di assorbimento;

3) l’antagonismo da parte di costituenti del cibo nei confronti di sistemi di tra-sporto;

4) l’ostacolo alla diffusione verso la mem-brana intestinale.

La dose terapeutica di tiroxina richiesta è minore quando, assunto il farmaco a digiu-no, si attende almeno un’ora.

Nuove opportunità terapeutiche dell’ipotiroidismo per migliorare l’efficacia e la compliance Tenuto conto di tutto ciò è utile considerare i vantaggi che una formulazione liquida (in gocce/flaconcini monodose) di levotiroxi-na (di recente disponibile per la terapia In

Italia) può determinare rispetto a quella in compresse.In linea generale nel caso di uno stesso principio attivo, prodotti farmaceutici diversi possono dimostrarsi sensibilmente differen-ti addirittura in termini di efficacia. Infatti, per formulazioni diverse (solida vs. liquida), così come per formulazioni simili ma che contengono eccipienti diversi o sono realiz-zate tramite processi di produzione distin-ti, è possibile osservare che, nonostante le quantità di farmaco contenute siano le stesse, gli effetti prodotti sono sensibilmen-te diversi. Ciò accade perché le differenze nella formulazione possono influenzare uno dei processi fondamentali della farmacoci-netica e cioè l’assorbimento del farmaco. La maggiore fonte di diversità nel profilo di assorbimento dello stesso farmaco da formulazioni diverse risiede nelle modalità (e velocità) di dissoluzione di queste ultime. La ragione per cui la dissoluzione è così importante deriva dal fatto che la presenza di farmaco in soluzione è necessaria all’av-vio del processo di permeazione. Inoltre, in linea generale è evidente e dimostrato dagli studi sperimentali che a parità di velocità di permeazione del farmaco una maggiore velocità di dissoluzione si accompagna a un assorbimento più rapido. Ne consegue che tutti i fattori che sono in grado di influenza-re la velocità di dissoluzione di un farmaco possono, in ultima analisi, alterarne il profilo farmacocinetico. Perciò da questo punto di vista i farmaci in soluzione sono avvantag-giati poiché il principio attivo si trova, già in soluzione. Nel caso specifico della levotiroxina in solu-zione, studi di farmacocinetica  20 hanno dimostrato che l’assorbimento della solu-zione è risultato più rapido rispetto a quel-lo delle compresse, come confermato dai valori di Tmax inferiori registrati per la solu-

zione orale. Con la soluzione orale, infatti, Cmax era raggiunto in circa 0,5 ore prima che con le compresse. Ciò significa che la velocità di assorbimento (misurata come Tmax) con la soluzione è maggiore di circa il 30%. L’assorbimento di una soluzione orale è quindi più rapido, ma la quota di farmaco assorbito e la concen-trazione di picco sono le stesse (cosiddetta bioequivalenza).Nel caso poi dei pazienti con insufficiente secrezione acida gastrica (da farmaci o patologie) la somministrazione di levotiro-xina come soluzione orale determina un assorbimento migliore rispetto a quello osservabile per le compresse in quanto viene eliminato l’ effetto del pH sulla disso-luzione delle compresse. Per quanto riguarda, invece, l’interferenza col cibo, con una soluzione orale, a pari-tà di intervallo temporale tra assunzione di levotiroxina e di cibo, è prevedibile che quando il cibo arriva al duodeno, l’assor-bimento duodenale della levotiroxina sia totalmente, o almeno in gran parte, com-pletato. La mancata necessità di una fase di dissoluzione a livello gastrointestinale nel caso della soluzione orale, infatti, è in grado di rendere la velocità di assorbimento del farmaco più elevata. È verosimile quindi che l’assunzione della soluzione orale consenta che il tempo tra assunzione del medicina-le e pasto possa essere ridotto rispetto a quello indicato per l’assunzione delle com-presse. Il minore impatto sulle abitudini di vita, legato alla possibilità di assumere cibo dopo un intervallo minore dall’assunzione del farmaco, è di grande valore a livello terapeutico, facilitando la massima aderen-za da parte dei pazienti.

ConclusioniLa terapia dell’ipotiroidismo non è molto complessa e può essere gestita dal medico di medicina generale (MMG) senza (nella maggior parte dei casi) il supporto dello specialista. È tuttavia necessario vigila-re sulla compliance al trattamento e sul raggiungimento dei target terapeutico. Da questo punto di vista possono essere, però, molti i fattori inteferenti soprattutto il cibo e i farmaci che spesso questi pazienti assumo-no contemporaneamente.

FIgura 4.

Principali patologie gastriche che alterano la secrezione acida gastrica (da Centanni M, Franchi A, Santaguida MA, et al. La terapia tiroxinica: dall’empirismo al dosaggio individualizzato. Recenti Prog Med 2007;98:445-51).

1. Infezione da Helicobacter pylori2. Gastrite cronica H. pylori-dipendente3. Gastrite atrofica autoimmune4. Pangastrite H. pylori-dipendente

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Decision makingLa gestione dell’ipotiroidismo in Medicina Generale

33Rivista Società Italiana di Medicina Generale

Il compito del MMG può essere da questo punto di vista molto facilitato dalla recente disponibilità della soluzione orale monodose di levotiroxina. Essa, infatti, assicura una:• maggiore velocità di assorbimento;• minore interferenza con il cibo;• minore interazione con il paziente;• minore variabilità nelle concentrazioni

plasmatiche con il farmaco.Tutto ciò può sicuramente favorire una migliore compliance del paziente e soprat-tutto ridurre i casi in cui è necessario un aggiustamento del dosaggio della tiroxina legato ai molti fattori inteferenti con il suo assorbimento.

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Focu

s on

Germano BettoncelliResponsabile Area Pneumologica, SIMG

34 Rivista Società Italiana di Medicina Generale n.4>>> agosto 2012

Nuovi indirizzi per la gestione della BPCO: il paziente al centro del processo di cura

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) costituisce ancora uno dei principali problemi di salute nel mondo e si colloca al 4° posto come causa di morte (World Health Organization WHO – www.who.int; World Bank/WHO Global Burden of Disease Study – www.who.int/topics/global_bur-den_of_disease). Dieci anni dopo la pubblicazione delle prime linee guida GOLD (Global Strategy for Diagnosis, Management and Prevention of COPD, 2001), l’ultima revisione del 2011, già reperibile sul sito www.goldcopd.org/, ha introdotto significative novità nell’ap-proccio diagnostico, nella valutazione cli-nica e nel trattamento della malattia. Tale innovazione deriva da un lato dal progresso nelle conoscenze scientifiche sui mecca-nismi eziopatogenetici, la storia clinica e la risposta alla terapia, ma probabilmente anche dalla constatazione che, malgrado l’accresciuta attenzione da parte dei medi-ci, tra la gente la malattia rimane ancora una realtà assai poco conosciuta e tenden-zialmente sottovalutata. Di conseguenza la prevalenza nota della BPCO sembra inchio-data al 50% dell’atteso, la diagnosi spesso è ancora approssimativa, la stadiazione non viene effettuata e i farmaci sono utilizzati in modo discontinuo e non sempre appropria-to 1. Ciò purtroppo dimostra che, nonostante l’elevato livello di evidenze scientifiche che supportano le raccomandazioni contenute nelle linee guida, il loro trasferimento nella pratica quotidiana, in particolare quella del

medico di medicina generale (MMG), è tut-tora ben lungi dall’essere soddisfacente. Finora, purtroppo, gli estensori delle linee guida non sembrano aver affrontato con la necessaria decisione questo aspetto del problema BPCO. Se è vero che una diagnosi tempestiva e un appropriato intervento terapeutico possono migliorare la storia clinica della malattia e quindi la prognosi del paziente, il MMG è nella posizione migliore per effettuare gli interventi di prevenzione, di diagnosi preco-ce e di cura della BPCO. Pur non avendo a disposizione i mezzi per effettuare uno screening di popolazione (che per altro nep-pure le GOLD suggeriscono), un approccio basato sul case finding, con l’utilizzo degli strumenti gestionali elettronici oggi larga-mente disponibili, è certamente alla sua portata e raccomandabile. I soggetti a rischio per età, abitudine tabagica e pre-senza di sintomi respiratori devono essere inviati a effettuare un esame spirometrico che confermi il sospetto di BPCO. La regi-strazione in cartella del dato fumo e l’utiliz-zo di rapidi questionari standardizzati per la rilevazione dei sintomi costituiscono la pre-messa che favorisce questo approccio. In uno studio recente l’utilizzo di un semplice questionario associato alla rilevazione del VEMS (volume espiratorio massimo nel 1° secondo) mediante uno strumento tascabi-le, ha consentito una più accurata selezione dei pazienti da inviare poi in laboratorio per eseguire una spirometria globale. Con que-

sto modello, facilmente adottabile anche nel setting del MMG, si può ottenere una maggior percentuale di diagnosi e si rende quindi più efficiente l’utilizzo della spirome-tria 2. Un simile intervento sarebbe alla por-tata anche di un infermiere integrato in uno studio di Medicina Generale e, se si vuole, anche delle farmacie, oggi più che mai alla ricerca di nuove opportunità di servizio per i cittadini. Giova ricordare, per inciso, che la sola misura del picco di flusso espiratorio, pur di elevata sensibilità, non è ammessa quale test diagnostico per la BPCO a causa della sua bassa specificità. Dati interessanti sono emersi da altre esperienze in cui, per-sonale non medico esperto nell’esecuzione della spirometria operava nello studio del medico di famiglia, secondo un calendario definito, eseguendo test con uno strumento portatile su soggetti selezionati e convocati dal medico  3. Riguardo alla spirometria, le GOLD 2011 ne ribadiscono il ruolo centrale nella diagnosi, che si conferma in presen-za di un indice di Tiffeneu (rapporto VEMS/capacità vitale) < 70% post-broncodilatato-re. Da sottolineare che il rapporto fisso deve essere in realtà corretto per il rischio di sot-todiagnosi nei giovani e di sovradiagnosi nei soggetti anziani. La limitazione del flusso aereo resta comunque il punto fermo carat-terizzante la malattia, pertanto nelle edizioni GOLD 2001 e 2006 veniva proposta una classificazione di gravità in 4 stadi, basata sulla percentuale di scostamento del VEMS rispetto al teorico. Tale modello, in apparen-

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Focus onNuovi indirizzi per la gestione della BPCO

35Rivista Società Italiana di Medicina Generale

za semplice e pratico, non ha avuto finora molta fortuna in Medicina Generale, dove non è mai stato veramente adottato. Poiché oggi si riconosce che il valore del VEMS non sempre presenta una relazione diretta con l’entità dei sintomi del paziente, in partico-lare la dispnea, né con la limitazione dell’at-tività fisica e neppure con il livello della qualità di vita  4  5, questa potrebbe essere una delle ragioni che spiegano, almeno in parte, il comportamento tenuto fino a oggi dai MMG e la loro “scarsa simpatia” per la prescrizione della spirometria. Le nuove linee guida 2011, pur avendo sostituito il termine “stadio” con quello di “grado” mantengono la vecchia classifica-zione spirometrica, come solido approccio predittivo del rischio di importanti eventi futuri, quali riacutizzazioni e mortalità. Ma accanto a questa danno grande rilievo ad altre importanti condizioni, quali il livello dei sintomi riferiti dal paziente, il rischio di riacutizzazioni e la presenza di comorbilità. Siamo quindi di fronte, per la prima volta, al tentativo di valorizzare la complessità del paziente e la sua peculiarità, alla consape-volezza che se davvero la manifestazione della malattia e il vissuto di ogni paziente possono di volta in volta essere diversi, allora sarà necessario di caso in caso un approccio terapeutico differente. Per la valu-tazione più oggettiva dei sintomi, si racco-manda l’utilizzo del questionario modificato del British Research Council (aMRC) (Tab. I), che valuta la disabilità dovuta alla dispnea o, in alternativa, del COPD Assessment Test (CAT) che esplora in modo più ampio l’im-patto della BPCO sulla vita quotidiana del paziente. Entrambi questi strumenti sono senz’altro alla portata del MMG.

Gli episodi di esacerbazione della BPCO che colpiscono taluni pazienti, possono comportare effetti particolarmente deleteri sia sullo stato di salute generale, che sul piano clinico-funzionale, socio-economico e prognostico. Una riacutizzazione di BPCO è definita come una modificazione acuta dei sintomi abituali del paziente, cioè dispnea, tosse ed espettorazione, che va al di là della normale variabilità giornaliera e che richiede un adeguamento terapeuti-co. Tale definizione, in realtà, lascia spesso i medici in una condizione di incertezza al momento della diagnosi e ciò è tanto più grave perché, come hanno dimostrato studi recenti, i soggetti con riacutizzazio-ni frequenti (2 o più per anno) presentano un profilo prognostico nettamente peggio-re  6-8. Per questo motivo le GOLD 2011 includono la valutazione della frequenza delle riacutizzazioni quale fattore di rischio di cui tener conto unitamente al prece-dente criterio spirometrico. Da sottoline-are che la frequenza delle riacutizzazioni è assai variabile da paziente a paziente e che l’unico elemento predittivo del rischio di incorrervi sembra essere l’anamnesi positiva per precedenti eventi trattati. Poiché in prevalenza i pazienti con BPCO sono anziani e anche per le conseguenze indotte dalla patologia stessa, è molto fre-quente il riscontro di una o più altre malattie che aggravano lo stato generale di salute e la prognosi di questi soggetti  9. Si tratta di un aspetto importante nella valutazione globale del paziente BPCO, con risvolti che influenzano sia la prognosi quoad vitam che l’adesione terapeutica nei confronti delle frequenti multiprescrizioni. Sotto questo punto di vista l’attenzione del medico, in

particolare del MMG, va estesa dallo stato nutrizionale del paziente, iniziando dalla valutazione e dal monitoraggio regolare del suo BMI, fino al preciso inquadramento di ogni altra patologia presente, di cui va garantito un corretto inquadramento dia-gnostico e un programma terapeutico in linea con quanto previsto per ogni specifica condizione clinica. Anche nell’ultima edizione delle GOLD, il trattamento della BPCO si fonda, come sempre, sull’eliminazione dei fattori di rischio, segnatamente il fumo di tabacco, il cui controllo è tanto importante quanto pur-troppo di non facile attuazione. Gli altri fat-tori comprendono le esposizioni lavorative e domestiche e l’inquinamento ambientale. A differenza delle edizioni GOLD precedenti, nelle quali le raccomandazioni terapeu-tiche si basavano quasi esclusivamente sulle alterazioni spirometriche, oggi viene proposta una valutazione più complessiva e multidimensionale, del paziente (Fig. 1, Tab. II). Sotto questa nuova luce, vengono iden-tificate quattro diverse classi di gravità (A, B, C, D) derivate dalla correlazione tra l’en-tità della sintomatologia e un determinato livello di rischio, da cui discendono differenti raccomandazioni terapeutiche, appropriate per ciascuna classe. Ognuna di esse, a sua volta, è stata suddivisa secondo tre possibi-lità: a) farmaco di prima scelta; b) seconda scelta; c) scelte alternative. Questa nuovo approccio alla gestione tera-peutica della BPCO è di sicuro interesse anche per il MMG. Viene infatti ora intro-dotta una visione più completa del paziente, non limitata esclusivamente alla valutazione funzionale della patologia respiratoria, ma estesa al suo vissuto (i sintomi), alle sue condizioni generali (le comorbilità) e alla sua storia clinica (le riacutizzazioni). Ciò è assai vicino alla consuetudine del MMG, da sempre orientato a una visione globale del paziente, alla gestione degli aspetti multi-dimensionali del percorso clinico e al con-fronto con le differenze fenotipiche spesso riscontrabili a parità di stadio funzionale. Dall’altro lato la classificazione di gravità ora proposta è certamente più complessa rispetto alla precedente, pur essendo più elastica nella correlazione con la scelta terapeutica, più aperta a un progressivo incremento che tenga conto degli obiettivi

Tabella I.

Scala di valutazione della dispnea aMRC.

1. Mi manca il fiato solo per sforzi intensi

2. Mi manca il fiato solo se corro in piano o faccio una salita leggera

3. Cammino più lentamente delle persone della mia età quando vado in piano, oppure mi devo fermare per respirare quando cammino al mio passo

4. Mi devo fermare per respirare dopo che ho camminato in piano per circa 100 m o pochi minuti

5. Mi manca troppo il fiato per uscire di casa, oppure mi manca troppo il fiato quando mi vesto o mi spoglio

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Focus on G. Bettoncelli

36 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

complessivi sia del paziente sia del medico. Recentemente è stato prodotto in Italia il documento “Gestione Clinica Integrata della BPCO” a cura delle principali società scientifiche pneumologiche, Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO), Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle Malattie Respiratorie (AIMAR), Società Italiana di Medicina Respiratoria (SIMeR) e Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) (www.simg.it). Alla base di questa iniziativa vi è la consta-tazione che l’utilizzo delle linee guida nella pratica quotidiana, sia dei MMG sia degli specialisti, rimane assai inferiore alle atte-se. Di conseguenza sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico una gran parte di questi pazienti non ricevono il livello di qualità assistenziale oggi realmente possi-bile. Il documento delle società scientifiche ribadisce che, accanto all’abolizione del fumo, alla riabilitazione, alla vaccinazione antinfluenzale e antipneumococcica (sep-pure quest’ultima più controversa) e alla conduzione di una vita sana, la terapia far-macologica è in grado di migliorare la fun-zione respiratoria, la tolleranza all’esercizio fisico, rallentare il decadimento funzionale,

FIgura 1.

BPCO-GOLD 2012: valutazione combinata di gravità della BPCO.

Il paziente può rientrare in una di queste 4 categorie:

A: Sintomi lievi, basso rischioB: Sintomi gravi, basso rischioC: Sintomi lievi, alto rischioD: Sintomi gravi, alto rischio

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3

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≥ 2

1

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(A)

(C) (D)

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mMRC 0-1CAT<10

SInToMI(mMRCoCAT)

mMRC ≥ 2CAT≥10

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Tabella II .

GOLD 2012: trattamento farmacologico iniziale.

Classepaziente Prima scelta Seconda scelta Alternativa

ASAMAoppureSABA

LAMAoppureLABAoppureSABA + SAMA

Teofillina

BLAMAoppureLABA

LAMA + SABA

SABAe/oSAMAteofillina

CICS + LABAoppureLAMA

LAMA + LABA

Inib. PDE4 SABAe/oSAMAteofillina

DICS + LABAoppureLAMA

ICS + LAMAoppureICS + LABA + LAMAoppureICS + LABA + Inib. PDE4oppureLAMA + LABAoppureLAMA + Inib. PDE4

CarbocisteinaSABAe/oSAMAteofillina

SAMA: anticolinergico a breve durata d’azione; SABA: β2-agonista a breve durata d’azione; LAMA: anticolinergico a lunga durata d’azione; LABA: β2-agonista a lunga durata d’azione; ICS: corticosteroidi inalatori; PDE4: inibitore fosfodiesterasi 4.

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Focus onNuovi indirizzi per la gestione della BPCO

37Rivista Società Italiana di Medicina Generale

diminuire il numero delle riacutizzazioni e di conseguenza il ricorso all’ospedalizzazione. Obiettivo primario della terapia è la dilatazio-ne bronchiale e pertanto i broncodilatatori a lunga durata d’azione, β2 stimolanti o anti-colinergici (LABA e LAMA), assunti per via inalatoria sono i farmaci di prima linea per il trattamento della BPCO stabile. La tera-pia va considerata nei pazienti che abbiano sintomi quali la ridotta tolleranza all’attività fisica e in quelli con un FEV1 pre-broncodi-latatore inferiore all’80% del valore teorico. Dopo la prima impostazione terapeutica, nel corso delle successive visite mediche, in caso di non adeguato controllo dei sintomi e della funzione respiratoria, si può aumen-tare la dose del broncodilatatore, secondo quanto previsto dalla scheda tecnica e, se ancora non ritenuto sufficiente, procedere all’aggiunta di un secondo broncodilatato-re a lunga durata. Se tutto ciò ancora non bastasse, è indicato l’utilizzo dell’associa-zione fissa LABA + corticosteroide inalato-rio (CSI) nei pazienti con FEV1 < 60% del predetto – misurato pre-broncodilatatore – e con storia di ripetute riacutizzazioni (> 2/anno), che manifestino sintomi significativi malgrado l’assunzione regolare di bronco-dilatatori. È anche ammessa una terapia con LABA + LAMA + corticosteroide inala-torio (ICS) nei soggetti con FEV1 < 60% del teorico, quando si ritenga di poter ottenere un ulteriore miglioramento della funzione respiratoria, della qualità della vita e della riduzione delle ospedalizzazioni. Infine, nei soggetti più gravi, con diagnosi di BPCO e sintomi di bronchite cronica, FEV1 < 50% e frequenti riacutizzazioni, l’aggiunta di un inibitore delle fosfodiesterasi-4 (roflumilast)

alla terapia regolare con broncodilatatori a lunga durata d’azione, può migliorare la funzione ventilatoria e ridurre la frequenza delle riacutizzazioni.Nonostante i progressi nelle conoscenze sulla BPCO restano ancora molti punti da chiarire sia in ambito fisiopatologico sia nelle modalità d’azione dei farmaci. Dal punto di vista diagnostico vi è la necessità di sviluppare efficaci modalità di intervento che intercettino la malattia e le sue esa-cerbazioni il più precocemente possibile, magari con l’ausilio di specifici biomarker. Per quanto riguarda i farmaci, resta da comprendere se effettivamente esistano fenotipi differenti di pazienti che si compor-tino in maniera diversa nella risposta alla terapia. Certamente, a tutti i livelli di assi-stenza, rimane il grande problema dell’ap-propriatezza e della continuità terapeuti-ca 10 senza le quali non è possibile raggiun-gere i risultati altrimenti ragionevolmente prevedibili. La complessità della malattia, sia intrinseca, sia per le frequenti comor-bilità sia l’accompagnano, obbligheranno sempre più a sviluppare modelli di gestione multidisciplinare a partire dalla prevenzio-ne fino alla gestione delle cure del paziente terminale. Infine la politica del trasferimento progressivo dell’assistenza dall’ospedale al territorio richiede ormai senza indugi di stu-diare l’elaborazione di modelli di gestione integrata e nuove soluzioni organizzative.

Bibliografia1 Corrado A, Rossi A. How far is real life

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10 Restrepo RD, Alvarez MT, Wittnebel LD, et al. Medication adherence issues in patients treated for COPD. Int J Chron Obstruct Pulmon Dis 2008;3:371-84.

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Doss

ier

Influ

enza

Vaccinazione antinfluenzale: come incrementare le coperture vaccinali

Razionale, strategie e strumenti

Paolo Bonanni1, Mauro Ruggeri2, Alessandro Rossi21 Professore Ordinario di Igiene, Università di Firenze; 2 Area Infettivologica, SIMG

38 Rivista Società Italiana di Medicina Generale n.4>>> agosto 2012

Impatto dell’influenza e ruolo della vaccinazioneL’influenza è una malattia infettiva provoca-ta da virus la cui composizione antigenica di superficie è soggetta a continue varia-zioni. Ciò comporta la ciclica ricomparsa ogni anno di epidemie stagionali in tutto il mondo. Quando le modificazioni degli anti-geni superficiali (emoagglutinina o antige-ne H e neuraminidasi o antigene N) sono tali da dare origine a un virus trasmissibile da uomo a uomo completamente nuovo, si verificano le pandemie influenzali, che possono colpire virtualmente tutta la popo-lazione mondiale. L’influenza stagionale interessa ogni anno il 10-20% della popo-lazione globale, con tassi di incidenza che in ambiti specifici possono coinvolgere il 40-50% dei soggetti 1. La continua variabi-lità degli antigeni di superificie del virus e il fatto che l’influenza abbia anche un serba-toio animale spiegano il fatto che essa non sia una malattia eradicabile; l’obiettivo delle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali è pertanto in primo luogo quello di limitare le complicanze e il carico complessivo della malattia (burden of disease), ridurre l’im-patto sanitario e sociale e limitare le perdite economiche determinate dall’influenza.Dal punto di vista epidemiologico l’influen-za è ancora oggi la terza causa di morte in Italia per patologia infettiva, preceduta solo da AIDS e tubercolosi. Si calcola che ogni anno siano colpiti da sindromi influenzali nel nostro Paese da 5 a 8 milioni di sog-

getti 2, con una stima di circa 8.000 morti (dati CNESPS - Istituto Superiore di Sanità), cioè circa il doppio rispetto ai decessi per incidenti stradali  3. Di questi decessi in eccesso, di cui mille attribuibili a polmonite e influenza e 7.000 ad altre cause, l’84% riguarda persone di età ≥ 65 anni.In Italia, nel corso della stagione pandemica 2009-10, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha documentato 260 decessi, dovuti diret-tamente al virus pandemico.In Europa nella stagione 2010-11 sono stati riportati 5.072 casi di SARI (Severe Acute

Respitatory Infection), di cui il 9,6% ha avuto un esito fatale. L’83,2% dei soggetti con SARI di cui era noto lo status vaccinale non era stato vaccinato per l’influenza sta-gionale (Fig. 1) 4.La fascia di età maggiormente colpita dalla malattia è, in termini numerici, quella dei bambini, i quali contribuiscono quindi in modo sostanziale alla diffusione dell’infezione. Gli anziani e i soggetti fragili, con fattori di rischio, sia patologici (malattie croniche) che fisiolo-gici (gravidanza), sono invece i gruppi che a causa del loro stato soffrono maggiormente

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Età anni

CFR Numero di casi

FIgura 1.

Distribuzione in Europa dei casi di SARI e CFR (Case Fatality Ratio) per fasce d’età dalla settimana 40/2010 alla 20/2011 (da ECDC, 2011, mod.) 4.

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Dossier InfluenzaVaccinazione antinfluenzale: come incrementare le coperture vaccinali

39Rivista Società Italiana di Medicina Generale

le conseguenze dell’influenza. D’altro canto, l’influenza, nella fascia di soggetti di età com-presa tra i 19 e i 49 anni in buone condizioni di salute, rappresenta la principale causa di visite mediche comportando un carico di lavoro gravoso, in particolare per i medici di medicina generale (MMG). Si è stimato che l’influenza sia causa di 0,6-2,5 giorni di lavoro perso per ogni caso 5. La vaccinazione antinfluenzale rappresen-ta la strategia di prevenzione con il miglior profilo di costo-efficacia, e deve essere considerata come un intervento di salute pubblica da implementare nelle categorie target, al fine di raggiungere i livelli attesi di coperture vaccinali 6.Se consideriamo la relazione tra il numero di eventi correlati all’influenza e le coperture

vaccinali, possiamo osservare che con l’au-mentare del livello di copertura vaccinale si riduce in maniera progressiva e lineare il numero di casi di influenza osservabili, visite mediche, decessi e ospedalizzazioni correlati all’infezione (Fig. 2).

Raccomandazioni per la vaccinazione antinfluenzaleL’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) stima che la vaccinazione antinfluen-zale riduca la morbosità e la mortalità cor-relate all’influenza rispettivamente del 60% e sino all’80% 8.Nel 2003 l’OMS ha indicato ai paesi mem-bri di attivare con urgenza politiche vaccina-li in grado di produrre un incremento delle

coperture per l’influenza in tutte le catego-rie target (persone ad alto rischio e soggetti anziani al di sopra dei 65 anni), raggiun-gendo come valore minimo accettabile il 50% nel 2006 e il 75% nel 2010. Il valore di copertura vaccinale ottimale è indicato, invece, nel 95% 9-11 (Tab. I).Nel 2009 il Consiglio dell’Unione Europea, ha stabilito la necessità di raggiungere il target del 75% per le coperture vaccinali negli anziani entro il 2014-15. Lo stesso obiettivo si applica anche per gli altri gruppi target. Dal 2010 negli USA l’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) racco-manda la vaccinazione antinfluenzale a tutta la popolazione a partire dai sei mesi di vita, con lo scopo di aumentare la copertu-

0

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FIgura 2.

Correlazione tra numero di eventi stimati (numero di casi di malattia, visite mediche, ricoveri, decessi) correlati all’influenza e coperture vaccinali (Vaccination Coverage Rate, VCR) (da Ryan et al., 2006, mod.) 7.

Tabella I.

Raccomandazioni per la vaccinazione antinfluenzale.

OMS Unione Europea ACIP 2010Target:

per gli adulti oltre i 65 anni di età entro il 2010-11a

Target: per gli adulti oltre i 65 anni di età

entro il 2014-15b

Target: per i soggetti a partire

dai 6 mesi di vitac

Copertura 75% Copertura 75% Vaccinazione universalea World Health Organization (WHO). Influenza vaccines. Wkly Epidemiol Rec 2005;80:277-88.b Council Recommendation of 22 December 2009 on seasonal influenza vaccination. Official Journal of the European Union 29.12.2009. c Fiore AE, Uyeki TM, Broder K, et al.; Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Prevention and control of influenza with vaccines: recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP), 2010. MMWR Recomm Rep 2010;59:1-62.

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Dossier Influenza P. Bonanni, et al.

40 Rivista Società Italiana di Medicina Generale

ra vaccinale, ridurre morbosità, mortalità e assenze lavorative.In Italia il Ministero della Salute raccomanda di vaccinare almeno il 75% delle persone che hanno più di 65 anni o che apparten-gono a categorie di rischio cercando di rag-giungere un livello ottimale di copertura del 95% (Tab. II).Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale

2012-2014, considerando le scarse coper-ture raggiunte tra gli operatori sanitari, sot-tolinea e ribadisce l’importanza della vacci-nazione in questa categoria di soggetti.La vaccinazione antinfluenzale per gli ultrasessantacinquenni e per le categorie di rischio è inclusa nei Livelli essenziali di Assistenza (LEA) ed è offerta attivamente in tutto il Paese con notevole coinvolgi-

mento dei MMG, visto che quest’ultimi eseguono ogni anno la grande maggioran-za delle vaccinazioni.

Coperture vaccinali in Italia

A partire dalla stagione 1999-2000, con l’applicazione della campagna di vaccina-zione attiva e gratuita su tutto il territorio

Tabella II .

Elenco delle categorie per le quali è raccomandata la vaccinazione stagionale (da Ministero della salute. Circolare 9 agosto 2011. Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2011-2012).

Categoria Dettaglio 1. Soggetti di età pari o superiore a 65 anni

2. Bambini di età superiore ai 6 mesi, ragazzi e adulti fino a 65 anni di età affetti da patologie che aumentano il rischio di complicanze da influenza

a) Malattie croniche a carico dell’apparato respiratorio (inclusa l’asma grave, la displasia broncopolmonare, la fibrosi cistica e la broncopatia cronico ostruttiva-BPCO)

b) Malattie dell’apparato cardio-circolatorio, comprese le cardiopatie congenite e acquisite

c) Diabete mellito e altre malattie metaboliche (inclusi gli obesi con BMI > 30 e gravi patologie concomitanti)

d) Insufficienza renale cronicae) Malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatief) Tumorig) Malattie congenite o acquisite che comportino carente produzione

di anticorpi, immunosoppressione indotta da farmaci o da HIVh) Malattie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento

intestinalii) Patologie per le quali sono programmati importanti interventi

chirurgicij) Patologie associate a un aumentato rischio di aspirazione delle

secrezioni respiratorie (ad esempio malattie neuromuscolari)k) Epatopatie croniche

3. Bambini e adolescenti in trattamento a lungo termine con acido acetilsalicilico, a rischio di sindrome di Reye in caso di infezione influenzale

4. Donne che all’inizio della stagione epidemica si trovino nel secondo e terzo trimestre di gravidanza

5. Individui di qualunque età ricoverati presso strutture per lungodegenti

6. Medici e personale sanitario di assistenza

7. Familiari e contatti di soggetti ad alto rischio

8. Soggetti addetti a servizi pubblici di primario interesse collettivo e categorie di lavoratori

a) Forze di polizia b) Vigili del fuococ) Altre categorie socialmente utili potrebbero avvantaggiarsi della

vaccinazione, per motivi vincolati allo svolgimento della loro attività lavorativa; a tale riguardo, è facoltà delle Regioni/PP.AA. definire i principi e le modalità dell’offerta a tali categorie

d) Infine, è pratica internazionalmente diffusa l’offerta attiva e gratuita della vaccinazione antinfluenzale da parte dei datori di lavoro ai lavoratori particolarmente esposti per attività svolta e al fine di contenere ricadute negative sulla produttività

9. Personale che, per motivi di lavoro, è a contatto con animali che potrebbero costituire fonte di infezione da virus influenzali non umani

a) Allevatori b) Addetti all’attività di allevamentoc) Addetti al trasporto di animali vivid) Macellatori e vaccinatorie) Veterinari pubblici e libero-professionisti

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Dossier InfluenzaVaccinazione antinfluenzale: come incrementare le coperture vaccinali

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nazionale, le coperture vaccinali hanno mostrato un progressivo aumento per circa un decennio. Nelle ultime stagioni, soprat-tutto dopo la stagione pandemica 2009-10, si è assistito, invece, a una riduzione dei livelli di copertura per tutte le fasce di età e soggetti target 1.I dati riferiti alla popolazione di sogget-ti > 65 anni mostrano che il valore medio di copertura nazionale è passato dal 65,6% del 2009-10 al 60,2% del 2010-11. Allo stesso modo, per la popolazione totale, si è assistito a un calo dal 19,6% (valore di per sé molto basso) al 17,2%. Il sistema di sorveglianza PASSI, con il progetto Passi d’Argento (ISS-EpiCentro), fornisce i dati di copertu ra nei soggetti di età compresa tra 18 e 64 anni con almeno una malattia cro-nica, attraverso una rilevazione a cui parte-cipa un pool di ASL 12. Il trend, anche per le categorie a rischio, è in discesa: siamo passati dal 30% (valore basso in assoluto per le categorie target) nel 2009-10 al 27% nel 2010-11. I dati di copertura relativi alle categorie di rischio individuate dal Ministero della Salute (rilevazione specifica relativa alla stagione pandemica 2009-10) docu-mentano livelli molto bassi  13: il personale sanitario e socio-sanitario ha un livello di copertura vaccinale pari al 15,0%; le donne al secondo o terzo trimestre di gravidanza hanno livelli di copertura del 12,1%; i sog-getti con almeno una condizione di rischio tra 6 mesi e 65 anni hanno coperture del 12,7%.

Patologie croniche nella popolazioneLa proporzione dei soggetti con fattori di rischio aumenta con l’età. I dati forniti dall’ISTAT nella pubblicazione “Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari” (anno 2005) dimostrano che oltre il 60% dei malati cronici in Italia ha più di 50 anni. I dati dello studio PASSI evidenziano che i fattori di rischio per patologia cardio-vascolare sono così diffusi nella popolazio-ne che solo il 2% delle persone tra 18 e 69 anni ne sono privi, mentre circa il 40% ne ha almeno tre. Al fine di stimare la preva-lenza delle patologie croniche per le quali è raccomandata la vaccinazione nella popo-lazione italiana assistita dai MMG, è stata

condotta una ricerca sul data base di Health Search, istituto di ricerca della Società Italiana di Medicina Generale 14. Il 40% dei 937.495 pazienti osservati presenta alme-no un patologia cronica. Nei soggetti di età superiore a 65 anni la percentuale è del 78,5 e del 61% nella fascia d’età 60-64 anni. Le condizioni di rischio sono risultate più frequenti nelle fasce d’età più avanzate ma non trascurabili anche nelle persone più giovani: 27,9% tra 45 e 49 anni, 19,7% tra 40 e 44 anni (Fig. 3).

Strategie basate sull’età (“age based”) e sul rischio (“risk based”): vantaggi e svantaggiLe strategie di vaccinazione basate sull’età permettono di intercettare una grossa parte di popolazione vulnerabile e suscettibile all’influenza con una raccomandazione unica che tenga conto esclusivamente dell’età. Gli anziani rappresentano una fascia di popolazione in progressivo aumen-to nella quale si concentrano maggiormente persone affette da patologie croniche che espongono a un elevato rischio di compli-canze. Le strategie “age based” comporta-no un accesso alla vaccinazione più facile per i gruppi target indipendentemente dalla loro condizione clinica ma, naturalmente non sono in grado di intercettare i soggetti a rischio compresi in fasce d’età inferiore a

quella stabilita come cut-off per eseguire la vaccinazione. Le strategie basate sul rischio, intercettan-do i soggetti a rischio da vaccinare indipen-dentemente dalla loro età, sarebbero mag-giormente appropriate dal punto di vista clinico. Purtroppo però quest’ultime, visti i bassi tassi di copertura raggiunti, non sono risultate ad oggi efficaci principalmente per la difficoltà a individuare e raggiungere di fatto i singoli pazienti da vaccinare.

Soluzioni possibiliIn Italia la vaccinazione antinfluenzale è offerta gratuitamente a tutti i soggetti della popolazione generale a partire dal compi-mento del sessantacinquesimo anno di età oltre alle categorie a rischio previste dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2012-14, e recepite dalle circolari annuali del Ministero della Salute. La percentuale dei vaccinati tra gli ultrasessantacinquenni è in calo, e non è conforme alla soglia mini-ma auspicabile del 75%. Ciò nonostante, essa è comunque più elevata di quella che si registra nei soggetti a rischio di età infe-riore a 65 anni. Uno dei problemi insoluti delle strategie di immunizzazione riguarda quindi la difficoltà di intercettare i soggetti a rischio, per i quali la vaccinazione è indicata indipendentemente dall’età. Da ciò deriva una copertura vaccinale inaccettabilmente

0,00 < 40 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 ≥ 65 Totale

10,00

20,00

60,00

50,00

40,00

30,00

70,00

80,00

Perc

entu

ale

Maschi Femmine Totale

Età

FIgura 3.

Pazienti con almeno una patologia cronica stratificati per età e sesso (da Ruggeri et al., in press) 14.

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Dossier Influenza P. Bonanni, et al.

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bassa e una persistente quota di popolazio-ne suscettibile all’infezione.Un recente studio di Jiménez-García et al. 15, relativo a un’esperienza spagnola, mostra che una strategia vaccinale basata sull’età, abbassando l’età per la vaccinazione rac-comandata a 60 anni, produce un aumento della copertura vaccinale nella popolazione a maggior rischio. Pertanto, per incrementare le coperture vac-cinali nelle categorie target in modo signifi-cativo – come previsto dall’OMS, dall’UE e dal nostro PNPV – è auspicabile che in Italia si inizi un percorso che porti in tempi brevi a raccomandare la vaccinazione antinfluenzale negli adulti già a partire dal sessantesimo anno di vita. Ciò permetterebbe di intercet-tare direttamente una proporzione maggiore dei soggetti a rischio, oltre a una fascia di lavoratori che sarebbero esclusi dalle attuali raccomandazioni, e che per larga parte oggi non vengono vaccinati.Peraltro vale la pena di sottolineare, come dimostrato anche dai dati di Health Search, che la percentuale di soggetti portatori di patologie croniche nella fascia d’età tra i 60 e i 64 anni è considerevole e significativa dal punto di vista clinico. La strategia basata sull’abbassamento dell’età minima per l’offerta attiva della vac-cinazione anti-influenzale può contribuire molto efficacemente a coprire un rilevante numero di soggetti affetti da patologie cro-niche tradizionalmente raggiunti con diffi-coltà basandosi sulla sola identificazione delle condizioni di rischio. I MMG non possono comunque esimersi dal compiere ogni ulteriore sforzo per indi-viduare correttamente i soggetti a rischio nell’ambito di una strategia di protezione individuale, anche utilizzando strumenti informatici che facilitino questa azione, e considerando che, in ogni caso, pure al di sotto dei 60 anni, la prevalenza di soggetti con condizioni di cronicità è tutt’altro che trascurabile.In questo contesto la Società Italiana di Medicina Generale ha fornito le specifi-che professionali per la realizzazione del software Mille GPG add-on della cartella Millewin. Il medico, utilizzando la sezione del software dedicata alla gestione delle vaccinazioni dell’adulto (Fig. 4) può facil-mente ottenere l’elenco nominativo dei

propri pazienti a rischio da vaccinare per l’influenza, proponendo attivamente l’inter-vento vaccinale e sottolineandone l’utilità, la sicurezza e i conseguenti benefici socio-sanitari individuali, per la famiglia e per la società.In conclusione le due strategie proposte per incrementare il tasso di copertura della vac-cinazione antinfluenzale non devono essere viste come antitetiche ma complementari, nella consapevolezza che l’obiettivo sarà raggiunto solo con la collaborazione di tutti gli attori coinvolti nella pratica delle vacci-nazioni. L’abbassamento dell’età di offerta della vaccinazione influenzale a 60 anni e, da parte del MMG, il potenzionamento dell’attività di ricerca dei soggetti candidati alla vaccinazione anche tra gli assistiti di età più giovane, può contribuire a raggiun-gere un numero considerevole di soggetti

a rischio e nel contempo rivitalizzare tra gli utenti la richiesta di vaccinazione.

Bibliografia1 Bonanni P, Signorelli C, Conversano M, et

al. Vaccinazione antinfluenzale. Razionale e strategie per l’incremento delle coperture vaccinali. Roma: Carocci editore 2012.

2 h t t p : / /www.sa lu te .gov. i t / i n f l uenza /paginaInternaInfluenza.jsp?id=685&lingua=italiano&menu=virus

3 ISTAT – Incidenti stradali. Anno 2008 – Novembre 2009.

4 European Centre for Disease Prevention and Control). Influenza surveillance in Europe 2010-2011. Stockholm: ECDC 2011.

5 Gasparini R, Amicizia D, Lai PL, et al. Clinical and socioeconomic impact of seasonal and pandemic influenza in adults and the elderly. Hum Vaccin Immunother 2012;8:21-8.

6 de Waure C, Veneziano MA, Cadeddu C, et

FIgura 4.

Modulo gestione vaccinazioni dell’adulto del software Mille GPG.

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Dossier InfluenzaVaccinazione antinfluenzale: come incrementare le coperture vaccinali

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al. Economic value of influenza vaccination. Hum Vaccin Immunother 2012;8:119-29.

7 Ryan J, Zoellner Y, Gradl B, et al. Establishing the health and economic impact of influenza vaccination within the European Union 25 countries. Vaccine 2006;24:6812-22.

8 The World Health Organization (WHO) Seasonal Influenza, Fact Sheet n. 211. 2009. Available from: http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs211/en/print.html.

9 WHO. Influenza vaccines. Weekly Epidemiological Record 2005;80:279-87.

10 WHO. Resolution WHA 56.19. Prevention and control of influenza pandemics and annual epidemics. In: Fifty-sixth World Health Assembly, Geneva, 19-28 May 2003.

11 WHO. Global pandemic influenza action plan to increase vaccine supply. Geneva 2006.

12 Rapporto Nazionale PASSI 2010. h t t p : / / w w w. e p i c e n t r o . i s s . i t / p a s s i /R2010vaccinazioneAntinfluenzale.asp

13 Rizzo C, Bella A, Declich S; e il Gruppo di Lavoro Influenza Pandemica. Sorveglianza epidemiologica integrata della pandemia influenzale da virus A/H1N1v nella stagione

2009-2010. Rapporti ISTISAN 10/46. Roma: Istituto Superiore di Sanità 2010.

14 Ruggeri M, Pasqua A, Cricelli I. Prevalenza delle patologie croniche per le quali è raccomandata la vaccinazione nella popolazione assistita dai medici di medicina generale in Italia (in press). http://www.healthsearch.it/

15 Jiménez-García R, Rodríguez-Rieiro C, Hernández-Barrera V, et al. Effectiveness of age-based strategies to increase influenza vaccination coverage among high risk subjects in Madrid (Spain). Vaccine 2011;29:2840-5.

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