shakespeare e cervantes

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Page 1: Shakespeare e Cervantes
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Indice

Cap. 1 SHAKESPEARE e CERVANTES 3

1.1 400 anni di sogni e follia 6

1.2 Shakespeare e Cervantes uniti dal Don Chisciotte 8

1.3 Don Chisciotte vs Amleto 9

Cap. 2 NEL LABIRINTO SCRITTURALE DI SHAKESPEARE e CERVANTES 11

2.1 Don Chisciotte eroe senza un mondo da salvare 13

2.2 Don Chisciotte simbolo della “saggezza dell’incertezza” 16

2.3 L’anima di Cervantes e Shakespeare dentro di noi 20

2.4 Shakespeare, Cervantes, noi 22

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I

SHAKESPEARE e CERVANTES

illibraio.it

Il 23 marzo del 1616 William Shakespeare fece testamento. Era malato da diverse settimane, anche se non sappiamo esattamente di cosa soffrisse e possiamo soltanto immaginarlo a partire dai sintomi che manifestava. Lasciò gran parte della sua ingente fortuna alla figlia Susan e 300 sterline all’altra figlia, Judith. Alla moglie, Anne Hathaway, riservò la mobilia, oltre al terzo dei beni che le spettava per legge. Distribuì, infine, gioielli e argenteria tra fratelli, nipoti e parenti, mentre ai poveri della parrocchia destinò 10 sterline. Il 26 marzo di quello stesso anno, a migliaia di chilometri da Stratford-upon-Avon, Miguel de Cervantes scrisse una lettera al suo protettore, don Bernardo de Sandoval y Rojas, arcivescovo di Toledo: “Il male che mi affligge” gli diceva “incalza tanto che credo che mi stroncherà, sebbene senza riconoscenza da parte mia”. Sappiamo che Cervantes soffriva di idropisia, ma ignoriamo la malattia che gliela provocava. E sappiamo che, a differenza di Shakespeare, l’autore spagnolo non aveva quasi nulla da lasciare ai suoi eredi, nemmeno una casa propria. In quel marzo di 400 anni fa, infatti, Cervantes viveva presso un amico sacerdote, in calle de León a Madrid, a pochi metri dal convento di Santa Ana. “La fortuna”, ha scritto José Manuel Fajardo, “non gli aveva sorriso, nonostante la fama dei suoi libri, e negli ultimi sette anni si era visto costretto a cambiare quattro volte domicilio, sempre nello stesso quartiere vicino alla calle del Principe. Perciò, l’autore del Don Chisciotte lasciava alla moglie, donna Catalina de Salazar, poco più che i suoi libri e i suoi scritti, e ordinava soltanto di recitare due messe per la sua anima”.

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I testamenti dei due scrittori sono forse la metafora più esatta dei differenti destini dell’impero inglese e di quello spagnolo: così come la Corona inglese prosperava inarrestabile, il patrimonio di Shakespeare era cospicuo, mentre le ristrettezze di Cervantes riflettevano la decadenza della Spagna, che viveva con Filippo III l’inizio della sua lunga agonia.

Anche le loro esistenze avevano avuto corsi molto diversi. Shakespeare era stato un drammaturgo di successo, ma nella tragedia della vita si era limitato al ruolo di spettatore, assistendo senza parteciparvi alle convulsioni politiche e ai complotti contro la regina a Londra. Cervantes, invece, aveva recitato da prim’attore nel gran teatro del mondo. Aveva partecipato alla famosa battaglia di Lepanto del 1571, dove aveva perso l’uso del braccio sinistro. Quattro anni dopo, mentre tentava di raggiungere la Spagna a bordo della galera Sol, era stato catturato dai pirati al largo di Cadaqués e condotto prigioniero ad Algeri. Vi era rimasto cinque anni e, quando finalmente aveva fatto ritorno in patria, aveva trovato la propria famiglia in miseria. Disoccupato e affamato, aveva dovuto accettare l’ingrato lavoro di requisitore per l’Invincibile Armata che avrebbe dovuto sconfiggere l’Inghilterra, un incarico che consisteva nel sequestrare in terra andalusa grano e olio a contadini più affamati di lui. Accusato ingiustamente di malversazioni, era finito nuovamente in carcere, poi aveva reagito alla crudeltà del mondo con l’ironia e la follia di un capolavoro come il Don Chisciotte: dopo la pubblicazione della prima parte dell’opera, nel 1605, era diventato famoso, ma la sua situazione economica non era cambiata di molto. Ora, però, in quella primavera del 1616, entrambi gli scrittori sapevano che la morte era in agguato e si preparavano ad affrontarla. Il 2 aprile Cervantes si sentì così male da non poter più lasciare la sua stanza, il 19 chiese l’estrema unzione. Anche Shakespeare trascorreva gran parte della giornata a letto, ma la sera del 22 aprile si fece forza per alzarsi e ricevere degnamente gli amici Michael Drayton e Ben Jonson. Mezzo secolo dopo, John Ward, un

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vicario di Stratford, raccontò (e nessuno sa se il suo racconto sia vero o se si tratti soltanto di una leggenda) che quella notte i tre bevvero e mangiarono molto, e che l’alba del 23 trovò Shakespeare e Drayton davanti al caminetto in preda a un forte accesso febbrile. Il dottor Hall, il genero del drammaturgo, accorse subito, ma, mentre Drayton riuscì a salvarsi, Shakespeare rimase a terra con gli occhi spalancati, mormorando parole incomprensibili, finché a poco a poco si spense. Aveva 53 anni. Anche Cervantes morì, sessantanovenne, all’alba del 23 aprile. Scomparvero, dunque, lo stesso giorno? Ci piacerebbe poter rispondere di sì. Invece i due non si conobbero in vita e non furono nemmeno accomunati dalla morte. Cervantes morì il sabato 23 aprile, Shakespeare il martedì 23 aprile. Com’è possibile? In realtà, mentre a quell’epoca in Spagna vigeva già il calendario gregoriano, l’Inghilterra conservava ancora quello giuliano, perciò il 23 aprile inglese corrispondeva al 3 maggio spagnolo. Shakespeare, dunque, morì dieci giorni dopo Cervantes. Solo i capricciosi computi degli uomini riuscirono in qualche modo a fare incrociare i destini dei due più grandi scrittori dell’epoca, e forse di tutti i tempi.

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1.1 400 anni di sogni e follia

siciliajournal.it

Cervantes e Shakespeare sono riusciti a dare vita a personaggi non solo indimenticabili, ma soprattutto capaci di ridisegnare le coordinate dell’uomo e del mondo. Dopo quattrocento anni, l’hidalgo della Mancia Don Chisciotte, il principe di Danimarca Amleto, la sanguinaria Lady Macbeth e tanti altri personaggi sono diventati autentiche icone e lo restano anche nella contemporaneità. In loro ritroviamo tutto di noi: le ambizioni e le pulsioni, i sogni, gli ardori, le follie. Le loro opere rispecchiano lo scenario storico in cui i due autori hanno operato, vivendo su fronti opposti la lotta tra le superpotenze dell’epoca, la Spagna e l’Inghilterra, per il predominio sul mondo conosciuto. Miguel de Cervantes e William Shakespeare, due pietre miliari della letteratura, dunque. Entrambi vengono celebrati nella Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, patrocinata dall’Unesco: il 23 aprile. La giornata dedicata a coloro che tra le pagine di un libro hanno ritrovato mondi e avventure alle quali partecipare, lasciando fuori la monotonia del tempo e immergendosi in quelle storie che continuano a conquistare l’attenzione di molti lettori. I due scrittori non hanno mai smesso di raccontare, di divulgare ciò che di più autentico si possa sperimentare attraverso la lettura.Shakespeare e Cervantes, due personalità che hanno indagato sull’animo umano creando personaggi destinati all’eternità: Amleto, Otello, Lady Macbeth, Don Chisciotte, icone letterarie che ritroviamo attuali anche nella contemporaneità. Amleto e Don Chisciotte personaggi del XVII secolo rappresentano delle sfaccettature caratteriali affascinanti tanto da diventare punti di riferimento nelle

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varie descrizioni emotive: l’egoista e l’idealista. Il cavaliere spagnolo è un uomo che ricerca la verità, l’essenza, la bellezza, sfidando ogni avversità. Immerso nella sua comicità poiché non riconosce quel limite delimitato dalla realtà che lo spinge a intravedere, a percepire forze oscure e continue minacce, come i grandi giganti cattivi che in realtà sono dei mulini a vento. Si schiera dalla parte dei deboli, degli indifesi, dei sognatori, Don Chisciotte della Mancha il paladino dell’altruismo e dell’umanità.La razionalità e l’introspezione delineano il personaggio shakespeariano, duro, egoista, tetro, il principe di Danimarca, Amleto. Rendendolo tutt’oggi un uomo moderno, una personalità in cui molti tendono a riconoscersi, ben diverso dal “ridicolo” cavaliere. I due grandi scrittori diventano così degli osservatori d’anime, dei loro tormenti, delle loro speranze: Cervantes e Shakespeare si collocano entrambi nei rispettivi mondi poetici alimentati da un denominatore comune: la follia. Quella del Don Chisciotte diventa lo strumento per rifiutare la volgarità e la bassezza dell’effimera realtà, la follia di Amleto – invece – è il mezzo attraverso il quale il principe tenta di smascherare l’immoralità e la corruzione che lo circonda. A 400 anni dalla loro scomparsa le loro opere, continuano a narrare chiaramente stati d’animo attuali e presenti in questa società in cui è sempre più semplice identificarsi con la figura shakespeariana, un’individualità indifferente – persino a sé stesso – e allontanarsi dal modello dello scrittore spagnolo ammettendo di essere devoti di un sogno: c’è chi dinanzi al dilemma dell’essere o non essere preferisce inseguire un sogno, lottare contro i mulini a vento ricercando quella libertà, che magari non lo renderà importante ma gli concederà una realtà alternativa nella quale esprimere il proprio essere.

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1.2 Shakespeare e Cervantes uniti da Don Chisciotte

booksblog.it

Secondo alcuni studiosi, però, il legame fra i due non si limiterebbe al fatto di essere deceduti a poche ore di distanza l’uno dall’altro. Shakespeare, infatti, avrebbe conosciuto l’opera dello scrittore spagnolo, mentre Cervantes non avrebbe avuto modo di conoscere i drammi di Shakespeare giunti nell’Europa Continentale soltanto nel XVIII secolo. Il Don Chisciotte fu tradotto in lingua inglese nel 1612, vale a dire poco prima che Shakespeare smettesse di scrivere. Secondo il filologo Angel Luis Pujante, Cervantes fu la fonte di Shakespeare per The History of Cardenio, l’opera rappresentata a Londra nel 1613. La storia di Cardenio, infatti, si trova nella prima parte del capolavoro di Cervantes, Don Chisciotte, e Shakespeare, con un metodo ormai consolidato in un quarto di secolo di scrittura, la ridusse a testo per la rappresentazione scenica. Il successo di Cervantes fu enorme sin dall’uscita in Inghilterra e Shakespeare non poteva non esserne cosciente. Nel secolo successivo l’opera di Cervantes avrebbe avuto un’influenza determinante su Henry Fielding, Tom Jones e su Laurence Sterne, Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo.

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1.3 Don Chisciotte vs Amleto

ansa.it

Non sono molti gli autori le cui opere o personaggi sono stati così popolari da essere diventati aggettivi di uso comune. Tra i più noti c'è certamente kafkiano, pirandelliano; poi anche amletico e donchisciottesco, riferiti, rispettivamente, al principe danese di Shakespeare e al cavaliere della Mancia creato da Miguel de Cervantes.“Donchisciottesco” andrebbe quindi letto come definizione positiva di una persona, forse poco concreta, ma pronta a balzare in sella per correre in aiuto di chi ha bisogno. Al contrario l' ''essere o non essere'' di Amleto è tutto chiuso nella sua personale vicenda esistenziale. Non a caso il grande critico Harold Bloom scrive che ''Shakespeare ci insegna a parlare a noi stessi, mentre solo Cervantes ci mostra come parlare tra di noi. E, anche se Cervantes e Shakespeare costruiscono realtà talmente vaste da contenerci tutti, Amleto è un'individualità indifferente, in fondo, sia a se stesso, sia agli altri, mentre il cavaliere spagnolo è una personalità di gran cuore che tiene a sé come a Sancho Panza e a tutti gli altri di cui va in soccorso''.Per Bloom1 sempre la forza tutta anticipatrice e moderna di questi due autori e dei loro due personaggi principali è ''la capacità di essere ironici anche quando si comportano da pazzi'', per cui ''Cervantes è comico in maniera sublime, come lo è Shakespeare, ma 1 Harold Bloom, che oggi ha 86 anni essendo nato a New York nel 1930, è considerato uno dei più influenti critici letterari sul piano internazionale ed è stato professore emerito all'Università di Yale Sterling Professor di Discipline Classiche alla stessa Università, e Berg Professor di Lingua e letteratura inglese all'Università di New York. Bloom è noto, per dovere di cronaca, anche per certe sue prese di posizione considerate provocatorie verso vari autori contemporanei e in particolare su alcuni vincitori del Nobel, da Le Clezio giudicato illeggibile a Dario Fo che definisce ridicolo. Tra i suoi tanti saggi, editi in italiano da Bompiani e Rizzoli, i più noti e importanti sono ''Il Canone Occidentale'' e ''Il genio''.

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il Don Chisciotte non si può definire una commedia più di quanto possa esserlo l'Amleto''.E a riprova di quanto dice sottolinea come Cervantes e Shakespeare abbiano creato gran parte delle tipologie umane che conosciamo o ''almeno i modi in cui queste possono essere rappresentate'' e cita come esempio l’Ulisse di James Joyce che può dirsi sia donchisciottiano che shakespeariano. Per Bloom, Cervantes e Shakespeare ''hanno in comune l'universalità del genio e sono gli unici possibili pari di Dante Alighieri”2. Nella comparazione tra i due, può essere evidenziato come Shakespeare sia riuscito nella sua vita tranquilla e con le sue opere a raggiungere il successo e diventare più o meno ricco, mentre Cervantes ha avuto un'esistenza tribolata, ferito a Lepanto, in fuga in Italia, prigioniero ad Algeri, servitore di Filippo II che non lo compensò mai davvero, non ebbe in vita né fama, né tantomeno ricchezze.

2 Il Canone Occidentale

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II

NEL LABIRINTO SCRITTURALE DI SHAKESPEARE e CERVANTES

labirintismo.it

Il Seicento presenta aspetti profondi di crisi: le unità ideologiche medioevali e rinascimentali sono a pezzi: in politica Machiavelli, in cosmologia Copernico, in teologia Lutero, nel relativismo Montaigne portano ad un senso di incostanza e fluidità delle cose. Il labirinto è dentro il cuore degli uomini e nell'arte. Cervantes continua questo processo di rinnovamento del romanzo: introduce infatti, nel suo romanzo cavalleresco, o per meglio dire, antiromanzo, la raffigurazione fedele delle classi inferiori, mescolandovi la vita popolare.Il Don Chisciotte è la storia del povero hidalgo che, abbandonato, diviene pazzo ed entra in un mondo fantastico derivante dalla fantasia delle sue letture. ll romanzo cavalleresco ispira le sue azioni: egli si crede cavaliere e ha come ronzino Ronzinante e come scudiero Sancho Panza. La tematica più interessante dell'opera è la pazzia che allontana il protagonista dalla realtà. Il Don Chisciotte è il poema della pazzia ossia della libertà totale. Per Don Chisciotte il labirinto è dolore e il filo d'Arianna è costituito dalla follia, come liberazione. Quello della follia è un tema classico: la follia degli antichi non era insania, né il prodotto di urto o di shock. Con Shakespeare, Cervantes, dopo Tasso, torna in letteratura il regno della fantasia e dell'irrazionale.Mai come in Cervantes l’edificio della letteratura ha lasciato scoperti i suoi ingranaggi nell'atteggiamento verso la cultura e l'erudizione

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cinquecentesca, mescolandosi alle avventure dei protagonisti e rivelando le idee dell'autore dinanzi alla società in decadenza. Anche l'amore platonico stilnovistico-cortese è parodiato: la hermosa Dulcinea del Toboso diviene quasi ridicola, vista com'è dagli occhi di un pazzo che non vede i limiti della sua passione.In Cervantes vi è una dimensione tragica che dipende dalla inesistente corrispondenza fra cose e parole; le vicende cavalleresche ormai sono parole vuote, ma Don Chisciotte a causa della sua “locura” non se ne accorge e cerca di ristabilire i rapporti fra realtà e libri. La pazzia è il modo di vedere il mondo con occhi diversi, non offuscati dalle idee e dai condizionamenti sociali.

Anche in Shakespeare, in As You Like It e in Twelfth Night si mette in dubbio la saggezza del sapiente e la pazzia del folle: “è triste il mondo in cui i pazzi non possono dire saggiamente ciò che i saggi fanno”. Oppure in King Lear la pazzia del re permea tutta l'opera e si colora di digressioni comiche. Come nel Chisciotte lucidità e follia si alternano creando duplicità ed ambiguità gnoseologica, in Shakespeare il labirinto è il palcoscenico della vita dove troviamo vis comica e farsesca: brigate cavalleresche colorano i primi drammi The Merchant of Venice, Much ado about nothing dove il romanzesco dei travestimenti, la drammaticità dei casi ed il riso, esprimono questa tendenza alla commedia gioconda. Il modello plautino, ricco di scoppiettii e di scherzi, permette a Shakespeare di non sopprimere dal suo teatro la parte del buffone, ma invece di educarlo focalizzandogli l'attenzione addosso. Fa, insomma, del pagliaccio, o nella veste primitiva di zoticone, o in qualità di buffone del re, un filosofo domestico indipendente e sagace. Antieroi, magari, ma portatori di ideali.

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2.1 Don Chisciotte, eroe senza un mondo da salvare

siciliajournal.it

Sulla scorta della tradizione romantica, alcuni individuano in Don Chisciotte – l’eroe folle e visionario ma dai buoni principi, tipici della cavalleria errante – una metafora dell’idealismo costretto a scontrarsi con una mondana realtà priva di eroismo. Nondimeno, da un’analisi più attenta emerge anche un’altra possibile lettura, dove l’antieroe cervantiano – rappresentato dall’hidalgo Alonso Quijano, un individuo privilegiato della media nobiltà – vive una pazzia fregiata da notevole saggezza, che tuttavia non riesce a sottrarlo a situazioni grottesche. Il romanzo è, secondo quest’ottica, la parabola di come la pazzia, Don Chisciotte, e l’ignoranza, Sancho Panza, conducano l’uomo a perdersi nei labirinti della conoscenza e della realtà, dove ogni cosa può essere soggetta a diversi punti di vista. Cervantes testimonia con il suo romanzo la crisi di fiducia del suo tempo e l’inadeguatezza della nobiltà dell’epoca nel fronteggiare un mondo senza ideali, che perdura per certi versi tuttora. Nel romanzo prevalgono la confusione, l’incertezza e la disillusione: una scissione tra sogno e realtà che rende il Don Chisciotte ancora così attuale.La vita avventurosa di Cervantes ma tormentata e segnata dalla malasorte forse gli è d’ispirazione per la figura di Don Chisciotte. Un personaggio che sintetizza tante tematiche letterarie che ricorreranno nella letteratura a venire, prima fra tutte il solco tra ideale e reale. Oggi, Don Chisciotte appare come l’antitesi del supereroe Marvel:

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Don Chisciotte, a differenza dei supereroi, non ha nessun potere particolare oltre alla propria fantasia.

Don Chisciotte è privo di un mondo da salvare perché il mondo non vuole essere salvato, magari sfruttato, circuito oppure goduto pacificamente come tenderebbe a fare Sancho Panza.

Don Chisciotte vive calato nel passato a differenza dei supereroi che vivono intensamente il loro presente. Egli ha la testa piena delle gesta cantate sui poemi cavallereschi e non riesce ad adattarsi a una società che di cavalleresco non ha più nulla.

Don Chisciotte è nemico della tecnologia, mentre diversi supereroi – Batman, per primo – la sfruttano a proprio favore. Il cavaliere, ad esempio, considera l’invenzione della polvere da sparo come la più grande disgrazia per un eroe. Lo dice chiaramente in un passo del romanzo:

Benedetti quei fortunati secoli cui mancò la spaventosa furia di questi indemoniati strumenti di artiglieria, al cui inventore io per me son convinto che il premio per la sua diabolica invenzione glielo stanno dando nell’inferno, perché con essa diede modo che un braccio infame e codardo tolga la vita a un prode cavaliere, e che senza saper né come né da dove, nel pieno del vigore e dell’impeto che anima e accende i forti petti, arrivi una palla sbandata (sparata da chi forse fuggì, al bagliore di fuoco prodotto dalla maledetta macchina), e recida e dia fine in un istante ai sentimenti e alla vita d’uno che avrebbe meritato di averla per lunghi secoli.

Se oggi Don Chisciotte fosse vivo tenterebbe di emulare Spiderman, Batman o Superman ovvero l’equivalente odierno dei cavalieri cantati nei poemi di un tempo. Si inventerebbe un qualche superpotere farlocco, indosserebbe una calzamaglia impossibile e partirebbe per salvare un mondo sazio, senza stimoli, né fantasia. Si scontrerebbe contro la dura realtà. La sua visione poetica della vita verrebbe polverizzata dalla prosaica tecnologia.

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C’è una scena passata alla storia del cinema che sintetizza questo tema ricorrente nel romanzo, ed è quella in cui Indiana Jones, semplicemente sguainando la pistola e premendo il grilletto, mette a tappeto il killer egiziano che con grandioso senso coreografico e abilità da giocoliere, gli agita davanti la scimitarra.Ovviamente Don Chisciotte è il killer egiziano, morto nemmeno in battaglia, senza nemmeno il tempo di dar mostra di sé, perché tra forma e sostanza, vince sempre la seconda.

Avete presente la frase che lo zio dice a Peter Parker alias Spiderman prima di morire “da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Bene, rapportata al Don Chisciotte la si potrebbe mutare in “da un grande sogno deriva una grande amarezza”.

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2.2 Don Chisciotte simbolo della “saggezza dell'incertezza”

fanpage.it

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Il protagonista della vicenda è un uomo sulla cinquantina, un hidalgo spagnolo di nome Alonso Quijano, morbosamente appassionato di romanzi cavallereschi. Le sue letture avventurose lo condizioneranno a tal punto da trascinarlo in un mondo fantastico, convincendolo di essere diventato un cavaliere errante chiamato a difendere i più deboli e riparare i torti, insieme al fedele scudiero (che in realtà non è altro che un contadino) Sancho Panza.

Tanto s’immerse nelle sue letture, che passava le nottate a leggere da un crepuscolo all’altro, e le giornate dalla prima all’ultima luce; e così, dal poco dormire e il molto leggere gli s’inaridì il cervello in maniera che perdette il giudizio. La fantasia gli si empì di tutto quello che leggeva nei libri, sia d’incantamenti che di contese, battaglie, sfide, ferite, dichiarazioni, amori, tempeste ed altre impossibili assurdità; e gli si ficcò in testa a tal punto che tutta quella macchina d’immaginarie invenzioni che leggeva, fossero verità, che per lui non c’era al mondo altra storia più certa.

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Lo scopo del romanzo, per ammissione dello stesso Cervantes, era quello di ridicolizzare i libri di cavalleria e di satireggiare il mondo medievale: ma la storia di Don Chisciotte è diventata molto di più. Ha avuto una straordinaria influenza su scrittori e filosofi, da Foucault a Pirandello, da Dickens a Borges: perché Don Chisciotte non è altro che una metafora umana profondamente significativa. Il personaggio di Don Chisciotte incarna lo spirito filosofico di un'epoca che cambia gradualmente ma inesorabilmente: il Seicento non è più il secolo dei grandi romanzi cavallereschi, ma non è ancora quello dei grandi racconti realisti. Non è un secolo pienamente consapevole della propria storicità, ma è in continuo conflitto con il suo presente: l'uomo stesso è contraddittorio, alla perenne ricerca di una sintesi interiore e civile che arriverà solo molto tempo dopo. Nel Cinquecento la follia è un elemento persistente nella letteratura e nella riflessione filosofica: si pensi a Erasmo, ad Ariosto e allo stesso Shakespeare. Una follia che viene ancora sentita come parte integrante della ragione umana, perché mette a nudo le contraddizioni, le paure e le passioni degli uomini. Ma verso la metà del Seicento il modo d’intendere la follia cambia, cessando di essere un’immagine grazie alla quale si possono rappresentare gli aspetti più inquietanti della condizione dell’uomo. La follia diviene un elemento negativo, viene considerata come non-ragione, assumendo nella coscienza sociale una dimensione nuova inglobando tutti gli aspetti considerati "devianti": il pazzo, il diverso, non può più confondersi con il resto della società, e non può e non deve più parlare. Questa è stata una delle eredità più importanti lasciate dall'opera di Cervantes: una grande antologia dell'uomo presente, capace di indagare a fondo gli elementi più contraddittori della storia. Così, almeno, la leggeva Michel Foucault in una delle sue opere più famose, "Le parole e le cose":

Don Chisciotte è la prima delle opere moderne poiché in essa si vede la crudele ragione delle identità e delle differenze deridere

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all’infinito segni e similitudini, poiché il linguaggio, in essa, spezza la sua vecchia parentela con le cose, per entrare in quella sovranità solitaria da cui riapparirà, nel suo essere scosceso, solo dopo che è diventato letteratura; poiché la somiglianza entra così in un’età che per essa è quella dell’insensatezza e dell’immaginazione. (…) La sua avventura sarà una decifrazione del mondo: un percorso minuzioso per rilevare sull’intera superficie della terra le figure che mostrano che i libri dicono il vero. Don Chisciotte legge il mondo per dimostrare i libri. (…) Perché la scrittura e le cose non si somigliano, e tra esse, Don Chisciotte vaga all’avventura.

Don Chisciotte ha influenzato, per questo suo carattere esistenziale, anche molta letteratura, a partire soprattutto dall’Ottocento: dal Circolo Pickwick di Dickens all’Idiota di Dostoevskij, fino ai Promessi Sposi di Manzoni. L'intellettuale cui Cervantes è intimamente più congeniale però, è sicuramente Jorge Luis Borges, il quale ha sempre considerato Don Chisciotte “il libro in cui tutto viene dato come possibile e dove la letteratura agisce come la vita; e i personaggi diventano romanzi e i romanzi personaggi”. Borges sostiene che Don Chisciotte è un romanzo profondamente “realista”, ma di un realismo del tutto particolare, diverso da quello conosciuto e possibile nel XIX secolo. “Nel Don Chisciotte a un mondo poetico, immaginario, viene contrapposto un mondo vero e prosaico; alle vaste geografie dell’Amadigi di Gaula, le piste polverose e le sordide osterie della Castiglia”. Se Descartes fu eroico nel porre l’uomo da solo di fronte all’universo, dice Borges, altrettanto eroico fu Cervantes nell’affrontare il mondo come ambiguità, possedendo come sola certezza "la saggezza dell’incertezza".

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Don Chisciotte in realtà non è pazzo, è ritenuto pazzo dal mondo che non lo capisce perché non capisce il senso del suo andare in cerca. Don Chisciotte non è pazzo, vuole diventarlo. E lo dice espressamente a Sancho: «Devo imitare il valoroso Don Orlando. E poiché Orlando è impazzito, io diventando pazzo diverrò un vero cavaliere». Don Chisciotte perde il senno perché ha letto troppi libri, e a noi italiani del XXI secolo viene da pensare che magari ce ne fossero di pazzi così oggi, in un mondo in cui nessuno legge più. I dati statistici impressionanti ci parlano di un 53 per cento di italiani che non leggono nemmeno un libro all'anno. Mi pare che la sanità mentale di questa nostra popolazione dimostri che forse era meglio diventar pazzi nel senso di Don Chisciotte.

2.3 L’anima di Cervantes e Shakespeare dentro di noi

illuminationschool.wordpress.com

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Cervantes e Shakespeare quasi certamente non si sono mai incontrati, ma più si leggono con attenzione le pagine che ci hanno lasciato più echi si percepiscono. La prima idea comune è la convinzione che un’opera di letteratura non dev’essere comica o tragica o romantica o politico-storica: se fatta bene, può essere molte cose contemporaneamente. Guardiamo le scene iniziali dell’Amleto. La prima scena del primo atto è una storia di fantasmi: «Non è qualcosa di più di una fantasia?», chiede Bernardo a Orazio. La seconda scena introduce l’intrigo alla corte di Elsinore: il principe erudito infuriato, la madre, da poco vedova, sposata con lo zio. Arriva la terza scena e troviamo Ofelia che racconta al suo scettico padre Polonio l’inizio di quella che diventerà una triste storia d’amore, Passiamo alla quarta scena ed è di nuovo una storia di fantasmi, e c’è del marcio in Danimarca.Via via che procede, l’opera continua a trasformarsi, diventando di volta in volta una storia di suicidio, una storia di omicidio, una cospirazione politica e una tragedia di vendetta. Ha momenti comici e una commedia nella commedia. Contiene alcuni dei brani di più alta poesia mai scritti in inglese e finisce in una serie di melodrammatiche pozze di sangue. Questo è quello che il Bardo ha lasciato in eredità a noi che veniamo dopo, la consapevolezza che un’opera può essere tutto contemporaneamente. La tradizione francese separa la tragedia (Racine) e la commedia (Molière), Shakespeare mescola tutto insieme, e lo stesso, grazie a lui, possiamo fare noi. In un famoso saggio, Milan Kundera ha affermato che il romanzo ha due progenitori, Clarissa di Samuel Richardson e Tristram Shandy di Laurence Sterne: ma entrambe queste voluminose ed enciclopediche narrazioni mostrano l’influenza di Cervantes. Lo zio Toby e il caporale Trim di Sterne sono esplicitamente modellati su don Chisciotte e Sancho Panza, mentre il realismo di Richardson è fortemente debitore dello sfasamento operato da Cervantes della ridicola tradizione letteraria medievale. Nel suo capolavoro, come nell’opera di Shakespeare, le batoste coesistono con la nobiltà, il pathos e l’emozione con la licenziosità e i

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doppi sensi, fino a culminare nel momento, infinitamente commovente, in cui il mondo reale prevale e il “Cavaliere dalla Triste Figura” riconosce di essere un vecchio pazzo e ridicolo.

Sia Shakespeare che Cervantes sono scrittori consapevoli, moderni in un modo che la maggior parte dei maestri moderni riconoscerebbe: quello che crea opere teatrali è fortemente consapevole della loro teatralità, del fatto che sono rappresentazioni; quello che crea opere di finzione narrativa è consapevole della loro natura fittizia. E sono entrambi affezionati osservatori, e profondi conoscitori, tanto della vita meschina quanto degli alti ideali. È questa prosaicità che rivela la loro natura di realisti, anche quando si atteggiano a scrittori fantastici: e anche qui, noi che siamo venuti dopo possiamo apprendere da loro che la magia ha senso solo quando si pone al servizio del realismo - c’è mai stato un mago più realistico di Prospero? - e il realismo ha tutto da guadagnare da robuste dosi di fantastico. Infine, entrambi rifiutano di fare la morale, ed è soprattutto in questo che sono più moderni di tanti venuti dopo di loro. Dei due, Cervantes era l’uomo d’azione, che combatté in battaglia, rimase gravemente ferito, perse l’uso della mano sinistra, fu fatto schiavo dai corsari di Algeri per cinque anni, finché la sua famiglia non riuscì a raccogliere il denaro per il riscatto. Shakespeare non aveva nessun dramma del genere nella sua esperienza personale, eppure, dei due, sembra quello più interessato a scrivere di guerre e soldati: l’Otello, il Macbeth, il Re Lear sono tutte storie di uomini in guerra. Stranamente, fu il guerriero spagnolo a scrivere della comica futilità del guerreggiare e a creare l’iconica figura del guerriero ridicolo. Nelle loro differenze, Cervantes e Shakespeare incarnano due opposti molto contemporanei, così come, nelle loro somiglianze, concordano su tante cose che oggi tornano utili ai loro eredi.

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2.4 Shakespeare, Cervantes, noi

laregione.ch

Mentre si rievocano William Shakespeare e Miguel de Cervantes, morti entrambi 400 anni fa, come spesso accade quando le cose più grandi sono proprio sotto i nostri occhi, viene il dubbio che qualcosa si perda. Si disperda nella coltre di luoghi comuni, di mitologie a buon mercato, di usurate incrostazioni della storia che assorbono il nostro sguardo.Non si tratta qui di prodursi in un invito (scontato) alla lettura dei classici, come quelli di Shakespeare e Cervantes. Dopotutto ogni libro che, come ha detto Italo Calvino, “non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, parla al cuore di ciascuno di noi; purché lo si voglia ascoltare, lasciandosi condurre oltre le apparenze che ci avvolgono, al di sotto della superficie di noi, sulla soglia di un sé a cui non si può mentire. Quel che un classico ha da dirci, ce lo dice in modo diverso a seconda di quando lo leggiamo, con quali esperienze alle spalle, con quali orizzonti negli occhi. Resta il fatto che il come e il dove la voce di un grande libro può arrivare, dipendono dal suo lettore. Per cui i classici si possono anche consigliare, ma il loro incontro risulta tanto più ricco di conseguenze quando avviene in modo inaspettato, imprevisto, disarmato.A volte un buon libro ti parla prima ancora che tu lo abbia letto, è già in te. In un certo senso, sei tu. Proprio perché ti precede, perché ti accoglie nella realtà che ha contribuito a definire e riconoscere, raccontando l’essenza profonda, contraddittoria e universale del tuo stesso esistere. Se alcuni modi di dire si sono sedimentati nella nostra cultura al punto da apparire stereotipati – come “amletico”, “donchisciottesco”, “lottare contro i mulini a vento”, “essere o non essere” – è proprio perché la nostra moderna civiltà occidentale hanno contribuito a sostanziarla, raccontandone le luci e le ombre, gli smarrimenti e gli slanci ideali, le bassezze e le vette; e con essi il nostro posto al suo interno. “Chiamasi classico un libro che si

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configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani”, ha scritto Calvino.Per la serenità di ogni lettore, è poi utile fugare un dubbio, forse un sospetto diffuso. Se un libro è un classico, allora vuol dire che non è né noioso né difficile, pur senza scadere a intrattenimento. Si tratta di abbassare le difese, di mettere da parte i sentito dire e le aspettative indotte, e così, senza particolare sforzo, di liberarlo delle incrostazioni che decenni o secoli di insegnamento, spesso cattivo, gli hanno depositato sopra. In cambio di territori inesplorati, al cui fondo, magari, trovare sé stessi, chiede solo un po’ di tempo e di disponibilità all’ascolto. Nel caso di Shakespeare e di Cervantes, così radicati in ciò che noi stessi siamo – noi, inclini al dubbio che immobilizza come a un attivismo frenetico che smarrisce i riferimenti più saldi del reale –, si tratta pure di provare a fare un passo oltre le leggende (metropolitane) che avvolgono l’uno e gli avventurosi dettagli biografici che precedono l’altro, fermi alla sterile ricerca di misteri da risolvere (o da alimentare) o di romantiche, superficiali risonanze tra la vita di un autore e quelle dei suoi personaggi. Detto che le fantasie circa la non esistenza di Shakespeare sono ridicole, e preso per buono il fatto che Cervantes in Don Chisciotte ha fatto ben più che raccontare una sorta di suo alter ego (e che l’eterna ricerca della sua salma non produrrà risultati di particolare interesse), le uniche verità che li concernono possono essere cercate in ciò che con loro supera il tempo, i loro testi. E ritrovare, magari, in accordo o in contrasto con essi, noi e il nostro di tempo. La scoperta “di una origine, d’una relazione, d’una appartenenza”.

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