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Organo ufficiale SIGENP Le vaccinazioni nelle malattie infiammatorie croniche intestinali Un sintomo comune per una condizione del tutto eccezionale Il sanguinamento gastrointestinale (SGI) in età pediatrica Il trattamento dell’epatite cronica B in pediatria La diagnostica della ipertensione portale in pediatria CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW PEDIATRIC HEPATOLOGY TRAINING AND EDUCATIONAL CORNER CASE REPORT ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY Volume ViII 3/2016 Periodico trimestrale - POSTE ITALIANE SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 1, DCB PISA Aut. Trib. di Milano n. 208 del 29-04-2009 - settembre - Finito di stampare presso IGP - Pisa, settembre 2016 - ISSN: 2282-2453 (Print) – ISSN 2499-7870 (Online)

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Organo ufficiale SIGENP

Le vaccinazioni nelle malattie infiammatorie croniche intestinali

Un sintomo comune per una condizione del tutto eccezionale

Il sanguinamento gastrointestinale (SGI) in età pediatrica

Il trattamento dell’epatite cronica B in pediatria

La diagnostica della ipertensione portale in pediatria

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW

PEDIATRIC HEPATOLOGY

TRAINING AND EDUCATIONAL CORNER

CASE REPORT

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Consiglio Direttivo SIGENP

PresidenteCarlo CatassiVice-PresidenteClaudio RomanoSegretarioMaria Elena Lionetti TesoriereRenata AuricchioConsiglieriAntonella Diamanti, Erasmo Miele, Licia Pensabene

Direttore ResponsabilePatrizia Alma Pacini

Responsabile Commissione EditoriaClaudio Romano · [email protected]

Direttore EditorialeMariella Baldassarre · [email protected]

Capo RedattoreFrancesco Cirillo · [email protected]

Assistenti di RedazioneGiulia Medicamento · [email protected] Drimaco · [email protected]

Comitato di RedazioneSalvatore Accomando · [email protected] Bizzarri · [email protected] Borrelli · [email protected] Capriati · [email protected] Civitelli · [email protected] Diamanti · [email protected] Di Mauro · [email protected] Paci · [email protected] Oliva · [email protected]

© Copyright 2016 by Pacini Editore Srl · PisaEdizionePacini Editore Srl, Via Gherardesca 1 · 56121 PisaTel. 050 313011 · Fax 050 [email protected] · www.pacinimedicina.itMarketing Dept Pacini Editore MedicinaAndrea TognelliMedical Project - Marketing DirectorTel. 050 3130255 · [email protected] · twitter @andreatognelliFabio PoponciniSales Manager Tel. 050 3130218 · [email protected] Crosato Junior Sales Manager Tel. 050 3130239 · [email protected] MoriCustomer Relationship ManagerTel. 050 3130217 · [email protected]

RedazioneLisa Andreazzi - Tel. 050 3130285 · [email protected] scientifica Valentina Bàrberi - Tel. 050 3130376 · [email protected] grafico e impaginazioneMassimo Arcidiacono - Tel. 050 3130231 · [email protected] Grafiche Pacini · Pisa

Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, [email protected], http://www.aidro.org. I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore Srl - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Pisa.

Volume VIII - N˚ 3/2016 - Trimestrale

EDITORIALEM. Baldassarre

TOPIC HIGHLIGHTSe “mangiare” fa rima con “giocare”: il progetto TASTE (Treatment And Support for Tricky Eaters)Intervista alla Dr.ssa Camilla SalvestriniThe TASTE (Treatment And Support for Tricky Eaters) project: when the food became funInterview to Dr. Camilla Salvestrini

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEWLe vaccinazioni nelle malattie infiammatorie croniche intestinaliVaccinations in inflammatory bowel diseaseG. Mazzola, L. Adamoli, M. Trizzino, A. Cascio

PEDIATRIC HEPATOLOGYIl trattamento dell’epatite cronica B in pediatriaChronic hepatitis B treatment in childrenM. Tripodi, M.G. Clemente, P. Vajro

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE

La riabilitazione nutrizionale nella gestione dell’insufficienza intestinaleThe nutritional rehabilitation in intestinal failure managementT. Capriati, D. Giorgio, D. Elia, D. Marino, F. Laureti, A. Diamanti

TRAINING AND EDUCATIONAL CORNERLa diagnostica della ipertensione portale in pediatriaDiagnosis of pediatric portal hypertensionD. Alberti, G. Boroni

IBD HIGHLIGHTSAlimenti, microbiota e infiammazione: la tempesta perfetta nelle malattie infiammatorie intestinali Diet, gut microbiota and inflammation: the perfect storm in inflammatory bowel diseasesM. Aloi, G. D’Arcangelo

NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY

Quale terapia farmacologica per la malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), senza inibitori di pompa protonica (PPI)?What pharmacological treatment for GERD, if not PPI?S. Salvatore

CASE REPORTUn sintomo comune per una condizione del tutto eccezionaleA common symptom for a rare conditionT. Alterio, C. Salvestrini

ENDOSCOPY LEARNING LIBRARYIl sanguinamento gastrointestinale (SGI) in età pediatricaThe gastrointestinal bleeding (GIB) in childrenS. Cardile, C. Romano

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE

Le linee guida australoasiatiche sul trattamento dell’Insufficienza Pancreatica Esocrina (IPE): un punto di vista particolare su un problema anche pediatricoThe Australasian guidelines for the management of pancreatic exocrine insufficiency (PEI): a special point of view on an also pediatric clinical problemV. Lucidi

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Segreteria SIGENP

Biomedia srlVia Libero Temolo, 4 - 20126 Milano

Tel. 02 45498282 int. 215 - Fax 02 45498199E-mail: [email protected]

Sommario

COME SI DIVENTA SOCI DELLA

L’iscrizione alla SIGENP come Socio è riservata a coloro (medici/ricercatori) che dimostrano interesse nel campo della Gastroentero-logia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.I candidati alla posizione di Soci SIGENP devono compilare una ap-posita scheda con acclusa firma di 2 Soci presentatori. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae che dimostri interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.In seguito ad accettazione della presente domanda da parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di ammissione ed indicazioni per regolarizzare il pagamento della quota associativa SIGENP.

Soci ordinari e aderenti • € 50,00 quota associativa annuale SIGENP senza abbonamento DLD • € 90,00 quota associativa annuale SIGENP con abbonamento DLD

Soci junior (età non superiore a 35 anni)• € 30,00 Quota associativa annuale SIGENP con DLD on-line

Per chi è interessato la scheda di iscrizione è disponibile sul portale SIGENP

www.sigenp.org

Seguici sulla pagina dedicatawww.facebook.com/giornalesigenp

93Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:93

Editoriale

Carissimi,quando sfoglierete questo numero del Giornale, il Congresso Nazionale della SIGENP sarà in corso o si sarà appena concluso. Nel corso dell’appuntamento congressuale verrà eletto il nuovo Presidente, al quale augu-reremo buon lavoro nel prossimo numero. Desidero salutare attraverso questo Editoriale il professor Carlo Catassi, che ha guidato negli ultimi tre anni la SIGENP, e ringraziarlo per il lavoro svolto.Negli anni della sua presidenza sono cambiate molte cose in ambito societario. Il timone della segreteria della Società è passata a BIOMEDIA, che coordina anche la Società Italiana di Pediatria (SIP). L’“avvicinamento” delle due segreterie ha certamente contribuito a favorire lo scambio culturale tra le due Società, elemento importante se si ritiene di far crescere l’“uno” come parte di un tutto.Carlo Catassi ha realizzato l’ambizioso progetto di pubblicare un Manuale di Gastroenterologia Pediatrica “a firma” SIGENP, che è stato scritto con il prezioso contributo di molti soci esperti. Il Manuale, edito da “Il Pensiero Scientifico”, scritto in modo chiaro e semplice, ma preciso e aggiornato, è diventato uno strumento importante per la conoscenza della Gastroenterologia Pediatrica da parte di medici in formazione, pediatri generalisti, medici di famiglia. Ne è prova il fatto che la casa editrice stia già pensando a una seconda ri-stampa. Vi farà piacere sapere che è in uscita anche il Manuale di Nutrizione Pediatrica a firma SIGENP, che è sicuramente destinato a riscuotere lo stesso successo.Un’altra iniziativa importante promossa dal professor Catassi sul piano della formazione in Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica riguarda il corso FAD, (100 ore di lezione), già disponibile da qualche mese sul sito di BIOMEDIA, realizzato con il supporto tecnico di quest’ultima, e che prevede, per chi s’iscrive e lo segue per intero, il rilascio di un attestato di formazione da parte della SIGENP.Durante la Presidenza del professor Catassi è cambiata la casa editrice del nostro Giornale, che è attualmen-te Pacini Editore, con cui abbiamo realizzato il sito on-line e iniziato il processo di indicizzazione del Giornale stesso.Il professor Carlo Catassi lascia pertanto un’impronta importante nel processo di crescita culturale della SI-GENP.Insieme a lui concludono il servizio societario Claudio Romano, attuale vicepresidente e Responsabile della Commissione Editoria, con cui la nostra redazione ha collaborato in modo stretto in questi tre anni, e Renata Auricchio, collega esperta e amica personale. Anche a loro va il “GRAZIE” della SIGENP, per tutto quello che hanno contribuito a costruire.

Questo numero del Giornale è come sempre ricco di suggestioni.Spero che possiate apprezzare i nostri sforzi per offrirvi ogni volta argomenti nuovi, che sappiano interessare e contribuire all’aggiornamento.Buona lettura!

94 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:94-95; doi: 10.19208/2282-2453-119

Se “mangiare” fa rima con “giocare”: il progetto TASTE (Treatment And Support for Tricky Eaters)Intervista alla Dr.ssa Camilla SalvestriniThe TASTE (Treament And Support for Tricky Eaters) project: when the food became funInterview to Dr. Camilla Salvestrini

Camilla Salvestrini, dopo la specializza-zione in Pediatria conseguita a Firenze nel 1999, ha effettuato il training for-mativo in Gastroenterologia Pediatrica presso l’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze e presso il Royal Free Hospital di Londra. Durante la formazione è sta-ta coinvolta in diversi progetti di ricerca sulle IBD, enteropatie intestinali e celia-chia. Nel 2007 è stata nominata Consu-lente in Gastroenterologia Pediatrica al Royal Free Hospital di Londra, dove inizia a occuparsi di nutrizione clinica. Dopo aver lavorato presso l’Ospedale dei Bambini di Sheffield, si trasferisce ad Addenbrooke (Cambridge) nel 2010

per guidare il servizio di nutrizione pediatrica. Ha svi-luppato un approccio innovativo per i problemi com-portamentali di alimentazione (programma TASTE – te-rapia e supporto per i palati più difficili).

Key wordsBehavioral feeding problems • Artificial nutrition • Tube feeding

AbstractChildren with behavioral feeding problems are at risk of negative health, social and emotional out-comes, including nutrient deficiencies, social and family disruption or conflict. The TASTE programme is an innovative solution for weaning children off of long term tube feeding or nutritional supplement dependency. The programme has shown signifi-cant reduction in the time it takes to progress chil-dren from assisted feeding onto a solid diet, bring-ing huge benefit to patients and their families as well as cost savings.The multi-disciplinary team (consultant, speech therapist, dietitian, psycholo-gist and play specialists) work with the families to actively reduce/cease the artificial nutrition.

Indirizzo per la corrispondenzaCamilla SalvestriniCentre for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition, Addenbrooke’s HospitalE-mail: [email protected]

TOPIC HIGHLIGHT a cura diMariella Baldassarre

PresentazioneCamilla Salvestrini è una giovane collega e una cara amica che ha deciso di continuare in Inghilterra il suo percorso di formazione professionale, affermandosi come esperta di nutrizione. Mi fa molto piacere pre-sentarla a chi non la conosce in queste pagine del no-stro giornale. Camilla è un esempio di determinazione e di professionalità e oltre che un’ottima professioni-sta, è anche una dolcissima mamma.

Perché è nato il progetto TASTE? Quali sono i casi in cui è più difficile riabituare i bambini all’assun-zione di alimenti per bocca?

Il progetto TASTE (Treatment And Support for Tricky Eaters) nasce dalla mia frustrazione nel seguire per anni (!) bambini portatori di gastrostomia che non rie-scono a ricominciare a mangiare, nonostante il proble-ma medico sia ormai risolto.Nel tempo poi ci siamo accorti che potevano benefi-ciare del nostro programma anche bambini dipenden-ti da supplementi nutrizionali e quelli così selettivi nel mangiare da creare problemi funzionali nella famiglia.Ogni famiglia è unica nella sua complessità, ma più i bambini sono grandi, con un problema comportamen-tale di lunga data, più è difficile risolverlo.

Potresti illustrare brevemente qual è la tecnica che hai messo a punto per accorciare i tempi per un rapido ritorno all’oralità?

Il concetto che supporta TASTE è straordinariamen-te semplice: aiutare famiglie in difficoltà a trovare le risorse e la fiducia per ottenere un cambiamento du-raturo nell’alimentazione del bambino con difficoltà comportamentali nell’assunzione di cibo. Il progetto richiede che i genitori e il bambino partecipino per 2 ore al giorno per 5 giorni consecutivi al nostro pro-gramma di supporto. I bambini (3-4 alla volta, della

TOPIC HIGHLIGHT Se “mangiare” fa rima con “giocare”: il progetto TASTE

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stessa età, ma non necessariamente con la stessa storia clinica) sono in una stanza attrezzata alle atti-vità ludico-riabilitative. Due terapiste del gioco li gui-dano in attività legate al cibo, che durante i 5 giorni diventano sempre più stimolanti. Ovviamente il gioco è la componente principale del programma, insieme alla spinta a progredire, che deriva dall’essere in un gruppo omogeneo. Mentre i bambini sono impegnati a divertirsi, i genitori passano due ore con il team nutrizionale. Le sessioni per i genitori sono guidate alternativamente dal medico, dalla psicologa, dalla dietista o dalla logopedista (specializzata in proble-mi della deglutizione). Ogni famiglia viene aiutata a individuare gli obiettivi per la settimana di terapia e anche per il tempo successivo. Il successo del pro-getto sta nella forza dell’alleanza terapeutica che si crea tra i genitori ed i terapisti.

Qual è la percentuale di successo?

Il progetto è partito 3 anni fa con due programmi “pi-lota”. Visto il successo (100% dei goals stabiliti rag-giunti a tre mesi), abbiamo ottenuto un finanziamento che ci ha consentito di sviluppare ulteriori 8 sessioni in 2 anni. Fino a oggi abbiamo trattato 26 famiglie, che diventeranno 30 per la fine dell’anno. I dati che stiamo raccogliendo verranno analizzati globalmente al termine del programma, ma posso dire che solo in un caso non siamo riusciti a ottenere i progressi de-siderati. È importante specificare che ogni paziente aveva un target diverso: sospendere la nutrizione per via gastrostomica, provare nuovi cibi, superare l’av-versione nei confronti di cibi solidi e con maggiore consistenza.Il nostro caso più emblematico è quello di Poppy, 5 anni. Dopo 4 anni di nutrizione totale per via gastro-stomica (dovuta alla sua prematurità e al ritardo di crescita intrauterino), è stata inviata al nostro cen-tro. Dopo una visita multi-disciplinare e due ulteriori

sessioni con la psicologa, è entrata nel programma. Poppy ha interrotto la nutrizione enterale alla fine del programma “TASTE” e tre mesi dopo è stato possi-bile asportare il bottone gastrostomico. Oggi Poppy mangia, cresce ed è molto fiera della sua normalità. Quali sono i fattori più importanti che condiziona-no il successo di questo tuo progetto?

Il fattore principale è determinato dalla disponibilità da parte dei genitori al cambiamento. Il programma TASTE deve essere effettuato nel momento più giu-sto per la famiglia, in modo che sia possibile attuare i cambiamenti necessari nelle dinamiche genitori-bambini riguardo all’alimentazione. Il nostro unico fallimento (a oggi!) con TASTE è stato dovuto al fatto che i genitori non ci avevamo informa-ti che si stavano separando!

Esistono degli accorgimenti da adottare durante il periodo in cui un bambino non si alimenta per os, per favorire poi un rapido ritorno all’assunzio-ne degli alimenti per bocca?

Il consiglio principale che diamo ai genitori di bambini che hanno bisogno dell’alimentazione via sondino na-so-gastrico o gastrostomia è di mantenere/creare una routine durante i pasti. Il bambino deve essere pre-sente ai pasti della famiglia, ed è un bene consentirgli di giocare con il cibo. Spesso questi pazienti hanno delle difficoltà sensoriali: non toccano cose umide-scivolose, non sopportano la vista o l’odore del cibo consumato da altri. La riabilitazione all’alimentazione per bocca inizia nel momento in cui viene posizionato il primo sondino: non bisogna mai smettere di offrire normali stimoli oro-percettivi al bambino.Un’attitudine rilassata e un ambiente familiare sereno durante i pasti aiutano a costruire l’interesse verso il cibo.

• Il programma TASTE è un programma di rieducazione intensivo, rivolto ai bambini con problemi di alimentazione (bambini portatori di gastrostomia, bambini dipendenti da supplementi nutrizionali, bambini estremamente selettivi nel mangiare).

• La rieducazione all’oralità è mediata dal coinvolgimento dei piccoli pazienti nel giocare con il cibo.

• Il fattore principale del successo di questo programma è determinato dalla disponibilità da parte dei genitori al cam-biamento.

96 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:96-100; doi: 10.19208/2282-2453-120

Le vaccinazioni nelle malattie infiammatorie croniche intestinali Vaccinations in inflammatory bowel disease

Giovanni Mazzola (foto)Lucia Adamoli

Marcello TrizzinoAntonio Cascio

UOC Malattie Infettive, Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile ‘‘G. D’Alessandro’’,

Università degli Studi di Palermo, Palermo

Key wordsInflammatory bowel disease •

Vaccine • Opportunistic infections • Immunosuppressive therapy

AbstractPatients with inflammatory bowel disease re-ceiving immunosuppressive therapy are at in-creased risk for infections. Current guidelines recommend correct screening for opportunistic infections and adequate immunization schedule; inactivated vaccines are safe, but these patients should not be administered live vaccines. Immu-nization rate in patients with IBD is still low, and the response in ones under immunosuppressive therapy (especially TNF-inhibitors) may be lower.

Indirizzo per la corrispondenza

Giovanni Mazzolavia del Vespro 129, 90123 PalermoE-mail: [email protected]

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW a cura diOsvaldo Borrelli

IntroduzioneLe malattie infiammatorie intestinali (IBD) sono caratte-rizzate da un processo infiammatorio cronico del tratto gastrointestinale la cui patogenesi è tuttora sconosciu-ta. In letteratura sono descritte più di 140 varianti gene-tiche come NOD2 e interleuchina 23 R 1. Tali varianti, insieme ai fattori ambientali, determinano alterazione dell’immunità mucosale, che può causare infiammazio-ne o fibrosi. Oltre ad avere un’immunità congenita su-bottimale, il sistema immune del paziente con IBD può essere ulteriormente indebolito dai farmaci utilizzati per la cura della malattia. La stragrande maggioranza dei bambini e degli adulti con IBD potrebbe avere la neces-sità di assumere una terapia immunosoppressiva; que-sti potenti farmaci aiutano a controllare l’attività della malattia, ma d’altra parte determinano un incrementato rischio di riattivazione di infezioni opportunistiche o di nuove infezioni, come nel caso del citomegalovirus  2, dell’Epstein-Barr virus (EBV), dell’epatite B (HBV) nelle sue forme latenti o occulte 3, della varicella e dell’isto-plasmosi. Alcuni studi hanno riportato una maggiore prevalenza di displasia cervicale, correlata a papillo-mavirus (HPV) nelle donne con IBD rispetto alla popo-lazione di controllo 4. Inoltre i pazienti con IBD hanno un rischio maggiore di contrarre polmoniti batteriche, dovuto all’assunzione di terapia steroidea, tiopurine e farmaci biologici.

Obiettivo della revisioneL’obiettivo di questo articolo è quello di definire la ma-lattia opportunistica, di individuare i fattori di rischio per infezioni nei pazienti con IBD, di suggerire una guida per le vaccinazioni e per la verifica della loro efficacia, e di indicare i tests sierologici e microbiologici da ese-guire prima e durante la terapia immunosoppressiva.

Metodologia della ricercaSono stati inclusi in questa revisione tutti gli articoli di-sponibili su Medline in lingua inglese, inerenti le infe-

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW Le vaccinazioni nelle malattie infiammatorie croniche intestinali

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zioni (virali, batteriche e fungine) che possono insorgere in corso di trattamento con farmaci immu-nomodulatori o immunosoppres-sori utilizzati come terapie delle forme attive di IBD. Questi lavori hanno incluso i trials randomizzati controllati (RCT), le linee guida e gli studi osservazionali di coorte e retrospettivi che hanno valuta-to: a) lo screening delle infezioni da effettuare in questi pazienti, b) l’iter diagnostico, c) gli schemi di trattamento previsti. Sono stati considerati tutti gli studi relativi alle vaccinazioni. Inoltre sono stati se-lezionati i lavori sull’efficacia delle vaccinazioni e sulla percentuale di pazienti che dovrebbero essere immunizzati, ma che spesso non rispettano i protocolli consigliati dalle linee guida. In ultimo, sono stati analizzati i dati degli studi re-lativi agli schemi vaccinali da pra-ticare nelle condizioni di immuno-deficienza particolarmente severa.

RisultatiIl paziente con IBD non deve esse-re considerato un soggetto con al-terazioni dell’immunocompetenza, esclusivamente in base al proprio status. L’ospite immunocompro-messo ha un’alterazione dell’im-munità cellulare e/o umorale, che incrementa il rischio di contrarre una complicanza infettiva. Le linee guida IDSA (Infectious Disease Society of America) distinguono i pazienti con “low-level immunosop-pression” dai pazienti che effettua-no trattamenti inducenti “high-level immunosoppression”. I pazienti con “low-level immunosoppression” sono quelli che assumono predni-sone con dosaggio inferiore a 2 mg/kg (dosaggio complessivo in-feriore a 20 mg/die), methrotrexate con dosaggio inferiore a 0,4  mg/kg/settimana, i pazienti a cui vie-ne somministrata azatioprina con dosaggio inferiore a 3 mg/kg/die e i pazienti che ricevono 6-mercap-

topurina (6-MP) con dosaggi infe-riori a 1,5 mg/kg/die. I pazienti con “high-level immunosoppression” assumono dosi più elevate dei far-maci precedentemente elencati o farmaci biologici come gli anti-TNF. Questa distinzione è fondamentale per decidere l’opportunità di immu-nizzare i pazienti utilizzando vacci-ni vivi. La malattia opportunistica è de-finita come un’infezione progres-siva da parte di un microorgani-smo privo di capacità patogena in circostanze ordinarie, ma che può causare gravi patologie come risultato di una condizione immu-nosoppressiva predisponente. Le infezioni opportunistiche si asso-ciano a un significativo aumento della morbilità e della mortalità in tutti gli individui che hanno un sistema immune compromesso. Secondo alcuni studi sono da considerare fattori di rischio l’e-tà maggiore di 50 anni (O.R. 3 in analisi multivariata) e la combina-zione di più farmaci immunosop-pressivi: passando dalla monote-rapia alla terapia di combinazione il rischio relativo aumenta da 2,9 a 14,5 5. Altri fattori di rischio con evidenza indiretta sono la malnu-trizione, l’immunodeficienza con-genita, l’infezione da HIV, alcune malattie croniche come il diabete mellito, la nutrizione parenterale totale per lunghi periodi e la chi-rurgia intestinale. Ulteriore fattore di rischio è l’esposizione della po-polazione con deficit immunitario ai microorganismi che si svilup-pano maggiormente in ambienti ristretti oppure, come nei casi di tubercolosi (TB), istoplasmosi o coccidiomicosi, nelle aree a ele-vata endemia.Negli individui affetti da IBD è ne-cessario considerare lo screening anti-HCV e, in caso di positività, dosare la viremia plasmatica. I farmaci immunomodulatori non sono controindicati nei pazien-ti con epatopatia cronica  C, ma

devono essere usati con cautela per il rischio di “drug-induced liver injury (DILI)” e per il rischio di fla-re epatitici (improvviso aumento delle transaminasi). Tutti i pazien-ti con IBD devono anche esegui-re HbsAg, antiHBs, antiHBc e, in caso di positività, dovrà essere dosato l’HBV-DNA. La riattivazio-ne di HBV occulto sembra essere un’evenienza rara nel corso del trattamento immunosoppressivo, per cui la profilassi di routine non è raccomandata, ma è necessario un monitoraggio stretto della vire-mia. Il rischio di disfunzione epa-tica da riattivazione, nei pazienti HbsAg positivi, varia dal 25 al 36% 6. Nei pazienti ad alto rischio per una riattivazione da HBV, deve essere iniziata una profilassi con nucleos(t)idici almeno due setti-mane prima del trattamento con immunomodulatori, da continuare per dodici mesi dopo la sospensio-ne. Se la viremia supera 2000 UI/ml, la terapia deve essere inizia-ta e proseguita indefinitamente secondo il management previsto dalle Linee Guida (LLGG). Anche il test anti-HIV è raccomandato prima di iniziare la terapia con i farmaci immunosoppressori sia per il rischio aggiuntivo di contrar-re malattie opportunistiche sia per il decorso severo delle eventuali infezioni HIV-correlate; tuttavia an-che in questi pazienti l’utilizzo dei farmaci immunomodulatori non è di regola controindicato.

Le vaccinazioni e le infezioni opportunistiche in età pediatricaNei bambini con IBD, così come negli adulti, l’immunosoppressio-ne aumenta il rischio per tutte le in-fezioni batteriche, fungine e virali, variabile in base al tipo e alla dose dei farmaci. Nei pazienti pediatrici al di sotto di un anno che hanno sviluppato forme severe di IBD

G. Mazzola et al.

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sono stati diagnosticati specifici e distinti difetti immunitari sui recet-tori di IL-10, a carico della funzione regolatoria T-cell e/o relativamente alla riduzione dei livelli di proteina FOXp3: tali pazienti possono svi-luppare complicanze severe come i linfomi EBV correlati.I pazienti con IBD in terapia immunosoppressiva hanno un tasso di risposta alle vaccina-zioni significativamente inferiore rispetto alla popolazione gene-rale; in un’analisi di nove studi (1474 pazienti) è stata riportata una possibilità di ottenere un’a-deguata sieroprotezione inferiore del 60%. L’evidenza maggiore si è avuta soprattutto nei pazienti in terapia con anti-TNF e in terapia immunosoppressiva di combina-zione, per cui risulta fondamen-tale il controllo del titolo anticor-pale post-vaccinico 7.Nella popolazione pediatrica con IBD, le LLGG attuali raccoman-dano gli stessi schemi vaccinali previsti per i bambini sani (vedi Tabella II); tuttavia, in caso di im-munosoppressione indotta farma-cologicamente, tali schemi devo-no essere riconsiderati. Nei nati da madre trattata con farmaci bio-logici durante la gravidanza, è ne-cessario evitare l’utilizzo di vacci-ni vivi fino al raggiungimento dei sei mesi di vita. Il momento ideale per effettuare lo screening (che-cking serology) e il successivo programma vaccinale è alla prima diagnosi di IBD. È inoltre impor-tante ottenere un titolo anticorpale protettivo e, in seguito a immuniz-zazione insufficiente, procedere a rivaccinazione. Se un bambino in terapia immunosoppressiva che non è stato ancora vaccinato viene a contatto con altri bambini affetti da varicella deve ricevere la profilassi con aciclovir e im-munoglobuline entro 96  ore. Per minimizzare il rischio di infezioni opportunistiche i bambini devono essere sottoposti a screening per

TB e devono ricevere vaccini inat-tivati. I bambini con IBD in terapia con farmaci immunosoppressori presentano un rischio elevato di malattia pneumococcica invasiva,

per cui devono ricevere il vaccino anti-pneumococcico coniugato 13-valente (PCV-13) al compi-mento dei due anni di età segui-to, dopo almeno otto settimane,

Tabella I.Indicazioni per vaccinazioni e tests da eseguire prima e durante la terapia immunosoppressiva (da Dave et al., 2014 5, mod.).

Terapia con farmaci biologici +/- immunomodulatori

Prima della terapia Durante la terapia

Screening per• Epatite B• HIV• Epatite C†

• TB latente

Vaccinazioni• Epatite B• Influenza• Pneumococco‡

• HPV• Tetano/TdapVaccinazioni

• Epatite B• Influenza*• Pneumococco• Varicella Zoster• Tetano/Tdap• HPV§

* Vaccino trivalente inattivato.† CDC e USPSTF raccomandano lo screening negli adulti nati tra il 1945 e il 1965.‡ Le nuove linee guida raccomandano due dosi di vaccino pneumococcico nei pazienti immu-nosoppressi.§ Può essere dato ai pazienti in terapia corticosteroidea a breve termine (15 gg), bassi dosaggi di methotrexate (0,4 mg/kg /week), azatioprina (3,0 mg/kg/day), o 6-MP (1,5 mg/kg/day).

Terapia con farmaci immunomodulatori

Prima della terapia Durante la terapia

Screening per• Epatite B• HIV• Epatite C†

• TB latente

Vaccinazioni• Epatite B• Influenza• Pneumococco‡

• HPV• VZV§

Vaccinazioni• Epatite B• Influenza*• Pneumococco• Varicella Zoster• Tetano/Tdap• HPV§

* Vaccino trivalente inattivato.† CDC e USPSTF raccomandano lo screening negli adulti mati tra il 1945 e il 1965.‡ Le nuove linee guida raccomandano due dosi di vaccino pneumococcico nei pazienti im-munosoppressi.§ Può essere dato ai pazienti in terapia corticosteroidea a breve termine (15 gg), bassi dosaggi di methotrexate (0,4 mg/kg/week), azathioprine (3,0 mg/kg/day), o 6-MP (1,5 mg/kg/day).

CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW Le vaccinazioni nelle malattie infiammatorie croniche intestinali

99

dal vaccino pneumococcico poli-saccaride 23-valente (PPSV-23). Per quanto riguarda varicella e morbillo, nei pazienti con immu-nodeficit la vaccinazione è ri-servata esclusivamente a chi ha un rischio elevato di contrarre la malattia infettiva. Nei casi in cui sia indispensabile somministra-re vaccini vivi è necessario so-spendere la terapia immunosop-pressiva almeno tre mesi prima. Laddove sia necessario effettuare vaccinazione anti-varicella o anti-MMR (morbillo-parotite-rosolia) nei pazienti che non hanno an-cora iniziato la terapia immu-nosoppressiva, si raccomanda di attendere almeno quattro-sei settimane. Il vaccino anti febbre gialla è controindicato durante la terapia immunosoppressiva, per cui è necessario sospendere i far-maci per almeno tre mesi e, dopo avere somministrato il vaccino, attendere altri due-tre mesi prima di riprendere il trattamento. Infine, per il vaccino anti-polio bisogna utilizzare esclusivamente la forma inattivata (IPV) (vedi Tabella I).

I pazienti con IBD sono correttamente vaccinati nella pratica clinica?In uno studio di coorte nei pazien-ti con IBD, eseguito dalla Colitis

Foundation of American Partners Program, è stato somministrato un sondaggio online a 958 pazienti con età media di 45 anni che ha riportato un tasso di vaccinazioni molto basso: 428 pazienti davano la responsabilità delle mancate vaccinazioni ai gastroenterologi,

Figura 1.Autovalutazione dei pazienti con IBD (da Wasan et al., 2014 8, mod.).

Tabella II.Immunizzazioni di routine nei pazienti pediatrici (da Lu et al., 2014 11, mod.).

Età Vaccini inattivati Vaccini vivi

Infanzia- 3 anni HAVHBVDTaPHiBPneumococcico (PCV 13)IPV

RotavirusMMRVaricella

4-6 anni DTaPIPV

MMRVaricella

7-18 anni TdapHPVMeningococco

Annualmente Influenza (intramuscolare) Influenza (intranasale)

DTaP, difterite-tetano-pertosse acellulare; Hib, Haemophilus influenzae tipo b; HPV, pa-pillomavirus umano; IPV, poliovirus inattivato; MMR, morbillo-parotite-rosolia; PCV13, vaccino pneumococcico coniugato; Tdap, difterite-tetano-pertosse acellulare (formulazione adulti).

Autovalutazione delle vaccinazioni eseguite (%) da parte dei pazienti con IBD

*HPV-papilloma virus (solo nelle donne con età < 27 anni)** Vaccino anti influenzale nel corso dell’anno precedente

G. Mazzola et al.

100

530 pazienti consideravano “ina-dempienti” i medici di famiglia  8 (vedi Figura  1). Nello studio di Yeung et al.  9, soltanto il 14% dei gastroenterologi intervistati ave-va riportato correttamente nella cartella clinica le immunizzazioni effettuate. In altri studi è stato vi-sto che il tasso di vaccinazioni per epatite B era del 28% e solo il 45% dei pazienti era stato vaccinato per il tetano negli ultimi dieci anni; mentre appena il 9% veniva sotto-posto a vaccinazione antipneumo-coccica. In un ulteriore studio spa-gnolo, soltanto il 12% dei pazienti veniva vaccinato per epatite  B  10. A tutt’oggi un significativo numero di pazienti con IBD rimane inade-guatamente immunizzato.

Conclusioni e prospettiveNella popolazione con IBD è di fondamentale importanza effettua-re lo screening sistematico di tutte le infezioni che possono insorge-re in corso di terapie con farmaci immunosoppressivi; è di assoluta rilevanza riconoscerle precoce-mente e trattarle secondo le LLGG effettuando successivamente un adeguato follow-up. Inoltre le vaccinazioni, ricevute secondo le modalità e nei tempi previsti dalle LLGG, contribuiscono a ridurre si-

gnificativamente il rischio di mor-bilità/mortalità, dovuto all’alterata immunocompetenza congenita e iatrogena. In prospettiva è neces-sario che venga ampliato il campo di ricerca nell’ambito delle tecnolo-gie biomediche, per aumentare la sicurezza e ottenere una completa efficacia delle immunizzazioni nei pazienti immunocompromessi.

Bibliografia1 Duerr RH, Taylor KD, Brant SR,

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11 Lu Y, Bousvaros A. Immuniza-tions in children with inflammatory bowel disease treated with immu-nosuppressive therapy. Gastroen-terol Hepatol 2014;10:355-63.

• Il paziente con IBD non deve essere considerato un soggetto con immunodeficit esclusivamente in base al proprio status.

• I farmaci immunomodulatori e immunosoppressori aumentano il rischio di infezioni.

• Le vaccinazioni prevengono lo sviluppo di malattie severe se adeguatamente somministrate.

101Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:101-106; doi: 10.19208/2282-2453-121

Il trattamento dell’epatite cronica B in pediatria

Chronic hepatitis B treatment in children

Marina Tripodi1

Maria Grazia Clemente2

Pietro Vajro1 (foto)

1 Clinica Pediatrica, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria “Scuola Medica Salernitana” Università degli Studi di Salerno, AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, Salerno; 2 Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Microchirurgiche e Mediche, Università di Sassari

Key words Epatite cronica B • Virus epatite B • Interferone • Analoghi dei nucleos(t)idi • Bambini

AbstractDespite the broad use of  a vaccine,  chronic hepatitis B (CHB) in children is still a major pub-lic health problem. Only children with immune active CHB benefit from treatment. All the oth-ers should only be monitored. Interferon-alpha is still the drug of first choice, and, when pre-cluded, international guidelines recommend en-tecavir beyond 2 years of age or tenofovir/ente-cavir above 12 years.

Indirizzo per la corrispondenza

Pietro Vajro via Allende, 84081 Baronissi (SA) E-mail: [email protected]

PEDIATRIC HEPATOLOGYa cura diFrancesco Cirillo

IntroduzioneL’infezione da virus epatite B (HBV, Hepatitis B Virus) è un importante problema di sanità pubblica per il fre-quente decorso cronico (epatite cronica B, CHB) e per l’evoluzione in cirrosi e carcinoma epatocellulare (HCC). Nonostante il vaccino, l’infezione da HBV in età pedia-trica è ancora diffusa nel mondo occidentale soprat-tutto a causa degli importanti fenomeni di immigrazio-ne o adozioni internazionali. La non risposta al vaccino si verifica in circa il 5-10% dei casi 1 2.La prevalenza mondiale dell’Antigene di superficie del-l’HBV (HBsAg) varia dal 2 al 20%, e il rischio stimato di sviluppare cirrosi, insufficienza epatica o carcinoma epatocellulare (HCC) è tra il 15 e il 40%. Le principali vie di trasmissione dell’HBV in neonati e bambini sono quella verticale da madre infetta e quella orizzontale da parte di contatti con conviventi infetti. Tutti i bambini nati da madri HBsAg positive dovreb-bero ricevere una dose di HBIG (Hepatitis B Immune Globulin) e la prima dose di vaccino anti-HBV entro 12-24 ore dalla nascita. In assenza di adeguata pro-filassi post-esposizione, il rischio di trasmissione pe-rinatale è tra il 70 e il 90% per madri HBsAg ed HBe-Ag positive e <  10% per madri HBeAg negative. La riduzione della viremia materna in corso di gravidanza mediante farmaci antivirali analoghi nucleotidici (AN) riduce ulteriormente tali percentuali senza aumento di effetti collaterali sia materni che fetali 3.Tra le possibili cause di inefficacia del vaccino vanno segnalate la rara occorrenza di infezione occulta da HBV (OBI), condizioni di immunodeficienza congeni-ta o acquisita, malattie croniche del rene, del fegato, IDDM e celiachia. L’OBI in particolare si osserva in una piccola percentuale di bambini vaccinati, è dovuta a forme mutanti del virus capaci di sfuggire al vaccino, ed è sospettabile dall’assenza di HBsAg in presenza di bassa replicazione virale. La positività degli anticorpi contro l’antigene core dell’HBV (anti-HBc) è il miglior indicatore di OBI in soggetti non responsivi al vaccino (anti-HBsAg negativi) 2.L’HBV resta vitale per più di 7 giorni nell’ambiente e

M. Tripodi et al.

102

può essere contratto anche in as-senza di sangue visibile. I bambini che non contraggono l’infezione alla nascita restano a rischio, a causa dei familiari infetti. Gli ado-lescenti sono a rischio di infezione anche attraverso rapporti sessuali non protetti o l’uso di droghe o ta-tuaggi. L’infezione attraverso tra-sfusioni di sangue al giorno d’oggi è rara grazie allo screening dei do-natori e alle procedure di inattiva-zione dei virus.La CHB nei bambini, definita dalla presenza di HBsAg nel siero per più di 6  mesi, si presenta con un ampio spettro clinico, sierologico e istologico che influenza la prognosi e l’approccio alle terapie attualmen-te disponibili. L’età in cui avviene l’acquisizione del virus è una delle variabili con maggiore impatto sul-la storia naturale. La trasmissione verticale madre-feto in gravidanza o, più frequentemente, perinatale, è associata a cronicizzazione, mentre l’infezione acquisita poco prima o durante l’adolescenza esita spesso in un’infezione acuta seguita da sie-roconversione anti-HBe e succes-siva completa clearance virale con

immunità permanente (anti-HBs positività).Altre variabili che influenzano la storia naturale della CHB includo-no fattori endocrini e immunolo-gici dell’ospite e il genotipo virale (genotipi da A a J).Le diverse fasi dell’infezione da HBV sono illustrate in Figura 1 e possono essere schematizzate in CHB inattiva o stato di portatore inattivo, fase di immunotolleranza e fase immune attiva. Tra queste, solo per la fase immune attiva vi è indicazione al trattamento.

Indicazioni alla terapiaLe più recenti linee guida emana-te dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) 4, dall’Europe-an Association for the Study of the Liver (EASL)  5, dall’European Society of Pediatric Gastroente-rology Hepatology and Nutrition (ESPGHAN)  6 e dall’American As-sociation for the Study of Liver Di-seases (AASLD)  7 raccomandano di trattare con priorità assoluta i

bambini e adolescenti con CHB ed evidenza clinica di cirrosi com-pensata o scompensata, indipen-dentemente dai livelli di ALT (ala-nina aminotransferasi), dallo stato dell’HBeAg e dell’HBV-DNA.La terapia antivirale non è racco-mandata ed è rimandabile in bam-bini in fase di CHB inattiva (porta-tore di HBsAg), caratterizzata da livelli di ALT normali e replicazione virale trascurabile (HBV-DNA sie-rico < 2000 UI/ml), indipendente-mente dallo stato dell’HBeAg.A lungo termine può verificarsi la clearance spontanea dell’HBsAg. I fattori che influenzano riducendo titoli di HBsAg sono la sierocon-versione ad anti-HBe, bassi livelli sierici iniziali di HBsAg (≤ 1000 IU/ml) e l’essere nati da madre non portatrice di HBsAg. I bambini con CHB in fase immu-no-tollerante devono essere mo-nitorati per determinare l’evoluzio-ne in fase attiva e poter intervenire in tempo per prevenirne la pro-gressione. La sieroconversione spontanea ad anti-HBe non è rara ed è caratterizzata dalla gradua-le riduzione dei livelli dell’HBeAg

Figura 1. Approccio alla diagnosi e terapia dell’epatite cronica B in età pediatrica (da Clemente et al., 2016 2, mod.).

Abbreviazioni:ALT = Alanino aminostransferasiAN = Analoghi nucleos(t)idiciHBeAg = Antigene “e” dell’epatite BHBsAg = Antigene di superficie dell’epatite BHBV DNA = DNA del virus dell’epatite BIFN = Interferone alfa

PEDIATRIC HEPATOLOGY Il trattamento dell’epatite cronica B in pediatria

103

e dalla comparsa dell’anti-HBe, in genere preceduta da un signi-ficativo rialzo dei livelli di transa-minasi. Nella maggioranza degli adolescenti si verifica il passaggio spontaneo dalla fase di immuno-tolleranza allo stato di portatore inattivo prima del raggiungimento dell’età adulta. Tale condizione è associata a prognosi migliore per il basso rischio di progressione e per la maggior possibilità di clea-rance dell’HBsAg, mentre più del 5% dei soggetti HBsAg positivi restano a rischio di progressione cirrogena.

Terapia Il trattamento antivirale è in gra-do di “accelerare” la clearance dell’HBeAg e la sieroconversione ad anti-HBe in circa un quarto dei pazienti, con riduzione/negativiz-zazione dell’HBV DNA circolan-te e/o normalizzazione dei livelli di alanina aminotransferasi (ALT) sierica (portatore di HBsAg inatti-vo) 8. La completa clearance virale (HBsAg negatività) con immunità permanente (HBsAb positività) si ottiene tuttavia solo in una picco-la percentuale di pazienti trattati (< 10%) 9.Gli obiettivi del trattamento an-tivirale in bambini non cirrotici

HBsAg positivi includono livelli di HBV DNA indosabili, normalizza-zione delle ALT sieriche, scom-parsa dell’HBsAg per ≥  1 anno prima di interrompere la terapia e la sieroconversione ad anti-HBe, condizione in stretta correlazione con la guarigione istologica.Le raccomandazioni per il mana-gement della CHB in età pediatri-ca sono schematizzate in Tabel-la I.

Farmaci

Interferone (IFN)Il trattamento di prima linea per bambini con CHB resta la terapia convenzionale con IFN-α. Meccanismo d’azione: l’IFN-α attiva alcuni enzimi intracellulari quali la 2’5 oligoadenilato sinteta-si, con conseguente degradazio-ne dell’mRNA virale; aumenta la risposta immune cellulo-mediata verso l’HBV, aumentando l’e-spressione delle molecole HLA di classe I presentanti l’antigene sul-la superficie degli epatociti infetti (Fig. 2).Indicazioni: bambini non cirrotici con infezione cronica da HBV in fase attiva, con alti livelli sierici di ALT persistenti > 1,5-2 volte i va-lori normali, HBV DNA > 2000 co-

pie/mL e/o attività istologica alla biopsia epatica.Controindicazioni ed effetti colla-terali: cirrosi scompensata, iper-splenismo, tireopatie, malattie autoimmuni, epilessia, patologie psichiatriche, uso concomitan-te di alcuni farmaci, retinopatia, trombocitopenia o leucopenia, gravidanza. La maggior parte de-gli effetti collaterali sono reversibi-li alla sospensione del farmaco. A lungo termine, l’IFN non ha effetti su crescita e sviluppo puberale.Durata del trattamento: è sugge-rito un trattamento di 6 mesi. La sieroconversione dell’HBeAg può verificarsi durante il trattamento o in qualsiasi momento fino a 1 anno dopo la fine della terapia.PEG-IFN: C’è un interesse cre-scente nei confronti dell’inter-ferone alfa peghilato (PEG-IFN) che negli adulti ha ottenuto tassi di sieroconversione dell’HBeAg soddisfacenti e ha il vantaggio di poter essere somministrato una sola volta a settimana. Anche se non ancora approvato per la tera-pia della CHB in età pediatrica (è ancora in fase III), alcuni speciali-sti lo prescrivono off-label. Il PEG-IFN è controindicato in neonati e nei bambini fino a 2 anni, perché contiene alcol benzilico come ec-cipiente.

Tabella I. Management dell’epatite cronica B (CHB) in età pediatrica (da Clemente, et al., 2016 2, mod.).

Fase di CHB Management

Immuno-tollerante La terapia antivirale è inefficace

Portatore inattivo È fortemente raccomandato un monitoraggio stretto

Immuno-attiva:HBeAg [+]HBeAg [-]

Trattamento antivirale da considerare:sempresolo se l’istologia mostra infiammazione o fibrosi

Immuno-escapeHBsAg [-], HBeAg [±], Anti-HBc [+]

Trattamento antivirale: dovrebbe essere considerato

CHB trattata: anti-HBs Ab [+] Immunità permanente, non vi è necessità di trattamento antivirale

Abbreviazioni: CHB = Epatite cronica B; HBeAg = Antigene “e” dell’HBV; HBsAg = Antigene di superficie dell’HBV; anti-HBs Ab = Anticorpi anti-antigene di superficie dell’HBV; Anti-HBc = Anticorpi anti-antigene “c” dell’HBV

M. Tripodi et al.

104

Analoghi Nucleos(t)idici (AN)Meccanismo d’azione: gli AN agi-scono sulla HBV polimerasi, bloc-cando la formazione del rcDNA.Lamivudina, Adefovir e Tenofovir competono con i nucleotidi na-turali necessari per l’allungamen-to della catena di DNA, mentre l’Entecavir determina, con la sua incorporazione, una catena più lunga di DNA, posticipandone il segnale di arresto (Fig.  2). Seb-bene gli AN siano efficaci inibitori della replicazione dell’HBV, rara-mente sono in grado di determi-nare la clearance del HBsAg 10.Indicazioni: le attuali linee guida raccomandano l’utilizzo degli AN come terapia di prima linea per la CHB pediatrica in tutte le con-dizioni che precludono l’utilizzo dell’IFN, utilizzando Entecavir per bambini con età ≥ 2 anni e l’Ente-cavir o Tenofovir per pazienti con età ≥ 12 anni.Controindicazioni ed effetti colla-

terali: in generale, gli AN possono interferire con le DNA polimerasi umane nucleari e mitocondriali (mtDNA), che sono responsabi-li della replicazione/riparazione genica e del mantenimento della funzione mitocondriale. Ciò po-trebbe portare a una deplezione dei livelli di mtDNA intracellulari, alterazioni della fosforilazione os-sidativa e danno cellulare. Le con-seguenti presentazioni cliniche includono miopatia, neuropatia, acidosi lattica, macrocitosi, nefro-tossicità, pancreatite e steatosi. Fortunatamente gli AN approvati per il trattamento della CHB sono associati a minima inibizione della mtDNA polimerasi. Durata del trattamento: sono ne-cessari regolarità di assunzione e attento monitoraggio. La sospen-sione precoce prima o immedia-tamente dopo la sieroconversione del HBeAg, aumenta la probabili-tà di riattivazione. Le linee guida

raccomandano l’AN per 1  anno dopo la scomparsa del HBeAg. La sospensione è priva di pericoli in caso di scomparsa dell’HBsAg.Il trattamento a vita è indicato in pazienti con cirrosi, nei quali la so-spensione è associata al rischio di riattivazione, che può causare un severo danno epatico acuto sul cronico.AN vs IFN: i principali vantaggi degli AN rispetto all’IFN sono la convenienza del dosaggio e la via di somministrazione (per os, una volta al giorno), la tollerabilità e l’accessibilità, mentre i principali svantaggi includono la necessità di terapia a lungo termine, gli alti costi e il rischio di sviluppo di far-macoresistenza. La Tabella  II schematizza utili in-formazioni circa l’utilizzo degli IFN e degli AN disponibili per la tera-pia della CHB in età pediatrica.

Figura 2.Rappresentazione schematica dei diversi approcci farmacologici contro l’infezione da HBV. Sono mostrati i diversi stadi del ciclo vitale del virus nelle cellule infette e i principali meccanismi d’azione dei vari farmaci antivirali (da Cle-mente et al., 2016 2, mod.).

Abbreviazioni:AN = Analoghi nucleos(t)idici ccc-DNA = DNA covalente circolare chiusocas9 CRISPR = associated protein-9 nucleaseCRISP = Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic RepeatsESCRT = Endosomal Sorting Complexes Re-quired For TransportIFN = InterferoneLTbR = Recettore beta delle linfotossineNTCP = Polipeptide co-trasportatore del so-dio taurocolatopg-RNA = Acidoribonucleico pre-genomicorc-DNA = DNA circolare in stato rilassatosiRNA = Short interfering RNA/RNA interfe-rente breveTALENs = Effettori  simili agli  attivatori della trascrizione

PEDIATRIC HEPATOLOGY Il trattamento dell’epatite cronica B in pediatria

105

Tabella II. Interferoni e analoghi nucleos(t)idici per la terapia dell’epatite cronica B in età pediatrica (da Clemente et al., 2016 2, mod.).

Trattamento Autorizzazione Dose Durata Vantaggi SvantaggiIFN- α ≥ 12 mesi 5-10 M unità/

m2 sc3 volte/settimana

6 mesi • No resistenza• Approvato per bambini

piccoli• Trattamento breve• Può essere usato in

HDV

• Effetti collaterali • Somministrazione

parenterale• Non utilizzabile in

cirrosi scompensata o trapianto; patologia tiroidea, malattie autoimmuni, patologia coronarica severa, gravidanza, epilessia e malattie psichiatriche

PegIFN- α Fase III (2-18 anni) Uso compassionevole possibile

PEG-IFNa2a 180 mcg/1,73m2/settimana;

PEG-IFNa2b 60 mcg/m2/settimana

6 mesi • No resistenza• Somministrazione 1

volta a settimana• Trattamento breve• Può essere usato in

HDV

• Come per l’IFN-α

Lamivudina ≥ 3 anni 3 mg/kg per os una volta al dì (max 100 mg/die)

≥ 1 anno • Somministrazione orale• Pochi effetti collaterali• Utilizzabile nel III

trimestre di gravidanza

• Alto tasso di resistenza (che aumenta con il tempo di trattamento)

Adefovir ≥ 12 anni(inefficace in bambini più piccoli)

10 mg per os una volta al dì

≥ 1 anno (+ 12 mesi dopo la siero conversione dell’HBeAg)

• Parzialmente efficace in pazienti resistenti alla lamivudina

• Somministrazione orale

• Non approvato per bambini di età ≤ 12 anni

• Riduce la densità minerale ossea

• Nefrotossicità dose dipendente

Entecavir ≥ 2 anni 0,025 mg/kg per os una volta al dì (max 0,5 mg/die)

≥ 1 anno (+ 12 mesi dopo la sieroconversione dell’HBeAg)

• Somministrazione orale• Pochi effetti collaterali• Alto tasso di risposta• Basso tasso di

resistenza

• Non approvato per bambini di età ≤ 2 anni

Tenofovir ≥ 12 anni 300 mg per os, una volta al dì

≥ 1 anno • Somministrazione orale• Pochi effetti collaterali• Alto tasso di risposta• Nessuna resistenza

identificata• Utilizzabile nel

III trimestre di gravidanza

• Non approvato per bambini di età ≤ 12 anni

• Media tossicità renale

• Riduce la densità minerale ossea

Telbivudina Fase I (2-18 anni)(non ancora approvato per l’età pediatrica in USA e in Europa)

600 mg per os una volta al dì

≥ 1 anno • Somministrazione orale• Pochi effetti collaterali• Utilizzabile nel

III trimestre di gravidanza

• Alto tasso di resistenza

• Possibili miopatie e neuropatie

Abbreviazioni: HBeAg = Antigene “e” dell’epatite B; HDV = Virus dell’epatite Delta; IFN = Interferone; PegIFN = Interferone peghilato; sc = Sottocute

M. Tripodi et al.

106

Conclusioni e prospettiveLe indicazioni al trattamento do-vrebbero essere attentamente va-lutate nei bambini affetti da CHB. La sieroconversione spontanea dell’antigene si verifica nella mag-gior parte dei casi entro la fine dell’adolescenza. Il trattamento con IFN offre un più alto tasso di risposta sostenuta in un sottogrup-po di pazienti con predittori (biochi-mici, virologici e istologici) favore-voli di risposta, ma quasi sempre è complicato da diversi effetti colla-terali che ne impediscono una pre-scrizione serena, soprattutto in età pediatrica. L’interferone ritardo (pe-ghilato) non è ancora prescrivibile per l’indicazione della CHB, anche se viene usato off-label in numerosi centri. Secondo le linee guida, l’IFN rima-ne ancora il trattamento di scelta pure nell’epatite delta, anche se nell’adulto vi sono dati incoraggian-ti per il possibile uso del Myrcludex, un lipopeptide miristolato N aceti-lato sintetico derivato dalla regione preS del HBV, che agisce inibendo l’ingresso virale B nella cellula.I benefici della terapia con AN sulla replicazione virale è provata solo in specifici sottogruppi.

La durata del trattamento con gli AN rimane poco chiara; le li-nee guida EASL e quelle NICE del 2015 (http://pathways.nice.org.uk/pathways/hepatitis-b-chronic) con-sigliano di continuare la terapia per ≥  1 anno  dopo  la  scomparsa  del HBeAg. La terapia può essere inter-rotta se si ottiene la clearance del HBsAg e la comparsa di anticorpi anti-HBs.

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• Il trattamento antivirale deve essere considerato solo nei bambini con CHB in fase immune attiva e in presenza di cirrosi compensata o scompensata.

• L’IFN-α è il trattamento di prima linea con una durata definita di 6 mesi. La sieroconversione del HBeAg in genere avviene durante il trattamento o entro un anno dalla fine della terapia antivirale.

• Se l’uso dell’IFN è precluso da circostanze specifiche e in caso di cirrosi compensata/scompensata, le opzioni di trattamento sono l’Entecavir per bambini ≥ 2 anni ed Entecavir o Tenofovir per bambini ≥ 12 anni.

• Gli obiettivi terapeutici del trattamento antivirale in bambini non cirrotici HBeAg positivi includono la scomparsa del-l’HBV DNA sierico dosabile, la normalizzazione delle ALT sieriche, con HBeAg indosabile per un anno.

107Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:107-112; doi: 10.19208/2282-2453-122

La riabilitazione nutrizionale nella gestione dell’insufficienza intestinale

The nutritional rehabilitation in intestinal failure management

Teresa Capriati (foto)Daniela GiorgioDomenica EliaDaniela MarinoFrancesca LauretiAntonella Diamanti

Unità Operativa Semplice di Nutrizione Artificiale, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma

Key wordsInsufficienza intestinale • Sindrome dell’intestino corto • Adattamento intestinale • Nutrizione enterale • Nutrizione parenterale

AbstractIn intestinal failure (IF) the intestine is inade-quate to meet nutritional, fluid and electrolyte needs of body. The short bowel syndrome (SBS) is the most frequent condition underlying IF. In IF nutritional care the maximum tolerated en-teral nutrition (EN) is combined with the ongoing support of parenteral nutrition (PN). The aim of this review was to provide concepts about the EN management of IF in children.

Indirizzo per la corrispondenza

Teresa Capriatipiazza S. Onofrio 4, 00165 Roma E-mail: [email protected]

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCEa cura di

Antonella Diamanti

Definizione ed eziologia della insufficienza intestinaleL’Insufficienza Intestinale (II) è una condizione in cui l’intestino non è in grado di garantire all’organismo crescita, idratazione e/o equilibrio idroelettrolitico ade-guati con conseguente dipendenza dalla nutrizione parenterale (NP) anche per un lungo periodo di tem-po 1. La II è primitiva quando insorge per una patologia pri-mariamente digestiva mentre è secondaria quando si accompagna a patologie sistemiche. La sindrome dell’intestino corto o Short Bowel Syndrome (SBS) rappresenta la forma più frequente di II primitiva 2. Nel-la Figura 1 riassumiamo l’eziologia delle diverse forme di II 1-3.

Importanza della riabilitazione nutrizionaleIl trattamento nutrizionale della II è incentrato sulla promozione della “riabilitazione” intestinale, totale o parziale (a seconda del tipo di lesione intestinale) an-che nelle forme estreme di II (enteropatia da micro-villi)  4. Tutti i pazienti con II, indipendentemente dalla eziologia, possono recuperare in misura variabile al-meno una parte della funzione persa. In questi pazien-ti la NP è cruciale per ottenere un adeguato apporto calorico e sostenere la crescita. Il piano nutrizionale iniziale prevede sempre un approccio combinato di NP e nutrizione enterale (NE)/nutrizione orale (NO), con continui tentativi di ottimizzazione della NE/NO, impiegando sempre le quantità massime tollerate 6 e con una graduale riduzione della NP all’aumentare del-la autonomia intestinale. Le uniche controindicazioni assolute alla NE/NO sono l’ileo paralitico o meccanico, l’ostruzione e la perforazione intestinale e l’enteroco-lite necrotizzante (NEC). In tutti gli altri casi il digiuno completo deve essere evitato, se possibile  5. Anche piccole quantità di sostanze nutritive riescono a pro-muovere la perfusione intestinale, ad avviare il rilascio di ormoni intestinali e a migliorare la funzione di bar-

T. Capriati et al.

108

riera intestinale 6, 7. La NE/NO gioca un ruolo fondamentale nel proces-so di adattamento intestinale (pro-cesso di alterazione strutturale e funzionale della parete intestinale che permette di compensare una iniziale perdita di funzione). Infine va considerato che il precoce avvio della NE/NO permette di conserva-re la finestra critica necessaria per lo sviluppo di normali modelli di su-zione e deglutizione. Senza il rispet-to di questo tempo critico il bambi-no rischia di sviluppare avversione orale e difficoltà nella gestione della

consistenza solida degli alimenti, con numerose conseguenze nega-tive a lungo termine 8.

II e NE: gestione praticaLe strategie di ottimizzazione della NE/NO non possono essere stan-dard, ma devono essere adattate quotidianamente all’andamento cli-nico 5. Qui di seguito affrontiamo gli aspetti cruciali della gestione della NE/NO nella II.

1. Scelta della formulaCi sono poche evidenze a favore dell’utilizzo di un tipo di una for-mula rispetto a un’altra. Il latte ma-terno (LM) deve essere utilizzato come prima scelta, se tollerato 5, in quanto presenta una composizione ottimale per il neonato sia in termi-ni di macro che di micronutrienti e contiene fattori trofici (ad esempio il fattore di crescita epidermico), che probabilmente favoriscono il processo di adattamento intestina-le. Inoltre il LM contiene immuno-globuline e altri fattori con proprietà antimicrobiche naturali, che miglio-rano la funzione di barriera della mucosa, impediscono la crescita eccessiva di specie batteriche dan-nose all’interno del lume intestinale e favoriscono l’eubiosi (colonizza-zione da parte dei lattobacilli, bifi-dobatteri e organismi correlati). Se il LM non è disponibile, la scelta del latte formula deve essere fatta preferendo formule con le seguenti caratteristiche: a) bassa allergenicità, soprattutto

nei neonati con SBS che sono ad alto rischio di allergia ali-mentare 8;

b) profilo lipidico caratterizzato da un rapporto percentuale tra tri-gliceridi a catena media (MCT) e trigliceridi a catena lunga (LCT) di 30:70; tale rapporto favorisce l’assorbimento dei grassi nei pazienti con una significativa re-sezione intestinale, con o senza colon in continuità;

c) formule con proteine idrolisate (più adatte delle proteine intere a fornire una fonte di azoto in presenza di una superficie mu-cosa inefficiente);

d) bassa osmolarità (inferiore a 310 mOsm/L) per minimizzare il rischio di diarrea osmotica;

e) principale fonte di carboidrati rappresentata da polimeri di glucosio piuttosto che da lat-tosio, perché spesso nella II (e in particolare nella SBS) si può avere intolleranza al lattosio 10.

Figura 1. Eziologia dell’insufficienza intestinale.

Legenda II: insufficienza intestinale; POIC: pseudostruzione cronica intestinale; NEC: enterite necrotizzan-te neonatale; MICI: malattie infiammatorie croniche intestinali.

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE La riabilitazione nutrizionale nella gestione

dell’insufficienza intestinale

109

Alcune formule estensivamente idrolizzate (HEFs) e quelle a base di aminoacidi (AAs) soddisfano i criteri sopra riportati. Le formule aminoacidiche hanno dimostrato di essere efficaci anche nel ridurre la durata della NP in piccole e grandi casistiche di pazienti affetti da SBS insorte in epoca neonatale. Negli adulti invece le formule polimeriche sono meglio tollerate rispetto alle estensivamente idrolizzate e agli aminoacidi, per cui è probabile che nelle forme di II non-neonatale (II acquisita in infanzia e adolescenza) tali formule siano più indicate 11. La Tabella I riassume i criteri per sce-gliere la formula migliore quando il LM non è disponibile.

2. Metodi di somministrazione della NE/NOLa NE/NO deve essere iniziata non appena si risolve l’ileo po-stoperatorio 10-12, attraverso la via più fisiologica ossia per via orale e in bolo (per un neonato quindi con l’attacco al seno o con il bi-beron). Nei neonati che non sono in grado di deglutire o tollerare la NO è necessario avviare una nutrizione tramite sondino naso-gastrico (SNG). La NE continua è meglio tollerata perché garanti-sce un maggiore contatto con la mucosa e un aumentato tempo

di transito intestinale  10. Si sta-bilisce un adeguato supporto di base per via enterale, in genere pari a 10-20 ml/kg/die per il ne-onato (pari a 1 o 2 ml di misce-la per kg di peso corporeo per ora), da somministrarsi a goccia lenta continua o con piccoli boli frequenti. Successivamente la NE va aumentata in modo lento ma costante. Quando i neona-ti possono tollerare l’alimenta-zione continua di 5 ml/h, si può passare ai pasti per bocca in piccole quantità (3-4  boli/pop-pate per bocca al giorno) e con un volume pari o inferiore al vo-lume orario tollerato. A seguire i pasti vanno aumentati in modo costante e giornalmente  10. Al fine di massimizzare l’estrazione calorica nel complesso è spesso utile supplementare gli apporti con l’alimentazione nasogastrica enterale notturna. Per passare correttamente da NP a NE biso-gna considerare che l’estrazione calorica netta dalla NE non è del 100% come per la NP e che l’as-sorbimento dei macronutrienti dalla NE è maggiore di quella degli elettroliti e dei fluidi. La NP deve, pertanto, essere ridotta in base alle calorie aggiuntive for-nite dalla NE/NO 11.

3. Valutazione della tolleranza della NELa tolleranza alla NE/NO dipende da diverse variabili e deve essere valutata in modo diverso anche in base all’eziologia della II. Nell’SBS neonatale l’aumento del volume delle feci e la presenza di vomito e irritabilità possono es-sere indici di scarsa tolleranza al regime di NE in atto. Se le perdi-te fecali sono comprese tra 30 e 40 ml/kg di peso corporeo o se le evacuazioni sono > 6 al giorno 10, l’aumento della NE/NO dovrà es-sere cauto. Se le perdite fecali sono raddoppiate o sono > 40 ml/kg/die si dovrà ridurre il volume della NE/NO. Le enteropatie con-genite, e in particolare la malattia da inclusione microvillare, sono responsabili di una diarrea gra-ve e profusa (fino a 150-200  ml/kg/die) che inizia alla nascita  10 e persiste anche a riposo intestina-le. In questo tipo di patologia le perdite fecali molto alte rendono difficile definire la tolleranza alla NE ma perdite fecali raddoppiate indicano certamente una mancata tolleranza al regime di NE/NO im-postato. Nei bambini con disturbi della motilità i segni dell’intolle-ranza alla NE sono segni di altera-to transito quali vomito, distensio-ne addominale, stipsi.

Tabella I. Criteri per scegliere la migliore formula per NE/NO quando il latte materno non è disponibile.

Criteri per la scelta Formula migliore Riferimento

Allergenicità AAs > HEFs > formule a proteine intere Diamanti, 2014

Profilo dei grassi (MCTs/LCTs) HEFs > AAs > formule a proteine intere Jeppensen, 1998

Fonti di azoto più assorbibili HEFs > AAs > formule a proteine intere Underwood, 2013

Osmolarità HEFs > AAs > formule a proteine intere Steele, 2012Di Lorenzo, 2009

Polimero di glucosio come principale fonte di CH

Formule a proteine intere e HEFs > AAs Batra, 2013

LegendaMCT: trigliceridi a catena media. LCT: trigliceridi a catena lunga. CH: carboidrati. AAs: formule a base di aminoacidi. HEFs: formule estensiva-mente idrolizzate.

T. Capriati et al.

110

Nel complesso un output stomi-co superiore a 20  ml/kg/die può rappresentare una bandiera rossa per possibile intolleranza alla NE nei lattanti con II. A volte il pazien-te con II manifesta un’intolleranza ai carboidrati, con un’aumentata frequenza e una diminuita con-sistenza dell’alvo; tale condizio-ne è suggerita dalla presenza di sostanze riducenti nelle feci (pH fecale <  6). Anche il livello sieri-co di citrullina (aminoacido non essenziale prodotto dai piccoli enterociti intestinali il cui livello sierico correla con l’estensione della superficie intestinale) può essere utilizzato per monitorare il processo di adattamento intestina-le e fare una previsione di possibile tolleranza. Infatti una concentra-zione di citrullina di 12-15 mmol/L o superiore dopo l’inizio della NE indica la possibilità di svezzare con successo un paziente dalla NP  11. Diverse categorie di farma-ci, infine, possono essere utili per ottimizzare la tolleranza alla NE 11. I farmaci anti-diarroici (loperamide, racecadotril, codeina fosfato) au-mentano il tempo di contatto con la mucosa e, quindi, promuovono l’assorbimento. Gli inibitori della pompa protonica sono in grado di controllare l’ipersecrezione gastri-ca e di ridurre la produzione di feci.

I farmaci anti-secretori (ad esempio octreotide e clonidina) hanno un certo ruolo nel ridurre un alto ou-tput fecale. La decontaminazione intestinale a rotazione con antibio-tici può essere utile nel ridurre la proliferazione batterica del tenue la cui sintomatologia è caratterizzata da distensione addominale, diarrea acquosa e disturbi della motilità.La Tabella II riassume gli strumenti diagnostici utili per valutare la tol-leranza alla NE e nella Figura 2 è presentato un algoritmo relativo alla gestione della NE/NO nella II.

4. L’uso di integratori per via en-teraleI pazienti con II possono perdere sodio e bicarbonato di sodio nelle feci o dalla stomia: queste per-dite devono essere monitorate e corrette (per via endovenosa e/o enterale) 12. È importante monito-rare soprattutto il livello di sodio, perché la carenza di sodio può limitare la crescita nei bambini 11. La semplice misurazione su spot della concentrazione urinaria del sodio, e, in casi selezionati, il cal-colo della frazione di escrezione del sodio rappresentano un modo rapido ed efficace per monitorar-ne la perdita. Se il sodio urinario è < 10 mEq/L sarà necessario in-crementare la quota di sodio sia in

NE che in NP. Il contenuto di sodio in NP deve essere modulato con l’obiettivo di mantenere un livello di sodio urinario > 30 mEq/L e un rapporto sodio/potassio urinario di almeno 1:1. Si dovrebbe attua-re un monitoraggio settimanale del sodio urinario per prevenire la caduta del livello sierico 12.Quando la NE/NO non è da sola suf-ficiente a determinare un aumento di peso, si può ricorrere alla supple-mentazione con lipidi 5 sotto forma di LCT (oli vegetali supplementari o olio d’oliva o preparati emulsionati). Può essere ragionevole in alcuni casi l’aggiunta di MCT per aumen-tare la quota calorica (gli MCT sono assorbiti direttamente attraverso la membrana degli enterociti, senza la necessità di assorbimento linfatico, e anche a livello del piccolo intesti-no prossimale e dello stomaco) ma va considerato che, oltre a essere meno palatabili, sono meno efficaci degli LCT nel promuovere l’adatta-mento intestinale.

5. Avvio e gestione dello svez-zamentoL’introduzione di alimenti comple-mentari in età adeguata (tra i 4 e i 6 mesi di età), stimola lo sviluppo oro motorio e previene l’avversione orale  8. Lo svezzamento precoce (17 settimane) promuove la matu-

Tabella II. Strumenti diagnostici utili per valutare la tolleranza alla NE.

Possibile intolleranza alla NE/NO se: Riferimento (n.)

Markers anatomici(in SBS)

1) Lunghezza del Piccolo Intestino Residuo (≤ 40 cm)2) Lunghezza dell’intestino residuo in rapporto all’età gestazionale (EG) (< 10%)3) Tipo di intestino residuo (rilevante perdita di ileo)4) VIC e perdita di colon (?)

2, 12

Markers clinici1) Frequenza delle evacuazioni (> 6-8/die)2) Non miglioramento del pattern di crescita3) Dermatite della regione del pannolino dovuta alle feci liquide 4) Output fecali o stomali > 30-40 ml/kg

11

Markers biochimici

1) Concentrazione plasmatica di citrullina (< 12-15 µmol/L)2) pH delle feci (valori < 5 indicano feci acide e malassorbimento)3) Elettroliti urinari (sodio < 30 mEq/L e rapporto sodio: potassio urinario < 1:1)

12

PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE La riabilitazione nutrizionale nella gestione

dell’insufficienza intestinale

111

razione della funzione intestinale e permette una riduzione del volu-me di latte che può esacerbare la tendenza a vomitare o può indurre un aumento delle perdite stoma-li da carico osmolare. Nei casi in cui il ritardo dell’introduzione della alimentazione orale (dovuta a pre-maturità, intubazione prolungata e/o instabilità cardiovascolare) ab-bia determinato una condizione di avversione orale si dovrà ricorrere all’intervento dei logopedisti o dei disfagisti. In merito alla dieta solida nei pazienti con II va considerato che i pazienti senza il colon tolle-

rano meglio diete ad alto contenu-to di grassi (30%-40% di apporto calorico), mentre quelli con colon intatto presentano steatorrea, per-dite di magnesio e di calcio con l’assunzione di un alto contenuto di grassi. Negli stati di malassorbi-mento, gli acidi grassi non assorbiti legano il calcio nell’intestino tenue, rendendolo indisponibile per preci-pitare con l’ossalato. Così, l’ossa-lato solubile in alta concentrazione nel lume intestinale, passivamente diffonde nel sangue e poi viene escreto dai reni  13 con possibile formazione di calcoli. È necessa-

rio, pertanto, limitare l’assunzione di ossalato in pazienti con SBS e con colon e fornire supplementi di calcio orali. Le fibre alimentari solubili (pectina o gomma di guar) possono rallentare il tempo di tran-sito gastrointestinale, consenten-do così un migliore assorbimento. La fibra solubile nel colon, inoltre, è fermentata e forma acidi grassi a catena corta (compreso il butirrato) che, fornendo energia e regolando la proliferazione dei colonociti, mi-gliorano l’assorbimento di acqua e sodio tramite un meccanismo di up-regolazione degli scambiatori

Figura 2. Algoritmo decisionale per la riabilitazione nutrizionale nella II.

T. Capriati et al.

112

sodio-idrogeno  11. Tuttavia, l’ec-cesso di pectina (> 3%) può porta-re a una diarrea osmotica in grado di contrastare i suoi potenziali be-nefici. I bambini con SBS possono mostrare, inoltre, un significativo malassorbimento dei carboidrati (in particolare del lattosio), quindi l’alimentazione di questi pazienti deve prevedere fonti di carboidrati maggiormente tollerabili: in parti-colare si utilizzeranno polimeri del glucosio e carboidrati complessi (cereali e fibre solubili), carne ma-gra e frutta senza zucchero nei pazienti che hanno tutto il colon 10 o almeno una parte di esso. Nei pazienti, invece, senza colon o con stomia sono meglio tollerati gli ali-menti ad alto contenuto di lipidi e a basso contenuto di carboidrati. Sempre utile, inoltre, quando si av-via l’alimentazione complementare nella II (in particolare nell’SBS) te-stare prima la tolleranza alle protei-ne del latte vaccino 9.

Bibliografia1 Soden JS. Clinical assessment

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4 Lemale J, Coulomb A, Dubern B, et al. Intractable diarrhea with tufting enteropathy: a favorable outcome is possible. JPGN 2011;52:734-9.

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11 Kaufman SS, Matsumoto CS. Management of pediatric in-testinal failure. Minerva Pediatr 2015;67:321-40.

12 Cole CR, Kocoshis SA. Nutrition management of infants with sur-gical short bowel syndrome and intestinal failure. Nutr Clin Pract 2013;28:421-8.

13 Nazzal L, Puri S, Goldfarb D. Enteric hyperoxaluria: an impor-tant cause of end-stage kidney disease. Nefrol Dial Transplant 2016;31:375-82.

• La Insufficienza Intestinale (II) è una condizione in cui l’intestino non è in grado di garantire all’organismo una crescita, una idrata-zione e/o un equilibrio idroelettrolitico adeguato.

• La II è primitiva quando insorge per una patologia primariamente digestiva e secondaria quando si accompagna a patologie siste-miche. La sindrome dell’intestino corto o Short Bowel Syndrome (SBS) rappresenta la forma più frequente di II primitiva.

• Nella riabilitazione nutrizionale della II è fondamentale l’avvio precoce della NE/NO.

• La scelta della formula per NE/NO se il LM non è disponibile (il LM se tollerato è la prima scelta) si basa sui seguenti criteri: a) bassa allergenicità b) profilo lipidico con un rapporto percentuale MCT:LCT di 30:70 c) contenuto di proteine idrolizzata d) bassa osmolarità (inferiore a 310 mOsm / L) e) principale fonte di carboidrati rappresentato da polimeri di glucosio piuttosto che da lattosio.

• La via di somministrazione della NE/NO deve essere sempre la più fisiologica. Nella NE continua in età neonatale si parte da 10-20 ml/kg/die e si aumenta giornalmente e gradualmente. La NP sarà ridotta in base alla quota calorica aumentata.

• La tolleranza alla NE può essere valutata con criteri clinici (segni di alterato transito intestinale, perdite fecali o stomiche) o labo-ratoristici (pH fecale, livello sierico di citrullina) e può essere ottimizzata anche con l’utilizzo di farmaci (antisecretori, antidiarroici e decontaminanti intestinali).

• L’utilizzo di integratori di sodio e di lipidi, diete povere di ossalati e con aggiunta di fibre o con ridotto contenuto di carboidrati, zuccheri semplici e lattosio o priva di proteine del latte deve essere considerata a seconda dei casi. Questi strumenti sono parte, pertanto, della strategia di personalizzazione del piano di riabilitazione nutrizionale della II. Tale personalizzazione è fondamentale data la varietà nella eziologia e la grande variabilità clinica delle diverse forme di II.

113Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:113-117; doi: 10.19208/2282-2453-123

La diagnostica della ipertensione portale in pediatria

Diagnosis of pediatric portal hypertension

Daniele Alberti (foto)Giovanni Boroni

Clinica Chirurgica Pediatrica, ASST Spedali Civili di Brescia

Key wordsPortal hypertension • Splenomegaly • Esophageal varices • Ultrasound • Esophagogastroduodenoscopy

AbstractThe gold standard for the evalua-tion of portal hypertension (PH) is the measurement of hepatic ve-nous pressure gradient. However it is invasive and not useful in extrahepatic portal vein ob-struction. Diagnosis of PH in children currently relies on evidence of its complications. Ultra-sound is the first line diagnostic tool (spleen size, portal vein blood flow, portosystemic col-laterals). Endoscopy is the standard for the di-agnosis of esophageal varices.

Indirizzo per la corrispondenza

Daniele Albertipiazzale Spedali Civili 1, 25123 BresciaE-mail: [email protected]

TRAINING AND EDUCATIONAL CORNERA CURA DI

BARBARA BIzzARRI

Si definisce ipertensione portale (IP) un incremento patologico delle pressioni del sistema venoso portale, secondario ad aumento delle resistenze portali oppure a incremento del flusso ematico portale. Il sistema venoso portale ha una bassa pressione ba-sale, pari a 7-10 mmHg, con un gradiente pressorio venoso epatico (HVPG) tra 1 e 5 mmHg. Si parla di IP quando la pressione portale è > 10 mmHg o l’HVPG è > 5 mmHg. In età pediatrica sono molte le patologie che possono determinare IP (Tab.  I); almeno la metà dei casi è rappresentata però dall’ostruzione extraepa-tica della vena porta (c.d. cavernoma portale), mentre l’atresia delle vie biliari è la principale causa di iperten-sione “intraepatica” 1.Il gold standard per la misurazione della pressione por-tale è la misurazione dell’HVPG: attraverso la puntura della giugulare viene introdotto un catetere fino a una vena sovraepatica; vengono quindi rilevate la pressio-ne a flusso bloccato e la pressione libera: l’HVPG cor-risponde alla differenza tra i due valori. Negli adulti un HVPG > 10 mmHg è correlato alla comparsa di varici e, se > 12 mmHg, ad aumentato rischio di sanguinamento. Valori analoghi sembrano necessari anche in età pedia-trica, per lo sviluppo di complicanze correlate all’IP 2 3.Negli adulti la misurazione dell’HVPG viene utilizzata come indice di severità della patologia di base, valo-re prognostico e indice di risposta alle terapie; in pe-diatria tale misurazione è raramente utilizzata, sia per l’invasività della procedura che per l’inapplicabilità nei casi di ipertensione da cavernoma portale, dove l’u-nica metodica che permetta una misurazione diretta della pressione portale è la splenoportovenografia, in-dagine ormai non più utilizzata 4.La diagnostica della IP in pediatria è quindi rivolta per lo più all’identificazione delle sue complicanze: sple-nomegalia/ipersplenismo, varici esofagee e gastriche, enteropatia ipertensiva, ascite, sindrome epatopolmo-nare e ipertensione polmonare 2.

Anamnesi ed esame obiettivoUn’accurata raccolta anamnestica permette un

D. Alberti, G. Boroni

114

buon orientamento verso la pa-tologia che ha condotto all’IP: per esempio un’anamnesi fami-liare di disordini protrombotici o un’anamnesi personale di ca-teterismo della vena ombelicale orientano, in prima ipotesi, verso un cavernoma della vena porta. Pregressi episodi di sanguina-mento dal tratto gastroenterico devono far porre il sospetto di varici esofagee o di enteropatia ipertensiva. L’esame obiettivo, oltre a evidenziare nelle forme cirrotiche i segni della malattia epatica (ittero, prurito con lesio-ni da grattamento, ascite ecc.), può permettere di identificare segni diretti dell’IP come sple-nomegalia o presenza di circoli collaterali a livello della parete addominale o, più rari, a livello emorroidario. Ipossiemia, di-

spnea, cianosi o episodi sinco-pali possono suggerire, in alcu-ni pazienti, la presenza di una sindrome epatopolmonare o di ipertensione polmonare 4 5.

Test di laboratorioGli indici di danno epatocellula-re (AST, ALT), di sintesi epatica (albumina, colinesterasi, fattori della coagulazione) e di colestasi (gamma-GT, bilirubina) permetto-no una valutazione della severità della patologia epatica di base. I segni di ipersplenismo (leucope-nia e trombocitopenia) sono validi indici indiretti di IP.In passato sono stati proposti al-cuni test di laboratorio per stima-re il grado di IP: il dosaggio della laminina e dell’acido ialuronico

hanno dimostrato una certa cor-relazione con l’HVPG, ma scarso valore predittivo sulla presenza di IP severa. Più recentemente il Fi-brotest (combinazione di 5  mar-kers sierici: alfa2-macroglobu-lina, aptoglobina, gamma-GT, bilirubina totale e apolipoproteina A1) ha mostrato una significativa correlazione con l’HVPG nell’a-dulto  6. In età pediatrica sono stati valutati e validati test non invasivi correlati alla presenza di IP severa e varici esofagee, con l’obiettivo di selezionare i pazien-ti candidati all’endoscopia: i due indici che si sono dimostrati più accurati sono il conteggio delle piastrine (PLT < 115.000/µl) e una formula clinica predittiva basa-ta sul conteggio delle piastrine, sulla dimensione della milza e sull’albuminemia 7.

Tabella I.Principali patologie associate allo sviluppo di ipertensione portale in età pediatrica.

Disordini “intraepatici” associati a ipertensione portale

Atresia delle vie biliari

Sindrome di Alagille

Fibrosi epatica congenita

Fibrosi cistica

Colestasi intraepatica progressiva familiare

Colangite sclerosante

Deficit di alfa-1 antitripsina

Epatite autoimmune

Epatite virale cronica (B,C)

Malattia del fegato grasso

Glicogenosi

Morbo di Wilson

Malattia veno-occlusiva

Schistosomiasi

Sclerosi epatoportale

Disordini “extraepatici” associati a ipertensione portale

Ostruzione della vena porta extraepatica (c.d. cavernoma portale)

Trombosi portale acuta

Sindrome di Budd Chiari

Cisti del coledoco

Insufficienza cardiaca congestizia

TRAINING AND EDUCATIONAL CORNERLa diagnostica della ipertensione portale in pediatria

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Ruolo della diagnostica a ultrasuoniL’ecografia, con studio doppler, è in grado di fornire molte indicazio-ni: dimensioni ed ecogenicità del fegato; indice di resistenza dell’ar-teria epatica; dimensioni della mil-za; presenza, velocità e direzione del flusso portale; presenza di cir-coli collaterali neoformati; presen-za di cavernoma. Il doppler pulsato può essere utilizzato per lo studio della for-ma d’onda nell’arteria epatica, vena porta e vene sovraepati-che (damping index). Nella vena sovraepatica un passaggio dalla normale forma trifasica a un pat-tern monofasico è espressione di fibrosi avanzata e mostra una buona capacità di predire una IP severa. In particolare un damping index > 0,6 ha dimostrato un valo-re predittivo positivo del 91% per un HVPG> 12 mmHg 6.L’elastografia epatica con Fibro-scan, misura ultrasonografica del-la “rigidità” del tessuto epatico, ha una significativa correlazione con lo stadio istologico di fibrosi epatica. Poiché l’aumento della fibrosi de-termina un aumento delle resisten-ze intraepatiche, l’elastografia si è dimostrata in grado di valutare l’en-tità dell’IP e la possibile insorgenza di varici. Pazienti con atresia delle vie biliari che sviluppano varici pre-sentano una rigidità epatica di 17-38 kPa, mentre quelli senza varici tra 8-12 kPa 1. Confrontato con i reperti endoscopici, nei pazienti con atresia delle vie biliari, un valore di rigidità epatica maggiore di 9,7 kPa ha di-mostrato una sensibilità del 97% e una specificità dell’80% nel predire la presenza di varici esofagee. Una misurazione analoga della “ri-gidità” del tessuto splenico, indi-ce di congestione della milza, può essere utilizzata in pazienti con ipertensione portale pre-epatica, ed è stata proposta anche in am-bito pediatrico 2.

Endoscopia digestivaL’esofagogastroduodenoscopia è la metodica di scelta per la dia-gnostica (e il trattamento) delle varici esofagee. Le problemati-che maggiori riguardo a questa metodica sono: la mancanza di un sistema di grading validato; la variabilità di diagnosi inter-ope-ratore; l’invasività della tecnica. Per quanto riguarda il primo pun-to la classificazione più utilizzata resta quella proposta dalla Japa-nese Research Society for Portal Hypertension, che classifica le varici in tre gradi: “Grado I” quan-do depressibili con l’insufflazione; “Grado II” se non depressibili, ma

separate tra loro da mucosa sana; “Grado  III” se non depressibili e confluenti. Altri criteri di rischio di sanguinamento sono la presen-za di segni rossi (RWM: red wale marking, CRS: cherry red spots, HCS: haematocistis spots) e di esofagite. L’endoscopia permet-te inoltre di valutare presenza e sede delle varici gastriche: varici esofagogastriche di tipo  1 (pic-cola curvatura) o di tipo 2 (gran-de curvatura, a maggior rischio di sanguinamento) e varici gastriche isolate di tipo  1 (del fondo) o di tipo 2 (in altre sedi) (Fig. 1). In età pediatrica si sono dimostrati pre-dittori di sanguinamento: la pre-senza di varici di altro grado, di segni rossi e di varici gastriche 8.

Figura 1.Quadri endoscopici nell’ipertensione portale: A: varici esofagee di II grado; B: varici esofagee di III grado con segni rossi; C: varice esofagogastrica sulla piccola curvatura; D: gastropatia ipertensiva.

D. Alberti, G. Boroni

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Per quanto riguarda la riproducibi-lità della valutazione, un lavoro in ambito pediatrico ha confermato una discreta concordanza inter-osservatore sul grado delle varici e una buona concordanza per la presenza di segni rossi 9.Anche se ancora non è dimostra-to il ruolo dello screening e della profilassi primaria delle varici eso-fagee, la mortalità al primo episo-dio di sanguinamento nel bambi-no cirrotico giunge fino al 5-15%. Questo supporta la pratica osser-vata dalla maggior parte dei centri di eseguire l’endoscopia in pre-senza di segni o sintomi che pon-gano il sospetto di varici esofagee in pazienti con IP (splenomegalia, piastrinopenia ecc.). La valutazione endoscopica nell’IP permette di rilevare quadri di gastropatia ipertensiva: recen-temente nell’adulto è stato pro-posto l’utilizzo della videocapsula per la diagnosi di enteropatia iper-tensiva in distretti non esplorabili con l’endoscopia tradizionale.

Altre indaginiAltre metodiche di imaging tro-vano indicazione anche se meno frequentemente. In particolare TC e RM sono in grado di dimostrare in maniera più accurata del doppler l’ostruzione portale, la presenza di materiale endoluminale o di evolu-zione cavernomatosa, e lo sviluppo di circoli collaterali portosistemici (Fig.  2), e hanno pressoché sop-piantato le metodiche angiogra-fiche classiche. Rivestono inoltre un ruolo essenziale nel planning di un’eventuale chirurgia (shunt porto-sistemici o by-pass mesen-terico-portale). Nei pazienti con ipertensione por-tale da cavernoma della vena porta, in previsione di un by-pass mesenterico portale, è essenziale determinare la pervietà dell’albero portale intraepatico e del recesso di Rex. In questi pazienti l’indagine

gold standard rimane la portografia retrograda transgiugulare, con inie-zione a flusso bloccato nelle vene sovraepatiche di mezzo di contra-sto, che permette la opacizzazione

retrograda del sistema portale, for-nendo informazioni sulla pervietà del recesso di Rex, e sulla eventua-le estensione della trombosi portale a livello intraepatico (Fig. 2) 10.

Figura 2.A-B: Angio-TC che documenta la presenza di cavernoma della vena porta, congestione e dilatazione della vena mesenterica superiore, della vena ga-strica sinistra e della vena splenica, con associata splenomegalia; C: porto-grafia retrograda nello stesso paziente, con evidenza di pervietà del recesso di Rex (freccia) e dei rami portali intraepatici.

TRAINING AND EDUCATIONAL CORNERLa diagnostica della ipertensione portale in pediatria

117

Bibliografia1 Shneider BL. Portal Hypertension

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• La diagnostica dell’ipertensione portale in età pediatrica si basa fondamentalmente sulla diagnosi delle complicanze a essa correlate, in particolare splenomegalia e varici esofagee.

• La diagnostica ecografica riveste un ruolo importante nell’identificare la presenza di splenomegalia, le caratteristiche del flusso portale e la presenza di circoli collaterali neoformati.

• L’endoscopia digestiva resta il gold standard per l’identificazione delle varici esofagee, gastriche e dei quadri di ga-stropatia ipertensiva.

• TC, RM e portografia retrograda sono solitamente utilizzate nel planning preoperatorio, in caso si preveda l’esecuzione di uno shunt porto-sistemico o di un bypass mesenterico-portale.

118 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:118-121; doi: 10.19208/2282-2453-124

Alimenti, microbiota e infiammazione: la tempesta perfetta nelle malattie infiammatorie intestinali Diet, gut microbiota and inflammation: the perfect storm in inflammatory bowel diseases

Marina Aloi (foto)Giulia D’Arcangelo

Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Pediatria e

Neuropsichiatria Infantile, Unità di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica, Policlinico Umberto I,

Roma

Key wordsInflammatory bowel disease • Diet •

Gut microbiota • Inflammation

AbstractThe prevalence of inflammatory bowel diseases is rising worldwide in concomitance with the acqui-sition of a “Westernized” lifestyle, thus suggest-ing an influence of environmental factors in the pathogenesis of these complex diseases. Diet may have an impact on host immunity both directly and by influencing the structure and composition of the gut microbiota in the genetically susceptible host.

Indirizzo per la corrispondenza

Marina Aloiviale Regina Elena 324, 00161 Roma E-mail: [email protected]

IBD HIGHLIGHTS a cura diFortunata Civitelli

L’incidenza dei disordini immunitari, quali le malattie infiammatorie croniche intestinali (inflammatory bowel disease –  IBD), l’artrite reumatoide, il diabete mellito tipo  I e la sclerosi multipla, ha subito un incremento nel mondo occidentale. Si tratta di patologie croniche a eziologia multifattoriale risultante da una complessa interazione tra geni, sistema immunitario, microbio-ta intestinale e fattori ambientali. Le IBD [malattia di Crohn (MC) e rettocolite ulcerosa (RCU)] sono processi infiammatori cronici e recidivanti del tratto gastrointe-stinale, per i quali si ritiene che fattori ambientali, quali abitudini alimentari e modificazioni dello stile di vita (l’incremento dell’igiene, la dieta, il consumo di alcol, il fumo), giochino un ruolo nell’innescare e sostenere il processo infiammatorio cronico in individui genetica-mente predisposti 1, 2. Gli studi di associazione geno-me-wide (genome wide association studies – GWAS) hanno individuato diversi geni (finora 163) correlati allo sviluppo di MC e RCU 3. D’altra parte non tutti i sog-getti portatori di tali polimorfismi genetici svilupperan-no la malattia. Questo dato enfatizza come la genetica da sola non sia in grado di spiegare la propensione di alcuni individui di sviluppare la malattia e come, inve-ce, fattori ambientali scatenanti giochino un ruolo nella patogenesi delle IBD. È ormai ampiamente dimostrato che una dieta ricca di grassi, carni rosse e carboidrati raffinati e povera di vegetali, frutta e pesce (la cosiddetta “western diet”) possa avere un effetto diretto sul sistema immunita-rio dell’ospite e causare disbiosi. Quest’ultima, intesa come modificazione della struttura e della funzione del microbiota intestinale, è in grado di scatenare e so-stenere una condizione di infiammazione, attraverso la predominanza di microrganismi pro-infiammatori e la riduzione dei commensali favorenti meccanismi di tolleranza immunitaria.Questo articolo ha lo scopo di illustrare le più recenti evidenze nel campo dell’eziopatogenesi del processo infiammatorio delle IBD, con particolare attenzione agli aspetti riguardanti la dieta e la sua influenza sul micro-biota intestinale.

IBD HIGHLIGHTS Alimenti, microbiota e infiammazione: la tempesta perfetta

nelle malattie infiammatorie intestinali

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La geneticaLa genetica è innegabilmente una componente fondamentale nell’e-ziopatogenesi delle IBD, rappre-sentando non soltanto un fattore di rischio di per sé, ma giocando anche un ruolo chiave nella costi-tuzione del microbiota intestinale e nel processo di educazione del sistema immunitario dell’ospite. La maggior parte delle oltre 160 varianti genetiche e polimorfismi identificati mediante GWAS in relazione alle IBD codificano per proteine implicate in meccanismi di attivazione immunitaria nel con-testo della risposta dell’ospite ai microrganismi, inclusi la funzione di barriera, la guarigione muco-sale, l’autofagia e la risposta allo stress. L’identificazione di uno di questi geni, il primo a essere indi-viduato, il nucleotide-binding oli-gomerization domain-containing protein 2 (NOD2 o CARD15), fornì evidenze sull’implicazione del mi-crobiota intestinale nello sviluppo e progressione delle IBD, in par-ticolare la MC  4. NOD2 codifica per un recettore intracellulare (un cosiddetto pattern recognition receptor – PPR) per il muramil di-peptide (MDP), un peptidoglicano della parete batterica. Si tratta dunque di una proteina essen-ziale a livello dell’enterocita nel discriminare tra la flora microbi-ca intestinale normale e i batteri patogeni. L’attivazione di NOD2 comporta infatti l’inizio di una cascata infiammatoria legata alla traslocazione nel nucleo di NFκB e la conseguente trascrizione e traduzione di specifici geni della risposta immune innata e adatta-tiva. Mutazioni a carico del gene NOD2 sono state messe in re-lazione a una maggiore suscet-tibilità nello sviluppo della MC, prevalentemente ileale. Uno dei possibili effetti è la riduzione della produzione di α-defensina da par-te delle cellule del Paneth che in circostanze normali operano me-

diante meccanismi dell’immunità innata nella regolazione del micro-biota intestinale. I topi knock-out per NOD2 mostrano un significati-vo aumento di Bacteroides, Firmi-cutes e Bacilli nell’ileo terminale, oltre a una ridotta capacità di eli-minare un potenziale batterio pa-togeno, l’Helicobater hepaticus. In assenza di microbiota intestinale (topi germ-free), inoltre, l’espres-sione di NOD2 rimane bassa. A partire da queste evidenze nume-rosi altri loci di suscettibilità sono stati individuati: CARD9, IL23R, ATG16L1. IL-23R, ad esempio, è essenziale nel promuovere una risposta immune diretta contro patogeni intracellulari, inducendo la produzione e il mantenimento di linfociti Tγδ produttori di IL-17, IFN-γ e TNFα ed essenziali per l’induzione dell’infiammazione mediata dai linfociti T.

L'ambienteSe da un lato la predisposizione genetica rappresenta un elemen-to chiave nello sviluppo delle IBD, essa da sola non è sufficiente. Un modello mendeliano semplice di trasmissione ereditaria (correla-zione diretta tra gene e malattia) non è applicabile alle IBD: queste malattie sono infatti poligeniche e multifattoriali. In questi disor-dini il fenotipo clinico è la ma-nifestazione dell’interazione tra determinanti genetici e fattori di rischio ambientali, pertanto ogni variante genetica individuale avrà un effetto relativo (mai 100%) sul rischio di sviluppo della malattia. I tassi di concordanza tra gemelli monozigoti nella MC e nella RCU, rispettivamente il 35-58% e il 16-18,5%, insieme ai rapidi cambia-menti epidemiologici registrati ne-gli ultimi decenni e non spiegabili con paralleli cambiamenti genetici (che richiedono tempi molto più lunghi), supportano l’ipotesi di un coinvolgimento di altri fattori. Nei

paesi in cui è stato registrato un significativo aumento dell’inciden-za delle IBD nel corso del 20° se-colo, si è assistito parallelamente a enormi cambiamenti ambienta-li e dello stile di vita, tra cui una maggiore igiene personale, l’am-pio uso di vaccini e antibiotici e l’introduzione di differenti abitu-dini alimentari. Più recentemen-te, paesi in cui tali malattie erano sconosciute fino a pochi decenni fa, come il Giappone, l’India, Hong Kong, hanno visto crescere il nu-mero di nuovi casi diagnosticati in concomitanza con l’adozione di uno stile di vita occidentale  1. Analoghe osservazioni sono state riportate a seguito dello studio su popolazioni di immigrati trasferitisi da paesi in via di sviluppo in quelli industrializzati.Sebbene a oggi un singolo trigger ambientale non sia stato identifi-cato, l’attenzione è stata posta su numerosi possibili fattori tra cui la dieta. È indubbio che il regime ali-mentare occidentale abbia subito profondi cambiamenti (aumento della quantità di grassi e carboi-drati) nell’ultimo mezzo secolo, e in concomitanza si è assistito all’aumento della prevalenza delle IBD. Queste modificazioni ambientali hanno comportato un cambia-mento nella composizione del microbiota intestinale, sia nella sua struttura che funzione, tale da essere implicato nella patoge-nesi delle malattie 5, 6. La quantità di batteri intestinali supera quel-la delle cellule umane di circa 10 volte e contiene oltre 1.000.000 di geni (rispetto ai 23.000 nell’uo-mo), rendendo ragione del ruolo chiave che tali microrganismi ri-vestono nello sviluppo di queste patologie complesse. La combi-nazione della predisposizione ge-netica, insieme a fattori ambientali che modifichino la composizione del microbiota intestinale, può dunque risultare in una “tempesta

M. Aloi, G. D'Arcangelo

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perfetta” che conduce allo svilup-po delle IBD.Esiste una stretta interrelazione tra la nostra flora microbica e la mu-cosa intestinale, essenziale per il metabolismo di quei nutrienti che non siamo in grado di digerire e per l’educazione del nostro siste-ma immunitario. Tale mutualismo metabolico tra ospite e batteri, se cronicamente alterato, può porta-re a una “disregolazione” della ri-sposta immune che conduce alla malattia. Le prove più importanti a sostegno di tale ipotesi deriva-no dallo studio di modelli animali. Ad esempio i topi knock-out per il gene dell’IL-10 sviluppano spon-taneamente un’enterocolite cro-nica, predominata da un fenotipo infiammatorio T-helper1/IFNγ. Tut-tavia, topi germ-free deficitari di IL-10 non sviluppano la malattia, mentre l’aggiunta di specifici bat-teri, oltre a condurre a un aumen-to della penetranza della malattia fino a quasi il 100% (è il caso di H. hepaticus, Bacteroides vulgtus, Enterococcus faecalis), è in grado di determinare fenotipi diversi di malattia. Ad esempio la coloniz-zazione di topi germ-free deficitari di IL-10 con Bilophila wadsorthia conduce a una colite distale lieve, mentre l’ Escherichia Coli deter-mina un’infiammazione lieve-mo-derata a carico del ceco.È evidente che il tipo di risposta ai singoli microrganismi è corre-lata alla specificità dell’ospite. Ad esempio E. Coli, ma non Bacteroi-des vulgatus, è in grado di indurre una colite nei topi knock-out per il gene dell’IL-10. Situazione op-posta si verifica nei topi transge-nici per HLA-B27. Analogamente, diversi probiotici determinano di-versi risultati nello stesso ospite mentre ospiti diversi mostrano ri-sposte variabili allo stesso probio-tico. Queste osservazioni, ancora una volta, sottolineano come il rischio di malattia ed il suo feno-tipo sono strettamente dipendenti

dalla composizione del microbio-ta intestinale nel contesto di diffe-renti background genetici.

La dietaCome accennato in precedenza, tra i fattori ambientali in grado di innescare il meccanismo patoge-netico delle IBD, la dieta è cer-tamente uno dei più studiati. Gli alimenti, infatti, oltre a interagire con le cellule direttamente, sono in grado di modificare la compo-sizione della flora intestinale. È stato dimostrato che la natura dei grassi assunti con la dieta può modificare il microbiota intesti-nale, in particolare grassi saturi derivati dal latte sono in grado di determinare l’esordio della colite nei topi deficitari di IL-10 indu-cendo una predominanza della B. wadsworthia  8. Analogamente, carboidrati non assorbibili (pre-biotici) come l’inulina e i fruttoo-ligosaccaridi (FOS) stimolano la crescita di specie protettive quali Bifidobatteri e Lattobacilli, fornen-do loro substrati per la produzio-ne di acidi grassi a catena corta (short chain fatty acid –  SCFA). Questi prodotti, in particolare il butirrato, rappresentano degli ot-timi substrati metabolici per le cel-lule mucosali coloniche stimolan-done diverse funzioni di barriera. Da uno studio condotto su coppie di gemelli, di cui un affetto da MC, è emerso che le cascate enzima-tiche coinvolte nel metabolismo dei carboidrati per la produzione di SCFA erano diminuite, analo-gamente a quelle coinvolte nella degradazione della mucina.Oltre alla sua influenza diretta sul-la composizione e funzione del microbiota intestinale, la dieta è in grado di avere effetti pro-infiam-matori di per sé  10. Alcuni deter-genti ed emulsionanti sono in gra-do di danneggiare direttamente la mucosa intestinale. Il polisorbato 80, presente in diversi prodotti

alimentari lavorati, aumenta, ad esempio, la traslocazione di E. Coli nelle placche di Peyer nella MC. Anche la gliadina, antigene implicato nella malattia celiaca, agisce sulla permeabilità intesti-nale aumentandola anche nei sog-getti non celiaci, mediante il lega-me al recettore epiteliale CXCR3 e il rilascio di zonulina. Sono dotati invece di attività antinfiammatoria gli eicosanoidi derivanti dagli acidi grassi poliinsaturi n-3 (n-3 PUFA). Il loro consumo, negli ultimi de-cenni, è notevolmente diminuito, mentre è aumentato quello di n-6 PUFA, dotati, al contrario di attivi-tà proinfiammatoria.

ConclusioniL’impatto della “Western diet” sul microbiota intestinale è ormai ampia-mente riconosciuto e potrebbe giu-stificare l’aumento dell’incidenza di patologie croniche, comprese le IBD, osservato nell’ultimo mezzo secolo. Lo studio del microbiota intesti-nale e delle sue complesse inte-razioni con i geni e con fattori am-bientali quali la dieta, rappresenta attualmente un importante campo di sviluppo, che apre nuovi sce-nari volti a realizzare un approc-cio terapeutico “personalizzato” a seconda del profilo genetico e del microbiota dei singoli pazienti.

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IBD HIGHLIGHTS Alimenti, microbiota e infiammazione: la tempesta perfetta

nelle malattie infiammatorie intestinali

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• Le malattie infiammatorie intestinali sono disturbi cronici multifattoriali del tratto gastrointestinale, risultato dell’inte-razione tra predisposizione genetica, microbiota intestinale, fattori ambientali e sistema immunitario.

• La dieta gioca un ruolo fondamentale sia indirettamente, modulando la struttura e funzione del microbiota intestinale, che direttamente tramite nutrienti e composti chimici che agiscono da veri e propri antigeni che stimolano la risposta immune del soggetto.

• Una dieta ricca di grassi, carni rosse e carboidrati raffinati e povera di vegetali, frutta e pesce (la cosiddetta “western diet”) ha un effetto diretto sul sistema immunitario dell’ospite ed è causa di disbiosi.

• Numerosi studi effettuati su modelli animali hanno dimostrato come la prevalenza di determinati batteri in un contesto di predisposizione genetica sia in grado di portare all’insorgenza di malattia e determinarne il fenotipo.

122 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:122-126; doi: 10.19208/2282-2453-125

Quale terapia farmacologica per la malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), senza inibitori di pompa protonica (PPI)?What pharmacological treatment for GERD, if not PPI?

Silvia Salvatore

SC Pediatria, Ospedale “F. Del Ponte”, Università dell’Insubria, Varese

Key wordsReflux • Ranitidine • Alginate •

Prokinetics • Baclofen

AbstractProton pump inhibitors (PPI) are the choise treatment for reflux disease (GERD) but impor-tant side effects have been reported, a few pa-tients show persisting symptoms and they are off-label in infants. Ranitidine is less effective than PPI with similar adverse events. Alginate can improve symptoms of GER and may be con-sidered in infants not improving with conserva-tive approach. There is insufficient evidence for prokinetics, sucralfate and baclofen on GERD in children. Safety profile of specific drugs should be considered before starting any GERD treat-ment in children. Pain modulators have been proposed in adults with functional heartburn.

Indirizzo per la corrispondenza

Silvia Salvatorevia F. Del Ponte 19, 21100 [email protected]

NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY

PHARMACOLOGY a cura diMonica Paci

IntroduzioneGli inibitori di pompa protonica (PPI) rappresen-tano il farmaco di prima scelta per il bambino con pirosi, esofagite da reflusso gastroesofageo (RGE) o pH-metria patologica  1-4. La non-risposta ai PPI può essere determinata da: insufficiente o scorret-ta assunzione, da RGE non acido, da distensione o ipersensibilità esofagea o da scorretta diagnosi (non MRGE)  5. Quest’articolo focalizza gli attuali farma-ci acido-inibitori diversi dai PPI, farmaci di barriera, farmaci procinetici, farmaci con azione sullo sfintere esofageo inferiore (LES) o sull’“ipersensibilità esofa-gea” (Tab. I).

Altri acido-inibitoriLa ranitidina è (troppo) utilizzata, soprattutto nei lattanti, anche senza una diagnosi strumentale di MRGE. La preferenza è motivata dalla disponibilità in sciroppo e dalla non autorizzazione dei PPI nel primo anno di vita. La ranitidina sopprime meno (parzial-mente e per minor tempo) l’acidità gastrica rispetto ai PPI, ed è associata spesso a tachifilassi. Secondo uno studio di Pfefferkorn del 2006, l’aggiunta di rani-tidina ai PPI non determina, nei bambini con MRGE, nessun beneficio endoscopico, clinico o pH-metrico. Una recente revisione sistematica  6 di 8 lavori (276 bambini trattati) conclude per una limitata evidenza di efficacia e sicurezza della ranitidina in età pediatrica e una scarsa qualità degli studi. Gli effetti collaterali sono simili ai PPI, inclusi l’aumento di infezioni, la va-riazione del microbiota intestinale e il rischio di ente-rocolite necrotizzante nei prematuri. Non sono raccomandati altri antiacidi (a base di bi-carbonato di potassio/sodio, idrossido di alluminio e magnesio o Sali di calcio) per scarsità di dati pedia-trici e di sicurezza (da assunzione protratta)  1. Negli adulti sono stati recentemente valutati nuovi farmaci bloccanti l’acido, competitivi sul potassio (PCABs) con una più potente e prolungata azione acido sop-pressiva.

NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Terapia farmacologica per la MRGE

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AlginatoL’alginato è un polisaccaride che deriva da alghe marroni, può as-sorbire acqua e reagire con il con-tenuto (acido) gastrico, aumen-tandone la viscosità. I farmaci a base di alginato possono ridurre il RGE attraverso un effetto sia fisico-meccanico gastrico, crean-do, in pochi minuti, un gel viscoso nello stomaco, sia chimico-antia-cido per copertura della “tasca acida” (acid pocket) del fondo ga-strico e per la copresenza, in alcu-ne formulazioni, di molecole quali il bicarbonato. L’alginato non è, però, raccomandato per la terapia dell’esofagite, ma solo per il trat-tamento dei sintomi da MRGE 2, 3. Nel 2000 una revisione  7 che ha incluso 6  studi pediatrici (uno in doppio cieco) e 303 lattanti-bam-bini riportava un’efficace riduzione dei sintomi (rigurgiti, vomiti o piro-si) e dei reflussi alla pH-metria, ma ridotta efficacia, rispetto agli H2-antagonisti, in caso di esofagite. La tolleranza era buona in tutti i pazienti con segnalata compar-

sa di diarrea e stipsi, in un solo lavoro, senza differenza rispetto al placebo. Nel 2005 Del Buono studiando, in doppio cieco e con pH-impedenzometria, una for-mulazione di alginato, senza an-tiacidi aggiunti, in 20 lattanti con somministrazione random (3+3) nel pasto di latte, ha riportato una riduzione di tutti i parametri di reflusso rispetto al placebo, ma con significativo effetto solo per l’altezza (estensione eso-fagea) dei reflussi. Attualmente l’evidenza di efficacia è ancora molto limitata in età pediatrica. Proprio per la scarsità dei dati, le linee guida (LG) NASPGHAN ed ESPGHAN 1 non ne raccoman-dano l’utilizzo, mentre le LG NICE lo suggeriscono, come primo ap-proccio farmacologico, con un trial di 1-2 settimane (da protrarsi in caso di beneficio) in lattanti con sintomi importanti da RGE non migliorati da rassicurazione, tera-pia posturale e variazione dieteti-ca 2. Sono da evitare formulazioni con alluminio e va considerato il

contenuto di sodio (prodotto spe-cifico), soprattutto in neonati pre-termine e in bambini nefropatici. Nel 2011 Corvaglia ha mostrato in neonati pretermine, nei pasti nei quali era stato utilizzato il far-maco, una significativa riduzione dei reflussi prossimali e gassosi, dei reflussi acidi e dell’esposizio-ne acida. Nessun effetto avverso veniva segnalato. Nel 2015, in uno studio clinico di confronto tra 3 gruppi di lattanti, Ummarino et al. hanno riportato una maggio-re riduzione dei sintomi da RGE, dopo 2 mesi di terapia, nel gruppo (25 lattanti) trattato con alginato di magnesio più simeticone versus formula ispessita o sola rassicu-razione. In un solo lattante veniva riportata stipsi.

ProcineticiDal punto di vista patogenetico i procinetici rappresenterebbero uno degli approcci terapeutici più logici per i pazienti con MRGE. Tuttavia, l’uso dei procinetici non

Tabella I.Terapia farmacologica della MRGE oltre gli acido-inibitori: meccanismi e molecole.

Target Molecola Risultati NoteStudi recenti pediatrici

Riduzione del reflusso Alginato Crea un gel viscoso nello stomaco Riduzione rigurgiti, pirosi, RGE acido e prossimale

Valutare contenuto di sodio, alluminio e antiacido

Del Buono, 2005Corvaglia, 2011Ummarino, 2015

Effetto sul LES Baclofen Riduzione dei TLESR, RGE e sintomi, aumenta pressione del LES, accelera svuotamento gastrico

Possibili effetti neurologici, vertigini dispnea, riduzione della soglia epilettica

Kawai, 2004Omari, 2006Vadlamoudi, 2013

Protezione della mucosa

Sucralfato In acido forma un gel sulla mucosa erosa

Un solo studio RCT pediatrico del 1989

Nessuno

Procinetico Domperidone Non chiara efficaciaAumento del numero di RGE, riduce la durata

Possibili gravi effetti extrapiramidali, e cardiologici

Pritchard, 2005Cresi, 2008

Riduzione sensibilità esofagea

Antidepressivi, SSRIs

Modulatori del dolore sia a livello del SNC sia esofageo

Utile in adulti con esofago ipersensibile e pirosi funzionale

Nessuno

S. Salvatore

124

è raccomandato 1-3 per i possibili effetti collaterali (neurologici e car-diologici) e per la scarsa evidenza di efficacia dei farmaci in com-mercio.Non ci sono studi recenti né sull’eritromicina né sulla meto-clopramide (molecola con attività alfa simpatico mimetica e blocco recettoriale della dopamina e della serotonina), che non si deve utiliz-zare per l’alta frequenza di effetti collaterali gravi quali letargia, ir-ritabilità, ginecomastia, galattor-rea e reazioni extrapiramidali con possibile permanente discinesia. Il domperidone è un antagonista recettoriale (D2) della dopamina con effetto procinetico gastri-co. Una revisione sistematica del 2005  8 identificava solo quattro trials randomizzati controllati in bambini e nessuno con “forte” evidenza di efficacia nella MRGE pediatrica. Nel 2008 Cresi et al. hanno dimostrato in 13 neonati, tramite pH-impedenzometria, che il domperidone aumentava il nu-mero dei reflussi pur riducendone la durata. Inoltre il domperidone può causare occasionali effetti ex-trapiramidali, aumento della pro-lattina e imprevedibili aumenti del QTc, con gravi aritmie e possibili morti improvvise  9. Altre moleco-le procinetiche come mosapride, itopride, prucalopride, levosulpiri-de, revexepride e renzapride, così come farmaci agonisti della moti-lina, non hanno studi di efficacia in età pediatrica e molto scarsi sono i dati anche in età adulta 4, 5. Il betanecolo, agonista coliner-gico che stimola selettivamente i recettori muscarinici, ha mostrato un’incerta efficacia e un’alta inci-denza di effetti collaterali in bam-bini con MRGE 1.

Farmaci agenti sul LESI rilassamenti transitori del LES (TLESRs) inappropriati (non indot-

ti dalla deglutizione), tra i mecca-nismi più importanti nel provocare RGE, sono mediati da un riflesso vago-vagale, stimolato dalla di-stensione gastrica e mediato da diversi recettori (del Glutammato metabotropico (mGluR5), dell’aci-do γ-aminobutirrico (GABA A,B) e cannabinoidi (CB1,2)) espressi sia in esofago sia nel sistema nervo-so. Il baclofen è un agonista recetto-riale dell’acido gamma-aminobu-tirrico (GABA)-B spesso utilizzato per ridurre la spasticità dei pazienti neurologici. Negli adulti ha dimo-strato di ridurre i TLESRs, i sinto-mi e gli episodi di RGE (sia acido sia non acido postprandiale), di aumentare la pressione basale del LES e di accelerare lo svuotamen-to gastrico. A causa del passaggio della barriera emato-encefalica, possono verificarsi diversi effetti collaterali sul SNC, quali cefalea, stanchezza, sopore, confusione, instabilità, vertigini, ipotensione, sensazione di dispnea, debolezza e tremore, oltre a riduzione della soglia epilettica. In un trial di una settimana in 8 bambini neurologici il baclofen ha ridotto il numero dei reflussi acidi, ridotto il vomito in 6/8, ma non la percentuale acida esofagea (reflux index) e ne ha au-mentato il tempo di clearance in 4/8. Il baclofen, nell’unico studio randomizzato controllato (verso placebo) in 30 bambini con MRGE resistente, in un periodo test di 2 ore, ha significativamente ridotto il numero dei TLESRs e i reflussi acidi, accelerando lo svuotamen-to gastrico 10. Nessun evento av-verso importante è stato descritto nelle 48 successive allo studio. Più recentemente, in 53 bambini con MRGE dimostrata o sintomi vari (gastrointestinali e non) da possibile MRGE, Vadlamudi ha rilevato retrospettivamente un mi-glioramento clinico in 35 bambini e la necessità di sospensione in 3 pazienti, per sonnolenza. Studi

prospettici sono necessari per va-lidare questi risultati e, soprattut-to, valutarne la sicurezza. L’arbaclofen placarbil è stato stu-diato solo su pazienti adulti senza evidenza di efficacia clinica rispet-to al placebo. Il lesogaberan è un altro agonista recettoriale GABA-B con azione periferica, che ha mo-strato, negli adulti, una significativa riduzione dei rilassamenti transitori del LES e contemporaneamente dei reflussi totali, acidi e non aci-di, postprandiali. Dati preliminari in adulti trattati con gli antagoni-sti recettoriali selettivi del mGluR5 (ADX10059 e AZD2066) hanno ri-portato una riduzione dei TLESRs e dei reflussi acidi con eventi av-versi, quali aumento delle transa-minasi, instabilità (in 3 su 13) e di-sturbi dell’attenzione (3/13).

Trattamento del-l'"ipersensibilità esofagea" e pos-sibili applicazioni futureNegli ultimi anni è stato evidenzia-to che diversi pazienti con MRGE non presentano esofagite erosi-va, ma sintomi resistenti ai PPI determinati da RGE non acido, distensione esofagea da volume o ipersensibilità esofagea. Non vi sono dati sufficienti o studi re-centi su farmaci protettori della mucosa, come il sucralfato nella terapia della MRGE pediatrica e, pertanto, non sono raccomandati dalle attuali LG 1. Il sucralfato è un composto di saccarosio, solfato e alluminio che, in ambiente aci-do, forma un gel che si lega alla mucosa con erosioni peptiche. L’unico studio randomizzato con-trollato pediatrico risale al 1989 e dimostrava che il sucralfato era ugualmente efficace, rispetto alla cimetidina, nel trattamento dell’e-sofagite.Farmaci modulatori del dolore (a livello sia centrale sia periferico),

NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Terapia farmacologica per la MRGE

125

antidepressivi triciclici (a basse dosi) e inibitori selettivi del re-uptake della serotonina (SSRIs) sono stati proposti nel paziente adulto con pirosi funzionale (en-doscopia e pH/impedenzometria normale) o con esofago ipersen-sibile (endoscopia ed esposi-zione acida normale, ma indice sintomatico associato a reflussi a pH/impedenzometria) 5. Una re-visione sistematica ha analizzato l’efficacia degli antidepressivi in adulti con MRGE o disordini fun-zionali esofagei con sintomi quali dolore toracico, pirosi, disfagia o globus faringeo. Dall’analisi di 15 studi randomizzati controllati è emerso che, in terapia antide-pressiva, la soglia del dolore eso-fageo aumentava dal 7 al 37% con riduzione del dolore toracico dal 18 al 67% e della pirosi, in pa-zienti con MRGE, dal 23 al 61%. A oggi non ci sono studi pediatri-ci che valutano la prevalenza di disturbi funzionali esofagei e l’ef-fetto di analgesici o antidepressi-vi nella MRGE.

ConclusioniCome riporta la Cochrane del 2014  3 sul trattamento farmaco-logico dei bambini con (M) RGE, analizzando 24 studi randomizzati controllati, per un totale di 1201 bambini, non vi è evidenza suffi-ciente sull’efficacia dei procineti-ci, a fronte di possibili gravi eventi avversi extrapiramidali e cardiolo-gici, vi è qualche evidenza degli H2-antagonisti nella MRGE, con possibili effetti collaterali simili ai PPI, e moderata evidenza su una particolare formulazione di algina-to nel miglioramento dei sintomi nel lattante. Ancora troppo limitati sono i dati concernenti gli agonisti recettoriali del GABA e non esi-stono dati pediatrici sull’utilizzo di modulatori del dolore o farmaci protettori della mucosa. Un cor-retto inquadramento diagnosti-co e un’accurata valutazione del profilo di sicurezza della molecola rimane fondamentale prima della scelta di un farmaco in lattanti e bambini con soli sintomi o eviden-za di MRGE.

Bibliografia 1 Vandenplas Y, Rudolph CD, Di

Lorenzo C, et al. Pediatric Gas-troesophageal Reflux Clinical Practice Guidelines: Joint Recom-mendations of the North American Society of Pediatric Gastroenterol-ogy, Hepatology, and Nutrition and the European Society of Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition. J Pediatr Gastroen-terol Nutr 2009;49:498-5472.

2 National Institute of Health and Care Excellence (NICE). Clinical knowledge summaries on gastro-esophageal reflux disease in chil-dren. Available on www.nice.org.uk/guidance/NG1

3 Tighe M, Afzal NA, Bevan A, et al. Pharmacological treatment of chil-dren with gastro-oesophageal re-flux. Cochrane Database Syst Rev 2014;11. Doi: 10.1002/14651858.CD008550.pub2.

4 Vandenplas Y. Management of paediatric GERD. Nat Rev Gastro-enterol Hepatol 2014;11:147-57.

5 Galmich JB, Zerbib F, Bruley des Varannes S. Treatment of GORD: three decades of progress and disappointments. Unit EurGastro-enterol J 2013;1:140-50.

Figura 1.Molecole e meccanismi di terapia farmacologica della MRGE.

S. Salvatore

126

6 Van der Pol R, Langendam M, Benninga M, et al. Efficacy and safety of histamine-2 recep-tor antagonists. JAMA Pediatr 2014;168:947-54.

7 Mandel KG, Daggy BP, Brodie DA, et al. Review article: alginate-raft formulations in the treatment of heartburn and acid reflux. Aliment Pharmacol Ther 2000;14:669-90.

8 Pritchard DS, Baber N, Stephen-son T. Should domperidone be used for the treatment of gastro-oesophageal reflux in children? Systematic review of randomized controlled trials in children aged 1 month to 11 years old. Br J Clin Pharmacol 2005;59:725-9.

9 Michaud V, Turgeon J. Domperi-done and sudden cardiac death:

how much longer should we wait? J Cardiovasc Pharmacol 2013;61:215-7.

10 Omari TI, Benninga MA, San-som L, et al. Effect of baclofen on esophagogastric motility and gastroesophageal reflux in chil-dren with gastroesophageal reflux disease: a randomized controlled trial. J Pediatr 2006;149:468-74.

• Nessun farmaco acido-inibitore è superiore ai PPI nella terapia della MRGE.

• L’alginato può migliorare i sintomi di RGE nel lattante e nel bambino.

• I procinetici non hanno evidenza di efficacia nella MRGE e presentano effetti avversi neurologici e cardiologici.

• Il baclofen riduce i rilasciamenti transitori del LES e il RGE acido e non acido, ma limitati sono gli studi pediatrici.

127Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:127; doi: 10.19208/2282-2453-126

Un sintomo comune per una condizione del tutto eccezionale

A common symptom for a rare condition

Tommaso Alterio1 (foto)Camilla Salvestrini2

1 Addenbrookes Hospital, University of Cambridge, Cambridge, UK; Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Messina, Messina; 2 Addenbrookes Hospital, University of Cambridge, Cambridge, UK

Indirizzo per la corrispondenza

Tommaso AlterioHills Rd, Cambridge CB2 0QQ, UKE-mail: [email protected]

CASE REPORTa cura diANTONIO DI MAURO

Presentazione clinicaBambina di 2 anni, nata a termine da gravidanza normo-decorsa. Anamnesi perinatale, remota e familiare nella norma. Nessun problema gastrointestinale degno di nota. Crescita staturo-ponderale normale per età. Giunge alla nostra osservazione per ematochezia che si protrae da circa tre settimane. La bambina non presenta dolore ad-dominale, vomito, stipsi o alvo diarroico; vengono riferite 3 evacuazioni al giorno di feci normoformate (tipo 4, sca-la di Bristol), tutte contenenti sangue rosso vivo (quantità inferiore al 50% delle feci). Nessun sintomo notturno.

Esame obiettivoL’esame obiettivo generale è negativo, la bambina è afebbrile, i parametri vitali normali, l’addome è tratta-bile su tutti i quadranti e l’ispezione della regione pe-rianale nella norma. Peso e altezza al 50° percentile.

Sviluppo del caso clinicoGiunta in ospedale, la bambina viene sottoposta a esami ematochimici (emocromo, VES e PCR) ed esa-mi su feci (coltura allargata e parassitologico delle feci, calprotectina fecale), che risultano tutti nella norma. L’ecografia dell’addome con valutazione dell’ultima ansa risulta negativa.

Ipotesi diagnostiche•Esordiodimalattiainfiammatoriacronicaintestinale•Coliteinfettiva•Polipointestinale•Ulceraisolatadelretto•Abusosessuale

Sviluppo e soluzione del caso clinico a pagina 139

128 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:128-130; doi: 10.19208/2282-2453-127

Il sanguinamento gastrointestinale (SGI) in età pediatricaThe gastrointestinal bleeding (GIB) in children

Sabrina CardileClaudio Romano (foto)

Dipartimento di Scienze Pediatriche, AO Universitaria “G. Martino”,

Università degli Studi di Messina

Key wordsGastrointestinal Bleeding • Lower

Gastrointestinal Bleeding • Upper Gastrointestinal Bleeding •

Endoscopy • Children • Infant

AbstractGastrointestinal bleeding (GIB) oc-curs commonly in children and rep-

resents one of the most important gastrointestinal emergencies such as acute abdominal pain, inco-ercible vomiting, gastrointestinal ingestion of an extraneous body or caustic substance. Blood loss from the GI tract can be manifested with hematem-esis, melena, hematochezia and occult bleeding. In 80% of cases GIB disappears spontaneously, but monitoring acute phase, essential to identify pa-tients who are at risk of hemodynamic instability, and a correct initial medical approach, represent the most important prognostic factors. A focused history taking and physical examination are essen-tial for the initial evaluation not only to make a di-agnosis but also to give an idea about the severity of bleeding and determine its anatomical location. GIB can be found both in acute forms, whose prin-cipal clinical signs are hematemesis and melena, and chronic or obscure GIB. The GIB classifica-tion is based on the identification of the site of the bleeding before or after the ligament of Treitz (up-per or lower), on the severity (acute bleeding, self-limited and chronic bleeding), and also in relation to patient’s age.

Indirizzo per la corrispondenza

Claudio Romanovia Consolare Valeria 1, 98124 MessinaE-mail: [email protected]

a cura diSalvatore Oliva

ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY

IntroduzioneIl sanguinamento gastrointestinale (SGI) è un evento relativamente comune in età pediatrica, costituendo circa il 3% delle cause di accesso in una struttura di emergenza pediatrica e frequente motivo di visita spe-cialistica 1. Esso può avere origine da qualunque trat-to dell’apparato gastrointestinale, dalla bocca all’ano, e l’espressività clinica può essere variabile, per cui si può presentare come ematochezia, melena, rettorra-gia o ematemesi. Esso può manifestarsi in forma acu-ta, acuta-ricorrente, cronica e occulta. La gran parte dei SGI in età pediatrica si autolimitano spontanea-mente. In taluni casi tuttavia può rappresentare una vera emergenza medica, per la rapida deplezione del volume ematico, con una mortalità comunque relati-vamente bassa e una prognosi strettamente correlata ad alcune variabili come l’età, la presenza di comor-bilità (malformazione vascolare, epatopatia, iperten-sione portale, coagulopatia ecc.) e l’adeguatezza dell’approccio diagnostico e terapeutico 2. Negli ultimi anni sono progredite le strategie che permettono una corretta diagnostica e un trattamento ottimale, grazie a un corretto utilizzo delle tecniche radiologiche ed en-doscopiche avanzate, l’avvento di farmaci sempre più efficaci nel controllo del sanguinamento e procedure chirurgiche mini-invasive. In base alla localizzazione, il SGI può essere distinto in alto (al di sopra del legamento di Treitz), interme-dio (tra il legamento di Treitz e la valvola ileo-cecale) e basso (al di sotto della valvola ileo-cecale). Il SGI alto è relativamente poco frequente in età pediatrica, ma potenzialmente grave per la più alta mortalità. I sintomi di presentazione possono includere ematemesi (73%), melena (21%) e vomito caffeano (6%), ma anche epi-gastralgia e resistenza addominale  3. Il SGI alto può essere distinto in varicoso e non varicoso e, nell’ambi-to di quest’ultimo, possono essere identificate le for-me di origine peptica. Le cause e l’eziologia variano in base all’età e un’attenta raccolta anamnestica (sinto-mi associati, somministrazione di farmaci gastrolesivi, ingestione di sostanze caustiche, interventi chirurgici pregressi, storia di infezione da Helicobacter pylori e/o

ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY Il sanguinamento gastrointestinale (SGI) in età pediatrica

129

ulcera peptica, cateterismo om-belicale ecc) permette di indiriz-zare verso un corretto approccio diagnostico e terapeutico (Fig. 1). Il SGI basso è più frequente nella popolazione pediatrica. Nell’am-bito di queste forme, le cause di tipo chirurgico (invaginazione, porpora e diverticolo di Meckel) possono rappresentare una vera emergenza. I sintomi di presen-tazione possono modificarsi in base all’età e alla sede e possono variare dai sanguinamenti clinica-mente evidenti (ematochezia, ret-torragia), al sanguinamento occul-to con anemizzazione e riscontro di sangue occulto fecale positivo. Un valido approccio per investi-gare l’eziologia e per la gestione di un paziente con SGI basso si basa sulla valutazione delle con-dizioni cliniche generali, delle ca-ratteristiche del sanguinamento e dell’alvo (Fig. 2).Di fronte a un bambino con un sospetto di SGI, è obbligatorio escludere che si tratti di un falso sanguinamento (pseudoemorra-gia), in quanto alcuni alimenti o farmaci possono mimare un’e-morragia digestiva (per es. spina-ci, carbone, liquirizia, ferro, ampi-cillina), oppure che la sua origine sia extradigestiva (per es. epistas-si, ragadi del capezzolo). Il management del SGI acuto atti-vo deve essere gestito attraverso la distinzione tra le condizioni cli-niche con modesto interessamen-to generale da quelle con shock emorragico o con shock imminen-te, che richiede manovre di riani-mazione e stabilizzazione. L’aspi-razione e il lavaggio con soluzione salina attraverso un sondino na-so-gastrico può essere praticato in tutti i pazienti con SGI alto, per confermare la presenza di sangue intra-gastrico e il grado di sangui-namento o per prevenire l’aspira-zione del contenuto gastrico 4. Nei lattanti può essere somministrata empiricamente vitamina K per via

parenterale (1-2 mg/dose). La pre-senza di coagulopatia dovrebbe essere corretta con plasma fresco congelato (10  ml/kg inizialmen-te). Per la valutazione della sede

del sanguinamento, in alternativa all’endoscopia e in base al so-spetto diagnostico, può essere utilizzata la scintigrafia o l’angio-grafia, e per lo studio del piccolo

Figura 1.Flow-chart del SGI alto in lattanti/bambini.

Figura 2.Follow-up del SGI basso in lattanti/bambini.

S. Cardile, C. Romano

130

intestino anche la videocapsula e l’entero-RMN. L’endoscopia rappresenta comunque l’esame gold standard sia dal punto di vi-sta diagnostico che terapeutico. La laparoscopia e l’esplorazione laparotomica rimangono le scelte diagnostiche in pazienti selezio-nati e in presenza di cause di tipo chirurgico. Il trattamento farma-cologico è basato su tre classi di farmaci, tra cui i farmaci soppres-sori dell’acidità gastrica (inibitori della pompa protonica, anti-H2), agenti vasoattivi (terlipressina, somatostatina e octreotide) nei pazienti con ipertensione portale e β-bloccanti non selettivi (pro-pranololo, nadololo e carvedilolo). L’utilizzo di questi ultimi è mutuato dall’esperienza nella popolazione adulta, in assenza di studi clinici randomizzati in età pediatrica, ed è limitato alla profilassi nei pazien-ti con varici esofagee 5. Come pre-cedentemente accennato, il ruolo dell’endoscopia è fondamentale nel controllo del sanguinamento e nella prevenzione del ri-sangui-namento. Essa dovrebbe essere eseguita non appena ottenuta la stabilizzazione del paziente, nelle

prime 24  h. L’utilizzo di tecniche iniettive, ablative e/o meccaniche dipende dal tipo e dalla sede del sanguinamento. La colonscopia dovrebbe essere eseguita dopo appropriato digiuno e prepara-zione intestinale, per la corretta visualizzazione delle lesioni mu-cosali 6.

ConclusioniIl SGI in età pediatrica richiede un approccio clinico multidisci-plinare. Una corretta gestione e l’avanzamento delle conoscenze e delle opzioni diagnostiche e te-rapeutiche permettono di evitare complicanze anche gravi e ospe-dalizzazioni non necessarie nelle forme lievi. L’endoscopia riveste un ruolo cruciale nel management di questi pazienti offrendo, attra-verso tecniche sempre più avan-zate, la possibilità di identificare la causa e la sede del sanguinamen-to e nello stesso tempo di inter-venire prontamente per il controllo dell’emorragia. L’accoglienza del bambino con SGI acuto presso centri di I livello, senza la possi-bilità di eseguire una valutazione

endoscopica, deve prevedere un’adeguata stabilizzazione e il successivo trasferimento presso un centro specialistico.

Bibliografia1 Blatchford O, Davidson LA, Mur-

ray WR, et al. Acute upper gas-trointestinal haemorrhage in west of Scotland: case ascertainment study. BMJ 1997;315:510-4.

2 Blatchford O, Murray WR, Blatch-ford M. A risk score to predict need for treatment for upper-gas-trointestinal haemorrhage. Lancet 2000;356:1318-21.

3 Cleveland K, Ahmad N, Bishop P, et al. Upper gastrointestinal bleed-ing in children: an 11-year retro-spective endoscopic investigation. World J Pediatr 2012;8:123.

4 Boyle JT. Gastrointestinal bleed-ing in infants and children. Pediatr Rev 2008;29:39-52.

5 Starship Children’s Health Clinical Guideline. Paediatric Gastroente-rology 2010.

6 ASGE Guideline. The role of en-doscopy in the management of acute non-variceal upper GI bleeding. Gastrointetinal Endos-copy 2012;75:1132-38.

• Il SGI rappresenta una causa frequente di accesso in Pronto Soccorso e motivo di richiesta di consulenza specialistica.

• Il SGI può essere classificato, in base alla presentazione clinica, in maggiore o minore e in base all’origine in superiore, intermedio e inferiore.

• Un giusto approccio al bambino con SGI include una corretta anamnesi, un attento esame obiettivo e l’utilizzo di esami di laboratorio e strumentali.

• L’endoscopia ha un ruolo diagnostico e terapeutico determinante nella gran parte dei casi.

131Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:131-138; doi: 10.19208/2282-2453-128

Le linee guida australoasiatiche sul trattamento dell’Insufficienza

Pancreatica Esocrina (IPE): un punto di vista particolare

su un problema anche pediatricoThe Australasian guidelines for the management

of pancreatic exocrine insufficiency (PEI): a special point of view on an also pediatric clinical problem

Vincenzina Lucidi

UOC di FC Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – IRCCS, Roma

Key wordsInsufficienza pancreatica esocrina • Elastasi fecale pancreatica • Terapia Enzimatica Sostitutiva Pancreatica

AbstractIn this review we resumed the Australasian Pancreatic Club recommendations about man-agement of pancreatic exocrine insufficiency (PEI). These guidelines are not specific for the pediatric age, but they are very interesting as addressing the issue of PEI trying a unifica-tion of management and therapeutic aspects of the problem. These recommendations are not based on a systematic review but on Evidence Based methodology and a degree of consensus among experts. The comment of the expert reviewer allows us to discuss the applicability and reliability of these indications in clinical practice.

Indirizzo per la corrispondenza

Vincenzina Lucidipiazza Sant’Onofrio 4, 00146 RomaE-mail: [email protected]

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICEa cura di

Teresa Capriati

PremessaDalla letteratura scientifica internazionale, nonostante le numerose pubblicazioni, emerge una scarsa condi-visione su indicazioni e dosaggio della terapia enzima-tica sostitutiva pancreatica (TESP) della insufficienza pancreatica esocrina (IPE) secondaria a pancreatite acuta e cronica nel paziente adulto e in età pediatrica. Questa criticità ha diverse cause: a) difficoltà nella diagnosi della stadiazione progressi-

va di IPE; b) fisiopatologia della maldigestione dei grassi e del-

le proteine, dipendente anche dal pH duodenale (il danno pancreatico riduce la secrezione di bicarbo-nati);

c) mancanza di markers specifici per la definizione re-sidua di enzimi digestivi escreti in duodeno.

Ancora oggi è impossibile ottenere una correlazione tra danno parenchimale pancreatico, valutato all’ima-ging, e grado di insufficienza digestiva. I segni e sinto-mi di insufficienza pancreatica, come la steatorrea, si sviluppano e diventano clinicamente evidenti quando la lipasi duodenale escreta è minore del 5-10% rispet-to ai normali livelli post prandiali. Tale grado di insuffi-ciente secrezione è correlabile a una perdita funzionale di parenchima pancreatico superiore al 90%.

Metodologia e contenutiLa review pubblicata dall’Australasian Pancreatic Club ha il merito di aver rivalutato la letteratura scientifica su tutte le possibili patologie mediche e chirurgiche responsabili di IPE. Il gruppo di esperti clinici indipen-denti – riuniti in un Working Party e coordinati dal pro-fessore Ross Smith, Presidente della Società Scientifi-ca – ha ridefinito le linee guida (LLGG) per il trattamento

V. Lucidi

132

sostitutivo enzimatico dell’insuffi-cienza pancreatica esocrina in età adulta e in alcune patologie dell’e-tà pediatrica. La pubblicazione raccoglie le raccomandazioni ba-sate su differenti livelli di eviden-ze, in accordo con l’Oxford Cen-tre for Evidence Based Medicine (EBM). Gli autori associano alla metodologia dell’EBM un que-stionario con il grado di consenso (“strongly agree”, “agree”, “nei-ther agree”, “disagree”), inviato a ogni membro del working party, metodologia che dà naturalmente maggiore forza alle “opinioni degli esperti”, riportate e suddivise in 13 argomenti: raccomandazioni generali sulla TESP, trattamento dietetico della IPE, uso di terapia enzimatica nella pancreatite acu-ta (PA), nella pancreatite croni-

ca (PC), nella fibrosi cistica (FC), TESP dopo resezione intestinale (resezioni gastriche e pancreati-che), nel cancro (CR) pancreatico, nel paziente diabetico, celiaco e con colon irritabile e, infine, rac-comandazioni nel paziente con perdita di peso non giustificabile.Gli autori propongono in primis una possibile classificazione delle diverse forme di IPE: a) IPE definita: non sono necessari

test per fare diagnosi, in quanto le alterazioni anatomiche sono tali da determinare necessaria-mente IPE (questo è il caso di pazienti con pancreatectomia post-carcinoma o pancreatite cronica calcificante);

b) IPE possibile: i pazienti pre-sentano un evidente danno anatomico all’imaging ma non

hanno ancora sviluppato IPE. in questo caso esistono test diretti e indiretti che possono essere utilizzati per fare dia-gnosi;

c) IPE improbabile: condizioni in cui sussiste un danno pan-creatico associato a malattie sistemiche [malattie infiam-matorie croniche intestinali (MICI), malattia celiaca (MC), diabete mellito tipo  II (DM tipo  II), sindrome del colon irritabile (IBS)]. I test dia-gnostici sono gli stessi della IPE possibile, ma si ha è più probabile che non siano diri-menti per la diagnosi.

I test diagnostici per IPE vengono riportati nella Tabella  II: la raccolta del succo pancreatico in duodeno post infusione di colecistochinina

Tabella I. CLASSIFICAZIONE DELL’INSUFFICIENZA PANCREATICA ESOCRINA (IPE).

Categoria di IPE IPE definita IPE possibile IPE improbabile

Caratteristiche Non sono necessari test diagnostici in quanto la IPE è certamente presente

Moderate alterazioni strutturali del pancreas ma non certa IPE; è necessario un iter diagnostico

Casi di IPE associati a malattie sistemiche in cui è necessario seguire un iter diagnostico di verifica

Eziologia Pancreatectomia totale

Pancreatite cronica severa con calcificazioni, steatorrea, perdita di peso

Insufficienza pancreatica da fibrosi cistica (FC)

Tumori che distruggono la testa del pancreas

Pancreatiti acute che distruggono la testa del pancreas

Chirurgia gastrica con asincronia post-prandiale

Pancreatite cronica lieve o moderata

FC con condizioni di sufficienza pancreatica

Periodo successivo a pancreatite severa

Deficienza di vitamine A, D, E, K

Sindrome dell’intestino irritabile

Malattia celiaca

Malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI)

Perdita di peso nell’anziano

Diabete tipo II

Sintomi +++ +/- < 10% dei casi

Probabilità di fare diagnosi con test obiettivi o di risposta clinica alla TESP

100% 30-70% < 10% dei casi

Legenda. IPE: insufficienza pancreatica esocrina; FC: fibrosi cistica; TESP: terapia enzimatica sostitutiva pancreatica

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Le linee guida australoasiatiche sul trattamento

dell’Insufficienza Pancreatica Esocrina (IPE)

133

(CCK)  –  secretina (è considerato il gold standard dei test diretti), la RMN pancreatica post secretina, il bilancio dei grassi su 3 giorni di raccolta delle feci (è considerato il gold standard dei test indiretti), l’elastasi fecale e il breath test ef-

fettuato dopo pasto di grassi con-tenenti trigliceridi marcati con C13. Per ognuno dei test si sottolineano le criticità tecniche e interpretative, mentre non viene suggerito un al-goritmo di utilizzo in relazione alle differenti situazioni cliniche.

In seguito le LLGG presentano le indicazioni relative alla terapia enzimatica sostitutiva (vedi Ta-bella  III), le indicazioni dietetiche per i pazienti affetti da IPE (vedi Tabella IV) e le indicazioni relative alla terapia enzimatica sostitutiva

Tabella II. TEST DIAGNOSTICI PER IPE.

Imaging strutturale Test diretti Test indiretti

Test che indagano la morfologia pancreatica. Possono essere non dirimenti nella IPE lieve o moderata

Sono i più specifici e sensibili ma molto costosi e invasivi per l’uso clinico

Semplici ed economici ma meno sensibili e meno specifici

1° livello: TC con mdc Il gold standard di questo tipo di test è l’analisi del succo duodenale dopo stimolazione con secretina-CCK

Test fecali: test dei 3 giorni dei grassi fecali (gold standard per diagnosi e quantificazione della steatorrea), steatocrito (calcola la proporzione dei grassi in un singolo campione), esame microscopico delle feci, ricerca della chimotripsina fecale e della elastasi pancreatica fecale

2° livello: RMN, ecografia endoscopica pancreatica e/o RMN con stimolo di secretina

Lundh test Breath test

Colangiopancreatografia endoscopica retrograda (ERCP)

Test endoscopico di funzione pancreatica (ePFT)

Test urinari (test con bentiromide e dilaurato fluoresceina) e su sangue (ricerca del livello di trispinogeno sierico che se < 20 ng/mL indica IPE in bambini > 7 anni)

Tabella III. RACCOMANDAZIONI SULLA TERAPIA ENZIMATICA SOSTITUTIVA PANCREATICA (TESP).

Raccomandazioni sulla terapia enzimatica sostitutiva

Gruppo di età Dose iniziale raccomandata Massima dose raccomandata

Adulti ≥ 18 anni 25000-40000 U di lipasi a pasto* 75000-80000 U di lipasi a pasto

Bambini (4-17 anni)

500-4000 U di lipasi/g di grassi nella dietaoppure500 U di lipasi/kg di peso corporeo a pasto*

10000 U di lipasi/kg di PC al giorno

Bambini (6 mesi-3 anni)

500-4000 U di lipasi/g di grassi nella dietaoppure1000 U di lipasi/kg di peso corporeo a pasto*

10000 U di lipasi/kg di PC al giorno

Lattanti (< 6 mesi)

500-1000 U di lipasi per g di grassi nella dietaoppure2000-4000 U di lipasi per poppata o per 120 ml di latte formula

10000 U di lipasi/kg di PC al giorno

I pazienti con IPE potrebbero iniziare con la dose più bassa raccomandata di TESP con un adeguamento in aumento in base alla risposta clinica (aumentare e adeguare se necessario in base alla presenza di malassorbimento alla dose minima efficace)

Gli enzimi sono più efficaci quando somministrati durante i pasti

Un trial con PPI potrebbe essere utile in quei pazienti che hanno sintomi di IPE pur assumendo alte dosi di TESP

Legenda. PC: peso corporeo; TESP: terapia enzimatica sostitutiva pancreatica*La dose degli enzimi dovrebbe essere dimezzata per gli snacks

V. Lucidi

134

nelle singole patologie (vedi Ta-bella V).

Criticità relative all'età pediatricaUn primo punto importante è che per i gastroenterologi pedia-tri il modello di classificazione di IPE proposto in tali LLGG è di-scutibile, in quanto spesso i pa-zienti pediatrici non hanno IPE (elastasi pancreatica >  500  UI/gr di feci) anche se affetti da forme calcificanti. Il miglioramento delle tecniche diagnostiche in età pe-diatrica ha favorito diagnosi pre-coci di pancreatite, in pazienti con conservata sufficienza secretiva enzimatica. Riconoscere preco-cemente una patologia congenita a evoluzione cronica che si asso-cia a dolori addominali ricorrenti, inappetenza e spesso malnutri-zione permette interventi utili a ral-lentare l’evoluzione di danno d’or-gano causato dalla infiammazione cronica e soprattutto a ridurre la sintomatologia addominale e la malnutrizione. I tempi di involu-zione fibrotica pancreatica sono paziente-specifici e non ancora catalogabili in rapporto a partico-

lari variabili (per esempio nella FC il tipo di diagnosi genetica); fortu-natamente gli interventi oggi di-sponibili come la papillotomia e il posizionamento di stent possono ridurre il grado di infiammazione e conseguentemente ritardare lo sviluppo di insufficienza secretiva. La terza categoria di IPE (insuffi-cienza pancreatica “improbabile”) non è ben definita in età pediatrica e la sua diagnosi appare partico-larmente complessa. Nei pazien-ti pediatrici con MICI, celiachia, colon irritabile, infatti, la frequen-te presenza di feci liquide rischia di dare falsi risultati patologici di elastasi fecale, così pure l’esecu-zione di test più invasivi può avere un’alta percentuale di falsi positi-vi e negativi. Probabilmente una buona esperienza del centro nello studio del bilancio dei grassi su 3 giorni di raccolta di feci permette un orientamento diagnostico sen-za utilizzare metodologie invasive. Il riscontro comunque di un livello elevato dell’elastasi fecale esclu-de la presenza di IPE (se valore > 500 UI/gr feci).La Tabella  III relativa alla terapia sostitutiva dell’insufficienza eso-crina enzimatica suggerisce poso-

logie standard in termini di Unità Internazionali (UI) di lipasi a ogni pasto per l’adulto (dalle 75.000 alle 80.000 UI di lipasi/pasto) e per l’e-tà pediatrica (massimo 10.000 UI lipasi/kg/die), senza alcun riferi-mento quantitativo al contenuto di lipidi nei pasti. Gli studi in età pediatrica, spesso condotti in pa-zienti affetti da FC, hanno dimo-strato invece l’importanza di una correlazione tra grassi ingeriti e fabbisogno di lipasi, anche se possono esistere differenze indi-viduali, poiché il processo della digestione è molto più complesso e non si esaurisce nella necessità della mera presenza degli enzimi digestivi. Le UI di lipasi riportate per l’età pediatrica fanno riferimento al do-saggio massimo consigliato per i pazienti affetti da FC, nei quali la maldigestione da assenza di suc-co pancreatico si associa a ridotto assorbimento mucosale ileale, a causa della presenza di un muco denso che avvolge il brush-border dei microvilli intestinali e all’in-fiammazione cronica mucosale correlata al gene CFTR. Nei pa-zienti con FC tale posologia deriva da studi epidemiologici e scientifi-

Tabella IV. RACCOMANDAZIONI SULLA GESTIONE DIETETICA DELL’IPE.

Raccomandazioni sulla gestione dietetica dell’Insufficienza pancreatica esocrina (IPE)

Monitorare il peso e i parametri antropometrici, i livelli di vitamine A, D, E, K e B12 e ferro, calcio e zinco alla diagnosi di IPE e almeno annualmente e trattare eventuali deficit quando necessario

Inviare il paziente con IPE da un nutrizionista esperto per la valutazione nutrizionale, il counseling e il supporto dietetico

La pancreatite cronica da deficit di lipasi non richiede una dieta con restrizione dei grassi se viene prescritta la TESP

Incoraggiare i pazienti a evitare l’alcol, a consumare una dieta con normale tenore di grassi con una quota sufficiente di proteine e di carboidrati che garantisca adeguati apporti nutrizionali

Avvisare i pazienti che devono assumere la TESP durante il pasto e non prima dello stesso

La supplementazione orale nutrizionale è raccomandata quando siano richieste energia e proteine addizionali e una nutrizione enterale può essere iniziata quando l’apporto orale sia insufficiente a garantire i fabbisogni

L’apporto proteico dovrebbe essere di circa 1-1,5 g/kg di peso corporeo al giorno

Bisogna screenare i pazienti con IPE o pancreatite cronica per la malattia dell’osso con la DEXA alla diagnosi e dopo 2 anni

Nella dieta quotidiana il 30% dell’energia totale derivante dai grassi è considerato un apporto appropriato. Solo nel caso dei pazienti con fibrosi cistica è appropriata una quota superiore e pari al 40%

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Le linee guida australoasiatiche sul trattamento

dell’Insufficienza Pancreatica Esocrina (IPE)

135

ci sul rischio di colopatia fibrosan-te, che è una complicanza molto grave diagnosticata in numerosi pazienti con FC negli anni  ’90.

Essa era causata da un eccessi-vo uso di enzimi pancreatici, che spesso venivano aumentati dai genitori e/o dai pazienti stessi per

ridurre i sintomi gastrointestinali da malassorbimento. Studi epide-miologici confermavano dosaggi giornalieri superiori alle 40.000 UI

Tabella V. RACCOMANDAZIONI SULLA TESP IN BASE ALLA PATOLOGIA CAUSA DI IPE.

Raccomandazioni sulla terapia enzimatica sostitutiva

Pancreatite acuta in età adulta

Non è raccomandata TESP in fase acutaMonitorare i pz per IPE per almeno 6-18 mesi (fino a 6 anni nei casi di pancreatite acuta severa)

Pancreatite cronica in età adulta

Indicata la TESP per migliorare sia i sintomi che la qualità di vita (si usa un trial di enzimi ad alte dosi accoppiati con PPI prima di passare all’uso di narcotici o trattamenti invasivi)

Pancreatite in adolescenza

Non ci sono evidenze per l’uso di TESP nella pancreatite acuta dell’adolescenteSi può usare la TESP nei casi di pancreatite cronica o di documentata IPE (nei pz con dolore cronico pan-creatico la TESP può essere usata per far regredire il dolore anche in assenza di una IPE documentata)

Fibrosi cistica Circa l’85% dei pz con FC ha una IPE dalla precoce adolescenzaLa TESP è indicata nei casi di IPE documentata o malassorbimento documentato

Chirurgia intestinale I pazienti possono sviluppare una IPE dopo la resezione intestinale (soprattutto quelli sottoposti a unachirurgia massiva del piccolo intestino). Teoricamente la TESP potrebbe essere prescritta con in asso-ciazione PPI in quei pazienti che hanno una clinica compatibile con IPE. La TESP andrebbe regolarmente rivista in base all’adattamento intestinale. I dosaggi devono essere individualizzati ma in genere sono da 25000 a 40000 U per i pasti principali e 10000 U per spuntini e snack in base al loro contenuto di grassi.

Gastrectomia Questi pazienti possono usufruire della TESP dopo la chirurgia (riduce la maldigestione e contribuisce almiglioramento dello stato nutrizionale post-chirurgico). Usare un PPI in coloro che sono stati sottoposti a gastrectomia parziale. In questi soggetti considerare attentamente la supplementazione di vitamina B12 e ferro. Il dosaggio è da 25000 a 40000 U per i pasti principali e 10000 U per spuntini e snack in base al loro contenuto di grassi. Nei pazienti con accellerato svuotamento gastrico possono essere prescritte for-mulazioni in granuli o le capsule possono essere aperte e i granuli cosparsi sugli alimenti. L’overgrowth batterico è una causa comune di malassorbimento dopo la chirurgia gastrica e non risponde alla TESP

Pancreatectomia (sia dopo malattie benigne che maligne del pancreas)

Le differenti forme di resezione pancreatica si associano a un diverso rischio di sviluppare IPE. Tutti i pazienti sottoposti a chirurgia pancreatica dovrebbero essere screenati per IPE. Devono sicuramente fareTESP post-operatoria coloro che sono stati sottoposti a pancreatectomia totale o subtotale e a pancre-atico gastrostomia

CR pancreatico non resecabile

Circa il 90% dei pazienti con CR pancreatico ha perdita di peso al momento della diagnosi. La perdita di peso può essere esacerbata dalla maldigestione e dal malassorbimento. Per tali motivi e utile prenderein considerazione la TESP in questi pazienti già al momento della diagnosi

Malattia celiaca Nei pazienti in cui nonostante la dieta senza glutine la IPE non regredisce dovrebbe essere valutata la funzionalità pancreatica. In quelli in cui c’è IPE severa si deve effettuare un trattamento con TESP. La supplementazione con enzimi può essere utile nei bambini immediatamente dopo la diagnosi indipen-dentemente dalla funzione pancreatica.

Diabete mellito Raramente c’e la necessita di un trial con TESP in pazienti con diabete. Nei casi di pazienti con recenteesordio e perdita di peso e steatorrea considerare sia una valutazione della funzione pancreatica (pato-logie pancreatiche e CR pancreatico) che undosaggio delle vitamine liposolubili

HIV La steatorrea può essere dovuta a IPE in circa il 30% dei casi. Il trattamento con PERT può ridurre la perdita di grasso fecale

Sindrome del colon irritabile (SBS)

I pazienti che hanno un SBS con fenotipo diarroico devono essere sottoposti a una valutazione della funzionalità pancreatica in quanto un’eventuale TESP in una documentata IPE può determinare un mi-glioramento dei sintomi.

V. Lucidi

136

di lipasi/kg/die soprattutto nei bambini più piccoli. Tutta la co-munità scientifica nord americana ed europea, per prevenire questa complicanza, ha sviluppato dati e raccomandazioni modificando progressivamente le dosi rac-comandate per l’IPE in FC. Le LLGG Nord americane del 1999, seguite da quelle europee del 2002, stabilirono di non ecce-dere le 10.000 UI di lipasi/kg/die per qualsiasi formulazione enzi-matica utilizzata. È necessario poi ricordare che prima degli anni 2000 tutti i pro-dotti a base di estratti di enzimi pancreatici erano regolamentati come “prodotti da banco”, con-tenenti dosaggi variabili rispetto alla composizione descritta sulla confezione a causa della scarsis-sima stabilità del preparato. Suc-cessivamente negli anni 2000 gli enzimi pancreatici in commercio, pur continuando a essere estratti da pancreas liofilizzato di maiale, sono stati stabilizzati e controlla-ti nella sicurezza e nella efficacia valutati con studi RCT e quindi catalogati come farmaci. Di fatto, come suggerisce la professores-sa Drucy Borowitz in un suo re-cente articolo, la dose massima raccomandata pari a 10.000  UI di lipasi/kg/die per l’IPE per i pa-zienti con FC merita una rivalu-tazione, perché non è basata su alcuna evidenza scientifica. La dose ottimale per i bambini, so-prattutto i più piccoli, è ancora oggi sconosciuta. Sono assolu-tamente necessari studi compa-rativi di efficacia e sicurezza con dosi più basse e/o più alte di en-zimi pancreatici. Nel frattempo è necessario continuare una rigida sorveglianza per la prevenzione della colonopatia fibrosante in tutti i pazienti FC di qualsiasi età e lo stesso vale per ogni paziente in trattamento cronico con enzimi pancreatici.Nelle LLGG il paragrafo sul ma-

nagement nutrizionale (vedi Ta-bella  IV), riferendosi a uno studio randomizzato controllato in età adulta del 2008, conclude sulla “non” necessità della supplemen-tazione nutrizionale in corso di IPE quando si utilizzano enzimi pan-creatici sostitutivi. Questa è una evidenza nell’età adulta mentre in età pediatrica richiederebbe una conferma con RCT con un nume-ro significativo di pazienti pediatri-ci con pancreatite acuta e cronica. L’esperienza clinica pediatrica sul-la malnutrizione dei pazienti con pancreatite cronica e acuta recidi-vante è sicuramente significativa, ma mancano studi prospettici per confermare o escludere le racco-mandazioni oggi ampiamente di-mostrate e utilizzate nei pazienti pediatrici con FC in cui le LLGG prevedono di aumentare le assun-zioni caloriche in misura tale da garantire il 130-150% delle RDA per età.Nell’ambito della disamina dell’I-PE nelle diverse categorie di pa-tologia è importante ricordare che il rischio di IPE durante le fasi acute di infiammazione pan-creatica è abbastanza documen-tata dalla letteratura scientifica in età adulta ma minori sono le conoscenze sulla durata media di recupero funzionale del pancre-as esocrino (12-18 mesi). Anche se l’esperienza clinica non sem-bra confermare questo dato nei bambini (se non in casi gravi post traumatici, ad esempio dopo rot-tura del dotto di Wirsung da ma-nubrio di bicicletta o dopo gravi necrosi parenchimali), sarebbero opportuni studi multicentrici per valutare il tempo medio di recu-pero del pancreas esocrino dopo una fase acuta. La variabilità del-le patologie infiammatorie acute in età pediatrica e l’enorme varia-bilità clinica delle stesse richiede-rebbero uno sforzo multicentrico internazionale anche attraverso registri dettagliati di malattia e

follow-up. L’evidenza che forme di infiammazione congenita come quella presente in FC possono determinare IPE anche dopo i 20-30 anni di vita sottolinea l’impor-tanza di un monitoraggio stretto con il dosaggio della elastasi fe-cale ancora prima dell’evidenza di una ritardata crescita pondero-staturale. Sicuramente sarebbe opportuno standardizzare, anche nei pazienti pediatrici, la tempi-stica della valutazione della IPE nel follow-up delle fasi acute, ma il monitoraggio di insufficienza pancreatica non dovrebbe con-cludersi dopo i 18 mesi dall’epi-sodio acuto.Le raccomandazioni riguardanti le pancreatiti croniche e la TESP suggeriscono l’assunzione enzi-matica solo nei casi di dimostrata steatorrea patologica. A questo scopo sono essenziali il dosag-gio delle vitamine liposolubili e la valutazione ossea con l’assorbi-metria a raggi X a doppia energia (DXA) per escludere osteoporosi. Per gli adulti vengono riportate posologie di lipasi dalle 25.000 alle 50.000  UI/pasto ma nessun riferimento è presente sull’età pe-diatrica, se non la quantità mas-sima già riportata per i bambini con IPE da FC. È da sottolineare, comunque, che anche in età pe-diatrica, il trattamento di PC con dolore associato trova benefici clinici con la somministrazione di una adeguata terapia sostitutiva enzimatica.Le LLGG riportano nel dettaglio le raccomandazioni sul trattamento sostitutivo enzimatico in FC facen-do riferimento alle attuali LLGG della Cystic Fibrosis Foundation e dell’European Cystic Fibro-sis Society, compreso il modello nutrizionale di implementazione calorico-proteica sia per os che in alimentazione artificiale (soprat-tutto nutrizione enterale) per bam-bini e adulti FC. La possibilità di sviluppo di IPE

GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Le linee guida australoasiatiche sul trattamento

dell’Insufficienza Pancreatica Esocrina (IPE)

137

dopo resezione gastrica e pan-creatica e dopo tumore, come pure dopo resezione ileale non ha evidenze per l’età pediatrica, come pure per i pazienti affetti da diabete mellito tipo 1 e 2. Vice-versa la malattia celiaca merita una riflessione specifica per l’età pediatrica. Oggi le conoscenze sull’epidemiologia della malat-tia, sulla variabilità clinica e so-prattutto la presenza di markers in grado di individuare i pazienti affetti prima ancora dell’espres-sione completa di malattia, ha modificato il fenotipo della ma-lattia celiaca soprattutto in età pediatrica. La storia ci ricorda che la dottoressa Anderson nel 1938 pubblicò uno studio su 2800 autopsie in pazienti celia-ci con l’obiettivo di studiare la grave insufficienza pancreatica dei pazienti celiaci deceduti per grave malnutrizione. Attraverso questa esperienza la Anderson arrivò alla identificazione di una nuova entità clinica, cioè la FC, evidenziando alcuni quadri isto-logici di pancreas, caratterizza-ti da pseudocistici e associati a danno polmonare. Questa rifles-sione sul passato è utile per sot-tolineare che in età pediatrica la grave malnutrizione può portare a danno del parenchima pancre-atico, in cui naturalmente la parte più colpita è proprio il parenchi-ma esocrino. Oggi assistiamo a una maggiore sopravvivenza in corso di nuove patologie ad alta complessità clinica. È probabi-le che in età pediatrica ci trove-remo ad affrontare il problema dell’IPE in molti altri quadri clinici oggi non conosciuti: per esem-

pio nelle resezioni estese ileali post-neonatali già conosciamo questa possibile complicanza, il cui meccanismo fisiopatologico è ancora poco chiaro (mancanza di feedback ormonale o solo malnu-trizione iniziale?)

ConclusioniLe raccomandazioni delle LLGG della Società scientifica australo-asiatica possono essere di stimo-lo per i gastroenterologi pediatri nell’individuare nuovi ambiti di studio e per chiarire alcune pro-blematiche relative alla IPE in età pediatrica. Non possono essere invece considerate LLGG di indi-rizzo terapeutico.Lo studio del pancreas e soprat-tutto della sua riserva funzionale esocrina merita in età pediatrica un’attenta sorveglianza in numero-se patologie che possono coinvol-gere la funzionalità del pancreas.Sono necessari studi appropriati epidemiologici e trial clinici tera-peutici per meglio definire il fabbi-sogno di enzimi pancreatici nelle sindromi da maldigestione. Alcuni suggerimenti su modelli di dia-gnosi e sorveglianza nel follow-up possono essere traslati dalle pa-tologie pancreatiche dell’adulto (come ad esempio accade nelle pancreatiti acute). Così come è accaduto per il ri-conoscimento precoce e la cura delle fasi iniziali delle pancrea-titi croniche su base genetica e malformativa, il gastroenterologo pediatra continuerà ad avere un ruolo importante nelle diagnosi precoci di IPE, nei modelli tera-

peutici e nella prevenzione delle complicanze da IPE così come è accaduto per la malattia pancrea-tica della FC.

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V. Lucidi

138

L’insufficienza pancreatica esocrina (IPE) è una condizione caratterizzata da una maldigestione e potenziale malnutrizione e si manifesta con un cluster di sintomi quali dolore addominale, diarrea, perdita di peso e deficit di nutrienti. L’espressio-ne di tali manifestazioni può avere severità variabile da caso a caso. Le cause della IPE possono essere condizioni anche molto diverse fra loro, ma che hanno in comune il fatto di determinare o grosse alterazioni anatomiche della struttura o più diffuse alterazioni funzionali del pancreas.

I pazienti con sospetta IPE possono essere suddivisi in 3 sottogruppi: • IPE definita: l’eziologia è rappresentata da alterazioni anatomiche importanti (pancreatectomia totale, pancreatite

calcifica severa, neoplasie della testa del pancreas ecc.) in cui la diagnosi è solo clinica.• IPE possibile: la eziologia è rappresentata da condizioni di alterazioni strutturali moderate del pancreas. La diagnosi in

questo caso si avvale anche di test diagnostici diretti e indiretti. • IPE improbabile: i sintomi clinici solo raramente sono dovuti a IPE (sindrome del colon irritabile, malattia celiaca, ma-

lattie infiammatorie croniche ecc.) e sono necessari test diagnostici, che però in questi casi possono determinare sia una sovrastima che una sottostima del problema, per cui sono casi in cui ci vuole un’attenta valutazione preliminare prima di candidare all’avvio della terapia sostitutiva enzimatica.

Per la diagnosi di IPE esistono test diretti e indiretti. I test diretti sono costosi e invasivi. I test indiretti sono più economici e non invasivi. Il gold standard fra i test diretti è rappresentato dalla raccolta del succo pancreatico in duodeno post-infusione di colecistochinina-secretina. Tra i test indiretti il gold standard è rappresentato dal bilancio dei grassi su 3 giorni di raccolta delle feci.

La terapia enzimatica sostitutiva pancreatica (TESP) viene realizzata in età pediatrica secondo le seguenti indicazioni:• Lattanti (< 6 mesi): 500-1000 U di lipasi per g di grassi nella dieta oppure 2000-4000 U di lipasi per poppata o per

120 ml di latte formula (dose massima 10000 U di lipasi/kg di peso corporeo al giorno).

• Bambini (6 mesi-3 anni): 500-4000 U di lipasi/g di grassi nella dieta oppure 1000 U di lipasi/kg di peso corporeo a pasto (dose massima 10000 U di lipasi/kg di peso corporeo al giorno).

• Bambini (4-17 anni): 500-4000 U di lipasi/g di grassi nella dieta oppure 500 U di lipasi/kg di peso corporeo a pasto (dose massima 10000 U di lipasi/kg di peso corporeo al giorno).

Le linee guida Australoasiatiche hanno il merito di avere effettuato per la prima volta una rivalutazione della letteratura scientifica (sebbene non si tratti di una revisione sistematica, ma una revisione basata su metodologia EBM e su un que-stionario di consenso fra esperti) su tutte le possibili patologie mediche e chirurgiche responsabili dello sviluppo di IPE e di aver effettuato un tentativo di unificazione anche degli aspetti diagnostici e terapeutici del problema. Sono necessari però ulteriori studi epidemiologici e ulteriori trial clinici per una maggiore definizione e diversificazione degli aspetti riguardanti le indicazioni gestionali e terapeutiche nelle diverse condizioni associate a IPE.

139Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:139-140

Soluzione del caso clinico

di pagina 127

Tommaso Alterio1

Camilla Salvestrini2

1 Addenbrookes Hospital, University of Cambridge, Cambridge, UK; Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Messina, Messina; 2 Addenbrookes Hospital, University of Cambridge, Cambridge, UK

Key words Rectal bleeding • Rectal ulcer  • Gastric heterotopia of the rectum • Erroneous embryologic development of the stomach

Abstract We report a case of a 2 years old girl referred to us with 3 weeks history of frank rectal bleeding. She was previously well with no significant past medical problems and a negative family history for GI conditions.Suspecting a juvenile polyp we performed an en-doscopy which showed a single linear ulcer in the rectum at 3 cm from the anal margin. Biop-sies taken nearby showed a heterotopic gastric mucosa of the rectum which represents a rare but recognized cause of rectal bleeding.

CASE REPORTa cura diANTONIO DI MAURO

Sviluppo del caso clinico e risoluzioneAlla luce della persistenza del sanguinamento, la bam-bina è stata sottoposta a indagine endoscopica con biopsie in anestesia generale. L’EGDS (esofagoga-stroduodenoscopia) è risultata macroscopicamente nella norma, la colonscopia ha messo in evidenza una mucosa normale dell’intero colon con evidenza di una ulcera coperta da fibrina, a 3  cm dal margine anale (Fig.  1). La valutazione microscopica delle biopsie rettali ha identificato la presenza di mucosa gastrica eterotopica associata a infiltrato infiammatorio cronico (Fig. 2). Veniva cosi avviata terapia con anti-H2 con pronta risoluzio-ne del sanguinamento.

Punti critici della diagnostica differenzialeIl quadro clinico presentato dalla piccola paziente, risultava vero-similmente poco compatibile con una diagnosi di malattia infiam-

Figura 1.Ulcera singola del retto coperta da fibrina.

Figura 2.Mucosa gastrica eterotopica associata ad infiltrato infiammatorio.

T. Alterio, C. Salvestrini

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matoria cronica intestinale vista l’assenza di campanelli d’allarme (red flags) per MICI: perdita di peso, sintomi notturni, positività degli indici di flogosi.Diventava quindi importante valuta-re le altre possibili diagnosi differen-ziali e inquadrarle nel contesto cli-nico presentato dalla bambina. La colite infettiva poteva essere esclu-sa sulla base dell’esame obiettivo (non febbre o dolore addominale) e della completa negatività degli esa-mi su feci e degli indici di flogosi. L’ipotesi della presenza di uno o più polipi intestinali era da conside-rarsi una della ipotesi più probabili prima della endoscopia, poiché il quadro clinico e la negatività degli esami ematochimici potevano es-sere compatibili. L’abuso sessuale, a nostro avviso, è rimasta una delle diagnosi differenziali più sospette anche dopo la colonscopia (ulcera singola del retto) e, per fortuna, è stata esclusa soltanto dopo il refer-to istologico delle biopsie.

CommentoIl termine eterotopia deriva dal greco ετεροτοπία e significa “al-

tra sede”. L’eterotopia gastrica del retto è una condizione molto rara, prevalente nel sesso maschi-le (M:F, 20:7)  1. La causa, ancora non del tutto nota, si pensa possa essere congenita e quindi dovuta a un errore dello sviluppo fetale durante la differenziazione delle cellule staminali endodermiche o a un erroneo sviluppo dello sto-maco che avviene tra la quarta e la settima settimana di età gesta-zionale; oppure acquisita come conseguenza di un trauma o di un processo distruttivo con esito in metaplasia, in maniera del tutto simile a quello che avviene nell’e-sofago di Barrett 2.In letteratura sono stati descrit-ti meno di 30  casi pediatrici di eterotopia gastrica del retto dal 1966 ad oggi  3. I sintomi d’esor-dio possono essere caratterizza-ti da sanguinamento rettale non accompagnato da dolore (95% dei casi), dolore anale (17% dei casi), dolore addominale (8,6% dei casi), diarrea (8% dei casi) o ulcerazione perianale (4,3% dei casi) 3. I riscontri macroscopici più frequenti possono essere polipi, diverticoli, ulcere o, esclusiva-

mente, aspetto eritematoso della mucosa rettale. Se non trattata, la lesione può portare a importante sanguinamento gastrointestinale, perforazione, intussuscezione, fistole retto-vescicali o evoluzio-ne verso la displasia maligna  3. Dal punto di vista terapeutico, il sanguinamento rettale risponde alla terapia con anti-H2 o PPI ma questi non inducono l’involuzione della lesione, per cui è necessaria una resezione chirurgica o endo-scopica 1.

Bibliografia1 Srinivasan R, Loewenstine H,

Mayle JE. Sessile polypoid gas-tric heterotopia of rectum: a re-port of 2 cases and review of the literature. Arch Pathol Lab Med 1999;123:222-4.

2 Wildemore B, Ciocca V, Infantolino A, et al. Gastric heterotopia of the rectum: a case report. Internet J Pathol 2006;5:1-4.

3 Al-Hussaini A, Lone K, Al-Sofyani M, et al. Gastric heterotopia of rectum in a child: a mimicker of solitary rectal ulcer syndrome. Ann Saudi Med 2014;34:245-9.

• L’eterotopia gastrica del retto è una condizione molto rara che richiede un’elevata abilità diagnostica dell’endoscopi-sta nel ricercare piccole lesioni spesso sottostimate.

• La diagnosi finale è sia macroscopica ma soprattutto istologica, in quanto i sintomi possono essere aspecifici.

• La prognosi dell’eterotopia gastrica del retto è potenzialmente severa in quanto, se non trattata, può portare a una evoluzione maligna della lesione.

• La terapia sintomatologica si basa sull’utilizzo degli anti-H2 e/o PPI ma per l’involuzione della lesione che può essere considerata potenzialmente una lesione precancerosa, è necessaria l’asportazione chirurgica o endoscopica.