nuovi scenari diagnostici e terapeutici per i tumori ginecologici · 2020. 4. 17. · del 16 aprile...

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PDF INTERATTIVO WWW . PHARMASTAR . IT 55 PAGINE 7 INTERVISTE 6 ARTICOLI NUOVI SCENARI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI PER I TUMORI GINECOLOGICI XXXIV Riunione Nazionale MITO Multicenter Italian Trials in Ovarian cancer and gynecologic malignancies Bologna, 23-24 gennaio 2020

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Page 1: NUOVI SCENARI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI PER I TUMORI GINECOLOGICI · 2020. 4. 17. · del 16 aprile 2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e il d.lgs. 52/2019

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55 PAGINE7 INTERVISTE6 ARTICOLI

NUOVI SCENARI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI PER I TUMORI GINECOLOGICI XXXIV Riunione Nazionale MITOMulticenter Italian Trials in Ovarian cancer and gynecologic malignancies

Bologna, 23-24 gennaio 2020

VENERDÌ 01 FEBBRAIO 2019

08.45 Saluto ai partecipanti e introduzione ospite M. Aglietta

08.50 LETTURA MAGISTRALECarcinoma ovarico: Quando la biologia dovrebbe guidare le decisioni cliniche? C. Sessa

SESSIONE II Moderatori G. Scambia, S. Danese

09.20 Evoluzione della classi�cazione anatomopatologica dei tumori ovariciG. Zannoni

09.40 Ruolo della citoriduzione secondaria nella recidiva platinosensibile

M.G. Salerno

09.55 Discussants: Pro P. Scollo - Contro S. Greggi

10.15 Impatto delle terapie a bersaglio molecolare sulla chirurgiaC. Marchetti

10.30 Discussant: F. Raspagliesi

10.40 Discussione generale sulle relazioni della sessione

10.50 Coffee break

SESSIONE III Moderatori: A. Savarese, U. De Giorgi

11.10 Nuovi algoritmi terapeutici nel trattamento di prima linea del carcinoma ovaricoS. Pignata

11.30 Discussione generale sull’argomento della relazione

11.40 Opzioni terapeutiche mediche nel trattamento della recidiva platinosensibileM. Di Napoli

11.55 Discussant: G. Valabrega

12.05 Immunoncologia nelle neoplasie ovaricheE. Ghisoni

12.20 Discussant: V. Salutari

12.30 Discussione generale sulle relazioni della sessione

SESSIONE IV Moderatori: D. Lorusso, G. Mangili

12.40 Vaccinazione contro HPV R. Ponzone

13.00 Nuove prospettive nella terapia medica dei sarcomi uteriniG. Ferrandina

13.20 Immunoterapia per i tumori di cervice ed endometrio: evidenze cliniche

E. Mazzoni

13.35 Discussant: D. Lorusso

13.50 Discussione generale sulle relazioni della sessione

14.00 Conclusioni e Compilazione del questionario ECM

14.15 Termine dei lavori e lunch di saluto

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IntroduzioneIl 23 e 24 gennaio, a Bologna, si è tenuta la XXXIV^ Riunione Nazionale del Gruppo Cooperativo MITO, tra i maggiori gruppi europei per lo studio delle patologie ginecologiche-oncologi-che. Focus dell’incontro sono stati gli ultimi progressi registra-ti in campo biologico-molecolare circa la comprensione dei meccanismi che governano l’insorgenza delle patologie onco-logiche ginecologiche, in particolare i meccanismi del riparo del DNA.

Prendendo spunto da questi aspetti, si sono illustrate le diret-trici in questo momento seguite per la individuazione di nuo-vi target molecolari e i conseguenti progressi registrati nella individuazione di nuove classi di farmaci intelligenti in grado di colpirli selettivamente, realizzando in tal modo l’obiettivo di una terapia personalizzata e rispettosa della qualità di vita delle pazienti.

Tali aspetti sono stati affrontati e dibattuti attraverso tavo-le rotonde e letture presentate dai maggiori esperti italiani dell’area ginecologica-oncologica provenienti da istituzioni all’avanguardia nella ricerca in tale specifica area.

Massima enfasi è stata data alla necessità che l’intero percor-so diagnostico-terapeutico sia sempre affrontato con una mo-dalità multidisciplinare, anche in virtù del fatto che sono ope-ranti - o sul punto di essere operanti - nella maggior parte delle

più grosse Regioni italiane, le reti oncologiche, che si basano, appunto, sul pilastro fondamentale della multidisciplinarietà.

I partecipanti hanno potuto avere, così, una visione comples-siva per quel che riguarda le più recenti opzioni di prevenzio-ne, diagnosi e terapia, già disponibili o di prossima introduzio-ne, che nel prossimo decennio permetteranno miglioramenti significativi nel percorso di cura per le pazienti con tumori gi-necologici e patologia neoplastica ovarica in particolare.

In questo pdf multimediale troverete una trasposizione scrit-ta delle sei relazioni presentate al convegno di Bologna e alcu-ne videointerviste agli esperti, materiale messo a punto da un team di oncologi e medical writer, e rivisto e approvato dagli autori.

Buona lettura e buona visione.

Dott. Ugo De GiorgiResponsabile scientifico del convegno

Prof. Sandro PignataPresidente del Gruppo MITO

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MITO 2018

LA RICERCA SUI TUMORI

GINECOLOGICI, OGGI E DOMANI

XXXI Riunione nazionale MITO

Multicenter Italian Trials in Ovarian cancer and gynecologic malignancies

Udine, 21-22 giugno 2018PDF INTERATTIVO

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80 PAGINE13 INTERVISTE

10 ARTICOLI

SCARICA IL PDF MITO 2019

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99 PAGINE16 INTERVISTE

12 ARTICOLI

MEDICINA PERSONALIZZATA

NEL TRATTAMENTO DEI TUMORI GINECOLOGICI

XXXII Riunione Nazionale MITO

Torino, 31 gennaio - 01 febbraio 2019

VENERDÌ 01 FEBBRAIO 2019

08.45 Saluto ai partecipanti e introduzione ospite

M. Aglietta

08.50 LETTURA MAGISTRALE

Carcinoma ovarico: Quando la biologia dovrebbe guidare

le decisioni cliniche?

C. Sessa

SESSIONE II

Moderatori G. Scambia, S. Danese

09.20 Evoluzione della classi�cazione anatomopatologica

dei tumori ovarici

G. Zannoni

09.40 Ruolo della citoriduzione secondaria nella recidiva

platinosensibile

M.G. Salerno

09.55 Discussants: Pro P. Scollo - Contro S. Greggi

10.15 Impatto delle terapie a bersaglio molecolare sulla chirurgia

C. Marchetti

10.30 Discussant: F. Raspagliesi

10.40 Discussione generale sulle relazioni della sessione

10.50 Coffee break

SESSIONE III

Moderatori: A. Savarese, U. De Giorgi

11.10 Nuovi algoritmi terapeutici nel trattamento

di prima linea del carcinoma ovarico

S. Pignata

11.30 Discussione generale sull’argomento della relazione

11.40 Opzioni terapeutiche mediche nel trattamento

della recidiva platinosensibile

M. Di Napoli

11.55 Discussant: G. Valabrega

12.05 Immunoncologia nelle neoplasie ovariche

E. Ghisoni

12.20 Discussant: V. Salutari

12.30 Discussione generale sulle relazioni della sessione

SESSIONE IV

Moderatori: D. Lorusso, G. Mangili

12.40 Vaccinazione contro HPV

R. Ponzone

13.00 Nuove prospettive nella terapia medica dei sarcomi uterini

G. Ferrandina

13.20 Immunoterapia per i tumori di cervice ed endometrio:

evidenze cliniche

E. Mazzoni

13.35 Discussant: D. Lorusso

13.50 Discussione generale sulle relazioni della sessione

14.00 Conclusioni e Compilazione del questionario ECM

14.15 Termine dei lavori e lunch di saluto

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Sei interessato ai report delle riunioni del gruppo MITO?

Consulta gli speciali di PharmaStar già pubblicati

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INDICE

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Opportunità e limiti delle nuove norme sulla ricerca clinica in Italia

Evoluzione del trattamento di prima linea del carcinoma ovarico

Algoritmi terapeutici per il tumore ovarico in seconda linea

Profili genetici e HRD

Le ennesime linee nei tumori ovarici

Terapie ormonali per il tumore ovarico e dell’endometrio

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sito, il decreto legislativo numero 52 del 14 maggio 2019 (d.lgs. 52/2019, il decreto attuativo della cosiddetta ‘legge Lorenzin’ che ha cambiato lo scenario della ricerca in Italia, afferma che affinché la ricerca funzioni deve essere valutata da personale indipendente e svolta e promossa da persone che non abbiano interessi sul prodotto della ricerca stessa. Non è ancora chia-ro quanto questa indicazione impatterà sulle sperimentazioni dal punto di vista pratico e la questione è materia di discussio-ne a tutti i livelli, dal comitato di coordinamento dei comitati etici ai singoli istituti di ricerca.

Ruolo della politica dovrebbe essere anche quello di definire i criteri di qualità della ricerca. A questo proposito, il regolamen-

Tratto dalla relazione di Gennaro DanieleDirettore Clinical Trial Center, Fondazione Policlinico Univer-sitario “A. Gemelli” IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

La ricerca rappresenta un settore strategico per l’Italia, ma le Istituzioni spesso non colgono l’opportunità di sviluppo che essa può garantire. Quella della ricerca è anche una questione politica, perché l’avanzamento scientifico e tecnologico, frutto della ricerca di base e applicata, rappresenta un volano per lo sviluppo del Paese. Inoltre, la ricerca porta a uno sviluppo eco-nomico, industriale e culturale, perché dove si fa ricerca si la-vora meglio, c’è crescita, si curano meglio le persone, e quindi si hanno ricadute pratiche sulla sanità pubblica e sulle scelte terapeutiche (figura 1). Nonostante ciò, purtroppo, le forze po-litiche tendono sovente a considerare la ricerca un optional, una mera voce di spesa che grava sui conti pubblici, e non una necessità basilare della società moderna su cui puntare e in-vestire per un futuro migliore.

Il ruolo della politica nella ricercaNon solo non dovrebbe essere così, ma la politica dovrebbe un ruolo attivo, a vari livelli, per favorire e migliorare la ricerca che si svolge nel nostro Paese.

Innanzitutto, uno dei compiti della politica dovrebbe essere quello di vigilare sull’indipendenza e sulla trasparenza del-le sperimentazioni, controllando che rispondano a criteri di scientificità, eticità e, appunto, indipendenza. A questo propo-

Opportunità e limiti delle nuove norme sulla ricerca clinica in Italia

GUARDA IL VIDEO

Le norme sulla ricerca clinica in Italia, a che punto siamo?

Dottor Gennaro Daniele

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to europeo 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e il d.lgs. 52/2019 stabiliscono che la ricerca non può essere fatta ovunque; il d.lgs. 52/2019, in particolare, sancisce che può essere effettuata solo in centri individuati dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) sulla base del posses-so dei requisiti necessari per la conduzione delle sperimenta-zioni cliniche dalla fase 1 alla fase 4 in conformità con le nor-me di buona pratica clinica (Good Clinical Practice, GCP), con strutture e mezzi idonei per effettuare la ricerca in sicurezza. Anche questo aspetto è in realtà oggetto di discussione, per-ché se si stringono troppe le maglie di chi può fare ricerca, il rischio è che i risultati della ricerca siano validi solo nei con-testi in cui essa è stata svolta.

Promuovere la ricercaInoltre, la politica dovrebbe avere il ruolo di promuovere della ricerca, e potrebbe farlo in diversi modi, in primo luogo faci-

litandola. A questo proposito, l’articolo 1, comma 1b del d.lgs. 52/2019 afferma che deve essere facilitato da parte delle strut-ture che possiedono una biobanca l’accesso ai campioni biolo-gici (residui da attività diagnostiche) per fini di ricerca, previo specifico consenso informato da parte dei pazienti. È la prima volta che questo aspetto viene normato in modo spcifico in Italia, anche se ad oggi non vi è ancora una vera applicazione di questa legge nella pratica. Lo stesso articolo, al comma 1c, afferma che sono stabilite misure per facilitare e sostenere la realizzazione degli studi clinici non profit e degli studi osser-vazionali, con particolare riferimento al coordinamento tra promotori pubblici e privati. Infine, l’articolo 7 afferma che le procedure di valutazione e autorizzazione delle sperimenta-zioni cliniche sono state ridefinite (facilitate).

Oltre che facilitandola, la politica potrebbe e dovrebbe pro-muovere la ricerca sul piano culturale. Da questo punto di vi-sta, l’articolo 1, comma 7, capo 4 della legge del 11 gennaio 2018 (Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché’ disposizioni per il riordino delle professio-ni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della Sa-lute) stabilisce per la prima volta che la sperimentazione deve avvalersi di personale specializzato nel campo della gestione dei dati e del coordinamento della ricerca, sottolineando l’im-portanza della formazione in questi settori attraverso master, corsi ecm di aggiornamento e corsi ad hoc a livello universi-tario in materia di metodologia della ricerca, conduzione dei trial, ecc., del personale operante presso le strutture impegna-te nei centri sperimentali.

Infine, la politica dovrebbe farsi promotrice della ricerca an-che sul piano economico. Finalmente si traduce in una norma italiana quanto già stabilito dal regolamento europeo 536/2014 sulla possibilità di collaborazione pubblico-privato nella pro-mozione di sperimentazioni cliniche.

Sanità pubblica

Promozione cultura/lavoro

Sviluppo Economico/Industriale

Figura 1. Le molteplici ricadute positive della ricerca.

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La ricerca ha bisogno di una cura o è in crisi?Ma qual è, attualmente lo stato di salute della ricerca in Italia? La ricerca, nel no-stro Paese, ha bisogno di una cura?

I dati dell’ultimo osservatorio naziona-le sulla sperimentazione clinica di Aifa, pubblicato il 3 ottobre 2019, mostrano che nel corso dell’ultimo decennio, il nu-mero di trial avviati è rimasto abbastan-za stabile (figura 2) e vengono autorizza-te più di 600 sperimentazioni all’anno, che è una cifra tutt’altro che trascurabile.

Le sperimentazioni condotte in Italia rappresentano circa il 20% della ricerca condotta in Europa; inoltre, dei 3154 stu-di censiti nel nostro Paese nel quinquen-nio 2014-2018, circa il 26% è stato ideato e promosso dagli sperimentatori (no pro-fit) (tabella 1).

Ragionando solo in termini di numero di studi, quindi, la risposta alla domanda “la ricerca ha bisogno di una cura?” sem-bra essere no. Ciononostante, molti riten-gono che la ricerca sia in crisi, soprattut-to quella accademica. Molto spesso gli studi proposti non soddisfano i requisiti previsti dalle linee guida e non vengono approvati. Tuttavia, la ricerca è in crisi anche per l’immagine che da di sé, attra-verso i mass media che ogni giorno inter-pretano il lavoro dei ricercatori cercando di divulgare i risultati degli studi.

Dati AIFA OSSC 03-10-2019

Dati AIFA OSSC 03-10-2019

Figura 2. Sperimentazioni autorizzate in Italia per anno nel periodo 2000-2018.

Tabella 1. Numero di sperimentazioni attive in Italia nel quiquennio 2014-2018 sponsorizzate e no profit.

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volta e ognuno deve essere sottoposto a un adeguato periodo di osservazione per monitorare la comparsa di eventuali effet-ti collaterali, prima di trattare quello successivo.

Dopo quest’episodio sono state prodotte molte determine na-zionali e internazionali relative ai criteri da seguire per gli stu-di di fase 1. In Italia l’Aifa ha diffuso nel 2015 una determina che ha stabilito i requisiti minimi e le procedure necessari per le strutture sanitarie che eseguono sperimentazioni cliniche di fase 1. Questa determina, tuttavia, esemplifica anche il fat-to che quando sullo stesso destinatario, cioè il ricercatore, in-sistono due dinamiche contrastanti, una volta a ristabilire il rigore scientifico e l’altra a restringere gli spazi di manovra e stabilire dei criteri, c’è un altissimo rischio di inflazione del processo di ricerca; c’è il rischio cioè, di confondere il possesso di criteri/strutture con le competenze e l’esperienza. Il confine tra governance e burocrazia è, di fatto, molto facile da attra-versare, soprattutto se manca adeguato un background cultu-rale; tutto può diventare ‘oggetto’ di certificazione, le ‘agenzie di certificazione’ fioccano e divampa la qualità formale (ma vuota), in fondo tutti possono fare uno studio di fase 1 sem-plicemente affittando un ente esterno per la certificazione di qualità. In realtà, in questo modo, c’è un alto rischio di confon-dere lo sviluppo ottimale di farmaci, la buona ricerca, con il ‘fare’ studi di fase 1. Il pericolo è elevato, anche perché negli Usa si approvano nuovi farmaci anche sulla base di studi pre-liminari di questo tipo.

In Italia, le strutture che si sono accreditate dopo la pubblica-zione della determina Aifa per la conduzione di studi di fase 1 sono molte: 144, con un totale di 86 centri clinici e 78 laborato-ri (figura 3).

Questo, soprattutto in ambito oncologico, ha rappresentato senza dubbio un’opportunità per i pazienti di accedere a nuovi

La norma è la cura giusta?La norma è una cura per la crisi, non per la malattia. Lo esem-plifica una vicenda avvenuta circa 16 anni fa nel Regno Uni-to. In un piccolo sobborgo di Londra, Northwick Park, ha sede un centro di sperimentazione clinica dove fino a pochissimo tempo fa si faceva la maggior parte degli studi di fase 1 sui vo-lontari sani. Nel 2006 partì uno studio di fase 1, in cieco, su un potenziale farmaco (TGN 1412), un super agonista del re-cettore CD28, molto promettente per l’epoca, quando anco-ra non si conosceva il ruolo l’immunoterapia. La molecola fu somministrata a sei persone, mentre due ricevettero un place-bo. Dopo 3 ore dall’infusione, i soggetti trattati con il farmaco sperimentale iniziarono a presentare effetti collaterali come mal di testa, febbre, brividi e una sindrome simil-influenzale; dopo un primo trattamento con corticosteroidi e un tempora-neo miglioramento dei sintomi, tutti svilupparono un’insuffi-cienza multiorgano e furono portati al pronto soccorso, dove il personale sanitario non era a conoscenza della sperimen-tazione clinica e i pazienti non sapevano che farmaco aves-sero assunto. Si pose quindi un problema di sanità pubblica, legato a un sindrome che in poche ora aveva portato a un’in-sufficienza multiorgano grave sei persone giovani; interven-nero quindi i comitati di esperti, si esaminarono i protocolli e i documenti che il comitato etico aveva vagliato quando aveva approvato lo studio, e si capì che lo studio era stato condotto in modo piuttosto ‘disinvolto’, in quanto non era stata fatta un valutazione preliminare del rischio del farmaco, il modulo per il consenso informato non era corretto, i pazienti erano tornati a casa sapendo sol di aver assunto un farmaco sperimentale o un placebo. Dopo aver analizzato l’accaduto, gli esperti misero a punto linee guida, destinate ai ricercatori e aventi l’obiettivo di non far più succedere episodi del genere. Oggi, sulla scorta di quest’esperienza, sono in vigore linee guida che regolano in modo stringente la conduzione degli studi di fase 1, secondo le quali, per esempio, i volontari devono essere trattati uno per

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farmaci, ma nello stesso tempo ha introdotto una possibilità di infrazione delle corrette procedure di conduzione degli studi.

La ricerca ha bisogno di governanceLa ricerca, dunque, è in crisi e non ha bisogno di cura, ma ha bisogno di governance. La ricerca non è tutta uguale. In un suo studio di Iain Chalmers, il medico britannico principale ispiratore e cofondatore della Cochrane Collaboration, mostra che la ricerca può essere rilevante per il suo valore teorico e di aumento delle conoscenze, ma anche rilevante per il suo impatto sulla pratica clinica (figura 4). C’è una ricerca che può avere un alto valore ‘teorico’, come quella portata avanti da Marie Curie, ma uno scarso o nullo impatto pratico imme-diato, e, viceversa una ricerca come quella dell’epidemiologo Richard Doll, il pioniere degli studi che hanno individuato nel fumo una delle principali cause di tumore, che nonostante lo scarso fascino teorico, ha avuto un impatto pratico enorme; vi è poi anche una ricerca, come quella di Louis Pasteur, fonda-tore della microbiologia moderna e considerato il ‘padre’ della vaccinazione, che combina in sé in modo eccellente la rile-vanza teorica e quella pratica; all’estremo opposto, tuttavia,vi è anche quella ricerca, definita da Chalmers ‘spazzatura’, che non ha né un anelito teorico né un risvolto pratico, e la possi-bilità che la ricerca ricada in questa categoria è molto elevata.

Infatti, si fa molta ricerca priva o quasi di risvolti teorici o pra-tici, per varie ragioni, prima fra tutte è che chi fa tanta ricerca e pubblica molto, fa carriera e può diventare ‘ricco e famoso’.

Chi detta l’agenda della ricerca?Il vero problema, quindi, è chi deve dettare l’agenda della ri-cerca clinica e non.

Il rischio insito nell’affidarsi a un sistema troppo tecnico e unicamente alle norme è quello della rassegnazione e dell’ab-Figura 4. Rilevanza pratica e teorica della ricerca.

Figura 3. Struttura attualmente autocertificate per la conduzione di studi di fase 1 in Italia.

After Stokes 1997

Rel

eva

nt f

or

adva

nci

ng

kn

owle

dge

Relevant for immediate application

CURIE QUADRANT PASTEUR QUADRANT

High

Pure basic researchwithout considering relevance to practical problems

Use-inspired basic researchto address important practical problems

Ispirazione: la ricerca non è tutta uguale

Thanks to Iain Chalmers

Ispirazione: la ricerca non è tutta uguale

Thanks to Iain Chalmers

Low HIGH

Low

WASTE QUADRANT

“The scandal of poor medical reserach”.(Altman D. BMJ 1994;308:283-4)

DOLL QUADRANT

Pure applied researchto address important practical problems

Ispirazione: la ricerca non è tutta uguale

Thanks to Iain Chalmers

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dicazione del ruolo del ricercatore. Se si confonde l’opportuni-tà con la norma, si rischia di non dettare l’agenda della ricerca.

Le norme stabiliscono i limiti e rappresentano delle opportu-nità, ma per resistere a tutto quello che non è ricerca, bensì spazzatura, i ricercatori devono riprendersi la responsabilità di dettare l’agenda della ricerca e di attuare la sua governance attraverso la promozione culturale e l’applicazione del rigore metodologico e delle idee. Il rigore è l’unica vera opportunità offerta dalla norme per vincere i sofismi e le burocrazie. Per-ché bisogna ricordare che il ruolo del ricercatore è quello di apportare un beneficio alla società e, come ha detto il profes-sor Doug Altman, ‘per massimizzare il beneficio per la società, non basta fare ricerca, bisogna farla bene’.

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In Italia, soprattutto grazie al lavoro del gruppo del Professor Giovanni Scambia, si è cercato di capire come selezionare le pazienti che possono ottenere una citoriduzione ottimale in prima istanza attraverso l’utilizzo della laparoscopia diagno-stica; mentre in Belgio, per esempio, si è ampiamente diffuso l’uso della risonanza magnetica preoperatoria. L’esperienza cli-nica del chirurgo rimane fondamentale nel processo di selezio-ne. In molti Paesi europei, in particolare in Francia, l’uso della chemioterapia neoadiuvante raggiunge tassi del 70%, mentre gli ultimi dati italiani degli studi del gruppo MITO evidenziano un ricorso alla chemioterapia neoadiuvante in circa il 25% dei casi, una percentuale che è probabilmente in aumento.

Tratto dalla relazione di Sandro PignataDirettore SC Oncologia Medica Uro-Ginecologica, Istituto Na-zionale Tumori IRCCS Fondazione “G. Pascale”, Napoli

Nell’ultimo periodo, ci sono state importanti evoluzioni nel trattamento di prima linea del carcinoma ovarico. Gli studi pubblicati di recente e presentati agli ultimi congressi, in que-sto setting, hanno lasciato molte questioni aperte su come si debba trattare una paziente affetta da carcinoma dell’ovaio in prima linea e non esiste, ad oggi, un algoritmo terapeutico uni-versalmente accettato.

Il ruolo della chirurgiaLa chirurgia rimane un caposaldo nel trattamento del carci-noma ovarico e la prognosi della paziente dipende soprattutto dagli outcome chirurgici. Riguardo al ruolo della chirurgia nel carcinoma ovarico, sappiamo che il residuo tumorale è il fat-tore prognostico più importante, sia essa una chirurgia citori-duttiva primaria (upfront o primary dubulking surgery, PDS) oppure una chirurgia d’intervallo (interval debulking surgery, IDS), e non è ancora stato identificato nessun biomarker in gra-do di prevalere come valore prognostico o predittivo sul ruolo del residuo tumorale post-chirurgia.

La maggior parte degli interventi di chirurgia upfront presenta un residuo di malattia e ad oggi resta aperta la domanda sia sul come identificare le pazienti che beneficiano della chirurgia, sia sulla tempistica ottimale della chirurgia (PDS versus IDS).

Evoluzione del trattamento di prima linea del carcinoma ovarico

GUARDA IL VIDEO

Tumore dell’ovaio, come sta cambiando la terapia di prima linea?

Professor Sandro Pignata

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Uno studio pubblicato da du Bois nel 2009 su Cancer ha mo-strato quale sia il beneficio di una citoriduzione a residuo zero a seconda dello stadio di malattia (tabella 1): le pazienti con tumore in stadio FIGO IIIC che non avevano residuo tumora-le al termine delle procedure chirurgiche hanno mostrato un vantaggio di sopravvivenza globale (OS) di circa 46,9 mesi ri-spetto alle pazienti con residuo tumorale, mentre nelle pazien-ti in stadio FIGO IV il vantaggio in assenza di residuo tumorale è risultato di circa 30 mesi. L’impatto che la chirurgia ha sul-la sopravvivenza è molto forte, superiore a quello di qualsiasi trattamento medico.

A breve saranno pubblicati due trial clinici i cui risultati definitivi chiariranno il ruolo della chirurgia nel carcinoma ovarico: SCORPION e TRUST. Lo studio SCORPION ha il van-taggio di essere stato condotto in maniera omogenea, all’in-terno di una singola istituzione, mentre lo studio TRUST quello di aver operato una selezione dei centri chirurgici che potevano partecipare mediante un processo di qualifi-cazione ed expertise.

Quale ruolo per la chirurgia nell’era dei PARP- inibitori?Un unmeet clinical need rimane il ruolo della chirurgia nell’e-poca dei PARP-inibitori, che hanno rivoluzionato il trattamen-to medico del carcinoma ovarico. Che cosa è cambiato oggi, dal punto di vista chirurgico, nelle pazienti BRCA-mutate e in quelle HRD-positive, che rispondono molto bene alla chemio-terapia e alla terapia con i PARP-inibitori?

Nel 2019, al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO) sono stati presentati i dati dello studio di fase 3 PAOLA-1, che ha mostrato come le pazienti sotto-poste a chirurgia primaria e aventi un residuo di malattia traggano un beneficio dall’aggiunta dell’inibitore di PARP

olaparib alla terapia di mantenimento con bevacizumab, con un hazard ratio (HR) di OS pari a 0,65; nello stesso stu-dio, nelle pazienti sottoposte a una citoriduzione ottimale (R=0), il vantaggio è risultato maggiore, con un HR pari a 0,45. Il beneficio dell’aggiunta di olaparib appare, quindi, maggiore nella popolazione sottoposta a chirurgia ottima-le, che non in quella con residuo tumorale dopo l’interven-to. Questo rafforza i dati a supporto dell’importanza della chirurgia a residuo zero di malattia nel trattamento del car-cinoma ovarico.

Il problema della frammentazioneUn grande limite nella chirurgia del carcinoma ovarico è che spesso viene eseguita in centri con bassi volumi chirurgici e, quindi, poca esperienza. Nella tabella pubblicata dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (age.na.s) (figura 1) si può notare come, in Italia, ci siano solo 12 centri che han-no una casistica superiore ai 50 casi di chirurgia dell’ovaio/anno, mentre ve ne sono 40 con una casistica tra i 20 e i 49 casi/anno. Il cut-off medio nazionale ideale stabilito per avere una buona competenza chirurgica nel carcinoma ovarico è tra i 30 e 40 casi all’anno.

Initial FIGO stage

No macroscopic residual tumour

Any residual tumour

HR (95% CI)

Patients (n) Median survival (months)

FIGO IIB–IIIB 497 108.6 317 48.3 0.37 (0.30, 0.47)

FIGO IIIC 486 81.1 1,293 34.2 0.36 (0.31, 0.42)

FIGO IV 63 54.6 467 24.6 0.49 (0.34, 0.70)

+60.3 mesi

+46.9 mesi

+30.0 mesi

Il beneficio della citoriduziona a residuo assente

du Bois A, Reuss A, Pujade-Lauraine E, et al. Cancer 2009;15:1234–44

Tabella 1. Il beneficio di OS della citoriduzione con residuo assente.

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anche se le evidenze del loro utilizzo in modo precoce confer-mano sempre di più un maggiore beneficio clinico in una fase precoce della malattia.

Molte sono ancora le domande aperte riguardo all’impiego di questi farmaci; tra queste: 1) capire se in prima linea le pazienti vadano trattate con un

PARP-inibitore indipendentemente dall’esito del test che valuta la presenza di un deficit della ricombinazione omo-loga (Homologous Recombination Deficiency, HRD),

2) stabilire se l’anti-angiogenico (bevacizumab) e il PARP-ini-bitore sinergizzino e definire quali pazienti siano le migliori candidate per il trattamento con la combinazione di questi due agenti.

Al momento, gli esperti si dividono fra chi sostiene che si debbano sottoporre al test dell’HRD tutte le pazienti e chi so-stiene non sia necessario, dal momento che i PARP-inibitori si sono dimostrati efficaci in tutte le pazienti, anche in quel-le non BRCA-mutate.

Cambio di scenario in prima linea con l’avven-to dei PARP-inibitoriLo scenario della terapia medica di prima linea del tumore ovarico è stato modificato radicalmente dallo studio di fase 3 SOLO-1, presentato nel 2018 al congresso dell’ESMO, un trial randomizzato e controllato con placebo nel quale si è valu-tata l’efficacia di olaparib come terapia di mantenimento in quasi 400 pazienti con tumore di nuova diagnosi in sta-dio avanzato (stadio FIGO III-IV), con mutazioni di BRCA1, BRCA2 o entrambi i geni (BRCA1/2) che avevano risposto alla chemioterapia a base di platino. Nelle pazienti BRCA-mutate si sono registrati un tasso di sopravvivenza libera da progres-sione (PFS) a 3 anni del 60% e una riduzione del rischio di progressione o decesso del 70% (HR 0,30), un risultato storico e impensabile fino a pochi anni fa. L’introduzione di olaparib

La chemioterapia neoadiuvante (NACT) rimane un’opzio-ne di terapia praticabile in pazienti selezionate, quelle, cioè, non candidabili a chirurgia primaria perché aventi una bassa probabilità di ottenere una citoriduzione ottimale, tuttavia la NACT non va vista come il rimedio per l’assenza di una chi-rurgia di qualità, cioè dell’assenza di una expertise chirurgica all’interno dei vari centri.

I PARP-inibitoriLa più grande evoluzione degli ultimi anni nel trattamento del carcinoma ovarico è rappresentata dall’avvento dei PARP-inibi-tori. A breve, nella pratica clinica, tutte le pazienti riceveranno in un momento della loro storia oncologica un PARP-inibitore: o in prima linea o al momento della recidiva platino-sensibile,

Figura 1. Volume di ricoveri per intervento chirurgico per tumore dell’ovaio in Ita-lia (dati 2017).

N. s

tru

ttu

re

Classi di volume

250

200

150

100

50

0

≤3 4;9 10;19 20;49 ≥50

47 40

10

2

>150

50-150

209

107

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Il 35% delle pazienti aveva un tumore in stadio FIGO IV all’e-sordio, il 99% aveva un residuo di malattia dopo la PDS, nel 67% dei casi le pazienti erano state sottoposte alla chemioterapia neoadiuvante.

Quanto allo status di BRCA e dell’HRD, il 30% delle pazienti (quin-di circa una su tre) aveva una mutazione di BRCA1/2 (pazienti BRCA-mutate), il 51% aveva un tumore con HRD (pazienti HRD-po-sitive), mentre la quota di pazienti HRD-positive, ma BRCA 1/2 non mutato, era del 20%; anche se la quota delle pazienti senza HRD, cioè HR-proficient (HRP), non è stata stabilita con certezza, perché circa il 10-15% delle pazienti arruolate non è stato valuta-to (il materiale a disposizione non era sufficiente per completare il test), sappiamo che le pazienti HRP erano almeno il 30%.

L’endpoint primario del trial era la PFS nella popolazione con HRD, che comprende anche le pazienti BRCA-mutate, e nell’in-tera popolazione studiata (intention-to-treat, ITT). Nella popo-lazione con HRD, la terapia di mantenimento con niraparib si è associata a una riduzione del 57% del rischio di progressione o decesso (HR 0,43), mentre, nella popolazione ITT la riduzio-ne del rischio è risultata del 38% (HR 0,62) (figura 2).

come terapia di mantenimento in prima linea nel carcinoma dell’ovaio ha rappresentato, quindi, una vera rivoluzione e da novembre 2019 è possibile utilizzare il farmaco in modalità CNN come terapia di mantenimento nelle pazienti BRCA-mu-tate che hanno risposto alla terapia di prima linea standard a base di platino.

All’ESMO 2019 sono stati presentati i risultati di altri tre studi molto importanti: PRIMA; PAOLA-1 e VELIA. Pur concludendo tutti che i PARP-inibitori sono efficaci come terapia di man-tenimento dopo la prima linea a base di platino, questi trial hanno caratteristiche diverse.

Lo studio PRIMAPRIMA è un trial di fase 3 randomizzato e controllato con place-bo, volto a valutare l’efficacia di niraparib come mantenimen-to in pazienti con tumore di nuova diagnosi in stadio avanzato dopo la risposta alla terapia di prima linea a base di platino. Uno dei criteri di inclusione era la presenza di residuo tumo-rale dopo la chirurgia upfront. La popolazione studiata aveva, quindi, una prognosi peggiore rispetto a quella sottoposta a una citoriduzione ottimale.

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Attualmente è possibile utilizzare il farmaco attraverso un programma di Expanded Access aperto in Italia come terapia di mantenimento sia nelle pazienti BRCA-mutate sia in quelle senza mutazioni di BRCA1/2 che hanno risposto alla terapia di prima linea standard a base di platino.

Per quanto riguarda le analisi di sottogruppo, pur non avendo una potenza statistica adeguata, vanno tenute in considera-zione perché danno due informazioni importanti. La prima è che le pazienti HRD-positive, ma non BRCA-mutate beneficia-no del mantenimento con il PARP-inibitore quasi come quelle BRCA-mutate (HR per la PFS rispettiva-mente 0,50 e 0,40); questo è un dato im-portante che potrebbe cambiare la storia naturale della malattia anche nelle pa-zienti con BRCA wild type, ma HRD-posi-tive (figura 3); inoltre, il trattamento con niraparib ha mostrato di fornire un bene-ficio clinicamente significativo, seppure inferiore a quello osservato nei due sotto-gruppi sopra citati, anche nel sottogrup-po HR-proficient, con una riduzione del 32% del rischio di progressione o decesso (HR 0,68) (figura 3).

Figura 2. Curve di Kaplan-Meier di PFS nella popolazione con HRD e nella popolazione ITT nello studio PRIMA.

Figura 3. Beneficio di PFS nello studio PRIMA. Analisi dei sottogruppi in base allo stato dell’HR e di BRCA1/2.

NiraparibNiraparib

Placebo Placebo

Placebo

Niraparib

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L’endpoint primario del trial era la PFS valutata dagli speri-mentatori secondo i criteri RECIST v1.1 nella popolazione ITT.

Quando il trial è stato disegnato, il braccio di controllo preve-deva il trattamento con il solo bevacizumab, manca quindi un braccio di controllo con il solo olaparib e ciò non consente di concludere se esista o meno un sinergismo tra l’anti-angioge-nico e il PARP-inibitore. Nei prossimi mesi, tuttavia, partirà lo studio MITO-25 che ad oggi è l’unico al mondo volto a chiarire questo aspetto.

Tra le pazienti arruolate nel PAOLA-1, il 62% non aveva resi-duo di malattia dopo la PDS e quasi il 70% non lo aveva dopo

l’IDS; la popolazione arruolata in questo studio, quindi, è prognosticamente più favorevole rispetto a quella dello stu-dio PRIMA, perché sottoposta a una chi-rurgia ottimale nella maggior parte dei casi. Per quanto riguarda la risposta alla chemioterapia a base di platino, alcu-ne avevano risposto in modo completo e altre in modo parziale. Inoltre, il 30% circa delle pazienti erano BRCA-muta-te e il 20% erano HRD-positive, ma non BRCA-mutate.

Le analisi di sottogruppo di questo studio mostrano che le pazienti HRD-positive, sia quelle BRCA-mutate sia quelle BRCA-non mutate traggono un beneficio dal mante-nimento con la combinazione di un ola-parib e bevacizumab rispetto al solo beva-cizumab (HR per la PFS rispettivamente 0,33 e 0,43), così come visto nello studio PRIMA, mentre quelle HRD-negative o il

Lo studio PAOLA-1PAOLA-1 è un trial di fase 3 randomizzato e controllato in cui si è valutata l’efficacia dell’aggiunta di olaparib al mantenimen-to con anti-VEGF bevacizumab per 2 anni dopo la chemiotera-pia di prima linea a base di platino in pazienti con tumore in stadio FIGO III-IV (figura 4).

Lo studio ha coinvolto 806 pazienti, arruolate indipendente-mente dallo stato mutazionale e dal tipo o dall’esito dell’in-tervento chirurgico, che avevano risposto in modo completo o parziale al trattamento di prima linea con la chemioterapia contenente platino e bevacizumab per almeno 3 cicli.

Figura 4. Disegno dello studio PAOLA-1.

PAOLA-1 STUDY DESIGN

Isabelle Ray-Coquard, ESMO 2019

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HRD-negative, e quindi non BRCA-mutate, invece, il beneficio del mantenimento è apparso inferiore nello studio PRIMA e non significativo nello studio PAOLA-1.

I risultati di questi due studi lasciano, quindi, due questioni aperte.

Utile aggiungere bevacizumab al PARP-inibitore?Innanzitutto, è utile aggiungere bevacizumab al PARP-inibitore? Per quanto riguarda questo primo aspetto, il razionale della combinazione dei PARP-inibitori con gli anti-angiogenici è mol-to forte. Diversi dati preclinici dimostrano come l’ipossia croni-ca (indotta da bevacizumab) aumenti la capacità di acquisire

difetti della ricombinazione omologa e an-che dati clinici mostrano un sinergismo tra i due farmaci. Per esempio, uno studio di fase 2 in cui si è confrontata la combi-nazione cediranib più olaparib con il solo olaparib ha mostrato un tasso di risposta complessiva dell’80% contro 46%. Anche i dati dello studio di fase 2 AVANOVA, pub-blicato di recente su The Lancet Oncology, nel quale si è confrontata la combinazione niraparib-bevacizumab con il solo nirapa-rib, ha mostrato come la combinazione del PARP-inibitore con l’anti-angiogenico sia estremamente efficace (HR 0,35).

Tuttavia, in virtù del suo disegno, lo stu-dio PAOLA-1 non ha fornito una risposta alla domanda sul possibile sinergismo tra PARP-inibitori e bevacizumab, per cui quando sarà disponibile questa combina-zione di farmaci, quali criteri si potranno utilizzare per decidere a quali pazienti

cui status dell’HRD non era stato determinato (pari circa al 50% della popolazione globale arruolata) no (HR 0,92) (figura 5).

Il messaggio degli studi PRIMA e PAOLA-1Nei due studi PRIMA e PAOLA-1 è stata dunque identificata una popolazione che può beneficiare della terapia di mante-nimento con il PARP inibitore dopo la chemioterapia di prima linea a base di platino.

Alla luce dei risultati di questi due trial, si può concludere che i PARP-inibitori funzionano anche nelle pazienti non BRCA-mu-tate, ma HRD-positive, sebbene il beneficio sia maggiore nel-la popolazione HRD-positiva e BRCA-mutata. Nelle pazienti

PAOLA-1 PFS BY HRD STATUS

Isabelle Ray-Coquard, ESMO 2019

Figura 5. Curve di Kaplan-Meier di PFS in base allo status dell’HRD nello studio PAOLA-1.

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dell’HRD, che permette di identificarle, probabilmente queste donne saranno quelle ancora candidate a ricevere bevacizumab.

Quel che è emerso chiaramente dagli studi PRIMA, PAOLA-1 e VELIA è che le pazienti HR-proficient non beneficiano dei PARP-inibitori quanto quelle con HRD. L’aspettativa in termini di vantaggio di PFS è importante sia per i medici (al fine di va-lutare terapie alternative) sia per le pazienti. Occorre avere dei parametri oggettivi sulla base dei quali poter decidere quale terapia scegliere e sicuramente il test dell’HRD potrebbe esse-re uno di questi. Sono già disponibili test commerciali e una prospettiva futura, per ridurre i costi, potrebbe essere quella di implementare test di tipo accademico.

In ogni caso, fino a quando non sarà disponibile un test dell’HRD che permetta di distinguere fra pazienti HR-profi-cient e pazienti con HRD, l’opportunità di offrire il beneficio dimostrato dai PARP-inibitori nella popolazione con HRD do-vrebbe comunque prevalere.

Prospettive futureRiguardo alle prospettive future nello scenario di cura del car-cinoma ovarico due sono le strategie principali allo studio: la combinazione dell’immunoterapia con bevacizumab e quella dell’immunoterapia con i PARP-inibitori. La prima fonda il suo razionale sulla capacità dell’anti-angiogenico di agire con di-versi meccanismi sul sistema immunitario (figura 6), la se-conda sul fatto che i tumori ovarici delle pazienti BRCA-mu-tate mostrano un aumento dei linfociti infiltranti il tumore (Tumor Infiltrating Lymphocytes, TILs), che sembra esservi un’associazione fra carico di neoantigeni ed espressione ele-vata di PD1 e/o il suo ligando PD-L1 nei tumori ovarici con mu-tazioni geniche e, infine, che un carico mutazionale tumorale elevato aumenta la probabilità di sviluppo di neoepitopi spe-cifici per il tumore che potrebbero conferire un beneficio clini-co in seguito al blocco di PD-1.

offrirla? Da esperienze di molti centri si sa che bevacizumab trova maggiore indicazione nelle pazienti che non hanno otte-nuto una citoriduzione ottimale e quindi resta il dubbio se of-frire il bevacizumab alle sole pazienti ad alto rischio o a tutte.

PARP-inibitori a tutte le donne, a prescindere dal risultato dei test?Un’altra questione aperta è se i PARP-inibitori debbano essere somministrati a tutte le pazienti indipendentemente dal ri-sultato dei test del BRCA e dell’HRD. A questo proposito, se si effettua un confronto un po’ ‘improprio’ tra lo studio PRIMA, da un lato, e lo studio GOG218, dall’altro (tabella 2), che ha por-tato alla registrazione di bevacizumab in prima linea nel car-cinoma dell’ovaio, si osserva che nella popolazione HR-profi-cient PRIMA ha dato risultato positivo, con un HR pari a 0,68, così come il GOG218, con un HR pari a 0,71. In realtà, tuttavia, i due studi non sono comparabili, perché PRIMA ha arruolato una popolazione selezionata in base alla risposta alla chemio-terapia a base di platino, mentre GOG218 una popolazione non selezionata, alla quale bevacizumab veniva somministrato dall’inizio della chemioterapia.

Pertanto, di fronte a una paziente HR-proficient, che cosa si può offrire? Appena sarà disponibile nella pratica clinica il test

PARP a tutti indipendentemente dal test? E il Beva?

PRIMA 1Niraparib

SOLO-1 2Olaparib

PAOLA-1 3Olaparib

VELIA 4

VeliparibGOG-218 5

BevacizumabICON7 6

Bevacizumab

N 733 391 806 1140 1873 1528

Overallpopulation 0.62 0.59 0.68 0.73 0.87

HR deficientBRCAmut 0.40 0.30 0.31 0.44

0.95ND

HR deficientBRCAwt 0.50 0.43 0.74 NS ND

HR proficientBRCAwt 0.68 0.92 NS 0.81 NS 0.71 ND

Tabella 2. Confronto fra gli studi PRIMA, SOLO-1, PAOLA-1, VELIA, GOG-218 e ICON7.

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Attualmente sono in corso numerosi studi di fase 3 in cui si stanno esplorando queste due strategie nel setting della tera-pia di prima linea. Tra questi, vi sono lo studio IMAGYN050, nel quale si testa l’aggiunta dell’immunoterapico anti-PD-L1 atezolizumab alla terapia di prima linea con carbotaxolo-pa-clitaxel-bevacizumab, lo studio ATHENA, in cui si valuta una terapia di mantenimento con rucaparib più l’anti-PD1 nivolu-mab, lo studio FIRST, nel quale il mantenimento viene effet-tuato con niraparib e l’anti-PD1 sperimentale dostarlimab, lo studio DUO, nel quale si valuta la combinazione di olaparib e durvalumab come mantenimento e lo studio BGOG, nel quale olaparib è, invece, combinato con l’anti-PD1 pembrolizumab.

In conclusioneCome sempre, i risultati degli ultimi studi hanno aperto nuove domande; pertanto, gli algoritmi di trattamento del carcino-ma ovarico per la prima linea, ad oggi, non sono ancora chia-ri. Inoltre, si è in attesa di capire quale possa essere il ruolo dell’immunoterapia nel trattamento carcinoma ovarico.

40

1. Gavalas et al. Br J Cancer 2012; 2. Terme et al. Cancer Res 20133. Coukos. Br J Cancer 2005; 4. Bouzin, et al. J Immunol 2007

5. Shrimali, et al. Cancer Res 2010; 6. Chen & Mellman. Immunity 2013

VEGF(R), vascular endothelial growth factor (receptor)

VEGF

Directly inhibits T-cell functionBinds to VEGFR2 on T cells1

Indirectly inhibits T-cell functionKills T cells by tumourendothelium-produced FasL2

Stimulates immunosuppressive regulatory T cells2

Inhibits dendritic cell functionDrives them into an immature state3

Reduces lymphocyte adhesion to vessel wallsDecreases immune-cell recruitment to the tumour site4

Inhibition normalises tumour vasculature Enhancing T-cell trafficking and infiltration into the tumourbed5,6

RATIONALE FOR COMBININGIMMUNOTHERAPY PLUS BEVACIZUMAB

Figura 6. Razionale per la combinazione di bevacizumab con l’immunoterapia.

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ministrazione della chemioterapia a base di platino e l’insor-genza della recidiva. Le pazienti venivano quindi classificate in quattro categorie in base al PFI: se il PFI era > 12 mesi le pazienti erano definite platino-sensibili, se compreso tra 6 e 12 mesi parzialmente platino-sensibili, se < 6 mesi platino-re-sistenti e se la recidiva insorgeva in corso di terapia a base di platino o entro 4 settimane dal termine erano definite plati-no-refrattarie. Questa classificazione è stata superata dalla Consensus conference di Tokyo del 2015; da allora, il PFI, pur mantenendo un suo ruolo, non può più essere considerato l’u-nico parametro quando si decide la nuova strategia terapeuti-ca al momento della recidiva. I parametri di cui bisogna tenere conto sono l’istologia del tumore, la presenza o meno di deficit

Tratto dalla relazione di Domenica LorussoUOC Ginecologia Oncologica, Fondazione Policlinico Universi-tario “A. Gemelli” IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

La storia naturale del tumore dell’ovaio è un continuum ed è quindi inevitabile dover stabilire un algoritmo di trattamen-to che parta dalla prima linea e che si allarghi alla seconda linea, diventando una vera e propria strategia terapeutica. Ne-gli ultimi anni, molti studi hanno valutato le diverse strategie di mantenimento che hanno come finalità il prolungamento dell’intervallo di tempo tra un ciclo di chemioterapia e l’altro. Ogni linea di chemioterapia determina una cosiddetta pres-sione selettiva, cioè vengono selezionati cloni cellulari che ri-spondono alla chemioterapia e alcuni cloni che diventano re-sistenti, il che riduce chiaramente linea dopo linea l’efficacia del trattamento (figura 1).

Il ruolo del platinum free interval nella scelta della terapia alla recidivaPer questo motivo l’algoritmo terapeutico di ciascuna pazien-te andrebbe strutturato già a partire dalla prima linea. Una re-cente casistica di più di 3000 pazienti inserite in un database francese e tedesco pubblicata su Annals of Oncology. ha dimo-strato che fino alla quarta linea la chemioterapia aumenta la sopravvivenza delle pazienti. Fino a poco tempo fa, i clinici definivano la recidiva in base a un solo parametro, il platinum free interval (PFI), cioè il tempo intercorso tra l’ultima som-

Algoritmi terapeutici per il tumore ovarico in seconda linea

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Tumore ovarico, presente e futuro della terapia di seconda linea

Dottoressa Domenica Lorusso

20scarica il quaderno mito 2019scarica il quaderno mito 2018 www.pharmastar.it 20

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della ricombinazione omologa (Homologous Recombination Deficiency, HRD), il ruolo della chirurgia e le scelte terapeuti-che adottate in prima linea, che condizionano inevitabilmen-te il trattamento di seconda linea e delle linee successive.

Alla Consensus di Tokyo, quindi, è stato introdotto un nuovo concetto di recidiva: recidiva per la quale il platino rappresen-ta un’opzione di trattamento e recidiva per la quale non lo è. Non esiste più una vera categorizzazione e la scelta viene ri-servata al clinico.

Sul ruolo della chirurgia nel setting della seconda linea, e in particolare dell’importanza di avere un chirurgo esperto che effettui l’intervento, si discute da molti anni, ma anche il ruolo dell’oncologo medico esperto della patologia fa la differenza, perché il trattamento del tumore dell’ovaio sta cambiando ra-dicalmente nell’ultimo periodo.

Ad oggi non esiste nessun biomarcatore validato predittivo di una resistenza al platino; si sa soltanto che uno stato di HRD è predittivo della risposta al platino, ma non si è ancora in grado di identificare da un punto di vista biomolecolare le pazienti che sono, invece, resistenti a questo trattamento.

Al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO) nel 2018 sono stati ulteriormente ridiscussi i con-cetti di platino-resistenza e platino-sensibilità. La resistenza comprovata al platino è stata definita come progressione du-rante la chemioterapia a base di platino, mentre la resistenza presunta/attesa al platino è stata definita come una recidiva sintomatica precoce che ha poche probabilità di rispondere a un’ulteriore terapia a base di platino; occorre, tuttavia, capire cosa si intende per precoce: vi sono dati che tendono a mostra-re nelle pazienti con più di 3 mesi di PFI la stessa risposta al platino delle pazienti un PFI superiore mesi, per cui si è pro-

posto di utilizzare come cut-off un PFI di 3 mesi. La sensibilità al platino può essere comprovata o presunta, e quest’ultima è riferita alle pazienti che hanno risposto al platino in passato e che non hanno avuto una recidiva precoce asintomatica; in questa categoria di pazienti potenzialmente responsive al pla-tino sono incluse tutte quelle che sono state sottoposte a una chirurgia ottimale (R=0), nelle quali, non essendoci residuo tumorale, non si è potuta testare effettivamente la sensibilità al platino ma anche le pazienti che per vari motivi non sono state trattate con il platino (tabella 1).

Ruolo della chirurgia alla recidiva ancora da chiarireAncora da chiarire è il ruolo della chirurgia alla recidiva poi-ché, per definizione, il trattamento della recidiva del tumore ovarico è chemioterapico. Sono attualmente in corso vari stu-di volti a definire il ruolo della chirurgia secondaria e terzia-ria. Uno di questi è lo studio AGO DESKTOP III/ENGOT ov20,

N numbers show total population; confidence lines represent 95% Cls for total population.CI, confidence interval; ORR, overall response rate.

ORR

(%)

100

90

80

70

60

50

40

30

20

10

01

(n=18)2

(n=50)3

(n=74)4

(n=44)5

(n=32)6–14

(n=55)

Previous lines of chemotherapy received

Total (n=273)Sensitive (n=74)Resistant (n=115)

du Bois a, Pfisterer J. Zentralbl Gynakol. 2004;126:312-4.

Figura 1. Risposta obiettiva al trattamento in funzione del numero di recidive.

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un trial multicentrico randomizzato che ha coinvolto oltre 400 pazienti con car-cinoma ovarico alla prima recidiva, con un PFI superiore ai 6 mesi, sottoposte alla sola chemioterapia di seconda linea oppure alla chirurgia citoriduttiva se-condaria seguita dalla chemioterapia. Lo studio ha già dimostrato che una chirur-gia secondaria con residuo tumorale pari a zero si associa a un beneficio di oltre 7 mesi in termini di sopravvivenza libera da progressione (PFS) (figura 2) e si at-tendono i risultati relativi alla sopravvi-venza globale (OS, endpoint primario del trial), che saranno presentati nel giugno prossimo al congresso dell’American So-ciety for Clinical Oncology (ASCO).

Lo studio GOG 213, presentato al congresso ASCO nel 2018, ha dato tuttavia un risulta-to diverso, poiché non ha mostrato una dif-ferenza significativa tra il fare e non fare la chirurgia secondaria in termini di OS nell’intera popolazione studiata, pur evi-denziando outcome migliori nelle pazien-ti che hanno ottenuto una citoriduzione ottimale rispetto a quelle in cui la chirur-gia ha lasciato un residuo di malattia. Tale studio presenta, tuttavia, diversi bias.

I dati sull’OS dello studio AGO DESKTOP III, attesi all’ASCO 2020, saranno quindi importanti per chiarire meglio il ruolo del follow-up nel carcinoma dell’ovaio, ad oggi non ben definito in quanto non

Tabella 1. Come si definisce la platino-resistenza e in che modo questa influisce sul trattamento successivo.

Figura 2. Curve di PFS nello studio AGO DESKTOP III a seconda dell’outcome chirurgico.

AGO DESKTOP III: Outcome 3 (PFS by surgical outcome)(AGO-OVAR OP.4; ENGOT-ov20; NCT01166737)

Surgery in relapse: the new reality DESKTOP 3 TRIALSurgery in relapse: the new reality DESKTOP 3 TRIAL

Summary or recommendations LoE GoR Consensus

There are currently no molecular biomarkers to predict platinum-response.

Resistance to platinum in recurrent ovarian cancer is a therapeutic-oriented definition: 1. Proven platinum resistance: progression during platinum therapy2. Assumed/expected platinum resistance: early symptomatic relapse with

low probability of response to platinum.These patients should be treated with sequential non-platinum therapy adding bevacizumab if indicated.

Sensitivity to platinum in recurrent ovarian cancer is a therapeutic-oriented definition: 1. Proven platinum sensitivity: response to platinum; these patients can receive

maintenance PARP inhibitors2. Assumed/expected platinum sensitivity: previous response to platinum

without early symptomatic relapse; these patients should be treated with platinum-based therapy adding bevacizumab or followed by maintenance PARP inhibitor therapy, if indicated. This group includes those who did not receive prior platinum or those who received adjuvant platinum post-surgery without any evaluable residual disease to assess chemotherapy response.

I-IV A

Yes: 75% (30 voters) No: 10% (4 voters)

Abstain: 2,5% (1 voters) Missing: 12,5% (5 voters)

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dello studio QUADRA, un trial a braccio singolo, nel quale si ottenuto nella popolazione HRD-positiva un tasso di risposta obiettiva (ORR) del 24% e un tasso di controllo della malattia a 16 mesi del 50%, con una PFS di 9 mesi.

La Consensus di Tokyo ha stabilito che le pazienti non candi-dabili a una terapia a base di platino, oltre che con le mono-chemioterapie possono essere trattate anche con combinazio-ni di farmaci non derivati dal platino, come la combinazione PLD più trabectedina o la combinazione di chemioterapia e bevacizumab. Per esempio, lo studio AURELIA ha dimostrato che l’aggiunta di bevacizumab alla chemioterapia raddoppia le risposte obiettive e raddoppia la PFS nelle pazienti fino ad oggi definite platino-resistenti (figura 3).

Nonostante le richieste avanzate dalla comunità scientifica, bevacizumab non è ancora rimborsato in Italia in questo set-ting di malattia; tuttavia, il brevetto del farmaco scadrà a metà del 2020 e ci sono tre farmaci biosimilari che permettono un abbattimento del costo della terapia e molto probabilmente saranno registrati nelle indicazioni in cui attualmente non è possibile usare bevacizumab.

Tra le combinazioni chemioterapiche non a base di platino, l’associazione trabectedina-PDL ha mostrato di offrire un be-neficio significativo di OS rispetto alla sola PLD nelle pazien-ti con recidiva parzialmente platino-sensibile (6-12 mesi). Quest’anno sono attesi i risultati definitivi dello studio INOVA-TYON nel quale si confronta nello stesso setting il miglior trat-tamento a base di platino (PLD più carboplatino) con quello non a base di platino (PLD più trabectedina), con la possibi-lità di passare al platino al momento della progressione del-la malattia nel braccio PLD-trabectedina. I risultati di questo studio potrebbero rispondere alla domanda relativa alla vali-dità di una strategia basata sull’effetto sequenza, e cioè se sia

vi sono indicazioni precise su quale debba essere la frequen-za dei controlli di imaging. Se il risultato di OS sarà positivo, il ruolo del follow-up uscirà rafforzato, in quanto sarà fonda-mentale poter distinguere precocemente tra le pazienti pla-tino-sensibili quelle che possono beneficiare dell’intervento chirurgico; se, invece, il dato di OS sarà negativo, anche il ruo-lo del follow-up verrà ridimensionato, in quanto diagnosticare precocemente le pazienti platino-sensibili candidabili alla ci-toriduzione risulterà inutile se si dimostrerà che utilizzare la chirurgia, una delle armi più potenti oggi a disposizione, non si traduce in un aumento di sopravvivenza. Nel secondo caso, quindi, non avrà alcun senso investire nel follow-up dell’ova-io una quota consistente delle risorse economiche destinate all’oncologia medica, quota che potrà essere allocata diversa-mente e in modo più proficuo.

Pazienti per le quali il platino non è un’opzionePer quanto riguarda le strategie terapeutiche per le pazienti con carcinoma ovarico per le quali il platino non è un’opzione, vi sono diverse possibilità.

La prima è rappresentata dalla monochemioterapia: qualsia-si farmaco scelto in questo setting - doxorubicina liposomiale (PLD), taxolo settimanale, gemcitabina, topotecan o etoposi-de - dà tassi di risposta praticamente sovrapponibili, nessuno si è dimostrato superiore rispetto a un altro dal punto di vista dell’efficacia, ma a differenziarli è il profilo di tossicità, che va discusso con la paziente.

Nell’ambito della monoterapia non a base di platino si affac-ciano anche altre categorie di farmaci, in primis i PARP-inibi-tori, le cui approvazioni sono condizionate dagli studi di fase 3 in corso. Nell’ottobre 2019, la Food and Drug Administration ha approvato niraparib per trattamento di pazienti già tratta-te con tre o più linee di chemioterapia, sulla base dei risultati

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Il futuro è comunque rappresentato, con tutta probabilità, dalle combinazio-ni senza chemioterapia (chemo-free). Lo studio AVANOVA2, presentato al con-gresso ASCO 2019, ha dimostrato che la combinazione niraparib più bevacizu-mab è superiore alla monoterapia con niraparib nelle pazienti con carcino-ma ovarico che sono in recidiva suc-cessiva alla prima. L’inibitore di PARP e l’anti-angiogenico hanno dimostra-to di sinergizzare in modo significati-vo in tutte le pazienti, tranne in quelle BRCA-mutate (figura 5).

Questo risultato potrebbe avere due spiegazioni: la prima è rappresentata dal basso numero di pazienti BRCA-mu-tate arruolate nello studio, la seconda è che quando l’HRD è così forte come nelle pazienti BRCA-mutate e si ha a disposi-zione un farmaco target efficace come niraparib, è difficile osservare un bene-ficio con l’aggiunta di un secondo agente (in questo caso bevacizumab).

Il concetto di platino-sensibilità, quindi, è facilmente applicabile alla prima recidiva, ma dalla seconda recidiva in poi è difficile stabilire il peso da attribuirgli.

Pazienti candidabili al platinoNelle pazienti candidabili alla terapia a base di platino si possono utilizzare tre combinazioni – carboplatino-taxolo, carboplatino-PLD e carboplatino-gemcitabina – che hanno dimostrato di dare gli stessi risultati in termini di risposte;

meglio fare subito un’altra terapia a base di platino (in questo caso PLD più carboplatino) oppure una terapia non a base di platino (PLD più trabectedina) e dopo questa, eventualmente, rifare il platino (figura 4).

Se i risultati di questo studio saranno positivi, cioè se si dimo-strerà che trabectedina somministrata prima del platino mi-gliora le risposte successive al platino, si dovranno cambiare nuovamente gli algoritmi di terapia.

Figura 3. Lo studio AURELIA.

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In conclusioneIn conclusione, gli scenari di trattamento del carcinoma ova-rico, compresi quelli della seconda linea, sono in continua evoluzione; pertanto, così come il trattamento chirurgico va affidato a un chirurgo esperto, anche quello medico deve es-sere gestito da un clinico esperto e specializzato nella patolo-gia, in quanto tutti i farmaci disponibili, possibilmente nella sequenza appropriata, dovrebbero essere incorporati nella se-quenza terapeutica.

Il ruolo della chirurgia (e di conseguenza del follow-up) sarà chia-rito dai risultati finali di OS dello studio AGO DESKTOP III/ENGOT ov20, che saranno presentati al prossimo congresso dell’ASCO.

di nuovo, quindi, la scelta fra un regime e l’altro va orienta-ta e discussa con la paziente in base al profilo di tossicità. Inoltre, il platino può essere combinato con bevacizumab in coloro che non hanno ricevuto l’anti-angiogenico in pri-ma linea; in Italia, infatti, finora non è stato approvato l’im-piego di bevacizumab nelle pazienti già trattate con questo farmaco, a differenza di quanto accaduto negli Stati Uni-ti, proprio sulla base dei risultati di uno studio coordinato da ricercatori italiani, il MITO16B, che ha dimostrato come nelle pazienti già trattate in prima linea con bevacizumab più la chemio a base di platino e recidivate non prima di 6 mesi dall’ultimo trattamento con il platino, un rechallenge con bevacizumab associato a una doppietta a base di plati-no aumenti del 50% i tassi di controllo di malattia rispetto alla sola doppietta.

Nelle pazienti con carcinoma ovarico alla prima recidiva e con recidiva platino-sensibile, in caso di risposta completa o parziale oggi, in Italia, è possibile proporre una terapia di mantenimento con un inibitore di PARP, indipendentemente dal risultato del test dell’HRD.

Attualmente è in corso lo studio OrEO che probabilmente chiarirà, con i suoi risultati, se sia possibile utilizzare nuo-vamente i PARP-inibitori dopo averli già utilizzati in una linea precedente. Questi farmaci si sono finora dimostrati efficaci indipendentemente dalla linea di trattamento in cui vengono usati. Tuttavia, poiché, il loro impiego è condi-zionato dalla risposta a una chemioterapia a base di platino e le probabilità di risposta a questo trattamento si riducono con l’avanzare delle linee di trattamento, sarà importante, per il futuro, poter offrire alle pazienti il PARP-inibitore alla prima indicazione utile.

Figura 4. Il disegno dello studio INOVATYON.

INOVATYON

Relapsed ovarian cancer with platinum-free interval (PFI) of 6-12 months

Randomization (strata: ECOG, measurable disease, PFI)

PLD 30 mg/m2 1 hour i.v. + Carboplatin AUC 5 q4weeks

Up to 6 cycles or progression

3rd line chemotherapy: at investigator discretion

PLD 30 mg/m2 1 hour i.v. + Trabectedin 1.1 mg/m2 q3weeks

Up to 6 cycles or progression

3rd line chemotherapy: platinum rechallenge

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Per quanto riguarda la terapia medica, è stato dimostrato che nelle linee succes-sive alla prima il concetto di platino-sen-sibilità riduce il suo impatto; inoltre, le pazienti BRCA-mutate dovrebbero essere trattate con PARP-inibitori e questi far-maci dovrebbero essere integrati il più presto possibile nell’algoritmo terapeuti-co, in quanto la risposta al platino tende a ridursi con nelle linee di trattamento più avanzate.

Figura 5. Lo studio AVANOVA2. Outcome di PFS in funzione dello status di BRCA.

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Tratto dalla relazione di Nicola NormannoDirettore SC Biologia Cellulare e Bioterapie, Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione “G. Pascale”, Napoli

La riparazione dei danni del DNA mediante il meccanismo della ricombinazione omologa (Homologous Recombination, HR) è un processo complesso che coinvolge molti geni, tra cui BRCA1/2, ma non solo. Questi geni codificano per proteine che in modo simultaneo raggiungono il sito di rottura del DNA, in particolare dove è presente una rottura ‘double strand’, cioè di entrambi i filamenti della doppia elica, e che coordinano la ri-parazione del danno. Oltre a BRCA1/2, altri mediatori del pa-thway dell’HR comprendono, per esempio, i geni ATM, PALB2, RAD51, CHEK1/2 (figura 1).

Il deficit della ricombinazione omologaLe cellule in cui vi sono mutazioni funzionali di BRCA1/2 pre-sentano un deficit dell’HR (Homologous Recombination De-ficiency, HRD), ma anche mutazioni funzionali in altri geni coinvolti nel pathway dell’HR possono portare a un HRD.

Il fatto che nella riparazione del DNA mediante HR vi sia-no tanti attori è di per sé una complicazione notevole dal punto di vista diagnostico, ma probabilmente rappresenta anche un’opportunità da quello terapeutico. Infatti, al di là degli inibitori di PARP ci sono tanti altri farmaci in sviluppo che sfruttano principi diversi e che potrebbero comunque essere utilizzati per colpire questo pathway, nel quale i tan-ti geni coinvolti costituiscono altrettanti potenziali target terapeutici.

Profili genetici e HRD

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Tumore ovarico, che cos’è e come si rileva il deficit della ricombinazione omologa?

Dottor Nicola Normanno

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Di tutti i tumori ovarici epiteliali, una quota compresa fra il 41 e il 54% presenta un deficit della riparazione dei danni del DNA a causa di alterazioni dei geni del pathway dell’HR e, all’inter-no di questa quota, il 20% è rappresentato dai tumori con mu-tazioni dei geni di BRCA1/2 (somatiche o germinali) e il 14% da tumori con mutazioni germinali di BRCA1/2 (figura 2), per-centuali che potrebbero essere ancora più alte si si considera solo il sottotipo serioso di alto grado.

HRD e PARP-inibitoriLo status del sistema di riparazione del DNA mediante HR – deficitario o, al contrario, funzionante (deficient o proficient) – ha un riflesso terapeutico, in quanto influisce sulla sensibi-lità delle cellule tumorali agli inibitori di PARP (figura 3). Le mutazioni patogenetiche germinali o somatiche di BRCA1/2 determinano uno stato di HRD che rende la cellula tumorale sicuramente sensibile a questi farmaci; vi sono poi alterazio-ni epigenetiche di BRCA e svariate altre alterazioni a carico di geni diversi (per esempio mutazioni di CDK12, metilazione del promotore di RAD51C, e altre ancora) che potrebbero essere coinvolte nell’HRD e rendere quindi una paziente potenzial-mente sensibile all’inibizione di PARP; infine, in presenza di alcune condizioni come l’amplificazione della ciclina E1, ri-scontrata nel 15% dei casi, la riparazione del DNA mediante HR non è deficitaria e ciò si associa, in teoria, a una assenza di sensibilità ai PARP-inibitori.

DNA Repair defects in Ovarian CancerApproximately half of epithelial ovarian cancers exhibit defective DNA repair throughalterations in homologous recombination (HR) pathway genes.

Konstantinopoulos PA, et al. Cancer Discov. 2015;5(11):1137-54.

20%

14%

41%–54%

All Epithelial Ovarian

BRCA Mutant(Somatic + Germline)

HR Deficient

Germline BRCA

Mutant

Figura 2. Difetti della riparazione del DNA nel carcinoma ovarico.

HR Repair Is a Complex Process Involving Many Genes

Cells with functional BRCA mutations are

deficient in HR

Other mediators of the HR pathway include

ATM, PALB2, RAD51, CHEK1/2

Functional mutations in other HR pathway

genes can also result in HR deficiency

Lord C.J. and Ashworth A. Nature 2012; Hosoya N, et al. Cancer Sci. 2014; Konstantinopoulos PA,

et al. Cancer Discov. 2015.

Figura 1. La riparazione dei danni del DNA mediante HR è un processo complesso che coinvolge molti geni.

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Tuttavia, in alcuni studi, per esempio nello studio NOVA, i PARP-inibitori si sono dimostrati efficaci indipendentemen-te dallo status dell’HRD, quindi sia nelle pazienti HR-deficient sia in quelle HR-proficient. È possibile, quindi, che questi far-maci agiscano anche attraverso un meccanismo diverso da quello noto, che si dovrebbe indagare, ed è altresì possibile che al momento non si riesca a discriminare in maniera cor-retta le pazienti HR-deficient da quelle HR-proficient con i test attualmente disponibili. Questo potrebbe spiegare alcune di-screpanze dei dati fra i diversi studi ed evidenzia la necessità di sviluppare quanto prima un test affidabile e riproducibile per la determinazione dello status dell’HRD.

Due sono gli approcci genetici possibili per indentificare la pre-senza di HRD nelle donne con carcinoma ovarico: cercare quali sono le cause dell’HRD oppure cercare i suoi effetti (figura 4).

Approcci genetici per identificare l’HRDNella tabella 1 sono schematizzati gli approcci attualmente allo studio per sviluppare un test in grado di identificare uno stato di HRD nei tumori ovarici.

I pannelli geneticiPer quanto riguarda la ricerca delle cause dell’HRD, attualmen-te l’unico approccio possibile prevede l’utilizzo di pannelli nei

Targeting PARP in DNA Repair-deficient OC: BRCA and Beyond

Levine D. The Cancer Genome Atlas, Molecular profiling of serous ovarian cancer, 2011, Konstantinopulos PA et al Cancer Discovery 2015; HR: Homologous Recombination

May be sensitive to

PARP inhibition

Sensitive to PARP inhibition

Not sensitive to PARP inhibition

May be sensitive to

PARP inhibition

Figura 3. Sensibilità o meno ai PARP-inibitori nel carcinoma ovarico in base allo stato dell’HR.

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quali si ricerca la presenza di mutazioni che determinano una perdita di funzione nei geni, tra cui BRCA1/2, ma non solo, impli-cati nella riparazione del DNA mediante HR. Ne sono stati messi a punto diversi (per esempio il BROCA Panel, sviluppato dalla University of Washington, e il MYRIADmyRISK Panel), che pren-dono in esame un numero di geni variabile (da 19 fino a 49 geni).

Questi pannelli presentano vantaggi e svantaggi. Il primo limite è insito nel fatto che sono stati sviluppati per un’analisi a livello ger-minale e non somatico. Ma poiché è noto che tra le mutazioni di BRCA1/2, sia quelle germinali sia quelle somatiche possono deter-minare uno stato di HRD, lo stesso vale probabilmente anche per gli altri geni coinvolti nel sistema di riparazione del DNA median-te HR. I suddetti pannelli necessitano, quindi, di essere validati anche per la rilevazione delle mutazioni somatiche di tutti i geni coinvolti nel pathway dell’HR. Oltre a questo, i pannelli attuali pre-

sentano anche altri limiti e probabilmente non rappresentano una soluzione del pro-blema per diversi motivi. Innanzitutto, il sequenziamento genico non permette di identificare alterazioni epigenetiche come la metilazione del promotore o altre cau-se di repressione dell’espressione genica; inoltre, le mutazioni di altri geni coinvolti nell’HR sono rare, è difficile trovarle e non è chiaro quali mutazioni del pathway dell’HR provochino HRD; in più, l’effetto di queste mutazioni sulla sensibilità ai PARP-ini-bitori potrebbe non essere lo stesso delle mutazioni di BRCA1/2. L’analisi dell’HRD mediante i pannelli genetici dà, quindi, un quadro solo parziale del problema.

Approaches for the identification of HRD in ovarian cancers

HRD testing

Gene panels Genomic scars Mutational signatures Additional biomarkers

LOH (Loss of Heterozigosity) Signature 3

Analysis of

RAD51 foci

Gene

Expression

Profiling

Alterations

in HRR genesTAI (Telomeric Allelic Imbalance) Copy Number Signature

HRDetectLST (Large-scale State

Transitions)

Assess the cause of HRD

by looking for loss of

function of HRR genes.

It measures the effects of HRD

by looking for patterns of

genomic damage

Potential biomarker of

HRD, irrespective of the

genetic mechanisms

involved.

Functional

biomarker of

defects in HR

system

Additional

indicator

of HR

deficiency

Tabella 1. Approcci per l’identificazione dell’HRD nel carcinoma ovarico.

Figura 4. I due approcci genetici per indentificare l’HRD nelle pazienti con carci-noma ovarico.

Two Genetic Approaches to IdentifyingHRD in Individuals with Ovarian Cancer

Look for the Cause of HRDWhat genomic changes can

cause defects in the homologous recombination

repair pathway?

-----------------------------------Assess the cause of HRD by looking for loss of function of

key HRR genes

Look for the Effect of HRD

What is the result in the genome of defects in the

homologous recombination repair pathway?

-----------------------------------Identify the consequences of

HRD by looking for patterns of genomic damage

Two Genetic Approaches to IdentifyingHRD in Individuals with Ovarian Cancer

Look for the Cause of HRDWhat genomic changes can

cause defects in the homologous recombination

repair pathway?

-----------------------------------Assess the cause of HRD by looking for loss of function of

key HRR genes

Look for the Effect of HRD

What is the result in the genome of defects in the

homologous recombination repair pathway?

-----------------------------------Identify the consequences of

HRD by looking for patterns of genomic damage

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La ricerca delle ‘cicatrici genomiche’L’identificazione dell’HRD può basarsi anche sulla ricerca dei suoi effetti, cioè le conseguenze che un deficit nel pathway dell’HR produce a livello del genoma. In pratica, la presenza di HRD determina alterazioni diffuse a livello del genoma, quali fenomeni di amplificazione e delezione, e altre alterazioni più complesse dei cromosomi, che nell’insieme costituiscono una vera e propria firma dello status di HRD che si ritrova, quindi, solo in tumori che hanno questa caratteristica.

Su questo fronte, una delle possibilità è quella di ricercare le cosiddette ‘cicatrici genomiche’. Un deficit dell’HRD può por-tare a una riparazione difettosa del DNA che può determinare instabilità genomica e la formazione di alterazioni definite ‘ci-catrici genomiche’. I tre principali tipi di ‘cicatrici genomiche’ associate ad HRD sono la perdita di eterozigosi (Loss Of Hete-rozigosity, LOH), lo squilibrio allelico dei telomeri (Telomeric Allelic Imbalance, TAI) e rotture cromosomiche in regioni adia-centi che nel complesso costituiscono le cosiddette Large-sca-le State Transitions (LST), e sono allo studio test dell’HRD che si basano sulla ricerca di queste alterazioni (figura 5).

Genomic instability

Error-prone repair of DNA

Genomic Instability Status Measured Using HRD Testing May Identify More Potential for Intervention

Watkins JA, et al. Breast Cancer Res. 2014; Swisher E, et al. Presented at 26th EORTC-NCI-AACR Symposium, 2014. Abstract 215.; Abkevich V, et al. Br J Cancer. 2012; Birkbak NJ, et al. Cancer Discov. 2012; Popova T, et al. Cancer Res. 2012

Loss of HR

LOHLarge-scale

genomic loss of heterozygosity

TAITelomeric allelic

imbalance

LSTLarge-scale

state transitions

Large-scale state transitions are chromosomal breaks

between adjacent regions of ≥10 Mb

Diagnostic tools that can provide a clinically meaningful

assessment of genomic instability are being

developed, tested, and refined

Allelic imbalance is the unequal contribution of

maternal and paternal DNA sequences with or without

changes in overall DNA copy number

In a locus with one normal and one abnormal allele, loss of the normal allele produces

a locus with no normal function

Figura 5. I tre tipi di cicatrici genomiche associate ad HRD: LOH, TAI e LST.

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Un altro tipo di ‘cicatrice genomica’ di cui si può andare a ri-levare la presenza è il TAI. L’espressione ‘squilibrio allelico’ (allelic imbalance, AI) si riferisce a un’anomalia cromosomi-ca caratterizzata da un contributo diseguale delle sequenze di DNA materne e paterne in una coppia di cromosomi omologhi. L’AI è telomerico se si estende a livello dei telomeri, cioè le re-gioni terminali dei cromosomi (figura 7).

Si pensa che un accumulo di TAI all’interno del genoma possa riflettere uno stato di HRD. Inoltre, la frequenza del TAI ha dimo-strato di essere predittiva di sensibilità al platino in linee cellu-lari di tumore mammario, nel tumore mammario triplo negativo e nel carcinoma ovarico sieroso. In pazienti con carcinoma ova-rico con BRCA1/2 wild type, le pazienti platino-sensibili hanno dimostrato di avere una frequenza di TAI significativamente più alta rispetto a quelle platino-resistenti. Inoltre, si è visto che

L’LOH è dovuta al passaggio da uno stato di eterozigosi a livel-lo germinale a uno stato apparentemente di omozigosi nel tu-more, legato alla possibile rottura e alla conseguente perdita di un pezzo di un cromosoma parentale; in alcuni casi si ha un bilanciamento di tale perdita mediante una duplicazione di una parte del cromosoma residuo per compensare la parte perduta, ma anche in questo caso si ha perdita di eterozigosi, perché la parte di cromosoma duplicata è diversa da quella dell’altro cromosoma (figura 6).

È stato dimostrato che vi è una correlazione altamente positi-va fra la presenza di HRD nel tumore e un grado intermedio di LOH, che comprende regioni più lunghe di 15 megabasi (Mb), ma meno ampie di un intero cromosoma. Il test che valuta l’LOH fornisce un HRD score, che è definito come il numero di queste regioni presenti all’interno di un campione tumorale.

Figura 6. La perdita di eterozigosi (LOH). Figura 7. Lo squilibrio allelico dei telomeri (TAI). Nell’immagine sono mostrati due cromosomi omologhi, in uno dei quali si è avuto un guadagno di due ulteriori copie della regione telomerica A, che ha determinato uno squilibrio nel rapporto allelico tra il cromosoma materno e quello paterno (1:3).

1. Birkbak NJ et al. Cancer Discov. 2012 ;2(4):366-75. 2. Watkins JA et al. Breast Cancer Res 2014;16:211

Centromere

Germline Tumour

Telomere

Ryland GL. et al. BMC Medical Genomics 2015;8:45; Abkevich V et al. Br J Cancer 2012 ;107: 1776–1782 1. Birkbak NJ et al. Cancer Discov. 2012 ;2(4):366-75. 2. Watkins JA et al. Breast Cancer Res 2014;16:211

Loss of Heterozygosity (LOH)

Ryland GL. et al. BMC Medical Genomics 2015;8:45; Abkevich V et al. Br J Cancer 2012 ;107: 1776–1782

Transition from a heterozygous state in the germline to an apparently homozygous state in the tumour

Copy neutral LOH Both parental alleles

become identical

Deletion LOH All or part of one

parental chromosomeIs deleted

Germline

Ø A highly positive correlation exists between the presence of HRD and an intermediate class of LOH comprising regions longer than 15 Mb (megabases) but less than a whole chromosome

Ø The HRD Score was defined as the number of these regions observed in a tumour sample

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tiche). Un HRD score ≥ 42 (su una scala da 0 a 100) rappresenta un risultato positivo (perdita della funzione di riparazione del DNA) del test. Questo test è stato utilizzato per la determinazione dello stato dell’HRD nello studio NOVA sull’inibitore di PARP niraparib.

Il secondo è FoundationFocus CDx BRCA, che è il test utilizza-to negli studi ARIEL2 e ARIEL3 sull’inibitore di PARP rucapa-rib. Questo test valuta lo stato dell’HRD mediante un algorit-mo basato su due elementi: l’analisi dello stato mutazionale di BRCA1/2 a livello tissutale e la percentuale di LOH in un campione tumorale. Un tumore è definito HRD-negativo se ha BRCA1/2 non mutati (wild type) e ha una bassa percentuale di LOH (<16%), mentre i casi con mutazioni di BRCA1/2 e/o LOH ≥ 16% sono considerati HRD-positivi.

Infine, il terzo è FoundationOne CDx, un test basato sul sequen-ziamento di ultima generazione (NGS) che analizza circa 1,5 Mb nel genoma umano (oltre 3500 SNPs localizzati in 324 geni) e permette di analizzare anche l’LOH. Il test è stato sottoposto a uno studio di validazione confrontandone i risultati con i dati del test FoundationFocus™ CDx BRCA. A seguito di questa vali-dazione, il report del test F1CDx riporta anche i dati relativi allo stato dell’HRD basato sull’LOH con un cut off del 16%.

Questi test basati sulla rilevazione delle ‘cicatrici genomiche’ sono in grado di identificare i casi con deficit dell’HR indipen-dentemente dallo stato di BRCA1/2, che può essere mutato o wild type, e sono stati usati in diversi trial (per esempio, NOVA, ARIEL2, ARIEL3) per valutare la presenza o assenza di HRD. Tuttavia, sono indipendenti dai meccanismi genetici o epige-netici di silenziamento genico che causano HRD. La presen-za di una cicatrice genomica può solo indicare che a un certo punto il tumore ha avuto un HRD, ma potrebbe non averlo più al momento del test, come potrebbe accadere, per esempio, qualora via sia stata una mutazione di reversione nel pathway

i tumori ovarici sie-rosi con mutazioni di BRCA1/2 presen-tano una frequenza elevata di TAI.

Infine, il terzo tipo di ‘cicatrice geno-mica’ rilevabile in un test per la ricerca dell’HRD è rappre-sentato dalle LST, rotture cromosomi-che tra regioni adia-centi lunghe alme-no 10 Mb (figura 8).

L’LST score rappresenta la somma del numero di tali rotture presenti in ciascun braccio cromosomico di un determinato campione. Questo score, combinato con l’informazione relati-va all’aploidia delle cellule tumorali nel campione, ha dimo-strato di predire l’inattivazione di BRCA1/2; nei tumori qua-si-diploidi, l’inattivazione di BRCA1/2 è stata predetta da un LST score < 15, mentre un LST score > 20 ha mostrato di indi-care un’inattivazione di BRCA1/2 nei tumori quasi-tetraploidi.

I test commercialiQueste tre ‘cicatrici genomiche’, che sono una conseguenza di uno stato di HRD, sono state utilizzate per lo sviluppo di tre test commerciali.

Il primo è il test MyChoice HRD, sviluppato da Myriad Genetics, che fornisce un HRD score combinando l’analisi di tutte e tre que-ste alterazioni – TAI, LST e LOH – e fornisce anche l’informazione sulla presenza di mutazioni di BRCA1/2 a livello tissutale (soma-

Figura 8. Le Large-scale State Transitions (LST).

Large Scale Transition (LST) Score

• A large scale transition is defined as a chromosomal break between adjacent regions that is at least 10 Mb long1

• The LST score is the sum of the number of such breaks found in each chromosomal arm of a sample2

• When combined with information about the ploidy of the tumour cells in the sample, LST score has been shown to predict BRCA1/2 inactivation1

– In near-diploid tumours BRCA1/2 inactivation was signified by an LST score >15

– A score >20 indicated BRCA1/2 inactivation in near-tetraploid tumours

1. Popova T. et al. Cancer Res 2012; 72: 5454 2. Watkins JA et al. Breast Cancer Res 2014;16:211.

Large Scale Transition Score

~10Mb allelic imbalance

1. Popova T. et al. Cancer Res 2012; 72: 5454 2. Watkins JA et al. Bre-ast Cancer Res 2014;16:211.

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ziamento dell’intero esoma (WES), e questo limita la possibi-lità di individuare firme genetiche. Per questo motivo hanno sviluppato un algoritmo bioinformatico, chiamato Signature Multivariate Analysis (SigMA), che può essere utilizzato per ri-levare in modo accurato la ‘firma’ mutazionale associata al defi-cit dell’HR a partire da pannelli genetici mirati. Mentre i metodi precedenti richiedevano il WES o il sequenziamento dell’inte-ro genoma (WGS), il metodo pubblicato su Nature permette di rilevare la ‘firma’ mutazionale dell’HRD anche in presenza di un basso numero di mutazioni, utilizzando una misura basata sulla probabilità combinata con tecniche di intelligenza artifi-ciale. Applicando questa tecnologia, è stata trovata un’associa-zione tra presenza della firma dell’HRD e sopravvivenza libera da malattia in pazienti con carcinoma ovarico trattate con de-rivati del platino, una prova, quindi, della capacità del metodo di individuare i casi con HRD. I ricercatori concludono che il loro metodo permette di aumentare in modo sostanziale il nu-mero di pazienti che potrebbero essere prese in considerazione come candidate per trattamenti volti a colpire l’HRD.

Uno dei limiti insiti nell’identificazione dell’HRD attraverso l’analisi delle ‘firme’ mutazionali è che nel carcinoma siero-so dell’ovaio vi sono poche mutazioni, mentre sono presenti soprattutto alterazioni genetiche in termini di LOH, amplifica-zioni o delezioni. Per questo motivo, sono state prese in consi-derazione altre firme genetiche, diverse da quelle mutaziona-li, che sono basate sul numero di copie geniche. In particolare, specifiche caratteristiche legate ad anomalie del numero di copie geniche potrebbero riflettere processi mutazionali di-stinti, per cui anche nel carcinoma ovarico sono stati valutati metodi per identificare firme basate sul numero di copie ed è stato dimostrato che tali firme potrebbero essere predittive della sopravvivenza globale (OS) e della probabilità di svilup-pare una recidiva platino-resistente. In particolare, in uno stu-dio di Macintyre e collaboratori su casi di carcinoma ovarico

dell’HR che conferisce nuovamente un fenotipo HR-proficient e potrebbe determinare una resistenza al PARP-inibitore: in un caso del genere, il test rileverà la presenza della ‘cicatrice genomica’, ma la paziente potrebbe non rispondere all’inibito-re di PARP. Questo è il motivo per il quale questo test dovrebbe essere sempre combinato con un’analisi genetica e con un’a-nalisi anche a livello tissutale. Nel caso di BRCA1/2, questi due geni sono coperti dai test di Myriad Genetics e FoundationOne, che possono quindi dire anche se ci sia una mutazione di re-versione a livello tissutale che deve essere presa in considera-zione per la scelta della migliore strategia terapeutica.

Analisi delle ‘firme’ mutazionaliUn altro approccio utilizzabile per l’identificazione dell’HRD nei tumori ovarici consiste nella analisi delle ‘firme’ (signature) mutazionali, che sono potenziali biomarker di HRD indipenden-temente dai meccanismi genetici coinvolti. Sono stati analizza-ti i dati di mutazioni di migliaia di tumori che sono stati sequen-ziati e, nel tempo, a cominciare da un primo lavoro pubblicato nel 2013 su Nature, sono state individuate svariate ‘firme’ muta-zionali che sono correlate a specifici processi patogenetici, tra cui quella associata alle mutazioni di BRCA1/2. Nel lavoro sopra citato sono stati analizzati quasi 5 milioni di mutazioni di oltre 7000 tumori, individuando 21 distinte ‘firme’ mutazionali, cifra che oggi è salita a 49 sulla base dell’analisi degli SNPs. Queste firme genetiche tengono conto delle diverse combinazioni di se-quenza dei nucleotidi e la firma associata ad HRD è caratterizza-ta dalla presenza di tutte le varie combinazioni.

In uno studio interessante pubblicato nel 2019 su Nature Gene-tics, i ricercatori hanno cercato di utilizzare per la prima vol-ta un pannello genico per individuare la ‘firma’ mutazionale dell’HRD. Il problema è che con un pannello che copre un nu-mero limitato di geni, il numero complessivo di mutazioni che vengono rilevate è limitato rispetto a un approccio di sequen-

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(figura 9). HRDetect è risultato in grado di predire la presenza di un fenotipo BRCAness con una sensibilità di quasi il 100%, superiore rispetto a quella ottenuta con i test più tradizionali basati sull’analisi del numero di mutazioni (circa 60%) e sui test funzionali dell’HRD (circa 80%).

Questa è una delle strade che si può perseguire ma poi bisogna combinare i risultati con le analisi di tipo germinale. Infatti, questo approccio può identificare il fenotipo HRD, ma si deve comunque ricercare la presenza di eventuali varianti germi-nali nei geni dell’HR per le implicazioni che tale informazione ha ai fini della medicina preventiva. Identificare eventuali pa-renti portatori di mutazioni germinali è essenziale per la atti-vazione di programmi di prevenzione.

sieroso di alto grado, pubblicato nel 2018 su Nature Genetics, sono state individuate due firme relative al numero di copie, la 3 e la 7, risultate correlate all’HRD: la 3 è caratterizzata da variazioni del numero di copie da diploide ad aploide di alcu-ni geni e da rotture distribuite in modo uniforme lungo il ge-noma, ma soprattutto è indice di HRD correlata a mutazioni di BRCA1/2 e di una buona OS, mentre la 7 è caratterizzata da variazioni del numero di copie da tetraploide a triploide e an-ch’essa da rotture distribuite in modo uniforme lungo il geno-ma e da una correlazione con una buona OS, ma è indice di un HRD non correlato a mutazioni di BRCA1/2.

Tra questi due meccanismi di HRD, collegati o meno a muta-zioni di BRCA1/2, potrebbero esserci sottili differenze e si sta cercando di combinare diversi tipi di firme genetiche per svi-luppare un ulteriore test per la rilevazio-ne dell’HRD. Per esempio, in un lavoro pubblicato su Nature Medicine nel 2017 è stato validato per i tumori al seno un modello che combina l’analisi di diverse ‘firme’ genetiche basate su diverse tipo-logie di alterazioni, per identificare un fenotipo BRCAness in assenza di una co-noscenza pregressa dello stato mutazio-nale di BRCA1/2. Il test richiede un WES o un WGS ed è stato sviluppato uno stru-mento computazionale in grado predire accuratamente la presenza di HRD (HR-Detect) analizzando il catalogo muta-zionale completo di sostituzioni di basi, inserzioni, delezioni e riarrangiamenti strutturali. L’uso di questo strumento ha rivelato che la combinazione di sei diver-se firme genetiche basate su diverse tipo-logie di alterazioni è correlata con l’HRD

Davies H et al, Nat Med. 2017; Hoeck et al. BMC Cancer 2019; Polak P et al, Nature Genetics 2017

HRD biomarker assays‘mutational signatures’

Mutational signatures have been validated in breast cancer datasets to identify BRCAness withoutthe need for prior knowledge of BRCA mutations. This test requires WES or WGS analysis.A weighted model called HRDetect was developed to accurately detect BRCA1/BRCA2 deficient samples using six critically distinguishing mutational signatures

Ø base substitutionsignatures

Ø indel signaturesØ rearrangement signaturesØ geographically localized

mutational phenomenaØ signatures characterized

by copy-numbervariations

Figura 9.

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In conclusioneIn conclusione, ci sono tante opportunità allo studio, ma estre-mamente complesse.

Nelle pazienti con cancro ovarico, le mutazioni germinali e so-matiche vengono utilizzate per comprendere la prognosi, pre-vedere la potenziale entità di un effetto terapeutico e determi-nare l’idoneità per alcune terapie, tra cui la chemioterapia e gli inibitori di PARP.

Altri biomarcatori di HRD nel carcinoma ovaricoEsistono poi anche altri biomarcatori di HRD nel carcinoma ovarico. Un biomar-ker funzionale di difetti nel sistema di HR è rappresentato dall’analisi dei foci di RAD51, una proteina (una DNA ricombi-nasi) che è un componente chiave del si-stema di riparazione del DNA. In presen-za di rotture della doppia elica del DNA e quando il meccanismo dell’HR è attivo, RAD51 forma complessi molecolari (foci) in corrispondenza del sito di rottura, visi-bili con la microscopia a immunofluore-scenza. Si è visto che linee cellulari con un deficit dell’HR non sono in grado di formare questi foci quando si ha un dan-no del DNA. L’incapacità di formare i foci di RAD51 dopo un danno al DNA rappre-senta un riflesso funzionale di un difet-to del pathway dell’HR ed è stato effetti-vamente dimostrato che la presenza di bassi livelli di foci di RAD 51 è associata a una risposta obiettiva agli inibitori di PARP in modelli di tumore mammario che presentano muta-zioni germinali di BRCA1/2.

Un ulteriore indicatore di deficit di HR è rappresentato dal-le firme legate ai profili di espressione genica. Sono già state identificate firme di questo tipo che hanno dimostrato di per-mettere di discriminare fra tumori con deficit dell’HR e tumo-ri con HR funzionante, e che permettono di identificare le pa-zienti che hanno un’OS maggiore (figura 10).

Additional HRD biomarkers‘gene expression profile’

Gene expression profiling signature can distinguish HR-Deficient from HR-Proficient tumors and can identify patients with better overall survival.

Peng G et al Nat Commun 2014

Figura 10. I profili di espressione genica come biomarker di HRD.

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Al momento, nonostante il notevole aumento delle conoscen-ze sul background molecolare del carcinoma ovarico, manca ancora un biomarcatore unico che consenta una corretta stra-tificazione delle pazienti.

L’instabilità genomica del tumore ovarico rappresenta un’a-rea di ricerca molto attiva, volta a capire meglio come ulteriori biomarcatori potrebbero essere utilizzati in clinica per miglio-rare la cura delle pazienti affette da questo tumore.

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Obiettivi del trattamento nelle linee avanzatePrima di tutto, l’obiettivo del trattamento nel setting delle li-nee successive alla prima è di prolungare il più possibile la so-pravvivenza libera da malattia (DFS) e la sopravvivenza glo-bale (OS), controllare i sintomi e garantire una buona qualità di vita alle pazienti. Inoltre, occorre tenere conto che in queste donne le cure sono tanto più efficaci quanto più si utilizzano strategie terapeutiche diverse in sequenza o in combinazione. Tra le strategie attualmente disponibili, oltre alla chirurgia, vi sono la chemioterapia, i farmaci a bersaglio molecolare e la te-rapia ormonale; anche la radioterapia può avere un suo ruolo in presenza di una recidiva isolata oppure in presenza di ma-lattia oligometastatica.

Tratto dalla relazione di Vanda SalutariUOC Ginecologia Oncologica, Fondazione Policlinico Universi-tario “A. Gemelli” IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

Il tumore ovarico in stadio avanzato (stadi III/IV secondo la classificazione FIGO) è una malattia caratterizzata da recidi-ve multiple.

Alla diagnosi, le pazienti sono sottoposte alla chirurgia prima-ria e a 6-8 cicli di chemioterapia a base di platino, alla quale la maggior parte risponde. Circa il 75%, infatti, risulta platino-sen-sibile, mentre il 20% è platino-resistente (risponde alla terapia, ma la risposta ha una durata inferiore ai 6 mesi dall’ultimo trat-tamento) e il 5% è platino-refrattario (la recidiva avviene duran-te la chemioterapia a base di platino o entro 4 settimane dal ter-mine). Anche le pazienti platino-sensibili, tuttavia, finiscono col tempo per diventare platino-resistenti (figura 1).

I dati di letteratura e la pratica clinica mostrano chiaramente che più si va avanti con le cure, più la risposta si riduce, e di ciò occorre tenere conto quando si imposta la strategia terapeutica.Ciononostante, per quanto riguarda la sopravvivenza delle pa-zienti con tumore dell’ovaio, lo scenario sta cambiando. Negli stadi avanzati, la sopravvivenza a 5 anni ha raggiunto il 51,5%. Le pazienti oggi vivono di più, ma ciò non significa necessariamen-te che sono guarite; molte sono ancora vive a 5 anni dalla diagno-si con il cancro e alcune di esse potrebbero morire non di cancro, ma con il cancro. In quest’ottica, quali sono gli obiettivi che l’on-cologo si deve prefiggere in una paziente con malattia recidivata?

Le ennesime linee nei tumori ovarici

GUARDA IL VIDEO

Tumore dell’ovaio, come si cura dopo la seconda linea?

Dottoressa Vanda Salutari

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In modo particolare nelle linee successive alla seconda, la strategia di maggior successo è quella di cercare di integrare tutte le conoscenze disponibili per adottare la sequenza mi-gliore per le pazienti.

Pochi dati in letteratura, di tipo retrospettivoTuttavia, i dati di letteratura su questo tema sono molto scarsi e si tratta per lo più di studi retrospettivi con casistiche non molto ampie, dai quali è difficile estrapolare indicazioni vali-de su larga scala circa l’efficacia delle diverse modalità tera-peutiche dopo la seconda recidiva.

Uno studio retrospettivo del 2013 su 156 pazienti ha dimostra-to che le pazienti sottoposte alla chemioterapia nelle linee successive alla seconda mostrano a ogni linea un decremento della risposta. I tipi di chemioterapici somministrati alle pa-zienti in questo studio erano i più disparati: taxolo, carbopla-tino, gemcitabina, doxorubicina liposomiale pegilata (PLD), etoposide e tamoxifene.

Uno studio più ampio, coordinato dai due gruppi cooperativi GINECO e AGO e pubblicato nel 2012 su Annals of Oncology, ha valutato prospetticamente l’impatto della terapia dalla seconda alla sesta linea sulla sopravvivenza in 1620 pazien-ti che avevano partecipato a tre ampi studi randomizzati e che sono state poi seguite nel tempo. Anche questo studio ha dimostrato come sia la sopravvivenza libera da progressione (PFS) sia la sopravvivenza globale (OS) si riducano con il pro-cedere delle linee di trattamento. Tuttavia, i risultati si rife-riscono anche a trattamenti oggi non più utilizzati e dunque non sono del tutto attuali ed estrapolabili alla pratica clinica attuale. La maggior parte delle pazienti, circa il 40%, aveva ri-sposto al platino, circa il 28% aveva mostrato una sensibilità intermedia al platino (dizione che si utilizzava all’epoca del-la pubblicazione del lavoro) e circa il 30% era risultato plati-no-resistente. In questa casistica molte pazienti erano state trattate con una doppietta di chemioterapia e nella maggior parte dei casi la doppietta era a base di platino. Per quanto riguarda le monoterapie, alcuni agenti utilizzati, come il trio-sulfano e topotecan, oggi praticamente non si usano più.

Nonostante i dati non siano pienamente aderenti alla realtà odierna, lo studio fornisce comunque un messaggio attuale in quanto mostra una riduzione della sopravvivenza via via che la malattia progredisce e si passa dalla prima recidiva alla quinta. Alla quarta recidiva, tuttavia, le pazienti avevano ancora una PFS mediana di circa 4 mesi è un’OS mediana di circa 6 mesi, numeri che evidenziano anche come anche in questo setting di malattia molto avanzata si ottenga comun-que un vantaggio dalla chemioterapia. Inoltre, se si osserva-no le curve di sopravvivenza di pazienti che avevano ricevu-to un trattamento per la recidiva e le si confronta con quelle di pazienti che dopo la recidiva non sono state più trattate, si nota un vantaggio di sopravvivenza anche quando vengono trattate oltre la quarta linea (figura 2).

SSttaaggee IIIIII//IIVV oovvaarriiaann ccaanncceerr iiss aa ddiisseeaassee wwiitthh mmuullttiippllee rreellaappsseess

Figura 1. Il carcinoma dell’ovaio in stadio avanzato è una malattia caratterizzata da recidive multiple.

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linea in poi sono quelle che alla prima chirurgia avevano avuto una citoriduzio-ne ottimale e che inizialmente avevano risposto al platino. Il lavoro, dunque, mo-stra come il trattamento di prima linea impatti sulla vita delle pazienti in termi-ni sia di PFS sia di OS anche nelle linee successive. Se si considerano i risulta-ti relativi alle pazienti sottoposte a una quarta linea di trattamento, questi fattori mostrato un peso un po’ inferiore, ma il performance status è risultato un altro fattore di cui tenere conto quando si deve effettuare una scelta per le linee succes-sive alla prima.

Questi dati di PFS e OS su una casistica accettabile suggeriscono che, in alcuni gruppi di pazienti, trattamenti multipli, anche oltre la seconda linea, possono es-sere efficaci e quindi dovrebbero essere presi in considerazione. Tuttavia, un trat-tamento di routine dopo la quarta recidi-va sembra non essere più di beneficio e la maggior parte dei fattori standard non sono più validi per le recidive più tardive.

Dai dati di questi studi è molto difficile estrapolare indicazio-ni su un trattamento standard per le linee successive alla se-conda, in primo luogo perché sono stati utilizzati trattamenti molto variegati e poi perché alcuni di questi sono caduti ormai in disuso. Inoltre, nel delineare una strategia complessiva è difficile applicare le regole usate per la prima recidiva alle re-cidive successive, in quanto la biologia della malattia cambia nel tempo. Tuttavia, questi dati sembrano suggerire che la re-sponsività al platino e il residuo tumore post-operatorio dopo

Possibile beneficio anche nelle linee successi-ve, con un’adeguata selezioneAncora oggi, invece, accade spesso in molti centri che ci si fer-mi alla terza linea, nella convinzione che dopo questa non val-ga più la pena trattare queste pazienti. Lo studio sopra citato dimostra, invece, che si può avere un beneficio anche dalle li-nee successive, purché si faccia un’adeguata selezione. L’ana-lisi multivariata ha dimostrato come le pazienti che hanno be-neficiato maggiormente dall’essere trattate dalla terza-quarta

23-24 gennaio 2020 XXXIV^ Riunione Nazionale MITO

PFS after relapse 2–4 stratified by the patients that did receive relapse treatment and the patients that did not receive treatment anymore.

OS after relapse 2–4 stratified by the patients that did receive relapse treatment and the patients that did not receive treatment anymore.

Figura 2. Curve di PFS e OS di pazienti alla seconda, terza o quarta recidiva che hanno ricevuto un trattamen-to per la recidiva oppure non sono state più trattate.

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doppietta di chemioterapici è meglio dell’agente singolo, ma le casistiche di questi studi erano formate da pazienti alla prima recidiva, di certo non pazienti che erano già state sottoposte a più di due linee terapeutiche. Inoltre, bisogna tenere conto del profilo di tossicità del trattamento, perché le pazienti plu-ritrattate hanno già una serie di effetti collaterali che si porta-no dietro dai trattamenti precedenti. Pertanto, la decisione se usare una doppietta o una monoterapia dovrebbe fondarsi sul performance status della paziente, sulle tossicità residue e su quelle attese. Anche qualora si optasse per una combinazione di due agenti, la scelta del tipo di doppietta a base di platino dovrebbe basarsi sul profilo di tossicità e sulle preferenze del-la paziente (tabella 1).

L’ostacolo dell’allergia al platinoOltre a quello della tossicità residua dei trattamenti preceden-ti, un ulteriore ostacolo nel trattamento delle pazienti dalla terza linea in avanti è rappresentato dalla possibile allergia al carboplatino. I dati di letteratura indicano che questa allergia riguarda il 12-33% dei casi (tabella 2) e che, soprattutto, più si ritratta la paziente, più il rischio di svilupparla aumenta.

il trattamento di prima linea potrebbero aiutare a identificare le pazienti che potrebbero beneficiare di un trattamento per le recidive successive.

Dunque, come si tratta, oggi, una paziente alla terza, alla quar-ta o alla quinta linea di terapia? La scelta terapeutica dovrebbe basarsi su quanto indicato dalle linee guida, ma quelle attual-mente disponibili non danno raccomandazioni molto chiare sul trattamento delle linee successive alla prima e le indica-zioni che forse più si avvicinano a ciò che effettivamente si fa nella pratica clinica sono quelle contenute nelle linee guida della European Society for Medical Oncology (ESMO).

Doppietta o monoterapia?Di fronte a una paziente alla terza o alla quarta linea di trat-tamento, il primo quesito a cui il clinico deve rispondere, nel caso in cui la donna sia ancora platino-responsiva, è se sia meglio trattarla con una doppietta chemioterapica o con una monoterapia.

I dati di letteratura disponibili non rispondono pienamente a questo quesito. In generale, gli studi hanno mostrato che una

Tabella 1. Tossicità di diverse doppiette a base di platino.

PFS 13 m 8,6 m 11,3 mPFS 13 m 8,6 m 11,3 mPFS 13 m 8,6 m 11,3 m

Tabella 2. Incidenza delle reazioni di ipersensibilità al carboplatino.

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di donne con carcinoma ovarico recidivato, già trattate con al-meno tre linee di terapia. Nel campione valutato, il 27% delle pazienti aveva già alle spalle addirittura più di sei linee.

Inoltre, lo studio AVANOVA2, che ha confrontato l’associazione niraparib-bevacizumab con il solo niraparib in pazienti con carcinoma ovarico endometrioide o sieroso di alto grado, sen-za limitazioni riguardo al numero di linee di terapia preceden-ti, ha dimostrato che la combinazione chemo-free può essere efficace anche nelle pazienti altamente pretrattate (figura 3).

Molto interessante, in quanto fornisce dati di real life, è lo studio NIMES ROC, uno studio prospettico europeo di fase IV nel quale si è valutato l’impiego della combinazione tra-bectedina-PLD, che a volte viene ritenuta troppo pesante, in pazienti con recidiva platino-sensibile di carcinoma ovarico variamente pretrattate. Nel campione analizzato la doppiet-ta è stata utilizzata come terapia di seconda linea nel 25% dei casi, di terza linea nel 34% e di quarta linea o di una linea ancora superiore nel 40%. Lo studio evidenzia come questo trattamento risulti fattibile anche dalla terza linea in poi e ciò deve far riflettere.

In molti centri, quando una paziente ha avuto una reazione al platino, lo si sospende automaticamente e da quel momento in poi vi si rinuncia. Presso il Policlinico Gemelli di Roma si utilizza, invece, un approccio diverso e nei casi in cui una pa-ziente meriti ancora di essere ritrattata con il platino, ma ha un problema di ipersensibilità, dopo avere effettuato una con-sulenza allergologica la si sottopone a uno schema di desensi-bilizzazione con il cisplatino, che può essere di aiuto.

Pazienti altamente pretrattate spesso escluse dai trial cliniciUn altro grosso problema è che le pazienti pluri-recidivate, le quali devono quindi effettuare più linee terapeutiche, vengono spesso escluse dall’arruolamento nei trial clinici, specie quelli sponsorizzati dalle aziende farmaceutiche. In un editoriale di Maurie Markman pubblicato su Gynecologic Oncology, l’onco-logo scrive che molto spesso queste pazienti vengono escluse, perché il trattamento rischia di non essere efficace nelle linee successive e quindi lo studio rischia di dare esito negativo. In realtà, uno studio che arruolasse pazienti altamente pretrat-tate, alla terza o quarta linea, potrebbe dare informazioni inte-ressanti e utilizzabili anche per pianificare studi successivi: un farmaco che dimostri di funzionare in una linea di terapia avanzata, infatti, ha buona probabilità di essere efficace an-che nelle linee iniziali, possibilità che deve essere confermata da un trial ad hoc. Di questa situazione il mondo accademico dovrebbe tenere conto e fare la propria parte nella conduzione di studi sulle linee avanzate di terapia.

Gli autori di alcuni trial recenti, tuttavia, sono stati lungimi-ranti e hanno deciso di arruolare pazienti che erano state sot-toposte a tre o più linee terapeutiche. Un esempio è rappresen-tato studio QUADRA, un trial a braccio singolo pubblicato su The Lancet Oncology nel 2019, il cui obiettivo era valutare l’ef-ficacia del PARP-inibitore niraparib in una popolazione ampia Figura 3. Curve di PFS nella popolazione ITT dello studio AVANOVA2.

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Trattare una paziente anche oltre la terza linea può esse-re vantaggioso, ma bisogna tenere presente che la scelta del trattamento utilizzato nelle linee avanzate deve essere condivisa con la paziente stessa e deve tener conto delle sue preferenze, del suo performance status e delle tossicità pregresse, tanto più alla luce delle scarsità di informazioni presenti in letteratura sui vantaggi e gli svantaggi dei di-versi trattamenti.

In ogni caso, nelle linee avanzate di terapia i vantaggi e gli svantaggi della chemioterapia devono essere soppesati con la qualità di vita della paziente.

Per il futuro, è auspicabile si facciano più studi clinici nei quali siano incluse anche donne che hanno avuto recidive multiple, per capire come integrare i diversi trattamenti at-tualmente disponibili, le terapie di mantenimento e altre strategie, e valutare in modo prospettico l’impatto di queste pluri-chemioterapie sugli outcome delle pazienti.

Ma, in ultima analisi, fare linee molteplici di chemioterapia fa vivere di più le pazienti? In uno studio pubblicato su Gyne-cologic Oncology, a firma di Penson e collaboratori, gli autori hanno confrontato la percezione del medico e della paziente su questo tema. Sono stati intervistati medici e pazienti e in-glesi e statunitensi e si è visto chiaramente come il punto di vista sia radicalmente diversa. La maggior parte dei medici ha dichiarato che se una chemioterapia prolunga la sopravviven-za per meno di 3 mesi, non vale la pena farla. Per contro, l’86% delle donne intervistate ha detto di voler continuare la che-mioterapia e circa il 25% di non volerla interrompere anche se sulla base dei risultati degli studi la mediana di sopravviven-za attesa era inferiore a una settimana.

In conclusioneSeppure in uno scenario nel quale, purtroppo, la letteratura è di scarso supporto per via dei pochi dati disponibili sul setting delle linee avanzate di trattamento, si possono comunque fare alcune considerazioni.

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Considerando il tumore ovarico come un’unica entità, una metanalisi di 53 studi pubblicata su Gynecologic Oncology nel 2017 ha evidenziato un tasso di beneficio clinico del 46% nei tumori con espressione dei recettori per gli estrogeni e/o i pro-gestinici (ER+ e/o PR+), del 44% nei tumori con la sola espres-sione del recettore degli estrogeni (ER+) e del 37% nei tumori in cui non era noto lo stato di espressione recettoriale. Inoltre, il tasso di beneficio clinico è risultato del 55% nelle pazienti con recidiva platino-sensibile e del 40% in quelle con recidi-va platino-resistente, ed è risultato molto simile, circa il 40%, indipendentemente dal tipo di farmaco utilizzato negli studi (inibitori dell’aromatasi, tamoxifene o progestinico).

Tratto dalla relazione di Claudia MarchettiUOC Ginecologia Oncologica, Fondazione Policlinico Universi-tario “A. Gemelli” IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

I protagonisti della terapia endocrina nel tumore dell’ovaio e dell’endometrio sono farmaci appartenenti a tre classi: i SERM (Selective Estrogen Receptor Modulators), i SERD (Se-lective Estrogen Down Regulators) e gli inibitori dell’aroma-tasi. Gli effetti collaterali di queste classi di farmaci sono tut-ti abbastanza maneggevoli, ma è da sottolineare l’aumentata incidenza di effetti tromboembolici nelle pazienti che utiliz-zano il SERM tamoxifene, soprattutto in caso di trattamen-ti che durano più di 2 anni, come accade in realtà anche in setting diversi dal tumore dell’ovaio e dell’endometrio, quale quello della mammella.

Correlazione fra espressione dei recettori or-monali e prognosiPer quanto riguarda il tumore dell’ovaio, il nesso tra espressio-ne dei recettori progestinici ed estrogenici e prognosi è ormai noto. L’espressione dei recettori per gli estrogeni e i progestini-ci rappresenta un fattore prognostico per i tumori ovarici con istotipo endometrioide, mentre quella dei recettori per i proge-stinici un fattore prognostico per i tumori con istotipo sieroso di alto grado (figura 1).

Terapie ormonali per il tumore ovarico e dell’endometrio

GUARDA IL VIDEO

Tumore ovarico e dell’endometrio, qual è il ruolo delle terapie ormonali?

Dottoressa Claudia Marchetti

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Espressione recettoriale diversa in base all’i-stotipoNel tumore ovarico, l’espressione recettoriale è differente in base all’istotipo considerato e al grado di differenziazione. Il tumore ovarico sieroso di alto grado esprime il recettore per

gli estrogeni nel 60% dei casi, mentre il tumore ovarico sieroso di basso grado nel 70% e il delta del 10% fra i due istotipi fa la differenza in termini di risposta attesa alla terapia ormonale.

Il tumore ovarico sieroso di basso grado è, per definizione, chemio-resistente, con circa una paziente su quattro che rispon-de alla chemioterapia (tasso di risposta del 4-23%), mentre nelle pazienti con tu-more ovarico sieroso di alto grado, al con-trario, il tasso di risposta arriva a circa il 90%. È chiaro, dunque, servono nuove op-zioni per il trattamento del tumore ovari-co sieroso di basso grado.

Tumore ovarico sieroso di bas-so gradoIn uno studio retrospettivo su oltre 200 pazienti con tumore ovarico sieroso o pe-ritoneale di basso grado, presentato nel 2017 al congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), è emerso un dato molto importante e interessante: una differenza statisticamente significa-tiva in termini di sopravvivenza libera da progressione (PFS) tra le donne sottopo-ste a una chemioterapia e poi una terapia

di mantenimento con farmaci ormonali (nella maggior parte dei casi, letrozolo) e quelle non sottoposte al mantenimento (figura 2). Tale differenza è risultata di più di 30 mesi e si è mantenuta anche nel sottogruppo di pazienti nelle quali la chirurgia aveva lasciato un residuo di malattia.

Which relationship between PR/ER and OC

Sieh, Lancet Onc, 2013

Figura 1. Correlazione tra espressione dei recettori ormonali nel carcinoma dell’ovaio e prognosi.

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ormonale. La differenza tra i due trial è che nello studio LEPRE un criterio di inclusione prevede la determinazione dello stato recettoriale, mentre nello studio NRG-GY019 non è richiesto.

Un altro studio interessante è quello di Fader e collaboratori, pubblicato nel 2017 su Gynecologic Oncology, in cui si evidenzia un vantaggio associato al mantenimento con la terapia ormonale. Il trial ha coinvolto soltanto 27 pazienti, ma è interessante il caso di una donna di 32 anni, in stadio IV all’esordio, sotto-posta a una chemioterapia neoadiuvan-te, alla quale non ha risposto, e succes-sivamente sottoposta a chirurgia che ha lasciato un residuo di malattia impor-tante, soprattutto a livello epatico; poi-ché presentava un’espressione dei re-cettori ormonali molto elevata (ER 90%; PR 40%), la paziente è stata trattata con terapia ormonale con letrozolo, ottenen-do una PFS di oltre 34 mesi e l’assenza di

lesioni epatiche alla tac, a un anno.

Al congresso ASCO del 2019 è stato presentato uno studio di fase 2 che coinvolge pazienti con tumore ovarico di basso gra-do che non possono essere sottoposte a chirurgia primaria per l’alto carico di malattia e sono quindi candidate a ricevere una terapia neoadiuvante con fulvestrant più abemaciclib e, in caso di risposta a questa terapia, a una successiva chirur-gia d’intervallo; le pazienti che andranno in risposta completa o parziale, dopo la chirurgia, continueranno a ricevere fulve-strant più amebaciclib fino a progressione.

Per le pazienti con tumore ovarico sieroso di basso grado in stadio FIGO II-IV, le linee guida americane NCCN raccomanda-no, sebbene con livelli di evidenza non altissimi, la chemiote-rapia seguita da un mantenimento con terapia ormonale op-pure direttamente una terapia con letrozolo.

Sono in corso due studi randomizzati, lo studio LEPRE, co-ordinato dai gruppi cooperativi MITO e MANGO, e lo studio NRG-GY019, i cui risultati chiariranno se sia meglio sotto-porre le pazienti a una chemioterapia seguita da un man-tenimento con letrozolo oppure direttamente a una terapia

Figura 2.

JCO 2017

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beneficio clinico a 3 mesi hanno riportato anche un sogget-tivo miglioramento della sintomatologia (soprattutto in ter-mini di riduzione del dolore e della stanchezza) già un mese dopo l’inizio del trattamento.

Al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO) del 2019 è stato presentato uno studio nel quale si è te-stato l’inibitore di MEK trametinib nel setting della recidiva nel tumore ovarico di basso grado. Il trial, che ha coinvolto 130 pa-zienti, aveva come obiettivo primario la valutazione dell’effi-

Tumore ovarico di alto gradoPer quanto riguarda i tumori ovarici di alto grado, l’idea di proporre una terapia con letrozolo è ancora allo studio. In let-teratura vi sono già alcuni dati a suppor-to dell’utilizzo della terapia ormonale. Per esempio, in uno studio di Heinzel-mann-Schwarz e collaboratori che ha ar-ruolato 50 pazienti, è stata valutata, dopo la prima linea, una terapia di manteni-mento con letrozolo che ha determinato, a un follow-up di 24 mesi, una sopravvi-venza libera da recidiva (RFS) del 60% nel gruppo sottoposto al mantenimento versus 43% nel gruppo di controllo (P = 0,035); nelle pazienti ad alto rischio, cioè quelle con residuo di malattia post-chi-rurgia, il braccio sottoposto al manteni-mento con bevacizumab più letrozolo ha mostrato una RFS superiore rispetto al braccio di controllo, trattato con il solo anti-angiogenico come mantenimento (P = 0,026) (figura 3).

La recidiva nel tumore ovarico di basso gradoNel setting della recidiva, lo studio di fase 2 PARAGON ha ar-ruolato 57 pazienti affette da tumore ovarico sieroso di basso grado o tumore ovarico sieroso borderline ricorrente/meta-statico, ER+ e/o PR+, trattate con anastrozolo. L’endpoint pri-mario del trial era il tasso di beneficio clinico a 3 mesi, che è risultato del 64% (il tasso atteso era stimato attorno al 25%). La durata media del beneficio clinico è stata di oltre 9 mesi, con una PFS di circa 11 mesi. Inoltre, la terapia ormonale è stata ben tollerata dalle pazienti e quelle che hanno avuto un

• After 24 months, 60% of patients were recurrence free in the Letrozole versus 38.5% in the control group (p=0.035).

• Longer RFS when using Letrozole in combination with Bevacizumab in patients with residual disease (p = 0.026).

All PATIENTS HIGH RISK PATIENTS, receiving BEVACIZUMAB

Figura 3. Curve di RFS nelle pazienti sottoposte o meno a mantenimento con letrozolo (A) e nelle pazienti ad alto rischio sottoposte a mantenimento con bevacizumab, con o senza letrozolo.

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ovarico di basso e alto grado ER+ oppure tumore endometriale ER+ recidivati. Nella coorte delle 20 pazienti con carcinoma ovarico, tale combinazione ha determinato una PFS dopo 12 settimane di terapia (endpoint primario del trial) del 50% (un valore di PFS pari al 45% era considerato un risultato favore-vole sulla base di dati precedenti) e nel 25% dei casi questo controllo di malattia si è mantenuto per almeno 23 settimane; le donne che hanno beneficiato maggiormente della combina-zione sono state quelle con tumore ovarico di basso grado: tre pazienti, tutte rimaste in vita e senza segni di progressione per 23 settimane o più (figura 5).

Diverse casistiche suggeriscono la possibile utilità di studia-re questa combinazione di farmaci mirati e farmaci ormonali anche nel tumore ovarico di alto grado e queste casistiche non riguardano soltanto il letrozolo o l’anastrozolo, ma vi sono dati anche a sostegno della terapia con tamoxifene.

cacia di trametinib rispetto allo standard di trattamento. Nelle pazienti trattate con l’inibitore di MEK il tasso complessivo di risposta (ORR) è risultato del 26%, ma si è osservato buon ORR (13,6%) anche nelle pazienti trattate con letrozolo, con un tasso di controllo della malattia di oltre il 70%.

La ricerca futuraUna delle principali direzioni in cui si sta attualmente muo-vendo la ricerca riguarda un possibile utilizzo di combinazio-ni di farmaci (figura 4).

In particolare, il razionale dell’utilizzo degli inibitori di mTOR o gli inibitori di CDK 4/6 è quello di bloccare il ciclo cellulare.

Al congresso ASCO 2019 sono stati presentati i risultati di uno studio di fase 2 nel quale si è valutata la combinazione di letro-zolo con l’inibitore di CDK4/6 ribociclib in pazienti con tumore

What’s next?

FdF 2019 Figura 5. Figura 4. Possibili combinazioni allo studio con farmaci ormonali e relativo ra-zionale biologico.

Primary endopoint: PFS12

Clinically significant benefit (PFS ≥23 weeks and on study for ≥23 weeks)

Patients surviving, progression free, and on study at 12 weeksOVARIAN (A) 10/20 (50%)Progression-free ≥23 weeks  5/20 (25%)

Total patients 14/40 (35%)Ovarian group  5/20 (25%) Low-grade serous  3/3 (100%) High-grade serous  2/17 (12%)

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die nel braccio sperimentale oppure a una terapia scelta dallo sperimentatore fra doxorubicina liposomiale pegilata (PLD), gemcitabina, topotecan e taxolo nel braccio di controllo. L’en-dpoint primario sarà la sopravvivenza globale (OS).

Tumore dell’endometrioRiguardo al tumore dell’endometrio, la nuova classificazione proposta dal The Cancer Genome Atlas (TCGA) permette di suddividere i diversi sottotipi in base alle alterazioni geneti-che presenti: deficit del sistema di riparazione dei mismatch del DNA, mutazioni di POLE, mutazioni di p53.

Una metanalisi pubblicata nel 2017 ha evidenziato che nelle pazienti con tumo-re dell’endometrio che esprime i recetto-ri degli estrogeni e dei progestinici, la ri-sposta alla terapia ormonale è del 32,5%, in quelle il cui tumore esprime solo il recettore degli estrogeni è del 26,6% e in quelle il cui tumore non esprime i recet-tori ormonali la risposta è pari allo 0%. Per quanto riguarda i tassi di risposta ai vari farmaci, con la combinazione ta-moxifene più progestinico si sono osser-vati tassi di risposta compresi fra il 19 e il 58%, con gli inibitori dell’aromatasi tassi dell’8-9%, con il tamoxifene del 10-53% e con altri SERM o SERD del 9-31%.

Lo studio PARAGON sopra citato, nella coorte con tumore dell’endometrio, che ha arruolato 87 pazienti, ha mostrato un beneficio clinico a 3 mesi nel 44% dei casi, con una PFS di 3,2 mesi.

I dati a sostegno dell’utilizzo dell’ormonoterapia nel tumore ovarico riguardano pazienti nelle quali era nota l’espressione dei recettori per gli estrogeni e/o progestinici nel tumore. La valutazione dell’assetto recettoriale può essere eseguita sulla biopsia o sul pezzo operatorio alla diagnosi, senza dover ne-cessariamente eseguire una nuova biopsia al momento della recidiva, poiché si è visto che non vi sono differenze signifi-cative tra l’espressione dei recettori nei due diversi momenti della malattia (figura 6).

A breve, partirà lo studio randomizzato MITO 32 che coinvol-gerà pazienti con tumore ovarico già sottoposte ad almeno tre linee di terapia, assegnate al trattamento con letrozolo 2,5 mg/

Should we search for ER/PR at each recurrence????

1. ER histoscore was established at diagnosis in the Stanley study…

2. Association of ER immunoexpression inmatched primary and recurrent HGSOC:

Heinzelmann-Schwarz 2017

NO DIFFERENCE!!!!!

Probably NO!

Figura 6. L’espressione dei recettori ormonali va valutata ad ogni recidiva?

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Anche nel tumore dell’endometrio, il futuro sembra essere rappresentato dalle combinazioni di farmaci, in particolare everolimus più letrozolo oppure progestinici combinati con il tamoxifene.

Nello studio sopracitato, presentato all’ASCO 2019, su donne con carcinoma ovarico o endometriale trattate con la combi-nazione letrozolo più ribociclib, nella coorte delle 20 pazienti con tumore dell’endometrio la PFS dopo 12 settimane di trat-tamento è risultata del 55%, con un controllo di malattia non inferiore alle 23 settimane nel 45% dei casi e ancora superiore nelle pazienti affette da tumori con un grado di differenziazio-ne più basso (64%) (figura 7).

È attualmente in corso anche lo studio PALEO, un trial di fase 2 volto a testare l’efficacia della combinazione letrozolo più pal-bociclib in pazienti con tumori dell’endometrio avanzati o in recidiva, con recettori degli estrogeni positivi.

In conclusioneLa terapia ormonale è certamente più tollerabile in termini di effetti collaterali rispetto alle chemioterapie standard, soprat-tutto nelle pazienti pluritrattate.

Guardando al futuro, servono studi clinici randomizzati che chiariscano quale sia la migliore strategia terapeutica per le pazienti con carcinoma dell’ovaio o dell’endometrio e quali si-ano i migliori biomarker per selezionarle. Inoltre, paiono pro-mettenti le combinazioni delle terapie ormonali con gli inibi-tori di CDK 4/6 o altri inibitori.

Figura 7.

Primary endopoint: PFS12

Clinically significant benefit (PFS ≥23 weeks and on study for ≥23 weeks)

Patients surviving, progression free, and on study at 12 weeksENDOMETRIAL (B) 11/20 (55%)Progression-free ≥23 weeks  9/20 (45%)

Total patients 14/40 (35%)Endometrial group 9/20 (45%) Grade 1-2  7/11 (64%) Grade 3  2/9 (22%)

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Chirurgica del tumore ovarico, quando serve, con che modalità si svolge e con quali complessità

Professor Stefano Greggi

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MITO 2018

LA RICERCA SUI TUMORI

GINECOLOGICI, OGGI E DOMANI

XXXI Riunione nazionale MITO

Multicenter Italian Trials in Ovarian cancer and gynecologic malignancies

Udine, 21-22 giugno 2018PDF INTERATTIVO

w w w . p h a r ma s t a r . i t

80 PAGINE13 INTERVISTE

10 ARTICOLI

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12 ARTICOLI

MEDICINA PERSONALIZZATA

NEL TRATTAMENTO DEI TUMORI GINECOLOGICI

XXXII Riunione Nazionale MITO

Torino, 31 gennaio - 01 febbraio 2019

VENERDÌ 01 FEBBRAIO 2019

08.45 Saluto ai partecipanti e introduzione ospite

M. Aglietta

08.50 LETTURA MAGISTRALE

Carcinoma ovarico: Quando la biologia dovrebbe guidare

le decisioni cliniche?

C. Sessa

SESSIONE II

Moderatori G. Scambia, S. Danese

09.20 Evoluzione della classi�cazione anatomopatologica

dei tumori ovarici

G. Zannoni

09.40 Ruolo della citoriduzione secondaria nella recidiva

platinosensibile

M.G. Salerno

09.55 Discussants: Pro P. Scollo - Contro S. Greggi

10.15 Impatto delle terapie a bersaglio molecolare sulla chirurgia

C. Marchetti

10.30 Discussant: F. Raspagliesi

10.40 Discussione generale sulle relazioni della sessione

10.50 Coffee break

SESSIONE III

Moderatori: A. Savarese, U. De Giorgi

11.10 Nuovi algoritmi terapeutici nel trattamento

di prima linea del carcinoma ovarico

S. Pignata

11.30 Discussione generale sull’argomento della relazione

11.40 Opzioni terapeutiche mediche nel trattamento

della recidiva platinosensibile

M. Di Napoli

11.55 Discussant: G. Valabrega

12.05 Immunoncologia nelle neoplasie ovariche

E. Ghisoni

12.20 Discussant: V. Salutari

12.30 Discussione generale sulle relazioni della sessione

SESSIONE IV

Moderatori: D. Lorusso, G. Mangili

12.40 Vaccinazione contro HPV

R. Ponzone

13.00 Nuove prospettive nella terapia medica dei sarcomi uterini

G. Ferrandina

13.20 Immunoterapia per i tumori di cervice ed endometrio:

evidenze cliniche

E. Mazzoni

13.35 Discussant: D. Lorusso

13.50 Discussione generale sulle relazioni della sessione

14.00 Conclusioni e Compilazione del questionario ECM

14.15 Termine dei lavori e lunch di saluto

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Alessandra TerzaghiTesti, videointerviste ed editing

Valentina TuninettiTesti

HA REALIZZATO LO SPECIALE

Elisa Spelta Testi

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