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NON PUOI MENTIRMI

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NON PUOIMENTIRMI

PhiliP houston, MiKE Floyd,susan CarniCErocon don tEnnant

non PuoiMEntirMi

amore, affari, famiglia.tre ex agenti della cia insegnano

a smascherare bugie e inganni

Traduzione diLinda Rosaschino

Titolo originale: Spy the lie © 2012 by Philip Houston, Mike Floyd, Susan Carnicero, and

Don Tennant Published by arrangement with St. Martin’s Press, LLC. All rights

reserved

Realizzazione editoriale: Conedit Libri Srl - Cormano (MI)

ISBN 978-88-566-3325-2

I Edizione 2013

© 2013 - EDIZIONI PIEMME Spa, Milanowww.edizpiemme.it

Anno 2013-2014-2015 - Edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

A coloro che si sono sacrificatial servizio di una nobile causa.

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Introduzione

Benvenuti nel nostro mondo

Immaginate che sia il tardo pomeriggio dell’11 settem-bre 2001. A New York le squadre di soccorso sono alle prese con una catastrofe di dimensioni inimmaginabili in mezzo ai cumuli di macerie di Ground Zero, dove quel mattino sorgevano le Twin Towers. I rottami del volo 93 della United Airlines hanno trasformato un campo vicino a Shanksville, Pennsylvania, in un’area disastrata. Dallo squarcio sulla facciata nord-occiden-tale del Pentagono si alza ancora del fumo mentre voi e i vostri colleghi state cercando di fare i conti con quan-to è accaduto. Gli Stati Uniti sono sotto attacco.

Voi non siete diversi dalle centinaia di milioni di altri cittadini americani e del mondo intero che stanno cer-cando di fare i conti con la stessa cosa. Le emozioni sono le stesse per tutti. La differenza è che voi siete agenti della cia e avete competenze uniche che verran-no utilizzate per determinare l’origine dell’attacco, la natura della minaccia immediata alla nazione e le possi-bilità di prevenirne il ripetersi. Benvenuti nel nostro mondo.

Noi tre siamo arrivati in questo mondo da tre dire-zioni completamente diverse e anche i nostri background

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sono diversissimi. I denominatori comuni sono stati la fascinazione per la natura umana e la convinzione che le bugie siano al centro di troppi dei problemi che dob-biamo affrontare come individui, come nazione e come comunità globale.

Phil Houston era un agente della cia che dopo un’esperienza pluriennale come esaminatore al poligra-fo ha diretto importanti indagini interne ed è stato re-sponsabile della sicurezza del personale e delle strutture della cia. Grazie a centinaia di colloqui e di interrogato-ri non conflittuali ha acquisito un insieme di competen-ze che il paese avrebbe utilizzato in uno dei momenti più difficili della sua storia. Prima di diventare un agen-te della cia, Michael Floyd ha lavorato nel settore pri-vato come esperto del poligrafo. Ha addestrato gli esa-minatori della cia e di altre agenzie pubbliche e private, e ha condotto gli esami al poligrafo in centinaia di inda-gini criminali, molte relative a casi di alto profilo. Susan Carnicero, esperta in psicologia criminale, è stata un agente segreto della cia sotto copertura prima di entra-re ufficialmente in servizio come esaminatrice al poli-grafo e specialista della selezione del personale. Noi tre avevamo in comune una grande passione: riuscire a ca-pire se una persona sta dicendo la verità oppure no.

Il metodo di individuazione delle bugie che esporre-mo in questo libro ha le sue radici nell’esame poligrafi-co, che può accertare la sincerità di una persona in mo-do abbastanza accurato quando viene condotto da un esaminatore esperto. Il nostro metodo ha un grado di efficacia pari o anche superiore a quello ottenuto con l’uso del poligrafo.

Phil è stato il principale architetto di questo meto-do, che è stato sviluppato all’interno della cia per spe-

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cifiche applicazioni che non possono essere rivelate a causa della necessità di proteggere fonti e metodi. Ma a causa della sua efficacia, ben presto anche le altre agenzie di intelligence e gli organi di polizia federale chiesero di essere addestrati all’utilizzazione di questo metodo. Da allora noi tre abbiamo lavorato insieme per promuovere il suo sviluppo e per metterlo a punto affinché si prestasse a una più ampia varietà di applica-zioni.

Nel 1996 Phil e diversi suoi colleghi dell’Office of Se-curity della cia ricevettero dall’agenzia il permesso di addestrare all’uso del metodo il settore privato. Anche se gran parte della sua applicazione nella comunità dell’in-telligence era tenuta nascosta, il metodo di per sé venne ritenuto non segreto, quindi non c’era motivo di non renderlo disponibile ad altri settori. Susan, che sarebbe diventata il capo istruttore in questo metodo all’interno dell’agenzia, si unì a noi poco tempo dopo. Da allora noi tre abbiamo fornito l’addestramento a centinaia di orga-nizzazioni, fra le quali clienti di Wall Street, società di capitali e studi legali, enti non-profit, istituzioni accade-miche e forze dell’ordine.

Tuttavia ci rendemmo conto che restava un grandis-simo numero di persone che non potevamo raggiunge-re con i nostri programmi di addestramento. Decidem-mo così che il passo successivo sarebbe stato mettere il nostro metodo a disposizione della gente comune, in modo che potesse utilizzarlo nella vita quotidiana sul lavoro, a casa e a scuola. Ed è qui che entrate in gioco voi.

Voi, come chiunque altro, vi ponete regolarmente in-terrogativi che hanno un impatto significativo sulla vo-stra vita. Il vostro capo è del tutto sincero circa le proie-

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zioni per i prossimi due trimestri? Conviene davvero restare a lavorare per lui piuttosto che andare dalla concorrenza? Il vostro compagno o la vostra compagna sono sinceri quando dicono che l’altra sera si sono limi-tati ad andare a bere qualcosa con un paio di amici? Vostro figlio dice la verità quando vi assicura che non ha mai sperimentato stupefacenti? Altri interrogativi possono avere minori conseguenze dal punto di vista personale, ma volete conoscere ugualmente la risposta. Quel quarterback parla sul serio quando dice che non tornerà a giocare la prossima stagione? Quel politico è sincero quando sostiene che non si candiderà alle pros-sime elezioni?

Immaginate di essere in grado di individuare le bu-gie nelle risposte a questo e a innumerevoli altri inter-rogativi che sorgono ogni giorno tutto intorno a voi, di acquisire la capacità di capire quando gli altri mentono. Benvenuti nel vostro nuovo mondo.

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Com’è difficiledare a qualcuno del bugiardo

La gente crede alle bugie non perché è costretta a farlo ma perché vuole farlo.

MaLcoLM MuggeRidge

Sembrava che quel giorno Phil fosse stato fortunato. L’informatore straniero che doveva incontrare in un hotel del centro, in un paese che non può essere identi-ficato a causa della segretezza del lavoro che la cia svol-ge laggiù, collaborava con l’agenzia da vent’anni e la sua lealtà era considerata certa. L’informatore, che chiameremo Omar, era stato interrogato dal personale della cia in numerose occasioni nel corso degli anni, e la sua credibilità era stata avvalorata a ogni incontro. Omar era ormai considerato un fido alleato pronto a svolgere la sua missione ogni volta che gli veniva chie-sto.

Phil e un collega dell’Office of Security erano stati inviati dalla base di Langley un paio di settimane prima per condurre colloqui di routine con informatori che operavano in diversi paesi della regione. Come gli stes-si dipendenti della cia, questi informatori stranieri do-vevano venire regolarmente interrogati per assicurarsi che continuassero a soddisfare le rigorose esigenze di sicurezza dell’agenzia. Il lavoro era interessante – anda-re sul campo era sempre un cambiamento gradito – ma estenuante. Questi interrogatori potevano essere estre-

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mamente intensi e protrarsi per ore se un informatore dava adito al sospetto di nascondere qualcosa.

Essendo molto pignolo nel suo lavoro, Phil esaminò il file di Omar come se stesse preparando la squadra del cuore per una partita contro una squadra rivale. Studiò i rapporti sulle passate attività di Omar come se stesse guardando la registrazione di un incontro, cercando di cogliere qualsiasi dettaglio o sfumatura potesse assicu-rargli la vittoria. Quando finalmente chiuse il file si fe-licitò per la propria fortuna. Sarebbe stata una cosa fa-cile. Omar era assolutamente limpido.

Mentre Phil stava uscendo per andare a incontrare Omar, il suo collega lo fermò sulla porta.

«Ehi, immagino che non riuscirai a tornare per cena, eh?»

«Sì, sì, torno, questo è un lavoretto facile» gli assicu-rò Phil. «Ti raggiungo entro due ore.»

Il suo collega era scettico. «Non ci credo» disse.«Guarda, finalmente ho avuto fortuna. Lo so che ul-

timamente mi sono capitati un sacco di casi difficili, ma questo è diverso. Quel tipo è stato controllato da così tanti dei nostri che non c’è nulla di cui preoccuparsi. Due ore.»

Phil si diresse verso il luogo prefissato per l’appunta-mento, una stanza ai piani alti di un albergo che sorge-va nel centro della città. Già solo fare arrivare Omar all’albergo era stata di per sé un’operazione clandesti-na, un piano accuratamente studiato ed eseguito con assoluta precisione in modo da evitare che Omar venis-se scoperto dai servizi segreti nemici. Quando Phil e Omar furono al sicuro nella stanza – una suite dotata di un confortevole salottino – conversarono amichevol-mente per un po’ e poi Phil si mise al lavoro.

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Si sedette sul divano e invitò Omar ad accomodarsi sulla poltrona che era lì accanto. Avendo condotto cen-tinaia di interrogatori simili, Phil sapeva esattamente come comportarsi. Con un atteggiamento rilassato ma efficiente cominciò a sottoporre a Omar una serie di domande standard. Come prevedibile Omar rispose in modo diretto e disinvolto. Si vedeva che dopo vent’an-ni anche lui conosceva a memoria la procedura.

«Lei lavora con noi da anni» disse Phil. «Ha mai la-vorato per qualcun altro?»

Era un modo disinvolto per porre a quel vecchio e fidato informatore la domanda che doveva essere po-sta. Aveva mai lavorato per i cattivi? Quello che accad-de subito dopo sconcertò Phil.

Omar si dimenò sulla poltrona, esitò e con evidente disagio rispose con una domanda. «Posso pregare?»

Phil era sbalordito. Accidenti. Che cosa stava succe-dendo? Non si era aspettato quel comportamento da parte di Omar. Eppure era successo.

«Ma certo, non c’è problema» disse Phil, ancora per-plesso. Si aspettava che Omar chinasse la testa per qualche istante e poi rispondesse. Quindi quel che ac-cadde poi fu ancora più sconcertante.

Omar si alzò, andò in bagno e tornò con un asciuga-mano. C’era qualcosa che non andava. E non aveva senso. La fedina immacolata di Omar e la certezza da parte di Phil che fino a quel punto l’informatore non avesse mentito significava che il comportamento di Omar doveva avere una spiegazione logica.

Mentre Phil si sforzava di dare un senso a quello che stava accadendo, Omar si avvicinò alla finestra. Che co-sa sta facendo? Sta cercando di fare segnali a qualcuno con l’asciugamano? E adesso cosa succede? Poi capì.

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Omar era musulmano. Era andato alla finestra per orientarsi in modo da poter pregare rivolto verso la Mecca. I musulmani pregano a determinate ore del giorno, e magari era l’ora della preghiera.

In effetti Omar stese l’asciugamano sul pavimento per usarlo come tappeto da preghiera e ci si inginoc-chiò sopra. Mentre Omar pregava, Phil si mise a riflet-tere. Aveva detto qualcosa di offensivo per Omar? Era stato irrispettoso nei confronti della sua religione? Non poteva fare a meno di sperare che fosse stato il suo mo-do di condurre l’interrogatorio e non le azioni di Omar a costituire il problema. Dopo tutto Omar era un infor-matore fondamentale per l’operazione che la cia stava conducendo in quel paese. Se al suo ritorno Phil avesse dichiarato che una fonte considerata fidata per tanti an-ni e dichiarata idonea da così tanti esaminatori era inaf-fidabile, il capo dell’operazione in quel paese avrebbe voluto la testa di Phil, non quella di Omar. A parte que-sto, Phil cominciava ad avere fame e si stava avvicinan-do l’ora del suo appuntamento per cena. Nessuno più di lui voleva credere che Omar fosse pulito.

Dopo avere pregato per circa dieci minuti Omar si alzò, piegò l’asciugamano e tornò a sedersi. Mentre rac-coglieva le idee per riprendere l’interrogatorio, Phil si rese conto che si stava facendo sviare dal desiderio di credere a Omar invece di attenersi a una valutazione oggettiva del comportamento dell’informatore. C’era una sola cosa da fare: porgli di nuovo quella domanda.

La risposta non fu affatto quella che Phil aveva spe-rato. Omar esitò e spostò i piedi con evidente imba-razzo. «Perché me lo domanda?» protestò. «Ci sono problemi?»

Se non c’erano stati prima, a quel punto c’erano. La

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reazione verbale e non verbale di Omar a quella do-manda fece capire a Phil che doveva tirargli fuori la verità. Valendosi della propria esperienza negli interro-gatori non conflittuali, Phil diventò una specie di gps umano con una meta ben precisa: una confessione.

Phil raggiunse la meta prima di quanto si aspettasse. In meno di un’ora Omar ammise di aver lavorato per servizi segreti nemici durante tutti i vent’anni nei quali aveva fatto l’informatore della cia.

Tuttavia il lavoro di Phil non era ancora finito. Tutt’altro. Adesso doveva assicurarsi che Omar dicesse la verità quando sosteneva di aver lavorato per i nemici durante tutti quegli anni. Proseguendo l’interrogato-rio, Phil cominciò a fargli domande per ottenere infor-mazioni che avvalorassero la sua confessione. Adesso che la verità era saltata fuori, Omar raccontò come per anni avesse finto di essere un principiante mentre veni-va addestrato dalla cia: il più delle volte aveva già rice-vuto lo stesso addestramento da parte dei nemici. Co-minciò a raccontare nei dettagli alcuni dei suoi successi contro gli americani. Una delle sue imprese era partico-larmente preoccupante.

Gli individui che possono accedere ai segreti di qual-siasi operazione della cia nel mondo sono gli agenti ad-detti alle comunicazioni. Sono loro che gestiscono tutte le comunicazioni fra la sede centrale di Langley e le al-tre sedi in tutto il mondo. Hanno accesso alla rete di comunicazioni ultrasensibili della cia e a ogni docu-mento segreto che viene trasmesso da o alla loro sede. Se i servizi segreti ostili considerano il personale di una sede della cia come una potenziale miniera d’oro di in-formazioni, gli agenti addetti alle comunicazioni sono il filone metallifero principale.

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Venne fuori che Omar si era avvicinato in modo allar-mante a due agenti addetti alle comunicazioni, che abi-tavano nella stessa casa e avevano assunto un domestico locale. Omar era riuscito ad assoldare il domestico.

Quella rivelazione fu un altro colpo per Phil, che era perfettamente consapevole dei danni che una situazio-ne del genere poteva arrecare. L’impatto della rivelazio-ne, però, venne subito ridimensionato. Omar confidò a Phil che dopo un paio di mesi il domestico aveva im-provvisamente e inspiegabilmente lasciato l’impiego. Quando Omar aveva comunicato la cattiva notizia al suo contatto, un ex sollevatore di pesi, costui si era ar-rabbiato così tanto che aveva preso una sedia e l’aveva rotta a mani nude. Omar disse a Phil di non aver avuto idea del valore che i nemici attribuivano all’avere una spia all’interno dell’appartamento degli agenti addetti alle comunicazioni, e di aver cominciato a temere per la propria incolumità quando il suo contatto aveva co-minciato a urlargli contro in modo incontrollabile.

Phil annuì, sollecito e comprensivo. Dentro di sé, si sentiva trionfante. Aveva dovuto rinunciare all’appun-tamento per cena, ma ne era valsa la pena.

Era l’alba quando Phil concluse l’interrogatorio. Omar se ne andò, ben sapendo che la cosa non era fini-ta lì. Phil tornò alla sede della cia e si mise subito in comunicazione con Langley. La rivelazione della dop-piezza di Omar fu accolta con incredulità. Come pote-va essere accaduta una cosa del genere? Come aveva fatto Omar a fingere per tutti quegli anni?

Phil stava cominciando ad afferrare le risposte. Sape-va bene che individuare le bugie può essere molto dif-ficile. Sapeva che in quella camera d’albergo era stato sul punto di rovinare tutto. Si rendeva conto di quanto

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avesse desiderato credere a Omar: aveva cercato delle ragioni per farlo, si era rimproverato per la propria in-sensibilità alla fede e alle pratiche religiose di Omar. Solo quando si era imposto di adottare un approccio sistematico e oggettivo all’interrogatorio aveva ottenu-to ciò che voleva.

Quell’approccio si stava cristallizzando nella mente di Phil. Era un qualcosa in via di formazione, un insie-me dell’addestramento che aveva ricevuto e dell’atten-zione che riservava ai comportamenti che aveva osser-vato nel corso di centinaia di interrogatori. Sembrava avere la capacità di valutare il comportamento umano, abilità che diventava sempre più spiccata. Era una sen-sazione di pancia, ma c’era di più. Si trattava anche di un’analisi cognitiva, una catalogazione quasi inconsape-vole dei comportamenti verbali e non verbali esibiti in risposta alle sue domande. E quei comportamenti sta-vano cominciando a fondersi in un approccio all’indivi-duazione delle bugie che si stava dimostrando straordi-nariamente efficace. Phil stava trasformando la sua personale abilità in un insieme di competenze quantifi-cabile e replicabile. Allora non poteva sapere che quella trasformazione avrebbe portato a un metodo per distin-guere la verità dalla menzogna che gli agenti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, e infine anche le perso-ne comuni, sarebbero state addestrate a utilizzare.

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Imparare a individuare le bugie

Il principale problema nella comunica-zione è l’illusione che ci sia stata.

danieL W. davenpoRt

Non esiste un essere umano capace di individuare le bugie. Chiariamo subito che non pensiamo di essere in grado di farlo. Nessun individuo al mondo può sapere senza ombra di dubbio se qualcosa che qualcuno dice è una bugia, a meno che non sia contrario a qualcos’altro che sa già essere vero. Se qualcuno vi dice di essere sta-to l’assistente di un certo allenatore in un certo anno, e voi sapete che in quell’anno quell’allenatore non ha al-lenato, sapete che quella persona vi ha mentito. Se però non sapete chi sia quell’allenatore, in quel momento non avete modo di sapere se quella persona vi sta men-tendo o meno. Niente può cambiare questo fatto, né questo libro, né altri.

Quello che possiamo fare, però, è darvi alcuni stru-menti che in numerosissime situazioni si sono rivelati estremamente efficaci per individuare le bugie, e pos-siamo insegnarvi a usarli. Pensate a quegli strumenti come ai mezzi per applicare l’approccio sistematico che Phil stava sviluppando mentre conduceva quelle centinaia di colloqui e interrogatori per la cia: un ap-proccio che alla fine si è trasformato nel nostro metodo di individuazione delle bugie.

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Prima di andare al nocciolo del nostro metodo è im-portante capire che esistono notevoli ostacoli all’indivi-duazione delle bugie. Eccone alcuni che abbiamo tro-vato particolarmente impegnativi.

La convinzione che gli altri non vi mentirannoQuesto è il principale ostacolo che Phil dovette su-

perare durante il suo incontro con Omar, che era già stato controllato attentamente, era ritenuto sincero e godeva di una buona reputazione. In un contesto più quotidiano, questo è un ostacolo di natura sociale. Nella nostra società operiamo nella convinzione che le persone siano innocenti finché non si dimostrano col-pevoli, e con l’idea – che ci è stata inculcata fin da pic-coli – che mentire è una delle cose peggiori che si pos-sano fare. I genitori dicono ai propri figli che se combinano qualche guaio, mentire in proposito è mol-to peggio del guaio che hanno combinato. Questo con-dizionamento può causare notevole disagio quando ci troviamo a dover dare del bugiardo a qualcuno, e vo-gliamo credere a quello che gli altri ci dicono. Il pro-blema è che le persone mentono, e mentono parecchio. Secondo alcune ricerche comportamentali, in media mentiamo almeno dieci volte nell’arco di ventiquat-tr’ore, comprese le cosiddette “bugie a fin di bene”, che raccontiamo per evitare conflitti o per non ferire gli altri. Gli psicologi vi diranno che chiunque vi men-tirà, se crede che sia nel proprio interesse farlo. Noi aggiungiamo che è più probabile che vi menta se pensa di farla franca.

Un altro motivo per il quale vogliamo credere al prossimo è che la maggior parte di noi non ama giudi-

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care gli altri, e a ragione. Non vogliamo scagliare pietre contro nessuno perché sappiamo che non possiamo permettercelo. Quello che però dobbiamo ricordare è che il processo di accertamento della verità non è di per sé un tentativo di giudizio. Anzi, se permettiamo a qualsiasi tipo di giudizio di insinuarsi nel processo ci mettiamo in una posizione di svantaggio perché questo ci distrarrà dall’approccio sistematico che dobbiamo adottare per scoprire la verità. Noi tre non abbiamo alcuna inclinazione o interesse a giudicare le persone delle quali verifichiamo la sincerità. Il nostro unico obiettivo è fornire dati di fatto per guidare il processo decisionale in modo che in ogni data situazione possa essere presa la decisione migliore.

Fiducia nei miti comportamentaliCi sono un sacco di comportamenti che vengono

considerati indicativi del fatto che una persona è since-ra o meno. Tuttavia abbiamo scoperto che non sono supportati da un numero sufficiente di prove aneddoti-che o empiriche, e che non hanno neppure lontana-mente l’attendibilità dei comportamenti che vi indiche-remo. Per questo raccomandiamo che non vengano utilizzati per individuare le bugie. Parleremo di questi comportamenti al capitolo 12.

Le complessità della comunicazioneForse non ci avete mai pensato in questo modo, ma

quando state cercando di capire se una persona vi sta mentendo o vi sta dicendo la verità, ciò che state analiz-zando è la comunicazione. Il problema è che la comu-

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nicazione può essere una faccenda molto indefinita, per un paio di motivi.

Per prima cosa, a causa dell’imprecisione del lin-guaggio spesso sentiamo una parola e poi le attribuia-mo il senso che vogliamo noi, e quell’interpretazione è ciò che guida la nostra comprensione di ciò che ci viene comunicato e il modo con il quale reagiamo. Il secondo problema è che le parole non sono l’unica cosa con la quale abbiamo a che fare quando analizziamo la comu-nicazione: anzi, le parole non fanno neppure la parte del leone. Le ricerche ci dicono che se dividiamo la co-municazione in due parti – quella verbale e quella non verbale – la maggior parte della comunicazione è non verbale.

Come mai questo è così importante per individuare le bugie? Se stiamo cercando di analizzare quello che ci viene comunicato, e la maggior parte della comunica-zione è non verbale, come ce la caviamo? Probabilmen-te non molto bene. Ma almeno abbiamo sotto control-lo la comunicazione verbale, no? Forse sì, e forse no. Quante persone definirebbero il proprio coniuge un buon ascoltatore? Il fatto è che molti di noi non sono grandi comunicatori. Questo è un ostacolo, il che signi-fica che per individuare le bugie dobbiamo capire co-me gestire alcune delle complessità associate alla comu-nicazione.

I nostri inesplicabili pregiudiziAnche se il termine tende ad avere una connotazione

negativa, i pregiudizi sono un fatto della vita, e non so-no necessariamente negativi. Tutti noi abbiamo pregiu-dizi. Se abbiamo una squadra del cuore, quello è uno

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dei nostri pregiudizi. Se non siamo completamente neutrali circa una cosa, abbiamo necessariamente dei pregiudizi pro o contro di essa. Il problema è che i no-stri pregiudizi contribuiscono enormemente a farci cre-dere o non credere a qualcuno. Quando dobbiamo in-terrogare qualcuno non possiamo permetterci il lusso di mettere alla porta i nostri pregiudizi, quindi dobbia-mo trovare un sistema per gestirli in modo da non do-verci neppure pensare nel corso dell’interrogatorio o del colloquio.

In un caso risalente ai primi anni Novanta il capo di una setta satanica era stato accusato di avere molestato sessanta bambine appartenenti alla setta. Una di que-ste, una tredicenne dalla voce carezzevole, aveva rac-contato agli investigatori storie orribili su ciò che lei e le altre bambine avevano subito diversi anni prima da parte del capo della setta. Come prevedibile l’uomo aveva negato tutto, e non c’erano prove a sostegno de-gli spaventosi racconti della ragazzina. Chi diceva la verità, il capo della setta satanica o la ragazzina? Nessu-no fra coloro che avevano ascoltato il racconto della ragazzina dubitava che dicesse la verità. Possibile che avessero dei pregiudizi a suo favore?

Michael venne invitato a interrogare la ragazzina, e il metodo che presentiamo in questo libro gli rese possi-bile mettere a tacere i propri pregiudizi durante l’inter-rogatorio. In questo modo Michael riuscì a scoprire la verità: la ragazzina ammise che i suoi racconti erano stati una bugia molto elaborata.

Susan una volta condusse un colloquio per conto di un cliente che le aveva detto che a una candidata – che chiameremo Mary – era stato diagnosticato un cancro. Come tutti coloro che hanno avuto a che fare con il

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cancro, Susan avrebbe potuto farsi influenzare da un pregiudizio positivo nei confronti di una vittima di que-sta malattia. Tenendo a bada i pregiudizi, Susan scoprì diverse cose che lasciarono sbalordito il potenziale da-tore di lavoro. Nel corso di quell’unico colloquio Susan venne a sapere che Mary si era inventata la storia del cancro. I suoi genitori erano morti recentemente in un incidente d’auto, e il suo stile di vita ne aveva risentito. Mary sapeva che sarebbe stata espulsa dallo yacht club del quale i genitori erano stati soci, ma aveva scoperto che il club consentiva ai membri della famiglia di conti-nuare a godere dei previlegi dei soci in particolari circo-stanze, quindi aveva deciso di fingersi malata di cancro. Il piano aveva funzionato, ma dal momento che i geni-tori della sua migliore amica facevano parte dello stesso club aveva dovuto fingersi malata di cancro anche con loro. Per giunta, il padre della sua amica si era impieto-sito e le aveva offerto un lavoro. «Se non ho voglia di andare a lavorare dico che quel giorno devo andare a fare la chemioterapia» disse Mary a Susan. Inutile dire che Mary non superò il colloquio con Susan.

Un’ultima cosa a proposito dei pregiudizi. Non biso-gna mai sottovalutare il loro potere. Se non riusciamo a metterli da parte verremo sconfitti. I due figli maschi di Phil vi diranno che da ragazzini venivano sempre con-siderati colpevoli finché non dimostravano la propria innocenza. Sua figlia Beth, invece, non era mai colpevo-le di nulla. Era la pupilla del suo papà.

L’influenza “globale”Che ve ne rendiate conto o meno, ogni volta che ave-

te cercato di capire se qualcuno diceva la verità oppure

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no è probabile che abbiate utilizzato quella che viene definita “valutazione globale del comportamento”, che ha una certa logica. Sostanzialmente vi dite: “Divente-rò un aspirapolvere umano, aspirerò tutte le informa-zioni in modo da avere a disposizione quanti più dati possibili e prendere così la decisione migliore.” Per quanto possa apparire ragionevole, è impossibile. Ave-te troppo materiale a disposizione e troppo lavoro per analizzarlo tutto. È come cercare di bere da un idrante. Inoltre, utilizzando una valutazione globale del com-portamento siete costretti a fare congetture circa il si-gnificato di molti dei gesti che osservate. Per esempio, spesso sentiamo dire che se durante un interrogatorio o un colloquio una persona sta seduta con le braccia in-crociate sul petto, in una posizione di chiusura, signifi-ca che sta nascondendo o rifiutando qualcosa. E se quella persona stesse semplicemente più comoda in quella posizione? E se avesse freddo? Stiamo tirando a indovinare il motivo per il quale sta seduta in quel mo-do, e non è certo il sistema migliore per raccogliere da-ti accurati.

Quello che dobbiamo fare, allora, è gestire il flusso di dati che giungono a noi adottando un approccio più sistematico che faccia da filtro a tutti gli elementi estra-nei. Il metodo che presenteremo vi permetterà di farlo.

Prima di introdurre il metodo e di parlare di specifi-ci comportamenti ingannatori, c’è un’altra cosa che va messa in chiaro. Il comportamento umano non è neces-sariamente logico, né si conforma necessariamente alle nostre aspettative. Quello che ciascuno di noi ritiene logico è il riflesso delle nostre convinzioni e della nostra bussola morale. Uno psicologo dell’agenzia ci ha detto

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e ripetuto che esiste solo una relazione casuale fra il comportamento umano e la logica. E abbiamo scoperto che è proprio così.

Susan ricorda di avere imparato molto presto ad aspettarsi l’inatteso. Una volta andò in vacanza in Gia-maica con sua figlia piccola, Lauren, e la sua amica Cindy, e prese alloggio in un cottage che faceva parte di un resort. Susan aveva a disposizione una governante e un addetto alla piscina, due persone di fiducia, ma de-cise di assumere anche una bambinaia perché l’aiutasse a prendersi cura di Lauren.

Susan e Cindy si sentivano così tranquille in quell’am-biente semplice e familiare che non si fecero problemi a lasciare i soldi e gli oggetti di valore nelle proprie ca-mere da letto invece che nella cassaforte dell’albergo. Ma il giorno dopo il loro arrivo Cindy disse a Susan che una quarantina di dollari che aveva lasciato sul comò della sua camera erano spariti.

Susan pensò che Cindy avesse semplicemente lascia-to quei soldi da qualche altra parte e se ne fosse di-menticata, ma per precauzione misero tutto il loro de-naro nella cassaforte dell’albergo. Il giorno prima della partenza Susan ritirò i soldi dalla cassaforte, li mise in borsa e mise la borsa in un cassetto del comò. Il gior-no successivo andò a fare un’ultima nuotata e quando tornò scoprì che i contanti, circa 1.200 dollari, erano scomparsi.

Non aveva senso. La governante e il ragazzo addetto alla piscina erano come persone di famiglia, e la bambi-naia, che chiameremo Betty, era una persona della qua-le Susan si fidava tanto da averle affidato la figlioletta. Com’era possibile che uno di loro avesse tradito la sua fiducia?

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Subito prima di partire per quella vacanza Susan e Cindy erano venute in contatto con il nostro metodo per l’individuazione delle bugie, e Susan decise di usar-lo per cercare di capire cos’era successo. Andò dal di-rettore dell’albergo per denunciare il furto e gli disse che aveva bisogno di parlare con Betty. Il direttore le disse che non avrebbe risolto nulla, perché Betty non avrebbe mai ammesso di avere rubato. Fare simili am-missioni non era nella natura dei giamaicani. Susan in-sistette e il direttore si arrese, anche se disse a Susan che non le era consentito picchiare Betty. Per fortuna Susan non aveva in mente di picchiare la bambinaia.

Susan tornò al cottage, impaziente di mettere in pra-tica il metodo che aveva appena imparato. Data la sua inesperienza aveva qualche dubbio circa i risultati che avrebbe ottenuto, ma voleva comunque fare un tenta-tivo. Quando arrivò al cottage chiamò Betty in camera sua e le disse che voleva parlarle.

Betty entrò e Susan chiuse la porta.«Avevo lasciato qui un bel po’ di soldi e adesso sono

spariti» disse Susan. «Betty, li hai presi tu?»Betty fece un passo indietro e urtò contro il comò.

«Quali soldi?» domandò.«I soldi che erano dentro la mia borsa, nel comò»

disse Susan.Betty esitò. «Mi sono presa cura di Lauren!» prote-

stò. «Non ho staccato gli occhi da quella bambina!»Susan esitò. In effetti Betty si era presa cura molto

bene della bambina. Possibile che stesse dicendo la ve-rità? Susan decise di insistere.

«Betty, c’è qualche ragione per la quale la domestica e il ragazzo addetto alla piscina potrebbero dirmi che ti hanno vista frugare nella mia borsa?»

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Betty si mosse con un certo imbarazzo e non disse nulla. Susan decise che era arrivato il momento di porle una domanda presuntiva, cioè una domanda che pre-sume qualcosa in relazione alla materia in questione. In quel caso, si trattava della presunzione che Betty avesse rubato i soldi (discuteremo a fondo delle domande pre-suntive al capitolo 10).

«Betty, che cos’hai fatto con i soldi?»«Mi spiace» disse Betty.«Cosa?» domandò Susan, incredula.«Mi spiace» ripeté Betty. Infilò una mano nel reggi-

seno e tirò fuori i soldi.Susan era attonita. Non era affatto quello che si era

aspettata, specialmente dopo aver parlato con il diret-tore d’albergo. Quello che lui aveva detto sulla natura dei giamaicani era stato smentito, ma neppure lei si era aspettata che Betty capitolasse così in fretta. Il metodo funzionava davvero. Quel giorno Susan si rese conto che il comportamento umano non obbedisce sempre a quello che a noi sembra sensato, e che quello che a noi sembra sensato non è necessariamente utile per valuta-re come una persona pensa o agisce. Susan avrebbe continuato a usare questa consapevolezza in situazioni molto più serie, con implicazioni dalla portata molto più ampia.

Phil ci era già arrivato. Aveva scoperto che spesso abbiamo determinate aspettative in base alle quali, per esempio, potremmo guardare una persona che consi-deriamo intelligente e sofisticata e ritenere impossibile che quella persona abbia un comportamento sfacciata-mente ingannatorio. A volte arriviamo al punto di pen-sare che la persona che ha quel comportamento debba sapere e comprendere ciò che sta facendo, e ciò che il

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suo comportamento ci dice. In realtà le persone non pensano necessariamente al proprio comportamento in un modo che a noi sembra logico. Quindi, indipenden-temente da quanto intelligenti e sofisticate alcune per-sone possono essere, hanno comunque un comporta-mento ingannatorio.

Phil una volta interrogò un informatore straniero che era stato recentemente assoldato dall’agenzia, un uomo erudito con un dottorato e una brillante carriera universitaria. Phil gli pose una domanda standard, e cioè se avesse mai lavorato per i servizi di spionaggio di qualche altro paese. La reazione dell’uomo non sareb-be potuta essere più strana. Improvvisamente si alzò in piedi, disse «Nossignore» e tornò a sedersi. Era come se fosse di nuovo all’università e stesse rispondendo al-la domanda posta da un professore. Alla fine ammise di essere stato reclutato dai russi per lavorare per il kgb.

Se questo caso è strano, ce n’è un altro ancora più strano.

Phil stava interrogando un agente straniero che era stato sospettato di essere impegnato in attività nocive per gli interessi statunitensi. Quando Phil gli domandò se avesse fatto una cosa del genere, l’agente sollevò un dito e guardò Phil dritto negli occhi.

«Sa,» disse «potrei farla uccidere.» Evidentemente la domanda di Phil non gli era piaciuta.

«Ne sono certo» rispose Phil. E gli pose di nuovo la stessa domanda. Spiegheremo perché al capitolo 6.