nihilismi#2

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Anno III - Inverno 2013 Fanzine di religione, innocenza, sofferenza e morte.

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Kamakura (Giappone), Anno Domini 2011In quei giorni mi recai a Kamakura, a pochi chilometri da Tokyo e presso il tempio Jōchi-ji (un po’ buddhista e un po’ scintoista) e trovai un cartello che recitava: “Walk this way, the God of Happiness is waiting for you in the cave”.Il dio della Felicità? E come sarà rappresentato? Com’è un dio felice? Io, che conosco solo martiri, passioni e crocifissioni. Io che fin dai primissimi anni della mia vita, ho imparato bene quella lezione secondo cui, non c’è gioia se non nell’alto dei cieli. Io che abito in una valle di lacrime, che partorirò con dolore e lavorerò con gran sudore.Zampettando tra i gradini scavati nella roccia, affaticata nonostante il fresco e l’ombra della foresta di bambù, sono arrivata a quella che era a tutti gli effetti un grotta, con verdi felci e grappoli di muschio a far da cornice, che ospitava un Hotei. Una statua di Buddha, dunque, grasso e calvo che mi stava aspettando per spiegarmi cos’è la felicità, o almeno così speravo. Quello che ho trovato invece, è stato un Buddha che mi puntava ad-dosso l’indice cicciotto e se la rideva alla grande. Con-scio, forse, del mio fiatone e del fatto che avevo spinto un po’ troppo il passo per arrivare prima possibile a lui. Dopotutto lui stava aspettando me. Consapevole dell’a-spettativa che reca il suo nome, il “Buddha che ride” di Kamakura, mi ha guardato, come un padrone innamo-rato guarda il proprio gatto che s’avviluppa in un gomi-tolo di lana, tormentandosi. E con quel dito mi ha detto: “Sei tu, sciocchina”, ed io, davanti a lui, non ho potuto fare altro che rispondere al suo sorriso e dire: “Chape-au, vecchio Buddha. Questa volta me l’hai fatta”.

Bobbiate (Italia), Anno Domini 1980-qualcosa. Sono stata nei Boyscout. Frequentavo, ai tempi in cui ero un “Lupetto” e prima ancora “Castorino”, una gros-sa chiesa -rossa di mattoni e grigia di cemento- con enormi, grossi, giganti, mastodontici affreschi, impos-sibili da non guardare. Erano affreschi “moderni” che, al posto della vita dei Santi, raffiguravano bambini afri-cani denutriti, col ventre gonfio, le costole sporgenti e le mosche appiccicate agli occhi, uomini e donne rapati a zero, riddotti all’osso con indosso quelli che ai tempi, mi sembravano pigiami a righe e poi ancora altro. Im-magini di dolore, fame e crudeltà. Ed io agli Scout non ci volevo più andare, anche perché ero l’unica femmina tra i “Lupetti” (le bambine di solito facevano le “Coc-cinelle”) e poi perché mi facevano vestire da idiota e avevo le Timberland. E poi perché proprio non mi capa-citavo come fosse possibile passare un’ora a Messa da-vanti a quelle immagini e poi andare a giocare come se niente fosse. Per poi finire davanti alla tavola imbadita del pranzo della domenica, con la famiglia e gli avanzi da scaldare la sera e poi buttare il lunedì. C’avevo in-somma, il senso di colpa di non soffrire e sebbene aves-si le costole sporgenti, non era abbastanza. Da allora, dai tempi dei “Lupetti” e del mio ammutinamento dagli

Scout, mi sono posta per anni una domanda: Perché? Perché il male? Perché il dolore? La sofferenza e la ma-lattia? Attenzione: la domanda non è “perché si soffre”. La domanda è perché la religione cristiana cattolica ro-mana apostolica stocazzo c’ha ‘sta fissa col dolore? Nella Croce di Cristo non solo si è compiuta la re-denzione mediante la sofferenza, ma anche la stes-sa sofferenza umana è stata redenta. Le sofferenze di Gesù furono il prezzo della nostra salvezza. Da allora, il nostro dolore unito a quello di Cristo può essere reso partecipe della Redenzione dell’umanità intera. Questa è stata la grande rivoluzione cristia-na: trasformare il dolore in una sofferenza fecon-da; fare, di un male, un bene. Abbiamo spogliato il diavolo di quest’arma…; e, con essa, conquistiamo l’eternità. Si parla di croce e si parla del Diavolo.E qui parlermeo di croce e di Diavolo. Partiamo dalla croce. Nella quinta stazione della Via Crucis, Gesù vie-ne aiutato a portare la croce da Simone di Cirene, ma -dicono le Sacre Scritture- che l’uomo, quan-do fu sollecitato ad aiutare Gesù a portare la cro-ce, non mostrò alcuna intenzione da farlo, ma alla fine venne costretto dai suoi cari. Leggiamo su www.gesumaria.it che: «In un primo momento vedeva solo la croce, e la croce non era che un legno gravoso e molesto. Poi non si preoccupò più del legno ma del condannato, quell’uomo del tutto unico che stava per essere giustiziato. Allora tutto cambiò: aiutò Gesù con amore e meritò il premio della fede per sé e per i suoi due figli, Alessandro e Rufo. Anche noi, in mezzo alle prove e alle tribolazioni, dobbiamo guardare a Cristo. Ci preoccuperemo meno della croce e faremo posto all’amore». Leggiamo bene: «aiutò Gesù con amore e meritò il pre-mio della fede per sé e per i suoi due figli, Alessandro e Rufo». Sì, perché secondo la dottrina cristiana, i popoli e gli individui sono responsabili delle proprie azioni ed il bene degli uni ricade sugli altri e così il male, i meriti e le colpe dei padri si riversano sui figli, come possiamo leggere sul Deuteronomio 28, sul Levitico 26 e su altri testi sacri come il Libro dei Giudici e il Libri dei Re. Su questo si basa il concetto di retribuzione, ovvero la questione di come Dio premi o castighi le azioni degli uomini. Che cos’è il male? E perché soffriamo, secon-do la religione sponsor ufficiale del Belpaese? La “re-tribuzione” può essere spiegata in differenti teorie:C’è la retribuzione terrena colletiva, per esempio, per cui noi tutti siamo responsabili delle nostre azioni, come la buona azione di Simone di Cirene che aiuta Cristo a portare la croce, si ripercuoterà sui suoi figli. Ed è per questa ragione che l’uomo, sebbene contro-voglia, motivato e incentivato dall’interesse diretto dei propri cari («Vuoi mettere quanta merda pioverebbe sui tuoi figli e sui figli dei tuoi figli se non aiuti il Cristo? Mica la vecchietta che attraversa la strada, stiamo par-lando di Gesù Nostro Salvatore che conduce la croce verso il Golgota» deve avergli detto la moglie).

LA CROCE & IL DIAVOLOIl FABBRUTTISMO teodiceo come spiegazione del male nel mondo.

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C’è la retribuzione terrena individuale, secondo cui (dice Ezechiele) ognuno è responsabile delle proprie azioni e viene premiato in virtù di queste. Ma tutto questo fa un po’ troppo Antico Testamento e il ragio-namento un po’ vacilla. Se paghiamo solo e soltanto per i nostri errori, allora perché anche i giusti soffrono e gli stronzi (ooops... si dice “empi”) godono? Questa teoria non piace molto ai teodicei (ovvero quei teologi che studiano il rapporto tra la giustizia di Dio e la pre-senza nel mondo del male). Insomma – dicono i teodi-cei – ha più senso che per il principio di solidarietà, il sopravvento dei peccati della collettività, vada a pesare persino sui giusti, che vengono dunque puniti insieme ai malvagi. Com’è che diceva la panettiera sotto casa? Mal comune mezzo gaudio? Chi va con lo zoppo im-para a zoppicare? Qualcosa del genere. Ma se così non fosse ed ognuno è resposabile solo per se stesso perché i bambini si ammalano e muoiono? Perché le mosche vanno ad appiccicarsi agli occhi di quegli innocenti par-goli africani che non hanno colpe? Perché l’olocausto, i pogrom, i genocidi, gli stupri etnici, perché un fulmine non colpisce Marchionne in pieno cranio? Lo vedremo.Ecco allora che arriva la retribuzione ultraterrena. Dice Paolo: «Le sofferenze del tempo presente non sono pa-ragonabili alla gloria che deve rivelarsi a noi» e poi «Io completo nella mia carne quello che manca alle prove di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa». Traa-ac! Torna il tanto caro concetto di sacrificio. Ma appro-fondiamo la cosa...

Jesus died for somebody’s sins but not mine...La sofferenza di Cristo fu il prezzo per la nostra salvez-za. Non lo avete chiesto? Amen. Accettatelo. Lui l’ha fatto per voi. Anzi, Dio lo ha fatto per voi. Dal mo-mento in cui Gesù è stato sacrificato, il nostro dolore confluisce nel suo ed incrementa quel grosso fiume del-la Redenzione dell’umanità tutta. Mica cazzi. Il nostro dolore è patrimonio dell’umanità. Andrebbe tutelato e protetto dall’Unesco. «Il dolore purifica l’anima, la eleva, aumenta il grado di unione con la volontà divina, ci aiuta a staccarci dai beni, dall’attaccamento eccessivo alla salute, ci fa cor-redentori con Cristo» dicono.Così come Simone da Cirene, sebbene controvoglia, abbia aiutato Cristo a condurre la croce al Golgota (dove verrà sacrificato per la nostra salvezza – ricordia-molo - che è un po’ come aiutare un vitello ad affilare la lama della mannaia che lo sgozzerà, per poi magnar-celo), ha trasformato la sofferenza in un atto di amore, così dobbiamo imparare a fare noi tutti. Perché «in que-sto mondo non è possibile amare senza sacrificio, ma il sacrificio è dolce per chi ama».

Bisogna traformare il dolore in amore, affinché il «no-stro cuore si trasformi subito in un fuoco di amore che consumi poco a poco le scorie accumulate per le nostre colpe e ci farà diventare vittime di espiazione, felici di ottenere, al prezzo della sofferenza, una purezza mag-giore, una più stretta unione con l’Amato». (Col 1,24)

Questa cosa si chiama Cristoconformazione, perché vi-vere in Dio e con Cristo, vuol dire vivere dal di dentro l’esperienza del mistero del dolore senza lasciarsi ab-bandonare all’abisso del non senso, alla disperazione.

Soffrire, come già detto in diverse occasioni, ci fa iden-tificare nelle sofferenze del figlio di Dio. Che se ha su-bito lui le peggio cose, che è figlio di... allora che cazzo mi lamento a fare, no? Chi sono io per non accettare il dolore? Quando si parla di dolore (e di conseguenza, di giustizia divina) nella nostra religione preferita, si parla spesso di un tizio di nome Giobbe. Questo poveraccio aveva tutto (mogli e buoi, tipo) e aveva anche molta fede, ma quel cattivone di Satana, che era ancora alle dipendenze di Dio e non s’era ancora ribellato (Dio, lo chiamava “figlio” infatti), insinuò il dubbio nella mente beata di Dio. «Signore – deve avergli detto – Giobbe ti venera e ti è devoto perché è un fortunello, ma se gli togliessi tutto? Ma proprio tuttotutto, ti amerebbe uguale? Eh? Eh?»E così, il nostro Signore, colto nell’orgoglio, accettò la scommessa e al povero Giobbe gliene fece di ogni. «Ero sereno e Dio mi ha stritolato, mi ha afferrato la nuca e mi ha sfondato il cranio, ha fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri prendono la mira su di me, sen-za pietà egli mi trafigge i reni, per terra versa il mio fiele, apre su di me breccia su breccia, infierisce su di me come un generale trionfatore». (Giobbe 16,12-14)

Giobbe, privato di ogni ricchezza terrena, dell’affetto dei figli (moriranno tutti, sotto il crollo della propria casa), abbandonato dalla moglie che non capisce («Per-ché non maledici Dio?» ci chiedeva), col corpo rico-perto di piaghe dolorose è solo. Arrivano in soccorso i suoi amici. Ogni amico rappresenta un approccio differente a quel-le che sono le possibili “risposte” al dolore e alla sof-ferenza.Il primo, Elifaz, gli dice che se soffre è perché ha pec-cato (retribuzione terrena individuale). Il male fisico, dunque, è la conseguenza del male morale. Gli dice. E così anche gli altri tranne Elihu, il più giovane di essi, che dice:«Si manifesterebbe la tua salvezza sen-za soffrire e senza un fortissimo sforzo? Non agognare la notte che stermina tutte le genti, guardati bene dal volgerti verso l’iniquità, come stai per scegliere per il troppo dolore! Quanto è elevato Dio nella Sua forza, chi può essere una guida come Lui?»Che volgarmente potrebbe essere tradotto: sei sicuro di voler metterti contro uno tanto forte e potente, che t’ha fatto ste cose pur amandoti e pur essendo amato, solo per metterti alla prova? Branca della teodicea non ufficialmente riconosciuta come quella del “Fabbrutti-smo”. Dio fabbrutto, non dimenticarlo. Meglio averlo come amico, che come nemico.

Giobbe però, prosegue indefesso nella sua “passione” e mai mette in dubbio la sua fede, semmai si pone de-gli interrogativi, ma mai sconfessa o s’incazza con Dio. All’apice della sofferenza Giobbe dirà: «Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono...» ep-pure ha bisogno di una risposta. Risposta che gli verrà negata. «Perché han lunga vita i malvagi, giganteggiano, cre-scono in ricchezza? La loro prole è assieme a loro, stabile, riescono a vedere i propri discendenti. Le loro case non conoscono la paura, lo scettro divino non li minaccia?» Eppure la sua fede non vacilla. Il Signore ha vinto la

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sua scommessa, fa la stecca a Satana e quindi premia il povero Giobbe con ogni fortuna che gli aveva tolto, moltiplicandola. Dal Libro di Giobbe...«E il Signore benedisse l’ultima parte della vita di Giob-be più del suo principio; ed egli possedette quattordici-mila ovini e seimila cammelli e mille coppie di buoi e mille asine. Ed egli ebbe sette figli e tre figlie. [...] Dopo questi fatti, Giobbe visse ancora cento e quarant’anni, poté godere dei propri figli e dei figli dei propri figli per quattro generazioni. Poi Giobbe morì, anziano e sazio

di anni.» E fin qui tutto bene. Cioè, alla fine Dio ha vinto su Sa-

tana tentatore ed insinuatore di dubbi, Giobbe è stato ripagato di tutte le disgrazie e ha campato per una paccata di anni felice e contento. Sì, ma perché? Che cazzo dovrei imparare da questa cosa? Qual è il messaggio, di grazia? Nessuno, o meglio. Un messaggio c’è. Ed è terribile. Alla fine del Libro di

Giobbe, Dio compare all’uomo (dici, magari vuo-le chiedergli scusa... stocazzo!) e lo fa in grande pompa, in mezzo alle nubi con un spettacolo piro-tecnico e gli angeli e i putti e le fanfare e...

«(Dio) lo annichilirà mostrandogli la sterminata po-tenza della creazione (il Fabbruttismo, ricordate? NdR) e lo rimproverà per aver preteso di capire cose troppo grandi per lui».

Giobbe s’era posto un interrogativo del tipo «perché Dio permette il male dell’uomo giusto?». A cui il Divino non risponderà, lo farà per lui Isaia (Isaia 55,6) dicendo: «I miei pensieri, le mie vie non sono le vostre». Del tipo: «Che cazzo ti guardi?»«Dunque non è illegittimo interrogarsi. Ciò che non è legittimo per l’uomo è darsi da solo una risposta...» Del tipo: «Che cazzo ti guardi?» Again. Facendo un sunto. Se soffriamo è perché prima di noi ha sofferto Cristo e il nostro soffrire congiunto serve per:1. redimere i peccati dell’umanità intera;2. renderci più puri e vicini al divino (“Cristoconforma-zione”);3. mettere a dura prova la nostra fede;4. far vincere una scommessa a Dio.

Perché io e non gli stronzi? Forse non lo sai, ma anche tu sei uno stronzo. Non credere dunque di non meritare il male. Perché? A questa domanda ci risponde quel sim-paticone di Elifaz, l’amico di Giobbe che per prima gli fece visita per dirgli che si meritava ogni male (quello di «Per quanto io ho visto, chi coltiva iniquità, chi semina affanni, li raccoglie» per intenderci) che, ad un Giobbe saturo di piaghe e di sciagure aveva detto di aver avuto una visione in cui un personaggio ritto, un messaggero, un angelo che gli disse: «Può il mortale essere giusto davanti a Dio o innocente l’uomo davanti al suo Cre-atore?». La risposa è NO. Su www.corsobiblico.it leg-giamo: «Il contenuto della visione è il giusto rapporto della creatura col Creatore, lo stesso Elifaz si riconosce peccatore davanti a Dio e a Giobbe. L’uomo ha una fra-gilità intrinseca che gli impedisce di presentarsi davanti a Dio come una persona giusta».

E quindi? Se non è per i tuoi avi, è per i tuoi vicini di casa, o per gli orrori del fascismo, o per la polizia vio-lenta, o i politici corrotti e i mariti violenti, o le madri assassine. Se non è per loro è perché tu sei un mortale. Hai un “limite” che Dio non ha. «La Croce è parte della vita: malattia, sofferenza, morte sono esperienza comune degli uomini. Non si riesce a sottrarvisi. E quindi è que-sto il nostro essere nel mondo; un mondo limitato, che ha un inizio e una fine.»Quindi – ripeto – che cazzo ti guardi?

Jessica Fletcher

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Mi vien da dire che è un momento, questo qua, che la religione se la passa un po’ male. Son finiti i bei tempi, mi vien da dire. Però poi non so se è vero sul serio, per-ché dipende. Dipende dalla religione. Però io, insom-ma, se uno mi dice La religione, sul momento, se non sto attento, mi viene da pensare alla religione cattolica, per via del fatto che, oltre che qui del nord, sono anche qui dell’Italia, e per noi la religione è quella roba lì. E già questo è un problema, secondo me. Però è anche una cosa che adesso rischia di portarmi un po’ fuori, e allora lascerei perdere. Magari un’altra volta. Insomma, se parliamo della religione cattolica, a me sembra che adesso sia un momento che Son finiti i bei tempi. Mi sembra che le chiese, adesso, non è che siano proprio vuote, ma quasi. E i gio-vani, mi dicono, son da un’altra parte. E se-condo me, tra un po’, tra qualche anno, saranno ancora meno, che la tendenza è quella lì. E anche preti ce n’è pochi. E questa cosa qua è una cosa che se me l’avessero detta quindici anni fa avrei detto: Era ora! e invece adesso, non lo so, un po’ mi dispiace.Dopo mi viene in mente un amico di mio padre, che mi dice che quando lui aveva la mia età, in sezione, la sezione del PCI, non ci si stava da tanta gente c’era. E adesso invece non è che sia proprio vuota, ma quasi. E i giovani, son da un’altra parte. Magari è una cosa che non c’entra niente, ma io, a pen-sare alla chiese che adesso son quasi vuote, mi vengono in mente le sezioni del PCI, vuote anche loro. Ma anche questa è una cosa che rischia di portarmi un po’ fuori. E poi magari, ecco, non c’entra niente, anche se a me sembra di sì. L’ho detto solo per dire che un po’ mi dispiace. Poi io, la religione, son degli anni che non andiamo d’accordo. E anche adesso è più o meno lo stesso. E se me lo chiedessero, direi che per dei secoli son stati fatti degli errori e delle cose che proprio non si può. Erano cose da diventar matti. E il nostro Paese, soprattutto, li ha subiti uno dopo l’altro questi errori. E anche noi. E anche adesso che ci sono gli iPod e i preservativi alla frutta e dovrebbe essere diverso, e infatti un po’ è di-verso, una certa parte di questi errori, mi sembra, con-tinuiamo a pagarla. E allora mi viene su da dentro un nervoso che è meglio se lasciamo perdere. Poi dopo, io, quando mi viene su il nervoso, per far-melo passare, un po’ vanno bene delle bottiglie di vino rosso e un po’ penso a delle cose che per me sono bel-le e ogni volta mi fanno rimanere lì. Per esempio certi affreschi che ci sono in Toscana, e che sono tra le cose che amo di più. O un gruppo di statue in una chiesa di Bologna. E mi viene in mente che senza la religione,

quegli affreschi e quelle statue, non ci sarebbero stati. E anche Amleto, per dire, senza la religione, se Amle-to fosse stato ateo, suicidio al primo atto e poi basta. E quel monologo lì, che sanno tutti persino io, non ci sarebbe stato. O la tragedia greca. Anche la tragedia greca, che è una

cosa enorme che mi verrebbe da scriverla in maiuscolo, LA TRAGEDIA GRECA, tanto

è enorme, pure lei, mi viene da dire, sen-za una religione, anche una strampala-ta e però bella come quella là, forse saremmo rimasti senza. Poi dopo che Euripide forse era Ateo, io non lo so se è vero, ma insomma anche se fos-se stato ateo, mettiamo di sì, allora va bene lo stesso. Allora penso che da

una parte c’è il nervoso e da una parte ci sono queste cose qua, che sono belle

e che io, di mio, metterei tra le cose neces-sarie. E penso ad una frase, che è una banalità,

e infatti l’ho imparata che avevo sedici anni e la tiravo sempre fuori quando facevo delle discussioni che mi sembrava che il mio compito nella vita fosse difendere il comunismo, e quando mi dicevano Stalin, quando mi dicevano I morti e le repressioni, dicevo questa frase

qua. Dicevo: un conto sono le idee un conto sono gli uomini. Che adesso, io mi rendo conto, è una banalità.

Hotei: il Buddha che ride.

PER ME, FORSE, VA BENE.

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Però è anche vera, mi sembra. E può andar bene an-che per la religione e per quegli errori lì.E mi sembra anche che, a parlare della religione, poi dopo può succedere che uno se la dimentica, questa banalità, e si fa della confusione. Ed è un pec-cato. Poi c’è una cosa che ho detto una vol-ta, parlando più o meno di queste cose qui, e la ridico perché for-se c’entra con l’argomento di questo numero. Ho detto che la religione, per me, è un modo per andare avanti, e ognuno si sceglie il suo e la religione per esem-pio è uno. Per un altro magari è un altro. Ma-gari è il lavoro, non lo so. O la lettera-tura, o la famiglia. O la collezione di francobolli, per dire. Anche quelli che collezionano le cose, mi sem-bra che sia un m o d o per an-d a r e avanti. E ogni tanto ti metti lì e guardi quello che hai. Che a questo punto non è nem-meno importante se ci sia qualcosa dopo oppu-re no. Non è indispensabile, è il prima che conta. È una cosa che si fa per il prima. Anche se non te lo dicono, e anzi ti dicono il contrario. La religione, a me sembra che sia una cosa che si fa per il prima. Anche pregare. Che una volta pensavo fosse una forma di debo-lezza, e adesso invece, non lo so, mi sembra una cosa bella. Che uno si mette lì e parla un po’ e fa quelle cose che si fanno quando si prega. Mi sem-bra evidente che sia un modo per sentirsi meno soli. E mi sembra bello. Con tutto che io non sono capace. Per niente. E mi sa che continuerò a pensare che un dio non esiste. Niente dio. Però pregare, quelli lì che sono capaci, mi sembra una cosa bella. Allora se devo dire una cosa sulla religione, dico che può anche andare bene la religione. Solo, per via di quegli errori lì e per il nervoso che vien su da dentro, bisognerebbe trovare il modo di fare una religione che non mischi gli uomini e il potere. Ma ho paura che è una cosa che non si può fare.Non c’è verso. E allora vi capiterà sempre di fare de-gli errori tremendi e di fare cose che proprio non si può.

Però, ecco,

se vo-lete farla

comunque una religione, per me va bene. Solo, se posso darvi un consiglio, poi

fate come vole-te, ma se posso, ecco,

metteteci il senso dell’umorismo. Che è una cosa che fino ad adesso si sono sempre dimenticati di mettere, secondo me. E invece è una cosa che un po’ ti salva. Anche nella religione che abbiamo qui in Italia, senso dell’umorismo, non ce n’è quasi niente. Ed è un peccato, perché occasioni, a voler guardare, ce ne sarebbero. Anche nel Vangelo. Come quando Maria e Giuseppe tornano a casa da Gerusalemme, mi pare, e a metà della strada si accor-gono che manca Gesù. E allora ferma tutta la caro-vana e controlla dov’è, non l’avremo mica lasciato a Gerusalemme. E infatti tornano indietro ed eccolo là. Ecco, un episodio così, a saperlo sfruttare, mi sembra che margine ce n’è.Fate una religione dove ogni tanto si ride.E poi, un’ultima cosa, se potete, non metteteci il senso di colpa.

Keisuke Yamato

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CALCUTTA È UN TAGLIO.Strano, qui nessuno ci ha chiesto di toglierci le scarpe. E la sacralità? Lo spirito del tempio? Forse che i segua-ci di Kali sono degli informaloni? I giainisti hanno insi-stito tanto, i musulmani non ne parliamo, ora invece…Poi, entrati nel cortile, notiamo le strisciate di sangue – tantone, roba di cadaveri trascinati, guardi, uno schifo signora mia – mesco-late a terra e piscio che ricoprono tutta la pavimentazione, e capiamo il perché pochissimi degli in-diani presenti si siano levati le ciabatte. Il piccolo coreano che è entrato con noi si è invece scalzato. Tan-ta fortuna soldato.Responsabili dell’ir-rigazione sono gli agnellini spaventati (agnellini spaventa-ti, roba forte) in fila per la mattanza. Del piscio e del sangue cioè, la terra è gen-tilmente offerta dalla pro loco West Ben-gal. A prescindere dal grado di autoco-scienza degli ovini e dall’eventuale consa-pevolezza di andare incontro alla mor-te, UNA SANTA MORTE, RICORDIAMOLO, essi si emozionano, xè putei, dunque pisciano. Poi gli viene mozzata la testa, dunque sanguinano. In conformità con le leggi della logica e della biologia. Sad but true.Con gli occhi allegri da italiani in gita, ci uniamo al nu-golo di ragazzini assiepati intorno al piccolo altare dove per tutta la mattina si susseguono i sacrifizi, un grazioso GAZEBO DELLA MORTE che non sfigurerebbe in un giardino all’inglese, in attesa del prossimo evento. Sia-mo ragazzini anche noi in definitiva, o peggio, noi che la fregola per il sangue la camuffiamo con un qualche interesse antropologico, noi che cinici spettatori ecc.

No, questa parte la saltiamo. Magari leggete il sunto sulla Lonely Planet e preparatevi bene sul capitolo In-dia, terra misteriosa, ricca di contraddizioni, che quel-lo lo chiedono sempre.Comunque, il momento arriva.

Il mistico macella-ro in piedi di fianco all’altare pulisce la sciabola (è in missio-ne per conto di dio e tradisce infatti un certo orgoglio, solo smorzato dalla ripe-titività dell’atto). Una sciabola tanta, peral-tro. Viene condotto l’agnello, il collo ap-poggiato senza fatica sul trespolo di pietra al centro dell’altare, già lucido per gli et-tolitri di sangue ver-sati prima del brunch. Qualche timido be-lato, il corpo è para-lizzato dal terrore, la vescica ormai non ha più niente da dare.L’agnello diddio che toglie i peccati del mondo. Pora bestia, gli dice male in tutte le lingue.La sciabola si solleva e….…PROPRIO IN

QUEL MOMENTO….…Niente, la testa dell’agnello viene mozzata di netto e raccolta in un catino d’ottone, hurrà per noi.Non avevo mai assisti-to a una decapitazione, fa un po’ brutto. Sul piano tecnico, si osserva che dalla parte del tron-co, la carotide tranciata continua a pompare sangue con quieta regolarità, non produce un getto a spruzzo (sì, era prevedibile, troppi film giapponesi). Il pezzo di ca-rotide che spunta dalla testa tagliata si dibatte come una canna dell’acqua impazzita, ma per poco. Staccata dal corpo, la mandibola scatta un po’ di volte, tactactactac-tac, per la contrazione nervosa (come se sapessi di cosa

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sto parlando).Al coreano arriva uno spruzzo sugli occhiali, dentro di me vorrei che vomitasse per dare un respiro più trash a tutta la kermesse, ma è un duro, lo guardo solidale. Un socio del macellaro, mistico pure lui, porta in giro la testa d’agnello, infila due dita nelle arterie sgoc-ciolanti e asperge generosamente le fronti dei presen-ti (quasi tutti bambini, più due coglioni occidentali e un coreano cazzuto). Fa pure gli scherzi, schizzando quelli lontani come se fosse all’Acquafan di Riccione. Nel farlo, sorride gioioso. I bambini pure loro, non stanno più nella patta dalla felicità, ‘sti figli di Satana. Sono tutti proprio contentoni, come davanti a una con-fezione di raudi. YEEEE, ORGIA DI SANGUE!Chiusa la simpatica parentesi della benedizione, se-guiamo un po’ le vicende del resto dell’agnello (fosse un carlino farebbe riderissimo. Troppo inglese?), che viene portato in fondo al cortile, nell’angolo dei tizi pesi. Altro che sciaboloni di rappresentanza, qui si ma-neggia u curteddu, e con perizia.Ed è lì che capiamo che il macellaro era solo un guap-po di cartone: il vero boss, il titolare della macelleria metafisica, è un tipo a forma di cassettiera, con la ca-notta e i pantaloncini da basket elegantemente trafo-rati, la faccia di Zapata (occhioni guancioni e baffoni, tipo ferroviere calabrese) e un mullet di rara audacia, come solo in Germania negli anni ’80..Gli occhi, fatti duri.È lui che dirige le operazioni, è lui che appende l’a-nimale, lo strizza un po’ per fare uscire il sangue che viene raccolto in catino, pratica due tagli sulle zampe posteriori e inizia da lì a scuoiare la carcassa, lasciando solo queste due calzette pelose - dettaglio sfizioso per un ulteriore appagamento sensoriale: il rumore è simi-le a quello della tappezzeria che viene staccata - Fatto ciò, passa il tutto a un sottoposto, che si occupa dello smembramento. Poi si accende una paglia, con fare assorto. Penserà al mutuo da pagare? Alla caducità della vita? Alla figlia che vuole il motorino? Al discutibile campionato della Dynamo Bangalore? Al suo sporco lavoro che le mani non vengono mai del tutto pulite? E chi lo sa, non so come si dica “un soldino per i tuoi pensieri” in bengali. Poi minchia zio quello mi lama.La sete di sangue è stata placata. La mia almeno, che già era pochina e ora mi sento colpevole e infastidito da tutta questa truculenza (in fin dei conti è un sacrificio rituale, mica una crudeltà gratuita – AHAHA-HAHAHAHAHAH - ma a guardar-lo per troppo ti senti decisamente merda, ah l’ipocrisia ecc ecc), quel-la di Kali manco per il cazzo, non si ferma mai e infatti la fila di agnelli in procinto di salutare li mortacci

loro è ancora lunga.Ci leviamo, ora possiamo vedere ‘sto cazzo di tempio, à l’intérieur (paura eh?), beh, l’intérieur parrebbe al-trettanto trucido. Buio buio, niro niro, appena entrato mi sento afferrare la caviglia. Maccheccazz… Gli oc-chi si abituano all’oscurità e vediamo che il minuscolo corridoio è ricoperto di mutilati, storpi e altre figure macilente che, tra lo sdraiato e l’accovacciato, que-stuano smanaccianti. Lo spazio è angusto, i fedeli sono tanti, i mendicanti pure, è una specie di piccola marea umana che si stru-scia e si spintona, convergendo sulla piccola cella che custodisce una statua di Kali nera, stilizzata linguac-ciuta e pronta a spaccare culi, ricoperta di monili, co-rone di fiori, incensi e tanta devozione. I fedeli sono in una specie di trance, o vogliono dare l’impressione di esserlo. In ogni caso penso che mi strapperanno il cuo-re. Maledetto Indiana Jones, IO MI FIDAVO DI TE. Il tutto sembra creato ad arte per mandare in deliquio le signore inglesi di un secolo fa. La calca, il buio, i monchi, le mani (chi più chi meno), l’estasi mistica, Kali con la lingua di fuori, le impronte di sangue e…”Cielo!” SBAM, milady è svenuta, portate i sali e il gin, presto! Sono molto colpito da tutta la faccenda, fossi una per-sona meglio lo sarei di più, ma lo stesso non si scherza. È tempo di uscire, forse non torneremo mai più al tem-pio di Kali, ma per il resto della nostra vita porteremo nel cuore le unghie del vecchio con la faccia bruciata che ha cercato di strapparcelo dal petto per offrirlo alla dea. Ci hai provato amico.Usciamo, fuori c’è Calcutta, l’India e un po’ più in là Rovigo. E altri enormi quantitativi di sangue e mer-da. Un impasto poco nobile, ma più che sufficiente per edificare feticci da venerare, lì come qui. La chiama-no spiritualità, figlio (MA CHE BELLA METAFORA DEL CAZZO).E pure questa giornata se l’emo tramortita.

Pilade Fioravanti

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Il Movimento per la Vita fu fondato nel 1975 a Fi-renze con lo scopo di contrastare il fenomeno dell’a-borto che, ai tempi, era illegale e veniva effettuato in maniera clandestina dalle cosiddette “mammane” con intrugli, ferri da calza, appendiabiti di alluminio e quant’altro. La loro lotta all’aborto però, non si ba-sava sull’eventuale pericolosità ed illegalità di certe pratiche, in quanto la loro era una lotta di senso. Una battaglia morale. La morale esaustivamente espressa nell’Humanae Vitae, l’enciclica scritta da Papa Paolo VI nel 1967.

Il gravissimo dovere di trasmettere la vita umana, per il quale gli sposi sono [...] collaboratori di Dio creatore, è sempre stato per essi fonte di grandi gioie, le quali, tuttavia, sono talvol-ta accompagnate da non poche difficol-tà e angustie. [...] Si assiste anche a un mutamento, oltre che nel modo di conside-rare la persona della donna e il suo posto nella società, anche nel valore da attribu-ire all’amore coniu-gale nel matrimonio, e nell’apprezzamento da dare al significato degli atti coniugali in relazione con questo amore.

Circa gli “atti coniugali”, Papa Paolo VI dice: «Il ma-trimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I fi-gli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio». E a proposito delle “Vie illecite per la regolazione del-la natalità” il Pontefice scrisse:

In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle na-

scite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto[...]. È parimenti da condannare, [...] la sterilizzazione diretta, sia per-petua che temporanea, tanto dell’uomo che della don-na. È altresì esclusa ogni azione che [...] si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazio-ne. [...] È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato (legittimato Ndr) dall’insieme di una vita coniugale feconda.

Sì, perché oltre a tra-dire il progetto divino che ci ha dato il dono di poter creare la vita attraverso il sesso, cercare di domina-re la natura e quindi controllare in modo artificiale la natalità, può avere serissime conseguenze...

Gli uomini retti po-tranno ancora meglio convincersi della fon-datezza della dottrina della chiesa in questo campo, se vorranno riflettere alle conse-guenze dei metodi di regolazione artificia-le delle nascite. Con-siderino, prima di tutto, quale via larga e facile aprirebbero così alla infedeltà co-niugale ed all’abbas-

samento generale della moralità.

Questo era il 1967, undici anni più tardi venne appro-vata la Legge 194 con cui veniva legalizzata e norma-lizzata la pratica dell’interruzione di gravidanza entro i 90 giorni dal concepimento. E oggi? Trentaquattro anni dopo la 194? Non si è mai smesso di discutere in merito. Da una parte la politica, la Chiesa, la stampa e gli ex cantanti punk filosovietici sciroccati miracolati. Ma non solo “aborto”... le questione bioetiche ora van-no a riguardare persino l’embrione e alcune pratiche mediche per favorire il concepimento (e in un certo

LASCIATE CHE IBIMBI

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VENGANO A

senso a rispettare “il gravissimo dovere di trasmette-re la vita umana”) e, come se non bastasse, sebbe-ne la Legge 194 esista ancora, nella concretezza dei fatti sembra che si stia tornando massicciamente agli aborti clandestini. Si dà il caso infatti che sul web sia possibile acquistare alcuni farmaci (con meno di 20€ come il Cytotec e Misoprox, che provocano delle con-trazioni uterine e garantiscono l’interruzione di gra-vidanza con una percentuale di riuscita pari al 95%). Perché, di grazia, una donna dovrebbe fare qualcosa del genere? Mettere cioè a rischio la propria salute, comprando un non ben noto farmaco su eBay per pro-vocarsi un aborto (“contrazioni uterine” mi fa male solo a pensarci), quando potrebbe benissimo rivolger-si alle strutture della Sanità pubblica?

Due parole: “medico” e “obiettore”. Al di là della pressione psicologica (saggiamente suggerita dal sommo Pontefice nell’Enciclica di cui sopra, che consigliava ai medici: «Abbiamo in altissi-ma stima i medici e i membri del personale sanitario ai quali, nell’esercizio della loro professione, più di ogni interesse umano, stanno a cuore le superiori esigenze della loro vocazione cristiana. Perseve-rino dunque nel promuovere in ogni occasione le soluzioni, ispirate alla fede e alla retta ragio-ne, e si sforzino di suscitarne la convinzione e il rispetto nel loro ambiente»), nonostante le buffonate delle amiche fasce di Alemanno, come Sveva Belviso* che ha istituto a Roma il “Giardino degli angeli”, un cimitero cioè per i feti abortiti o i colloqui preliminari dissuasivi della Polverini, secondo cui una donna prima di abortire, dovrebbe parlare obbligatoriamente con un medico, uno psicologo, una madre che ha rinunciato ad abortire ed un prete (diocristo!). Al-tro che ferro da calza... solo per questo m’infilerei tutta una macchina da cucire Singer modello 257 nell’utero. *(«In questo modo i genitori che lo vorranno potranno dare una sepoltura ai corpicini dei bimbi che non han-no mai visto la luce. Il progetto non vuole in alcun modo intaccare i principi sanciti dalla legge 194 del ’78 sull’aborto, ma vuole dare una risposta alle ri-chieste di coloro che con il seppellimento del loro bimbo intendono restituire valore a quel feto che altrimenti verrebbe violato perché considerato ri-fiuto ospedaliero»)

Nonostante tutto questo (che è un bel “tutto”) sembra che oggi i medici obiet-

tori in Italia siano il 71%. Con pic-chi dell’84% in Campania. Nel Lazio per esem-pio, su 316 gi-necologi, solo 46 non sono obiettori, e in 9 ospedali pubblici non si fanno interruzioni di gravidanza, come imporrebbe la legge a tutti gli ospedali non religiosi. Così tanti medici devoti cristiani? Il cazzo. I medici obiettori vedono favoriti carriera e guadagni. Adriano Sofri ha intervistato di recente, una degli “ultimi me-dici non obiettori” che ci svela: «Non esistono primari non obiettori».Ma torniamo al Movimento per la Vita, il cui presi-dente onorario è Madre Teresa di Calcutta che nel ‘79 diceva: «Sento che oggigiorno il più grande distrutto-re di pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. [...] Perché se una madre può uccide-

re il suo proprio figlio, non c’è più niente che impedisce a me di

uccidere te, e a te di

u c -

ME

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cidere me».Ma come dicevo, non solo aborto, dal 2005 il Movi-mento per la Vita mette il becco sulla fecondazione assistita e così nasce il comitato Scienza e Vita, con la sua campagna astensionistica (sostenuta dalla Con-ferenza Episcopale) mandò all’aria il referendum - e svariate palate di milioni di euro dei contribuenti -, facendo in modo che non venisse raggiunto il quorum. E fin qui tutto bene (si fa per dire), se non fosse che un bel giorno quel panzone ex-comunista di Giuliano Ferrara, decide di candidarsi alle elezioni. Corre l’an-no 2008 e il direttore de “Il Foglio” caga fuori una lista “pro-life” che è un modo carino per dire “antia-bortista”.«Il mio pensiero è semplice e si basa su tre principi. Primo, nessuna donna è obbligata a partorire; secon-do, nessuna donna deve essere perseguita legalmente perché abortisce; terzo, l’aborto è un male, va sra-dicato, non può essere utilizzato come strumento di controllo delle nascite, come avviene quando le don-ne sono obbligate o incentivate ad abortire. L’aborto è legale ma non è un diritto legittimo o moralmente indifferente, come si è predicato in questi trent’anni, con un miliardo di aborti in Occidente. C’è una bella differenza tra atto legale e legittimo. Il diritto di auto-determinazione della donna non può affermarsi contro il bambino».A Carlo Casini (presidente del Movimento per la Vita, since 1975) quel Giuliano Ferrara paladino della “vita” in politica (che propone a Berlusconi – BERLUSCO-NI! - e a Susanna Tamaro di entrare nella lista) non piace. Non gli piace proprio per niente. E così scrive: «Se il tema della vita viene introdotto nella politica a pieno titolo, occorre usare fino in fondo anche la logi-ca della politica. Bisogna, dunque, valutare le possi-bilità di successo elettorale, i rischi di una dispersione di voti – particolarmente grave nel sistema elettorale attuale – che potrebbe condurre a un’immagine morti-ficante del valore che si intende promuovere, il timore

di favorire involontariamente proprio co-l o r o

che negano il diritto alla vita. […] Perciò, caro Giu-liano, ti ho palesato il mio giudizio di inopportunità su una lista autonoma» che in politichese significa: «Il Movimento per la Vita è roba dell’Udc e se ci togli il nostro cavallo di battaglia, la nostra bandiera della difesa della vita secondo i valori cristiani, che cazzo rimane all’Udc?». Lo stesso Udc – ricordiamolo – che Bersani del Par-tito Democratico corteggia per una possibile allean-za per le elezioni politiche del 2013. Però vabbé, che minchia vuoi dire ad uno che s’è detto “dispiaciuto davvero” per l’addio al PD, di una bigotta omofoba come la Binetti? Niente, dici tu, però è bene ricordar-lo a chi ancora va a votare e nella solitudine alienante di quell’urna, con la matita che punta verso il simbolo del PD, pensa alla parola “meno” seguito da “peg-gio”. Dopotutto, ognuno di noi dovrebbe tenere nel portafoglio la foto della Binetti a mo’ di santino, per non perdere di vista quegli occhietti piccoli e cattivi e quell’espressione di una che è stata violentata dal pre-te (per poi innamorarsene pur essendo non corrispo-sta) a 13 anni e, da allora, non ha più visto un fallo in vita sua. La stessa Binetti che ha dichiarato: «Un prete non è obbligato a denunciare un pedofilo», pensando evidentemente al suo amore pre-adolescenziale. Ma torniamo a Ferrara in politica, perché ciò che con-ta è che grazie al Nostro Signore Oscuro Lucifero, la lista dell’Elefantino, “Aborto? No grazie” racco-glie SOLO 135.578 voti, pari allo 0,371% del totale, non superando la soglia di sbarramento e non conqui-stando alcun seggio. Di fronte a tale risultato Ferrara commenta: «Più che una sconfitta, una catastrofe: io ho lanciato un grido di dolore per un dramma e gli elettori mi hanno risposto con un pernacchio». Débâcle inevitabile si potrebbe dire, grazia anche -forse- all’apporto e il supporto del personaggio meno indicato al mondo per portare avanti tale campagna “pro-vita”. Che è come dire “missione di pace” o “po-polo della libertà”. Oscuro Signore, perché non puni-sci questi uomini che usano belle parole a cazzo, per scopi osceni? L’uomo in questione che con le parole c’ha costrui-to un’epoca ed ha formato un paio di generazioni, è Giovanni Lindo Ferretti. Fu fondatore e cantate dei CCCP, poi CSI, poi PGR. Personaggio misconosciu-to dai più e, soprattutto, dai possibili elettori anti-abortisti, ma MOLTO conosciuto, venerato, studiato, criticato ma in fondo in fondo pur sempre amato da chi, poi, si è ritrovato a Bologna (a Palermo e in tutte le piazze dei loro comizi) a dovergli lanciare verdure marcia, contro. E quando lanci pomidori ammuffiti ad uno che hai amato, glieli lanci proprio da cattivo.Perché l’amore e il dolore sono le due facce della stessa medaglia e citando le Sacre Scritture: «Quanto più in fondo vi scava il dolore, tanta più gioia voi po-

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trete contenere. La coppa che contiene il vostro vino non è la stessa bruciata al forno dal vasaio? E non è forse il liuto che accarezza il vostro spirito il legno svuotato dal coltello?» Sì, e viceversa, dico io. Perciò lo spazio creato, scalfito, scavato dall’amore di taluni per Giovanni Lindo Ferretti, ora è un vuoto che poteva essere sigillato dalla memoria e dalla nostalgia. Pote-va essere dimenticato nell’indifferenza, ma no, invece NO. Perché, come amanti traditi, quello spazio è

stato ri-e m -

pito fino all’orlo di odio gorgoglian-te. Ed è stato lui a volerlo. È stato Giovanni Lindo

Ferretti ad insegnarci ad odiarlo.

«Ogni uomo ha una madre e ogni don-n a un padre. [...] L’aborto è un fatto, posso par- larne in quanto figlio. Puoi non ascoltarmi, non impedirmelo. A suo tempo votai la leg- ge per l’aborto e feci propaganda e ricor- do ancora la gioia profonda nel giorno del- l a vittoria. Finalmente liberi dai preti, mi dissi, finalmente un paese moderno. Ho avu-to tempo e modo per pentirmene e non sono ricorso alla propaganda reazionaria e clericale. Ho solo fatto i conti con la mia storia: se mia madre avesse abortito, e per molti intorno a lei avrebbe dovuto farlo, questo paese avrebbe aggiunto un tassello alla modernità, ma io non ci sarei. [...] Sono contrario all’aborto perché la vita è mistero e chi ne fa calcolo mette in atto la propria rovina. La storia dell’aborto nel nostro mondo è una questione da cui non si può svicolare, l’aborto è un crimine incredibile che si commette con una leg-gerezza credibilissima. Io non posso far altro che riba-dire quello che credo: nessuno ha il diritto di uccidere un innocente. Non mi permetto di giudicare una don-na che abortisce, ma giudico severamente una società che invece di farsi carico della maternità trasforma, nel regno delle idee, l’uccisione dell’innocente asso-luto in un diritto festoso sostenuto da cortei, balletti, striscioni e impone, nei fatti, non solo la desacralizza-zione della vita ma la riduzione dell’uomo a materiale organico atto allo scarto o alla sperimentazione». E circa il Papa Ratzinger, colui che in un’Africa pia-gata dall’Aids riuscì a dire che il preservativo era il male, Giovanni Lindo Ferretti ha detto: «La sinistra deve dividere il mondo in vittime e carnefici per as-surgere a ruolo di giudice ed imporre la giustizia sulla terra. [...] Ratzinger il pastore tedesco, il rottweiler. A me quella figura mite, defilata, quegli occhi saettanti e quel ciuffo ribelle dicevano altro. Cominciai a fare domande. Alle persone sbagliate che quelle giuste mica le conosco. Ne sapevano tutti meno di me. Sape-vano la giaculatoria progressista: i giovani, le donne,

i gay, l’aborto, la pillola, il preservativo. Ho una certa età. Andate a fanculo».Andate a fanculo anche voi. Fanculo an- c h e alle 10mila coppie sposate - magari cristia-ne – che emigrano a scopo “ripro- duttivo”. Uomini e donne che non riesco- no ad avere figli o che, portatori di brutte malattie eredi-tarie (anche gravi e gravissi- me), vorrebbero

avere un figlio sano.

Il 12 e 13 giugno 2005 si sono votati i quat-tro referendum (boicottati dal Mo- v i m e n t o per la Vita e dalla comunità cattolica t u t t a ) per l’abrogazione parziale della leg- g e 40/2004 che regola in Italia la fecondazio- n e assistita, la diagnosi pre-impianto e la ricer-ca sulle cellule staminali embrionali. Come già sappiamo, il referendum non raggiunse il quorum, ottenendo solo il 25% degli elettori aventi diritto (che per quanto pochi, fu il trionfo del “sì”). Ricordo le lacrime della Prestigiacomo (fu Ministro per le Pari Opportunità) in televisione e penso a Giovanni Lindo

Ferretti che: «Mai e poi mai avrei immaginato il risultato del referendum. Ho riso di cuore

per giorni e giorni. Come? Tutta lì, in quella percentuale, l’Italia dei me-dia, della cultu- ra, dello spettacolo, del radioso futuro, dei diritti perfetti così come fan tutti, così come b i s o -gna fare?»

La Vita prima di tutto. La difesa del miracolo del-la vita, fin dal suo concepimento. Fin dall’embrione, dunque. Figuriamoci se si può tollerare l’aborto o il diritto delle donne d’interrompere una gravidanza. «Mai avrei immaginato di ritrovarmi, a 54 anni, in così bella piazza a festeggiare le donne, la vita, a fe-steggiare l’8 marzo. [...] A mio favore ho solo un mo-tivo: sostenere con la mia presenza, la mia parola, il mio canto: la campagna per la moratoria: “Aborto? No, grazie!” così come è stata pensata e costruita da Giuliano Ferrara e il Foglio. Dalla petizione alla lista» ha detto Giovanni Lindo Ferretti durante uno dei suoi comizi.

«La tecnica odierna permette di fotografare i bimbi nel ventre materno. Ed è evidente all’occhio e al cuo-re che trattasi di bimbi, personcine. Sono bimbi, sono figli, nipoti. Sono innocenti, deboli, indifesi. Sarebbe normale accusare di visione reazionaria chi si ribel-la a un determinismo genetico che fa dei non ancora nati oggetto di ogni sperimentazione, di ogni abuso, ne fa oggetti di selezione e commercializzazione? [...] Ci sono mille obiezioni possibili alla presentazione

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di questa lista ma sono di natura politica, corrente e ordinaria, non valgono. [...] Che qualcuno, anche pochi, pongano oggi a base della politica nella sua totalità, la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale è indispensabile. È giusto, è bello e mette di buon umore. Comunque è una semina e non sempre chi semina raccoglie ma se nessuno semina chi raccoglierà? Benvenuta sorella lista».

BENVENUTA SORELLA LISTA. C’è altro da dire?Il Movimento per la Vita, oltre a fottere referendum, ogni anno indice il concorso “Canta la vita” in cui si premiano quegli artisti che si sono distinti nella difesa della maternità, della bioetica e della dignità umana. Tra i vincitori figura “In Te (il figlio che non vuoi)” la canzone che Nek ha presentato al Festival di San Remo nel 1993.

...per lui poi comprerò sacchetti di pop corn potrà spar-gerli in macchina / per lui non fumerò a quattro zampe andrò e lo aiuterò a cre-scere. Lui vive in te / si muove in te / con mani cucciole / è in te / respira in te gio-ca e non sa che tu vuoi buttarlo via. Gli taglierò una pistola di legno […] per lui lavorerò, la moto venderò e lo protegge-rò, ma aiutami. Lui si accuccerà dai tuoi seni berrà […] Con gli occhi chiusi lui / la vita afferra già / il figlio che non vuoi / è già con noi. Lui vive in te /si culla in te / con i tuoi battiti / è in te / lui nuota in te / gioca chissà... è lui il figlio che non vuoi.

Fino ad ora ho parlato di difesa del-la vita, citando encicliche, papi, in-tellettuali e santi, è perché non ho voluto coscientemente affrontare la questione dal punto di vista popolar-populista. Non ho citato Casa Pound e certa Destra Sociale. Non ho citato il gruppo “Veneta ArditaMente”, or-pello femminile del Veneto Fronte Skinhead che nel proprio manifesto afferma:

«Il malato pensiero femminista ha investito total-mente lo stereotipo della figura femminile moder-na, tanto da annullarne totalmente le caratteristiche e volerne a tutti i costi evidenziare l’insostenibile somiglianza e parità al sesso maschile. Ecco quin-di le femmine-immagine della nostra società: quelle che vestono i pantaloni, che vogliono a tutti i costi diventare manager in carriera, ma allo stesso tempo non possono e non vogliono rinunciare a nulla. Si dedicano alla costruzione di una famiglia, mettendo così al mondo figli che dopo il primo anno di vita (se va bene!) verranno accuditi da baby sitter. Poi ci sono le femmine che non riescono, per vari motivi,

ad essere come le sopra descritte, e allora sperano di trovare fortuna in un uomo che possa mantenerle e donare loro ricchezza. Trattandosi quest’ultima pale-semente di una forma di prostituzione, possiamo dire che la maggior parte della popolazione femminile contemporanea è composta da donne che si travesto-no da uomini e da puttane! Non male... In quanto donne fasciste ci richiamiamo ai valori tradizionali […] significa volerci riappropriare delle tematiche prettamente femminili, come la difesa della famiglia tradizionale, la lotta all’aborto, la cura e la giusta educazione per i nostri figli, la capacità stessa della donna di essere guerriera e difendere i propri ideali nella vita di tutti i giorni».

No. Ho voluto tralasciare tutto questo. Ho voluto ignorare quel mare magnum di merda nel cervello che va dal buonista Nek, alle fidanzate fasciste del Veneto Fronte Skinhead. Ho tralasciato gli antiabor-

tisti americani. Ho tralasciato tante cose. L’ho detto: mi sono concentrata su Papi ed intellettuali. Perché? A questa domanda risponderà una sconosciuta che ha commentato il video di “In te (il figlio che non vuoi)” di Nek, su YouTube.

Mi chiedo come una mamma può buttare via o ab-bandonare il proprio figlio!!! chiunque lo faccia do-vrebbe? andare sulla sedia elettrica oppure dovreb-be essere fucilato!!! una mamma che non vuole il proprio bimbo e per questo sto piangendo.

Si parlava di difesa della vita, giusto?

Jessica Fletcher

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Il viaggio era stato una sofferenza: ottomila ore di treno dal paesello delle Prealpi a Foggia, poi il bus dei pellegrini fino a San Giovanni Rotondo, tutto per un cappuccino.

Nella bella Italia dei primi anni 60, che uno magari si immagina bigotta/il boom/ ipocrita/occhiali con la montatura grossa/democristiana/a ballare il twist e il ballo del mattone/losca /le gite in vespetta/con le pezze al culo/spiderine! e forse ci ha preso, o forse no. Il Cumenda dice che allora si facevano ballare i mattoni, altroché, e nelle canottiere si sudava alla grande. Io me la figuro una merda, comunque.

Il cappuccino in questione era quel Francesco For-gione, nom de plume Padre Pio, che tanto si era ado-perato, con le sue belle parole, con le sue opere e con il suo stesso esistere, per mantenere viva e vitale una religiosità arcaica, preistorica e analfabeta, fatta di stimmate, superstizione, matrone che strillano e taumaturgia caciottara. Il fatto è che, come dice una tizia del computer, “Pa-dre Pio, col suo profumo di santità, riusciva, negli anni 60, a chiamare a sé migliaia di fedeli che aspet-tavano ore ed ore che poi si trasformavano in giorni per poterlo incontrare e per poter essere benedetti dal frate miracolato”.Questa è la devozione popolare, un bovino scemo che quando odora il profumo di santità lo segue in-condizionatamente e non capisce ANCORA più un cazzo, sì come la timida mosca scar-latta viene ghermita dal profumo di un mottarozzo di merda fu-mante nell’assolato meriggio agostano e null’al- t r o pensiero la tange, delle cose del mondo.

Dal presti-naio, l’altro giorno uno al cellulare d i c e v a

«Ma secondo me vaffanculo i vostri miracoli e la vo-stra schiatta di pataccari invasati con le croci sulla fronte, chi ha detto che la religione è l’oppio dei po-poli dovrebbe quantomeno scusarsi con l’oppio». Poi non so, ho pagato e sono andato.Ma torniamo alla nostra storia. Avevano attraversato l’Italia in notturna, una vedova fresca fresca e il suo bambino, l’unico rimasto, un fregnone di otto anni, per una benedizione a pagamento dal Sai Baba del Mezzogiorno, ‘sto fenomeno che sanava i gibbosi e raddrizzava i nanetti. Lei, ancora carica di fede seppur liscia a denari, era già stata a Lourdes e a Loreto, ma le persone che aveva intorno continuavano a cadere come mosche. Lui, il boccia, diligente chierichetto con le braghette di ordinanza, imparava mansueto il catechismo e le vite dei santi, per mantenersi allegro.«È lì che ti fottono, quando sei più debole, con ipocri-sia a pagamento e trucchi da giostrai» dice il mio vi-cino quando beve il prosecco e non ha paura di niente e nessuno. Combattere la sfiga con la fede. Pessima mossa, se lo chiedete a me.

L a mattina, scesi dall’autobus, li a v e v a - no stipati in uno stanzone i n s i e - me con altre decine di pellegrini, ad aspettare per ore una graziosa manifestazione del sant’uo- m o . Immagino panini col formaggio che escono furtivi dagli involti (col salame no, nella ca-sadiddio, par-

IL VIAGGIO ERA STATO UNA SOFFERENZALe vite dei Santi: Padre Pio – IN ODORAMA

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rebbe sacrilego), consumati di straforo con un po’ di vergogna, mani unte che si strofinano sui fian-chi per pulirsi, bambini che piangono, vesciche prossime a esplodere, coppie che litigano, qualche ceffone che vola, una serie di «Francesco, smetti-la!», «la vuoi, la mela?» «Adesso le prendi!» ecc. Ma magari no, che c’è il profumo di santità e si sta composti.«Italia, ti odio – ma cosa c’entra? Perché? – lascia stare, ti odio». Il vicino non sente ragioni.Infine, intorno a mezzogiorno, eccolo, il nemico dei perché*, il mistero di fronte a se stesso, che incede maestoso tra fedeli che si scappellano, masturbano le croci, gli baciano piedi e mani. Nel passare, gli cade l’occhio sulle gambette del ragazzino che spun-tano dai calzoncini corti. No, non va a finire come pensate.Qualcosa non va, il boss comincia a imprecare, urla che non è possibile, gli si manca di rispetto, non si può non si può. E se ne va. Perché al suo cospetto un bambino portava i calzoncini corti. That’s fair.A quel punto, madre e figlio se la vedono brutta, i devoti sono parecchio su di giri e cominciano a co-prirli di insulti, manco avessero scavallato la coda all’ufficio postale. E hanno ragione per dio - Sono ore che aspettiamo il santo/è dalle sette che sto qua, mo’ ce lo avete fatto incazzare. Avete fatto incaz-zare a Padre Pio! Sciagurati! Scostumati! Fetenti! Il tribunale popolare ha decretato che SIETE FOT-TUTI, AMEN. «Quando le mancanze del singolo comportano una perdita di benefici per la collettività o addirittura pe-nalizzano la collettività stessa, è prassi nelle società strutturate e coese quella di mettere le saponette negli asciugamani arrotolati e percuotere a turno con essi l’individuo in questione, messo in condizione di non vedere né reagire», diceva Eisenhower ai suoi dome-stici. Chissà.Ma l’Italia, si sa, ha un cuore grande così, e poi siamo tutti qui per il lieto fine.Scampato il linciaggio, la giovane madre parla con un po’ di suore, fa presente la sua situazione, triste, il viaggio affrontato, lungo, si profonde in scuse e caccia la mille lire. Sì, soprattutto caccia la mille lire.Ed ecco la mano di Dio che scende con i suoi diti fatati: dopo un lungo tergiversare, al bambino, pron-tamente inguainato in un par di calzoni degni di que-sto nome, viene concessa un’UDIENZA PRIVATA (udienza privata) col Santo.Naturalmente, nel presentarsi, il giovinetto reca con sé un ulteriore obolo. Non si tratta della semplice mille lire, ma di tre MONETE D’ORO (pirati mor-ti? Galeoni? Rapine?) ereditate dal padre. Cazzo, la simbologia.Comunque, dicevamo, tre monete d’oro, che

l’omm’e’mmerda (obiezione, è tendenzioso) acco-glie con austerità e mette dignitosamente in saccoc-cia. Quello che si sono detti lo rivelerò soltanto a Bruno Vespa.Oppure:Cosa si siano detti non è molto importante né, a quanto pare, ha lasciato un segno indelebile nel-la memoria del bambino, che nell’arco di pochi anni abbandonerà completamente e felicemente la confessione cristiana, con la serenità che riesce a dare solo un’evacuazione di quelle ben riusci-te, per entrare nelle Milizie Di Satana Impalatore. Tutto è bene.Finito, la morale non c’è, la battuta finale neanche: vita vera zio, vita vera. Andate in pace.

Vorrei che il Vaticano andesse in fiammee il papa ne bruciasse lemme lemmee il papa ne bruciasse lemme lemmebruciasse i pret’in corpo alle su’ mamme.

* Il “perché” ha rovinato il mondo, diceva saggia-mente il ns

Pilade Fioravanti

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Io non amo la Madonna. Non è un modo gentile per bestemmiare, perchè non amo molto nemmeno be-stemmiare.Dicevo: io non amo la Madonna. Al catechismo mi piaceva di più Gesù. La Madonna era una vittima destinata ad una vita infernale ancora prima di pro-vare le dolci potenzialità del punto G. Almeno Gesù andava per templi facendo la figura di quello intelli-gente, moltiplicava i pesci, guariva i ciechi con gli sputacchi. Diciamolo: ai miei occhi Gesù era tre passi davanti alla Madonna. Lo potevi chiamare Gesù o, al massimo, Cristo (vocabolo che, lo ammetto, se ben scandito dà delle soddisfazioni). Lei, invece, bisognava chiamarla Vergine, Maria, Addolorata. Una tristezza indicibile.

Destinata a fare la moglie ad un Geppetto più vecchio di lei, la mamma ad un fi-glio problematico, senza che qualcuno le avesse chiesto qualcosa. Con-dannata, ecco. Quindi sfigata in partenza. E poi, oltre tutto, oltre ai sacrifici, alle rinunce, alle lacrime per un fi-glio che muore non di malattia, ma perché lo impalano insieme ai ladroni, mi rigirava nel cervello la teoria blas-femissima che l’essere vittima e votata alla sofferenza fosse una cosa non propriamente bella. Il tutto, nonostante quello che diceva la suora mentre ci faceva colorare i pellegrini di Emmaus, che ho riapprezzato solo con quel dio di Caravaggio.Comunque. Insieme a questo, ossia a quello che mi raccontavano le suore, c’era mia nonna. Mia non-na non era propriamente una di quelle nonne sprint che girano il mondo, ma andava sempre (sempre) a Lourdes. Mia nonna amava molto la Madonna, anche se ora non credo che si ricordi chi è la Madonna. I primi anni c’era il pullman: schiere di vecchiette che

arrivavano stremate dopo ore di viaggio e dopo aver dormito sedute, alla grotta di Bernadette. Poi, negli ultimi anni, le vecchine in gita a Lourdes ci andavano in aereo. Prima dell’11 settembre e prima dei divieti di liquidi nel bagaglio a mano.

Mia nonna tornava sempre carica carica di statuette della Madonna con l’acqua santa. Impossibile che

non sappiate di cosa parlo: anche i meno cristianiz-zati di voi, devono averla vista almeno una

volta nella vita. Bottiglietta a forma di Madonna, con copricapo-tappo az-zurro. Io non amavo la Madonna, ma la Madonna ripiena di acqua santa mi è sempre piaciuta assai. Cosa che non è mai sfuggita a mia nonna. Avendo intuito la mia

passione (con la p minuscola), nel corso degli anni, mi ha

portato da Lourdes decine di Madonnine con acqua. Le ho, sfortunatamente, perse, abbandonate o dimenticate chissà dove. Non ne possiedo più nemmeno una, ma oggi ne sono pentita.

Per mia nonna, ovvia-mente, il mio gradi-mento della Madonna acquatica era una taci-ta ammissione di fede. Il più banale dei sillo-gismi. Per questo sono sempre stata la nipote preferita, credo. Rimpi-ango il gadget geniale e

continuo ad amare anche tutte le feste patronali sicil-

iane dove si portano in spalla i santi di turno seguiti da gente

urlante e scalza. E ho un brivido ogni volta che leggo del loro martirio su Wikipedia.

Sì, forse non mi piace la Madonna, ma ho fede nel kitsch-folk della religione.

Ninetta Bagarella

La Passione del sillogismo

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CLASSIFICA DELLE SALME

FOTOGENICHEDieci suggerimenti moda

per un decesso very glamour

10 Augusto Pinochet Beniamina di certi poliziotti italiani, questa salma non si è mai distinta per la sua cordialità. Una personalità piena di idiosincrasie e di tutti i peggiori vezzi da prima donna che, diciamolo francamente, hanno stancato già dall’immediato dopo Greta Garbo. Alle esequie si è presentato con un vetro sulla faccia. In rapida discesa. Bye bye!

9 Ernesto Che Guevara Se John Lennon l’aveva fatta fuori dal vaso dicendo di voler diventare più famoso di Gesù, la scelta di farsi raffigurare come il “Cristo Morto” del Mantegna è una rovinosa caduta di sti-le del quasi sempre impeccabile Che. Un personaggio in calo di popolarità in una posa pretenziosa. In lenta ma inesorabile discesa.

8 Michael Jackson Sicura-mente la più pimpante fra le salme nella top ten di questa settimana. La si vede cantare e danzare in uno stato di con-servazione tutto sommato buono nel bellissimo “This is it”. Aveva ancora molto da dare ai suoi fans e alla dan-za, nonostante ad ogni giravolta volasse v i a qualche pezzo. Il pene, distaccatosi accidentalmente mentre agitava il pacco a tempo è stato battuto all’a-sta da una famosa casa newyorchese. Ad aggiudi-carselo per la cifra di 56 milioni di dollari un ricco magnate della finanza russo. Stabile.

7 Vladimir Il’ič Ul’janov per gli amici Lenin. Cosa si può dire su questa salma che non sia già stato detto da Oliviero Diliberto? Stabile a metà classifica da decenni, non riusciamo a liberarcene come un cartone di vecchie riviste che non leggiamo da anni, ma che non ci decidiamo a buttare o vestiti smessi comprati due mesi fa e poi passati di moda. I più complottisti fra i soliti beninformati avanzano l’ipotesi che la salma che abbiamo conosciuto ed amato in realtà sia una statua di cera. Potrebbe, a sorpresa e nonostante questo, rivelarsi un leader del Partito Democratico molto più credibile di quelli vi-sti fino ad ora! Quando riesumano Veltroni sale sem-pre di un paio di posizioni.

6 Benito Mussolini Sempli-cemente l’uomo che insegnò agli

italiani di terra, di mare e dell’aria (?!) la pratica

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della body suspension. Una salma la cui popolarità è ultimamente in rapida sa-lita.

5 Aldo Moro In una cattiva vi-gnetta de “Il male” l’ex segretario della DC inginocchiato davanti alla bandiera con lo stellone, si scusa-

va per la propria caduta di stile. In realtà stava dando alla luce il

radical chic italiano. Un ri-chiamo fuori dai ranghi per

l’alta borghesia molto più potente di quello di Joe

Strummer (E senza er-r o r i di ortografia): i ricchi punkab- bestia da sabato po-

meriggio, senza neppure saperlo, devono tut- to a questa icona dal

fascino scar- migliato. Uno scatto che è pietra fon- dante di tutta l’estetica di quella sini- stradestra che dagli anni Ottanta in poi, sempre più peso avrà per la nascita ed il consolidamento d e l Pensiero Unico Dominante. A d i r e il vero però la classe non l’ha m a i abbandonato: con la lungimi-r a n z a , il buon gusto - di quando “borghese” non era un insulto - e la sobrietà di chi signore è nato, ha legato indissolubilmente la propria imma-gine all’auto che rappresenta tuttora il massimo in-superato del design automobilistico popolare anni Settanta. La sua salma è ricordata con tanto affetto anche per questa fortunata joint venture.

4 Mu’ammar Geddafi Ovvero il Ghed-dafi che non ti aspetti. Troppo frettolosamente defi-nito da una critica più attenta alle cattive frequenta-zioni e all’abbigliamento come attore di fiction da strapazzo degno al massimo del Bagaglino, Mu’am-mar Gheddafi si è rifatto col suo primo lungome-traggio di cui non solo è protagonista ma anche sceneggiatore e produttore. “La cattura” è un film molto radicale, che facendosi beffe dell’autocensura e del politicamente corretto riporta il gore a livelli che non si vedono nel cinema occidentale dai tempi di “La macellazione di Gesù” di Mel Gibson. Tac-ciato superficialmente di essere un mockumentary adolescenziale post “Blair witch Project” la pellico-la in realtà è una grande dichiarazione d’amore per il cinema italiano anni Settanta, in particolare Lu-cio Fulci, omaggiato a più riprese con citazioni ben precise (il primo piano dell’occhio trafitto). Convin-cente nel ruolo di un ex dittatore caduto in disgrazia

abbandonato al suo destino dai suoi migliori amici - memorabile il flashback nella tenda con il “regalo” di Berlusconi che richiama chiaramente il grottesco iperrealismo di Marco Ferreri - la sua interpretazio-ne si fa ricordare per la grande forza espressiva, che certifica l’avvenuta maturazione del Gheddafi attore. Per ovvi motivi questo piccolo capolavoro, ingiusta-mente dimenticato e penalizzato dalla distribuzione, è diventato una sorta di testamento artistico per una figura che aveva ancora molto da dire, tanto al ci-nema quanto alla Corte Internazionale per i Diritti dell’Uomo. Quando si dice genio e sregolatezza.

3 Padre Pio Quando il kitsch diventa cifra stilistica. Quando il cattivo gusto è spinto talmente al limite da diventare chic. Come e più dell’ultimo Elvis, Padre Pio ha scardinato ogni regola del buon-gusto. È grazie a Pio, se ora San Giovanni Rotondo, ha la sua Las Vegas. Un ecomostro imbottito d’oro come neanche la più pacchiana delle ville dei ca-morristi è mai riuscita ad osare. Una bruttura appa-rentemente senza logica che apre nuove frontiere all’architettura. Per la prima volta l’orrido non è in-volontario ma prepotentemente ricercato, lo si chia-merà irrazionalismo italiano, ma saranno necessari degli anni. Pio non si è smentito neanche quando ci ha lasciato, facendosi vendere a tranci ai numerosi visitatori che si accalcavano per banchettare sul suo corpo, dimostrando, con un’umiltà che molti artisti concettuali molto meno sofisticati di lui non hanno che se lui è trash, noi di certo non siamo da meno. Fra i tanti a tributarli i giusti, benché tardivi onori, John Waters. In discesa.

2 Gesù Un nome da calciatore brasiliano ed una faccia da surfista californiano che è già icona, tanto pervasiva da diventare logo. Molto prima delle seri-grafie di Warhol e le ballerine di Aphex Twin! È e ri-mane un capolavoro di marketing, benché costruito su un falso storico. Ai fans infatti non importa affat-to che Gesù non avesse né la qualità musicale, né la presenza scenica dei Pistols, né che gran parte della farina venisse dal sacco del produttore Phil Spector (tralasciando completamente la disastrosa parentesi cinematografica, solo Elvis è riuscito a fare di peg-gio). Un personaggio finito nel mito per meriti che esulano dalle sua capacità artistiche, in verità assai modeste - un destino comune a molti belli morti pre-maturamente, vedasi il caso di James Dean. Il suo lascito va cercato altrove: è stato l’indossatore che ha reinventato completamente il concetto di Sindo-ne, portando per la prima volta in passerella il suda-rio confezionato con tessuti decorati, con la stampa del viso di chi lo indossa, un’idea apparentemente

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semplice eppure geniale che, solo chi ha una per-sonalità talmente forte da sopravvivere alle proprie spoglie mortali, poteva avere! Non “un” cadavere, ma “IL” cadavere; oppure nel lavoro tuttora avan-guardistico fatto sul corpo. La carne che diventa immagine che diventa prodotto. La chiamano tran-sustanziazione. Di qui passeranno tutti, da Malcom McLaren a David Bowie, dalle Spice Girls a Lady Gaga. In leggera discesa.

In vetta svetta... Giovanni Paolo II !!! È in-dubbiamente lui, la salma del momento. Riletti oggi i suoi comportamenti misogini e le sue esternazioni omofobe fanno quasi sorridere - e le insulse pro-vocazioni filonaziste alla Sid Vicious di Benedetto XVI erano ancora ben lontane-, ma bisogna entra-re nello spirito dei tempi, erano cose che facevano davvero scalpore, anche e soprattutto all’interno dell’ambiente punk-hardcore politicizzato dell’epo-ca dal quale Giovanni Paolo (nato Karol Wojtila e ribattezzato Giovanni Paolo II, dal chitarrista della sua band dell’epoca, pochi minuti prima di salire sul palco per il primo concerto) proveniva. Una vita ed un successo che sono un insulto ad una società sempre più anestetizzata dal politically correct. Let-ti organicamente le liriche e gli scritti di G.P. II sono provocazioni molto più sottili del banale «Voglio essere il tuo cane» di Iggy Pop o dell’esplicito «Per favore ammazzatemi» di Richard Hell. Quello, che per una vita, ha chiesto a gran voce ad una società, che preferisce odiare chi mangia merda come G.G. Allin, piuttosto che riflettere un minuto sulla frase «Cos’altro devo dire per farmi odiare?», è rimasto inascoltato. La critica (A parte quella turca) sembra non aver capito le vere intenzioni di questa figura, a partire dall’unico disco in studio registrato da questo performer. Troppo faci-le descriverlo come un flop, troppo semplicistico definirlo come un di-sco inutile che non restituisce l’im-patto che la band di Giovanni Paolo II aveva nei concerti. A G.P. non interessava che i suoi fans potessero sbattere la testa nelle loro camerette, l’artista sentiva che era ora di veico-lare in maniera più compiuta il pro-prio messaggio, andando oltre i testi delle canzoni che potevano troppo facilmente essere ridotti a slogan. E’ un disco de reading, per certi versi simile a quelli contemporanei di Jel-lo Biafra ed Henry Rollins e ad un ascolto attento si ha l’impressione

che tutto quello che è finito nei solchi sia fortemente voluto, che G.P. II abbia voluto testardamente fare tutto quello che non ci si aspettava da lui (A partire dall’omaggio agli Abba del titolo in netto anticipi su tutto il recupero della disco degli anni successivi), come estromettere quasi completamente la strumen-tazione rock dai suoni del disco, adottando sonorità eteree ed ovattate tipo i primi Psychic T.V. che stri-dono con la recitazione arcigna alla Burroughs ed i cori gregoriani che danno a tutto il disco un’inquie-tante coloritura esoterica fino all’uso del latino che riannoda i fili con la parte più situazionista del mo-vimento punk e si riappacifica con Derek Jarman. A conti fatti “Abba Pater” è un finto manufatto new age beffardo quanto ben confezionato che anticipa tutta la produzione ambient di Burzum. Un cavallo di Troia che ha portato uno dei dischi più sovversivi degli ultimi tempi a dividere lo scaffale dei compact disc con Andrea Bocelli e Celine Dion nelle case della classe media. Le polemiche su una beatifica-zione tanto frettolosa e una santificazione che proce-de inesorabile come un carro armato israeliano nella striscia di Gaza ben carburata da miracoli costrui-ti ad arte li lasciamo alle solite malelingue, come anche le critiche velenose sulle sue frequentazioni quanto meno discutibili (Vedi alla posizione n. 10) o sul fatto che il suo pontificato sia stato un paradi-so per i preti pedofili. La beatificazione di Giovanni Paolo II è come vincere la finale dei mondiali con un rigore inesistente. Sono tutti contenti ed è subito POO POPPO’ POPPO POOOO PO (o se preferite SA-NTO SUBITO!).

R. Fiore

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Franco era un vero blasfemo. Aveva cominciato da adolescente, verso i 13-14 anni, per ribellarsi alla famiglia bigotta cui apparteneva, per sentirsi gran-de, per non essere da meno dei suoi amici che ogni secondo tiravano un porco qua o un porco là. Guai a non bestemmiare! Si sarebbe fatta la figura del cocco di mamma. Crebbe normalmente. Cominciò a fumare, a bere, ad andare a donne (e a volte a don-nacce) e la bestemmia fu sempre la sua fedele com-pagna. Passati i primi tempi divenne un’abitu-dine, un semplice intercalare, non aveva più quella patina di ribellione, era quasi un suono privo di significato. Talvolta si lanciava in virtuosismi, magari con gli amici. Inven-tava bestemmie lunghe ed articolate, in cui accoppiava le divine effigi con le più svariate specie animali, snocciolava ro-sari di aggettivi, non necessariamente offensivi in sè (ad esempio “insacca-to” o “radioattivo”) oppure mestieri improbabili (“Dio Campanaro” era quasi entrata nell’uso comune). Era un ottimo esercizio da oste-ria per farsi quattro risate con i compagni di bevuta. A volte organizzavano dei veri e pro-pri tornei di “Bestemmia Creativa”, e al vincitore andavano bevute e man-giate gratis.Però, nell’urgenza del momento, quando veramente la bestem-mia diventava la val-vola di sfogo per una rabbia improvvisa, quando si pestava un dito col martello, quando era in ritardo e scattava il rosso, quando la sua squadra incassava il quarto goal consecutivo, allora si rifugiava nel classicismo. Ritornava agli epiteti ufficiali: “cane” e “porco”, le bestemmie per antonomasia. Più raramente avanzava ipotesi su una segreta professione della Madonna, che dopo gli anni Ottanta si confuse con la professione ufficiosa dell’altra Madonna, quella che cantava, togliendo così parecchio mordente alla bestemmia al femmi-nile. C’est la vie.La sua esistenza trascorse così, tra bestemmie clas-siche e creative, giornate di lavoro e semestri di cas-sa integrazione, bevute, fumate e mangiate, fino a

quando il suo cuore, tra il quinto e il sesto decennio della sua vita, decise di dare le dimissioni. Franco si sentì mancare il respiro, ebbe appena il tempo di biascicare un mezzo porco a bassa voce prima di afflosciarsi sul secondo pianerottolo del suo condominio, a pochi gradini dalla porta di casa. La vista del suo corpo dall’esterno fu sorprendente, ma la scena in se stessa molto poco cinematografica, dato che nessuno sarebbe passato di lì in un quar-to d’ora abbondante. Lui non avrebbe visto i suoi, ahimè inutili, soccorritori.

Si sentiva già risucchiare verso l’alto, verso una specie di corridoio buio spuntato da chissà dove,

sentì freddo, sentì caldo, sentì voci, quasi gli scapparono un porco e due cani (l’abitudine, si sa…) poi si ritrovò a fronteggiare una luce

immensa… una luce? Beh, sì, era una cosa luminosa, ma non era come il lampione all’angolo, e neanche come il sole…

era indefinibile… gli sembrava che in quella luce si muovessero

molte immagini diverse, ma quando cercava di guardarla fissa restava abbagliato e basta. Anche la pa-

rola “abbagliato” non descrive-va esattamente la situazione. Innanzitutto lui non aveva più

occhi fisici da abbagliare. In secondo luogo la sen-

sazione non era affatto spiacevole… però, come distoglieva l’attenzio-

ne gli sembrava di vedere altre cose, con la coda dell’occhio (se

avesse avuto gli occhi, per lo meno). Un attimo era un occhio gigante… poi era Jimi Hendrix... poi un baobab… poi una foca monaca… poi un geranio e Gandhi allo stesso tempo…poi Rita Hayworth… in un certo senso era il più sballoso caleidoscopio che si fosse mai visto.

Si sentì apostrofare… gentilmente… e subito «oh porco d…» ma si fermò terrorizzato! Cosa stava per fare! Bestemmiare di fronte a… a quella cosa, qualunque cosa fosse… non che fosse mai stato credente, ma nel dubbio… L’essere caleidoscopico sembrò individuare i suoi pensieri e gli trasmise un’onda di benessere, di ami-

IL BESTEMMIATORE

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cizia. «No, non preoccuparti. Non puoi offender-mi dandomi del porco, poi… cosa c’è di offensivo nell’essere un maiale? Non l’ho forse creato io? E poi, andiamo, non è simpatico? Tutto rosa, con quel-la coda arricciata, quel naso schiacciato… anzi, è una delle creature che preferisco. E chi più di un maiale, può essere accostato ad un martire? Non sai che tutti i maiali che avete ucciso per farne salami e prosciutti sono stati santificati? A differenza di certi santi terrestri che ho fatto reincarnare come maiali. Uno solo è stato il mio errore nella Creazione!» Per un attimo l’essere sembrò Gimmy dei tre porcellini.Franco era allibito. Troppe rivelazioni in un colpo solo. «Ma la reincarnazione… non è una cosa da buddisti?»«Beh, non lo sai che sono un fan di Buddha? È stata una delle mie migliori creazioni!» rispose.Per un istante apparve un monaco zen magro e sor-ridente, con un’aureola stroboscopica blu e gialla ed una T-shirt con la scritta “I Love Buddha” in carat-teri gotici anch’essi fluorescenti ad intermittenza. «Ad ogni popolo il suo, non posso mica mandare lo stesso profeta a tutti… va beh, che da 2.000 anni

rappresentate un Nazareno puro sangue, (quindi un semita) alto, biondo e con gli occhi azzurri, man-co fosse stato uno svedese! Il vostro dio era Herne il cacciatore, il dio cornuto dei celti! » L’aureola si tramutò in un paio di corna, ed il suo volto assunse dei connotati caprini. «Voi me l’avete fatto diventa-re Satana!»Franco deglutì. Quindi dio era buddista? O pagano? O Satanista? Ma credeva in se stesso?«Certo che credo in me stesso - sogghignò la luce - pensi che abbia bisogno dello psicanalista? Quello l’ho creato per voi! Sempre insicuri! Io non ho pro-blemi di autocoscienza, cosa credi?»Franco ebbe una vertigine. Era troppo per lui… a malapena leggeva i giornali sportivi, e qui si scon-finava già nella filosofia e nelle religioni orientali. Gli scappò un “Dio c…” e s’interruppe di nuovo. Se avesse avuto un volto sarebbe impallidito.«No, non preoccuparti… - spiegò sempre amorevol-mente la luce - il cane è ancora più simpatico. E poi, non dite sempre che è il miglior amico dell’uomo? Ed io cosa dovrei essere, il peggior nemico? A buon diritto sono il più grande dei cani!!! Non so perché

avete una visione così nega-tiva di cani e maiali… e peg-gio ancora i musulmani, che li considerano impuri perché mangiano i loro stessi escre-menti! Ma quando mangiate un’insalata, da dove pensate che cresca? Non concimate forse i vostri campi con gli escrementi? Oh a proposito di musulmani…»

In quel mentre una carovana di anime si avvicinò dal fondo del tunnel oscuro. Franco non era solo in quel luogo fuori da ogni immaginazione, altre anime andavano e venivano, molti altri erano a colloquio con quell’essere luminoso, e lui era contemporaneamente presente in tutte quelle con-versazioni, e nessuna di esse si intrecciava con le altre. Era una specie di immenso centra-lino. Ora questo gruppo di 15-20 persone si stava avvicinando e, le proiezioni dei loro volti (perché non si poteva certo parlare di volti veri e propri), avevano dei tratti spiccata-

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mente mediorientali. «Un altro kamikaze in Iraq…» sospirò l’essere di luce mentre si trasformava in un arabo senza volto. Un’anima del gruppo, probabilmente il terrorista, fece una smorfia di vergogna… «D’altronde non è colpa tua, ti hanno ingannato come tutti gli altri…»Franco non si trattenne e chiese: «Ma il corano…?»«Certo che l’ho scritto io, chi se no? Però l’ho scrit-to in maniera molto semplice, dovevo farlo capire a dei pastori del deserto… mica potevo spiegargli che mangiando il maiale sarebbero esplosi per il coleste-rolo, no? Dovevo dar loro delle direttive precise, gli ho detto che era impuro! Il maiale era per i popoli nordici che avevano bisogno di grassi per combat-tere il freddo! Questi in 1.300 anni hanno travisato quasi tutto!»«Ma non si può mandar loro un altro profeta?» sus-surrò Franco timoroso…«Eh, fosse facile… è già l’ottavo che mi fanno salta-re prima del tempo!»Un’altra anima si staccò dal gruppo dei musulmani, un’anima più luminosa ed indistinta, un piccolo ca-leidoscopio, che per un secondo assunse l’aspetto di un giovane muezzin, allargò le braccia, fece spalluc-ce, e se ne volò verso un altro tunnel.«Vai, vai... reincarnati ancora, chi la dura la vince!» sospirò la luce più grande.«Allora sono stati i musulmani quell’errore nella creazione?»«No, no, figurati, ti pare che ne avrei fatti così tanti? Ho commesso un errore soltanto».

INTANTO, SULLA TERRA…In una lussuosa clinica della capitale, in un’enorme stanza, vuota tranne che per un letto, un medico sol-levava la testa dal petto del paziente ormai immobi-le. Ripose lo stetoscopio. Si avviò lentamente verso la porta ed esitò di fronte alla maniglia. Poi la girò, aprì la porta ed uscì in corridoio. Richiuse la porta lentamente e chinò la testa. Nel corridoio c’erano due gorilla enormi, dotati di oc-chiali da sole e dei rigonfiamenti sotto le ascelle che certo non erano foruncoli. La moglie ed i figli del paziente attendevano a metà tra l’incerto e lo scoc-ciato. Di certo avevano mille altri impegni. Quella per loro era una colossale perdita di tempo. Dalla fi-nestra socchiusa giungeva il rumoreggiare dei gior-nalisti accampati nel parcheggio. Da due settimane ormai lo assillavano di domande, intralciando il la-voro dell’intero ospedale rischiando di farsi investi-re dalle ambulanze in corsa.«Adesso avrete di che riempire le vostre maledet-te prime pagine» pensò. Poi gli scappò un mezzo sorriso pensando che anche lui avrebbe avuto un posticino in prima pagina e nei notiziari della sera.

Rincuoratosi a quest’idea, assunse un’espressione addolorata, si concentrò per un secondo, cercando di renderla plausibile, si girò ed annunciò ai familiari del paziente più importante d’Italia: “È finita. Non c’era più niente da fare.”Nella stanza, l’anima del Presidente svolazzava len-tamente sul soffitto.

ALTROVEFranco credette di morire un’altra volta… «Non sarò mica io, l’errore?» pensò, accompagnando istintiva-mente il pensiero con un «Puttana la Ma…», mor-dendosi le labbra che non aveva.«No, non sei tu. E non pensare di insultare una del-le mie madri terrene con una semplice parola. Mi hai preso per un moralista? Quelle donne che sono costrette a vendere il loro corpo per sopravvivere sono altrettante sante, ne’ più ne’ meno dei maiali. E quelle che lo fanno senza costrizione amano il loro prossimo come io ho sempre raccomandato a tutti di fare. Semmai non capisco le suore di clausura, che ammuffiscono in tetri monasteri, mi assordano di litanie incomprensibili e poi si masturbano con i candelabri, amando solo se stesse, o al limite il can-delabro che non ha poi un gran bisogno… a loro sì che farebbe bene un po’ di vita!» Per un istante diventò una suora in topless che balla-va al ritmo di Marylin Manson.Incredibile! Tutto quello che gli avevano segnalato come peccato veniva depenalizzato davanti ai suoi occhi, ma allora anche i concorsi di bestemmia cre-ativa…«Ah, quelli! Che spasso! Vera e propria poesia! Erano i miei svaghi preferiti! E lo sono tutt’ora…io amo ogni forma d’arte sai? Dalla Cappella Sistina ai Black Sabbath! Anzi, quella che ti fece vincere il premio Saracca nel 1988, te la suggerii io stesso… non era geniale? Divina, oserei dire? Ah ah ah ah!» disse, tramutandosi in Guglielmo, il suo compare di bestemmie preferito e rotolandosi avanti e indietro, tenendo il pancione mentre rideva. In una frazione di secondo era ridiventato l’essere di luce. «No, veramente ho fatto un solo errore, ma tu non c’entri».In quel momento, nell’infinito fiume d’anime che entrava dal tunnel si alzò una voce: «Mi consenta. Scusi… sia gentile, mi faccia passare…ma sa chi sono io?”Franco girò la testa per vedere chi, tra tutte quelle anime silenziose, fosse così inopportunamente fasti-dioso, e la sorpresa fu grande, quando la riconobbe.«Dio…» ma si corresse subito ed invece pronunciò il nome del nuovo arrivato «… Berlusconi!»Gli giunse forte un’ondata di fastidio e l’essere di luce sbottò:

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«Ehi, non offendiamo, eh?!»

Dio aveva rimediato al suo errore.

La luce si placò all’istante. Franco era sbigottito. Dopo una vita di blasfemia attiva, l’unica volta che era veramente riuscito ad offendere Dio, era stato dopo la morte… e per sbaglio!Ma Dio, da buon buddista-pagano-panteista-zen-cristiano-animista-comunista-musulmano si riebbe subito e ritornò ad inondarlo di benessere e com-prensione. «Bene, è tempo che tu vada…»«Dove?» Protestò Franco. Proprio ora che si stava abituando…«A reincarnarti! Cosa credi che mi tenga per casa tutte le anime del mondo a far confusione? Ci sono già stati altri tre attentati nel mondo, ho tutte le linee intasate, sciò…»E Franco fu attirato lentamente da un altro tunnel. Fece appena in tempo ad intravedere la nuova ani-ma che si rivolgeva alla luce con un sorriso ironico: «Scusi, abbassi i riflettori, posso sapere chi coman-da qui? Le do il mio biglietto da visita, mi consen-taaaaaah» L’anima di Berlusconi fu scaraventata senza troppe cerimonie per lo stesso tunnel in cui anche Franco stava scendendo, seppur con maggiore comodità.

Ad un tratto si ritrovò al buio. Sentì di nuovo una strana fisicità circondare la sua essenza. Poi una boc-cata di ossigeno gli bruciò la gola… gola? Aveva di nuovo una gola? Questa volta non gli uscì neanche un porc… tutti i ricordi stavano scomparendo molto velocemente, come i frammenti di un sogno vengo-no risucchiati via dall’acqua fredda al mattino. Aprì gli occhi improvvisamente e si ritrovò a fissare una luce abbagliante, ma in senso fisico. Stava fissando il cielo, non solo… vedeva anche una coda rosa e arricciata. Cercò di sostenersi sulle sue quattro zam-pe, mosse dei passi incerti… sua madre emise un «Oiink» soddisfatto. C’erano altri nati nella sua cuc-ciolata, altri suoi fratelli; anche loro cominciavano a muoversi, ad aprire gli occhi… girò la testolina rosea e si ritrovò a fissare la testolina di un altro cuc-ciolo. Franco (?) sputacchiò un «pooooink…» tutto quello che riuscì a fare fu di emettere un grugnito. Come per rispondergli, l’altro porcellino sibilò un “Micoooooink!” e grugnì a sua volta.

Erano due porcellini molto simpatici, con ottime probabilità di santificazione.

Acid Jack Flash

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Questo mi fa venire in mente una ragazza che co-noscevo una volta, ammalata di cancro. L’andai a trovare una volta all’ospedale e non la riconobbi; seduta sul letto, sembrava un vecchietto senza ca-pelli. La chemioterapia l’aveva gonfiata come un acino di uva. A causa del cancro e della terapia era rimasta virtualmente cieca, quasi sorda, in preda a continui attacchi, e quando mi chinai su di lei per chiederle come stava, lei rispose, quando riuscì a comprendere la mia domanda: «Sento che Dio mi sta curando.» Aveva avuto delle inclinazioni religiose, e aveva pensato di entrare in un ordien religio-so. Sul comodino metallico accanto al letto aveva appoggiato, o qualcuno lo aveva fatto epr lei, il suo rosa-rio. A mio parere, un c a r t e l l o con VAF-FANCULO, DIO sareb-be stato più adatto del rosa-rio. Tuttavia, in tutta onestà, devo ammettere che Dio (o qualcuno che si fa-ceva chiamare Dio, una pura questione di semantica) aveva impresso preziose informazio-ni nella testa di Horselover Fat, mediante le quali suo figlio Christopher poté salvarsi. Alcuni Dio li cura, altri li uccide. Fat nega che Dio uccida qual-cuno. Fat dice che Dio non fa mai male a nessuno. La malattia, il dolore e le sofferenze non meritate non vengono da Dio, ma da qualche altra parte; al che dico: da dove salta fuori questa altra parte? Ci sono due divinità? Oppure è una parte dell’Universo sfuggita al controllo di Dio? Fat aveva l’abitudine di citare Platone. Nella cosmologia di Platone il nóus, o Mente, opera per assoggettare l’anánke, ossia la cie-ca necessità (o il cieco caso, secondo alcuni esper-

ti). Nóus andando in giro scoprì un giorno, con sua grande sorpresa, il cieco caso; il caos, in altre paro-le, sui cui nóus impose l’ordine (anche se, come lo fece, Platone non lo dice da nessuna parte). Secondo Fat, il cancro della mia amica consisteva in un di-sordine non ancora ridotto in una forma senziente. Nóus, o Dio non l’avevano ancora raggiunta, al che obiettai: «Bé, quando l’ha raggiunta era troppo tar-di.» Fat non ebbe alcunché da dire, almeno in termi-

ni orali. […] Ci divertivamo ad attirare Fat in dispute teologiche, perché lui si

arrabbiava sempre, partendo dal presupposto che quel-

lo che noi dicevamo sull’argomento ave-

va importanza... che l’argomento

medesimo ave-va importanza. […] Non c’e-ra bisogno di tormentarlo con doman-de oziose del tipo: «Se Dio può

fare tutto, può creare un

fosso talmente largo che non

possa saltarlo?» Avevamo un sacco

di domande vere a cui Fat non riusciva a dare

una risposta. Il nostro ami-co Kevin iniziava sempre il suo

attacco allo stesso modo. «Cosa mi dici del mio gatto?» chedeva Kevin. Parecchi anni

prima aveva portato a passeggio il suo gatto, verso sera. Quello sciocco non gli aveva messo il guin-zaglio, e il gatto era schizzato sulla strada, proprio sotto le ruote di una macchina di passaggio. Quando aveva raccolto il corpicino, era ancora vivo, respira-va fra una schiuma insanguinata e lo fissava con gli occhi pieni di orrore. Kevin usava dire: «Il giorno del giudizio, quando sarò chiamato davanti al gran-de giudice, io gli dirò: ‘Aspetta un momento’, e tire-rò fuori il mio gatto morto da sotto la giacca. ‘Come me lo spieghi questo?’ gli chiederò.» Ormai, diceva

IL GATTO DI KEVIN L’Universo è fottuto e Dio è impotente, scemo e cattivo

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Kevin, il gatto sarebbe stato rigido come un tega-me per friggere, e lui l’avrebbe tenuto per il manico, cioè la coda, in attesa di una risposta soddisfacente. Fat disse: «Nessuna risposta di soddisferebbe».«Okay, Dio ha salvato la vita di tuo figlio; perché non ha fatto in modo che il mio gatto corresse sul-la strada cinque secondi dopo? Tre secondi dopo? Troppo disturbo? Già, immagino che un gatto non abbia molta importanza!»«Sai Kevin,» osservai una volta «avresti potuto met-tergli il guinzaglio.»«No» disse Fat. «Non ha tutti i torti. La cosa rende perplesso anche me. Per lui il gatto è il simbolo di tutto ciò che non capisce nll’universo.»«Io capisco benissimo» disse Kevin amaramente. «L’universo è fottuto. Dio o è impotente, o è stupi-do, o non gliene frega niente. O tutte e tre le cose. È cattivo, scemo e debole. Penso che comincerò la mia esegesi.»[…] Avevamo anche David, il nostro amico catto-lico, e la ragazza che era stata ammalata di cancro, Sherri. Era entrata in remissione, e l’ospedale l’a-veva dimessa. In una certa misura, la vista e l’udito erano rimasti irrimediabilmente danneggaiti, ma per il resto stava bene.Fat, naturalmente, usava questo come argomento a favore d Dio e dell’amore risanatore di Dio, come faceva David, e ovviamente Sherri stessa. Kevin vedeva la guarigione come un miracolo della radio-terapia, della chemioterapia, e della fortuna. Inol-tre, ci confidò, il miglioramento era temporaneo. In qualsiasi momento Sherri poteva star male di nuovo.

Kevin lasciava oscuramente intendere che la pros-sima volta non ci sarebbe stata alcuna remissione. Qualche volta ci veniva da pensare che lo speras-se, perché questo avrebbe confermato la sua visione dell’universo. […] Essendo cattolico, David face-va sempre risalire tutto il male alla libera volontà dell’uomo. Questo infastidiva perfino me. Una volta gli chiesi se il fatto che Sherri si fosse presa il cancro era un esempio di libera volontà, sapendo che David si teneva al corrente di tutti gli sviluppi della psico-logia, e avrebbe fatto l’errore di affermare che Sherri aveva inconsciamente desiderato di avere il cancro, e così escluso il suo sistema immunitario, un’idea che circolava negli psicologi all’avanguardia, a quei tempi. E infatti David ci cascò e disse così.«Allora perché è migliorata» chiesi. «Desiderava in-consciamente di star bene?»David parve perplesso. Se attribuiva la malattia di Sherri alla sua mente, era costretto a consegnare an-che il suo miglioramento a cause mondane, e non sovrannaturali. Dio non aveva niente a che fare con la faccenda. […] Nessuno di noi capiva qualcosa della situazione, ma avevamo un sacco di tempo li-bero da sprecare in questa maniera. Ormai l’epoca delle droghe era terminata, e tutti si davano da fare per cercare qualche nuova ossessione. Per noi la nuova ossessione, grazie a Fat, era la teologia.

Philip K. Dick, La Trilogia di Valis – Part. I

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