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Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. - d.l.353/2003 (conv. in L. 27/0/22004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma - filiale di Roma O.P.A.M. - Via Pietro Cossa, 41 - 00193 Roma - 1,30 - Taxe perçue - Tassa pagata - Rome Italy - Roma Italia foto Jean Marius T. Zoumalde NOVEMBRE 2010 - ANNO XXXVIII N. 9 Maestri di vita Maestri di vita

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Page 1: N I V X O N A 0 1 0 2 E R B M E MMaestri di vita V O Ncesi di Bouar (1978), frequentata attualmente da quasi 300 alunni di diverse religioni. Tra fiducia, rabbia, spe - ranza, Didier

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NOVEM

BRE 2010 - ANNO XXXVIII N. 9

Maestri di vitaMaestri di vita

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Editoriale

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Il fiore della Speranza

opam

novembre2010

N el week-end dei Santi, dopo la visita al cimitero peruna preghiera sulle tombe di tante persone amicheche ho accompagnato nell’ultimo viaggio, sono

stato al Museo Romano delle Terme. I musei archeologici,con le loro esposizioni di frammenti di civiltà sepolte, mihanno sempre dato l’impressione di essere parenti stretti deicimiteri. Statue, sarcofagi, lapidi, sepolcreti di famiglia…sono i pezzi più numerosi, quasi a testimoniare il drammati-co sforzo di sfuggire all’oblìo che la morte stende sulle vicen-de umane. Città comeRoma continuano a viverequalche metro al di sopra diimmense necropoli. Ciaffaccendiamo nel caosquotidiano sulle stesse areeche custodiscono nel buiodella terra l’eco ormai spen-ta di vite tanto simili allenostre. Una piccola lapidemi ha colpito particolar-mente. Due genitori ricor-dano il figlio ventenne daPlutone rapito al loro affet-to e smarriti si domandano:“Dove è fuggita la tua bel-lezza, la grazia delle tuemembra?” per amaramente constatare: “Di te solo un pugnodi polvere rimane”. Questa grande civiltà, le cui radici anco-ra nutrono il nostro vecchio continente europeo, non ha altrarisposta di fronte alla morte, che tutto, come una inesorabilelivella, sembra appiattire: …un pugno di polvere! Sono usci-to dal museo con addosso una angosciante sensazione di tri-stezza. “Certo, però noi abbiamo la fede, noi crediamo nellarisurrezione…” mi dicevo. Eppure non sembravano pensierisufficienti a rassicurarmi dopo quell’immersione nel regnodelle ombre e di fronte all’evidenza della caducità dell’umanacondizione che tutti ci accomuna. Come tanto meno servo-no a darci speranza quelle frasi che a volte ancora campeg-giano all’ingresso dei vecchi cimiteri: “Hodie mihi, cras tibi”(Oggi tocca a me, domani a te). Non è fonte di grande con-solazione ricordarci che il nostro cammino, segnato da tantedolorose e a volte strazianti perdite, sfocerà in un pugno dicenere. Comunque la si guardi, umanamente la morte, inapparenza la cosa più certa e naturale che ci sia, resta un gran-de enigma. E in noi qualcosa si ribella al trionfo del nulla enon l’accetta.Qualche ora dopo, celebrando l’Eucaristia, mi è venuta insoccorso una parola del Signore: “Questa è la volontà di Coluiche mi ha mandato: che Io non perda nulla di quanto mi ha

dato” (Gv 6,39) . In questa parola mi sembra ci sia una gran-de luce per il nostro cammino a volte minato dalle incertez-ze e dai dubbi. Il Signore ci conferma che nulla può essereperduto definitivamente, nessuno e niente può essere ridottoal nulla. Tutto è in potere del Signore della Vita, a cui appar-teniamo e nelle cui mani è posta la nostra vita e la nostramorte. Già prima, dall’abisso del suo dolore, Giobbe, il sim-bolo dell’uomo dei dolori visitato dalla sventura e dallamorte, aveva lanciato il suo grido come una sfida: “Io so che il

mio redentore è vivo”. E’ que-sto il dono che la fede ebrai-co-cristiana offre all’umanità.Dio, il Vivente, ci ha creatiper la vita e ce la dona in Gesùsuo figlio, per noi e per lanostra salvezza morto e risor-to. Ciò che ogni persona siporta dentro, come è testimo-niato fin dagli albori dellapresenza umana su questaterra (ad es. nel culto deimorti), quella invincibile spe-ranza che non è possibile chetutto finisca in un pugno dicenere, quel desiderio strug-gente di comunione con i

nostri cari e con gli altri che a volte all’improvviso e inspiega-bilmente ci pervade, forse altro non sono che l’anelito e ilgemito della Vita che in noi va germogliando, mentre la vec-chia creatura lentamente si consuma per essere trasformata daDio, che ci vuole ad immagine del Figlio suo, l’unico torna-to dal regno dei morti, garanzia che anche per tutti noi in Luic’è Vita e Risurrezione dai morti. Se lo vogliamo…La vita non ci appartiene: la possiamo solo ricevere comedono dalla fonte che è Dio. Per questo l’uomo quando perdeDio perde se stesso.Mi confortano questi pensieri, mentre li condivido con voi,cari amici, specialmente con coloro che in questo anno sonostati segnati dal dolore del distacco dai propri cari. Per tutti coloro che ci sono stati compagni di viaggio e cihanno preceduto nella luminosa dimora che il Signore hapreparato per i suoi amici; per gli amici dell’OPAM che giàsono andati a raccogliere il premio della loro generosità versoi poveri; per i tanti bambini di cui ci occupiamo stroncatidalle malattie o dalla violenza; per chi resta solo con il suodolore: per tutti un grato ricordo e una preghiera. Insiemeall’augurio che fiorisca in tutti noi il fiore della Speranza a ras-sicurarci che la vita è più vera e più forte di ogni morte.

Don Aldo Martini

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la tentazione degli insegnanti di lasciare la scuola catto-lica per ricevere compensi più alti è tanto forte quantocomprensibile. E così molti insegnanti se ne sono anda-ti portando con sé tutta la ricchezza pedagogica, moraleed etica che hanno ricevuto dalla scuola cattolica dallaquale loro stessi sono stati formati.E’ in questo contesto che Didier Nangbei -maestro diCM2, la sesta elementare- condivide la sua esperienzacome credente ed educatore. Ci troviamo a Bouar, cittànel nord-ovest della Repubblica Centrafricana, nellascuola cattolica associata Saint Joseph, una vecchia scuo-la costruita negli anni ’50 prima dell’erezione della dio-cesi di Bouar (1978), frequentata attualmente da quasi300 alunni di diverse religioni. Tra fiducia, rabbia, spe-ranza, Didier ci apre il suo cuore di missionario laico inmezzo ai suoi…

- Maestro Didier, vuoi parlarci un po’ della vostra scuola,raccontarci cosa sta succedendo?Prima di tutto grazie di avermi dato la parola. Nellescuole dello stato e in quelle gestite dalle ONG, comequella vicina del “Village S.O.S", i nostri colleghi inse-gnanti sono pagati bene… La Banca mondiale fornisceformazione agli insegnanti con la prospettiva di salarimaggiori. Ma la Chiesa, che deve provvedere a tantenecessità della popolazione, non ha mezzi per affrontare

L a Repubblica Centrafricana è un Paesesituato proprio al centro del continenteafricano: di qui l’origine del suo nome. I

paesi limitrofi sono: a nord il Ciad, a sud laRepubblica Democratica del Congo e il CongoBrazzaville, a est il Sudan, a ovest il Camerun. Hauna superficie di 622.980 kmq con 4,4 milioni diabitanti. La speranza di vita è di 45,1 anni. Le lin-gue ufficiali sono il francese e il sango. E’ un Paesepovero, nonostante le sue ricchezze naturali. IlPIL è di 447 $/abitante. Il livello di alfabetizza-zione si attesta sul 48,6%. I gruppi religiosi piùnumerosi sono nell’ordine: 50% cristiani (25%cattolici, 25% protestanti), 35% animisti, 15%musulmani. Nel 1962 il presidente David Dackoha nazionalizzato tutte le scuole cattoliche tranneil Liceo Pio XII (nella capitale Bangui), che haresistito finora e ha formato la maggiore parte deiquadri del Paese. L’inizio degli anni ’90 è stato unperiodo difficile per la scuola, con una serie discioperi da parte sia degli insegnanti che degli altrifunzionari dello Stato, i quali rivendicavanomiglioramenti salariali. Questo fatto ha avutocome conseguenza più grave il calo degli alunni. E’ proprio in questo periodo che la Chiesa cattolica, da

vera pioniera, ha iniziato a considerare la possibilità dicreare scuole cattoliche per salvare il futuro del Paese.Perché coloro che venivano penalizzati erano i bambinipoveri. I figli dei dirigenti, infatti venivano mandati astudiare all’estero, persino in Europa, quelli delle fami-glie benestanti frequentavano le scuole private, mentre ibambini di genitori poveri rimanevano a casa a motivodegli interminabili scioperi. Fu così che verso la finedegli anni ‘90 la Chiesa decise di aprire scuole elemen-tari proprie, per dare la possibilità anche a questi bam-bini di imparare a scrivere, a leggere e a conoscere il lorodiritti e doveri, per contribuire un giorno allo sviluppodel proprio Paese.Questa è una grande sfida da affrontare. Ma per le scuo-le cattoliche la vita è difficile. La Chiesa infatti ha pochimezzi per sostenere economicamente i suoi maestri e perandare avanti deve contare su un contributo delle fami-glie degli alunni di circa 30 € l'anno, che permetta dipagare gli insegnanti che percepiscono solo 35.000FCFA mensili (54 € circa). Inoltre oggi è sorto unnuovo problema: da un anno il Governo Centrafricanoha aumentato lo stipendio di tutti gli insegnanti dellescuole pubbliche, che ora ricevono salari di base cheoscillano tra gli 80.000 e i 95.000 FCFA (122-145 €) e

opam

novembre2010

Essere missionario nel luogo di lavoroIncontro col maestro Didier Nangbei

Approfondimento

Il maestro Didier con i suoi alunniIl maestro Didier con i suoi alunni

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Paese…Vedi, un insegnante si preoccupa solamente di tra-smettere delle conoscenze. Nel quartiere può vive-re diversamente da quanto insegna. Un educatoreinvece dà qualcosa in più: non si limita solamentea trasmettere conoscenze ma cerca di essere untestimone, un modello. Ti racconto un fatto chemi è successo. Un famiglia che aveva il figlio nellanostra scuola si è trasferita a Bangassou, nel sud-estdel Paese. Dopo qualche tempo che si trovavano làil ragazzino ha fatto di tutto per avere il mio nume-ro di telefono. Desiderava chiamarmi e ringraziar-mi perché anche a Bangassou, dove frequenta unascuola cattolica, è il primo della sua classe. Hascritto anche una lettera ai suoi ex compagni rac-comandando loro di ascoltare bene il loro maestroDidier. E’ un segno che mi fa capire che sono sullabuona strada…

- E il tuo lavoro con le famiglie? Tutto affonda le sue radici nella famiglia. La famigliaha un ruolo fondamentale perché l'educazione ricevu-ta a scuola abbia continuità. Ogni ultimo sabato delmese incontriamo i genitori per valutare come seguo-no i loro figli a casa… Ci vuole anche in questo unospirito di sacrificio da parte degli insegnanti.

- E cosa ti gratifica di più?...Il mio appagamento più grande è sentire i professori delLiceo (alcuni di loro sono stati miei professori) dirmi:“Didier, quanto sono bravi i vostri alunni, quelli chevengono dalla vostra scuola. Li riconosciamo subito per-ché fanno domande, partecipano e hanno sempre ilmassimo dei voti! Sono proprio brillanti!Congratulazioni per quello che fate!” Però, non te lonascondo, è difficile sostenere la famiglia con quello chericeviamo. La vita è molto cara. Come tutti, spero divedere un giorno la situazione migliorare un pochino.

- Un’ultima battuta?Abbiamo seri problemi in questo bel Paese ma mi sem-bra che ben pochi ne parlino in modo coerente e con-vincente all’estero, per poter avere degli appoggi.Abbiamo un grande sogno che prima o poi con l'aiutodi persone di buona volontà speriamo di poter realizza-re: costruire il College (le 4 quattro classi del Liceo) perpoter seguire meglio questi ragazzi. Al Liceo statale cisono più di cento alunni per classe. Ed alcuni dei nostrialunni perdono dopo un po’ il ritmo di studio per man-canza di un buon livello e di serietà! Lì la qualità lasciaun po’a desiderare. Se avranno la possibilità di andare alLiceo dopo aver finito il College da noi, saranno ingrado di difendersi bene…

P. Jean Marius T. Zoumalde

tutto. E così il nostro stipendio di insegnanti discuola cattolica è davvero basso. Accade perciòche molti maestri lasciano la scuola SaintJoseph per andare dove si è meglio pagati.“L’erba del vicino è sempre la migliore”, comedice la capra. Ma il denaro pur essendo impor-tante non può essere l'unica priorità. Nella miavita ho scelto di dare la priorità alla fiducia.Non dovremmo pensare solamente al presente,ma soprattutto al futuro. In quanto credente, lafiducia ha il primato: innanzitutto non vogliodeludere coloro che per primi mi hanno datofiducia. Cerco di essere grato nonostante le dif-ficoltà. Perdere fiducia, deludere, questo davve-ro non mi piace!

- Ci sono problemi reali… e tu, come padre difamiglia cosa ne pensi?Difficoltà nella vita ne avremo sempre. Ma c'èuna bella differenza fra essere solo insegnante oanche educatore. Io cerco di essere entrambi evivo queste dimensioni sia con i bambini chemi vengono affidati sia con i miei colleghi,molti dei quali sono protestanti. Quando siforma un bambino, non si tratta solamente diriempire la sua piccola testa ma di pensaresoprattutto al suo sviluppo integrale: morale,spirituale e fisico. Abbiamo nel nostro pro-gramma mezz’ora di “éveil religieux” ossia risve-glio religioso. Partiamo dai racconti tradiziona-li che trasformiamo in lezioni di vita. Perché ilbuon cittadino non è solamente colui che saparlare ma che sa anche mettere in praticaquanto ha appreso, per fare progredire il

Approfondimentoop

amnovembre2010

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p. Jean Marius T. Zoumalde amico dell'OPAM a Bouarp. Jean Marius T. Zoumalde amico dell'OPAM a Bouar

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L’emarginazione si supera con l’istru-zione. Dopo i risultati della scuola agri-cola i Pigmei di Pelenge chiedono l’i-struzione per i propri figli: un grandepasso in avanti per l’autopromozione.

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opam

novembre2010

Sono l’Abbé Hubert Etambalako, Direttoredella Caritas della diocesi di Kole (nel KasaiOrientale). Il Progetto OPAM 1772/luglio 2009,per l’avvio di una scuola agricola per i Pigmei diPelenge, è stato un grosso successo! La lorosopravvivenza dipende tradizionalmente dallacaccia, dalla pesca e dalla raccolta dei prodottidella foresta. Oggi le risorse naturali sono semprepiù scarse e i Pigmei sono in difficoltà per trovareil necessario per vivere. Viceversa l’agricolturanella nostra regione è diventata la più importantefonte di reddito per la popolazione Bantù che virisiede. Sempre più spesso accade che i Pigmei, incerca di cibo, si approprino dei prodotti dei campialtrui e questo non fa altro che aumentare la con-dizione di emarginazione di questo popolo.Occorre far crescere in questi piccoli uomini l’a-more per il lavoro della terra che li renda autosuf-ficienti e aiutarli ad integrarsi con la popolazionestanziale. Abbiamo perciò selezionato le famigliepiù motivate ad apprendere l’agricoltura e speri-mentare il semi-nomadismo. Sono stati quindidistribuiti loro degli appezzamenti di terra. Gliagronomi nel frattempo avevano preparato deiterreni-scuola per le dimostrazioni pratiche su:scelta del terreno, disboscamento, preparazionedel terreno, concimazione, semina e incenerimen-to. Terminati i corsi, ciascuna famiglia ha comin-ciato a coltivare il proprio campo, ricevendo dellesementi e un kit di attrezzi: un machete, unazappa, un’ascia, una vanga. Ogni fase del proget-to è stata accompagnata da un’azione di coscien-tizzazione su quanto si stava facendo.Delle 600 famiglie coinvolte, 60 hanno abbando-nato la formazione: solo il 10% e ne siamo soddi-sfatti perché non è facile educare questo popoloabituato ad uno stile di vita tanto diverso. Le fami-glie partecipanti hanno mostrato cambiamentiprogressivi nel modo di vivere. L’80% sono diven-tate semi-sedentarie; hanno cominciato a costrui-re delle case al posto dei tradizionali rifugi di for-tuna di foglie e rami; i pasti sono passati da uno adue al giorno. L’impiego di Pigmei istruiti per con-tinuare la formazione di altre famiglie è garanzia

di auto sostenibilità del progetto stesso. Ma ciò che è meraviglioso è che il progetto hafavorito la scolarizzazione dei bambini: il 40% deifigli di queste famiglie infatti sono stati inseritinella scuola in regime di convitto mentre i pro-dotti agricoli dei terreni-scuola sono stati utilizza-ti per garantire in parte il cibo. Ora la nostra prio-rità è favorire l’inserimento di quanti più bambiniPigmei è possibile nelle due scuole primarie dellazona situate a Pelenge e a Baeya. Sorte a partiredal 1980 queste due scuole hanno alfabetizzato1.682 alunni. Attualmente oltre 300 alunni fre-quentano la scuola elementare, 16 vanno allasecondaria, 8 hanno ottenuto un diploma di Statoe 1 frequenta gli studi superiori di pedagogia. Lanostra difficoltà più grande è provvedere alla for-mazione e al salario degli insegnanti, alla fornitu-ra delle attrezzature e del materiale didatticonecessari per il buon funzionamento del convitto.Nel ringraziarvi per il grande aiuto che ci avetedato vi chiediamo di sostenere ora questo nuovoprogetto per lo sviluppo dei Pigmei della diocesi.

R. D. CONGOProgetto 1841

Prog. 1841

corso di formazione per 26 maestri 1.560 €stipendio a 26 maestri e 2 direttori 2.960 €forniture scolastiche per 300 alunni 1.500 €attrezzature, cibo e trasporti 3.800 €apporto locale -2.120 €

Contributo richiesto 7.700 €

300 bambini Pigmei chiedono di andare a scuola

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Chi scrive è Fratel AmbroseSsekayungo, preside della scuolaelementare rurale del villaggio diNamugongo, a 15 km. da Kampala.La Namugongo Boys’ Primary Schoolè una scuola cattolica gestita daiFratelli Bannakaroli. Fu fondata nel1920 con l’obiettivo di sradicare l’a-nalfabetismo e instillare valori morali nei giova-ni per farne degni membri della Società. Lecomunità contadine di Namugongo di queltempo, che non potevano sostenere le spese permandare i figli nelle costose scuole dei dintorni,si mobilitarono per costruire la loro scuola.Dopo un modesto inizio con solo 100 scolari, unedificio senza alloggio per gli insegnanti, i geni-tori si sono impegnati duramente per mante-nerla in vita. Namugongo è un luogo noto peril martirio di S. Carlo Lwanga e i suoi 21 compa-gni che insieme a qualche decina di giovanianglicani furono trucidati tra il 1885 e il 1886per ordine del re Mwanga. La scuola sorge pro-prio dietro al Santuario dedicato ai martiriugandesi.Nonostante sia sempre stata trascurata dalleautorità governative, oggi, grazie al forte impe-gno della Congregazione dei FratelliBannakaroli che negli anni ’80 ne assunsero lagestione, la scuola è frequentata da 880 stu-denti, di cui quasi la metà bambine. Con pienasoddisfazione dei genitori e della popolazione èuna delle migliori scuole della zona accessibili atutti.I suoi programmi sono quelli del piano univer-sale di istruzione (U.P.E.), con una grande atten-zione all'educazione globale dei bambini.E' costituita da due blocchi di aule (con setteaule) ed una foresteria che può ospitare peròsolamente 3 dei 15 insegnanti impiegati; glialtri 12 sono costretti a cercare alloggio in affit-

Prog. 1842

materiale e manodopera 6.200 €apporto locale - 1.015 €

Contributo richiesto 5.185 €

MESSICO proget to 1724Progetto 1842 UGANDA

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opam

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to nelle vicinanze, a prezzi molto elevati per iloro magri stipendi. Quello che riteniamo unproblema chiave è proprio la mancanza dialloggi per i maestri. Garantire un alloggio èquindi molto importante per la qualità e la con-tinuità dell'insegnamento. Inoltre la presenzadell'insegnante oltre l'orario della lezioni costi-tuisce una presenza educativa importante pertutti i giovani della zona e per l’intera comu-nità.Poiché i finanziamenti governativi sono inade-guati e non è possibile chiedere ulteriori sacrifi-ci economici a genitori appartenenti ad unacomunità contadina già molto povera, l’unicasoluzione è il ricorso a sostenitori esterni.Il progetto sarà realizzato su un terreno di 4 acridi proprietà della scuola. Un comitato tecnicodesignato dalla Direzione scolastica ne control-lerà l’esecuzione, la corretta gestione dei fondie redigerà rapporti periodici di stato di avanza-mento dei lavori. I genitori contribuiranno for-nendo sabbia e pietre per la costruzione. Grazieper quanto ci permetterete di realizzare.

Costruzione di una foresteria per gli insegnanti

Per il buon funzionamento diuna scuola occorre che gliinsegnanti possano raggiun-gerla facilmente. Una foreste-ria è garanzia di continuitàdidattica e di una presenzaeducativa importante per lacomunità intera.

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Una scuola serale per i piccoli Dalit dellearee rurali: è l'idea della diocesi diChingleput per i bambini che altrimentinon avrebbero nessuna possibilità diricevere un'istruzione di qualità e spez-zare le catene dell'ignoranza che li ten-gono schiavi di un destino inesorabile.

La diocesi di Chingleput comprende i villaggipiù poveri e sottosviluppati del distretto diKancheepuram, nello stato indiano del TamilNadu. E' una diocesi vasta con 81 grandi par-rocchie servite da 120 preti fra religiosi e dioce-sani, i quali oltre a svolgere il proprio ministerodevono venire incontro ai bisogni di una popo-lazione molto povera. Oltre alle 81 parrocchieve ne sono altre 39 in aree rurali isolate la cuipopolazione è costituita quasi esclusivamenteda contadini Dalit o fuori casta. L'intero nucleofamiliare è costretto a lavorare duramente neicampi per racimolare le poche rupie appenasufficienti per non morire di fame. Sono pochi ibambini che vanno a scuola e anche quei pochiimparano poco o niente perché vanno a scuolaquando possono e comunque nel pomeriggiosono impegnati nei lavori dei campi e nessunodi loro studia e fa i compiti. Di solito abbando-nano la scuola molto presto, quasi sempre dopoaver frequentato senza frutto per due anni lastessa classe. La scuola è considerata un lussoperché i genitori analfabeti non ne comprendo-no l'importanza. Infatti il sistema delle caste,facendo leva proprio sull’ignoranza, nega loroqualsiasi speranza di un futuro diverso. A ciò vaaggiunto che non avendo neppure il minimoper vivere, le famiglie non possono sostenere lespese per mandare a scuola i propri figli (iscri-zione, divise, libri, materiale didattico, tasse d'e-same).Anche quelli che frequentano la scuola, neituguri in cui abitano non hanno le condizioniadatte per studiare. Le famiglie, spesso moltonumerose, vivono in un unico ambiente: lì simangia, si dorme, si cucina, si ride, si piange, silitiga.... Appena scende la notte c'è solamentela luce di una candela a rischiarare il buio.Impossibile trovare la serenità e il silenzionecessario per mettersi a studiare. Quando aquesta promiscuità si aggiungono problemi dialcolismo dei padri e di violenza domestica...

INDIAProgetto 1843

Prog. 1843

costo di 146 sc. serali per 1 anno 14.129 € contributo locale - 2.839 €

Contributo richiesto 11.290 €

questi tuguri diventano dei veri inferni."Ma noi sappiamo -scrive Padre Charles P.responsabile dei progetti di sviluppo della dio-cesi- che l'istruzione rappresenta l'unica possibi-lità per uscire dalle condizioni di miseria e schia-vitù in cui vive la nostra gente".Per far fronte a questa situazione la diocesi haistituito in ogni parrocchia rurale una o piùscuole serali, per dare la possibilità ai bambini eai giovani di ricevere gratuitamente un'istruzio-ne. Il numero di queste scuole varia a secondadell'estensione del territorio parrocchiale. Intutto gestiamo 146 scuole serali frequentate dacirca 5.100 bambini di 21 centri rurali.Qui si fa un prezioso lavoro, innanzitutto moti-vazionale, cercando di donare ai bambini ilgusto di apprendere e poi si cerca di personaliz-zare i percorsi formativi sulla base del vissuto edelle carenze e capacità di ogni bambino.Ricevere un aiuto ci permette di migliorare lecondizioni in cui i corsi si svolgono. Infatti inalcuni centri non c'è la possibilità di affittareun’aula e separare le classi perché non ci sono lerisorse sufficienti a pagare più stipendi per gliinsegnanti.Ci rivolgiamo a voi, certi che comprenderetel'importanza di questa iniziativa. Senza il vostrosostegno anche questa speranza rischia di spe-gnersi nella vita dei piccoli Dalit.

Una scuola serale per i bimbi di Chingleput

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Cari amici vi scrivo nel nome del Signore per farviquesta richiesta e spero di trovare nella vostrarisposta il segno della Sua infinita provvidenza,che mai dimentica chi è in difficoltà.Sono P. Joanes Rweyemamu, parroco dellaparrocchia di Rutabo, una delle prime della dio-cesi di Bukoba. La nostra parrocchia si estende suun territorio molto vasto, dalle rive occidentali dellago Vittoria all'altopiano di Kamachumu, 53 kma sud di Bukoba. Spinta dal desiderio di aiutare igiovani a trovare una strada per il proprio futuro,la parrocchia ha fondato una scuola primaria, laSt. Joseph English Medium Primary School. L'economia della zona è in forte crisi. La produ-zione di caffè che rappresentava una delle princi-pali fonti di reddito ha visto negli ultimi anni unaprogressiva diminuzione della domanda. Anche iltentativo di avviare la produzione di banane èstata fallimentare a causa di una parassitosi che hacolpito gli alberi. Inoltre tutta l'attività agricola èmessa in crisi dalla mancanza di manodopera gio-vane, a causa della forte pandemia di HIV che staprivando il Paese delle sue forze migliori e lasciaun esercito di orfani a carico di parenti e amici, iquali si trovano in enorme difficoltà a sfamaretante bocche se si pensa che il reddito annualemedio è di 97,5 $, il più basso di tutta la Tanzania.L'unico rimedio per sconfiggere la povertà e favo-rire lo sviluppo resta l'istruzione. Nella nostrascuola cerchiamo di garantire un'istruzione diqualità grazie all'impegno di insegnanti formati econsapevoli dell'importanza del proprio compitodi dare ai ragazzi un'educazione globale.La scuola prevede l'inserimento dei bambini dai 5anni di età con un anno di pre-elementare e assi-cura l'intero arco dei 7 anni di scuola primaria. Perl'iscrizione la priorità è data agli orfani e ai bam-bini delle famiglie più povere che sono esentatedal pagamento delle tasse e dell’alloggio. Infattialla nostra scuola giungono bambini dai distretti

MESSICO proget to 1724Progetto 1844

Una scuola nata e cresciuta con ilsacrificio delle famiglie accoglie 500bambini di diversi villaggi. Alcuni chevengono da lontano per frequentarladevono dormire nei locali della par-rocchia e tornare a casa solamentenel fine settimana. Nell'attesa di potercostruire un ostello è urgente garanti-re una mensa.

Una mensa scolastica nella scuola

TANZANIA

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opam

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Prog. 1844

intonacatura 3.500 €tinteggiatura e rifiniture 1.500 €

Contributo richiesto 5.000 €

di Muleba, Bukoba, Karange, Biharamulo eNgara. Molti, viste le distanze, vengono ospitatiper dormire in una sala presa in affitto.La scuola dura 9 mesi divisi in tre trimestri, ognu-no intervallato da un mese di vacanza. Il numerodelle iscrizioni cresce di anno in anno.Attualmente è frequentata da 500 bambini.Siamo riusciti nel tempo a costruire 6 aule, con 6latrine e l'ufficio del direttore. Ma non siamo riu-sciti ad andare oltre e anche queste strutture sonoinsufficienti. Per garantire l'alloggio ai piccoli chearrivano da lontano utilizziamo una sala parroc-chiale adibita a dormitorio. Le priorità a questopunto erano quelle di costruire un ostello con:refettorio, dormitorio, biblioteca, bagni e unacisterna per la raccolta di acqua piovana. Abbiamodeciso di iniziare dal refettorio con annessa cucina(pareti in mattoni e copertura in lamiera) perché èimportantissimo garantire il vitto a tutti i bambiniche frequentano la scuola. Per ora usiamo unastruttura metallica che si surriscalda e pare più unforno che un refettorio. Abbiamo iniziato la strut-tura grazie all'aiuto della gente e della diocesi maper completarla abbiamo bisogno del vostrosostegno: va infatti ancora intonacata, dipinta erifinita. I nostri 500 bambini vi dicono Grazie!

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Il villaggio di Yamagwa si trova a 14 km dallacittà di Bumba, nella diocesi di Lisala (Provinciadell’Equateur). Le condizioni sociali, economiche, educative esanitarie della popolazione sono deplorevoli. Leinfrastrutture pubbliche come ospedali, scuole,strade... si trovano in uno stato di decomposizioneavanzata. La popolazione vive di agricoltura disussistenza facendo ricorso a tecniche tradizionalifaticose e poco efficaci. D’altro canto la difficoltàdi commercializzare i prodotti, a causa dello statopietoso delle strade, non spinge neppure la gentea produrre di più. La povertà è diffusa e moltogrande.Le diverse crisi che il Congo ha conosciuto e chepersistono tuttora hanno fra l'altro portato ad unprogressivo e inarrestabile abbassamento del livel-lo di istruzione, sia perché le infrastrutture, moltedelle quali risalenti all'inizio della presenza missio-naria sono state distrutte dalle guerre e daltempo, sia perché l'assenza quasi totale delloStato nella gestione delle scuole rende le famiglieuniche sostenitrici dei costi per il loro funziona-mento.A Yamagwa i genitori per garantire lo studio aipropri figli si danno da fare per costruire ognianno una capanna di rami e paglia in cui si possafare lezione. Ma siamo in clima equatoriale per cuialla fine dell'anno scolastico, e molto spesso ancheprima, della "scuola" non rimane che qualchebrandello.Quelle famiglie che desiderano una scuola miglio-re per i propri figli devono mandarli a Bumbacostringendoli a percorrere 14 km per andare e 14per tornare ogni giorno. Accade così che i bambi-ni più piccoli difficilmente vengono iscritti a scuo-la e cominciano a frequentarla quando hannoormai 9-10 anni, in grado di affrontare la fatica ei pericoli della strada.Quelli che si iscrivono nella scuola di “paglia” inve-ce l'abbandonano alle prime piogge e riprendonoil cammino nella foresta... per cui l'analfabetismo

della popolazione continua ad aumentare.Il Vescovo di Lolo, Mons. Ferdinand MaembaLiwoke, oriundo di questa zona, ha nel cuore ildesiderio di promuovere l'educazione e l'istruzio-ne e sconfiggere l'analfabetismo che affligge lagioventù di Yamagwa. "In questo villaggio -ci scri-ve- sono nato, qui io ho iniziato i miei studi pri-mari, grazie all'aiuto dei missionari." Qui vuolecostruire una scuola primaria in muratura e chiedeil nostro aiuto. La scuola secondo il progettodovrebbe avere 6 aule, dotata di servizi igienici, diuna sala per gli insegnanti e un ufficio per il diret-tore. Una scuola “normale”, invece di una scuola“biodegradabile” che si scioglie ogni anno, per-metterebbe a questi bambini di avere una vita“normale” come dovrebbe essere quella di ognibambino del mondo e non una vita che rischia di"far acqua" e crollare alle prime difficoltà. Siamocerti che la generosità degli amici dell'OPAM per-metterà all'infanzia di Yamagwa di iniziare oriprendere a frequentare la scuola e di ricevereoltre all'istruzione anche un’educazione globale euna formazione cristiana. La comunità locale con-tribuirà con i mattoni, la sabbia, la ghiaia, lamanodopera e sostenendo i costi del trasporto delmateriale da costruzione richiesto: lamiere per iltetto, travi, cemento.

R. D. CONGOProgetto 1845

Prog. 1845

costo del progetto 21.450 €partecipazione locale - 4.350 €

Contributo richiesto 17.100 €

Una scuola in muratura, invece di unacapanna di fango e rami che si scioglieogni anno, permetterebbe ai bambini diYamagwa una vita normale comedovrebbe essere quella di ogni bambi-no del mondo e non una vita che rischiadi crollare alle prime difficoltà.

Una scuola di mattoni per Yamagwa

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L a storia inizia molto tempo fa, alla fine deglianni ‘80. Siamo in Sud-Sudan e una famigliaviene, come tante altre, sconvolta dalla guer-

ra. La famiglia Naoya in un attimo perde tutte le suecertezze. La figlia maggiore Sabina viene uccisalasciando 6 bambini orfani. I genitori riescono a ripa-rare in Kenya, nel campo profughi di Kakuma, con inipotini. Irene invece, la figlia minore che stava stu-diando a Roma grazie ad una borsa di studio, nonpuò rientrare nella sua terra e deve cercare di soprav-vivere in Italia. Ma il suo cuore è là, con i suoi cari,con la sua gente in esilio. Cosa sarà di loro, dei bam-bini soprattutto? Con le poche risorse che ha e conl’aiuto di qualche persona amica, prende in affittouna casa a Kalimoni, una zona rurale a 60 km daNairobi in Kenya, dove trasferisce i nipotini affidan-doli alle cure di un’altra sua nipote rimasta incintadopo essere stata violentata dai guerriglieri. Ma moltialtri sono i bambini e i ragazzi sudanesi che hannoperso tutto e che bussano alla sua porta. Irene non sadire di no… Trova alcune famiglie disposte a pren-dersi cura dei bambini orfani e della casa-famiglia.

Ormai la sua vita è votata a questo scopo:salvare quanti più bambini può e prepa-rarli a tornare nella loro terra, se e quan-do le condizioni lo permetteranno. Sisobbarca in Italia a un duro lavoro perguadagnare quanto serve per il manteni-mento della casa di Kalimoni e per lespese della scuola: perché il sogno diIrene è che tutti i bambini frequentino lascuola. Si risparmia piuttosto sul cibo,ma non sull’istruzione.In breve tempo i bambini accolti supera-no il centinaio. Aumentano le spese edIrene non ce la fa più. A questo punto,nel 1995, avviene una sorta di miracolo:Irene viene all’OPAM, ci parla dei “suoi”bambini. Portiamo a conoscenza sul gior-nale la sua storia: tante persone di buonavolontà accolgono il nostro appello asostenere i bambini di Kalimoni median-te le adozioni a distanza. Grazie alla loro

generosità il progetto di Irene è salvo. Tra i tanti che bussano alla porta della casa-famigliaarriva un giorno un gruppo di 23 bambini e ragazzi,che sono riusciti a fuggire dalla loro terribile condi-zione di bambini soldato. Nove di loro sono i prota-gonisti della nostra storia. Ma occorre fare un passoindietro, per inquadrare il drammatico problema deibambini soldato. Le regioni meridionali del Sudansono state per anni teatro di sanguinose guerre civiliper l’indipendenza del Sud-Sudan: la prima (1955-1972) animata dal movimento Anya Nya, la seconda(1983-2005) dall’Esercito Popolare di Liberazionedel Sudan (SPLA). Gli uomini della SPLA (SudanPeople’s Liberation Army) inizialmente furono accol-ti dalla popolazione con entusiasmo, come dei libera-tori. Ma ben presto la gente si dovette ricredere difronte alla loro prepotenza e alle violenze commesse.La guerra divora gli uomini. C’è bisogno di forze fre-sche, a buon mercato. Nella cittadina di Chukudumi militari prendono tantissimi bambini e ragazzi, pro-mettendo di portarli a studiare in Etiopia. In realtà liportavano in Etiopia per addestrarli alla vita militare:

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Speciale adozioni

Dal kalashnikov alla penna: il riscatto di una vitaForgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci (Isaia 2,4)

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il loro destino sarebbe stato quello di bambini solda-to.Il viaggio verso l’Etiopia dura quasi quattro mesi,quattro mesi di marce per coprire 1.500 km. a piediattraverso la savana, guadando fiumi, affrontando ilpericolo degli animali feroci e degli uomini. Parecchibambini muoiono durante il percorso: per il colera,la malaria, la febbre gialla, la fame, i combattimen-ti… Arrivati in Etiopia tutti i ragazzi dovrebberoessere smistati nei campi profughi ma la SPLA, elu-dendo il controllo della Croce Rossa Internazionale edelle Nazioni Unite, ne avvia molti nei campi diaddestramento militare in zone molto remote. Qui lavita è difficilissima, molti bambini raccontano difatiche inaudite, di terrore, di umiliazioni, di abusidi ogni genere.Dopo cinque anni di questa vita, in Etiopia c’è uncolpo di stato: la SPLA e tutti i Sudanesi sono cac-ciati. Inizia così il viaggio di ritorno verso il Sudan,viaggio ancor più difficile: vengono bombardati dal-l’esercito governativo sudanese e molti di loro soc-combono. Giunti nei pressi dei loro villaggi di origi-ne, con l’aiuto di alcuni soldati un gruppetto di 23ragazzi riesce a scappare e trova rifugio nel campoprofughi di Kakuma in Kenya. Da qui vengono affi-dati, grazie all’intervento di persone amiche, allecure della casa-famiglia di Kalimoni. “Non è stato facile reinserire questi ragazzi ad una vitanormale, ci racconta Irene al suo rientro dal Kenyadove ogni anno va per seguire il suo progetto. Eranoarrivati pieni di rabbia, alcuni di loro, partiti piccolis-simi, tornavano grandicelli avendo visto e praticato soloviolenza. Con la scuola erano tutti in ritardo, ma sonostati tutti aiutati con l’inserimento in scuole privatedove venivano curate soprattutto le ferite psicologicheche li bloccavano. All’inizio avevano serie difficoltà diapprendimento, tanti erano i traumi da metabolizzare;avevano bisogno di pace e di amore. Pian piano la scuo-la e la Casa Famiglia diventarono i loro luoghi sicuri”. Nove di loro, che mostravano particolari capacitàscolastiche, furono avviati agli studi superiori grazieall’aiuto triennale della sezione OPAM di Orbetello.Sono riusciti a conseguire un diploma ed oggi tuttihanno trovato un lavoro in Sud-Sudan. Sono loro,che vorrei chiamare per riconoscenza verso i lorobenefattori “I ragazzi di Orbetello”, i protagonisti diquesta storia. Per ovvi motivi di privacy li indicheròcon iniziali di comodo.A. : era orfano di padre quando fu preso dai soldatidella SPLA. Lo avevano convinto che la guerra civilefosse giusta, combattuta per ribellarsi al governo

sudanese che voleva tutti i sud-sudanesi analfabeti:voleva vincere per andare a scuola. Oggi è riuscito avincere la sua guerra all’ignoranza e lavora comeimpiegato.B. : suo padre fu ucciso durante un conflitto tra lasua tribù e la SPLA. Per lui la guerra è un fatto nor-male, l’ha vissuta da sempre; combattere era un dove-re indiscutibile. Oggi è cambiato il corso della suastoria: si è diplomato ed è insegnante di scuola ele-mentare.C. : anch’egli, privato del padre ucciso in un conflit-to tribale, fu costretto a diventare soldato SPLA dabambino: aveva 9 anni. Era magro, veloce, coraggio-so, un ottimo elemento per la guerriglia. Oggi è unottimo insegnante. D. : è l'unica donna di questo gruppo. Orfana dimadre, fu rapita dai soldati della SPLA ancora bam-bina, fu abusata, ha vissuto a lungo in un campo pro-fughi in Etiopia. Oggi cerca di dimenticare il suo pas-sato grazie anche ad un buon impiego lavorativo. E. : la madre fu uccisa in un attacco dei soldati gover-nativi. Condanna la condotta della SPLA che gli harubato l’infanzia, ma anche coloro che gli hannoucciso la mamma. Ricorda il viaggio verso l’Etiopiacome un periodo lunghissimo e terribile della suavita: ricorda che per segnalare i punti strategici perorientarsi nel cammino usavano le ossa dei loro amicimorti. Oggi, grazie agli studi, è riuscito ad inserirsinel mondo del lavoro. F. : orfano di padre, è stato gravemente ferito dalloscoppio di una bomba. Rimessosi, oggi ricopre unruolo importante nel campo della scuola. G. : è stato prelevato da casa, dove viveva con lanonna, dalle milizie della SPLA. Ricorda la vita pas-sata nei campi di addestramento come una vita disu-

Speciale adozioni

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mana, l’addestramento era massacrante per la sua gio-vane età. Oggi è un pubblico impiegato.H. : non avendo i genitori è stato facile preda dei sol-dati della SPLA. Ricorda che gli era stato comandato

di uccidere i feriti anche se chiedevano solo un po’d’acqua. Oggi ha un buon lavoro.I. : orfano di entrambi i genitori sin da bambino. Iricordi di quel periodo ancora oggi lo tormentano. Siè diplomato e si dedica con passione ad aiutare chi sitrova ad affrontare le sue stesse difficoltà. Questi sono solo accenni di storie terribili, storie dibambini sfortunati, ma che nella loro sfortuna hannoincontrato persone che li hanno aiutati, che sonodiventate ancore di salvezza a cui aggrapparsi, inprimo luogo Irene, col suo cuore grande e la sua fidu-cia nella Provvidenza davvero smisurata. Ma anchepersone per loro sconosciute, come voi benefattoridell’OPAM, ma capaci di amore. Grazie a voi hannopotuto studiare e cercare di recuperare una parte divita che era stata loro rubata. Pur non dimenticandoil loro terribile passato, ora possono sperare in unavita degna di un essere umano e rendersi utili per chiè in difficoltà.Non per tutti infatti la storia è stata a lieto fine. Sonomigliaia i bambini soldato uccisi o mutilati, migliaiaquelli che in tanti modi si lasciano morire per sfuggi-re agli incubi della violenza subita e fatta, migliaiaquelli che ancora combattono guerre di cui nessunoha interesse a parlare per coprire con complici silenzinefandezze di ogni genere. Bambini di ieri e purtrop-po di oggi. Se è vero che nella sola Africa ci sono tut-tora 120.000 bambini soldato.

Letizia Custureri

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Speciale adozioni

AVVISO IMPORTANTE

Si avvertono i benefattori che, a partire dal 1° novembre 2010,

sono cambiate le coordinate del nostro conto corrente bancario UniCredit.

Il nuovo codice IBAN è:IT 50 A 02008 05207 000401385075

Il nuovo codice internazionale BIC SWIFT è:UNCRITM1708

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Tremedal, Brasile:alfabetizzazione e educazione alla salute per 300 famiglie

C ari benefattori e amici dell’OPAM, grazie alvostro aiuto il progetto “Educazione alla salutenelle aree rurali” di Tremedal (Prog.1729/

dicembre 2008) della durata di 2 anni è terminato nelsettembre 2010. Abbiamo coinvolto circa 300 famiglie di 4 fra i villaggipiù poveri ed abbandonati di un’area situata in un terri-torio semidesertico nel Nord Est del Brasile. Meno didue dollari è il reddito medio giornaliero pro-capite,40% la percentuale di analfabeti adulti, molti dei qualiaffetti da alcolismo. Mancano le strade, l’acqua, l’ener-gia elettrica. Oltre metà delle famiglie sono prive di ser-vizi igienici: ci si lava nelle tinozze di acqua verdognolaportata a casa a dorso di asinelli e si provvede alle neces-sità personali nel boschetto vicino. L’area è definita “ilpoligono della siccità”, perché a sei mesi di piogge suc-cedono sei mesi di siccità assoluta, che distrugge i rac-colti ed obbliga molti ad emigrare.Per combattere l’analfabetismo e le malattie che ne deri-vano si è proceduto per fasi successive: ognuna dellefamiglie coinvolte è stata visitata per censirla e verificar-ne la situazione igienico-sanitaria; i risultati sono statiquindi discussi con i responsabili municipali dell’assi-stenza sociale; contemporaneamente si è realizzato unprimo corso trimestrale di alfabetizzazione per adulti;nel villaggio di Agreste si è ristrutturata una sala da uti-lizzarsi per scuola di formazione e cappella, con serviziigienici, realizzando anche una cucina comunitaria; in

essa si sono tenuti gli incontri formativi su medicinapreventiva, educazione dei figli, diritti e doveri degliindividui: sei incontri a scadenza quindicinale con dina-miche di coinvolgimento e test valutativi diretti preva-lentemente alle madri (in base al principio che “chieduca una donna educa una famiglia”) che si sonoassunte l’impegno di diventare formatrici trasmettendoquanto appreso alle rispettive comunità. A questo puntol’équipe responsabile della conduzione del Progetto hanuovamente visitato durante il giorno ognuna delle 300famiglie per verificare e consolidare il lavoro delledonne-formatrici, mentre alla sera si è completato ilcorso di alfabetizzazione iniziato l’anno precedente; infi-ne da luglio a settembre 2010 si sono tenuti altri seiincontri formativi sulla prevenzione delle malattie infet-tive e parassitarie, sull’igiene della persona e della casa, esu nozioni basilari di pronto soccorso.Sebbene nel preventivo non avessimo tenuto conto deicosti di manutenzione dei mezzi di trasporto (un’auto

ed una moto con cui abbiamo percorso centinaiadi chilometri su strade terribili) e benché la svalu-tazione subita dall’Euro rispetto al Reale ne abbiaridotto il potere d’acquisto, abbiamo anche realiz-zato un muro di recinzione che non era stato pre-visto della scuola-cappella, così da impedire chevenisse danneggiata. Ciò è stato possibile per labuona volontà di tante persone che hanno offertola manodopera e dei relatori, che sono intervenutigratuitamente agli incontri formativi. Con il vostro contributo abbiamo dunque rea-lizzato una piccola struttura, utile anche neiprossimi anni, abbiamo raggiunto villaggi lonta-ni ed offerto una formazione essenziale a 300famiglie. Che Dio benedica chi ha reso possibiletutto questo.

Don Gabriele Fantinati(Prete diocesano Fidei donum)

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Filo diretto

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L’esempio trascina

C ara OPAM, sono andata inpensione a settembre, dopo 35anni di “onorato servizio”

come maestra elementare. Nel mioamato e bellissimo lavoro ho cercatonon solo di insegnare “a leggere, a scri-vere e a far di conto” (come si dicevauna volta), ma anche ad amare Gesù,Maria, l’Italia e il nostro prossimo, cer-cando soprattutto di far crescere i mieialunni buoni e onesti cittadini con l’e-sempio, cosa che vogliono i nostri gio-vani.Ricordandomi sempre di ciò che dice-va il nostro caro e santo Don Carlo:“Insegnagli a pescare”, è stato per me,maestra, “obbligatorio” aiutare altrimaestri; per cui il regalo del pensionamento da partedelle colleghe ho voluto che fosse destinato alProgetto 1803, stipendio a due insegnanti africani perun anno, sicura che ne verrà un gran bene per tanti(anche per me e famiglia, perché “il Signore premiachi dona con gioia” ed io l’ha fatto con tanto amore etanta gioia). Se volete, pubblicate la mia lettera, anche riducendo-la, perché come diceva il caro S. Giovanni Bosco:“Fate il bene e fatelo sapere”… e questo semplice-mente per invitare a imitare i buoni esempi e non icattivi, che ci propinano in tanti!Vi saluto tutti con affetto e stima, sempre al vostrofianco, anche se da lontano.N.B. Se pubblicate, mettete solo le iniziali: non sonoin cerca di pubblicità!

V. F.Questa lettera, dal sapore d’altri tempi, fa bene al cuoreperché ci rivela la bontà nascosta che c’è in tante perso-ne, che non si accontentano di insegnare, ma praticanociò che insegnano. Grazie, cara “Signora Maestra”(comechiamavamo un tempo le nostre insegnanti elementari)perché a tante insegnanti come Lei siamo debitori, oltreche dei primi rudimenti del sapere, anche di tanti semidi bontà e di fratellanza che con fiducia avete seminatonei nostri cuori. A.M.

OPAM in blues a Milano

S abato 23 ottobre scorso gli amici dell'OPAMdi Milano hanno organizzato, presso “La casadi ALEX", un circolo della zona Niguarda di

Milano, una serata musicale con brani blues, soul e

rock 'n' roll. Lo scopo: una raccolta di fondi per soste-nere l'impegno dell'OPAM nel campo dell'alfabetiz-zazione, ma soprattutto far conoscere l'Associazione anuovi amici. Per questo Don Aldo è stato presente allaserata. Ci ha illustrato le attività dell’OPAM e ci haparlato dei problemi del Sud del mondo aiutandoci adallargare le nostre prospettive e stimolandoci ad un’a-zione non pietistica ma di vera e fraterna condivisio-ne con i tanti poveri e discriminati della terra.I gruppi che hanno suonato e il pubblico hannodimostrato entusiasmo e generosità. Le comprensibiliassenze, per l'ora tarda, di molti amici che l'OPAM hagià qui a Milano sono così state ben compensate dachi è intervenuto. C'è stata una notevole attenzionedei presenti alle finalità dell'associazione e una piace-vole disponibilità, da parte dei due gruppi che si sonoesibiti, i "Monday Blues" e gli “Acustic Trip & Thetime Machin”, e del comitato de "La casa di ALEX"rappresentato da Roberto Medolago, a replicare gra-tuitamente l'evento anche in futuro. Chissà: forsepotrebbero nascere nuovi gruppi di amici dell'OPAMa Milano.Noi siamo nati dall'incontro di Fausto Perotti, exdipendente di ALER Milano, con il fondatoredell’OPAM don Carlo Muratore. Grazie alle doti dipazienza e persuasione tipiche di Fausto, alla sua capa-cità di tessere relazioni di amicizia, sono stati coinvol-ti diversi colleghi (ad oggi circa 200). Quest'opera disensibilizzazione e di conoscenza sta continuando e,da un paio di anni, tentiamo di diffondere anche adaltri cittadini di Milano l'interesse verso l' OPAM. Cela mettiamo tutta, col coer in man! Ciao a tutti gli amici dell'OPAM.

Sonia Zincarelli (Gruppo ALER Milano)

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Tam tam 2010

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Grazie, cari amici di Milano, per la piacevole serata checi avete offerto. Oltre alla bella musica che ci avete rega-lato, alla passione di tutti i componenti dei due gruppi edi Roberta Cremona, la splendida “voce” dei “Mondayblues”, mi ha colpito il clima di simpatia e il caloredimostrato a me e alla causa dell’OPAM. Desidero anco-ra ringraziarvi uno ad uno, in particolare il direttivo de“La casa di Alex che ha generosamente ospitato l’eventoe quanti hanno contribuito in vario modo al successodella serata. A.M.

I Quattro Beniamino

L e favole fanno volare. Se non si vola si rischiadi razzolare… E razzolare non è un bel vivere!Silvia Nadalini ci aiuta in questa nostra

umana avventura. Affascinata da questo tipo dicomunicazione, dopo “Il Baobab”, la sua prima fiabapubblicata nel 2007, dà ora alla luce “I 4 Beniamino”,un viaggio nella terra dei sogni, a cui si approda sol-cando i mari e attraversando deserti sconfinati,seguendo un filo ideale che ci porta a scoprire il teso-ro nascosto. Silvia non ci vuol portare fuori dellarealtà, ma introdurre nel suo cuore pulsante, perché lefavole devono volar via e vivere. Anche i libri che con-tengono le favole devono renderci migliori di quelloche siamo. Ed ecco che la favola è diventata un librodi 72 pagine, prendendo corpo attraverso una storiadi amicizia, integrazione e solidarietà, tra l’autrice e ilmondo della scuola. E’ infatti il prodotto di un pic-colo miracolo, perché nato dal coinvolgimento di

ragazzi diversamente abili dell’Istituto TecnicoCommerciale e Turistico di Porto Viro (Rovigo) e iloro compagni di classe, in un percorso didatticosapientemente guidato da insegnanti, vere educatrici,che hanno portato i ragazzi a diventare co-autori diquesto libro stimolante.Il tutto in una prospettiva di condivisione dei doniche ciascuno mette a disposizione degli altri con unfine di solidarietà. Perché il libro è offerto da Silviacome contributo suo e dei suoi amici di percorso, perrealizzare un progetto OPAM. Una fiaba che puòcompiere il miracolo di far volare e giungere lontanoil nostro cuore e il nostro aiuto, là dove altri ragazzi ei loro insegnanti attendono di poter anch’essi scriverele loro favole e farle volare fino a noi.Mi associo a quanto dice nella presentazione la Prof.Daniela Boscolo che ha curato la parte didattico spe-rimentale del libro: “Ringrazio Silvia per l’opportu-nità concessa ai miei studenti “speciali” di poter farequalcosa di utile per altrettanti bambini e ragazzi“speciali” nel mondo”. E con lei chi ha creduto e con-diviso il suo progetto, l’illustratore Marco La Cascia el’editore Paolo Spinello. A.M.

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Tanti modi per...

da sinistra: Prof. Maria Antonietta Marangoni, Editore Paoloda sinistra: Prof. Maria Antonietta Marangoni, Editore PaoloSpinello, Prof. Daniela Boscolo, Prof. Genny Ruzza, Alessandro,Spinello, Prof. Daniela Boscolo, Prof. Genny Ruzza, Alessandro,Cristian, Dott. Silvia Nadalini, Maura Veronese Assessessore allaCristian, Dott. Silvia Nadalini, Maura Veronese Assessessore allaCultura, Elisa Cappelli Presidente della Biblioteca di Porto ViroCultura, Elisa Cappelli Presidente della Biblioteca di Porto Virodurante la presentazione del libro nell'ambito della XIdurante la presentazione del libro nell'ambito della XIaa Festa delFesta delLibro del Comune di Porto ViroLibro del Comune di Porto Viro

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O.P.A.M. - Opera di Promozione dell’Alfabetizzazione nel Mondo - ONG-ONLUS. Mensile di informazione - Direttore Responsabile: MarioSgarbossa - Redazione: Alfredo Bona, Anna Maria Errera, M.Grazia De Strobel, Letizia Custureri, Aldo Martini - Autorizz. del Tribunale di Roma n. 14589 del 7-6-1972. Grafica: Stefano Carfora. Stampa: ABILGRAPH - Via Pietro Ottoboni, 11 - 00159 Roma, Tel. 06.4393933Finito di stampare nel mese di ottobre 2010 • Quota annuale 15 € - 23 CH.F.

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Foto Eric Miller/World Bank

Un viaggio nella terra dei sogni, a cui si approda solcando i mari e attraversando deserti sconfinati masoprattutto seguendo una mappa chesvela dov’è il tesoro nascosto:

"Beniamino aveva capito che l’amorenon si può trattenere, ma si può solodare … e che quando si dà e si condivide, l’amore si moltiplica”.

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