monogenesi lingue

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Luigi Della Rosa [email protected] RELATIVITY OF LINGUISTIC ISOLATION: THE ETRUSCAN CASE A. The Etruscan language is genetically nostratic, as we can easily see considering his grammar; B. in any case Etruscan is not Indo-European; C. we may ony think about a relative proximity to the Anatolian branch of Indo-European; D. Etruscan lexicon is in the main part non-Nostratic, because of the influence of non-Nostratic languages; E. these languages are Dené-Caucasian, Afro-Asiatic, and Old European (or Mediterranean, to use an older terminology). F. the simplicity of Etruscan grammar (as far as we can say to know it) and the manifold origin of his lexicon allow us to say (although it may seem a little laughable) that Etruscan was born as an ante litteram pidgin, to develop afterwards as a Creole. Descrivere qual è il nostro grado di conoscenza della lingua etrusca è tutto sommato abbastanza semplice. Le iscrizioni che sono state ritrovate, e che risalgono al periodo compreso tra il sec. VII a.C. e il I d.C. sono migliaia e migliaia (più di quelle in latino della stessa epoca). La maggior parte di esse però sono funerarie e per di più piuttosto brevi. Ciò significa che siamo ampiamente informati sull'onomastica, ma il numero delle normali voci lessicali che ci sono rimaste è veramente limitato. Di una parte di esse ci è noto il significato, come per svariati oggetti di uso comune, per lo più piatti, vasi ed altri contenitori, e peraltro tali vocaboli sono spesso mutuati, quali imprestiti culturali, dal greco. Di altre parole si è riusciti a determinare la sfera semantica, senza però ottenerne il significato preciso. Altre ancora rimangono tuttora senza traduzione. E comunque, quand'anche si riuscisse a tradurre perfettamente tutti i testi che

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Luigi Della Rosa [email protected]

RELATIVITY OF LINGUISTIC ISOLATION: THE ETRUSCAN CASEA. The Etruscan language is genetically nostratic, as we can easily see considering his grammar; B. in any case Etruscan is not Indo-European; C. we may ony think about a relative proximity to the Anatolian branch of Indo-European; D. Etruscan lexicon is in the main part non-Nostratic, because of the influence of non-Nostratic languages; E. these languages are Den-Caucasian, Afro-Asiatic, and Old European (or Mediterranean, to use an older terminology). F. the simplicity of Etruscan grammar (as far as we can say to know it) and the manifold origin of his lexicon allow us to say (although it may seem a little laughable) that Etruscan was born as an ante litteram pidgin, to develop afterwards as a Creole.

Descrivere qual il nostro grado di conoscenza della lingua etrusca tutto sommato abbastanza semplice. Le iscrizioni che sono state ritrovate, e che risalgono al periodo compreso tra il sec. VII a.C. e il I d.C. sono migliaia e migliaia (pi di quelle in latino della stessa epoca). La maggior parte di esse per sono funerarie e per di pi piuttosto brevi. Ci significa che siamo ampiamente informati sull'onomastica, ma il numero delle normali voci lessicali che ci sono rimaste veramente limitato. Di una parte di esse ci noto il significato, come per svariati oggetti di uso comune, per lo pi piatti, vasi ed altri contenitori, e peraltro tali vocaboli sono spesso mutuati, quali imprestiti culturali, dal greco. Di altre parole si riusciti a determinare la sfera semantica, senza per ottenerne il significato preciso. Altre ancora rimangono tuttora senza traduzione. E comunque, quand'anche si riuscisse a tradurre perfettamente tutti i testi che

si sono conservati, rimarrebbe ignota la maggior parte delle parole che in una qualsiasi lingua fanno parte del lessico base. In questo senso, possiamo ritenere che in realt l'Etrusco rimarr sempre una lingua fondamentalmente sconosciuta, in quanto appare irrealistico sperare in sensazionali ritrovamenti, in particolare di iscrizioni bilingui, che possano cambiare radicalmente l'attuale state of the art. La stessa Tabula Cortonensis e le Lamine di Pyrgi, tanto per ricordare ritrovamenti particolarmente importanti di questi ultimi decenni, hanno solo permesso, assieme ad altri minori, di migliorare le conoscenze precedenti, e di ottenere complessivamente dei risultati certamente non disprezzabili in s; ma non hanno potuto cambiare i termini della questione, cos come li abbiamo appena enunciati. In realt solo il possesso di testi di natura letteraria, e di sufficiente lunghezza, ci consentirebbe di avere dell'Etrusco qualcosa di pi di una conoscenza superficiale. Possiamo fare un esempio molto semplice. Supponiamo che il latino fosse una lingua perfettamente ignota. Basterebbe allora il ritrovamento di un ampio corpus, quale quello formato dagli scritti di Cicerone, tra lettere, opere politiche, filosofiche ed orazioni, per permetterci una ampia e soddisfacente decifrazione. Se poi fosse in nostro possesso anche l'opera di Plinio il vecchio, saremmo veramente fortunati, perch verrebbe a nostra conoscenza anche una ricca messe di termini tecnici e scientifici, che arricchirebbe in qualit e quantit il lessico a noi pervenuto. Tanti hanno cercato di arrivare ad una pi ampia interpretazione delle iscrizioni in nostro possesso, partendo dall'ipotesi dell'appartenenza dell'Etrusco a questa o quella famiglia linguistica. La difformit delle soluzioni cos ottenute stata tale da gettare ampio discredito su questi tentativi. Come ci viene detto dagli specialisti in materia, il metodo corretto sarebbe prima di arrivare alla comprensione dei testi conosciuti; poi semmai, sulla base di questa, si pu tentare di determinare la posizione dell'Etrusco nell'ambito delle varie famiglie linguistiche. In pratica, ci ha soltanto significato dover considerare l'Etrusco una lingua isolata. Ora, il ragionamento appena espresso sembra in effetti ineccepibile a chi chiunque consideri seriamente il problema. Ma forse oggi possibile

ribaltare i termini della questione, grazie a qualcosa di nuovo nel campo delle ricerche linguistiche: vale a dire, forse possibile pervenire ad una classificazione dell'Etrusco, senza peraltro che ci possa portare, sia ben chiaro, ad un sensibile miglioramento della nostra conoscenza di tale lingua. Ci non affatto strano: siamo e saremo sempre di fronte, come abbiamo detto, al problema costituito dalla mancanza di ampi testi di carattere letterario. Il tema che ci si pone di fronte quello dell'origine del linguaggio umano e della classificazione delle varie lingue. Fino a qualche secolo fa, nella nostra parte del mondo, nessuno dubitava della comune origine di tutte le lingue, sulla base, beninteso, di quanto ci dice la Bibbia. Successivamente, come sappiamo, tale concezione stata via via sempre pi combattuta e respinta. D'altronde l'evidenza era proprio di segno contrario, e i viaggi e le esplorazioni geografiche hanno finito col farci conoscere un numero enorme di lingue estremamente diverse tra loro. Verso la fine del '700 per, con W. Jones, si arriva alla scoperta della somiglianza del sanscrito, e di altre lingue indiane, con le lingue parlate in Europa. Ad esser giusti, gi il nostro Sassetti, nel XVI secolo, se ne era accorto, ma solo dopo le comunicazioni del Jones si assiste alla nascita della linguistica comparata e alla definizione della famiglia indoeuropea. Agli inizi del XX secolo il danese H. Pedersen crea il concetto di lingue nostratiche: egli si accorge come tante lingue europee ed asiatiche mostrino dei tratti comuni. Non necessario fare qui minutamente la storia dell'evoluzione della sua idea, ripresa inizialmente soprattutto da studiosi sovietici, e variamente modificata nel corso degli anni. Ci limitiamo a ricordare i nomi di M. Illich-Svitych, V. Shevoroshkin, A.S. Starostin e A. Dolgopolskij. Anche in America si sono avuti studi di estrema importanza, dopo quelli di un precursore quale E. Sapir; ricordiamo A. Bomhard, J. H. Greenberg e M. Ruhlen. bene sottolineare, perch sia ben chiaro, che non esiste una perfetta identit di vedute tra i vari nostraticisti, e questo, come facilmente si pu arguire, un argomento ampiamente sfruttato dai detrattori della teoria. Peraltro la mole dei dati che a mano a mano vengono raccolti depone, a nostro parere, a favore della fondatezza dell'esistenza di una macrofamiglia nostratica; non solo, ma si arrivati a ipotizzare anche altre macrofamiglie.

Lo stesso Greenberg riuscito a classificare tutte le lingue africane in sole quattro grandi famiglie (Khoisan, Niger-Kordofaniano, NiloSahariano, Afroasiatico) e a far accettare i suoi risultati, superando le iniziali opposizioni. Ancora lui ha classificato le lingue parlate nel continente americano in tre famiglie solamente (Eskimo-Aleuta, Na-Den e Amerindo) qui peraltro incontrando aspra opposizione da parte della maggior parte dei linguisti. Oggi possibile pensare, e la cosa non appare pi utopistica come un tempo, ad una comune origine di tutte le lingue umane. cos possibile rivalutare l'opera del nostro A. Trombetti, che nei primi decenni del XX secolo aveva appunto osato ipotizzare la monogenesi delle lingue umane. Certo delle sue singole affermazioni ed intuizioni solo una parte potr oggi essere considerare valida, stante il progresso successivo delle ricerche, e d'altronde la linguistica non una scienza esatta come la matematica; rimane il fatto che la sua idea fondamentale oggi trova sempre pi elementi a suo favore, e non sembra pi, come un tempo, solamente una ingenua e generosa utopia. Una ricerca particolarmente importante quella condotta da J.D. Bengtson e M. Ruhlen (Global Etymologies). Tali autori sono riusciti ad identificare 27 etimologie globali, vale a dire 27 radici presenti nelle diverse famiglie linguistiche. Possiamo affermare che in questo tipo di ricerche linguistiche, gli studiosi si sono trovati affiancati, a differenza che nel passato, da esperti di altre discipline, i cui risultati non fanno che corroborare le nuove teorie. Basti pensare al lavoro di un genetista quale L.L. Cavalli Sforza e di altri come lui. Oggi, grazie ai risultati di tali ricerche, possiamo affermare di essere tutti discendenti di una Eva africana, e che i nostri primi antenati vivevano appunto in Africa orientale, da cui si sono poi diffusi su tutto il resto del pianeta. Inoltre si ritiene che, stante le difficolt per la sopravvivenza, i vari gruppi umani che si sono staccati via via dai gruppi di originaria appartenenza dovevano necessariamente possedere gi una forma di linguaggio; senza la quale, e quindi senza una ampia possibilit di comunicare, non avrebbero potuto validamente organizzarsi. Oltre alla

monogenesi della razza umana, avremmo dunque anche una comune origine delle lingue, nonostante l'apparenza, causata dai mutamenti linguistici avvenuti nel corso di migliaia e migliaia di anni, faccia piuttosto pensare al contrario. Abbandonando ora queste considerazioni molto ampie e generali, ed avvicinandoci di pi al tema principale di questo saggio, veniamo a parlare delle due grandi macrofamiglie interessate dal nostro discorso. La prima quella Nostratica. Come detto in precedenza, essa in realt non stata definita nella stessa maniera da quanti se ne sono occupati. Sceglieremo, tra le tante, due delle pi autorevoli ipotesi che sono state proposte, quella di A.R. Bomhard & J.C. Kerns (The Nostratic Macrofamily. A Study in Distant Linguistic Relationship), e quella di J.H. Greenberg (Indo-European and Its Closest Relatives), che possiamo considerare sufficientemente rappresentative, sia dei punti di convergenza, che sono molti, sia di quelli in cui le vedute invece divergono. In comune le due ipotesi prevedono, all'interno della macrofamiglia, le seguenti famiglie o lingue: Indoeuropea (lingue neolatine, germaniche, slave, baltiche, iraniche, albanese, greco, armeno etc.); Uralica-Yukaghir (finnico, estone, ungherese, samoiedo etc.); Altaica (lingue turghe, mongolo, manci); Chukcho-Kamchadala (lingue dei Chukchi e della Kamciatka); Gilyak (lingua dello stesso nome, parlata nella parte settentrionale dell'isola di Sakhalin e lungo la costa continentale prospiciente); Eskimo-Aleuta (lingue di eschimesi ed aleuti); Etrusco, tra le lingue estinte. Per la verit la posizione dell'etrusco non perfettamente definita all'interno della macrofamiglia nostratica; in particolare Greenberg, che ha preso in considerazione tale lingua dopo che essa era stata accettata nel Nostratico da Bomhard e Kerns, dichiara la sua incertezza se ritenere l'etrusco quale un membro indipendente del Nostratico, ovvero appartenente all'Indoeuropeo, eventualmente al suo ramo anatolico, oggi del

tutto estinto. Questo comunque il nocciolo comune del Nostratico. Ad esso Bomhard e Kerns aggiungono le seguenti famiglie o lingue: Kartvelica (georgiano) Afroasiatica (nuova denominazione delle lingue una volta chiamate camito-semitiche: arabo, ebraico, berbero, amarico, somalo) Elamo-Dravidica (lingue del sud dell'India: tamil, telegu, kannada, malayalam etc. pi l'antica lingua dell'Elam, oggi estinta) Sumero, altra lingua estinta. In quanto a Greenberg, va specificato che questo studioso ha preferito utilizzare, anzich il termine di Nostratico, quello di Eurasiatico, stante la collocazione prevalente delle lingue da lui prese in considerazione. Se non ci fosse altro, si potrebbe allora dire che l'Eurasiatico di Greenberg altro non che un importante sottogruppo del Nostratico. Ma le cose non stanno esattamente cos, in quanto egli, a differenza di Bomhard & Kerns, ha ritenuto di riunire sotto l'etichetta di Eurasiatico anche un ulteriore gruppo costituito da Coreano, Giapponese ed Ainu. Ora, le differenze che vi sono tra le varie formulazioni della famiglia nostratica sono evidenti e non vanno sottaciute. Esse anzi sono sottolineate da chi si oppone, spesso aspramente, a queste teorie. Peraltro, tali differenze sono in realt, secondo noi, meno gravi di quanto tali detrattori pretendano. In pratica, per riportare con parole nostre l'opinione di Greenberg, potremmo dire che, mentre per Bomhard & Kerns le lingue afroasiatiche, indoeuropee, uraliche e le altre comprese nel loro Nostratico sono tra loro sorelle, per Greenberg le lingue afroasiatiche sono soltanto cugine delle altre sopra citate, vale a dire il rapporto di parentela pi lontano, ma non viene comunque assolutamente negato. Ci troviamo semplicemente di fronte ad una diversa ricostruzione di un comune albero genealogico. L'altra grande macrofamiglia che dobbiamo prendere in considerazione, e la cui esistenza stata affermata solo in anni recenti, quella Den-

Caucasica. Ad essa apparterrebbero le seguenti lingue: Basco (nella zona pirenaica tra Francia e Spagna, sulla costa atlantica) Lingue Caucasiche (del nord e dell'est; tra esse, si noti, non c' il georgiano, che abbiamo visto invece appartenere al ramo Kartvelico del Nostratico) Ket (lingua siberiana, parlata nella valle dello Jenisei) Burushaski (parlata nel Nord del Pakistan, nella valle degli Hunza) Lingue Sino-Tibetane (cinese, o meglio le varie parlate cinesi; tibetano, birmano) Lingue Na-Den (Nord America; parlate alcune lungo la costa del Pacifico, come il tlingit; altre all'interno, tra cui apache e navajo. Come evidente, la collocazione delle lingue appartenenti alla macrofamiglia Den-caucasica non potrebbe essere pi varia e frastagliata; la semplice spiegazione che essa sia apparsa in tempi precedenti l'entrata in scena delle popolazioni nostratiche, che hanno mano a mano occupato la maggior parte della zona settentrionale del vecchio continente, relegando in aree periferiche baschi, caucasici etc. Per l'esattezza va per anche ricordato che, nel caso delle popolazioni sino-tibetane, la loro collocazione originaria era comunque diversa da quella attuale, e che esse si sono poi notevolmente espanse nel tempo, a differenza di tutte le altre. Sono dunque due le macrofamiglie che prenderemo in considerazione a proposito dell'etrusco, o magari tre se, seguendo Greenberg, si voglia collocare a parte, e non nel suo Eurasiatico, le lingue afroasiatiche. Giunti finalmente all'argomento principale, opportuno anticipare per chiarezza le conclusioni a cui crediamo di poter arrivare, e che saranno corroborate via via da un non disprezzabile numero di distinte considerazioni. Secondo noi, dunque, oggi possibile affermare che: A. l'Etrusco una lingua geneticamente nostratica, come si pu arguire, gi a sufficienza, da numerosi tratti riguardanti la grammatica; B. non appartiene per al ramo indoeuropeo del nostratico;

C. si pu pensare al pi ad una certa vicinanza con l'estinto ramo anatolico delle lingue indoeuropee (vicinanza, non appartenenza, come per l'Afroasiatico rispetto all'Eurasiatico secondo Greenberg); D. ha subito in misura notevole l'influsso di lingue palesemente non nostratiche per quanto riguarda il lessico; E. tra esse troviamo lingue appartenenti alla macrofamiglia Dencaucasica e a quella Afroasiatica. Una parte ancora del lessico, di proporzioni rilevanti, probabilmente da attribuire a popolazioni che in Europa hanno preceduto sia gli Indoeuropei, sia i Den-Caucasici; abbiamo dunque un substrato che possiamo definire mediterraneo, secondo vecchie formulazioni, ovvero dell'Europeo antico, secondo la pi recente terminologia di M. Gimbutas; rimane la possibilit che tale sostrato in qualche modo sia avvicinabile, se non proprio riconducibile, alla macrofamiglia Afroasiatica. F. l'Etrusco deve essersi dunque formato dalla commistione di lingue diverse ed appartenenti a famiglie diverse; l'apporto esterno che si riversato su di una base nostratica stato talmente elevato (come si deduce dalla impossibilit di ricondurre al Nostratico la maggior parte del lessico) che in tal senso possiamo considerare l'Etrusco come formatosi inizialmente come pidgin, per divenire poi una lingua creola ante litteram, bench entrambi i termini appaiano inevitabilmente risibili in quanto per noi anacronistici. Andiamo per ordine e illustriamo quanto appena affermato, punto per punto. A. Vi sono numerosi tratti grammaticali tipici delle lingue nostratiche, che si possono agevolmente riscontrare in quel che ci rimane dell'Etrusco, nonostante la nostra conoscenza solo frammentaria della sua grammatica. Nella esposizione che segue ci rifacciamo all'opera di Greenberg (IndoEuropean and Its Closest Relatives. The Eurasiatic Language Family, Vol. I ) in cui la materia diffusamente trattata. Abbiamo scelto di segnalare i singoli tratti nell'ordine e con la stessa numerazione utilizzata in tale lavoro. Solo una minima parte dei suoi esempi sar utilizzata, in quanto non riteniamo necessario illustrare qui quanto Greenberg ha efficacemente dimostrato. Riportare per esteso le sue argomentazioni ed i suoi esempi

allungherebbe oltremodo il nostro lavoro, che intende invece essere il pi breve possibile, per permettere cos di concentrare l'attenzione sulle nostre particolari affermazioni. I pochi esempi riportati sono in parte nostri, e riguardano prevalentemente il latino e qualche altra lingua, scelta spesso tra quelle viventi, in quanto sono cos pi adatti ad essere intesi e a far comprendere il significato e l'evoluzione semantica dei tratti stessi. Le singole specifiche ipotesi e gli esempi che invece riguardano l'Etrusco sono tutti nostri, in quanto Greenberg non ne riporta alcuno nella sua esposizione dei tratti grammaticali eurasiatici, ma si limita unicamente (pagg. 22-23 op. cit.) ad indicare poche forme lessicali (come tul, tur-). Il che dunque significa, si ripete per chiarezza, che l'individuazione dei tratti grammaticali eurasiatici qui sotto indicati opera del Greenberg (o di altri autori a cui lui si pu esser rifatto in singoli casi), mentre il loro riscontro in Etrusco, corretto o errato che sia, totalmente opera di chi scrive. Aggiungiamo ancora che i tratti di cui si parla possono essere di volta in volta, nelle singole lingue eurasiatiche, proclitici o enclitici, ovvero parole isolate, mentre nell'Etrusco si riscontrano quasi esclusivamente come enclitici, e solo in qualche caso come parole isolate. 1. M indicante la prima persona. Tratto ampiamente presente nel Nostratico (indoeuropeo e non). Riconosciamo, in latino, forme verbali come sum, legam, ed i pronomi me, mihi, e potremmo aggiungere tantissimi esempi dalle lingue moderne, a cominciare dall'italiano. Per l'Etrusco ben noto il pronome soggetto mi, io. 8.1. I ~ E pronome/dimostrativo. In latino abbiamo id, ibi (i-d, i-bi). Si riconosce tale tratto nelle forme arcaiche etrusche ica, ita, questo, divenute poi eca, eta. In esse, dalla base si avuto un ampliamento con le particelle ca, ta, aventi valore rafforzativo. 17. R(I) plurale. Tale tratto, nota il Greenberg, presente quale passivo/deponente nelle lingue italiche e celtiche; ed stato scoperto anche in tocario, frigio, venetico, e nelle lingue anatoliche. In latino, amantur, sono amati. Si tratta in definitiva di slittamenti semantici, che, attraverso forme dal significato mediale, hanno condotto fino al significato

passivo. Abbiamo esempi di varie lingue, come il masai in Africa, ed il chamorro a Guam, in cui vi una relazione di identit tra terza persona plurale e passivo. In Etrusco lo troviamo, quale plurale, in varie forme, con la vocale precedente la vibrante, che varia a seconda della parola coinvolta: clan clenar, figlio figli, huS huSur, ragazzo ragazzi etc. Ricordiamo che tale plurale utilizzato in genere con gli esseri animati (Notiamo per chiarezza che con il grassetto intendiamo indicare la pronuncia palatale della sibilante; in tal modo utilizziamo la tradizionale trascrizione dell'Etrusco, senza tralasciare al contempo i risultati ottenuti da H. Rix in fatto di fonologia. Vedere al proposito l'Appendice. Ricordiamo anche che, quando citeremo delle iscrizioni etrusche, useremo comunque la classificazione di H. Rix). 18. KU plurale. Questo tratto di diffusione limitata nell'eurasiatico. Ritroviamo ad esempio dei dimostrativi in un dialetto eskimo parlato in Groenlandia, che presentano tale forma di plurale. L'Etrusco riserva tale seconda marca del plurale agli esseri inanimati. La riconosciamo in forme come *culs culscva, porta porte. 23. K assolutivo. Anche questo tratto compare in eskimo, come -q. In etrusco utilizzato per formare sostantivi, indicanti concetti generali o astratti, a partire da forme verbali. In Etrusco, partendo da una radice zila-, dal significato riconducibile al campo semantico di governare, guidare, giudicare o simili, abbiamo cos zilac, indicante una delle magistrature pi elevate (e convenzionalmente tradotta di solito come pretura). 25. N genitivale. Di questo tratto occorrer parlare un po' pi in dettaglio. Secondo H. Skld qui ritroviamo in latino il genitivo feminis da femur. Aggiungerei forme come mein, dein, sein, mio, tuo, suo in tedesco, che oggi vengono definite aggettivi possessivi, ma che in origine, significando di me, di te, di lui altro non erano che il genitivo dei rispettivi pronomi personali. In Etrusco abbiamo una forma come mini, normalmente interpretata come accusativo di mi, io. Indubbiamente questo finisce con l'essere il

suo significato, ma noi riteniamo che si possa interpretare come un antico genitivo. L'iscrizione Vt 3.1: mini muluvanice vhlakunaie venel, viene normalmente tradotta mi don Venel Flacunaie, ma a nostro parere la si pu interpretare come fosse di me fece-dono Venel Flacunaie. abbastanza ovvio e normale che uno stesso concetto possa esprimersi secondo forme grammaticalmente diverse, e l'Etrusco mostra, qui e altrove di avere costruzioni che non ritroviamo, o non sono abituali, in una lingua come la nostra. Allo stesso modo possibile interpretare un'espressione come Cr. 6.2: mini zinace vel%ur [] Velthur fece-opera di me..., che di solito viene tradotta pi semplicemente, secondo un'espressione pi consueta, in Velthur mi fece etc. In Etrusco si esprime lo stesso concetto, ma si utilizza una diversa forma. Basti pensare, quali facili esempi, allo spagnolo l vio a su hermano, egli vide suo fratello, ove l'accusativo viene espresso, davanti a persona, con la preposizione caratteristica del dativo; o magari al nostro dialettale mangia a mamm, in cui ritroviamo invece una forma di dativo cosiddetto etico. 28. BH locativo. Tratto presente anche in latino, come in nobis, regibus. L'idea di locativo alquanto generica; abbiamo in definitiva una localizzazione in termini di pertinenza, vale a dire a noi, ai re. Ancora concetti simili in forme diverse. Ci che a me anche di me, mio etc. Nel caso dell'Etrusco riconosciamo il suffisso pertinentivo -pi, utilizzato talora singolarmente, talaltra in addizione ad altri. Cr. 2.6: raquvupi vis%inas %ahvna, il calice a Raquvu Visthina; Cl 2.4: en minipi capi, non prendere da/attingere a quel che di me. Riguardo a questo secondo esempio necessario ricordare che minipi viene considerato normalmente quale accusativo del pronome di prima persona mi. In realt, secondo noi, abbiamo un ulteriore esempio, rispetto a quelli gi riconosciuti come tali, in cui il tratto pertinentivo si aggiunge in successione a quello del genitivo. Il pertinentivo viene considerato in effetti dagli studiosi il locativo del genitivo, come in mi mulu aulesi (esempio in cui, beninteso, ci ritroviamo con un diverso suffisso, -si , a indicare tale caso): io (sono)

donato nell'ambito di Aule; espressione peraltro ambigua, perch non chiaro (a noi almeno, oggi) se Aule sia il donatore o il donatario. 31. I locativo. In latino domi, a casa. In Etrusco, da Ta 5.5 abbiamo zilci velusi hulxniesi durante la pretura di Vel Hulchnie. In zilci ritroviamo zilac pretura, con aggiunta di i locativo al suffisso assolutivo c e con la sincope della vocale a, fenomeno normale in Etrusco, stante l'accento d'intensit presente sulla sillaba iniziale. 33. T ablativo. Consueto in latino arcaico (-ad, -od), rimasto in parole come apud. Il significato originale di questo suffisso di sorgente, luogo di origine. In Etrusco unial%i (uni-al-%i) significa Giunone-di, nella-(casa) vale a dire nel tempio di Giunone. Dopo il suffisso genitivale -al (che esamineremo in un punto successivo) abbiamo -%i come forma ablativa in Etrusco. Giova inoltre riflettere sul significato base di tale suffisso: luogo d'origine, ed anche sorgente (d'acqua). Non ci stupiamo nel verificare che, recentemente (da D. Steinbauer) stata proposta con successo la traduzione acqua per la parola (isolata) %i, che evidentemente ha la stessa origine del suffisso che abbiamo esaminato. 34. KO comitativo. Ci troviamo di fronte ad una particella che come in altri casi, in altre lingue un prefisso, mentre sempre un suffisso in una lingua agglutinante come l'Etrusco (e che tale rimasta in definitiva nonostante talune tracce di incipienti forme flessive). Il significato originario di questa marca di riunione, cui si aggiunto, la cosa abbastanza comprensibile, quello di movimento, per giungere infine, con tutta una serie di traslati, all'idea definitiva di passato. In latino ritroviamo non altro che la particella cum, isolata o in composizione, come in communis. Ulteriori esempi, da un'altra lingua indoeuropea (prendiamo deliberatamente, come gi fatto in precedenza, anzich una lingua antica, il tedesco moderno, a significare come queste forme possano in realt resistere durante i secoli e i millenni) sono gemein, comune (agg.), come pure le normali forme di perfetto e di participio, come in gekommen, venuto. In Etrusco questo tratto viene utilizzato a significare il passato, come in

lupuce, muluvanice mor, fece dono e simili. Abbiamo inoltre una variante con la forma passiva -xe, come in far%naxe, fu generato. 36. K diminutivo. Questa marca, molto diffusa ancor'oggi, e che si ritrova in forme come Anneke (olandese), in forme romanze come Antonicu, e persino nel russo vodka (acquetta!), la possiamo identificare nella z etrusca, derivata dalla palatalizzazione di un'originale K. Vedansi i diminutivi di nomi di persona come larza (da laris) o di parole comuni, come in certi nomi di recipienti, ad esempio, lextumuza, nome di piccolo vaso, dal greco . 37. S strumentale. In Nostratico tale tratto serve a creare parole indicanti strumenti, o qualcosa di cui ci si possa comunque servire. Forse qui possibile riconoscere una desinenza come in *mantisa, da cui la nostra mantissa. anche possibile pensare ad una specializzzazione di tale marca in etrusco, a indicare semplicemente l'articolo. L'esempio riportato, come noto, ci proviene solamente come glossa. 40. L possessivo. Ci troviamo di fronte ad un tratto particolarmente importante. Lo riconosciamo, in Etrusco, nel genitivo in -al, come in lar%al, di Larth, e in innumerevoli altre espressioni. In pratica equivale ad un genitivo, come nel caso che abbiamo gi esaminato, di N genitivale. Tale forma presente anche in latino ed arrivata nella nostra, come in tante altre lingue. Basti pensare a forme parallele quali nazione ~ nazionale, ove il secondo termine, oggi sentito come aggettivo relativo al primo, in realt l'esito di un'antica forma genitivale. Desideriamo ricordare come questa particella sia pure presente, quale prefisso, nelle lingue semitiche, ad es. in ebraico: mizmr ldwd, salmo di David, che a David, esempio che si ritrova in tutte le grammatiche. 48. L esortativo. Forse possibile riscontrare questo tratto in una forma come acil, che dal Cristofani stata tradotta come equivalente al latino opus est, necessario (fare). Da una radice verbale ac-, indicante azione, si avrebbe dunque la forma suddetta. 49. T denominativo. Continuando opportunamente con un lessema

gi utilizzato, in Etrusco abbiamo zila%, tradotto normalmente come pretore, cio colui che esercita la carica della zilac (pretura o altro che sia), e che funge da eponimo, per tutto ci che si svolge zilci, cio durante tale sua carica. 57. M negativo. Il significato base di tale marca deve essere senza. In Etrusco si ritrova, come -em nei numerali sottrattivi, ciem cealx, 27, vale a dire 3-senza 30. Da non confondere -em con -um, che ha un significato opposto, di addizione, e corrisponde alla congiunzione e. 60. K interrogativa. Si ritrova, come avverte Greenberg, in tutti i rami dell'Eurasiatico. In latino abbiamo ad es. quis, quid. Ma tale tratto ha conosciuto, nel suo uso, uno sviluppo semantico, che l'ha portato a significare anche e congiunzione. Ritroviamo cos, sempre in latino, espressioni quali pater materque, il padre e la madre, dopo una fase in cui il senso era piuttosto il padre come la madre. Inoltre, in espressioni come chi... chi... (es.: chi fa una cosa, chi ne fa un'altra) abbiamo in definitiva il senso di qualcuno... e qualcun'altro da cui in ultimo si arriva al significato di anche, e. In Etrusco riconosciamo la comune enclitica -c, come in apac atic, padre e madre. Sicuramente utile riportare in modo sintetico, in quali rami dell'Eurasiatico di Greenberg siano presenti i tratti appena descritti (con un punto interrogativo nei casi dubbi: Indoeuropeo: 1, 8.1, 17, 23, 25, 28, 31, 33, 34, 36, 40?, 48, 49, 57, 60. Uralico-Yukaghir: 1, 8.1, 23, 25, 28, 31?, 33, 36, 49, 60. Altaico: 1, 8.1, 17, 23, 25, 28, 33, 36, 40, 48, 49, 57, 60. Coreano-Giapponese-Ainu: 1, 8.1, 17, 23, 25, 28, 31, 33?, 34?, 36, 37, 48, 49, 57, 60. Gilyak: 1, 8.1, 17, 18, 23, 25, 28, 33, 34?, 36, 37, 40?, 48?, 49, 60. Chukcho-Kamchadalo (Chukotian): 1, 17, 18, 23, 25, 28, 31, 33,

34, 40?, 49, 60. Eskimo-Aleuta: 1, 18, 23, 28, 31, 33, 36, 37, 40, 48, 49, 60. Notiamo che sono presenti in tutti i rami dell'Eurasiatico i tratti: 1, 23, 28, 49, 60 (ed eventualmente il 33, nel caso si consideri sicura la sua presenza nel ramo Coreano-Giapponese-Ainu). In definitiva abbiamo sempre almeno 11 tratti in comune, tranne che con il ramo Uralico, in cui quelli sicuri sono solo 9. I risultati di confronto sono tali, a nostro parere, da poter dichiarare con certezza l'appartenenza dell'Etrusco alla famiglia nostratica. B. L'Etrusco dunque possiede molti tratti grammaticali in comune con i vari rami dell'Eurasiatico la Greenberg (e quindi anche con il Nostratico la Bomhard). Non possibile per considerarlo, come qualcuno tuttora fa, una lingua Indoeuropea. Molte parole, soprattutto nomi di recipienti, come dovrebbe esser chiaro a tutti, sono solamente degli imprestiti culturali, provenienti dal mondo greco, alla pari, n pi n meno, dei racconti omerici. Basti considerare due singoli fatti, ancora di carattere grammaticale, e la cui importanza tale da non poter essere minimamente sottovalutata. Nell'Etrusco abbiamo due diverse possibilit nella formazione del plurale (in -r o in -cva/-xva) a seconda che ci si trovi di fronte a oggetti animati o inanimati. Questa duplice possibilit per il plurale si riscontra altrove nel Nostratico, ma non nell'Indoeuropeo. In quanto alla distinzione di genere (maschile, femminile, neutro) non possiamo dire che sia una caratteristica del Nostratico; essa infatti un'innovazione propria dell'Indoeuropeo; in Etrusco la troviamo solo nell'onomastica, ma non nei tempi pi antichi; di conseguenza, non pu che esser stata causata dall'influsso del circostante ambiente italico. Quindi l'Etrusco geneticamente nostratico, come ampiamente dimostrato dai numerosi tratti grammaticali appena illustrati, ma in ogni caso, nonostante talune somiglianze, non (e non pu essere) indoeuropeo. E per tale affermazione appunto gi sufficiente il basarsi anche solo su considerazioni di carattere grammaticale.

C. In passato ed ancora oggi sono stati sottolineati certi collegamenti che si possono fare tra le estinte lingue indoeuropee dell'Anatolia e l'Etrusco. Abbiamo gi visto, nel punto precedente, che una appartenenza dell'etrusco al ramo indoeuropeo assolutamente da escludersi, e quindi nemmeno si potr parlare di una sua appartenenza ad un suo ramo, come quello anatolico. Ci non toglie che si possano trovare dei tratti in comune. Le maggiori difficolt per, indagando in questa direzione, vengono non tanto dall'Etrusco, ma dalla conoscenza, realmente scarsa, che abbiamo delle lingue anatoliche, eccezion fatta per l'hittita. Sono certamente suggestive le parole di Erodoto che, come noto, considera la Lidia quale terra originaria del popolo etrusco. Dionigi di Alicarnasso riteneva invece che esso invece fosse autoctono, e che avesse quindi sempre occupato la loro sede storicamente conosciuta sulle coste del Tirreno. Torneremo oltre su questo tema e, per il momento, ci permettiamo solo di rilevare come il concetto di autoctonia per noi oggi debba essere per forza molto relativo, visto che sappiamo bene come in definitiva la razza umana provenga sicuramente dall'Africa. In antico, il definirli autoctoni derivava semplicemente dal fatto che dovevano essere ormai molti i secoli del loro stanziamento in Italia. Possiamo ricordare, per quanto riguarda il lessico, talune formazioni analoghe alla nota voce etrusca cepen, dal significato di sacerdote o capo religioso. In ebraico abbiamo seren, sicuramente prestito dal filisteo (ove doveva suonare probabilmente come saren) lingua appartenente alle lingue indoeuropee del ramo anatolico (vedere gli studi di G. Garbini). E qui conviene ricordare anche il frigio baln, re; il licio essn, re e paln, capo. Il termine etrusco, da cui il latino cupencus, ha indubbiamente una forma perfettamente analoga a quella delle altre parole qui riportate; ma oltre a questo non c' molto di significativo o di utile da aggiungere. D. Continuando nelle considerazioni di natura lessicale, appare pi che evidente che il vocabolario etrusco, nella limitatezza almeno in cui noi lo conosciamo, non possa definirsi certamente indoeuropeo, ed abbia solo un limitato grado di somiglianza con il vocabolario dei singoli rami del Nostratico. Questo pu spiegare in parte i tentativi di chi, di volta in volta, ha identificato l'Etrusco come una lingua uralica, altaica, dravidica (il

ramo dravidico fa parte, ricordiamo, del Nostratico secondo l'ipotesi di Bomhard), semitica etc. Le somiglianze che di volta in volta si sono trovate, non dipendono in effetti solo dalla casualit o dalla fantasia dei singoli, ma, almeno in parte, dipendono anche e sicuramente dal fatto che l'Etrusco, pur non essendo una lingua indoeuropea, n uralica, n altaica etc. ha in comune con queste lingue l'appartenenza al Nostratico. allora possibile oggi ribaltare il ragionamento di chi ha visto, in molteplici successive proposte di decifrazione, ampiamente difformi tra loro, l'evidente prova della loro inconsistenza, e quindi l'impossibilit pratica della classificazione dell'Etrusco se non come lingua isolata. Oggi come oggi, checch se ne dica, abbiamo ormai superato i termini con i quali un tempo si poneva la questione: la necessit cio di comprendere meglio l'Etrusco, e solo dopo, eventualmente, la sua attribuzione a questa o quella famiglia linguistica. Oggi in realt finalmente possibile classificarlo, anche se ci potr forse servire a poco, finch non si ritroveranno (se mai questo dovesse accadere) dei testi di genere letterario sufficientemente lunghi, che ci consentano di averne una consistente e reale conoscenza. Dobbiamo rilevare come, in effetti, il lessico etrusco appaia solo parzialmente riconducibile al Nostratico. Il contatto con popolazioni non nostratiche ha contribuito pesantemente nel formare l'Etrusco, quale esso si presenta nei testi che ci sono prevenuti. Certo, tutte le lingue, tranne quelle che si parlano in una condizione di particolare isolamento (ad es. l'islandese, almeno fino ad oggi) risentono di sensibili influssi provenienti dall'esterno e ne producono a loro volta. Quello che si vuole intendere che in alcuni casi questi apporti esterni sono talmente rilevanti nel loro complesso da modificare in modo drammatico l'aspetto, le caratteristiche e in definitiva la sostanza di una lingua; questo, secondo noi, stato il caso dell'Etrusco. E le particolarit del suo lessico, a fronte delle evidenti caratteristiche grammaticali di tipo nostratico, non possono che essere dovute all'influsso prevalente (sul piano lessicale) di lingue che nostratiche non sono.

E. Abbiamo dunque indizi di un lessico di formazione varia; non mancano certo elementi che possiamo definire nostratici, assieme ad altri, pi scarsi secondo gli attuali riscontri, di origine den-caucasica, altri ancora afro-asiatici. Tantissimi altri termini, per, non sono riconducibili alle macrofamiglie che abbiamo appena nominate. Iniziando questa analisi, tutto sommato spontaneo ricercare possibili apporti provenienti da lingue den-caucasiche. In ambito pi o meno mediterraneo noi verifichiamo tuttora la presenza del basco, che un tempo era ampiamente pi diffuso, fino ad interessare, ad esempio, i vasti territori dell'Aquitania, vale a dire l'odierna Guascogna. Abbiamo inoltre le lingue caucasiche, a ridosso del Mar Nero. In effetti gi in passato non erano mancate ricerche che avevano posto in relazione l'Etrusco con basco e lingue caucasiche. Ulteriori ricerche in questa direzione, condotte alla luce delle nuove teorie sulla macrofamiglia Den-Caucasica, continuano ad accumulare dati, come in E. Robertson, che pone in relazione l'Etrusco con il phylum linguistico del Nakh-Daghestan (30 lingue complessivamente). Limitandoci alle sole nostre ricerche personali, siamo in grado, per ora, di riportare le seguenti corrispondenze: *pui donna in naga (sino-tibetano), da confrontare con l'Etrusco puia moglie; *t-riw-s ore del giorno (di luce), giorno , in antico cinese, da confrontare con l'etrusco ril, termine usuale sulle iscrizioni funebri, tradotto solitamente come all'et di. Si tenga presente come in Etrusco la l pu avere carattere velare (foneticamente ril equivale a [riw]); sik figlia in Tinglit (Nord-America), da confrontare con sec, sex figlia; naba pianura o valle, in basco, da cui anche lo spagnolo nava (es. las Navas de Tolosa). Forse Etrusco naper, tradotto come misura (di un terreno etc.). Se l'accostamento legittimo, possiamo intravedere un'iniziale concetto di estensione, lunghezza, che pu aver portato in un caso al significato di (grande) estensione di terreno (piano); nell'altro il nome di una specifica misura.

Decisamente pi numerosi sono gli indizi che riportano, una parte almeno del lessico etrusco, al patrimonio comune del Nostratico e, in grado minore, a quello specificamente Indoeuropeo. Ci in definitiva conforta l'opinione gi riportata secondo la quale l'Etrusco deve essere considerato geneticamente nostratico. Dalle opere gi citate di Bomhard & Kerns, Bengtson & Ruhlen, e di Greenberg (Vol. 2), ricaviamo una serie di radici, che riportiamo, precedute rispettivamente dalle sigle BK, BR, e G, con la stessa numerazione dei singoli originali. Per praticit, le radici di Bomhard & Kerns sono riportate in forma semplificata. Nelle ipotesi originali degli autori, infatti, la vocale considerata alternativa a a, non essendo da loro ritenuta possibile una individuazione pi precisa; per lo stesso motivo, inoltre, le consonanti mute non sonore si alternano con le loro forme aspirate, ma qui, per semplicit, verranno rappresentate solamente come ph, th, kh etc. Anche qui riporteremo solo un numero molto limitato degli esempi originali, e forse non sempre quelli pi adatti, non essendo noi competenti in tutti questi vastissimi campi. Rimane inteso che le ipotesi di accostamento di forme etrusche a queste radici sono solo nostre, se non altramente indicato. BK55. phal, settlement, settled place. Presente in IE (IndoEuropean; ricordiamo il Greco , city, citadel, ed il Lituano pils, castle); Finno-Ugrico (es. Karelio palvi, dwelling-place, habitation); Dravidico (es. Telugu palli, hut); Altaico (es. Mongolo balasun, city, town, village). Etr. spur-, citt o concetto analogo. Cfr. G409. BK89. da, along with, together with, in addition to. Presente in IE (come nel Greco ,at home); Kartvelico (Georgiano da, and); Afroasiatico (Hausa d, with; and; by, by means of ); Elamita da, also, too, as well, likewise; so, therefore etc.); Altaico (Mongolo - da); Sumero (da, with, together with, along with, besides). Etr. -%i locativo. Cfr. Greenberg (Vol. 1. - tra i tratti grammaticali: 33. T Ablative). BK115. thar, to drink. Presente in Kartvelico (Georgiano mtrval-, drunk, tipsy) e Dravidico (Telugu trvu, to drink, to swallow, to eat, to smoke). Forse Etr. %rasce, come in Vt S.2: eca sren tva ixnac

hercle unial clan %rasce, qui si vede come Ercole, figlio di Uni, succhia (il latte); sono peraltro ipotizzabili altre traduzioni per il termine etrusco, quali diventa (figlio di Giunone). BK221. gad, to force, drive, or press together; to join; to unite; to gather (together); to collect. Presente in IE (Inglese mod. to gather) ; latino caterva, di probabile origine etrusca); Afroasiatico (come nell'Ebraico gaa, to gather in bands or troops). In Etrusco ca%ra, assemblea o qualcosa di simile. BK242. khaph, to take, to seize; hand. Presente in IE (Latino capio), to take, to seize); Afroasiatico (Ebraico ka, palm); Finno-Ugrico (Finnico kpp, hand, paw); Dravidico (Malto kape, to touch, to meddle); Altaico (Turco kapan, who seizes or grabs). Etr. capi, come in ein mini capi, non prendere di me/del mio. Cfr. G331. BK254. kham, to seize, to gras, to grip, to clutch. Presente in IE (come nell'Inglese hand); Afroasiatico (Accadico kam, to capture, to overcome, to ensnare); Finno-Ugrico (Finnico kmmen, palm, flat of the hand; paw); Dravidico (Telugu kamucu, to hold, to seize). Etr. hu%, quattro (four). Si ricorda come il concetto di quattro sia legato alle dite della mano, escluso per il pollice (mentre cinque ( five) corrisponde alla mano completa: pensare al greco , ed al prefisso pan- indicante totalit). Dobbiamo per la verit ricordare che per hu% esiste tuttora incertezza tra gli studiosi: per alcuni corrisponde infatti a sei (six). Crediamo peraltro di aver trovato un indizio significativo nel Liber Linteus (LL VIII, 3): celi. hu%iw. za%rumiw. flerxva. ne%unsl Quintile (!), giorno 24, offerte a Nettuno. La nostra analisi, in uno studio inedito condotto sul calendario romano (e sulle influenze che esso pu aver ricevuto da quello etrusco) ci ha portato infatti a ritenere che anticamente il mese di celi corrispondesse a Quintile piuttosto che a Ottobre, come riportato dalle glosse. Detto questo, e si tralasciano per brevit i relativi dettagli, ci troviamo a verificare che il 23 di Quintile a Roma si celebravano i Neptunalia. Per noi si tratta semplicemente di uno spostamento di una pi antica data di celebrazione, dovuto all'esigenza superstiziosa di evitare i giorni pari del mese.

Trattandosi della festa di una divinit, era abbastanza ovvio anticipare alla vigilia, piuttosto che posticipare, la festa stessa. Ricordiamo anche, come ulteriore corrispondenza tra una cerimonia etrusca ed una festa nel calendario di Roma, da LL XII, 10: %unem. cialxuw. masn. unialti. ursmnal Il giorno 29, offerta (?) nel tempio di Giunone U. A fine mese, ci si trovava a ridosso delle Kalendae, festivit dedicate appunto a Giunone. In definitiva, per noi hu% corrisponde a quattro (four). BK263. khar, to twist, to turn, to wind. Presente in IE (Latino corbis, wicker basket); Afroasiatico (Ebraico *karar, to dance); FinnoUgrico (Finnico kier, twisted, wound, rolled up); Dravidico (come nel Tamil kaaku, to whirl, o nel Tulu garagara, a whirling noise). Secondo noi Etrusco krankru, riferito a gatto, come nell'iscrizione Vs 7.16, col significato di che fa le fusa. C' una relazione, in qualche modo, tra il concetto di (danzare) in tondo e taluni suoni ronzanti, che danno l'impressione di ripetersi e, per cos dire, di tornare su s stessi. Per fare un altro esempio, sicuramente non un caso che al latino cicada, cicala corrisponda una radice indicante rotondit, cerchio, punto etc. in IE come in afro-asiatico. Accadico kakkabu, stella; ed ancora oggi, in italiano dialettale, cocco per dire uovo. BK326. kwha, post-positional intensifying and conjoining particle: and, also, moreover, etc. Presente in IE (latino -que, and enclitico); Kartvelico (Medio Georgiano kue, particella intensiva e affermativa); Uralico (Finnico -ka, -k, and... not, nor); Altaico (Evenki -ka, -k, -k, particella intensiva). Potrebbe avere relazione con la forma di plurale etrusco in -cva, -xva, e con l'enclitica -c, e. BK519. man, to divide, to apportion, da cui progressivamente anche to consider, to think > to recount > to speak, to say. Presente in IE (Inglese to mind, Latino memini, con analogo significat0); Afroasiatico (Accadico, man,to count, to reckon); Uralico (Finnico manaa-, to warn, to exhort, to admonish, etc); Dravidico (Iru a mai, to talk, to speak). Forse in relazione con l'Etrusco *mantisa, da cui la nostra mantissa. Cfr. G388.

BK528. mal, to fill, to be or become full, to increase. Presente in IE (come nel Latino multus); Afroasiatico (Accadico mal, to be full, to fill up); Dravidico (Tamil mali, to abound, to be plentiful, to be full, to increase etc.). Etr. mlax, bello, concetto legato a quello di grandezza/grossezza. Cfr. G262. BK546. mik', to exceed, to surpass, to be in excess, to grow, to increase, to swell, to expand; big, great, much. Presente in IE (come nel Latino magnus) e Dravidico (Tamil miku, to exceed, to surpass, to be in excess, to grow etc.). Forse Etr. mex, assemblea/lega?, ovvero grande?. Vedi per BK553 che ci sembra pi attendibile. BK548. mag, to handle, to work with the hands. Presente in IE (Inglese mod. to make); Afroasiatico (Kambata mek'ees-, to snatch); Uralico (Nenets mee-, to make, to fabricate (as handicraft), to build). Probabilmente Etr. max, cinque (five), inteso come mano (intera). BK553. mak', earth, land. Presente in IE (come nel Gallico Arganto-magus) e Uralico (Finnico ed Estone maa, earth, soil, ground, country, land). Da confrontare con Etr. mex, per noi terra (land). Se esatta la nostra ipotesi, zila% mexl rasnal significhebbe pretore della terra etrusca (e non dell'assemblea o lega etrusca o magari della grande Etruria, nel caso fosse invece sicuro l'accostamento con la radice BK546). Cfr. G118. BK575. njaar, to appear, to arise, to sprout, to come into being; to grow (up), to mature. Presente in Afroasiatico (Ebraico naar, boy, lad, youth); Uralico (Mari nrg, sprout, twig, young tree (one year old)); Dravidico (Tamil u, to appear, to arise); Altaico (Mongolo nirai, infant, baby, new-born; fresh). Etr. nur-, nove (nine), cio il nuovo, dopo due serie di quattro. Sono noti i rapporti tra i due concetti, di nuovo e di nove. Cfr. G362. BK578. luk', lok', to gather, to collect. Presente in IE (come nel Latino lego, to ordain, to appoint); Afroasiatico (Accadico laqtu, to collect, to gather); Finno-Ugrico (Finnico lukea, to read, to count). Forse Etr. lucairce, con estensione del significato a guidare, governare. Cfr. G70.

BK601. ruw, row , to cut, tear, or break apart. Presente in IE (Latino ruo, to fall down, to collapse (intr.), to hurl down (tr.); rumpo, to break, to shatter, to burst open) e Finno-Ugrico (Ungherese r-/rov-, to carve, to engrave). Forse Etr. ruva, fratello, nel senso che rappresenta una parte del gruppo familiare, della comunit. BR18. pal, two. una delle 27 radici globali di Bengtson & Ruhlen. Presente nelle famiglie del Niger-Congo (Nimari bala); Nilo-Sahariana (Maba mbar); Afroasiatica (Dime bal; Kafa bar, other); IE (Russo pol, half ); Uralica (Kamassi pjeel, half, side); Dravidica (Tamil e Malayalam pl, part); Indo-Pacifica (Tasmaniano del Sud-Est boula ~ bura); Australiana (Ngiyambaa bul, one of a pair; Austroasiatica (Santali bar); protoMiao-Yao *(a)war ~ ()wr, two); Daica (Mak wa, twin); Austronesiana (Giavanese kbar, doubled); Amerinda (Wappo pala, twins; Xinca bial ~piar ; Tuyuca pealo, two; Wanana pilia). Si noti la presenza di vocali palatali negli ultimi esempi. Qui possibile fare un raffronto con Etrusco zal, due (two), se ammettiamo che la z etrusca, anzich indicare, come ritenuto in genere, un'affricata dentale o alveolare come [ts] o simili, indichi piuttosto un'affricata pi o meno palatalizzata. Cfr. italiano piccione dal latino pipionem, ovvero portoghese chorar da latino plorare. La relativa discussione costituisce un discorso a parte, che affrontiamo in dettaglio in Appendice. Se la nostra ipotesi corretta, con l'etimologia di zal abbiamo la soluzione a quella che una vera crux per gli etruscologi. BR23. tik, finger; one. Presente nelle famiglie del Niger-Congo (Gur dike, one); Nilo-Sahariana (Fur tk, one); Afroasiatica (Oromo toku, one; takku, palm of hand); IE (Latino digitus, finger; Inglese toe); Uralica (Votiaco odik, one); Altaica (Ciuvascio tek, only, just e Chagatai tek, only, single); Coreano teki, one; thing; GiapponeseRyukyu (Giapponese te, hand); Ainu tek, hand; Gilyak ak, once; Chukchi-Kamchadalo (Camciadalo itygin, foot, paw); Eskimo-Aleuta (Eskimo: Kuskokwim tik(-iq), index finger); Yenisei (Proto-Yenisei *tok, finger); Sino-Tibetana (Cinese arcaico *t'iek, single, one); Na-Dene (Tlingit tl'eeq, finger, tlek, one); Indo-Pacifica (Proto-Karonan *dik,

one; Boven Mbian tek, fingernail); Austroasiatica (Vietnamita tay); Miao-Yao (Proto-Miao *nta, point with the finger); Daica (Loi th); Austronesiano? (Proto-Austronesiano *(tu-)di, point with the finger); Amerindo (Nootka takwa, only; Mangue tike, one etc.). Etr. %u, %un-, uno (one)! G4. muta, all. Presente in Altaico (Manci mudan, end: con trapasso semantico: se c' tutto, si finito); Coreano modu; Antico Giapponese muta, together with; Chukchi mit, completely. Cfr. l'Etr. mun%, da cui Cicerone ha probabilmente ricavato il termine mundus (concetto di ordine, ordinamento, essere ordinato). G35. hant, before. Presente in IE (Latino ante, in front of ); Altaico (Manci antu, southern side, foreside); Coreano? anth, fore, before, in front of . Cfr. Etrusco han%in, in front of ; l'ipotesi gi in Greenberg. G118. mag, earth. Presente in IE (Antico Irlandese mag, plain, open field); Uralico (Finnico ed Estone maa, land); Yukaghir (Kolyma mi-be, lower end, literally: earth-LOCATIVO); Ainu ma, peninsula; island; Gilyak mi-f, earth, literally: earth-LOCATIVO); Eskimo-Aleuta (Alutiiq maaq, swampy area). Da confrontare con Etrusco mex, probabilmente terra. Vedi discussione in BK553 (e BK 546). G180. asu, good. Presente in IE (Germanico Wisi ~Wesi, the noble people, earliest name of the Goths) ; Altaico (Antico Turco asyg-, advantage, gain); Eskimo-Aleuta (Yupik asi, be good). Da cui Etrusco ais, eis, divinit. G232. mina, lake. Presente in Antico Giapponese mina-mina, water(s) ed Ainu mena, pond, lake. In Etrusco, come in tarSminaww, (Tabula Cortonensis), del lago tarsh, ovvero del Trasimeno. Si noti che gi in Latino si poteva dire semplicemente Trasimenus o Trasumenus, senza lacus, evitando quella che in realt una tautologia. Sono noti casi analoghi, come (in Libano) la Valle della Beqaa: Ugaritico bq, fendere, spaccare; Ebraico biqh, pianura; termini che ci ricordano l'Iberico vaika, da cui deriva lo Spagnolo vega, pianura fertile, vallata; cfr. BK22 bak'- spaccare. Ed analogamente, altra tautologia, (in Ispagna) Vall d' Aran, (dove aran proviene dal Basco).

G262. mel, many/much, in cui possiamo vedere il concetto di tanto, pieno. Presente in IE (Latino melius, better); Uralico (Enets maleo, already; Yurak mle, to end); Altaico (Kazakh mol, many, abundantly); Coreano mol-a, drive together, hence all in all, in toto; Antico Giapponese mor-, to fill, heap up; Gilyak molo, be many; Chukchi mlo,all e Kamchadalo mel, strongly, well; Eskimo-Aleuta (Aleuta amnau, be many, much). Etrusco mlax, bello. nota l'endiadi bello-pieno, ovvero bello-grasso, nei tempi antichi anche pi significativa di oggi. Cfr BK528 e BK 529. G331. kap, seize. Presente in IE (Latino capio, I take); Uralico (Ungherese kapa, seize, obtain); Altaico (Ciuvascio xap-, take); Moderno Coreano (kaps, price); Antico Giapponese kap- buy; Gilyak (Sakhalin Est kep, handle). Etr. capi, prendere. G362. nyar, spring (season). Presente in IE (Inglese year); Uralico (Finnico nuore-, young); Altaico (Khalkha araj, young); Medio Coreano nylm, summer; Antico Giapponese natu, summer; Ainu yarpe child (dialect 6, Hattori); Gilyak (Sakhalin yr, time); Chukchi eleel, summer. Etrusco nur-, nove (nine). Cfr. BK575. G368. tul, stone. Presente in Altaico (Ciuvascio ol); Medio Coreano tlh. Etr. tul, confine, da pietra di confine. L'esempio gi in Greenberg. G402. kul, turn. Presente in IE (Slavo Ecclesiastico kolno, knee); Uralico (Finnico koljat, necklace); Altaico (Medio Mongolo kol-kida-, go round and round, be restless); Medio Coreano kuwl- ~ kuul-, roll); Giapponese kuru-, reel, wind, spin; Gilyak kulkul, squint, be crosseyed; Chukchi: Koryak kul, roll e Kamchadalo kele, to circle. Etr. *culs, porta. Di questo termine, per l'esattezza, attestato solo il plurale culwcva. G409. palg, village. Presente in IE (Greco , city); Uralico (Carelio palvi, dwelling, place of residence); Altaico (Antico Turco balk, city); Gilyak? pry (secondo Greenberg dovrebbe esserci l anzich r); Eskimo-Aleuta (Aleuta ula-, house, dwelling). Etr. come in spur-, citt o simili. Cfr. BK55.

In definitiva, esaminando il lessico etrusco, abbiamo soprattutto trovato corrispondenze con il Nostratico; in numero decisamente minore con il Den-Caucasico. Resta il fatto comunque che la maggior parte del lessico rimane priva di possibile etimologia, e possiamo ragionevolmente pensare solo ad una sua origine mediterranea, per esprimere un termine caro ai vecchi glottologi, ovvero antico-europea, per usare la definizione coniata da M. Gimbutas. Rimane anche il fatto che, se il basco una lingua dencaucasica, allora estraneo al sostrato mediterraneo, in cui possiamo allora vedere piuttosto apporti provenienti genericamente dall'Africa, in relazione soprattutto con la parte camitica (berbero etc.) della macrofamiglia Afroasiatica. F. L'Etrusco probabilmente si formato come uno strumento atto alla comunicazione tra popolazioni linguisticamente diverse. Conosciamo bene quale sia questo meccanismo. Una lingua dalla grammatica minima viene a mano a mano a formarsi con l'uso di vocaboli oggettivamente importanti nella comunicazione. Si tratta dapprima di un lessico necessariamente limitato, che va a mano a mano estendendosi. Abbiamo tanti esempi di queste lingue franche o pidgins dall'epoca delle grandi esplorazioni geografiche in poi. In molte di queste si trovano elementi di lingue europee associati a lingue indigene, di Africa, America, Asia e Oceania; ma vi sono anche altri casi, come in Estremo Oriente, in cui la confluenza avvenuta esclusivamente tra lingue non europee. Tutte queste lingue si sono dunque formate a scopo di comunicazione tra etnie diverse. Un pidgin formatosi in Europa era il russe-norsk, nato dai contatti tra marinai norvegesi e sovietici alle Isole Svalbard, ed oggi ormai estinto. Peraltro, in molti altri casi hanno talmente attecchito, da diventare la lingua madre delle successive generazioni. Come queste, anche i pidgin hanno dovuto crescere, ed arricchirsi progressivamente delle possibilit proprie di tutte le lingue, in modo da poter essere utilizzati in tutti i molteplici frangenti della vita e dell'esperienza umana. In questo caso, avendo qualcosa che sicuramente molto di pi di una semplice lingua franca, si preferisce utilizzare opportunamente un altro termine, quello di lingue creole, come a dire, lingue creature.

Stante la semplicit della grammatica etrusca (quale essa appare almeno, in base alla nostra comprensione dei testi rimastici) e stante il carattere composito del lessico, non crediamo di essere lontani dal vero se affermiamo che si pu considerare l'etrusco come un pidgin evoluto in lingua creola; tutto questo rimanendo definita la sua matrice nostratica. Si noti che fondamentale il trovarsi di fronte ad una grammatica, e ad una sintassi, relativamente semplici; in caso contrario dovremmo considerare lingue creole tantissime lingue, a cominciare dallo stesso inglese. Questa la formazione e lo sviluppo della lingua di un popolo che ha occupato per secoli, oltre ad altre aree minori, la vasta zona tra Tirreno, Arno e Tevere. La presenza di iscrizioni su di un ampio territorio ci testimonia l'uso di una lingua comune, nonostante la presenza di una societ composita. Esisteva infatti una aristocrazia, che possiamo identificare con gli invasori dominanti, ed una classe servile, costituita dalle popolazioni vinte, che peraltro non abbandonarono mai del tutto gli sforzi per superare la condizione di sudditanza. A conclusione di questo saggio, e bench il discorso che segue sia solo in parte pertinente al tema del medesimo, possibile tentare di inquadrare molto schematicamente il processo di formazione della lingua etrusca. Rimane inteso che in realt sussistono decisamente molti problemi ed incognite, come dimostrano le differenti posizioni degli studiosi; la nostra solo una semplice ipotesi che cerca di spiegare un po' di cose. Tra i cosiddetti Popoli del Mare, in parte Greci, in parte Indoeuropei non Greci, in parte non Indoeuropei, che si manifestano attorno al 1200 a.C., vi sono i cosiddetti Tursha, che possiamo identificare con gli antenati, nostratici, degli Etruschi. Essi probabilmente erano gi in contatto con popolazioni che oggi definiremmo den-caucasiche. Quei vasti spostamenti di popolazione producono l'invasione dei Dori in Grecia, dei Frigi in Anatolia, nonch la caduta (quella almeno descritta da Omero) della mitica citt di Troia. I Tursha, in particolare, ancora non alfabetizzati, si dirigono verso l'Italia. Si incontrano con altre popolazioni che si possono definire den-

caucasiche? In ogni caso, con il contatto con altre genti ancora (n indoeuropee, n den-caucasiche) e quindi grazie al cosiddetto substrato mediterraneo o europeo antico, viene a crearsi quanto definiamo popolo, civilt e lingua etruschi. Verso il 900 a.C. inizia l'utilizzo delle miniere di ferro della Toscana, con la successiva espansione della loro potenza. Successivamente piccoli gruppi di Etruschi si volgono verso l'isola di Lemno, verso l'Oriente da cui, pi o meno, erano arrivati i loro antenati. Questa la conclusione cui dobbiamo necessariamente arrivare, se assumiamo che la lingua etrusca si sia formata in Italia; la loro presenza deve essere peraltro molto limitata se, a parte qualche rara iscrizione, non si ritrovano nell'isola particolari resti archeologici da attribuirsi loro. Verso la fine dell'VIII secolo, con il contatto con le prime colonie greche in Italia, si assiste all'alfabetizzazione degli Etruschi. Gli Etruschi di Lemno vi arrivano anche loro, ma in maniera indipendente. Lo dimostrano le differenze grafiche nei singoli alfabeti. Verso la fine del VI secolo Milziade invade Lemno e hanno termine le scarse testimonianze etrusche nell'isola. Probabilmente a seguito di questo fatto alcuni Lemniti riparano in Italia. Abbiamo un'iscrizione composta (Fe X.4) ritrovata a Bologna (Porta S. Isaia) e risalente agli anni 400-350 a.C.: Fe 1.7: mi vetuw [k]a%lew Su%i, Io (sono) la tomba di Vetu Kathle e Fe 7.2: lemnitew, Lemnite (o il Lemnita).

APPENDICE Una rivisitazione del sistema fonologico etrusco.Nella nostra analisi sar sufficiente prendere in esame le sole consonanti mute (stops) e quelle affricate. Tradizionalmente, grazie a tanti fattori, come la forma con cui sono riportati in etrusco nomi e parole di origine greca, ovvero la trascrizione latina di nomi etruschi, si suole parlare di consonanti mute e mute aspirate (stops and aspirated stops): p; t; c, k, q per [p], [t] e [k]; , %, x per [ph], [th] e [kh]. Eventualmente si pu aggiungere che, per una maggiore funzionalit, tale sistema deve prevedere (se non sempre, almeno in talune posizioni) pi che delle mute [p], [t], [k] le loro controparti deboli, vale a dire delle [], [] e [], ma desonorizzate. Questo, tra parentesi, quanto incontriamo in tedesco, con le consonanti iniziali delle parole Partei, Tabak, Kind aspirate, e con le iniziali di Besuch, Dame, Geburt deboli desonorizzate. Per l'Etrusco, peraltro, questa analisi non del tutto soddisfacente. Un indubbio progresso si avuto con quanto determinato da H. Rix, che ha visto piuttosto, nelle consonanti aspirate etrusche, degli stop palatalizzati. Il Rix ha avuto inoltre il grosso merito di avere distinto tra una sibilante [s], indicata nei testi prevalentemente con w al nord, e con s, y al sud, ed una palatale, da lui trascritta J, presente come s al nord, e come w al sud. Questo in linea generale. In quanto a z [ts], essa sarebbe derivata, per successiva palatalizzazione, da un'antica k. I fenomeni di palatalizzazione sono ben noti; non sono prerogativa di questa o quella lingua, ma anzi, sono molto diffusi, e possono conoscere fasi successive: come [k] che diventa [t] e poi ancora [ts]. Secondo noi possibile interpretare la z etrusca come un'affricata postalveolare [t], alveolopalatale [t] o qualcosa di simile, cio una affricata che, esprimendoci alla buona, possiamo definire palatalizzata; non possibile naturalmente precisarne meglio l'effettivo valore. In quanto alla consonante che il Rix trascrive come J, e gli Etruschi, secondo gli usi del nord e del sud, scrivevano rispettivamente con s e con w, essa comunque la sibilante corrispondente all'affricata z. Per cui il suo valore dovrebbe

essere [], o []. In questo modo si giustificano meglio, secondo noi, delle forme dal greco come ziumite, Diomede e simili. Non portiamo altri esempi, che potranno essere facilmente reperiti. Preferiamo soffermare la nostra attenzione su due forme secondarie del numero due etrusco, vale a dire eslz, ed eslem, che ritroviamo nelle forme sottrattive. eslz ha il significato di due volte, e compare in Ta 1.183 e AT 1.108. L'altro termine compare in AH 1.34: eslem [z]a%rums, diciotto, e, per ben quattro volte nel Liber Linteus: LL VI.14: eslem za%rumiw, LL XI.8: eslem za%rum, ancora diciotto in entrambi i casi; LL XI.12 eslem cealxus, LL XI,17: eslem cialxuw, ventotto. Notare negli ultimi due esempi, a parte l'anomalia tra le forme in ce- e ci-, l'uso promiscuo di -s, -w. Possiamo ipotizzare una incertezza nella grafia, in un testo tardo, realizzato quando molti parlanti etruschi potevano avere una ridotta familiarit con la loro lingua e cultura originarie; ma anche che il testo stesso sia in realt il risultato di successivi accrescimenti, in cui si rispettata, da parte dello scriba, la grafia dei singoli frammenti originari. Vi sono ancora altri casi di incoerenze ma, nel complesso, verifichiamo come in genere, s e w vengano trascritte dal Rix come J e w, in sintonia con il fatto che il documento rileva un'origine settentrionale. Per cui eslem dovrebbe esser trascritto come eJlem (per noi eSlem, secondo la nostra scelta di usare comunque la trascrizione ormai classica, sottolineando la palatalit con il grassetto). Il Rix, in realt, non pu accettare la pronuncia palatale della sibilante, in quanto il termine in questione una forma secondaria di zal, in cui l'affricata non , secondo l'opinione comune, palatale, ma piuttosto dentale o alveolare. Ma, una volta che ci siamo resi conto che la pronuncia di z piuttosto [t] o [t], per cui zal [tal] o [tal], non una difficolt accettare, per la sua forma secondaria, eslem, (eslem!) la pronuncia [elem] o [elem]. Per quanto riguarda le occorrenze di eslz, in verit, non possibile fare il precedente discorso, ed abbiamo anzi una perfetta coerenza con le altre iscrizioni ritrovate negli stessi siti (rispettivamente Tomba dei Camna e Musarna/Macchia del Conte).

Altrettanto dicasi per eslem di AH 1.34 (da Bomarzo). Dunque vi sono delle occorrenze non in accordo con il nostro ragionamento; riteniamo tuttavia che ci troviamo di fronte, se non a singole incoerenze come nel Liber Linteus, almeno ad abitudini grafiche divenute tradizionali, al di l dell'effettivo valore fonetico.