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EUGENIO BURGIO,GIUSEPPE MASCHERPA «Milione» latino. Note linguistiche e appunti di storia della tradizione sulle redazioni Z e L «Polo’s book was put into Latin, and not once but twice. This is one of the most remarkable things about it. Relatively few books written in Fren- ch were translated into Latin in the middle ages; most translation was the other way, from Latin to a vernacular. Those from from French to Latin tended to be works which had come to French from some other language, even from Latin itself». Per quanto incerta nel merito, l’osservazione di J. Critchley 1 tocca un punto nevralgico della storia della tradizione del Mi- lione (o Divisament dou Monde): la cui eccezionalità consiste anche nel fat- to che un’opera pensata per l’«entertaining instruction» dei laici inesperti di latino 2 fu tradotta più volte in questa lingua, e in tal modo incorporata nell’orizzonte di interesse dei clerici, acquisendo lo statuto (di fatto, se non di diritto) di auctoritas ‘moderna’ sull’imprevista espansione dei confini dell’oecumene provocata dalla bufera mongola. Ma non si può dire che ta- 117 Struttura e contenuto di questa comunicazione sono stati da noi disposti di comune ac- cordo; in particolare, abbiamo redatto in collaborazione l’introduzione e il § 3, mentre il § 1 e l’Appendice lessicografia sono di G. Mascherpa, il § 2 di E. Burgio. In limine desideriamo rin- graziare per il loro prezioso aiuto Alvaro Barbieri, Paolo Chiesa, Philippe Ménard e Lorenzo Tomasin. 1 John Critchley, Marco Polo’s Book, Aldershot, Variorum, 1992, p. XVI. Come risulta dal- l’Index del volume (pp. 212, 214, 217) Critchley informa diffusamente sulla versione di Pipi- no e su Z, in un solo caso (p. 67) cita in traduzione inglese un breve passo dell’epitome L,e non fa alcun riferimento alle versioni LA e LB. 2 Come traspare dal vocativo del celebre incipit dell’opera (I, 1): «Seignors enperaor et rois, dux et marquois, cuens, chevaliers et borgiois, et toutes gens que volés savoir les dever- ses jenerasions des homes et les deversités des deverses region dou monde, si prennés cestui livre et le feites lire» (il testo di F – Paris, B.n.F., fr. 1116 – è citato secondo l’edizione Marco Polo, Milione – Le divisament dou monde, [º], a cura di Gabriella Ronchi, introduzione di Cesare Segre, Milano, Mondadori, 1982). Sul valore di questo VOS vd. Valeria Bertolucci, Enunciazione e produzione del testo nel «Milione», in «Studi mediolatini e volgari», XXV (1977), pp. 5-43, p. 13 (ora in Ead., Morfologie del testo medievale, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 209-41, p. 216).

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Page 1: «Milione» latino. Note linguistiche e appunti di storia ... · livre et le feites lire» (il testo di F – Paris, B.n.F., fr. 1116 – è citato secondo l’edizione Marco Polo,

EUGENIO BURGIO, GIUSEPPE MASCHERPA

«Milione» latino. Note linguistiche e appunti di storiadella tradizione sulle redazioni Z e L

«Polo’s book was put into Latin, and not once but twice. This is one ofthe most remarkable things about it. Relatively few books written in Fren-ch were translated into Latin in the middle ages; most translation was theother way, from Latin to a vernacular. Those from from French to Latintended to be works which had come to French from some other language,even from Latin itself». Per quanto incerta nel merito, l’osservazione di J.Critchley1 tocca un punto nevralgico della storia della tradizione del Mi-lione (o Divisament dou Monde): la cui eccezionalità consiste anche nel fat-to che un’opera pensata per l’«entertaining instruction» dei laici inespertidi latino2 fu tradotta più volte in questa lingua, e in tal modo incorporatanell’orizzonte di interesse dei clerici, acquisendo lo statuto (di fatto, se nondi diritto) di auctoritas ‘moderna’ sull’imprevista espansione dei confinidell’oecumene provocata dalla bufera mongola. Ma non si può dire che ta-

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Struttura e contenuto di questa comunicazione sono stati da noi disposti di comune ac-cordo; in particolare, abbiamo redatto in collaborazione l’introduzione e il § 3, mentre il § 1 el’Appendice lessicografia sono di G. Mascherpa, il § 2 di E. Burgio. In limine desideriamo rin-graziare per il loro prezioso aiuto Alvaro Barbieri, Paolo Chiesa, Philippe Ménard e LorenzoTomasin.

1 John Critchley, Marco Polo’s Book, Aldershot, Variorum, 1992, p. XVI. Come risulta dal-l’Index del volume (pp. 212, 214, 217) Critchley informa diffusamente sulla versione di Pipi-no e su Z, in un solo caso (p. 67) cita in traduzione inglese un breve passo dell’epitome L, enon fa alcun riferimento alle versioni LA e LB.

2 Come traspare dal vocativo del celebre incipit dell’opera (I, 1): «Seignors enperaor etrois, dux et marquois, cuens, chevaliers et borgiois, et toutes gens que volés savoir les dever-ses jenerasions des homes et les deversités des deverses region dou monde, si prennés cestuilivre et le feites lire» (il testo di F – Paris, B.n.F., fr. 1116 – è citato secondo l’edizione MarcoPolo, Milione – Le divisament dou monde, [º], a cura di Gabriella Ronchi, introduzione diCesare Segre, Milano, Mondadori, 1982). Sul valore di questo VOS vd. Valeria Bertolucci,Enunciazione e produzione del testo nel «Milione», in «Studi mediolatini e volgari», XXV

(1977), pp. 5-43, p. 13 (ora in Ead., Morfologie del testo medievale, Bologna, il Mulino, 1989,pp. 209-41, p. 216).

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le ‘eccezionalità’ sia stata debitamente indagata dai filologi. La mole deglistudi sulle cinque declinazioni latine del Milione attualmente note3 è com-plessivamente modesta: solo la versione Z, di cui resta parziale testimo-nianza nel codice Zelada 49.20 dell’Archivo y Biblioteca Capitulares tole-dani, ha ricevuto le cure di un’edizione critica4; restano inedite, e in so-stanza inesplorate, l’epitome L, le versioni LB (del testo di un relatore delcd. ‘Milione veneto’ o VA) e LA (traduzione del rifacimento toscano TB diun relatore VA), per le quali dobbiamo contentarci delle pioneristiche ri-cerche di Benedetto5; solo la fortunatissima traduzione del domenicanoFrancesco Pipino (P), letta ancora per tutto il XV secolo, è stata al centrodelle attenzioni di Barbara Wehr6 – ma il suo testo è di fatto inedito7, enon sono ancora definite le dimensioni quantitative della sua fortuna ma-noscritta.

Certo si tratta di opere di valore diseguale, che in alcuni casi (LB, LA) siriduce forse al grado zero della mera certificazione testimoniale di uno spe-cifico capitolo della storia del bilinguismo ‘latino-volgari’ in cui visse la Chri-stianitas medievale; ma l’importanza di certi oggetti della serie, almeno al-

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3 Lo stato delle conoscenze è in sostanza quello fissato nel 1928 dalla grande edizione in-tegrale di Benedetto: Marco Polo, Il Milione. Prima edizione integrale a cura di Luigi FoscoloBenedetto, Firenze, Olschki, 1928. Sue sono le sigle delle versioni del Milione a cui faremo ri-ferimento (con la sola correzione della sigla FG, relativa alla versione oitanica di ‘Grégoire’, inFr, per le ragioni indicate da Philippe Ménard, Le prétendu ‘remaniement’ du «Devisement duMonde» de Marco Polo attribué à Grégoire, in «Medioevo romanzo», XXII (1998), pp. 332-51).

4 Marco Polo, Milione. Redazione latina del manoscritto Z, a cura di Alvaro Barbieri, Par-ma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda, 1998.

5 Benedetto, Milione cit., pp. CV (LB), CXIX-CXXIV (LA); vd. pure il quadro riassuntivo inMarco Polo, Il «Milione» veneto. Ms. CM 211 della Biblioteca Civica di Padova, a cura di Al-varo Barbieri e Alvise Andreose, Venezia, Marsilio, 1999, pp. 37-38.

6 Barbara Wehr, A propos de la genèse du «Devisement dou monde» de Marco Polo, in Lepassage à l’écrit des langues romanes, éd. par M. Selig, B. Frank, J. Hartmann, Tübingen,Narr, 1993, pp. 633-70; Ead., Zum Reisebericht von Marco Polo in der lateinischen Fassungvon Fra Pipino da Bologna, in Latin vulgaire – latin tardif, V, Actes du Ve Colloque internatio-nal (Heidelberg, 5-8 sept. 1997), hrsg. von H. Petermann et all., Heidelberg, Winter, 1999,pp. 117-32. Wehr sostiene che P sia l’esito della traduzione non di VA ma di un originale ve-neto del Milione, di cui il testo franco-veneto sarebbe solo una versione; la sua tesi è contesta-ta, ci pare con buoni argomenti, da Alvaro Barbieri, Quale «Milione»? La questione testuale ele principali edizioni moderne del libro di Marco Polo, in «Studi mediolatini volgari», XLII

(1996), pp. 9-46, pp. 21-24 (ora in Id., Dal viaggio al libro. Studi sul «Milione», Verona, Fiori-ni, 2004, pp. 47-91, pp. 63-67).

7 Un’edizione fondata sul codice tardotrecentesco Napoli, B.N., Vindob. lat. 3273 è stataapprontata da Justin V. Prá‰ek, Marka Pavlova z Benátek Milion, V Praze, âesk. Akad., 1902(cfr. Wehr, Zum Reisebericht cit., p. 118 n. 3). Shinobu Iwamura ha procurato una ristampaanastatica dell’incunabolo 1485 (Antwerpen, Geeraert Leeu: vd. infra, § 3.2.) in coda al suolibello bibliografico Manuscripts and Printed Editions of Marco Polo’s Travels, Tokio, The Na-tional Diet Library, 1949.

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l’interno del disegno della tradizione tracciata da Benedetto8, non è secon-daria: come è noto, e come si vedrà anche in questa sede, Z e L sono apogra-fi diretti di un testimone franco-italiano dell’opera relatore di un testo piùcompleto di quello attestato dal codice parigino fr. 1116 (F); quanto alla ver-sione di Pipino, apografo di un relatore della versione VA, a sua volta versio-ne abbreviata di un testo affine per dimensioni a quello di F, lo studio siste-matico della sua tradizione manoscritta fornirebbe elementi preziosi circal’identità e i caratteri degli ambienti che conobbero e studiarono l’itinerariodei Polo sulle carte latine, e un’analisi della sua composizione testuale sareb-be un preliminare essenziale per avvicinarsi a quella straordinaria editio va-riorum che è la compilazione ramusiana9. E non va sottaciuto l’interesse spe-cificamente linguistico che queste ‘traduzioni’ rivestono, che discende dal-l’eccezionalità della situazione eziologica, il movimento a ritroso da un vol-gare al latino, che risulta allo stato degli atti disconosciuta.

La presente comunicazione si propone di offrire un assaggio di quantopuò offrire, sotto il profilo linguistico e culturale, lo scavo di una tradizionepoco considerata. Le nostre ricerche sulla fisionomia di Z e L (come s’è det-to, le versioni latine più interessanti per conoscere l’effettiva silhouette delDivisament originale), di cui presentiamo qui le prime risultanze10 (sicura-mente provvisorie e da accogliere – per le ragioni che si diranno – con par-ziale beneficio d’inventario), si sono mosse lungo due linee consequenziali.Abbiamo innanzitutto saggiato la superficie discorsiva delle due versioni

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08 Cfr. Benedetto, Milione cit., pp. CLVIII sgg. (cap. VI). Com’è noto, Benedetto pensavache l’originale franco-veneto del Milione avesse subito progressivi impoverimenti di contenu-to ogni volta che esso veniva riversato in una nuova versione, e che significative porzioni deltesto originale fossero riscontrabili in Z, L, la compilazione ramusiana (vd. infra, n. 9) e nelleversioni V (veneziana quattrocentesca, tràdita nel codice Berlin, Staatsbibl., Hamilton 424:vd. infra, n. 19) e VB (veneziana quattrocentesca, nel cod. Venezia, Bibl. del Museo Correr,Donà delle Rose 224: vd. ibid.). Sulla ricezione dell’ipotesi ricostruttiva di Benedetto vd. Bar-bieri, Quale «Milione»? cit. Chi scrive è giunto a condividere l’impostazione di Benedettodopo alcuni sondaggi sulla tradizione dell’opera poliana: vd. in merito E. Burgio e Mario Eu-sebi, Per una nuova edizione del «Milione», comunicazione a I viaggi del Milione, Convegnointernazionale, Venezia, 6-8 ottobre 2005, Atti in c.s. (prologo ecdotico all’annuncio di unanuova edizione integrale del Milione).

09 Nel 1559 uscì a Venezia, presso i Giunti, il secondo e postumo volume della raccolta direlazioni odeporiche Delle Navigationi et viaggi, impegno dell’umanista Giovan Battista Ra-musio (1485-1557), in cui si contiene la versione italiana del Milione: basata sull’innesto nelcorpo della traduzione in italiano di P dei materiali ricavati dalle altre versioni (e part. un te-ste completo di Z: il ‘codice Ghisi’ di cui si dirà in § 1.3.2.). Sulla questione restano ancorafondamentali le pagine di Benedetto, Milione cit., pp. CLVIII-CXCIII, e Benvenuto Terracini,Ricerche ed appunti sulla più antica redazione del «Milione», in «Rendiconti della Reale Acca-demia Nazionale dei Lincei», ser. VI, IX (1933), pp. 369-428.

10 Mascherpa lavora a una tesi dottorale sul testo di Z; Burgio è impegnato nell’edizionedi L – edizione che è uno spicchio preliminare della progettata nuova edizione integrale delMilione.

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partendo dal presupposto che essa vada considerata, come qualsiasi copia diun testo volgare, un diasistema – un «sistema di compromesso»11 fra sistemilinguistici in contatto: nella fattispecie da una parte il francese del modello(che, come si vedrà, è per se un diasistema), dall’altra il latino praticato dauno scrivente vulgaris eloquens. Il punto chiave ci pare in quest’ultimo dato.Che il compilatore fosse il parlante una lingua terza rispetto alle due in gio-co nella relazione posta in essere nella scrittura è il fatto su cui abbiamo vo-luto indagare: la relazione bipolare ‘latino dell’apografo / francese dell’anti-grafo’ si trasforma in schema triangolare se si consideri la possibilità che lecompetenze linguistiche primarie del compilatore entrino in contatto/frizio-ne con le altre due lingue; l’‘ipotesi di lavoro’ che abbiamo saggiato è se in inZ L siano riconoscibili tratti pertinenti capaci di trasformare in dato effet-tuale la virtualità di questo schema.

Il riconoscimento dell’‘identità’ linguistica dei compilatori delle due ver-sioni non ci interessa però esclusivamente come risultato in se stesso. Unodei capitoli del ‘libro’ degli studi poliani che merita d’essere rimpinguato èquello relativo alla ‘storia e geografia’ della ricezione del Milione; e non pourcause, se si pensa che ricerche simili dipendono, per essere stringenti e densedi fatti ‘positivi’, dalle ricognizioni sui libri manoscritti che materialmentepermisero la ricezione dei testi, e che nel caso del Milione tali ricognizioni sisono concentrate sul versante delle versioni in volgare dell’originale. Sicchésiamo bene informati sul milieu socio-culturale in cui circolarono, fra XIV eXV secolo e oltre, le versioni toscana (TA), francese (Fr) e ‘veneta’ VA, graziealle recenti edizioni di Bertolucci, Ménard, Barbieri e Andreose12; ma nonmolto sappiamo sugli ambienti e le situazioni culturali in cui si leggevano esi copiavano i codici delle versioni latine13. Così, nell’ultimo paragrafo di

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11 Il richiamo è obbligatoriamente alla nozione introdotta nella pratica ecdotica – sullascorta della riflessione di U. Weinreich, Lingue in contatto (19632), trad. it., Torino, Borin-ghieri, 1974, pp. 14 sgg. e 208 – da Cesare Segre, Critica testuale, teoria degli insiemi e diasi-stema (1976), in Id., Semiotica filologica, Torino, Einaudi, 1979, pp. 53-70; part. p. 58: «i co-pisti medievali lavorano di solito fra due poli d’attrazione: lo sforzo di rispettare l’esemplaredi cui copiano, e la tendenza a seguire le proprie abitudini linguistiche. Il risultato è un com-promesso linguistico [º]. Il risultato di questa Sprachmischung potrebbe esser definito, a mioavviso, un diasistema».

12 Edizioni che si useranno in questa sede: Marco Polo, Il Milione, versione toscana delTrecento, edizione critica a cura di Valeria Bertolucci Pizzorusso, indice ragionato di GiorgioRaimondo Cardona, Milano, Adelphi, 19822; Marco Polo, Le devisement du monde, éditioncritique publiées sous la direction de Philippe Ménard, Genève, Droz, 2001-2005 (voll. I-IV,dei sei previsti); Barbieri e Andreose, «Milione» veneto cit. (a cui vanno aggiunti i risultatidell’ottima ricerca di Angélica Valentinetti Mendi, Una familia veneta del libro de Marco Polo,Tesis Doctoral, Madrid, Editorial de la Universidad Complutense de Madrid, 1992).

13 Un buon quadro generale è fornito da Folker E. Reichert, Incontri con la Cina. La sco-perta dell’Asia orientale nel Medioevo (1992), trad. it., Milano, Edizz. Biblioteca Francescana,1997, pp. 163 sgg.

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questa comunicazione abbiamo provato a far interagire i dati del quadro lin-guistico con le informazioni che nel corso della ricerca sono emerse su codi-ci, copisti e lettori: l’ambizione – quando legittima lo diranno gli elementiprobatori presentati qui e in lavori futuri – è contribuire fattivamente al di-segno della mappa spazio-temporale della fortuna del Milione, creando lecondizioni per il riconoscimento di una nuova ‘provincia’.

1. La redazione Z

Si espongono di seguito i primi risultati dello spoglio linguistico da meeseguito sul codice zeladiano, con l’obiettivo di formulare una prima ipotesidi localizzazione sia per il manoscritto che per la versione latina del Milioneda esso tràdita.

1.1. Come osservazione preliminare, va ricordato una volta di più che ilmanoscritto Z, ascrivibile alla seconda metà del sec. XV14, è copia di una co-pia, ragion per cui non è facile stabilire sicuramente in quale misura i feno-meni riconducibili alla grammatica del volgare siano da attribuire al ‘siste-ma’ dell’ultimo copista o non, piuttosto, ai precedenti intermediari, se nonaddirittura all’autore della versione, redatta, come si evince dalla sua tradi-zione indiretta, entro il primo terzo del sec. XIV15. Inoltre, il lavoro di spo-glio è complicato dalla facies linguistica del testo, e per reperire indizi utili auna localizzazione ci si trova costretti a scavare sotto la superficie grammati-calizzante del latino, o meglio, a esplorarne con il massimo dell’attenzionequelle incrinature (grafiche, fonetiche e lessicali) che lascino affiorare la ma-trice volgare.

Spunti di riflessione interessanti e dati interpretabili con sufficientechiarezza sono comunque emersi, e soprattutto dall’analisi del lessico, per ilquale è stato senz’altro proficuo, laddove possibile, il confronto tra Z e il re-sto della tradizione. Sotto la specola lessicale, lo spoglio del latino di Z ha in-fatti rivelato la presenza, tra i volgarismi più schietti, di un corpus di lemmiche paiono ascrivibili al dominio linguistico dei dialetti veneti16: si tratta del-

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14 Tale è la datazione, basata su un esame paleografico, proposta da A. Barbieri in sede didescrizione del manoscritto, per cui cfr. Barbieri, Milione cit., p. 578. La proposta è coerentecon la notizia del codice, accolta da Baldelli-Boni nella Storia del Milione, che ascriveva Z alsec. XV senza ulteriori specificazioni; l’abate Toaldo, che ne aveva fatto trarre una copia nel1795, propendeva invece per una collocazione a cavallo tra i sec. XIV e XV (cfr. in propositoBenedetto, Milione cit., p. CLXIII).

15 Ne rende certi il fatto che, come ebbe modo di segnalare a suo tempo Benedetto, l’a-bate domenicano Pietro Calò (m. 1348) attinse da una copia integrale di Z dei passi poi river-sati nel suo leggendario, redatto prima del 1341 (vd. infra §§ 1.3.2., 3.2. e note 93-94).

16 Per informazioni di carattere storico-linguistico relative a ciascuno dei venetismi elen-

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le voci (ricostruite, dove necessario, nella forma del nominativo singolareper i sostantivi e gli aggettivi, e dell’infinito per i verbi) capera ‘ostrica’, col-tus ‘comparto’, ercolinus (erculinus) ‘pelle di animale selvatico; l’animalestesso’, fratalia ‘corporazione, associazione’, morelus ‘pilone di sostegno diun ponte’, saleçata ‘selciata’ (agg.), splengia ‘milza’, çat(t)a ‘imbarcazionepiatta da carico; zattera’17, cui si aggiungono il venetismo fonetico cavo-doium ‘capodoglio’ e la forma savo<r>nare ‘zavorrare’18 (variante di sa(v)or-rare < SABURRARE), di ampia attestazione a Venezia e nei territori che, in mi-sura diversa, vennero in contatto con la Serenissima.

1.2.0. Posto dunque l’elenco dei venetismi lessicali di Z, l’esame della lo-ro distribuzione all’interno della tradizione del Milione19 può servire a di-

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cati, e per una bibliografia completa dei volumi, saggi e repertori consultati in sede di spoglio(e da qui in poi citati in forma abbreviata), vd. l’Appendice lessicografica.

17 Si aggiungano a questi altri lessemi meno connotati dal punto di vista diatopico, macomunque linguisticamente pertinenti all’Italia settentrionale: si tratta di burchus,laborerium, panigium, rugare. Inoltre, riguardo a laborerium (sia nel senso di ‘lavoro’ toutcourt, sia in quello di ‘manufatto’) non si dimentichi che, nonostante sia voce di diffusionetroppo ampia per essere di per sé dirimente dal punto di vista diatopico (se ne trovano infattitracce nel latino medievale non soltanto del Veneto – per cui cfr. Sella it., s.v. laborerium – madi tutta l’Italia settentrionale e anche della Toscana), essa ha un immediato riscontro, in areanord-orientale, nelle forme la(v)oriero, la(v)orero (cfr. Boerio, s.v. laorièr, ma anche DEI, s.v.lavoriero2, GDLI, s.v. lavorerio); e non mi pare senza significato che, all’interno della tradizionedel Milione, la voce sia attestata soltanto in Z, nelle redazioni veneziane (V e VA3) e nella ver-sione italiana del padovano Ramusio (qui siglata R: per l’interpretazione delle sigle designantile altre redazioni considerate, cfr. supra, Introduzione e note a essa afferenti).

18 Integro <r> poiché credo (anche sulla scorta della lezione ramusiana, per cui cfr. infra,n. 26) che la forma savonare attestata dal manoscritto discenda dalla cattiva lettura di un sa-vornare dell’antigrafo. Per una discussione circa la marcatezza diatopica di savornare, cfr.l’Appendice lessicografica.

19 Nella sintetica fascia d’apparato che documenta l’attestazione delle forme discussenelle principali redazioni del Milione, il rinvio al capitolo e al paragrafo (o alla riga) pertinen-te fa riferimento, per Z, F, VA (secondo VA3, per cui cfr. infra, n. 24), TA ed Fr alle edizionicitate rispettivamente alle n. 2, 4, 5, 12 (per i capitoli di Fr non ancora editi da Ménard si citala vecchia ma ancor utile ed. Le livre de Marco Polo citoyen de Venise […], p. p. G. Pauthier,Paris, Didot, 1865, 2 voll. a pag. continua – sigla: P: per cap. e pag.); per VA2, VA5 e VB utiliz-zo le trascrizioni contenute in altrettante Tesi di Laurea dirette presso l’Univ. di Padova daLorenzo Renzi: rispettivamente M. T. Dinale, Il «Milione veneto» del ms. 1924 della Bibliote-ca Riccardiana di Firenze, A.A. 1989-90, K. Bernardi, Il «Milione veneto» del ms. 557 della Bi-blioteca Civica di Berna, A.A. 1993-94, M. G. Granieri, Il «Milione» di Marco Polo. Redazioneveneta del manoscritto Donà delle Rose, A.A. 1989-90. Quanto a L e V, le cui trascrizioni misono state gentilmente fornite, rispettivamente, da E. Burgio e da Samuela Simion (che atten-de alla sua edizione in una tesi dottorale presso l’Univ. Ca’ Foscari di Venezia), il rimando in-dica, per L, il capitolo, per V, foglio e riga. Per quel che riguarda, infine, la versione ramusia-na, che sulla scorta del modello pipiniano suddivide la materia in tre libri, in apparato si rin-via, nell’ordine, al libro (numero romano) e al capitolo (cifra araba), e l’edizione di riferimen-to è I viaggi di Marco Polo, gentiluomo veneziano, in Giovanni Battista Ramusio, Navigazionie viaggi, III, a cura di Marica Milanesi, Torino, Einaudi, 1980.

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scriminare quelli effettivamente utili alla ricostruzione delle vicende lingui-stiche della versione latina, perché propri soltanto di essa, da quelli comunianche alle altre redazioni, e quindi da considerarsi originari20.

1.2.1. A quest’ultima categoria parrebbero appartenere le voci capera21,ercolinus (erculinus) e morelus. Che tali forme, comunque diatopicamentemarcate, non siano peculiari di Z ma vadano con ogni probabilità ascritte aun testo franco-italiano collocato ai piani alti dello stemma, pare si possaevincere dall’esame della loro presenza nella tradizione.

caperaZ: caperas (107, 18), capere (107, 19), caperarum (107, 20), caperis (107, 23.26) –F: capere (CLXXIV, 13), cappes (CLXXIV, 14), cappares (CLXXIV, 16) – Fr: crapes,capes, chapes22 – L (vd. 2.2.2., n. (11)): kapas (A 151), capas (V 161, W 70), cappa(F 160) – R: ostriche, ostreche (III, 20) - TA: luogo guasto (170, 14: vd. § 2.2.2., n.(11)) – V: chapete23 (f. 103v, 17) – VA24: ostreghe (VA2, VA3 CXXXVII, 13), cape(VA5) – VB: chape (f. 276v)

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20 Sul problema del mistilinguismo nel Divisament originario cfr. almeno Valeria Berto-lucci Pizzorusso, Lingue e stili nel «Milione», in L’epopea delle scoperte, a cura di R. Zorzi, Fi-renze, Olschki, 1994, pp. 61-73. Per un sondaggio (tuttavia non sempre perspicuo) degli ita-lianismi lessicali in F, cfr. invece Carl Theodor Gossen, Marco Polo und Rustichello a Pisa, inPhilologica Romanica Erhard Lommatzsch gewidmet, éd. M. Bambeck et H. Christmann,München, Winter, 1975, pp. 133-43. Vd. inoltre infra, n. 65.

21 Oltre che in Z, la voce capere compare in F e forse nell’antigrafo di V; altrove (maanche nello stesso F) si trova per lo più la forma cape, anch’essa, probabilmente, di originelagunare (cfr. Appendice lessicografica, s.v. capera). Ciò che interessa, comunque, è che en-trambe le forme, in tutte le versioni del Milione che le attestano, sono accompagnate dauna glossa esplicativa: «ostrige de mer» (F), «oistres, ostagues» (Fr: ostagues, secondo unanota manoscritta di Ph. Ménard – vd. n. 22 – per deformazione di un *ostregue / ostrege),«ostreas» (L), «ostreghe» (V, VA5, VB). Soltanto Z attesta capere senza alcuna ulteriorespecificazione: l’assenza della glossa può indurre a credere che l’autore della versione, ouno dei copisti, fossero linguisticamente veneti, e quindi non sentissero il bisogno di espli-citare il significato della parola (per un ragionamento più approfondito sulle glosse di Z,cfr. infra, § 1.3.1.).

22 In anteprima rispetto alla pubblicazione del quinto volume dell’edizione critica da luidiretta, Philippe Ménard mi ha segnalato le attestazioni della forma nella tradizione di Fr.

23 Forse per cattiva lettura da un capere dell’antigrafo, giustificabile con la presenza, neldialetto veneziano, del diminutivo capete ‘piccole cappe’, ancora vitale nell’Ottocento (cfr.Boerio, s.v.).

24 La versione VA (il cd. ‘Milione veneto’) è testimoniata da quattro manoscritti, ma sol-tanto due di essi (VA3, ms. CM 211 della Biblioteca Civica di Padova, e VA5, ms. 557 dellaBürgerbibliothek di Berna) risultano linguisticamente veneti: il testimone più antico, VA1 (ilframmento nel cod. Roma, Bibl. Casanatense, 3999) pare invece ascrivibile all’area emiliana,mentre VA2(ms. 1924 della Biblioteca Riccardiana di Firenze) reca alcuni tratti tipici dei vol-gari della Lombardia orientale. (Per la localizzazione di VA1 vd. Alvise Andreose, La primaattestazione della versione ‘VÀ del Milione (ms. 3999 della Biblioteca Casanatese di Roma).Studio linguistico, in «Critica del Testo», V/3 (2002), pp. 655-68).

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ercolinus (erculinus)Z: ercolini (150, 34; 151, 10), erculini (164, 8) – F: ercolin (CCXVII, 23; CCXIX, 7),erculin (CCXVIII, 6) – L (vd. § 2.2.2., n. (10)): acculinas (A 186), arcorini / arculi-nas (F 195 e 196), arcolini / archolinas (V 197 e 198), arculinas (W 147) – R: ar-colini (III, 43.44.45) – TA: coccolini (204, 17) – VA: arcolini (CLIII, 17; CLV, 6) -VB: arcolini (f. 278v) Manca il riscontro in V, Fr

morelusZ: moreli (90, 15) – F: moreles (CV, 5) – Fr: motel (CIV, 16) – R: pile (II, 27) – TA:morelle (104, 5) – V: moreli (f. 60v, 11) – VA: pille (LXXXIII, 4)Manca il riscontro in L, VB

1.2.2. Ciò che accomuna i quattro venetismi coltus, fratalia, splengia eçat(t)a, differenziandoli rispetto alle voci discusse sopra, è invece l’impossi-bilità di un confronto sinottico dei passi che li contengono in Z con F e conla quasi totalità della restante tradizione, che infatti ne è priva: per tale ra-gione non è possibile stabilire se si tratti di venetismi originari, come nei casiprecedentemente sondati, o di autentiche peculiarità lessicali della versionelatina.

coltusZ: colto, coltus (91, 7.9) – R: colto, colti (III, 1)Manca il riscontro in L, V, VB, F, TA, VA, Fr

frataliaZ: fratalias (107, 166) – R: compagnie (III, 20)Manca il riscontro in L, V, VB, F, TA, VA, Fr

splengiaZ: splengiam (100, 15) – L: spleneticis (A 143; F 152; W 135), splenericis (V 158)– R: spienza (III, 13) – V: spienza (f. 100v, 5-6)Manca il riscontro in VB, F, TA, VA, Fr

çatta, çataZ: çatte (80, 16), çate (127, 19)Manca il riscontro altrove

1.2.3. Si considerino, infine, le uniche forme che parrebbero davveroutili a una localizzazione del testo tràdito da Z: cavodoium, savo<r>nare e,soprattutto, saleçata. Quest’ultima è voce genuinamente veneziana, ed è si-gnificativo che Z, nell’attestarla, si distanzi dal resto della tradizione per tro-vare una piena sintonia linguistica (e non – si badi bene – stemmatica) con itesti senza dubbio marcati da un colore idiomatico lagunare: VA3 e V25 (faeccezione VB, che adotta una soluzione – lastregatte – meno connotata e più

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25 La variante italianizzata saleggiate che compare in Ramusio è forse imputabile, invece,a un probabilissimo saleçate presente nello Z completo di cui disponeva.

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vicina a F); lo stesso può dirsi per savo<r>nare, documentato in Z e in V26,mentre il venetismo fonetico cavodoium compare soltanto nel manoscrittotoledano.

cavodoiumZ: cavodoio (123, 4) - F: capdoille, capdol (CXCI, 9) – Fr: capdos, capados, capdoilz(CLXXXV P, p. 678) – L: cadipoleos (A 166; W 84), capidolios (V 177), capidilios(F 176) – TA: capodoglie (185, 8) – VA: chapedoge, gapedoge (CXLIX, 10) – VB:chapidolio (f. 275r)Manca il riscontro in R, V

saleçataZ: saleçate (85, 32.33) – F: en astraqe (CLII, 25) – Fr: pavées (CLI P, p. 498)– L: vie[...] lapidibus co(h)operte (A 119; F 127; V 128; W 120) – R: saleggiate (II, 68) –TA: lastricate (148, 22) – V: salizade (f. 88v, 12) – VA: salizade (VA3 CXVII, 21),solade (VA2) – VB: lastregatte (f. 259v)

savo<r>nareZ: savo<r>nantur (116, 19) – F: savorent (CLXXXIII, 13) – Fr: apportent arain [...]pour savoure (CLXXVIII P, p. 654) – R: portano del rame per saorna (III, 27) – V:isavornano (f. 118r, 15)Manca il riscontro in L, VB, TA, VA

1.3.0. Alla luce dello spoglio eseguito, allo stato attuale dell’indagine èdunque possibile ipotizzare che la versione latina del Milione sia stata tra-scritta, in una fase anche piuttosto alta della sua tradizione, nel Veneto, senon addirittura a Venezia. E non si può escludere, naturalmente – ma non sihanno elementi a sufficienza per affermarlo – che fosse veneto o venezianoanche il suo autore, che la redasse sulla base di un ipotetico «esemplarefranco-italiano nettamente migliore di F»27.

1.3.1. Ad avallo dell’ipotesi formulata, si ragioni anzitutto su alcune del-le numerose glosse disseminate entro il testo tràdito dal codice toledano: eb-bene, in Z è proprio un termine veneziano come saleçate a esplicitare l’oscu-ro omologo latino solubrice (forse per trafila di errori a partire da un difficilesalebricose ‘sassose’)28, così come, altrove, il veneziano çata rende immedia-tamente comprensibile il più difficile latino ratis ‘imbarcazione piatta’; sullabase di quanto detto in sede di spoglio lessicale, si può forse pensare che en-trambe le glosse siano state redatte a uso di un lettore veneto. Per completa-re il quadro, si prenda in considerazione una terza glossa, contenuta nel se-

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26 Mentre l’attestazione del sostantivo saorna in R permette di ipotizzare la presenza diun venetismo (lo stesso savornare?) già nello Z a disposizione di Ramusio.

27 Cfr. Benedetto, Milione cit., p. CLXIV.28 Cfr. GDLI, s.v. salebricoso. Secondo A. Barbieri, «solubrice: forse per “salebrose” ‘sasso-

se’» (cfr. Barbieri, Milione cit., p. 210, n. 3).

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guente passo di Z, comune all’intera tradizione del Milione, in cui è descrittala procedura di cremazione dei cadaveri seguita dagli abitanti della città diQuinsay (cap. 85, 38-39):

Et cum ad locum pervenerint ubi combustio debet fieri, fatiunt in cartis depingisclavos, videlicet servos masculos et feminas, gamelos, drapos aureos et peccu-niam in maxima quantitate.

Soltanto in Z, e non altrove, il lemma ‘schiavo’ viene chiaramente espli-citato nella sua valenza semantica di ‘servo’, e quindi disambiguato a benefi-cio di chi, per il fatto di abitare in terre confinanti con i domini degli schia-voni, non attribuisse alla parola altro significato se non quello etnico di ‘sla-vo’29. L’ipotesi, naturalmente molto suggestiva, invita a muoversi con più diuna cautela: d’altro canto, può anche darsi che la precisazione di Z intendes-se semplicemente corredare una forma ‘nuova’, di coniazione medievale, co-me sclavus, del suo immediato referente classico, cioè servus.

1.3.2. Oltre a quanto si è detto finora, sono alcuni elementi extra-lingui-stici ed extra-testuali, legati alla storia (e alla geografia) della tradizione delMilione, a confermare il dato relativo alla diffusione del testo di Z – o, più ingenerale, di versioni più ricche ed esatte di F – nell’area nord-orientale, chedel resto costituì il primo bacino di diffusione del livre des merveilles uscitodalle carceri genovesi.

Si è già fatto cenno alla presenza di echi del testo di un antico Z nelle Le-gendae dell’abate domenicano Pietro Calò da Chioggia (vd. supra, n. 15):dettaglio che pare avallare l’ipotesi secondo cui la versione, in una veste na-turalmente meno corrotta, circolasse nel Veneto già nella prima metà delsec. XIV. Ma si considerino soprattutto le pagine con le quali Giovanni Batti-sta Ramusio introduce la sua versione del libro di Marco, e in particolare ilpasso in cui sostiene di avere integrato il testo pipiniano, servitogli da mo-dello principe, con la versione latina contenuta in una copia del libro «dimaravigliosa antichità»30 messogli a disposizione da un non meglio identifi-cato esponente del casato veneziano dei Ghisi: come già ipotizzava Benedet-to, dovette certo trattarsi di un antenato di Z, in alcuni punti più esatto e piùcompleto.

1.4.0. Questo, per quel che riguarda il testo. Cosa può dirsi, invece, circala provenienza del copista di Z? L’oscura mano che esemplò il manoscritto e

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29 Non sarà inutile notare come negli atti pubblici e privati (sia latini che volgari) redattinelle città della costa dalmata durante il periodo della colonizzazione veneziana, si attesti unaspecializzazione semantica, rigorosa e senza eccezioni, delle voci sclavus/sclavo/schiavo nel si-gnificato di ‘slavo’ e servus/servo nel significato di ‘servo, schiavo’ (cfr. Monumenta historico-juridica slavorum meridionalium, Zagabria, 1877-).

30 Cfr. I viaggi di Marco Polo cit., p. 32, n. 1.

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che lo postillò fittamente, fu anch’essa veneta? Allo stato attuale dell’indagi-ne, tale ipotesi parrebbe contraddetta dalla sinossi di alcuni indizi minuti.

1.4.1. Anzitutto, il copista manifesta incertezze nella trascrizione di alcu-ni termini che a un parlante veneto, e a un veneziano in particolare, nonavrebbero dovuto creare problemi.

Già si è argomentato (vd. n. 18) circa la possibilità che savonare non rap-presenti altro che la facile corruzione di un savornare dell’antigrafo. Vi si ag-giunga l’errata scrizione della parola coltus31, copiata in due occasioni comecolco, e soltanto in un caso restituita nella veste linguistica corretta: dietrol’ovvio fraintedimento paleografico (<c> per <t>), e dietro l’indifferenzanell’accogliere l’una o l’altra forma, lo scriba di Z svela la mancata compren-sione di un termine veneto già ben documentato nei testi raccolti da Stussi, eattestato, almeno fino alle soglie del secolo scorso, non soltanto in venezia-no, ma in un’ampia rosa di dialetti nord-orientali (sebbene, preferibilmente,nella variante non velarizzata calto)32. Ancora, l’ultimo trascrittore banaliz-za, in tutte le sue occorrenze, la voce veneziana arcolina, e trascrive (sulla ba-se di una paraetimologia) ercolini, erculini, ribadendo gli esiti prodotti daicopisti di F, TA e Fr, e diversamente dagli estensori di V, VA3, R e in parteL33, in cui la forma – tecnicismo della pratica mercantile documentato uni-camente in testi veneziani dei sec. XIV e XV34 – risulta riconosciuta e inter-pretata correttamente.

Al breve elenco delle forme venete, o più precisamente veneziane, noncomprese dal copista, è forse possibile fare un’aggiunta, corredata di alcuneindispensabili precisazioni. Soltanto in Z, e in un’unica attestazione, risultadocumentato il verbo rugare, che nello specifico ha il significato di ‘soffiare’,in riferimento allo spirare del vento (il resto della tradizione, nel passo corri-spondente, utilizza forme linguisticamente non marcate: venire, insurgereecc.). Di per sé, rugare è voce specialmente lombarda ed emiliana, e significa‘frugare, rovistare’35; a Venezia e nel Veneto, invece, rugare risulta meno dif-fuso36. D’altro canto, i dizionari dialettali attestano, per il veneziano e il po-

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31 Il dettaglio, raccolto inizialmente dall’apparato dell’edizione Barbieri, ha trovato con-ferma nella nuova trascrizione diplomatica di Z che sto approntando, come appendice allamia tesi dottorale, sulla base di una copia xerigrafica del codice gentilmente fornitami dallostesso Barbieri. Dalla riconsiderazione della lezione del manoscritto sono scaturite le osserva-zioni, esposte di seguito, riguardo alle forme rugare e splengia.

32 Cfr. Appendice lessicografica, s.v. coltus.33 Soltanto il manoscritto di L siglato V (per cui cfr. infra, § 2.1.1.) attesta la forma corret-

ta arcolini, archolinas.34 Cfr. Appendice lessicografica, s.v. ercolinus.35 Cfr. PREW, REW 2907.36 Cfr. Boerio, dove, s.v. rugàr, si documenta soltanto la locuzione antica rugar in le roane

‘dar noia’, mentre non viene fatta menzione alcuna di un uso fraseologico che faccia riferi-mento alla meteorologia.

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lesano, la vitalità della locuzione ruzàr dei venti ‘fischiare, sibilare’37. Ma tor-niamo all’attestazione manoscritta. In corrispondenza del passo in cui si nar-ra dei poteri arcani degli incantatori dell’isola di Socotera, in grado di scon-volgere gli eventi atmosferici a detrimento delle navi mercantili che si avvici-nino alle coste, si legge (cap. 123, 49):

si [naves] irent cum velis et haberent bonum ventum et prosperum, [incantato-res] faciunt rugare ventum con<tra>rium.

Nel trascrivere il verbo che segue faciunt, il copista di Z manifesta qual-che incertezza: scrive <rugr>, aggiunge in seguito <a> nello spazio interli-neare, e traccia infine un compendio per <e> soprascritto a <-r> finale. Nonè fuori luogo pensare, insomma, che l’antigrafo di Z recasse ruçar, che il gra-fema <ç> sia stato confuso, per facile errore paleografico, con <g>, e quindiche, nel complesso, un ipotetico ruçare dell’antigrafo sia stato frainteso e tra-scritto con rugare. Con ogni cautela, è possibile ipotizzare che un trascritto-re veneziano avrebbe probabilmente compreso, senza traviarla, una formalocuzionale viva nel suo dialetto, sebbene non esclusiva dell’area nord-orientale38.

Alla mancata comprensione di termini diatopicamente marcati, rivelatadagli errori di copia, si può affiancare un altro significativo dettaglio, emersodall’esame delle postille, e che pare ugualmente denotare le difficoltà di let-tura dell’antigrafo che avrebbero inficiato l’opera dell’anonimo trascrittore.Come si è avuto modo di accennare, il copista di Z infarcisce i margini delsuo manoscritto di notule più o meno estese, che di solito riassumono in po-che, spicce parole il contenuto della porzione di testo cui sono affiancate.Ebbene, in calce a un passo in cui si parla degli straordinari poteri curatividi una particolare erba, in grado di guarire «ytropicos, et habentes tysicumet splengiam» (100, 15), il copista redige un appunto nel quale intende ri-marcare le virtù taumaturgiche di quell’essenza che «liberat tropicos et tysi-cos»39: alla luce degli altri indizi raccolti, si può pensare che l’assenza dellasplengia dalla postilla sia dovuta alla mancata comprensione del termine ve-neto, e che il copista abbia preferito tacersi piuttosto che citare un signifi-cante di cui ignorava il significato.

1.4.2. Se quanto si è detto può dunque indurre a pensare, allo stato at-tuale delle ricerche, a un copista non veneziano, e forse nemmeno veneto,non si hanno indizi sufficienti per indicarne una più esatta collocazione spa-ziale.

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37 Cfr. Beggio e Boerio, s.v. ruzàr.38 Cfr. GDLI, s.v. ruzzare1.39 Barbieri, Milione cit., p. 603.

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L’unica cosa che non pare dubbia, sulla base di un esame delle grafie edelle poche spie fonetiche affioranti dal latino di Z, pare la sua provenienzadall’Italia settentrionale, come del resto suggerisce Barbieri nella nota al te-sto che correda l’edizione critica di Z40.

Ad esempio, nel codice risulta ampiamente documentato l’esito (panset-tentrionale) in affricata dentale (sorda o sonora) dei nessi C, G + E, I, cons. + J,J, e delle affricate palatali contenute nei forestierismi, anche onomastici e to-ponomastici; l’affricata dentale che ne risulta è resa graficamente con <ç> (al-cuni esempi: bonbiçinus 110, 10, lançea 103, 18, merçimonium 119, 7, splaçia110, 59, çambelotus 40, 4, çoia 53, 30, 54, 9 ecc.; tra i toponimi e i nomi pro-pri: Cayçu 81, 1, Caçanfu 65, 1, Naçagay 45, 12, Çangan 84, 21, 85, 1, ecc.).

Ben attestata risulta pure l’assibilazione della sibilante palatale (< SC lati-no, o nei forestierismi), resa graficamente con <s> o <ss>, e, seppure saltuaria-mente, con <x>, conformemente alla prassi grafica documentata dalle scriptevolgari d’area settentrionale (ambasiata 150, 20, ambaxiata 161, 1, asendere 55,22 e passim, balasi 21, 4, 6, cognosere 9, 16, disiplina 45, 2, fassa 123, 9, nasere55, 12-13, ecc.; tra i toponimi: Balaxian 21, 1, 24, 1, ecc.; risultano ipercorrettele forme scensciset 109, 34 (< sensisset), scit 165, 23 (< sit), ecc.).

Diffusissimo è l’esito scempio delle geminate (comitere 8, 10, drapi 1, 25,enarare 1, 3, necesaria 1, 15, promisio 1, 26, ecc.), cui fa da contraltare il fe-nomeno (soltanto grafico) della geminazione irrazionale, coinvolgente so-prattutto le consonanti con asta (dilligere 7, 9, inffere 8, 8-9, ittem 1, 24, sar-raceni 1, 26, tricessimus 1, 4, ecc.).

Altri fenomeni genericamente settentrionali, ma isolati, sono: un caso diforma non anafonetica (centa 107, 41); un caso di chiusura di [ò] tonica in[u] davanti a nasale (buna 110, 27); la lenizione delle sorde (graditium 91,31, mastigatio 112, 21, piçigare (pizigare) 107, 182, 107, 184), che nella formacavodoium (123, 4), come si è detto, produce un esito diatopicamente mar-cato41; infine, la risoluzione, nello stesso lemma, di [lj] in [j].

Per quanto, come si diceva in apertura, non sia facile discriminare i feno-meni ascrivibili all’ultimo copista da quelli che invece dipendono dalla tradi-zione del testo, non pare fuori luogo pensare a un copista settentrionale, con-siderato che fenomeni quali lo scempiamento e le geminazioni si riscontranosia a testo sia nelle postille, e che, per quanto lo si possa immaginare fedele almodello anche nei suoi aspetti più strettamente formali, uno scriba non set-tentrionale non sarebbe riuscito a rispettare con tale diligenza un sistema gra-fico e fonetico che non gli appartenesse: si riserva comunque a un esame ap-profondito delle grafie la possibilità di giungere all’elaborazione di ipotesipiù salde circa la stratificazione delle mani intervenute sul testo tràdito da Z.

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40 Ivi, p. 578.41 Cfr. Appendice lessicografica, s.v. cavodoium.

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1.5. Per quanto riguarda, dunque, le origini del manoscritto Z, si pensa aun copista non veneziano o veneto, ma comunque di provenienza alto italia-na: forse, tenendo conto della storia (e della geografia) della tradizione delMilione nei suoi snodi principali, non sarà lecito allontanarsi troppo dall’a-rea nord-orientale, magari considerando la possibilità che Z sia stato tra-scritto a Ferrara, dove – come è stato notato – circolavano anche altre ver-sioni del livre42.

D’altra parte, allo stato delle ricerche non è possibile dire nulla di certocirca la destinazione di Z e la fisionomia culturale del suo estensore. A ognimodo, considerato che il codice è stato esemplato in una corsiva molto pocopregiata, anzi, in talune carte, di risoluzione piuttosto frettolosa e sciatta, econsiderate la quantità e la qualità delle postille marginali, ulteriormentecorsive e ricche di compendi, è difficile pensare che chi ha tratto questa co-pia avesse in mente, per essa, un uso diverso da quello strettamente persona-le. Ancora, il fatto di riscontrare, nelle postille, un’attenzione costante e qua-si ossessiva per il credo religioso delle popolazioni incontrate da Marco Polonon basta, da solo, a indurre a pensare all’opera di un religioso, anche se iprecedenti di frate Pipino e dell’abate Pietro Calò, e l’attestazione di codicedell’epitome L trascritto a Ferrara nel 1372 da un francescano (vd. infra, §2.1.1.), indurrebbero a ipotizzare una discreta circolazione del Milione negliambienti ecclesiastici collegati con l’insegnamento accademico, e in partico-lare presso gli ordini mendicanti.

2. L’epitome L

2.0. Come s’è detto, l’epitome trecentesca43 L è inedita, e delle sue carat-teristiche sappiamo solo quanto riferisce Benedetto, che stese un referto fi-nalizzato meno al disegno della fisionomia del testo che alla definizione del-la sua posizione nello ‘stemma’; inoltre, il suo regesto dei codici ha subito unsignificativo incremento44. Sarà quindi opportuno partire da alcune infor-mazioni sulla struttura e composizione dell’epitome.

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42 Non si dimentichi che presso un convento ferrarese fu lettore l’abate Pietro Calò (vd.infra, § 3.2.); a Ferrara fu esemplato, nel 1372, il più antico codice datato dell’epitome latinaL; Ferrara, infine, è la patria del primo possessore noto del manoscritto Z, il canonico Giu-seppe Antenore Scalabrini (1698-1777).

43 Mancano elementi interni che permettano una datazione (e forse per questo Benedet-to, Milione cit., pp. CLXXX-CLXXXI evita di indicarne una). Il solo dato ante quem è il 1373,che si evince dal colofone di N.

44 Il regesto di Benedetto, Milione cit., pp. CLXXVIII-CLXXX va integrato con le segnala-zioni di A.C. Moule and P. Pelliot, The Description of the World, I, London, Routledge, 1938,p. 518 n. 133 (il cod. R), e di S. Prete, Il più antico codice degli Excerpta di M. Polo, in «Misurecritiche», IV, 1-11 (1974), pp. 5-29 (il cod. N; Paolo Chiesa mi ha segnalato l’articolo).

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2.1.1. Il testo di L è trasmesso da sei relatori, due dei quali indisponibiliperché, a quanto mi risulta, attualmente allocati in collezioni private statuni-tensi non identificate45:

A Antwerpen, Bibliotheek van het Museum Moretus-Plantin, M 16.14 – perg.,XV sec., Paesi Bassi (?), 132 ff. in littera textualis, contiene l’epitome e un brevetrattato su città dei Paesi Bassi meridionali e della Germania; tra i possessorinoti (per nota di possesso): Antwerpen, Abraham Van der Veken, marzo 1600;F Ferrara, Biblioteca Civica Ariostea, cl. II 336 – cart., XIII ex.(o XIV in.), Emilia(?), 26 ff. in littera rotunda, contiene la sola epitome; primo possessore noto:Bartolomeo Carri, fattore generale di Borso e di Ercole I d’Este (metà del Quat-trocento);V Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Cicogna 2408 (ex 2389) – cart.,52 ff., primo quarto del XV sec., Veneto, scrittura corsiva, contiene l’epitome el’Itinerarium di Odorico; copiato in Padova nel febbraio 1401 (giusta soscrizio-ne) dal notaio Filippo di Pietro Muleti di Fagagna;W Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek, Guelf. 41 Weissenburg (4125) –cart., metà del XV sec., Renania inferiore, 254 ff. in scrittura corsiva, contiene te-sti di viaggio (l’epitome, l’Itinerarium di Ricoldo di Montecroce, Odorico, laDescriptio terrae sanctae di Jacques de Vitry, l’Historia Mongalorum di Giovannidi Pian di Carpine) oltre a un testo di Ruggero Bacone e a parte delle Verrinae;proviene dall’abbazia alsaziana di Wissemburg.N New York, collezione privata – cart., 185 ff., terzo quarto del Trecento,Emilia, contiene l’epitome, l’Itinerarium di Odorico e l’Historia destructionisTroiae di Guido delle Colonne; finito di copiare (giusta soscrizione) dal france-scano Iacopino da Rimini nel dicembre 1373 nel convento di San Francesco inFerrara;R (?) Rye (New York) (?), collezione privata – cart., 38 ff. (lacunoso in fine), XV

sec. (Germania?), contiene l’epitome e una lacunosa Flos hystoriarum (tractatusde statu et conditione quatuordecim regnorum asie); primo possessore noto: Pe-trus Bondam (professore di diritto in Utrecht), ottobre 180046.

Allo stato qualsiasi resoconto su L trova dunque il suo limite in una tra-dizione solo in (buona) parte conoscibile; quello che si presenta qui è, fautede mieux, un disegno non esaustivo: forse non troppo distante dalla realtà

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45 All’altezza della stesura definitiva di questo paragrafo (gennaio 2007), ogni tentativoda me esperito per giungere all’identità dei proprietari dei codici N R non ha dato risultati.

46 Oltre alla bibliografia cit. in n. 44 relativamente a N R, le informazioni più aggiornatesui codici sono reperibili in: J. Denucé, Musæum Plantin-Moretus – Catalogue des Manuscrits/ Catalogus der Handschriften, Anvers, Veritas, 1927, pp. 153-54 (A); A[nna] Ch[iappini],scheda n. 67 in Libri manoscritti e a stampa da Pomposa all’Umanesimo, Catalogo della Mo-stra, Ferrara, Casa Romei (24 giugno-15 ottobre 1982), Venezia, Corbo e Fiore, 1982, p. 88(F); Barbara Vanin, scheda in http://www.nuovabibliotecamanoscritta.it (V); Hans Butz-mann, Kataloge der Herzog-August-Bibliothk zu Wolfenbüttel, Die neue Reihe. 10. Bd. DieWeissenburger Handschriften, Frankfurt am Main, Klostermann, 1964, pp. 161-65 (W).

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dei fatti, comunque suscettibile di correzioni e integrazioni47. Un dato parein ogni caso immediatamente usufruibile: i codici più antichi (F N V), data-bili fra ultimo terzo del Tre e inizio del Quattrocento, sono di produzioneitaliana, fra Veneto e Emilia; i recentiores – tutti quattrocenteschi – paionoriconducibili alle regioni fra Renania e Paesi Bassi.

2.1.2. In A F V W il testo si presenta suddiviso in sezioni identificabiliper la presenza di di rubriche e/o di capilettera successivi. Il numero dei ‘ca-pitoli’ così identificati oscilla fra i 150 di W e i 202 di V (190 in A, 200 in F).La distanza fra gli estremi è però riducibile, se si tiene conto che spesso Wraggruppa sotto una sola lettera capitale (è un codice con una modesta pre-senza di rubriche) due o più unità che negli altri testi (e in F) si presentanocome autonome, e che lo stesso fenomeno si verifica, ma in misura minore,in A48. In buona sostanza si può osservare che allo stato i 200 ‘capitoli’ di Frappresentano l’approssimazione più attendibile all’articolazione originaledell’epitome. Tale constatazione è rafforzata da alcuni fatti interni, derivatidalla comparazione fra testo latino e il testo di F: (a) il teste ferrarese è il piùcompleto, perché è il solo a conservare un’unità – De regno Semenat (cap.173, f. 24) – corrispondente a F CLXXXVII, Ci devise dou roiaume de Semenat,né presenta lacune o suddivisioni pertinenti di segmenti come tali identifica-ti nel resto della tradizione49; (b) V presenta un’ulteriore lacuna, e alcunesuddivisioni eccentriche di alcuni capitoli50; (c) A e W presentano un errore

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47 Conforta e dispera allo stesso tempo il giudizio di Prete (il solo studioso che abbia avu-to la fortuna di studiare il codice) che N conservi il testo «certamente […] migliore di quelliche formano il gruppo degli Excerpta». (Il più antico codice cit., pp. 28-29: giudizio nato dallacollazione del suo testo con quello di F, che Prete [p. 11] – come Benedetto, Milione cit., p.CXXX – giudica il miglior relatore allo stato disponibile).

48 W unifica in un solo segmento più capitoli in oltre una ventina di casi; segnalo come esem-pio i capp. 27 (f. 125b-d) – generato dalla fusione dei capp. F XXXV-XXXVI (Ci divise dou roiaumesde Cherman, Ci devise de la cité de Camandi), corrispondenti a A 25, F V 28-29 –, e 50 (ff. 130c-131a) – prodotto dalla fusione dei capp. F LXI-LXIII (Ci devise de la provence de Succiu, Ci dit de lacité de Canpiciou, Ci devise de la cité de Eçina), corrispondenti a A 52-54, F V 55-57. Fra i pochicasi di suddivisione che si verificano in A, segnalo i capp. 40-41 (ff. 22r-23r: De provincia Vocan, etde alciori loco mundi; De contracta Belor) che suddividono in due sezioni la materia di F L (Ci devi-se dou grandisme flum de Badascian: §§ 1-14 e 15-fine), corrispondente a F V 44, W 40).

49 Non considero pertinente, in base al criterio identificativo ‘rubrica + capolettera’, lasuddivisione interna al cap. 23 De maxima civitate Baldach (f. 4-4bis = F XXV / A 20, V 23, W22), generata dall’inserzione di una rubrica De papa sarracenorum nel corpo del testo, senzaperò capolettera e cambio di rigo successivi.

50 V in f. 24v omette il cap. F 124, f. 17-17bis (De civitate Tingingui = A 115, W 118), cor-rispondente a F CL, Ci devise de la cité de Tanchin; segnalo poi uno dei tre casi di segmenta-zione eccentrica: il cap. F 163, De corpore sancti Thome apostoli (f. 22bis = A 153, W 72 – cor-rispondente a F CLXXVI, Ci devise la u est le cors de meser Saint Thomeu l’apostoe) è in V (f.30v) suddiviso in due capitoli: 163 De corpore beati Thome apostoli e 164 De moribus habitan-ciumin hac provincia.

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di struttura che essi devono aver mutuato dal loro comune antigrafo51, inmaniera reciprocamente indipendente52.

2.1.3. Dalla collazione dell’epitome con F emerge una situazione macro-testuale abbastanza chiara53. Innanzitutto, L procede a uno snellimento del

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51 I capp. F 197-98 V 199-200 comprendono il contenuto di F CCXIX, Ci devise de la grantprovence de Rosie et de ses jens; il primo (do qui la sola lezione di F: De provincia dicta Rosya)riassume i §§ 1-9 e 15-17, il secondo (De provincia Lac) i §§ 10-12 – il testo è il seguente (f. 27;le || indicano cambio di rigo): «197. […] Ipsa enim ad occeanum durat mare, ubi sunt quamplures insule in quibus nascuntur çirifalci et falcones plurimi peregrini quos inde per diversasdeferunt regiones. De Rosia autem in Noverchiam non multum adest itineris, sed frigiditatemaxima regionis iter tale plurimum impeditur. [= F, §§ 15-17] || 198. De provincia lac. || Lacest provincia inter septemtrionem et magistrum, confinis Rosie, ubi adest rex. Gentes sunt ch-ristiani et sarraceni. Mercatores sunt et artiste; bonas habent pelles et in quantitate multa. [=F, §§ 10-12] || 199. […]» (cito di F i §§ di transizione: «17. Et si voç di que de Rosie en Oroe-ch ne a granment de voie; e se ne fust por le grant froit l’en hi poroit mout tost aler, mes por legrant froit,ne i se puet mie si bien aler.» / «10. Mes si voç conteron tout avant do une proven-ce que est entre tramontaine e maistre. 11. Or sachiés que en celle contré que je voç ai dit aune provence que est apellé Lac […]»). In A 187-88 accade che la frase «De Rosia […]» vienespostata nel cap. 188, e viene omessa la nominazione di Lac, con l’esito, certificato dalla rubri-ca di 188 (De provincia dicta Noverchiam), che le informazioni relative a Lac sono attribuite al-la Norvegia: (ff. 116v-117r) «187. […] Ipsa enim ad occeanum mare durat, ubi sunt quamplures insule in quibus nascuntur cirifalki et falcones plurimi peregrini quos inde per diversasdeferunt regiones. || 188. De provincia dicta noverchiam. || De Rosya autem in Noverchiam estpervium iter; et est provincia inter septentrionem et magistrum, confinis Rosye, ubi est rex etpotens. Gentes sunt christiani et sarraceni. Mercatores sunt et artiste; bonas habent pelles etmagni valoris. || 189. […]». In W, f. 160a-b (che riunisce i due capitoli in uno: 148, De provin-cia Rosia), si ripete lo stesso errore: «[…] durat enim usque ad occeanum, ubi sunt quam plu-res insule in quibus nascuntur zirifalsi et falkones plurimi peregrini quos inde per diversas de-ferunt regiones. De Rosya autem in Noverchiam est pervium iter; et est provincia inter sep-tentrion [sic] et magrm [sic], confinis Rosie, ubi est rex. Gentes sunt christiani et sarraceni.Mercatores sunt et artiste; bonas habent pelles et magni valoris […]».

52 A 34-35 (f. 19r-v: De provincia Dogana, De civitate Balch) inverte l’ordine del contenu-to di F XLV, Ci devise de la noble et grant cité de Balc (ovvero: la ‘scheda’ su Balc, §§ 1-5 equindi quella su Dogava, §§ 6-7), rispettato da F 39-39 (f. 6-6bis: De civitate Balch, De pro-vincia Dogava, De castro Charchan), V 37-39 (f. 13v: De civitate Balac, De provincia Dogava,De castro Taican), W 35-36 (f. 127a-b: due capitoli privi di rubrica). L’antigrafo immediato diW ha conosciuto una perturbazione dell’ordine dei fascicoli: in f. 138b si passa – senza solu-zione di continuità della sintassi della mise en page – dal cuore del cap. 69 (= F XCVIII, Co-mant de la cité de Canbalu se partent plosors voies que vont por mantes provinces = A 75, F V80) al cuore del cap. 139 (= F CLXXVIII, Encore devise de le isle de Seilan = A 150, F V 160);nei ff. 138b-145c si susseguono i capp. 69-91 (= F CLXXVIII-CXCVII / A 150-75, F 160-85, V160-86) e da f. 145c la sequenza dei capitoli torna ad essere corrispondente a quella di F edegli testi di L.

53 Tralascio in questa sede due fatti immediatamente evidenti alla lettura comparata, cherichiederebbero però un’illustrazione troppo minuta per questa sede: (a) la segmentazionedi L non sempre coincide con quella di F; (b) L sopprime quasi sistematicamente le transi-zioni di fine capitolo – quali «Or laison de cest provençe et parleron de le grant Armenie» (FXXI, 9) – che caratterizzano la segmentazione del continuum del suo discorso corografico.

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modello che riguarda non la sezione corografica del livre (tranne l’omissionedel cap. CCXX, Ci devise de boucher dou mer greignor) – né il contenuto delprolegue54 –, ma le sue parti diegetiche. Più precisamente:

(a) L sopprime la narrazione di alcuni episodi historiales, racchiusi entro la cor-nice di uno o più capitoli: il miracolo del ciabattino di Baghdad (capp. XXVII-XXIX), la guerra del Qan Qubilay con il re di Mien (CXXI-CXXIII), la conquista diMangi (CXXXIX), i conflitti fra i tartari di Levante e di Ponente (CCXVIII-CCXXXIII)55; sono inoltre soppressi tre capitoli relativi a azioni e comportamentidel Qan: il XCI (sulla caccia), il XCIX (pratiche di carità), il CIII (l’ammasso delgrano per il popolo).(b) Episodi historiales che si svolgono su più capitoli subiscono la contrazio-ne/omissione di pericopi più o meno ampie, fino alle dimensioni di un interocapitolo intero. (1) La narrazione dei fatti al centro della rubrica di F XXV (Cidevise comant la grant cité de Baudac fu prise: la fine del califfato nel 1255), i §§7-18, è ridotta a un sommario poco perspicuo (F 23, f. 4bis): «Annochristi.M°.CC°.V°. magnus dominus tartarorum nomine Alau cepit Baldach, ubiad defensionem erant plures.C.m militum absque peditibus innumeris; et tunccepit calip [sic] sarracenorum, quem mori fecit in turri plena thesaruro dicens:“Que desiderasti comede!”. Et ab hinc caruit Baldach calipha [sic] dignitate»(= A 20, f. 11v; V 23, f. 11v; W 21, f. 124c). (2) I tre capitoli dedicati da F agliAssassini (XLI-XLIII) sono ridotti a uno eliminando buona parte del cap. XLI (§§3-13) e l’intero XLII – ridotti alla sola ‘presa di parola’ dell’EGO compilatore (F35, f. 6): «Et refert d<ominus> Marchus Paulo quod fuit in partibus illis et au-divit ab habitatoribus quod veritas fuit; et modus \per/ quem iste dominus fa-ciebat ita perfidos assessinos eciam refert ut audivit, sed quia longum esset scri-bere dereliqui» (= A 32, f. 18v; V 35, f. 13v; W 33, f. 126d) –, e riducendo il cap.XLIII per amputazione dei §§ 1-8. (3) L riunisce in un solo capitolo (A 55, ff.30v-31v; F 58, ff. 8bis-9; V 58, f. 16r; W 51, f. 131a-b) la digressione sulla nasci-ta e sviluppo dell’impero mongolo che in F copre i capp. LXIV-LXVII; (4) riducea un solo capitolo (A 63, ff. 39v-41r; F 66, f. 11; V 66, f. 18r; W 57, f. 134b-d) lanarrazione della guerra fra Qubilay e Nayan (F LXXVI-LXXXI: con l’eliminazionecompleta dei capp. LXXVIII-LXXIX, dedicati alla ‘citazione’ mimetica delle amba-sceria fra i contendenti); (5) taglia tutto l’episodio del re Dor (F CVIII 1-17 /CIX); (6) Del cap. CXLVI (Ci dit de la cité de Sayanfu) sono omessi (A 111, f. 70r;

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54 Come ha indicato Bertolucci, Enunciazione cit., p. 16 = Morfologie cit., p. 218, prole-gue indica in F i diciotto capitoli iniziali (II-XIX) in cui si narra l’historia dei viaggi dei Polo, elivre la sezione descrittiva dell’opera (capp. XX-CCXXXIII: i lemmi sono quelli usati in XIX 24,«Or puis que je voç ai contéç tot le fait dou prolegue, ensi com vos avés oi, adonccome<n>cerau le livre»).

55 In generale, tutta la sezione conclusiva relativa ai conflitti fra i tartari è potentementeridotta: i capp. CCIV-CCIX sono riuniti in un solo capitolo (A 180, ff.112v-113r; F 190, f. 26; V192, f. 34v; W 143, ff. 158d-159a), con l’eliminazione dei CCV-CCVIII; i capp. CCXI-CCXIV sonoridotti nel cap. A 182, ff. 113v-114r (= F 192, f. 26bis; V 194, f. 35r; W 145, f. 159a-b), e icapp. CCXXII-CCXXV / CCXXVI-CCXXVII in A 190, ff. 117v-118r (= F 200, f. 27; V 202, ff. 35v-36r; W 150, f. 160c-d).

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F 120, f. 17; V 120, f. 24v; W 116, f. 151b-c) i §§ 4-21 (conquista mongola dellacittà).

In secondo luogo, L procede a una ‘razionalizzazione’ della dispositio del-la materia corografica. Tale procedura conosce tre specifiche declinazioni.

(a) L’epitome riordina i capitoli secondo una sequenza ‘logica’: il cap. F CLXX-VIII (Encore devise de le isle de Seilan) dedicato alla tomba del Buddha a Ceylon,viene ricondotto di seguito al capitolo dedicato all’isola, il CLXXIII (Ci devise del’isle de Seilan); da qui la sequenza ‘F 159 (f. 20bis) De insula Salan – 160 (ff.20bis-21) De monte ubi creduntur esse reliquie Adam’56.(b) L suddivide i capitoli in cui F descrive più luoghi (o affronta più materie di-verse) in altrettante unità. Per esempio, i dati forniti nel cap. XXXVII (Ci devisede la grant clinee) sono disposti in due unità distinte (cito secondo F): 30, Dealio magno descensu et de civitate Camandi [sic per Cormos] (= §§ 1-22) e 31, Dehiis que sunt inter Cormosa et Creman (= §§ 23-37)57.(c) Più capitoli tematicamente omogenei sono riuniti in una sola unità. È il caso,per esempio, dei capp. LXXXVII (Ci devise de la grant feste ke fait le grant kan desa nativité) e LXXXVIII (Encore de la feste que le kan fait de sa nativité meisme),ricondotti dall’epitome al cap. (cito F) 72, De festo natali magni chanis58.

Un lavoro esaustivo sul livello microtestuale del discorso, che repertori edescriva le pratiche di traduzione/riduzione del testo di F attivate dal com-pilatore, resta ovviamente ancora da fare59. La ripetuta lettura dell’epitome,durante la trascrizione dei relatori e nei primi abbozzi di collazione, mi halasciato persuaso che il giudizio di Benedetto sull’abilità del compilatore esulla qualità del suo lavoro possa essere confermato: «di tutti i compendi ri-cavati dal libro di Marco è questo senza dubbio il migliore», visto che esso«conserv[a] della materia quello ch’è veramente essenziale, attenendosi confedeltà rispettosa e per lo più intelligente al pensiero dello scrittore, in una

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56 Cfr. A 149-50 (ff. 86v-88v), V 159-60 (ff. 28v-29r), W 69 e 138-139 (ff. 138b-c / 157b-d).57 Ovvero A 27-28 (ff. 15v-17r), V 30-31 (ff. 12v-13r), W 28-29 (ff. 125d-126b). Riporto

di seguito, limitando i riferimenti alla sola citazione di F, le altre occorrenze di tale procedura:XLV Æ 37-39 (f. 6-6bis); LXXXVI Æ 70-71 (ff. 11bis-12); CVII Æ 86-87 (f. 13bis); CX Æ 88-89(ivi); CXXX Æ 104-5 (f. 16); CXXXVIII Æ 112-13 (f. 16bis); CLI Æ 125-27 (f. 17bis); CLII Æ128-30 (ff. 17bis-18); CLIV Æ 133-37 (f. 18-18bis); CLV Æ 138-39 (f. 18bis); CLVII Æ 140-41(ff. 18bis-19); CLVIII Æ 141-43 (f. 19); CLXIV Æ 147-148 (f. 20); CLXVI Æ 150-52 (f. 20); CXCIII

Æ 179-81 (f. 25); CXCVII Æ 185-86 (f. 25bis); CCXIX Æ V 197-98 (f. 27). (Ovviamente, regi-stro solo i casi in cui l’accordo fra i relatori è unanime).

58 Ovvero A 69 (ff. 44v-45r), V 72 (f. 19r), W 63 (f. 136a). Registro le altre occorrenze(secondo i criteri indicati nella nota precedente): XCII + XCIII Æ 76 (f. 12bis); XCIV + XCV Æ77 (ivi); CLIX +CLX + CLXI Æ 143 (f. 19-19bis).

59 Andrà p.es. verificato se e quanto la rete di pieds-de-mouche che costella i capitoli in V,scomponendoli in sottounità, trovi riscontro nell’uso dei copisti di A e F di sottolineare inrosso un certo numero di lettere iniziali di parola, capitolo dopo capitolo, e se ci sono traccedi comportamenti simili negli altri testimoni.

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forma concisa ed energica che ha spesso una distinzione ignota alle altre re-dazioni latine del Polo»60. In questa sede mi limiterò a mettere a confrontoun capitolo di L con il testo corrispondente di F, e a trarne qualche osserva-zione. Si tratta del cap. 27, De civitate Iasdi, corrispondente a F XXXIV, Ci di-vise de la cité de Yasdi; uso la lezione di F, f. 5 (= A 24, f. 13v; V 27, f. 12r; W26, f. 125b).

Iasdi est in Persia maxima civitas et nobilis et multarum mercationum, in qualaborantur panni de seta dicti iasdi. Et hee gentes adorant Machomet. Et ab haccivitate in anterius procedendo.VII. dietis <itur> continuis, ubi nusquam inve-niuntur habitationes nisi forte in tribus locis. Sunt tamen quam plura parva ne-mora et pulchra, venationibus apta. Et habentur perdices et coturnices multe;et inveniuntur similiter hic multi asini silvestres et pulchri. Et in fine harum.7.dietarum invenitur regnum dictum Cremam.

Traduzione:

1. Yasdi est en Persie meisme, molt bone citét et noble et de grant marcandies. 2.Il se laborant maint dras de soie, que s’apeles iasdi, [que les mercant les portenten maintes pars por fer lor profit]. 3. Il aorent Maomet. 4. Et quant l’en s’en partde ceste tiere por aler avant, il chevache VII jornee toute plaine, et n’i a for que entrois leus habitasion, [la ou l’en peust herbogier]. 5. Il hi a maint biaus boscet,[qeu se puent bien chavacher]; il hi a maintes chachajon de bosces. 6. Il ha perniset quatornis aseç; [et les mercant, que por iluec chevauchent, en prenent grant seu-las]; il hi a encore asne savajes mout biaus. 7. Et a chief de ceste VII jornee setreuve u<n> roiaume que est apellé Crerman [Æ Be. Ro. C[h]erman].

Segnalo di passata il sostanziale accordo di L con F nella grafia Cremam(Creman A V W) / Crerman, che Benedetto e Ronchi correggono in Cher-man, per indicare la provincia persiana di Kirman/Karman61: è su accordi dital genere che si fonda – come si vedrà subito dopo – la convinzione affattogiustificata di Benedetto di un antigrafo franco-italiano per L. Nel caso inquestione, ho sottolineato e posto fra parentesi quadre le pericopi del mo-dello omesse nell’epitome; non è difficile, credo individuare una costante dicomportamento: nessun topic è omesso, mentre scompaiono delle frasi cir-costanziali (perlopiù di tipo relativo) che funzionano da comment, fornendodettagli secondari.

2.1.4. In chiusura di questo breve accessus a L è necessario giustificarequanto finora è stato dato per implicito e scontato. Diversamente da quantoaccadde a fra’ Pipino e agli anonimi redattori di LA e LB (che utilizzaronocome modello una versione in volgare italiano dell’originale), ma cometoccò in sorte all’anonimo di Z, il compilatore dell’epitome lavorò diretta-

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60 Benedetto, Milione cit., p. CLXXX.61 Vd. G. R. Cardona, Indice ragionato di Bertolucci, Milione cit., pp. 606-7, s.v. Creman.

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mente su un testimone dell’originale62, scritto nel ‘francese’ di Polo e Rusti-chello. Uno spoglio dei loci in cui l’approssimazione o incoerenza di L risul-ta eziologicamente correlata alla lezione di F e una tavola delle grafie di et-nonimi/toponimi confermano quanto aveva già indicato con chiarezza e ab-bondanza di prove documentarie Benedetto; basteranno qui pochi esempi.

Come si vede nei casi (1) e (2), certe incongruenze di L dipendono dallalezione guasta del modello. Così è per l’‘invenzione’ del topononimo Caesse/ Taesse in (1)63:

(1)V 3 (f. 9r) [º] dispossuerunt versus oriens ante ire sperantes ad Caesse tandem

reverti posse.A 2 (f. 2v) versus orientem ire – ad sua tandemF 3 (f. 2) versus orientem – ad TaesseW 3 (f. 121b) oriens querere viam sperantes aptam esse

La lezione di F III, 9 – «Et adonc les deus frers distroient entr’aus: “[º] oralon por la voie dou levant: si poron retorner autaesse” […]» – indica l’ezio-logia, un lapsus grafematico che Benedetto e Ronchi emendano con «aut[raverse]»64. Un’eziologia simile ha il toponimo Troc(h)iorcia / Torciorciaattestato in (2):

(2)V 58 (f. 16r) [º] tartari manebant in partibus septentrionis in loco dicto Trocior-cia [º]A 55 (f. 30v) septemtrionalibus – TorciorciamF 57 (f. 8bis) septemtrionisW 51 (f. 131a)septentrionalibus – Trochiorciam

È la lezione di F LXIV, 3 ad aver ‘generato’ il toponimo: «[º] les Tartarsdemoroient en tramentaine entro Ciorcia [º]» è una bevue che richiedeemendazione; la soluzione proposta da Benedetto e Ronchi – «tram[o]ntai-ne ent[or] C.» – trova il conforto di Fr 63, 6-7: «[º] les Tartars demouroienten tramontane entour Siorcia [º]».

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62 Uno o più testimoni. Come già riconosceva Benedetto, Milione cit., p. CLXXXI, L con-serva frammenti di testo originale non tramandati da F; d’altra parte, i dati forniti in Burgio-Eusebi, Per una nuova edizione del «Milione» cit., § 2.3.1. mostrano chiaramente come L con-divida con F alcuni errori significativi; per spiegare questa contraddizione abbiamo in quellasede ipotizzato che il compilatore di L utilizzasse due testimoni distinti (uno più completodell’altro) dell’originale franco-veneto. L’ipotesi è ancora da dimostrare.

63 La registrazione della voce dei relatori nelle ‘schede’ che seguono è elaborata sul mo-dello degli apparati negativi: sono così riportate solo le varianti, formali e di sostanza, alla le-zione prescelta come base – in questo caso V, per permettere il ‘recupero’ di certe sue caratte-ristiche grafematiche di cui si parlerà in § 2.2.1.

64 E si noti la disposizione dei relatori rispetto al guasto: V F restano fedeli al modello,mentre A e W reagiscono (con interventi variamente graduati: dalla soppressione alla rielabo-razione più articolata).

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In generale, nei toponimi e negli etnonimi L mostra una sostanziale fe-deltà agli usi grafici di F. In (3) – luogo estratto dalla breve narrazione sugliAssassini – essa si esibisce congiuntamente alla conservazione di un luogoguasto dell’antigrafo:

(3)V 35 (f. 13v) [º] Mulecte est quedam contracta et sonat in lingua nostra Sar-rain [º]A 32 (f. 18r) de SarainF 35 (f. 6) de SarramW 33 (f. 126d) de Saran

La lezione di F – XLI, 1: «Mulecte est une contree la ou le Viel de la mon-tagne soloit demorer ansienemant; Muleete vaut a dire de Sarain» – presen-ta, secondo Benedetto e Ronchi, una lacuna, sanabile con l’ausilio di Z 17, 1(«[…] in qua patria habitabant heretici secundum legem sarracenam […]»):«[…] dire <heretiques selon la loy> de Sarain»; ma qui importa la riprodu-zione letterale di Sarain, lemma che in L appare un’altra volta soltanto, in unluogo in cui, grazie al contesto, in tre codici su quattro è volto correttamente(e verosimilmente per iniziativa poligenetica) in ‘saraceni’. Mi riferisco a (4):

(4)V 21 (f. 11v) [º] et in montanis huius regionis habitant gentes dicte Card [º].E t

quidam sunt Sarain adorantes Maomet [º]A 19 (f. 11r) Sarraceni adorantes MagumetumF 20 (f. 4) Saraceni adorantes MacometW 21 (f. 124b) Kard – Sarazini adorantes Machomet

In F XXIV, 8.9 il passo recita: «Et en les montagnes de cest regne demo-rent jens ke sunt apelés Card [º]. Le une partie sunt sarain, que aorent Mao-met [º]» (Benedetto e Ronchi emendano «Card» in «C[u]rd»).

Altrove l’incongruenza di L dipende dalla cattiva comprensione del mo-dello da parte del compilatore. In (5) l’avverbio temporale adonc / adont èstato confuso con la prima parte del nome del sultano di Babilonia:

(5)V 12 (f. 9v) Interim soldanus Babillonie nomine andonch bondoc dairec [º]A 10 (f. 6r) audoch boudoc dairoF 11 (f. 3) andoch bondoch dayroW 12 (f. 122b) andoch bondoe days

F XIII, 7 «[º] adonc Bondocdaire, que soldan estoit de Babelonie [º]»,segnala chiaramente, in accordo con Fr 12, 17-18 («[º] adont Bendocque-dar, soudan de Babiloine […]»), l’eziologia dell’‘invenzione’ latina.

La traduzione registra come un fine sismografo pure l’instabilità dellalingua certificata da F: che, come si sa, è attraversata da una corrente di ita-

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lianismi tanto evidente quanto di difficile attribuzione, vista l’estrema diffi-coltà di fare le parti sia fra l’apporto di Polo (che verosimilmente parlava escriveva un volgare veneziano non molto diverso da quello dei documentiraccolti da Stussi o del trecentesco Zibaldone da Canal) e l’infranciosato au-tore del Meliadus, sia fra la lingua dell’originale e quella del copista italianodel codice parigino fr. 111665. Mi limito qui a una sola scheda, la n. (6). Sitratta di una breve pericope tratta da un capitolo sui costumi dei mongoli,che nei loro spostamenti a cavallo portano con loro delle bisacce di cuoio66:

(6)V 60 (f. 16v) modica secum portant in duos botacios de corioA 57 (f. 34r) boccaceosF 58 (f. 9bis) botaciosW 57 (f. 132b) bocaciosF LXX, 19 il portent deus bataies [Æ Ben. Ro. b[u]taies] de cuirVA LV, 22 e zaschaduno à do botazi de chuoroP I, 59 Quilibet enim secum duos flascones de corioFr 69, 59-60 chascuns a.II. bousiaus de cuirTA 69, 18 egli portano bottacci di cuoioV 36 (f. 37v) non porta alguna chossa chon loro, zoè de vituaria, seno unovaxo de

chuoro in lo qual eli meteVB 56 (f. 242r)chadauno àno uno udro o doiZ manca il capitoloR I, 47 portano seco vasi

L’emendazione Benedetto-Ronchi, butaies, non mi pare felice; in ognicaso, quale che fosse la forma originale, essa appartiene a un francese ‘inven-tato’. Il solo lemma attestato che in antico francese somiglia alla forma di F èbotage (lt. med. BOTATICUS / BOTAGIUM), che indica la tassazione sul vinovenduto in botti67; a quanto pare, la forma poliano ‘traveste’ in francese un

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65 Si veda l’equilibrata messa a punto di Cesare Segre (in Marco Polo: Filologia e industriaculturale, conversazione registrata in C. Segre, G. Ronchi e M. Milanesi, Avventure del «Mi-lione», Parma, Zara, 1983, pp. 7-20, pp. 11-12): «che ha fatto Marco Polo? Ha dettato a Ru-stichello, il quale nello scrivere ha tradotto, oppure ha passato a Rustichello dei materiali (inche lingua?) che questi ha elaborato, oppure ancora Rustichello ha preso appunti mentreMarco Polo gli raccontava e poi ha lavorato su questi appunti? Sono tre ipotesi, le ultime duealtrettanto probabili (meno la prima per la scarsa praticità di questa traduzione estempora-nea di un racconto) ma nessuna delle quali riesce a trovare conferme decisive». Si noti che ledomande di Segre tendono indirettamente a escludere l’ipotesi, in molti aspetti per noi con-vincente, avanzata da Franco Borlandi, Alle origini del libro di Marco Polo, in Studi in onoredi Amintore Fanfani, I, Milano, Giuffrè, 1962, pp. 105-47, che Rustichello lavorasse a partireda appunti in veneziano di Polo, probabilmente redatti nella forma di una pratica di merca-tura). Vd. poi la bibliografia cit. supra, n. 20.

66 Cito P secondo l’incunabolo del 1485 (Iwamura, Manuscripts and Printed Editions cit.).67 Vd. F. Godefroy, Dictionnaire de l’ancienne langue française […], Paris, Vieweg, 1880,

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italiano ‘bottaccio / bottazzo’, ovvero ‘fiasco, barilotto’: derivativo di ‘bót-te’, «ampiamente attest. anche in questi sign. nei dial. sett. della sezioneor.»68. Il compilatore di L si è limitato a ‘latinizzare’ un italianismo, creandoun lemma che (salvo errore) allo stato è un hápax non registrato nei diziona-ri; e mi pare significativo che la forma sia stata mal compresa da copisti nonitaliani69.

2.2.1. Come s’è detto, L è un oggetto linguistico posto al centro di uncampo tripolare, i cui poli sono occupati dal ‘francese’ dell’antigrafo a di-sposizione del compilatore, dal latino da lui scelto come vettore dell’atto tra-duttorio, e infine dalla sua lingua-madre, il volgare x che egli verosimilmenteutilizzava quando abbandonava i suoi panni di ‘mediatore’ linguistico. Laquestione è se la superficie discorsiva di L conservi tracce pertinenti all’i-dentificazione di x.

In questa ricerca di tratti diatopicamente marcati la la dimensione fone-tica non soccorre affatto. In generale, in A F W il latino presenta una super-ficie discorsiva uniformemente priva di crepe: è il latino scritto della tradi-zione scolastica, appreso nel Medioevo occidentale dalla frequentazione de-gli auctores, ‘internazionale’ perché privo di segni che rinviino a ‘ecosistemi’locali; solo V porta i segni di un’inflessione ‘locale’, sua o del suo antigrafo:un’inflessione che inclina al volgarismo e al solecismo morfologico70, ed ècollocabile nell’Italia settentrionale per il trattamento delle consonantiscempie/geminate e della coppia sibilante [s]/[?]71 (si noterà che questi trat-

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I, p. 692b, s.v., e J. F. Niermeyer, Medium Latinitatis Lexicon minus, Leiden, Brill, 1976, p.102 s.v. botaticus.

68 M. Cortelazzo e P.Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, Zani-chelli, 1979, I, p. 158 s.v. bottàccio1.

69 Se qualche dubbio di lettura può sussistere per la littera textualis di A, la cosa è chia-rissima nella corsiva di W.

70 Volgarismi: auro per aurum (25, 12r), viagio (49, 15r), pellegrini (61, 17r), cintum (65,18r), le incertezze su [ns] in discessio (3, 9r) e instorialiter (16, 10v), la resa di [x] in ambasia-tores (7, 9v), destrarii (26, 12r); solecismi di flessione: utarentur (25, 12r), condolunt (30, 13r).(Qui e nella nota seguente si offre una registrazione a campione delle occorrenze attestate neiprimi dieci fogli (9-18) dell’epitome nel cod. Cicogna, citate per capitolo e foglio).

71 Consonanti scempie/geminate: (a) raddoppiamenti irrazionali: dispossuit (1, 9r), trans-sire (5, 9r), missit (7, 9v), misseracione (12, 10r), impossuerat (15, 10r), menssibus (16, 10v),pisscium (20, 11r) etc., honoriffice (2, 9r), pontifficem (7, 9v), reffert (35, 13v), sacrifficia (52,15r) etc., familliam (8, 9v), privillegiis (12, 10r), parentella (15, 10v), popullus (24, 11v) camel-los (57, 16r), ellongata (58, 16r) etc., comittes (15, 10v), uttuntur (44, 14v); (b) geminate Æscempie: aflictione (25, 11v), teram (2, 9r), guera (3, 9r) curunt (29, 12v), aborens (35, 13v), co-respondens (60, 16v) etc., sumum (7, 9v), comissit (7, 9v) etc., solicite (6, 9r), capilos (20, 11r),bulare (60, 17r) etc., litere (16, 10v), gutam (32, 13r) etc., asuptis (12, 10r), grositudinis (29,12v), tapeti (18, 11r), gibum (29, 12v), sica (34, 13v) etc. Nessi consonantici: eglesia passim,oviam per obviam (12, 10r), propium per proprium (16, 10v), perasides per perapsides (44,14v), i già citt. ambasiatores e destrarii. Trattamento delle sibilanti: descideret per desideret (5,9r), ambasiatores cit.; si noti infine la grafia occaxione (29, 12v). (Segnalo in questa nota solo

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ti, se non discendono dall’antigrafo, sono coerenti con la silhouette del copi-sta disegnata dalle due soscrizioni in ff. 36r – dopo l’epitome – e 46v – dopol’Itinerarium di Odorico da Pordenone –72: uno studente «in rhetoricaliscientia» residente a Padova nei primi del Quattrocento).

2.2.2. Il terreno su cui muoversi è, nuovamente, quello lessicale. Ma, di-versamente da quanto accade in Z, L non registra lessemi che siano una suaesclusiva; le entrate lessicali che paiono interessanti appartengono allo stratocomune della tradizione, e rimontano quindi al fondo ‘originale’ del testopoliano. Si tratta di un mannello invero modestissimo di occorrenze (in par-te coincidenti con quelli segnalati da Mascherpa per Z), che si qualificanoperché attestano la persistenza di un lemma di sicura localizzazione anche inrelatori che si pongono al di fuori della sua area di origine: ovvero, gli esem-pi che discuteremo riguardano lemmi attestati in tutta la tradizione a noi no-ta73. Tale fatto va sottolineato perché in altri casi la distribuzione delle formesi limita a confermare quanto sappiamo da fonti extra-linguistiche sulla lo-calizzazione dei relatori. Nella scheda (7) i testimoni di L rendono come se-gue F LXXXIV, 19 «Et de l’un cant d’enver maistre a un lac [º]» (Fr 83, 72:«Et a l’un cornon devers maistre a un lac [º]»):

(7)V 68 (f. 18v) A parte huius versus maistrum est pulcer lacus»A 65, (f. 42r) magistrum – pulcrusF 67 (f. 11bis) = VW 59 (f. 135b) in agrum

Maistre < MAGISTRU(M) (F V) si pone alla perfetta confluenza fra il vene-ziano maistro e l’oitanico maistre74, ma la distribuzione delle forme (F V vs

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le occorrenze delle forme ‘eccentriche’: naturalmente il latino di Filippo da Fagagna conosce,per ognuno dei fenomeni in questione, anche le grafie ‘corrette’).

72 Riporto la seconda (f. 46v), che ripete e arricchisce le informazioni offerte nella prima:«Ad laudem omnipotentis cuiusque gloriossissime genitricis virginis Marie, nec non glorios-sissimum appostolorum Phylippi et Jacobi tocius que celestis celestis [sic] curie supernetriumphantis amen. Ego Phylippus natus ser Petri de Fegan, publicus et imperiali auctoritatenotarius, scripsi istos libros, scilicet extracta et translata de libro domini Marchi Paulo de Ve-neciis de diversis provinciis et regnis Asie maioris et de diversis moribus habitancium et demultis mirabilibus in hiis locis et novitates quas notavit frater Odoricus in peregrinatione suaetc. Et ipsos explevi die martis 15 mensis februarii, die carnisprivii, hora tercia, dum morabarPadue pro afirmatore Antoni filii quondam nobilis viri Raymundi Suluman, in contrata He-remitarum, tempore quo studebam in rethoricali scientia, legente magistro Marino de Recha-nato, currentibus annis Domini 1401, inditione 9a, die ut supra».

73 Si tenga conto che, se non mi sono sbagliato, A W sono portatori indipendenti della le-zione di un antigrafo comune.

74 Vd. Boerio, s.v. maistro; banca dati del Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (http://www.vocabolario.org), s.v. maistro, A. Tobler u. E. Lommatzsch, Altfranzösisches Wörter-buch, Wiesbaden, Steiner, 1925-, V, col. 917, s.v. maistre.

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A magistrum / W in agrum – quest’ultima evidente svarione generato da unacattiva lettura di un magistrum in scrizione abbreviata) conferma solo la ‘set-tentrionalità’ italiana delle copie ferrarese e veneziana.

Pochissimi lemmi paiono suggerire come verosimile una localizzazioneveneta dell’epitome. Procedo per probabilità crescente. I primi due si collo-cano su un terreno non troppo sicuro, reso assai scivoloso dalla cooccorren-za, nella tradizione del Milione, di grafie in <c>, <ç>/<z>, <j>/<g> che, nel-le diverse redazioni, paiono rinviare a un’affricata palatale [dÏ] o alla dentale[ts]75.

In F LXXIII, 4 si registra che nella città di Calacian si produce «giambel-lot de poil de gamiaus», il ‘ciambellotto’, un tessuto di pelo di cammello.L’esito in L è il seguente:

(8)V 63 (f. 17v) çambeloti ex pilis camellorumA 60 (f. 37r) camelotiF 63 (f. 10) çambelottiW 55 (f. 133c)cameloti

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75 Si prenda in considerazione la resa di alcuni lemmi relativi a toponimi/etnonimi(‘Georgia’ / ‘giorgiani’) e a res del mondo animale / vegetale / commerciale (‘ciambellotti’,‘giraffa’, ‘girifalco’, ‘zenzero’, ‘zibellino’), che nel codice parigino di F sono trascritti ricorren-do ai grafemi con i quali si rappresenta l’affricata palatale [dÏ]; tenendo da parte per il mo-mento ‘ciambellotti’ e ‘zibellino’ – di cui ci si occuperà a testo – si tratta di Jorgienie (XXIII 1)e Jorgiens / Giorgiens (XXII 13, XXIII rubr.); giraf(f)e (CXCII 10, CXCIII 49), gerfauc (XIX 11) /jerfaut (LXXI 9), gengibre / genbiber (CX 3 etc.) (vd. Elgrid Kaiser, Der Wortschatz des MarcoPolo, Diss. zur Erlangung des Doktorgrade (Ref. Theodor Gossen), phil. Fakultät der Uni-versität Wien, 1967, pp. 52, 54, 71). Negli italiani F V la resa grafica di <g>/<j> è regolar-mente <ç> (o <z>); qualche esempio:

F: çyraffas (178, f. 24bis), çirifalcos (16, f. 3bis), çinçiber (88, f.13bis) / zinçiber e zinzi-ber (138, f. 18bis); Çorçia (19, f. 4), çorçiani (24, f. 4bis);

V: çiraffa (177, f. 32v), çirifalchi (62, f. 17v), çinziber (88, f. 21r); Çorçia (19, f. 11r);i codici non italiani A e W (il primo in misura maggiore del secondo) presentano corri-

spondentemente grafie in <g> (sporadicamente in <j>), ma non mancano rese grafematichein <c>, <z> /<s>:

A: ciraffas (171, f. 108r) / syraffe (165, f. 104v), gerefalco (63, f. 41r) / gerifalki (63, f.41r) / girifalki (75, 50v) vs cirifalcos (14, f. 8r) / cirofalki (58, f. 35v), gingiber (4 occ.)vs zingiber (7 occ.); Corcia (17-18, f. 9v; e cfr. la grafia eccentrica Norcia, ivi);

W: siraffa (84, f. 143c) / ziraffas (f. 143d), girifalki (69, f. 138a) vs cyrifalkos (16, f. 136a)/ zirifalsi (148, f. 106b); jorciani (23, f. 124c) vs Zorcia (19, f. 123d) (e cfr. le grafie ec-centriche Gercia [24, f. 124c], Cercia [20, f. 123d], Tercia [ivi: quest’ultima esito vero-simile della cattiva lettura di una <C> in un modello in scrittura gotica]).

La distribuzione delle forme non ha però effettivo valore euristico: perché (a) la dissemi-nazione di grafie in <ç>/<c>/<g> per contesti ‘[dÏ] /[ts] + VOC. PAL.’ è – come mi confermaTomasin – fatto endemico nei codici italiani tardivi, e privo per se di pertinenza diatopica; (b)non si possono escludere, per i codici A W (di area germanica), interferenze con la pronunciagermanofona del latino medievale.

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Giambellot denuncerebbe, nell’affricata sonora, il ‘travestimento’ cen-tro-italiano (opera del copista del fr. 1116?) di un lemma che forse nellacompetenza linguistica di Polo non doveva essere diverso dallo çambellotiattestato nello Zibaldone da Canal, e che il dizionario veneziano di Boerio re-gistra nella forma cameloti. D’altra parte, la Pratica della mercatura del fio-rentino Pegolotti (1350 ca.) registra per due volte la forma gambellotti76, chepotrebbe benissimo porsi come ‘antigrafo’ del cameloti di A F.

Il secondo caso concerne lo ‘zibellino’. La resa nell’epitome di F XCIV,21.22 – «[º] Et dedens sunt toutes d’armines et de jerbelin [º]. la pelle degebbeline [º]» – è attestata come segue:

(9)V 77 (f. 20r) [º] circumdate per totum pellibus armelinis et çambelinis [º] pelles

çambeline [º]A 72 (f. 48r) cambellinis – pellibus zabilinisF 76 (f. 12bis) pelles zambellinisW 66 (f. 137b) zambellinis – pellibus zambelinis

Jerbelin / gebbeline sarebbero nuovamente ‘travestimenti’ centro-italianidell’a.fr. sabelin / sebelin (lt. med. sabelinus), che in area veneta veniva tra-scritto coi grafemi attestati in L (ed è interessante la grafia <zabilinis> in uncodice come A, che normalmente ricorre alla <c> in presenza della <ç> dialtri testimoni): nel codice marciano fr. IV (= 225) della Chanson de Roland(V4: trascritto nel trevigiano fra il 1320 e il 1340/1345) il v. 361 suona«Gains desfluba son mantel çambelin»77.

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76 Giambellotti è la sola entrata presente in TA: vd. i capp. 72, 5 (2 occ.), 73, 7 e 115, 6 (sitratta delle sole occorrenze registrate nel TLIO; vd. inoltre GDLI, s.v.); cfr. quindi Boerio, s.v.camelòto, e Zibaldone da Canal. Manoscritto mercantile del secolo XIV, a cura di A. Stussi, Ve-nezia, Comitato per la pubblicazione delle fonti relative alla storia di Venezia, 1967, p. 109, r.23; si può ricordare che zambilottus è attestato in Du Cange, VIII, p. 427a («ex ital. zambelot-to») a partire dall’occorrenza in P I, 64: «Fiunt quoque ibi zambilotti optimi de pilis camelo-rum»). Le occorrenze in Pegolotti emergono dall’interrogazione del TLIO, s.v. In L la distri-buzione F V <çambel(l)oti> / A W <cameloti> è stabile; vd.: (a) V 64 (f. 17v) «çambelloti expilis camellorum» (varr.: A 61, f. 37v, cameloti – F 63, f. 10, çambelotti – W 56, f. 133c, came-loti) ¨ F LXXIV, 6 «çamelloit de poil de gamaus»; (b) V 94 (f. 21v) «Fiunt eciam hic multi çam-belloti et panni de seta et auro» (varr.: A 87, f. 58r cameloti – F 93, f. 14bis, çambelotti – W97, f. 147b cameloti) ¨ F CXVI, 7 «en ceste provence a gianbelot asseç et autres d’or et desoie».

77 Cfr. Fr 92, 102-5: «[º] Et par dedens sont toutes fourrees d’ermines et de sebelin[º]. la fourreure d’un sebelin [º]». Su giambellino (attestato solo in TA) vd. GDLI, s.v.: «va-riante di area toscana (sec. XIV) del veneto zambellino ‘zibellino’». Vd. infine Il testo asso-nanzato franco-italiano della «Chanson de Roland»: cod. Marciano fr.IV (= 225), edizioneinterpretativa e glossario a cura di Carlo Beretta, Pavia, Università degli Studi, 1995, pp.XVIII (datazione/localizzazione del codice) e 418, s.v. çambelin (‘di zibellino’: con biblio-grafia).

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Il lemma ercolinus, ‘pelle di animale selvatico / animale selvatico’ (vd. in-fra, nell’Appendice lessicografica) è attestato da L, anche nella variante vene-ziana arcolina. La traduzione di F CCXVII, 23 «ce sunt gibeline et ermin etvair et ercolin et volpes noires» manca in A 185 (f. 115r) e W 146 (f. 159d),ma presenta un’esito sostanzialmente omogeneo in V 197 (f. 35v) «armeriniarcolini et çambellini et vulpes nigre» e F 195 (f. 27) «armelinis arcoriniçambelini et alie quam plures»; più istruttivo il caso (9), in cui F CCXVIII, 6«il ont gebelline [º] il <ont> ermi<n>; il ont erculin et vair et voupes noires»è reso come segue:

(10)V 198 (f. 35v) çambellinas armerinas varias archolinas et vulpinas nigrasA 186 (f. 116r) ermelinas cambellinas […]acculinas vulpinas nigrasF 196 (f. 27) çambelinas armelinas [º] arculinasW 147 (f. 160a) ermelinos zambelinas varias arculinas vulpinas nigras

Qui, a fronte della manifesta incomprensione di A sta l’accordo fra W,copia di un amanuense renano, e F, in una forma sostanzialmente vicina aquella di V.

L’ultimo lemma è attestato nella ‘scheda’ relativa alla grant provence deMaabar, nella pericope sulla raccolta delle perle. In F CLXXIV, 13.16 si spiegache nelle acque prospicienti alla regione

[…] il treuvent laiens capere que le ome apellent ostrige de mer; et en cesteostrice se treuvent les perles [º] car les perles se treuvent en la charç de celz cap-pes [º] ne i se trovent plus de cestes cappares.

Ronchi corregge cappes e cappares in capperes: emendazione che non mipare necessaria, specie se teniamo in conto la testimonianza dei relatori diFr, citati supra in § 1.2.1. Ma ecco cosa si trova nei codici L:

(11)V 161 (f. 29r) [º] piscantur capas quasdam sive hostreas in quibus inveniuntmargaritas [º] piscanturque dictas capas que et ostree marine dicuntur [º]A 151 (f. 89r) kapas – inveniuntur margarite – piscantur ostrias maximasF 160 (f. 21) piscantur quasdam parvas ostregas in quibus – cappa que etostrege

marineW 70 (f. 138c-d)ostreas – inveniuntur margarite – piscantur ostreas maximas

W è il teste che presenta il ‘travestimento’ latino più accurato – ostreas,margarite –, e alla luce della sua indicazione risalta ancor più fortemente latestimonianza di A in accordo con F V nel registrare una forma, kapas, che èlatinizzazione di un lemma tuttora presente in tutti i dialetti triveneti – dalpolesano al roveretano all’istriano – a indicare i molluschi bivalve, e che nonè registrato da nessun dizionario mediolatino (e si può pure aggiungere che

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P III, 23 ricorre alla perifrasi «conchilia in quibus sunt margarite»)78; e non sipuò non notare il veneziano ostregas attestato da F, isolato nella tradizione diL ma con buona sponda in F e nella tradizione di Fr. È certo vero che questilemmi appartengono allo strato più profondo della tradizione del Milione,ma non va trascurato il fatto che i copisti dei nostri codici si dimostrano ocapaci di comprenderne il significato, o fedeli trascrittori di un testo in cuicomunque tale comprensione era stata un fait accompli: uno scatto cognitivoche non è avvenuto, per esempio, nel compilatore della versione toscana(TA 170, 14):

Quando questi uomini alogati vanno sott’acqua […], e’ vi stanno quanto posso-no, e pigliano cotali pesci che noi chiamiamo [ost]reghe: in queste [ost]reghe sipigliano le perle grosse e minute d’ogne fatta.

[Ost]reghe è «recupero, forse azzardato, dell’originario venetismo»,operato da Bertolucci: come risulta dall’apparato (p. 458) il codice-base TA2

(Firenze, Bibl. Naz., II.IV.136), legge areghe («ma in ambedue i casi la a ini-ziale su correzione grossolana di un gruppo di lettere (forse tre) preceden-ti»), e gli altri arringhe («evidente trivializzazione indotta dal precedente pe-sci»).

3. Qualche considerazione sulla storia e la geografia della tradizione poliana

3.0. I materiali ricavabili dall’analisi linguistica di L sono, come si vede,ancor più modesti di quelli emersi dallo studio di Z; ci pare tuttavia che sene evinca una, sia pur tenuissima, indicazione: entrambi i testi paiono esserestati composti in area veneta, e forse il loro epicentro si può collocare nellazona veneziana. È un’ipotesi da maneggiare con grandissima cautela, ma chepuò – allo stato attuale della ricerca – essere messa in relazione con quantosappiamo sulle condizioni materiali della ricezione del Milione nell’Italiasettentrionale dei primi decenni del Trecento. I dati disponibili ci permetto-no di fissare alcuni punti fissi in una mappa che da Venezia si espande versosud-ovest fino all’Oltrepo bolognese: le informazioni che presentiamo, è be-ne dirlo subito, servono meno a creare un ‘effetto di reale’ finalizzato arafforzare quanto si dirà in conclusione che a costruire la cornice fattualeentro cui collocare nuove ricerche e scavi sui testi.

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78 Alla bibliografia cit. da Mascherpa nell’Appendice lessicografica, s.v. Capera, si aggiun-ga Angelico Prati, Etimologie venete, a cura di G.Folena e G. B. Pellegrini, Venezia-Roma,Istituto per la Collaborazione Culturale, 1968, pp. 35 (s.v. capa) e 116 (ostrega). Quanto ai di-zionari mediolatini, oltre a Du Cange, II, p. 110b e Niermeyer, p.129, s.v. capa, vd. pure A.Blaise, Dictionnaire latin-français des auteurs chrétiens, Turnhout, Brepols, 1954, p. 131 s.v.cappa.

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3.1. Innanzitutto, i codici antiquiores di L: composti fra la seconda metàdel Tre e l’inizio del Quattrocento, si dispongono lungo l’asse Padova-Ferrara.

La presenza di F nella capitale estense pare attestata almeno dalla metàdel Quattrocento, se ha un fondamento l’attribuzione del suo possesso, pro-posta da Chiappini, al fattore generale di Borso d’Este, Bartolomeo Carri oCorri, che nel 1455 affittò la sua casa ai miniatori della Bibbia di Borso79. Cimuoviamo in un ambiente laico e d’élite (prese le misure, uno simile a quelloin cui allignarono le copie di Fr), nel quale – almeno stando alle notizie rac-colte da Giulio Bertoni – il Milione aveva una sua accoglienza: a quanto pa-re, nella forma della versione di Pipino80.

A un côté laico – in questo caso gravitante intorno alla cerchia degli Stu-dia universitari – rinviano pure le origini di V, copiato nel 1401 da un Filip-po di Pietro Muleti di Fagagna nelle more dei suoi studi di retorica a Padova(vd. supra, n. 72); e sebbene la qualità ortografica del suo latino faccia pen-sare a studi non molto fruttuosi, va detto che Filippo da Fagagna aveva piùdi un contatto con gli ambienti ‘preumanistici’ padovani: nel codice Cico-gna (ff. 47r-52v) egli trascrisse pure la Questio de prole fra Albertino Mussa-to e Lovato de’ Lovati, e in f. 52v l’epigramma acrostico «Flore fecunda» diGiovanni Dondi, e perdipiù sappiamo dal colofone succitato che egli eraafirmator – ‘maestro domestico’ di Antonio Solimani, nipote del Dondi81.

Padova è, pur indirettamente, uno snodo importante nella storia dellafortuna del Milione. A Padova, forse nel 1302, il medico e astronomo Pie-tro de Sclavone d’Abano (1248/1250-1315/1316) avrebbe interrogato Polosu alcuni temi che lo appassionavano: le condizioni climatiche e naturalisti-che delle regioni dell’emisfero australe82; nella stessa città, nel monastero di

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79 Chiappini, Libri manoscritti cit., n. 67, p. 88. 80 L’inventario 1467 della biblioteca del duca Borso registra al n. 62 un «Marcus Paulus

de Venetiis de conditionibus et consuetudinis de [sic] orientalium regionum in membranislitteris modernis tristibus in columnis […]», che giusta l’etichetta doveva essere copia di P(vd. G. Bertoni, La biblioteca estense e la cultura ferrarese ai tempi del duca Ercole I (1471-1505), Torino, Loescher, 1903, p. 262); al 1457 risale la notizia del prestito a una gentildonnadi corte di un «Marcopollo in latino» (ivi, p. 56); infine, un documento del 1489 e l’inventa-rio della biblioteca di Ercole I (1495) registrano la presenza di un «Marcus Paulus venetus»(ivi, pp. 19, 246, 262) – in tutte le occorrenze, si tratta forse dello stesso volume?

81 Antonio era figlio di Giacoma Dondi (figlia di Giovanni) e di Raimondo Solimani: vd.Carla Maria Monti, Per la fortuna della «Questio de prole»: i manoscritti, in «Italia medievalee umanistica», XXVIII (1985), pp. 71-95, part. pp. 76-81.

82 Pietro d’Abano rientrò a Padova da un lungo soggiorno a Parigi nel 1302/1303, e nel1306 fu ammesso all’insegnamento in città. Nel 1303 redasse il Conciliator differentiarum phi-losophorum precipeque medicorum (poi ultimato – insieme al Lucidator e al De motu, iniziatianch’essi nel 1303 – nel 1310). Cfr. G. Federici Vescovini, Pietro d’Abano: trattati di astrono-mia. «Lucidator dubitabilium astronomie», «De motu octavae sphaere» e altre opere, Padova,Editoriale Programma, 19922, pp. 15-52, part. 21 sgg.). Come registra Benedetto, Milionecit., pp. CCXII-CCXIV, le citazioni poliane del medico sono due, ma riducibili a una sola testi-monianza. La prima è nella Differentia LXII, An sub equatori sit possibilis habitatio): il fram-

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Sant’Antonio, il francescano Odorico da Pordenone dettò al confratelloGuglielmo da Solagna nel 1330, di ritorno dalla sua missione in Asia cen-trale, la relazione sul suo viaggio: la Recensio Guillelmi dell’Itinerarium83 ètràdita da V (ff. 37r-46v). Tale accoppiamento nello stesso codice non è fat-to in sé eccezionale84, per ragioni più volte indicate85: sebbene inferiore alMilione per dimensioni e quantità di informazioni, l’Itinerarium offre co-munque dati rilevanti su merci e prodotti orientali; è inoltre possibile rico-noscere l’esistenza di una relazione funzionale di ‘aggiornamento / integra-zione’ fra i due testi: i capitoli della relazione di Odorico sulle meraviglieindiane (IX-XVIII) e sulla corte imperiale di Taydo (XXVI-XXX) mostrano co-me essa tenesse a modello autoriale il Milione, e come intendesse confer-marne il contenuto «venendone a sua volta confermata»86 – conseguente-mente, «per oltre due secoli la relazione venisse letta come una sorta dicompletamento di quella di Marco Polo, tanto che manoscritti ed edizioniantiche accoppiarono spesso le due opere quasi a rilevarne la complemen-tarità»87.

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mento (cit. in pp. CCXII-CCXIII dall’ed. veneziana dello Scoto del 1521, f. 97A) contiene leinformazioni astronomiche, sul calore e le spezie presenti nell’Emisfero australe di cui parlaL. Olschki, L’Asia di Marco Polo, Venezia-Roma, Ist. per la Collaborazione culturale-Fond.Giorgio Cini, 1957, pp. 33-36; la seconda è nella Expositio problematum Aristotelis (part. XIV,octavum problema: Propter quid sunt in calidis quidem locis sunt timidi, qui autem in frigidesviriles). Per indicare la sua fonte il medico usa i verbi «audivi», e «rettulit»; inoltre, secondoBenedetto, la frase «inde nobis camphoram lignum aloes et verçi exportari nunciavit» «nonpuò non essere un’allusione al volume in cui Marco aveva effettivamente rivelato, nobis e nonpiù mihi, l’origine di quelle preziose derrate [º]» (pp. CCXIII-CCXIV).

83 L’Itinerarium è tràdito in più versioni, elaborate entro la prima metà del Trecento;almeno tre sono quelle rilevanti. Come si ricava dalla recensione di P. Chiesa, La tradizionemanoscritta di Odorico da Pordenone, in «Filologia mediolatina», VI-VII (1999-2000), pp.311-50 (part. pp. 315 sgg.), la Recensio Guillelmi (che si è conservata in una versione poste-riore al 1330, perché essa contiene in fine la notizia della morte di Odorico, 14 genn. 1331),subì molto presto un incremento, identificabile nel contenuto del cap. XXXVIII dell’ed.A.Van den Wyngaert (in Sinica Franciscana, I, Firenze, Ad Claras Aquas, 1929), noto comeDe reverentia magni Chanis, episodio che sarebbe stato aggiunto da un frate, Marchesinoda Bassano, dopo aver ascoltato l’episodio da Odorico stesso (e che fu poi incorporato an-che nei codici della Rec. Guillelmi); questa nuova stesura, o Recensio Marchesini, fu la basedella revisione (linguistica e stilistica) elaborata a Praga nel 1340 dal francescano Enrico diGlatz/Glars (la cd. Recensio Henrici), e fondata su quanto egli dice di aver trascritto adAvignone.

84 Anche W trasmette, oltre all’epitome (ff. 121a-160d), l’Itinerarium di Odorico, e nellastessa recensione (ff. 224r-235d).

85 Reichert, Incontri con la Cina cit., pp. 189 sgg.; Libro delle nuove e strane e meraviglio-se cose, volgarizzamento italiano del secolo XIV dell’Itinerarium di Odorico da Pordenone,edizione a cura di Alvise Andreose, Padova, Centro Studi Antoniani, 2000, pp. 18 sgg.

86 Memoriale toscano di Odorico da Pordenone, edizione critica a cura di L. Monaco,Alessandria Edd. dell’Orso, 1990, p. 48 (e cfr. pp. 45-48 e 58).

87 Andreose, Libro cit., p. 18.

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Nuovamente a Ferrara ci riconduce il codice N: relatore, oltre che del-l’epitome (ff. 1r-49v), pure dell’Itinerarium di Odorico (ff. 50r-66r)88, essoproviene dagli ambienti mendicanti. Secondo il colofone di f. 185v, fu copia-to nell’ottobre 1372 nel convento di San Francesco da un monaco, Iacopinoda Rimini, su commissione di un confratello, Bonaventura Rubeis (entram-bi, al momento, non sono più che puri nomi)89.

3.2. L’effettiva esistenza di un asse veneto-emiliano (fra Venezia e Ferra-ra)90 nella tradizione di L fa sistema con alcune testimonianze della tradizio-ne indiretta del Milione, che permettono anzi di prolungarne il raggio d’e-spansione fino a Bologna.

Fra Ferrara e Venezia si svolse intera la carriera del domenicano PietroCalò da Chioggia: «presente a S. Agostino [di Padova] dal 1299 [º], passòquindi a Treviso e nel 1307 venne assegnato al convento di Ferrara in qualitàdi lettore [º]. Lo ritroviamo nel convento padovano nel 1317 come priore[º] e quindi il 22 luglio 1319 e il 2 aprile 1327. [º] Il 20 agosto 1328 era prio-re di S. Giovanni e Paolo di Venezia [º]. Fu nominato vescovo di Chioggia edi Concordia nel 1348»91. Fra il 1330 e il 1341 il domenicano compose unvoluminoso leggendario92: nella redazione della voce relativa all’apostoloTommaso e nelle citazioni della leggenda del Prete Gianni, egli utilizzò unacopia completa di Z, citandone verbatim larghi estratti93.

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88 In questo caso si tratta di un esemplare della Recensio Marchesini (Chiesa, Tradizionemanoscritta cit. p. 317). Il codice contiene infine (ff. 66v-185v) l’Historia destructionis Troiaedi Guido delle Colonne (Prete, Il più antico codice cit., p. 5).

89 «Explicit liber de casu Troye scriptus per manum fratris Jachopini de Arimino ordinisfratrum minorum in conventu Ferrarie, ad peticionem Fratris Bonaventure Rubey de Ferra-ra, M°.CCC°.lxxxij. die xxx. mensis octubris. Completum extitit. Amen. Laus tibi Christe quiliber explicit iste». Secondo Prete, che trascrive il colofone (ibid.), ‘Iacopino’ potrebbe forseidentificarsi con un Giacomo da Rimini che il 17 dicembre 1373 prese la tonsura a Bologna:«si tratterebbe dunque di un giovane religioso, studente di teologia, che avrebbe avuto dalsuo superiore l’incarico di compiere il lavoro […]».

90 Ricordiamo nuovamente che ferrarese fu il primo possessore noto del codice Z, l’eru-dito Scalabrini (vd. supra, n. 40.

91 L. Gargan, Lo studio teologico e la biblioteca dei Domenicani a Padova nel Tre e Quat-trocento, Padova, Antenore, 1971, p. 10 n. 6.

92 Per un profilo bio-bibliografico cfr. Clara Gennaro, v. Calò, Pietro, in Dizionario bio-grafico degli italiani, XVI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 785-87. Il ter-mine post quem per la stesura del leggendario è in una nota dello stesso Calò nella vita disant’Ermagora (vd. A. Poncelet, Le légendier de Pierre Calo, in «Analecta Bollandiana», XXIX

(1910), pp. 1-116, p. 31); quello ante quen è fissato da P. Devos, Le miracle posthume de saintThomas l’apôtre, in «Analecta Bollandiana», LXVI (1948), pp. 231-75, p. 258 attraverso la da-tazione di un relatore del leggendario, il cod. Città del Vaticano, Bibl. Ap. Vat., Barb. lat. 273– codice trascritto in vita dell’autore (Calò morì nel dicembre 1348, se è lui il «Petrus de Clu-gia ordinis nostri» dell’obituario di San Domenico in Cividale, cit. da Poncelet, ivi, p. 31).

93 L’identificazione della fonte della legenda di Tommaso e delle citazioni del Prete Gian-ni, nonché il riconoscimento delle sue modalità d’uso, spettano a Luigi F. Benedetto, Ancora

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Fra l’ultimo quarto del Duecento e i primi trent’anni del Trecento fu at-tivo il domenicano bolognese Francesco Pipino (m. post 1328), autore dellaversione latina del Milione più copiata e letta nel Medioevo, fino alla vigiliadella scoperta del continente americano, dopo la sua edizione a stampa del148594. Si è ragionevolmente certi sulla data di composizione della versione– fra il 1310 e il 1314 – e sul suo modello (a cui Pipino allude genericamentenel prologo con sintagmi come «in / de vulgari» / «vulgari eloquio»)95, nelquale si riconosce un relatore della redazione VA. Tradizionalmente, questaviene etichettata come ‘Milione veneto’96; ma come ricordava Mascherpa in§ 2.1. (e n. 24), l’expertise linguistica condotta recentemente da Andreosesul testo del frammento VA1 riconduce la sua produzione all’area

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qualche rilievo circa la scoperta dello Z toledano, in «Atti dell’Accademia delle Scienze di Tori-no», XCIV (1959-1960), pp. 519-78 (citiamo dall’estratto), pp. 56-57/574-75: il testo del cap.109 di Z è riportato da Calò nel leggendario con buona fedeltà («[º] si tratta [º] di una vera epropria citazione, nel senso più rigoroso della parola, solo con qualche taglio e qualche muta-mento nell’ordine dei paragrafi» [p. 56/574]), indicandone la posizione nella fonte («Domi-nus Marcus Paulus Milionus de Venetiis in libro suo capitulo CLXXV»: in realtà il cap. CLXXVII

F nell’ed. Benedetto, CLXXVI nell’ed. Ronchi); inoltre, i riferimenti al Prete Gianni rinviano aicapp. LXIV, LXVI e LXVII della fonte: assenti nel codice zeladiano, presentano la stessa numera-zione di F (tutti i passi in questione, tratti dal relatore vaticano cit., sono in Devos, Le miraclecit., App. II, pp. 270-72). Affatto condivisibili le conclusioni di Benedetto: esistevano copie diZ che, diversamente dallo Zelada, presentavano una numerazione dei capitoli, coincidentecon quella di F; esse «contenevano, colla stessa numerazione del fr. 1116, anche i capitoli sulfamoso Presbiter di cui lo Z a noi pervenuto è sprovvisto» (p.57/575).

94 Sulla biografia di Pipino cfr. Benedetto, Milione cit., pp. CLIII-CLIV, e Reichert, Incontricon la Cina cit., pp. 174 sgg. È il caso di registrare che la sua carriera non si esaurì nella casabolognese: nella primavera 1314 era priore in Sant’Agostino di Padova (cfr. Gargan, Lo stu-dio teologico cit., p. 10 n. 4). Cristoforo Colombo possedeva l’incunabolo Leeu di P: la suacopia annotata è ora nella Bilioteca Colombina di Siviglia (cfr. Reichert, Incontri con la Cinacit., pp. 177 e 289).

95 In un passo in cui si indica nella volontà di rendere accessibile all’opera a chi aveva di-mestichezza col latino ma non coi volgari romanzi: «Librum prudentis, honorabilis ac fidelis-simi viri domini Marci Pauli de Veneciis de condicionibus orientalium ab eo in vulgari edi-tum et conscriptum compellor ego frater Franciscus Pipinus de Bononia fratrum predicato-rum a plerisque patribus et dominis mei veridica et fideli translacione de vulgari ad latinumreducere, ut, qui amplius latino quam vulgari delectatur eloquio [º]» (il testo è riportato an-che da Reichert, Incontri con la Cina cit., p. 175 n. 126, e da Andreose, La prima attestazionecit., pp. 664-65 n. 4; sempre Andreose, p. 665, ricorda che nel Chronicon l’opera definita co-me tradotta «in latino ex vulgari idiomate lombardico», cioè ‘italiano settentrionale’).

96 Il domenicano appare ben informato sulla morte di Maffeo Polo, il cui testamento da-ta al 6 febbraio 1309/1310, e cita la traduzione nel suo Chronicon, sicuramente posteriore aquella e interrotto ai fatti del novembre 1314 (cfr. Reichert, Incontri con la Cina cit., pp. 174,e nn. 123-25; 239-40). (C’è chi non esclude un incontro personale fra Pipino e Polo: secondoOlschki, Asia cit., p. 109 e n. 36 esso sarebbe avvenuto prima della partenza del frate per laTerrasanta nel 1320, secondo R. M. Ruggieri – Marco Polo, Il Milione, Firenze, Olschki,1986, p. 61: sulla scorta di Benedetto, Milione cit., p. CLIV – andrebbe collocato nel 1316; macome nota Reichert, p. 177, manca qualsiasi prova positiva che possa dare corpo a una simileipotesi).

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bolognese97, rendendo una volta di più necessaria una riapertura degli studisulla versione P; del tutto condivisibile è il giudizio di Andreose: «solo un’a-nalisi dettagliata del testo di P e un suo confronto sistematico con le versionivolgari di VA (e magari con LB [º]), potrebbero, forse, dirci qualcosa a pro-posito della lingua dell’esemplare da cui esso deriva. In mancanza di altro,va detto tuttavia che la nuova localizzazione proposta per il frammento casa-natense dimostra come un esemplare di VA circolasse a Bologna già antica-mente e rende pertanto plausibile l’ipotesi che il modello di Pipino (che nel-la città era nato e vissuto) fosse bolognese»98.

Infine, va registrato un ultimo item domenicano e ferrarese, già noto aBenedetto, che meriterebbe quanto meno una riconsiderazione complessivadegli elementi probatori che ne compongono il dossier. Filippo da Ferrara –un monaco forse identificabile con il giovane «Phylipinum Ferariensem»che il Capitolo provinciale della Lombardia inferiore (Vicenza, 1307) invia-va «ad audiendum sententias» nel convento veneziano dei Santi Giovanni ePaolo99 – compose tra il 1321/1323 e il 1347 un manuale di conversazione(ancora inedito) per i confratelli, il Liber de introductione loquendi: un re-pertorio di narrazioni divise in otto distinctiones corrispondenti ad altrettan-te situazioni di sociabilità. In sette luoghi (sei dal primo liber mensalis, unadalla terza distinctio) egli cita come fonte Marco Polo. Benedetto, che tra-scrisse la pericope relativa a Milione, XXV, 15-32 e XXVI-XXIX100, riconoscevain certe sue espressioni una resa fedele di un modello franco-italiano, il cuitesto era migliore di quello di F (per la presenza di elementi in esso assenti,ma attestati da Z e L). Il domenicano R. Creytens, a cui si deve lo studio piùrecente e completo sul confratello ferrarese, registra per contro che «Philip-pe ne cite pas textuellement. Il raconte à sa manière et réunit parfois en uneseule citation plusieurs pièces du récit de Marco Polo»101, e in ogni caso ri-conduce la sua fonte alla versione di Pipino. Come si vede, c’è quanto bastaper riaprire la questione.

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97 Andreose, La prima attestazione cit. (L’articolo è il secondo volet di un dittico inaugu-rato dalla nuova edizione critica del frammento, condotta da A. Barbieri, La prima attestazio-ne della versione VA del «Milione» (ms. 3999 della Biblioteca Casanatense di Roma), in «Criti-ca del Testo», IV (2001), pp. 493-526 – ora in Id., Dal viaggio al libro cit., pp. 93-127).

98 Andreose, La prima attestazione della versione ‘VÀ cit., p. 665.99 Nel 1313 era a Bologna, e quindi a Bergamo, dove morì nel 1350 ca. Cfr. A. D’Amato,

Atti del capitolo provinciale della Lombardia inferiore celebrato a Vicenza nel 1307, in «Archi-vum Fratrum Praedicatorum», XIII (1943), pp. 138-48, p. 143; Reichert, Incontri con la Cinacit., pp. 215-17; e soprattutto R. Creytens, Le manuel de conversation de Philippe de Ferrra O.P. († 1350?), in «Archivum Fratrum Praedicatorum», XVI (1946), pp. 107-35 (che offre un re-gesto completo dei passi poliani, assente in Benedetto).

100 In particolare, secondo lui l’espressione in planicie montis è «calco fedelissimo delproblematico eu plain de cele montagne». (Benedetto, Milione cit., pp. CCXIV-CCVI).

101 Creytens, Le manuel cit., p.126 n. 56.

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3.3. L’insistente presenza degli ordini mendicanti nella storia della tradizio-ne del Milione102 trova un punto d’appoggio effettuale nei contemporanei di-namismi dell’evangelizzazione del continente asiatico, governati in esclusiva dafrancescani e domenicani. Un quadro della presenza francescana in Cina è of-ferto da Paul P. Pang103. Dopo le apparizioni di Guglielmo di Rubruck e diGiovanni di Pian del Carpine la vera opera di apostolato fu svolta da Giovannidi Montecorvino, il quale, giunto a Pechino nel 1293 (dove fu ricevuto da Qu-bilay), seppe acquistare il favore di molti principi mongoli, imparando l’uiguro,e creò la prima rete di comunità cristiane104. Informato della sua opera Cle-mente V lo nominò arcivescovo di Cambalic e primate dell’Oriente: tre vescovigiunsero nella sede metropolitana nel 1308 (dei sette suffraganei eletti il 23 lu-glio 1307 fra i francescani, dopo la creazione dell’arcidiocesi cinese), che furo-no inviati nelle comunità meridionali105. Nel 1333 Giovanni XXII nominò unsecondo arcivescovo, fra’ Nicola, e inviò una missione di ventisei monaci (madel loro arrivo nella capitale non c’è traccia documentaria); al novembre 1336data la missione cinese di fra’ Giovanni dei Marignolli, che rimase a Cambalicdal 1342 al 1346106. Come si vede, il culmine della vicenda missionaria in Asia ècontemporaneo alla fase più vitale della storia della tradizione poliana107. E siaggiunga che dopo la spartizione dell’Asia in due sfere missionarie, francescanae domenicana (1318), si crearono le condizioni per lo scambio d’informazionifra i due ordini108; i loro comuni interessi evangelizzatori in Asia rendevano

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102 Una circostanza in qualche modo ‘anticipata’ dai fatti stessi narrati del prologue: alquale dobbiamo la memoria della presenza di due domenicani – Niccolò di Verona e Gugliel-mo di Tripoli – nella seconda spedizione dei Polo in Asia centrale (1271 ca.: vd. F XIII, 3-5).

103 Paul P. Pang OFM, Il Cristianesimo cinese nel secolo XVI, in Odorico da Pordenone e laCina, Atti del Convegno storico internazionale (Pordenone, 28-29 maggio 1982), a cura di G.Melis, Pordenone, Edizioni Concordia Sette, 1983, pp. 85-100 (da cui traggo le informazioniche seguono). Vd. anche Reichert, Incontri con la Cina cit., pp. 84 sgg.

104 Nel 1299 costruì la prima chiesa nella capitale, e nel 1305 un grande tempio presso ilpalazzo imperiale. Lavorò a lungo da solo (come attesta la sua prima lettera ai confratelli,1305; solo nel 1308 fu raggiunto da un confratello, Arnoldo da Colonia), e fondò comunità aHangzhou (forse 1310: sulla quale sappiamo solo quanto ricorda Odorico, Itinerarium XVIII)e a Quanzhou.

105 Gerardo fu inviato a Quanzhou – dove morì nel 1318 –, dove lo raggiunse il vescovoAndrea da Perugia nel 1314; alla morte Gerardo fu sostituito da fra’ Pellegrino, e questi nel1322 da Andrea da Perugia – nello stesso anno arrivò Odorico, che rientrò nel 1328).

106 Vd. Reichert, Incontri con la Cina cit., pp. 136-38.107 La storia delle missioni asiatiche tardomedievali dei francescani conobbe l’inizio del de-

clino con la caduta della dinastia mongola degli Yuan (1368); l’anno seguente fra’ Cosma fu no-minato terzo arcivescovo di Cambalec; nel 1370 fra’ Guglielmo da Prato fu nominato da UrbanoV quarto arcivescovo, e partì con dodici frati (ma neppure del suo arrivo non si ha traccia docu-mentaria); nel 1371 Gregorio XI nominò fra’ Francesco de Bodio, vicario del Kipciak, suo legatoin Cina (missione non realizzata); anche dell’ultimo arcivescovo di Pechino, fra’ Giacomo Ga-bul, nominato da Martino V nel 1426, si ignora l’effettualità del viaggio e dell’insediamento.

108 Giovanni di Montecorvino inviò la sua seconda lettera dal Catai al vicario dei dome-

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più che naturale che le comunità religiose fossero interessate soprattutto agli iti-nerari dei frati francescani e domenicani, così come all’edizione di Pipino. Perquanto riguarda un’influenza dei resoconti ad ampio raggio, è degno di nota ilfatto che anche altre versioni dell’opera di Marco Polo arricchissero le bibliote-che dei monasteri e il racconto di Odorico divenisse, ben oltre gli Ordini mis-sionari, patrimonio conoscitivo anche di membri del clero secolare eregolare109.

3.4. Proviamo a tirare qualche conclusione provvisoria. Paiono assodati,nella storia della ricezione del Milione nella prima metà del Trecento, sia l’e-sistenza di un’asse ‘(Venezia)-Padova-Ferrara-Bologna’ (su cui convergonodati linguistici e documentazione esterna), sia il ruolo – se non esclusivo, co-munque determinante – assunto nei dinamismi della trasmissione testuale damembri degli ordini mendicanti. E con questo torniamo ai nostri testi latini: èlecito ipotizzarne l’elaborazione in una cerchia religiosa, come la scelta dellalingua d’arrivo e la storia di P suggeriscono, e per di più conventuale? Laquestione resta sostanzialmente aperta, e allo stato della documentazione,forse irrisolvibile. Delle nostre perplessità sull’origine di Z si è già detto in §1.5. A sua volta, L si caratterizza come versione pensata per conservare delmodello essenzialmente la sua fisionomia di ‘enciclopedia’ del Nuovo Mon-do asiatico – corografica ed economica, vista l’attenzione con cui del modellosono conservate le informazioni sulla distanza fra le località descritte e il cata-logo di beni commerciali o di prodotti naturali. Certo, il ricorso al latinoesclude il ceto mercantile sia come destinatario virtuale del lavoro del compi-latore che come milieu d’origine del compilatore; parrebbe insomma agevolepensare all’epitome come a una sorta di guida redatta per quei monaci men-dicanti che, almeno fino alla metà del Trecento, si avventurarono lungo le pi-ste dell’Asia centrale; ma la fisionomia apparentemente tutta laica del codiceF, e soprattutto la biografia intellettuale di Filippo da Fagagna, copista di V(oltre che l’interesse di Pietro d’Abano per le informazioni di Polo), lascianointravvedere la possibilità che L sia nato in un ambiente intellettuale non reli-gioso, all’ombra degli studia universitari e del ‘preumanesimo’ veneto.

Appendice lessicografica

BIBLIOGRAFIA LINGUISTICA

AIS = Karl Jaberg, Jakob Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Sud-schweiz, Bern, Zofingen, 1928-1940.

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nicani in Persia; a sua volta, Pietro d’Abano ricavò dalle lettere del francescano notizie sul cli-ma indiano, come da M. Polo aveva ottenuto informazioni di carattere astronomico sull’emi-sfero meridionale (vd. Reichert, Incontri con la Cina cit. p. 152).

109 Ivi, p. 202.

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BEGGIO = Giovanni Beggio, Vocabolario polesano, Vicenza, Neri Pozza,1995.

BERTELÈ = Il libro dei conti di Giacomo Badoer (Costantinopoli 1436 - 1440).Complemento e indici, a cura di Giovanni Bertelè, Padova, Esedra edi-trice, 2002.

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FOLENA = Gianfranco Folena, Cappe e capparazze, in «Lingua Nostra», XV

(1954), p. 75.GARBINI = Adriano Garbini, Antroponimie ed omonimie nel campo della

zoologia popolare, 2 voll., Verona, Tipografia Veronese, 1925.GDLI = Grande Dizionario della Lingua Italiana, fondato da Salvatore Batta-

glia, diretto da Giorgio Barberi Squarotti, Torino, UTET, 1961-2002.GRIGNANI = Maria Antonietta Grignani, “Navigatio Sancti Brendani”: glos-

sario per la tradizione veneta dei volgarizzamenti, in «Studi di Lessicogra-fia Italiana», II (1980), pp. 101-138.

LEI = Max Pfister, Lessico Etimologico Italiano, Wiesbaden, Ludwig Rei-chert, 1979.

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PRINCIVALLI = Capitolare degli Ufficiali sopra Rialto, a cura di A. Princivalli,Milano, La Storia, 1993.

REW = Wilhelm Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch,Heidelberg, Winters, 1935.

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SELLA IT. = Pietro Sella, Glossario latino italiano: Stato della Chiesa, Veneto,Abruzzi, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1944.

TVD = Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, a cura di AlfredoStussi, Pisa, Nistri-Lischi Editori, 1965.

TVF = Testi volgari ferraresi del secondo Trecento, a cura di Angelo Stella, in«Studi di Filologia italiana», XXVI (1968), pp. 201-310.

ZOLLI = Paolo Zolli, Le parole dialettali, Milano, Rizzoli, 1986.

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SCHEDE LESSICOGRAFICHE

Capera: ‘ostrica’Voce schiettamente veneziana, der. da cappa ‘conchiglia bivalve di mare’

(sulla cui pertinenza diatopica, probabilmente lagunare, cfr. Folena; GDLI,s.v. cappa3; Sella em., s.v. peveratia; Zolli, p. 65 e p. 85), con aggiunta di un in-terfisso -er- (cfr. ancora Folena). Boerio (Dizionario, cit.) segnala la voce càpa-ro, tuttavia nella sola accezione metaforica di ‘sputo catarroso’ (mentre a Ve-nezia sopravvive, a tutt’oggi, il dim. di càparo, caparozzolo, ‘vongola’). Per leattestazioni della forma caparo in territorio veneto, cfr. Garbini, vol. I, p. 135(«càparo (Nogara) bellissima concisione sintetica di Bogón con la càpa»).

Cavodoium: ‘capodoglio’Dal punto di vista fonetico, pare possibile circoscrivere la forma all’area

nord-orientale. Muove in tale direzione soprattutto il tipo cavo (< CAPUT),ben attestato non soltanto nella scripta veneziana trecentesca (cfr. ad es.TVD, Lessico, s.v. cavo), ma anche in testi e documenti di altre aree del Vene-to, di contro alla variante contratta cò, di area lombarda, piemontese ed emi-liano-romagnola (cfr. REW 1668). Va comunque segnalato che la forma cavonel senso di ‘estremità, punta’ non è aliena all’antico genovese (cfr. Nicolas,Glossario delle poesie genovesi, s.v. cavo)

Coltus: ‘comparto’Voce designante propriamente il ‘cassetto’ (< COLATHUS, raro per CA-

LATHUS, da cui invece calto, diffusa in tutto il Veneto: cfr. LEI, fasc. 81, 887),attestata in questa forma nel veneziano antico (1315: cfr. TVD, Lessico, s.v.colto) e nell’antico ferrarese, forse per irradiazione dal Veneto (cfr. TVF,Glossario, s.v. colto; REW 1488). Nel Milione la voce designa uno dei compar-timenti in cui viene suddivisa la stiva dell’imbarcazione, allo scopo di argina-re i danni prodotti da una falla: il significato tecnico, non altrimenti docu-mentato, suggerisce un’estensione analogica del significato primo (special-mente nella sua accezione specifica di ‘scomparto di un armadio’).Ercolinus, ercolinus: ‘pelle di animale selvatico; l’animale stesso’

Risulta attestata in documenti veneziani tre-quattrocenteschi la formaarcolina, di etimo incerto (cfr. TVD, Lessico, s.v. arcolina; Bertelè, Indice dellemerci, s.v. archolina; l’unica attestazione del lemma esorbitante rispetto a Ve-nezia è nelle poesie dell’Anonimo Genovese, che documentano arcornim(cfr. Nicolas, Glossario delle poesie genovesi, s.v. arcornim). Forma apparte-nente al lessico della mercatura, la sua presenza in testi veneziani e genovesifa pensare a uno scambio linguistico avvenuto in ambito coloniale.

Fratalia: ‘corporazione, associazione’Voce del lessico giuridico, le cui attestazioni in documenti mediolatini

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indirizzano, per l’area italiana, al Veneto, e in particolare a Padova, Vicenza,Venezia (cfr. Du Cange, s.vv. fratalia, fratalea, fratelea; Sella it., s.v. fratalia,fratalea).

Morelus: ‘pilone di sostegno di un ponte’Dal lat. *MORA ‘mucchio di pietre’. Voce documentata già in antico in

area nord-orientale e, come murel, a Ferrara (cfr. Boerio e Grignani, s.v. mo-relo; GDLI, s.v. morello2; PREW, REW 5673a). Qui nel significato di ‘pilone disostegno di un ponte’ (formato da massi sbozzati e sovrapposti). Il significa-to principale della voce è però ‘cilindro (per lo più di legno, ma anche di al-tri materiali) di piccole dimensioni, rocchio’, mentre quello documentatonel Milione non pare attestato altrove: pare invece trattarsi, come nel caso dicolto, di estensione analogica del significato primo (peraltro molto vicina al-la base etimologica *MORA ‘mucchio, catasta’).

Saleçata: ‘selciata’ (agg.)Voce veneziana (cfr. DEI s.v. saleggiato, salizada; REW 7911), documentata

già nel sec. XIV nel latino medievale (cfr. Sella it., s.v. salizata, salisata sost.‘selciato’; più antica (1269) l’attestazione del verbo corrispondente: salizare,salesare ‘lastricare, selciare’ < lat *SILICIARE) e nel volgare (nel Capitolare de-gli Ufficiali sopra Rialto, per cui cfr. Princivalli, p. 12 e p. 66). A Venezia, laparola designa le vie selciate che corrono rasenti i canali (cfr. Boerio, s.v. sali-zada).

Savo<r>nare: ‘zavorrare’Forse da *SABURNARE (den. di *SABURNA), da affiancare già nel latino, se-

condo il Wartburg, alle forme attestate SABURRA e SABURRARE (cfr. FEW, s.v.saburra).

Nel latino medievale, comunque, le voci sa(v)ornare e sa(v)orna riman-dano pressoché esclusivamente a Venezia e alle città costiere di entrambe lesponde dell’Adriatico, che con essa vennero in contatto o che ne furono do-minate (cfr. ancora FEW, s.v. saburra; Sella em. s.v. saorna, savorna; Sella it.s.v. saorna, saornare e savorna, savornare): savornare parrebbe quindi formadiatopicamente marcata, e il fatto che risulti attestata, al fianco delle variantisavorrare e zavorrare (< SABURRARE), in scritti esorbitanti dal dominio lingui-stico nord-orientale (cfr. GDLI, s.v. zavorrare), può essere spiegato con il suostatus di tecnicismo della marineria.

A tutt’oggi, sa(v)orna e sa(v)ornare sopravvivono unicamente nel Venetocostiero e, come relitti lessicali romanzi, eredità della dominazione venezia-na, in serbo-croato; fa eccezione, rispetto a tale distribuzione diatopica, lapresenza di savornare nei dialetti della Corsica (cfr. Boerio, s.vv. saorna, saor-nare; DEI, s.v. savorna; nuovamente FEW, s.v. saburra; PREW 7487).

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Splengia: ‘milza’Voce di area veneta (< lat. SPLEN, SPLENE, forse attraverso l’etimo *SPLE-

NIA proposto da G. A. Ascoli, per cui cfr. REW 8164), attestata, ad es., in do-cumenti mediolatini padovani del sec. XIII (cfr. Sella it., s.v. splenza). È vocea tutt’oggi vitale nei dialetti di area nord-orientale (cfr. AIS I, 141).

Çat(t)a ‘imbarcazione piatta da carico; zattera’«Voce d’origine incerta: non convincono le ipotesi di chi la considera

come zampa (con uso metaforico) o come adattamento tosc. (o ven.) del gen.ciata» (GDLI, s.v. zatta1); «Pare da zatta, attestato prima di zattera [...] spiega-re zatta, come ‘zampa’ [...] è piuttosto arduo; ritenerla adattamento tosc. delgen. ciata [...] contrasta contrasta con i continui e precisi riferimenti a Vene-zia» (Zolli, pp. 62-63). In ogni caso, si tratta di una delle parole legate all’a-rea semantica delle attività portuali e del commercio marittimo, che si è in-certi se attribuire a Genova o a Venezia.

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MARIA GRAZIA CAPUSSO

La produzione franco-italiana dei secoli XIII e XIV:convergenze letterarie e linguistiche

In molte storie della letteratura italiana dedicate al periodo medievalecompare un capitolo intitolato al franco-veneto: partendo dalla fondamen-tale sintesi di Aurelio Roncaglia, si giunge alle più recenti di Cesare Segre eMarco Infurna; importanti anche le notazioni ad essa riservate da CorradoBologna1. Ci si riferisce così all’area di produzione e diffusione di un cospi-cuo settore soprattutto trecentesco di questa attività letteraria, ma occorretener conto del coinvolgimento di un ambito spazio-temporale più vasto,che a partire dalla metà circa del Duecento interessa quasi tutta l’Italia delNord: fa eccezione l’area piemontese dove, accanto a limitate testimonianzedialettali, si registra una netta prevalenza del vero e proprio francese, speri-mentato ad esempio con discreta regolarità da Tommaso III di Saluzzo nelsuo Chevalier Errant (manca tuttavia un’indagine approfondita in tale dire-zione, da affiancare agli scavi storico-letterari ed iconografici)2.

Appare quindi più equilibrata la definizione ‘franco-italiano’, già ripor-tata in studi ormai classici di Rajna, Bertoni, Viscardi3 e comunemente in

1 A. Roncaglia, La letteratura franco-veneta, in Storia della letteratura italiana, a curaE.Cecchi-N.Sapegno, Milano, Garzanti, 1965, vol.II, pp. 727-759, C.Bologna, La letteraturadell’Italia settentrionale nel Duecento e La letteratura dell’Italia settentrionale nel Trecento, inLetteratura italiana. Storia e geografia, vol. I: L’età medievale, Torino, Einaudi, 1987, C. Segre,La letteratura franco-veneta, in Storia della letteratura italiana, vol.I: Dalle origini a Dante, Ro-ma, Salerno, 1995, pp. 631-647, M. Infurna, Un nuovo frammento francoitaliano della “Chan-son d’Aspremont”, in «Medioevo romanzo» 26(2002), pp. 69-81.

2 E. Gorra, Il Cavaliere errante di Tommaso III di Saluzzo, in Studi di critica letteraria, Bo-logna, Zanichelli, 1892, pp. 3-110, M.L. Meneghetti, Il manoscritto fr.146 della BibliothèqueNationale di Parigi, Tommaso di Saluzzo e gli affreschi della Manta, in «Romania» 110(1989),pp. 511-535, A.Cornagliotti, Le tre matières nello «Chevalier Errant» di Tommaso III di Sa-luzzo, in «Studi Piemontesi» XVIII(1989), pp-3-24, C.Segre, Appunti su Le chevalier errant diTommaso III di Saluzzo, in Mélanges de philologie et de littérature médiévales offerts à MichelBurger réunis par J.Cerquiglini-Toulet et O.Colet, Genève, Droz, 1994, pp. 355-360

3 P. Rajna, La rotta di Roncisvalle nella letteratura cavalleresca italiana, in Scritti di filologiae linguistica italiana e romanza, a cura di G.Lucchini, Roma, Salerno, 1998, Sez.II/1, pp. 190-

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uso ancora oggi soprattutto da parte degli indagatori, italiani e stranieri, del-le sue notevoli implicazioni linguistiche. Il termine ‘franco-italiano’ vieneora consacrato ufficialmente dall’importante fascicolo del «Grundriss derromanischen Literaturen des Mittelalters» dedicato ad una sistematica pre-sentazione (culturale, linguistica, letteraria) del fenomeno, e corredato dauna bibliografia esaustiva4. Del resto il concorrente ‘franco-lombardo’, in-trodotto da Gianfranco Contini nella sua penetrante analisi della cosiddettaMort Charlemagne (risulta esemplato a Bologna nelle prime decadi del Tre-cento l’unico ms.: Oxford, Bodleian Library, Canonici 54)5, rimandava pa-rallelamente all’ampia accezione medievale del termine: Italia settentrionalepadana. Lo stesso vocabolo risulta solo incidentalmente adoperato da Rug-giero Maria Ruggieri, i cui maggiori contributi al riguardo sono appunto in-titolati al franco-veneto, mentre ha suggerito la bipartizione eminentementelinguistica di Lorenzo Renzi: ‘francese di Lombardia’ e ‘franco-lombardo’;sull’articolato ventaglio definitorio si sono soffermati anche Günter Holtused Alberto Limentani, e Carla Cremonesi ha dedicato all’argomento una suanota specifica6.

Il fenomeno franco-italiano è inevitabilmente collegato alla più generaleespansione della lingua e letteratura francese: nei secoli XIII e XIV si assiste

369, G.Bertoni, Nota sulla letteratura franco-italiana a proposito della Vita in rima di S.MariaEgiziaca e Lettori di romanzi francesi nel quattrocento alla corte estense, in Studi su vecchie enuove poesie e prose d’amore e di romanzi, Modena, Orlandini, 1921, pp. 227-240 e 253-261,A.Viscardi, Letteratura franco-italiana, Modena, Società Tipografica Modenese, 1941.

4 G.Holtus-P. Wunderli, Franco-italien et épopée franco-italienne = «Grundriss der ro-manischen Literaturen des Mittelalters», vol.III (Les Epopées romanes), t.1/2, f.10: Franco-italien et épopée franco-italienne, Heidelberg, Winter, 2005

5 G.Contini, La canzone della ‘Mort Charlemagne’, in Mélanges de linguistique romane etde philologie médiévale offerts à Maurice Delbouille, II, Gembloux, Duculot, 1964, pp. 105-126 e G.Contini, Le début de la ‘Mort Charlemagne’, in La Chanson de geste et le mythe caro-lingien. Mélanges René Louis, t.I, Saint-Père-sous-Vézelay, , 1982, pp. 303-311; M.L.Mene-ghetti, Morte (o Testamento) di Carlomagno, in Testi, cotesti e contesti 1989, pp. 258-284

6 R.M.Ruggieri, Origine, struttura, caratteri del francoveneto, in Saggi di linguistica italia-na e italoromanza, Firenze, Olschki, 1962, pp. 159-168 e R.M.Ruggieri, Temi e aspetti dellaletteratura francoveneta, in Dante e la cultura veneta, a cura di V.Branca e G.Padoan, Firenze,Olschki, 1966, pp. 143-156; L.Renzi, Il francese come lingua letteraria e il franco-lombardo.L’epica carolingia nel Veneto, in Storia della cultura veneta. Dalle origini al Trecento, vol.II, Vi-cenza, Neri Pozza, 1976, pp. 563-589; G.Holtus, Lo stato attuale delle ricerche sul franco-ita-liano, in La dialettologia italiana oggi. Studi offerti a Manlio Cortelazzo, a cura di G.Holtus,M.Metzeltin e M.Pfister, Tübingen, Narr, 1989, pp. 4-5 (ibidem l’ulteriore richiamo al ter-mine italo-français proposto unilateralmente da J.Palermo, La langue franco-italienne du Ro-man d’Hector et Hercules, in Actes du Xe Congrès International de Linguistique et Philologieromanes (Strasbourg 1962), I, Paris, Klincksieck, 1965, pp. 687-695); A.Limentani, L’En-tree d’Espagne e i Signori d’Italia, a cura di M.Infurna – F.Zambon, Padova, Antenore, 1992,E: Franco-veneto e latino, p. 334; C.Cremonesi, Note di franco-veneto, I. Franco-veneto, fran-co-italiano, franco-lombardo, in Studi di di lingua e letteratura lombarda offerti a Maurizio Vi-tale, vol.I, Pisa, Giardini, 1983, pp. 5-15.

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ad una sua notevole diffusione europea e mediterranea per un intreccio dimotivi politici, commerciali ed anche squisitamente culturali. Al di là di spe-cifiche contingenze storiche e socioeconomiche (crociate, pellegrinaggi edinfiltrazioni mercantili agevolarono l’esportazione del francese soprattuttoin direzione del Levante mediterraneo)7, il prestigio della ricca e variegataletteratura oitanica era all’epoca indiscusso, e quanto alla tendenziale identi-ficazione del francese come modalità espressiva della narrazione (in paralle-lo al primato lirico del provenzale), risulta autorevole testimone coevo lostesso Dante8:

Allegat ergo pro se lingua oïl quod, propter suam faciliorem ac delectabilioremvulgaritatem, quicquid redactum sive inventum est ad vulgare prosaycum suumest.[Infatti la lingua d’oïl adduce a suo favore che, per essere di più facile e grade-vole divulgazione, tutto ciò ch’è stato ridotto o immaginato per prosa volgaread essa appartiene].

Mentre i modelli cortesi e cavallereschi imposti dal roman e dalla chan-son de geste si espandono fuori di Francia attraverso una varia attività tra-duttoria e rielaboratrice, quasi sempre nelle lingue dei rispettivi Paesi d’im-portazione, la produzione franco-italiana di area padana si distingue per laqualità specifica ed in certo modo compromissoria del mezzo espressivoadottato, che la differenzia anche dalla più circoscritta infiltrazione oitanicanell’Italia del Sud (normanna ed angioina): in tali territori, dove pure si veri-fica una discreta circolazione di manoscritti francesi9, solo eccezionalmente

7 A.Limentani, Martino da Canal e l’Oriente mediterraneo, in Venezia e il Levante fino alsecolo XV, a cura di A.Pertusi, vol.II: Arte-Letteratura-Linguistica, Firenze, Olschki, 1974,pp. 229-252; A.Limentani, Martino da Canal e l’Oriente mediterraneo, in Venezia e il Levan-te fino al secolo XV, a cura di A.Pertusi, vol.II: Arte-Letteratura-Linguistica, Firenze, Olschki,1974, pp. 229-252; V. Bertolucci Pizzorusso, Testamento in francese di un mercante venezia-no (Famagosta, gennaio 1294), in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», Classe dilettere e filosofia, s.III, vol.XVIII/3, 1988, pp. 1011-1033; G.Folena, Culture e lingue nel Ve-neto medievale, Padova, Editoriale Programma, 1990 (La Romània d’Oltremare: francese eveneziano nel Levante, pp. 269-286).

8 De vulg.el. I x 2: A.Roncaglia, La letteratura franco-veneta, in Storia della letteratura ita-liana, a cura E.Cecchi-N.Sapegno, Milano, Garzanti, 1965, vol.II, p. 727.

9 P. Meyer, De l’expansion de la langue française en Italie pendant le Moyen Âge, in Attidel Congresso internazionale di scienze storiche (Roma 1903),vol.IV (Storia della letteratura),Roma, Reale Accademia dei Lincei, 1904, pp. 94-98; F. Sabatini, Napoli angioina. Cultura esocietà, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1975; L.Formisano-Ch.Lee, Il ‘francese di Na-poli’ in opere di autori italiani dell’età angioina, in Lingue e culture dell’Italia meridionale(1200-1600), a cura di P. Trovato, Roma, Bonacci, 1993, pp. 133-162, S. Asperti, Carlod’Angiò e i trovatori. Componenti “provenzali” e angioine nella tradizione manoscritta della li-rica trobadorica, Ravenna, Longo, 1995 (p. 87:«al di là dei limiti più ristretti della diffusionedella lirica trobadorica», codici quali il provenzale M contribuiscono «alla definizione di unamappa orientata di tradizioni in confluenza e in intersezione.»). Per una recente revisione

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sono state prodotte opere originali e soprattutto non compare il fenomenodel mistilinguismo, concentrato invece nell’area settentrionale ed esclusivodella produzione francesizzante. Niente di analogo si registra infatti per lacontigua fioritura trobadorica, caratterizzata dal diligente riutilizzo non solodegli schemi ideologico-tematici e delle strutture formali, ma della stessa lin-gua d’oc originaria dei trovatori. Molti di questi, in seguito a più o meno for-zate emigrazioni dal Sud della Francia, avevano instaurato stabili contatticon le corti italosettentrionali: ne nacquero proficui interscambi con i rima-tori locali, talvolta istruiti anche da un percorso geograficamente inverso, ecomunque in grado di produrre opere quasi impeccabili linguisticamente, aparte qualche intrusione lessicale e gli endemici inquinamenti della tradizio-ne manoscritta10. Un discorso a parte meriterebbero alcuni testi eccezional-mente impregnati di doppie o plurime valenze linguistiche (veneta, oitanica,occitanica), che si qualificano raffinati ed estrosi esperimenti lirici11.

Tornando all’argomento qui trattato, rappresentano un’eloquente map-pa geoculturale, ormai ripetutamente descritta12, le svariate eppure concor-

critica tendente a riportare al Nord vari manoscritti un tempo ritenuti di area meridionalecfr. F.Cigni, La ricezione medievale della letterarura francese nella Toscana nord-occidentale, inFra toscanità e italianità. Lingua e letteratura dagli inizi al Novecento, a cura di E.Werner eS.Schwarze, Tübingen-Basel, Francke, 2000, pp. 71-108 e F. Cigni, Per la storia del Guironle Courtois in Italia, in «Critica del testo» VII/1, 2004: Storia, geografia, tradizioni manoscrit-te, a cura di G.Paradisi-A.Punzi, Roma, Viella, 2004, pp. 295-316.

10 G.Bertoni, I Trovatori d’Italia (Biografie, testi, traduzioni, note), Modena, Orlandini,1915; C.Bologna, La letteratura dell’Italia settentrionale nel Duecento e La letteratura dell’Ita-lia settentrionale nel Trecento, in Letteratura italiana. Storia e geografia, vol. I: L’etàmedievale, Torino, Einaudi, 1987, (pp. 123-141); G.Folena, Culture e lingue nel Veneto me-dievale, Padova, Editoriale Programma, 1990 Tradizione e cultura trobadorica nelle corti enelle città venete, pp. 1-137; L. Borghi Cedrini, Recuperi linguistici nella tradizione mano-scritta dei trovatori (per l’edizione critica dell’opera di Peire Milo), in Le rayonnement de la ci-vilisation occitane à l’aube d’un nouveau millénaire, 6e Congrès International de l’A.I.E.O.,Actes, par G. Kremnitz-B. Czernilofsky-P. Cichon-R.Tanzmeister, Wien, Praesens Wissen-schaftsverlag, 2001, pp. 171-179; V.Bertolucci Pizzorusso, Nouvelle géographie de la lyriqueoccitane entre XIIe et XIIIe siècle. L’Italie nord-occidentale, in Scène, évolution, sort de la lan-gue et de la littérature d’oc. Actes du VIIe Congrès International de l’A.I.E.O., publiés par R.Castano, S. Guida et F. Latella, Roma, Viella, 2003, II, pp. 1313-1322.

11 Cfr. le specifiche analisi di I.Baldelli, Una canzone veneta provenzaleggiante del Duecento,in «Studi di filologia italiana» XVIII(1960), pp. 19-28, L.Renzi, Stratificazione provenzale-fran-co-veneta nella ‘canzone dei desideri’ marciana, in «Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere edarti», vol.126(1967-68), pp. 39-68, G.B. Pellegrini, Franco-veneto e veneto antico e La canzone diAuliver, in Studi di dialettologia e filologia veneta, Pisa, Pacini, 1977, pp. 125-146, più la panora-mica rassegna di F.Sberlati, Periferia geografica ed ibridismo linguistico: la Padania nel XIV seco-lo, in «Schede umanistiche» I/1 (1991), pp. 9-56 e Plurilinguismo e sperimentalismo nella Pada-nia del Trecento, ibidem 2(1991), pp. 81-125; nella «prospettiva di una più attenta sociologia let-teraria» si situano le osservazioni metodologiche di A.Limentani, L’Entree d’Espagne e i Signorid’Italia, a cura di M.Infurna – F.Zambon, Padova, Antenore, 1992, pp. 312-313 circa la poco ri-levata «prassi in certa misura contaminatoria» tra ‘occitanizzanti’ e ‘oitanizzanti’.

12 R.M. Ruggieri, Influsso francese e letteratura epico-cavalleresca in Italia, in Capitoli di

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di testimonianze indirette (dall’onomastica alla iconografia) relative all’ac-climatamento delle tradizioni letterarie francesi in Italia settentrionale, edalla loro divulgazione ad opera di numerosi giullari, la cui attività veniva tal-volta addirittura vietata quale pericolosa per l’ordine pubblico (esiste al ri-guardo una specifica delibera del comune di Bologna, datata 1288)13 o bol-lata in quanto scorretta linguisticamente (molto citata l’epistola latina delpreumanista padovano Lovato Lovati a Bellino Bissolo, che biasima da que-sto punto di vista un cantore trevisano)14. Quanto all’effettivo patrimoniomanoscritto circolante, oltre ai dati ricavati dagli epistolari nobiliari contanosoprattutto gli inventari quattrocenteschi delle biblioteche signorili, sorta ditopografia tematica dei best-sellers tardomedievali. Le liste di libri «in linguafrancigena» rimandano alle corti di Pavia (viscontea e sforzesca), all’Estensedi Ferrara, e soprattutto ai Gonzaga di Mantova, possessori di una impo-nente collezione di manoscritti a carattere prevalentemente epico, poi con-fluita nel fondo francese della Biblioteca Marciana di Venezia15. Fra i luoghi

storia linguistica e letteraria italiana, Roma, Ateneo, 1971, pp. 71-111, L. Renzi, Il francesecome lingua letteraria e il franco-lombardo. L’epica carolingia nel Veneto, in Storia della culturaveneta. Dalle origini al Trecento, vol. II, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 563-589, A.Fassò, Lamateria di Francia nei poemi e nei romanzi italiani, in Sulle orme di Orlando. Leggende e luo-ghi carolingi in Italia, a cura di A.I. Galletti e R. Roda, Padova, Interbooks, 1987, pp. 65-81,S.Albesano, Sulle “routes d’Italie”. Itinerari italiani nelle chansons de geste, in «Medioevo ro-manzo» XXIII/2(1999), pp. 184-209, G. Holtus-P. Wunderli, Franco-italien et épopée franco-italienne = «Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters», vol. III (Les Epopéesromanes), t.1/2, f.10: Franco-italien et épopée franco-italienne, Heidelberg, Winter, 2005.

13 P. Meyer, De l’expansion de la langue française en Italie pendant le Moyen Âge, in Attidel Congresso internazionale di scienze storiche (Roma 1903), vol. IV (Storia della letteratura),Roma, Reale Accademia dei Lincei, 1904 p. 69; R.M. Ruggieri, Influsso francese e letteraturaepico-cavalleresca in Italia, in Capitoli di storia linguistica e letteraria italiana, Roma, Ateneo,1971, p. 80; G. Brunetti, Un capitolo dell’espansione del francese in Italia: manoscritti e testi aBologna fra Duecento e Trecento, in Bologna nel Medioevo (Atti del Convegno, Bologna2002), Bologna, Pàtron, 2004, p. 128.

14 M.Pastore Stocchi, Le fortune della letteratura cavalleresca e cortese nella Treviso medie-vale e una testimonianza di Lovato Lovati, in Tommaso da Modena e il suo tempo, Venezia,Stamperia di Venezia, 1980, pp. 201-217 ed inoltre A.Roncaglia, La letteratura franco-veneta, inStoria della letteratura italiana, a cura E. Cecchi-N.Sapegno, Milano, Garzanti, 1965, vol. II,pp. 736-738; G. Folena, Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova, Editoriale Programma,1990, La cultura volgare e l’umanesimo cavalleresco nel Veneto, pp. 378-379; E. Lippi, La lette-ratura in volgare di sì a Treviso nel Due e Trecento, in Storia di Treviso, a cura di E. Brunetta, II.Il Medioevo, a cura di D.Rando e G.M. Varanini, Padova, Marsilio, 1991, pp. 461-462.

15 Cfr. rispettivamente A. Thomas, Les manuscrits français et provençaux des Ducs de Milanau château de Pavie, in «Romania» XL(1911), pp. 571-609, E. Pellegrin, La bibliothèque des Vi-sconti et des Sforza ducs de Milan au XVe siècle, Paris 1955 (Supplément 1969), M.G. AlbertiniOttolenghi, La biblioteca dei Visconti e degli Sforza: gli inventari del 1488 e del 1490, in «StudiPetrarcheschi» 8(1991), pp. 1-238 (altri pertinenti contributi nel medesimo volume 8 di «StudiPetrarcheschi») e M.G. Albertini Ottolenghi, Codici miniati francesi e di ispirazione francese nel-la biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel castello di Pavia, in La cultura dell’Italia padana 2001,pp. 281-299; P. Rajna, Ricordi di codici francesi posseduti dagli Estensi nel secolo XV, in «Roma-

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di conguaglio e smistamento del flusso librario di origine galloromanza nonva trascurata inoltre l’importanza strategica di Bologna e del territorio emi-liano16. Per quanto attiene alle scelte di genere, la priorità epico-romanzescaè ampiamente confermata dal censimento del materiale manoscritto perve-nuto e dalla vitalità sia franco-italiana che italiana di ambedue le tradizioni,talvolta confluite in prodotti ibridi, come si vedrà, e contraddistinte da unacarica innovativa che, per la chanson de geste, risulta ancora maggiore17.

Il quadro complessivo di questa attività letteraria si rivela comunque as-sai variegato sotto il profilo generico. Le presentazioni d’insieme del corpustestuale relativo, perfezionate ed aggiornate nel tempo ma anche utilmenteintercomplementari – dall’antico contributo di Paul Meyer all’agile sintesi diLorenzo Renzi, e dal repertorio premesso da Günter Holtus alle sue ricerchelessicali sull’Entree fino all’accuratissimo censimento fornito dal volume giàcitato del GRLMA, che conta 47 testi18, – permettono di appurare che anche

nia» II (1873), pp. 49-58, G. Bertoni, La Biblioteca estense e la cultura ferrarese ai tempi del ducaErcole I (1471-1505), Torino, Loescher, 1903 e G.Bertoni, Nota sulla letteratura franco-italiana aproposito della Vita in rima di S.Maria Egiziaca, in Studi su vecchie e nuove poesie e prose d’amoree di romanzi, Modena, Orlandini, 1921, pp. 227-240; W. Braghirolli-P. Meyer-G. Paris, Inven-taire des mss. en langue française possédés par F. Gonzaga I…, in «Romania» IX (1880), pp. 497-511, F.Novati, I codici francesi dei Gonzaga, in Attraverso il Medioevo, Bari, Laterza, 1905, pp.255-326, Codici marciani ed edizioni italiane antiche di epopea carolingia. Catalogo e Mostra, Ve-nezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 1961 e G.E. Ferrari, La tradizione di studi dei codici mar-ciani francesi d’epopea carolingia. Preludio ad una bibliografia analitica, in «Cultura neolatina»XXI(1961), pp. 105-115, S. Bisson, I manoscritti di epica carolingia a Venezia, in L’épopée roma-ne. Actes du XVe Congrès International Rencesvals (Poitiers 2000), Poitiers, Centre d’ÉtudesSupérieures de Civilisation Médiévale, 2002, II, pp. 741-748.

16 L.Formisano, Aspetti della cultura letteraria a Bologna al tempo di Federico II, in «De-putazione di Storia Patria per le province di Romagna. Documenti e studi», XXVII(1996),pp. 109-138, G.Brunetti, Un capitolo dell’espansione del francese in Italia: manoscritti e testi aBologna fra Duecento e Trecento, in Bologna nel Medioevo (Atti del Convegno, Bologna2002), Bologna, Pàtron, 2004, pp. 125-159; riguardano almeno in parte il territorio emilianoi contributi relativi a vari frammenti codicologici reperiti da M.Longobardi (citati in R. Be-nedetti, Frammenti arturiani. Percorsi e nuove individuazioni: l’Estoire del saint Graal, in in«Critica del testo» VII/1, 2004: Storia, geografia, tradizioni manoscritte, a cura di G.Paradisi-A.Punzi, Roma, Viella, 2004, p. 259 n.7).

17 Cfr. A.Roncaglia, La letteratura franco-veneta, in Storia della letteratura italiana, a curaE. Cecchi-N. Sapegno, Milano, Garzanti, 1965, vol. II, pp. 727-759, R.M. Ruggieri, Influssofrancese e letteratura epico-cavalleresca in Italia, in Capitoli di storia linguistica e letteraria ita-liana, Roma, Ateneo, 1971, pp. 71-111, A.Fassò, La materia di Francia nei poemi e nei roman-zi italiani, in Sulle orme di Orlando. Leggende e luoghi carolingi in Italia, a cura di A.I.Gallettie R.Roda, Padova, Interbooks, 1987, pp. 65-81 e F.Zambon, La ‘materia di Francia’ nella let-teratura franco-veneta, in Sulle orme di Orlando. Leggende e luoghi carolingi in Italia, a curadi A.I. Galletti e R.Roda, Padova, Interbooks, 1987, pp. 53-64, Rajna 1998, M. Villoresi, Laletteratura cavalleresca. Dai cicli medievali all’Ariosto, Roma, Carocci, 2000, M. Infurna, Laletteratura franco-veneta, in Lo spazio letterario del Medioevo. Il Medioevo volgare, vol.III:La ricezione del testo, Roma, Salerno, 2003, pp. 405-430.

18 P. Meyer, De l’expansion de la langue française en Italie pendant le Moyen Âge, in Atti

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gli altri percorsi già sperimentati con successo dalla narrativa d’oïl risultanoaccolti in area italosettentrionale: vedi la compilazione tecnica, quella didatti-co-cortese (Moamin e Ghatrif, Livre d’Enanchet)19, il meno indagato ambitodevoto (alcune Passions, il discusso poemetto apocalittico sull’Anticristo, o laquasi padana ‘Vita di S.Maria Egiziaca’)20, la cronaca storica (ben rappresen-tata dalle ambiziose Estoires de Venise di Martin da Canal)21, il romanzo co-siddetto dell’antichità (notevole eppure poco frequentata criticamente la tra-dizione franco-italiana del Roman d’Alexandre; una versione dell’‘Apolloniodi Tiro’ caratterizzata da proprie peculiarità redazionali è contenuta nel ms.Ashburnham 123 della Biblioteca Mediceo Laurenziana di Firenze, testimo-ne localizzato nel Nord-Ovest italiano che trasmette anche una redazioneamplificata e rielaborata del cosiddetto Jugement d’Amour)22.

del Congresso internazionale di scienze storiche (Roma 1903), vol. IV (Storia della letteratura),Roma, Reale Accademia dei Lincei, 1904, pp. 61-104, L.Renzi, Il francese come lingua lettera-ria e il franco-lombardo. L’epica carolingia nel Veneto, in Storia della cultura veneta. Dalle ori-gini al Trecento, vol. II, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 563-589, pp. 577-582, G. Holtus,Lexikalische Untersuchungen zur Interferenz: die franko-italienische ‘Entree d’Espagne’, Tü-bingen, Niemeyer, 1979, G.Holtus-P. Wunderli, Franco-italien et épopée franco-italienne =«Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters», vol. III (Les Epopées romanes),t.1/2, f.10: Franco-italien et épopée franco-italienne, Heidelberg, Winter, 2005.

19 C. Frati, Re Enzo e un’antica versione francese di due trattati di falconeria, in MiscellaneaTassoniana di studi storici e letterari pubblicati nella festa della Fossalta, Bologna-Modena, For-miggini, 1908, pp. 61-81, H. Tjerneld (ed.), ‘Moamin et Ghatrif’. Traités de fauconnerie et deschiens de chasse, Édition princeps de la version franco-italienne, Stockholm-Paris, Fritze-Thié-baud, 1945; W. Fiebig (ed.), Das ‘Livre d’Enanchet’ nach der einzigen Handschrift 2585 derWiener Nationalbibliothek herausgegeben, Jena-Leipzig, Gronau, 1938 e W.Fiebig, Das „Livred’Enanchet“. Zur Frage der Namensdeutung und zu seinen Quellen, in «Zeitschrift für französi-sche Sprache und Literatur», LXX(1960), 1-2, pp. 182-198 (cfr. oltre in nn. 31, 32, 39).

20Quest’ultima appariva tendenzialmente «scritta nel volgare di Pavia del secolo XIV» aG.Bertoni, Nota sulla letteratura franco-italiana a proposito della Vita in rima di S.Maria Egi-ziaca, Modena, Orlandini, 1921, (p. 233); cfr. inoltre E. Walberg, Deux versions inédites de lalégende de l’Antéchrist, Lund, Gleerup, 1928 (e più avanti in n. 40); L. Renzi, Il francese co-me lingua letteraria e il franco-lombardo. L’epica carolingia nel Veneto, in Storia della culturaveneta. Dalle origini al Trecento, vol.II, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 563-589, p. 581 n. 91(oltre a quella di Niccolò da Verona, per cui v.infra, si segnalano altre Passions nelms.Marc.VI di Venezia e nel ms.fr. 821 della BNF).

21 Per tutto quanto concerne quest’opera cfr. Martin da Canal, Les Estoires de Venise, Cro-naca veneziana in lingua francese dalle origini al 1275, a cura di A.Limentani, Firenze, Olschki,1973, A.Limentani, Martino da Canal e l’Oriente mediterraneo, in Venezia e il Levante fino al se-colo XV, a cura di A.Pertusi, vol.II: Arte-Letteratura-Linguistica, Firenze, Olschki, 1974, pp.229-252, A. Limentani, Martino da Canal e Les Estoires de Venise, in Storia della cultura venetadalle origini al Trecento, Vicenza, Neri Pozza,1976, vol. II, pp. 590-601; unici precedenti degnidi nota, E. Bongioannini, Sulla Cronaca dei Veneziani di Martino da Canal, Torino 1897 e P. Ca-tel, Studi sulla lingua della ‘Cronique des Veniciens’, in Rendiconti dell’Istituto Lombardo diScienze e Lettere, cl. di Lettere, LXXI (1938-39), pp. 305-348 e LXXIII (1940), pp. 39-63.

22 P. Meyer, Étude sur les manuscrits du Roman d’Alexandre, in «Romania» XI(1882),pp. 213-332 e P. Meyer, Les premières compilations françaises d’histoire ancienne, in «Roma-

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Circa la classificazione linguistica, risale ad un antico contributo diAdolfo Mussafia l’inaugurazione di una sorta di ordinamento binario perquesti testi a seconda della loro maggiore o minore adesione alla norma anti-cofrancese: applicato originariamente a due opere ambedue trecentescheedite dal suddetto studioso, quali la Prise de Pampelune (o continuazionedell’Entree d’Espagne) ed il Macaire (ultima sezione costitutiva della cosid-detta Geste Francor), tale bipolarità è stata tendenzialmente estesa alle fasicronologiche rispettivamente due e trecentesca di tutta la suddetta produ-zione. In effetti, all’uso di un francese relativamente puro da parte degliscrittori del primo periodo si contrappone, nel secolo successivo, una resaalquanto mescidata con le varietà italiane nord-orientali, ed il parallelo tra-sferimento dalla più ampia area di attività francesizzante ad un settore netta-mente delimitato sia per orientamento generico – poiché all’abbondanza discelte del sec. XIII si sostituisce, nel XIV, la prevalente caratterizzazioneepico-romanzesca – che quanto a dislocazione geoculturale23.

La produzione duecentesca, infatti, non si collega a poli d’attrazioneben definiti, comprende opere ed autori non soltanto di origine veneta edanzi ad essa vengono impropriamente aggregati alcuni scrittori italiani attivi

nia» XIV (1885), pp. 1-81, R. Benedetti, Le Roman d’Alexandre. Riproduzione del ms.Vene-zia, Biblioteca Museo Correr, Correr 1493, Tricesimo, Vattori, 1998 e G.Peron, Il frammentodi Treviso del Roman d’Alexandre, in R.Benedetti, Le Roman d’Alexandre. Riproduzione delms.Venezia, Biblioteca Museo Correr, Correr 1493, Tricesimo, Vattori, 1998, pp. 89-94;A.M. Babbi, Per una tipologia della riscrittura: la ‘Hart’ e il ms. Ashb. 123 della BibliotecaLaurenziana, in Vettori e percorsi tematici nel Mediterraneo romanzo. Seminario L’Apolloniodi Tiro nelle letterature euroasiatiche dal tardo-antico al Medioevo (Roma 2000), Atti, a cura F.Beggiato - S. Marinetti, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, pp. 181-197, E. Burgio, I “ro-manzi” di Apollonio in Francia. Testi e codici nel Tardo Medioevo, in Vettori e percorsi tematicinel Mediterraneo romanzo. Seminario L’Apollonio di Tiro nelle letterature euroasiatiche daltardo-antico al Medioevo (Roma 2000), Atti, a cura F.Beggiato-S.Marinetti, Soveria Mannelli,Rubbettino, 2002, pp. 263-283; O. Pannocchia, La redazione franco-italiana del Jugementd’Amour (Firenze, Biblioteca Mediceo-Laurenziana, Ms.Ashb.123). Edizione critica, Pisa, Fa-coltà di Lettere e Filosofia, a.acc. 2003-2004 (tesi di laurea), F.Cigni, La ricezione medievaledella letterarura francese nella Toscana nord-occidentale, in Fra toscanità e italianità. Lingua eletteratura dagli inizi al Novecento, a cura di E.Werner e S.Schwarze, Tübingen-Basel,Francke, 2000, p. 85 e n. 80.

23 A. Mussafia, Altfranzösische Gedichte aus venezianischen Handschriften herausgege-ben. I. La Prise de Pampelune. II. Macaire, in Scritti di filologia e linguistica, a cura di A. Da-niele e L. Renzi, Padova, Antenore, 1983, pp. 189-246 (il contributo è datato 1864): sul titolo«poco convincente» apposto all’opera (e mantenuto in G. Holtus-P. Wunderli, Franco-ita-lien et épopée franco-italienne = «Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters»,vol.III (Les Epopées romanes), t.1/2, f.10: Franco-italien et épopée franco-italienne, Heidel-berg, Winter, 2005, pp. 199-201 e 371-373) cfr. F. Di Ninni, Niccolò da Verona, Opere, Vene-zia, Marsilio, 1992, p. 89 n.3 (forse più adeguato il termine complue che compare nella di-chiarazione apposta in calce al Marc.XXI, già edita da A.Thomas, L’Entree d’Espagne.Chanson de geste franco-italienne publiée d’après le manuscrit unique de Venise, Paris, Firmin-Didot, 1913, voll. 2).

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per specifici motivi fuori d’Italia. Accanto all’esule Brunetto Latini, autorefra l’altro del trattato enciclopedico del Trésor scritto in un francese abba-stanza corretto, sono così allineati Filippo di Novara, colto funzionario egiureconsulto di origine appunto pedemontana, ma la cui pregevole attivitàletteraria, in prosa e in versi, si svolse tutta nell’Oriente mediterraneo, equell’Aldobrandino di Siena forse médécin della corte di Francia (e comun-que in familiarità con illustri personaggi storici, come dimostrano le dedichea Federico II o Bianca di Castiglia), autore di un Régime du corps ou Livrepour la santé garder, databile fra 1234 e 125624.

Di contro, gli autori del Trecento operano prevalentemente nel Nord-Est, inteso come veneto di terraferma con poco indagate propaggini friula-ne25 nonché soprattutto emiliane, ed a centri promotori situati in tale arearimanda una parte non indifferente di questa attività letteraria. Verso la Fer-rara estense convergono gli omaggi presumibilmente interessati di Nicola daCasola, bolognese, autore dell’Attila datato 1358 (conservato «in esemplareunico in due preziosi codici cartacei dell’Estense di Modena (ms.Est. 26-27,a.W.8.16-17)», e di Niccolò da Verona, a cui sono ascritte ben tre opere dicarattere rispettivamente epico, classico e religioso (la Complue dell’Entreed’Espagne, da Mussafia definita con una certa arbitrarietà Prise de Pampelu-ne, la Pharsale datata 1343, infine una Passion: manoscritti unici rispettiva-mente di Venezia, Marc. fr. V=250; Ginevra, Bibliothèque Publique et Uni-versitaire, Ms.fr.81; ed ancora Venezia, Cod.Marc.str.App.XXXIX=272)26.Il primo dichiara di essere stato sollecitato dall’amico ferrarese Simone Biso-ne «Por fer a le marchis da Est un riche don / O voiremant a suen oncles,dan Boniface, il baron» (dovrebbe trattarsi del conte Bonifacio Ariosti, ziodel marchese Aldobrandino III); quanto alla Pharsale, risulta composta daNiccolò da Verona «Por amor son seignor, de Ferare marchois: / E cil fu Ni-cholais, la flor des Estenois»27. La predominante connotazione veneta di

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24 Cfr. rispettivamente Brunetto Latini, Tresor, a cura di P.G. Beltrami, P. Squillacioti, P.Torri, S. Vatteroni, Torino, Einaudi, 2007; Philippe de Navarre, Les quatre âges de l’homme,ed. M. de Fréville, Paris 1888, Philippe de Novare, Mémoires, 1218-1243, ed. Ch.Kohler, Pa-ris, Champion, 1913, Filippo da Novara, Guerra di Federico II in Oriente (1223-1242), a curadi S.Melani, Napoli, Liguori, 1994; A.Thomas, L’identité du médicin Aldebrandin de Sienne,in «Romania» XXXV(1906), p. 454, L.Landouzy-R.Pépin, Le Régime du corps de maître Al-debrandin de Sienne, Paris, Champion, 1911.

25 Oltre al contributo specifico di P. S.Leicht, Noterelle friulane al «Poema d’Attila» diNicolò da Casole, in «Ce Fastu?» XXVI(1950), pp. 29-35, cfr. A.Roncaglia, La letteraturafranco-veneta, in Storia della letteratura italiana, a cura E.Cecchi-N.Sapegno, Milano, Gar-zanti, 1965, vol. II, pp. 742-743.

26 Cfr. rispettivamente Stendardo 1941 e Villoresi 2005, p. 202 da cui si cita a testo (conbibliografia a p. 200, n. 5, da integrare in base a Holtus-Wunderli 2005, pp. 283-295); Limen-tani 1992 A e in specifico sui mss. Specht 1982, pp. 14-25 e Di Ninni 1992, pp. 29-38.

27 Si cita G.Stendardo (a cura di), Niccolò da Casola, La guerra d’Attila, poema franco-italiano pubblicato dall’unico manoscritto della R. Biblioteca Estense di Modena, Modena, So-

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questa fase produttiva si avvale in ogni caso di eloquenti conferme incrocia-te, quali il collegamento esplicitamente attuato tra Entree d’Espagne di ano-nimo padovano (cod. Marc. XXI) e la continuazione-completamento diNiccolò da Verona (cod. Marc. V), unico indizio di possibili ma non dimo-strati rapporti interautoriali28, o la riemergente veronesità del tardo Raffaeleautore fra 1379 e 1407 dell’Aquilon de Baviere (conservato dal ms.VaticanoUrb.Lat.381, più il frammento Paris, BNF, Nouv.acq.fr. 22389)29.

La duplice situazione descritta, indicativa da un lato della forza di irrag-giamento della civiltà francese, e dall’altro di condizioni specificamente fa-vorevoli a quella sorta di sincretismo culturale e linguistico rilevato per alcu-ni centri padani (spicca la multiforme attività svolta nella marca trevigia-na)30, è rispecchiata da ulteriori divergenze di carattere compositivo e for-male, che possono riassumersi nella coppia antinomica prosa/verso. L’usodella prosa prevale infatti nettamente, con scarse eccezioni, nelle opere del

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cietà tipografica modenese, 1941, voll. 2, I, vv. 43-44 («Per questo motivo il Rajna definì l’At-tila “non solo…un libro estense, ma addirittura anche un libro ariosteo”»: così VILLORESI

2005, p. 202 n. 9) e DI NINNI 1992, Pharsale, vv. 1935-1936.28 Peraltro «sembra lecito congetturare che l’attività del Padovano dell’Entrée e di Nic-

colò da Verona… si sia svolta lontano dalle rispettive città natali» (A.Limentani, L’Entreed’Espagne e i Signori d’Italia, a cura di M. Infurna - F. Zambon, Padova, Antenore, 1992 (A:L’epica in ‘lengue de France’. ‘L’Entrée d’Espagne’ e Niccolò da Verona, p. 4), se ambedue risul-tano collegati all’orbita estense. Sull’Entree d’Espagne v. ora C.Alvar, La Entrada en España.Poema épico del siglo XIV en franco-italiano, Valencia, Ediciones Grial, 2003 (con descrizionedel Cod. Marc. XXI=257, a cura S.Marcon, a pp. 291-318); per i rapporti Entree-Prise, in-dubbi al di là di irrisolti quesiti filologici riguardanti l’esatto punto di sutura fra le due com-petenze autoriali, cfr. ancora LIMENTANI 1992, A B e passim ed inoltre SPECHT 1982, pp. 56-61 e 67-69; F. Di Ninni, Niccolò da Verona, Opere, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 11-12 e 18-25,nonché a pp. 54-55 su significative convergenze metriche.

29 A. Thomas, Aquilon de Bavière. Roman franco-italien inconnu, in «Romania» XI(1882), pp. 538-569; P.H. Coronedi, L’«Aquilon de Baviere», in «Archivum romanicum» XIX(1935), pp. 237-304; P. Wunderli, Le fragment parisien de l’‘Aquilon de Baviere’, in «Zeitsch-rift für romanische Philologie» 96(1980), pp. 489-505, P. Wunderli, ed.: Raffaele da Verona,Aquilon de Baviere. Roman franco-italien en prose (1379-1407). Introduction, édition et com-mentaire, voll. 2, Tübingen, Niemeyer, 1982, P. Wunderli, Un nuovo autore dell’Aquilon deBaviere?, in «Vox romanica» 43(1984), pp. 81-84; G.Holtus-P. Wunderli, Franco-italien etépopée franco-italienne = «Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters», vol.III(Les Epopées romanes), t.1/2, f.10: Franco-italien et épopée franco-italienne, Heidelberg, Win-ter, 2005, pp. 271-282.

30 F. Brugnolo, La cultura volgare trevisana nella prima metà del Trecento, in Tommaso daModena e il suo tempo, Venezia, Stamperia di Venezia, 1980, pp. 157-182, F. Sberlati, Perife-ria geografica ed ibridismo linguistico: la Padania nel XIV secolo, in «Schede umanistiche» I/1(1991), pp. 9-56 e Plurilinguismo e sperimentalismo nella Padania del Trecento, ibidem 2(1991), pp. 81-125, E.Lippi, La letteratura in volgare di sì a Treviso nel Due e Trecento, in Sto-ria di Treviso, a cura di E.Brunetta, II. Il Medioevo, a cura di D. Rando e G.M. Varanini, Pa-dova, Marsilio, 1991, pp. 451-486 e G. Peron, Cultura provenzale e francese a Treviso nel Me-dioevo, in Storia di Treviso, a cura di E. Brunetta, .Il Medioevo, a cura di D. Rando e G.M. Va-ranini, Padova, Marsilio, 1991, pp. 487-543, Il Medioevo nella Marca 1991.

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Duecento, contro il costante utilizzo del verso per lo più epico nella produ-zione del secolo successivo, anche da questo punto di vista molto compattaed univocamente riconoscibile.

L’equazione lingua d’oïl e narratività ha quindi privilegiato, nella primafase, le realizzazioni prosastiche, forse anche per la maggior facilità di resa,accentuata dalle caratteristiche semitraduttorie (e quindi debolmente inno-vative) di molte di queste opere gravitanti prevalentemente nell’orbita di-dattica. Può trattarsi insomma di volgarizzamenti dal latino, più o meno fe-deli (così la versione francese di Moamin et Ghatrif, trattati di falconeria ecaccia di origine orientale, si rifà esplicitamente alla loro precedente traspo-sizione latina ad opera di un maestro Teodoro, attivo alla corte di FedericoII)31, o al più di ancora prudenti compilazioni (il Livre d’Enanchet, prontua-rio di ammestramenti basato su fonti ben riconoscibili tra cui il De Amore diAndrea Cappellano e conservato da due manoscritti, rispettivamente alla Bi-blioteca Metropolitana di Zagabria, MR 92 = z, ed alla Biblioteca Nazionaledi Vienna, 2585 = w, datati 1252 e 1287)32. Naturalmente, qualche eccezio-ne si registra da una parte e dall’altra come, tra le prose ancora duecente-sche, il caso peculiare del ‘Milione’, opera dallo statuto generico e linguisti-co indefinibile e comunque altamente originale33 e di converso la diligente

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31 C. Frati, Re Enzo e un’antica versione francese di due trattati di falconeria, in Miscella-nea Tassoniana di studi storici e letterari pubblicati nella festa della Fossalta, Bologna-Modena,Formiggini, 1908, pp. 61-81, H. Tjerneld (ed.), ‘Moamin et Ghatrif’. Traités de fauconnerie etdes chiens de chasse, Édition princeps de la version franco-italienne, Stockholm-Paris, Fritze-Thiébaud, 1945, M.-D. Glessgen, La traduzione arabo-latina del Moamin eseguita per Federi-co II: tra filologia testuale e storia, in «Medioevo romanzo» XXV(2001), 1, pp. 63-81 (cfr. ol-tre in n. 39).

32 W. Fiebig (ed.), Das ‘Livre d’Enanchet’ nach der einzigen Handschrift 2585 der WienerNationalbibliothek herausgegeben, Jena-Leipzig, Gronau, 1938 e W. Fiebig, Das “Livre d’E-nanchet”. Zur Frage der Namensdeutung und zu seinen Quellen, in «Zeitschrift für französi-sche Sprache und Literatur», LXX (1960), 1-2, pp. 182-198, V. Putanec, Un second manuscritdu Livre d’Enanchet, in «Romania» LXX (1948-1949), pp. 74-83 (p. 82: «Il semble que lems.w …par rapport au ms.z, soit une rédaction du texte original avec de fréquentes interpo-lations, paraphrases et ‘traductions’»), E.Ruhe, Enanchet ‘semplice compilatore’?, in«Neuphilologische Mitteilungen» LXXI (1970), pp. 1-28. Incerti i rispettivi luoghi italoset-tentrionali di trascrizione: il codice w risulta copiato da un certo Rofin «qui a celui tens estoitgarde» della torre detta Mizane (A.Viscardi, Letteratura franco-italiana, Modena, Società Ti-pografica Modenese, 1941, p. 145). La datazione di z esemplato nel 1252 in una non identifi-cata «contree des Montels» (V.Putanec, Un second manuscrit du Livre d’Enanchet, in «Roma-nia» LXX (1948-1949), pp. 74-83, p. 77) invita addirittura «a retrodatare gl’inizi della lettera-tura franco-veneta» (V. Putanec, Un second manuscrit du Livre d’Enanchet, in «Romania»LXX (1948-1949), p. 639 e n. 21).

33 G. Ineichen, La mescolanza delle forme linguistiche nel ‘Milione’ di Marco Polo, in Te-sti, cotesti e contesti 1989, pp. 65-74, V. Bertolucci Pizzorusso, Enunciazione e produzione deltesto nel Milione, in Morfologie del testo medievale, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 209-241 eV. Bertolucci Pizzorusso, Lingue e stili nel Milione, in L’Epopea delle scoperte, a cura diR.Zorzi, Firenze, Olschki, 1994, pp. 61-73, M.G. Capusso, La lingua del Divisament dou

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messa in rima, da parte di Niccolò da Verona, dei ben riconoscibili Fet desRomains nella Pharsale, mentre rivendica una moderata autonomia la suarappresentazione della Passion evangelica34.

All’opposto, la narrativa versificata epico-romanzesca era per così diregeneticamente predisposta ad un continuo rifacimento, come già dimostrala tradizione manoscritta dell’area originaria, piattaforma di lancio per laprofonda dinamica innovativa che caratterizzerà molte opere franco-italianedel Trecento. Allo stesso tempo, il venir meno di una costante fedeltà mime-tica si accompagnava ad un tasso indubbiamente più elevato di rischio dalpunto di vista della coerenza compositiva e soprattutto della correttezza for-male. Molte delle ricorrenti aporie metriche (anisosillabismo e rime irrego-lari, ecc.) rispecchiano difficoltà comuni ad altre aree marginali del dominiooitanico, qui potenziate dalla cooperante ed intensa commistione linguisti-ca. Risultano al riguardo altamente sintomatiche le parole-rima variamentemostruose delle copie franco-italiane di importanti chansons de geste: da Ali-scans del ms. Marc.fr.VIII (=252) all’Anseïs de Carthage (nel ms. Paris, B.N.,f.fr. 1598, esemplato da un ‘Giovanni da Bologna’), dalle varie redazionifranco-italiane dell’Aspremont (tra cui spiccano i marciani V4 e V6) al Ro-land dello stesso V4 = 225 (meno caratterizzate le redazioni rimate di V7 =251 nonché Châteauroux)35; nella privilegiata zona finale del verso tende

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monde di Marco Polo. I. Morfologia verbale, Pisa, Pacini, 1980 e M.G.Capusso, La mescidan-za linguistica del Milione franco-italiano, in Atti del Convegno Internazionale “I viaggi del Mi-lione” (Venezia 2005), Roma, Tielle Media, in c.d.s..

34 F.Di Ninni, La Passion di Niccolò da Verona fra traduzione e tradizione, in «Studi fran-cesi» 75(1981), pp. 407-423, F.Di Ninni, La formazione del lessico in Niccolò da Verona, in Te-sti, cotesti e contesti 1989, pp. 202-208 e F.Di Ninni, Niccolò da Verona, Opere, Venezia, Mar-silio, 1992, pp. 14-18 e 25-29; R.Specht, Recherches sur Nicolas de Vérone. Contribution à l’é-tude de la littérature franco-italienne du quatorzième siècle, Berne-Frankfurt, Lang, 1982, pp.111-169 e 171-203.

35 Cfr. rispettivamente (oltre ai consuntivi di G.Holtus-P. Wunderli, Franco-italien etépopée franco-italienne = «Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters», vol. III(Les Epopées romanes), t.1/2, f.10: Franco-italien et épopée franco-italienne, Heidelberg, Win-ter, 2005, pp. 164-165, 167-168, 204-207, 259-264 e 265-270): G. Holtus, La versione franco-italiana della ‘Bataille d’Aliscans’: Codex Marcianus fr. VIII (=252). Testo con introduzione,note e glossario, Tübingen, Niemeyer, 1985 e M. Tyssens, La version franco-italienne d’«Ali-scans», in La cultura dell’Italia padana 2001, pp. 3-16; W. Meyer-Lübke, Franko-italienischenStudien, I.Anseïs, in «Zeitschrift für romanische Philologie» IX (1885), pp. 597-640; W.Meyer-Lübke, Franko-italienischen Studien, II Aspremont, in «Zeitschrift fur romanischePhilologie» X (1886), pp. 22-55 e 363-410, J.Monfrin, Fragments de la ‘Chanson d’Aspre-mont’ conservés en Italie, in «Romania» LXXIX(1958), pp. 237-252 e 376-409, M. Boni, I ri-facimenti franco-italiani della Chanson d’Aspremont conservati nella Biblioteca Marciana, in«Cultura Neolatina» 21 (1961), pp. 123-134 e M. Boni, Un manoscritto poco noto della Chan-son d’Aspremont: il codice 470 (703) del Musée Condé di Chantilly, in Romania. Scritti offertia Francesco Piccolo, Napoli, Armanni, 1962, pp. 123-147, M. Infurna, Un nuovo frammentofrancoitaliano della “Chanson d’Aspremont”, in «Medioevo romanzo» 26 (2002), pp. 69-81;

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comunque a concentrarsi, a prezzo di insostenibili funambolismi fono-morfologici, la volontà gallicizzante dei rimatori36.

Qualche ulteriore considerazione circa l’atteggiamento degli autorifranco-italiani nei confronti dello strumento linguistico adottato e, più in ge-nerale, dei modelli culturali e testuali di riferimento può essere suggeritadalle stesse dichiarazioni programmatiche di questi scrittori, identificati op-pure anonimi: e non è un caso, forse, che esse abbondino soprattutto nelleopere duecentesche, le più diligenti dal punto di vista della trasposizionecontenutistica e della resa formale.

Di esse, vengono citate soprattutto quelle di Brunetto Latini e Martinda Canal, per le convergenti affermazioni circa la piacevolezza e l’universa-lità d’uso della lingua d’oïl (almeno per Les Estoires de Venise, potrebbe ag-giungersi una implicita motivazione politico-diplomatica)37.

Li Livres dou Tresor, I, i, 7 [BELTRAMI 2007]:Et se aucuns demandoit por quoi cist livres est escriz en romanz selonc le langa-ge des François, puisque nos somes Ytaliens, je diroie que ce est por.ii. raisons:l’une car nos somes en France, et l’autre por ce que la parleüre est plus delitableet plus commune a toutes gens[E se qualcuno domandasse perché questo libro è scritto in volgare nella linguadei Francesi, quand’io sono italiano, dirò ch’è per due ragioni: l’una, perché mitrovo ora in Francia, l’altra perché questa lingua è più gradevole e più accessibi-le a tutti]

Les Estoires de Venise, I 1 5 e II 1 1-3 [LIMENTANI 1973]:

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C. Beretta, Il codice V 4 della Chanson de Roland: dall’assonanza alla rima e Per la localizza-zione del testo rolandiano di V 4, in «Medioevo romanzo» X(1985), pp. 189-224 e 225-248 eC.Beretta, (a cura di), Il testo assonanzato franco-italiano della Chanson de Roland: cod. Mar-ciano fr. IV(=225). Edizione interpretativa e glossario, Pavia, Università degli Studi, Diparti-mento di Scienza della Letteratura e dell’Arte medioevale e moderna, 1995.

36 A.Roncaglia, La letteratura franco-veneta, in Storia della letteratura italiana, a curaE.Cecchi-N.Sapegno, Milano, Garzanti, 1965, vol.II, p. 741 descrive il «fenomeno non sol-tanto franco-veneto, ma proprio in generale dei manoscritti tardivi … esemplati in tempi o inluoghi in cui non c’era, o non c’era più, il pieno possesso della struttura linguistica origina-ria», quindi portati ad esaltare «la funzione della rima, sede privilegiata di valori espressivi»;per esemplificazioni sistematiche cfr. inoltre C. Beretta, Il codice V 4 della Chanson de Ro-land: dall’assonanza alla rima e Per la localizzazione del testo rolandiano di V 4, in «Medioevoromanzo» X(1985), pp. 189-224 e 225-248 e A. Limentani, L’Entree d’Espagne e i Signorid’Italia, a cura di M. Infurna - F. Zambon, Padova, Antenore, 1992, G G: Problemi dell’epicafranco-italiana: appunti sulla tecnica della lassa e della rima, pp. 226-242.

37 Martin da Canal, Les Estoires de Venise, Cronaca veneziana in lingua francese dalle ori-gini al 1275, a cura di A. Limentani, Firenze, Olschki, 1973, A. Limentani, Martino da Canale Les Estoires de Venise, in Storia della cultura veneta dalle origini al Trecento, Vicenza, NeriPozza,1976, vol. II, pp. 590-601, A. Limentani, L’Entree d’Espagne e i Signori d’Italia, a curadi M. Infurna - F. Zambon, Padova, Antenore, 1992, E: Franco-veneto e latino, pp. 203-213;Baffi 2001.

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Et porce que lengue franceise cort parmi le monde et est la plus delitable a lireet a oïr que nule autre, me sui je entremis de translater l’anciene estoire des Ve-neciens de latin en franceis[E poiché la lingua francese è diffusa in tutto il mondo ed è più piacevole daleggere e da udire di ogni altra, ho intrapreso di tradurre l’antica storia dei Ve-neziani dal latino al francese]

Intenzioni all’incirca equivalenti vengono esplicitate nell’opera cronolo-gicamente più tardiva, e comunque letterariamente notevole, della produ-zione franco-italiana.

Aquilon de Baviere, I 8-10 [WUNDERLI 1982]:E pour caver malanconie e doner dellit e giogie a ceus che unt giantil coragie,l’ai redute in lingue che pora esre intandue da homes e da dames literés e non li-terés[E per togliere malinconia e dare diletto e gioia a coloro che hanno nobile cuo-re, l’ho (questa storia) trasposta in una lingua che potrà essere compresa da uo-mini e dame letterati e non letterati]

Significative anche le autodichiarazioni di competenza dell’autore38 perquanto attiene all’uso del francese, pressoché analoghe nelle opere del Duee del Trecento. Si può partire dalle caute affermazioni del Daniele curatoreper volontà di re Enzo prigioniero a Bologna (1249-1272) della versionefrancese, o meglio franco-italiana dei già citati trattati sulla caccia, che invo-ca quale autorevole supervisore della propria fatica traduttoria il regalecommittente di cui si professa «servenz et home lige» (si cita dal manoscrit-to veneziano Marciano 279, databile alla prima metà del sec.XIV, a cui vaaggiunto l’incompleto e all’incirca coevo Bruxelles, Bibliothèque Royale, IV1208)39.

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38 Oltre a A. Roncaglia, La letteratura franco-veneta, in Storia della letteratura italiana, acura E. Cecchi-N. Sapegno, Milano, Garzanti, 1965, vol. II, pp. 727-759, L. Renzi, Il francesecome lingua letteraria e il franco-lombardo. L’epica carolingia nel Veneto, in Storia della culturaveneta. Dalle origini al Trecento, vol. II, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 563-589, C. Segre, Laletteratura franco-veneta, in Storia della letteratura italiana, vol.I: Dalle origini a Dante, Roma,Salerno, 1995, pp. 631-647, cfr. G. Holtus, Autor, Schreiber und Text im Franko-Italienischen,in Literatur: Geschichte und Verstehen. Festschrift für Ulrich Mölk, herausgegeben von H.Hudde und U. Schöning, Heidelberg, Winter, 1997, pp. 331-339 e G. Holtus-P. Wunderli,Franco-italien et épopée franco-italienne = «Grundriss der romanischen Literaturen des Mit-telalters», vol. III (Les Epopées romanes), t.1/2, f. 10: Franco-italien et épopée franco-italienne,Heidelberg, Winter, 2005, pp. 46-49.

39 La denominazione d’autore risulta «Daniel de Cremone» nell’incipit del manoscrittoveneziano, e cfr. nel Prologo «Daniel Deloc qi fui de Cremone nez» (Frati 1908, p. 75). Sulsecondo testimone, cfr.VAN DEN ABEELE 1994, p. 403 n.63 e Brunetti 2004, p. 133 n. 20; ingenerale ibidem, pp. 131-134 e per la lingua INEICHEN 1968 (il copista del marciano pare daidentificare in «un Allemand, Angelus de Franchonia, ce qui suggère l’idée d’une transmis-sion plutot mécanique du texte»: p. 430).

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Moamin Fauconnier, Livres des oissieax et des bestes de rapine, Prologo [FRATI

1908, p. 76]…tot soie ie de poure letreure et de poure sciençe garniç, e tot soit greueusechose a ma lange profferre le droit françois, por ce qe lombard sui, me n’entre-metrai seuremant de buen cuer et uolentiers, a tot le miels qe ie le saurai fere, ese ie mespreign en aucune chose, ie li pri hublemant com a mon lige segnor, q’ille ma perdoing …e q’il li mende e corrie en toç les leuz ou il en euura me-stiers…q’il le sauara bien fere e raisnablement sanz nulle defaute.[Benché io sia fornito di poche lettere e di poca scienza, e benché sia difficile

alla mia lingua pronunciare correttamente il francese, perché io sono lombardo,me ne occuperò sicuramente di buon cuore e volentieri, proprio al meglio chesaprò fare, e se mi sbaglio in qualche punto, lo [re Enzo] prego umilmente co-me mio legittimo signore, affinché mi perdoni … e che l’emendi e corregga intutti i luoghi dove sarà necessario … poiché egli lo saprà fare bene e ragionevol-mente senza nessun errore]

Questo atteggiamento di prudente cortigianeria viene controbilanciatodalle espressioni orgogliose dell’anonimo autore di un poemetto sull’Anti-cristo, conservato insieme ad altre opere devote nel ms. 3645 della Bibliote-ca dell’Arsenale di Parigi (la data di composizione 1251 fornita nell’explicit,insieme alla circostanziata indicazione localizzatoria – «in contrata de Mon-teculis de Verona», cioè contrada Montecchi –, pare delle più antiche perl’ambito franco-italiano).

Antéchrist, vv.1-12 [ed. WALBERG 1928]:Por ce qe je say le francoisE qe [je] soy parler ancoisFranchois qe nul altre lengaje,Si me samble strange e sauvajeDe ce qe j’aipris en enfançeLaiser, car le lengue de FrançeEst tels, qi en primer l’aprentJa ni pora mais autrementParler ne autre lengue apprendre.Por ce ne me doit nus reprendreQi m’oie parler en francois,Qe j’apris [a] parler anchois.[Per il fatto che io conosco il francese e che so parlare francese meglio di qual-siasi altra lingua, mi sembra strano e stravagante abbandonare quanto ho ap-preso nella mia infanzia, poiché la lingua di Francia è tale (che) chi l’apprendeper prima mai più non potrà esprimersi altrimenti né imparare un’altra lingua.Perciò non mi deve riprendere nessuno che mi oda parlare in francese, (lingua)che imparai a parlare all’inizio (della mia vita)]

La suddetta dichiarazione ha indirizzato l’editore Walberg, seguito daViscardi, a supporre una nascita francese dell’autore, ma la discreta italia-nizzazione linguistica aveva già indotto Paul Meyer ad identificarlo in un ita-

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liano, forse temporaneamente vissuto in Francia: per Ruggieri senz’altro sitratta di un «ignoto veronese»40. La stessa carica di autoelogio è comunqueinsita nelle proposizioni di Niccolò da Verona all’interno della Pharsale, uni-tamente al grido d’allarme nei confronti dei copisti plagiari e scorretti.

Pharsale, vv.1938-1948 [DI NINNI 1992]:Und pri li giugleors qe cantent orendroisQe de ce ne se vantent, e feront cum cortois.Qar dit le proverbe, cum vous oï avois:Qi d’altruy drais se vest, de desvest mante fois;Und chascun deit vestir suen cors de ses hernois,S’il ne vout qe les giens facent de lu gabois.E qi le vout canter si doit doner le loisA cil qi le rima, soit zentil ou borçois.Qar çe ne say nuls hom en Paris ne en ValoisQe non die qe ces vers sont feit par buen françois,Fors qe faus escritors ne li facent sordois.[Onde prego i giullari che ora cantano affinché di ciò non si vantino, e si com-porteranno da cortesi. Perché il proverbio dice, come voi avete udito: ‘Chi dipanni altrui si veste, molte volte si sveste’; onde ciascuno deve vestire la sua per-sona dei propri abiti, se non vuole che la gente si faccia beffe di lui. E chi vuolecantare ciò, deve riconoscere il diritto a colui che lo compose, che sia nobile oborghese: poiché io non conosco nessun uomo a Parigi o nel Valois che non di-ca che questi versi sono fatti in buon francese, salvo che malfidati copisti non liinsozzino]

Quanto ai topici richiami a preesistenti auctoritates, anche i compositorifranco-italiani non mancano di fare appello alle proprie fonti di riferimento,sia documentate (soprattutto per i prosatori) che, talvolta, fantasiose, e sem-pre in rapporto alla loro attuale resa in lingua francese. Pertanto, accantoagli obiettivi rimandi di Daniele Deloc (a «metre Theodres» della corte fe-dericiana ed allo stesso Imperatore che «lo emenda puis et correis par moltgrant estude»)41 o del cronista Martin da Canal

Estoires de Venise II 1 1-3 [LIMENTANI 1973]:Por henorer la tres noble cité que l’en apelle Venise et por henor de mesire Re-nier Gen, li haut dus de cele belle cité, je maistre Martin da Canal, que ai leueset parleues les ancienes estoires, me sui entremis de translater de latin en fran-ceis les euvres des Venisiens…[Per far onore alla nobilissima città chiamata Venezia e per onore di messer Ra-nieri Zeno, l’alto doge di quella bella città, io, maestro Martino da Canal, che ho

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40 Meyer 1904, pp. 85-86, Walberg 1928, pp. xiv, xxxiii («langue…à peu près correcte»),xxxiv («un des plus anciens poèmes français composés au Sud des Alpes», anche se la copiamanoscritta risulta databile alla fine del sec. XIII); Viscardi 1941, pp. 141-142, Ruggieri1971, p. 71.

41 Frati 1908, pp 75-76 (Prologes).

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letto e riletto le antiche storie, ho intrapreso di tradurre dal latino in francese leopere compiute dai Veneziani]

si collocano i richiami cronachistico-leggendari dell’anonimo padovano42

Entree d’Espagne, vv.10973-6 e 10978-81 [THOMAS 1913]:Je qe sui mis a dir del neveu Carlemanmon nom vos non dirai, mai sui Patavian,de la citez qe fist Antenor le Troian,en la joiose Marche del cortois Trivixan….En cronique letree, qe escrist de sa manl’arcivesque Trepins, atrovai en Millanl’estorie e la conquise dou regne Castellanqe fist le neveu Carles….[Io che mi sono accinto a raccontare del nipote di Carlomagno non vi dirò ilmio nome, ma sono Padovano, della città che fondò Antenore il Troiano, nellagioiosa Marca del cortese trevigiano … In cronaca letteraria, che scrisse di suamano l’arcivescovo Turpino, trovai a Milano la storia e la conquista del regnocastigliano che fece il nipote di Carlo…]

o di Nicola da Casola, che in due luoghi distinti del suo ridondante poemapare alludere a fonti tradizionali perseguite con specifici viaggi nel Nord-Estitaliano

La guerra d’Attila, XVI, vv. 6086 e 6089-91 [STENDARDO 1941]:Por açater li escript et la croniche maorDe cest filz au livrer, qe a si grant furorVent confondre Ytaire e’l batisme anchorIn Friul me sui penez, in l’Istrie et in Chalor,In la Marçhe et in Lomgbardie et in mant terres et borPor atrover li escript de Atille et la flor[Per procurarmi gli scritti e la cronaca maggiore su questo figlio del levriero,che con così grande furore venne a scompigliare l’Italia e la stessa cristianità, inFriuli mi sono preoccupato (di andare), nell’Istria ed in Cadore, nella Marca(trevisana) e in Lombardia e in molte terre e paesi per trovare gli scritti migliorisu Attila]43

e ad un modello latino scritto.

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42 Limentani 1992 A, pp. 8-9: non particolarmente significativo il richiamo alla diffusaleggenda delle origini padovane, mentre la menzione di Milano può avvalorare «l’ipotesi(Dionisotti) di una gravitazione dell’autore nell’ambiente visconteo, al quale…non è estraneala Mantova gonzaghesca».

43 «Forse in luogo di Chalor si deve leggere Chador» (Leicht 1950, p. 31 n. 6). Sulla riva-lutata attendibilità delle fonti menzionate (generalmente ritenute «pura invenzione lettera-ria») cfr. Villoresi 2005, p. 200 n. 5 (da cui si cita) e in rimando a Carile 1973, pp. 371-373.

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[Ibidem V, vv. 452-456]:L’istoire vos dirai si con script Nicolais,Que la veraie ystoire in croniche atrovais,E sor un bon auctor, que fist un clers verais,Que nez fu d’Aquillee; li son non fu Thomais,Dou patriarçhe Nichete fu scriban au palais[La storia vi riferirò così come scrisse Nicola, poiché trovai la vera storia in cro-nache, redatte da (lett: e su) un valente autore, cronache che compose un chieri-co veritiero, nato ad Aquileia; il suo nome era Tommaso, era scrivano nel palaz-zo del patriarca Nichete]

Le asserzioni meno verificabili sembrano quelle, caratterizzate da un so-vrabbondante sfoggio di erudizione, dell’Aquilon de Baviere44

[WUNDERLI 1982, I 1 2-7]:…me sui pris a translater une istorie che longament ert demoree che nul non oitintandus niant, laquel fu primemant scrite par um phylosophe de le part d’Afri-che che fu apelés Eraclides, e depois fu només Dalfim, che scrist l’istoire prime-mant in lingue africhane, e depois ly arcivescheve Trepin la mist in cronice porletres[…ho intrapreso a tradurre una storia che a lungo era rimasta (sconosciuta), sì

che nessuno non ne aveva saputo niente, la quale fu dapprima scritta da un filo-sofo delle parti d’Africa che si chiamava Eraclide, e poi fu chiamato Dalfim, co-lui che scrisse la storia primamente in (una) lingua africana, e in seguito l’arcive-scovo Turpino la traspose in cronaca secondo l’uso letterario]

In ogni caso, appare indicativo che dell’operazione letteraria compiuta,talvolta su richiesta esplicitata di nobili committenti (è il caso dell’Attila edella Pharsale, già citate al riguardo), si sottolinei simultaneamente l’avvenu-ta messa in rima, in rapporto a supposte o effettive fonti prosasastiche, ed iltrasferimento linguistico latino-francese. Al riguardo risultano concordi ledichiarazioni degli stessi Nicola da Casola (il clers verais di Aquilea «l’ascript in latin», ora l’autore «…touz la division / In rime traslate de Fran-ce»)45 e di Niccolò da Verona, nell’esordio della propria ‘Continuazione’dell’Entree d’Espagne

[DI NINNI 1992, p.205]:Ci tourne Nicolais a rimer la complueDe l’Entree d’Espagne, qe tant est stee esconduePar ce ch’elle n’estoit par rime componue

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44 Coronedi 1935, pp. 259-260 (il filosofo-astrologo cartaginese avrebbe consegnato «ilproprio manoscritto originale a Turpino quando questi era in procinto di abbandonare persempre l’Africa», alla fine del VI libro dell’opera); cfr. Wunderli 1985, p. 276 e Holtus-Wun-derli 2005, pp. 274-275 (dove così si tenta di ricostruire la filiera compositiva fittizia: libro diEraclides-Dalphim>cronaca di Turpino>conte di auctor anonimo>Aquilon franco-italiano).

45 Cfr. rispettivamente Stendardo 1941, V 457 e I 46-47.

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Da cist pont en avant, ond il l’a proveüePour rime, cum celu q’en latin l’a leüe…[Qui Nicolò intraprende a rimare la continuazione dell’Entree d’Espagne, cheper tanto tempo è rimasta nascosta per il fatto che non era composta in rima daquesto punto in avanti, perciò egli l’ha versificata come colui che in latino l’haletta]

Curiosa e probabilmente realistica, infine, la motivazione pratica addot-ta dallo stesso scrittore all’interno della Pharsale, e cioè l’utilità di una messain rima dei Fet des Romains come libro di viaggio per cavalieri.

[DI NINNI 1992, p.102, vv.28-37]:Mes dou feit des Romeins ne pooit por certanceNul conter bien a pont tot la droite sentance,Se tote foi n’avoit l’autor en sa prexance,Pour ce q’il n’est rimé par nulle concordance,E home civauçant auroit trou destorbanceA lire por zamin le feit en comunance.Or le vous veul rimer por tele destinance:Qe cil qe por ma rime l’aura en remenbranceLe pora dir sens livre e sens nulle pesanceE de falir l’istoire ja non aura dotance.[Ma dei fatti dei Romani nessuno poteva con evidenza raccontare bene e com-piutamente tutta la vera storia, se ogni volta non aveva l’autore (latino) a sua di-sposizione, per il fatto che non ne esiste una versione rimata, ed una personache viaggia a cavallo avrebbe avuto troppo disturbo a leggere per strada la sto-ria in compagnia. Ora voglio metterla in rima con questo scopo: affinché coluiche grazie alla mia versione rimata riuscirà a memorizzarla potrà ripeterla senzail supporto di un libro e senza nessuna fatica e non avrà più paura di raccontarequalcosa di storicamente inesatto]

Le dichiarazioni appena riportate comprovano la netta autocoscienza diquesti autori di scrivere in francese, lingua accolta consapevolmente in alter-nativa ancora illustre, ma ben più largamente comunicativa, al latino dellatradizione aulica, e adoperata con uno scrupolo di correttezza sulla cui one-stà è forse ingeneroso e nemmeno verosimile dubitare. In ogni caso, al di làdelle enunciazioni programmatiche, gli stessi risultati pratici presuppongo-no quelle «convenienze particolari e intime fra le rimote fasi dei vernacoliveneti e lombardi, dall’un canto, e il francese e il provenzale dall’altra» addi-tate a suo tempo da G.I. Ascoli, che opportunamente chiosava: «lo scrittorepadovano, il quale si metteva a comporre dei poemi franco-italiani, avrebbedetto sin dalle fasce … nel suo schietto vernacolo materno: nu prometón dedire solamén la senta verité». La suddetta esemplificazione delle concordan-ze fonomorfologiche tra i due domini (ribadita indirettamente da scavi spe-cifici come quello compiuto da W. Fiebig: i 33 tratti presentati come tipicidel franco-italiano risultano in buona parte comuni all’italiano settentriona-

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le ed allo stesso francese antico) va integrata con l’importante completamen-to addotto da G.B. Pellegrini, e cioè le «notevoli isoglosse lessicali, fra gallo-romanzo e dialetti italiani settentrionali»46.

A quest’ultimo riguardo, se alcuni decenni fa veniva giustamente la-mentata l’assenza di un thesaurus del franco-italiano, nonché di «singoli les-sici accurati ed esaurienti»47, oggi la situazione appare decisamente miglio-rata grazie ad un concreto risveglio d’interesse per il versante testuale e, ap-punto, linguistico. Gli ottimi glossari compilati per opere nuovamente editee/o approfonditamente analizzate (dall’Entree d’Espagne al Roland marcia-no di V4) si affiancano così ad indagini scaltrite sulle modalità dell’interfe-renza linguistica, in particolare per l’Entree, l’Attila e l’Aquilon de Baviere,più il riepilogo fornito dal recente fascicolo del «Grundriss»48. Tutto ciòpresuppone accurati raffronti su documenti letterari e non letterari di areaitaliana nord-orientale e sulla parallela produzione transalpina, che pure hasuggerito precisazioni cronologiche e spaziali (la resa riflessa franco-italianasi qualifica presumibilmente arcaizzante rispetto all’epoca di utilizzo; da se-gnalare la predominanza orientale della koinè letteraria accreditata)49. Tra ipiù recenti contributi sistematici, oltre all’intrapresa ripresentazione globaledel corpus, si segnalano per la loro obiettiva utilità gli spogli informatici (ve-di il repertorio FIOLA di L.Z. Morgan)50 che permettono finalmente ri-scontri davvero circolari.

Se l’analisi degli ingredienti linguistici (e metrici, strettamente correlati)del franco-italiano prosegue su basi sempre più solide, rimane tuttora apertal’inchiesta sulle sue motivazioni più profonde. Molta strada è stata fatta ri-spetto all’algida dissezione operata da Adolfo Mussafia («Allerdings trittuns auch hier nur Verderbniss entgegen; pathologische Gebilde sind indes-sen oft eben so interessant als gesunde Organismen») ed ai perplessi giudizidi Pio Rajna (pur soppesando i potenziali apporti della tradizione mano-scritta e della divulgazione orale, si ammetteva che spesso il rimatore «vollema non seppe comporre in lingua d’oïl»), fatti propri nella sostanza da Ber-toni (che peraltro invitava a distinguere fra testi a predominanza rispettiva-mente francese e italiana) e soprattutto da Viscardi51. La svolta si è avuta po-co dopo il 1960, grazie alle fondamentali acquisizioni di Roncaglia, che indi-

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46 Ascoli 1873, pp. 450-451; Fiebig 1938, pp. XXXVI ss. (su cui cfr. Holtus 19792, pp. 858-859 nonché Holtus 1989, p. 7: «on pourrait dire qu’ils forment un faisceau de traits caractéri-stiques possibles»); Pellegrini 19771, p. 128.

47 Si cita da Ruggieri 1966, p. 150, e cfr. Pellegrini 19771, pp. 128-129.48 Cfr. rispettivamente Holtus 19791; Beretta 1985 e 1995; Renzi 1970 e 1976; Peisker

1973; Wunderli 2001; Holtus-Wunderli 2005.49 Renzi 1976, p. 575; Contini 1964, pp. 111-112, Roncaglia 1965, p. 744.50 Ci si riferisce a Holtus-Wunderli 2005; Ancien et moyen français 2003.51 Mussafia 1983, p. 209, RAJNA 1998, p. 200, Bertoni 19211, pp. 227-229, Viscardi 1941,

p. 46.

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vidua un compromesso dinamico fra prestigio della lingua originale e neces-sità di adattamento alla comprensibilità di un pubblico non francofono (leconcomitanti funzioni di ‘trascrizione’ e ‘traduzione’) e di Ruggieri, secondocui gli scrittori francoitaliani «vollero e seppero scrivere la Mischsprache cheeffettivamente scrissero», «strutturalmente, culturalmente e socialmente ‘in-terclassista’», senza escludere all’interno di essa la coesistenza di testi a pre-valenza francese o veneta52. Per gli anni più recenti, oltre ai numerosi contri-buti di Holtus, conviene ricordare l’intervento definitorio di Renzi, che inbase alla diversa importanza dei rispettivi apporti francesi e italiani invita adistinguere tra il più corretto e ‘volontario’ «francese di Lombardia» e l’ibri-do forse casuale «franco-lombardo», e le notazioni di Segre circa l’opportu-nità di enucleare una sorta di koinè francoveneta, all’interno della relativa-mente omogenea corrente trecentesca53.

Già Vidossi tendeva a riconoscere nel franco-italiano «una tradizionelinguistica, per quanto fluida, in cui s’inserisce e a cui s’adatta…la lingua deisingoli testi», ma non si tratta di un’acquisizione generalizzata: all’estremoopposto possono collocarsi le attuali considerazioni di Wunderli su quantoviene definito «une sorte de jeu de société», tendente ad individualizzareogni testo con caratteristiche singole e irripetibili. La conseguente propostaclassificatoria del corpus, basata su una griglia molteplice e duttile di para-metri comunicativi (e cioè linguistici), contenutistici (letterari) e formali(metrici), da applicare non solo ad ogni opera ma a ciascun manoscritto, co-stituisce una risposta scientificamente agguerrita e pressoché esaustiva allesuddette problematiche, anche se tutto ciò potrebbe definirsi il paradossaleritorno, dopo un percorso di analisi approfondita, al meditato scetticismo diPio Rajna («Il problema a me sembra assai complesso, e capace di tante so-luzioni diverse, quanti sono i casi particolari, ossia quanti sono i documentidi questa rozza letteratura»)54.

La presunta rozzezza letteraria è stata in buona parte ridimensionata,soprattutto per quanto attiene all’organicità complessiva di queste opereche talvolta, come già osservava il Ruggieri, ostentano una certa preziosità diimpasto linguistico (si pensi agli intarsi latini rilevati da Alberto Limentaninell’Attila o da Franca Di Ninni nella Passion di Niccolò da Verona; in que-sta direzione spicca la ricchezza culturale dell’Entree d’Espagne)55, ma è so-prattutto l’inestricabile rapporto tra innovazione compositiva ed alterazione

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52 Roncaglia 1965, p. 740, Ruggieri 1962, pp. 165-166 (da cui si cita a testo), Ruggieri1966, p. 152.

53 Holtus 19792, 1986, 1988, 1989, 1990; RENZI 1976, pp. 571-577; Segre 1995, pp. 641-645.

54 Citazioni a testo da Vidossi 1956, p. lxix, Wunderli 20031, p. 1, Rajna 1998, p. 200; cfr.Wunderli 20032, Holtus-Wunderli 2005.

55 Ruggieri 1966, pp. 154-155; Di Ninni 1981 e 1989; Specht 1982, pp. 181-184; Limen-tani 1992 (F su Attila); Brook 2002, Alvar 2003.

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linguistica a richiedere supplementi di analisi. Il processo di appropriazionedei modelli oitanici può attraversare varie fasi i cui opposti confini – sempli-ce trasferimento dell’originale francese e traduzione italiana – fuoriesconodal franco-italiano stricto sensu, ma costituiscono gli estremi almeno virtualidi ciascuna trasposizione. Tra le singole tappe sussistono limiti di varia con-sistenza e riconoscibilità: se, ad esempio, non crea particolari problemi la di-stinzione fra copie immigrate e trascrizioni autoctone, più o meno superfi-cialmente italianizzate, si fa ben fluido il divario tra testi propriamente fran-co-italiani e testi italosettentrionali francesizzanti quali, ad esempio, i fram-menti tardotrecenteschi, oggi udinese (Biblioteca Arcivescovile Bertolinia-na, lat. in 4° XIII) ed oxoniense (Oxford, Bodleian Library, Canonicianoit.48), del prolifico Roman de Renart, ascritti all’area rispettivamente trevisa-na (U) e padovano-ferrarese (O): ma per quest’ultimo vale piuttosto l’auto-revole definizione di «cibreo euganeo generico». Tendenzialmente ricono-sciuti come prodotti ormai veneti e, soprattutto per quanto attiene ad O, ad-dirittura toscaneggianti, appaiono comunque ricchissimi di oitanismi e ma-nifestano di discendere da un unico capostipite (forse franco-veneto); nelrecente fascicolo del «Grundriss» essi vengono aggregati all’epopea franco-italiana pur riconoscendo la loro peculiare carica parodica56.

Altra tradizione indicativa del processo di graduale trasformazione, in-sieme testuale e linguistica, è quella rappresentata dalla chanson de geste di‘Bovo d’Antona’, che tra le redazioni francesi corrette (continentali e anglo-normanna) e le molteplici continuazioni italiane antiche57 interpone una fa-se franco-italiana essa stessa internamente differenziata. Ad un primo livellodi ibridismo si colloca la versione fornita dalla Geste Francor, che per la suaindividuale fisionomia non permette confronti puntuali con le successivetardotrecentesche, i cosiddetti ‘Bovo’ udinese (triplice frammento di alcunecentinaia di versi reperito nell’Archivio Capitolare della Cattedrale: U) elaurenziano (Biblioteca Laurenziana di Firenze, ms.Mediceo-Palatino 93:L), questi ultimi più omogenei strutturalmente, ma non linguisticamente. Aconferma della decisa italianizzazione di L rispetto ad U si da qui di seguitoun minimo assaggio testuale.

[VISCARDI 1941, pp. 106-109]:L’infant si oit la tovaia pié, U 38-39

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56 Lomazzi 1972, Lippi 1991, pp. 457-461, Holtus-Wunderli 2005, pp. 201-202; citazio-ne a testo da Contini 1960, , p. 813.

57 Per le versioni italiane cfr. Delcorno Branca 1989 e 2006; le franco-italiane sono editein RAJNA 1872, pp. 491 ss. (L) e 1887 (U). Cfr.VISCARDI 1941, pp. 104-109 (P. Rajna definival’assetto linguistico di L «un gergo poco differente da quello del Rainardo e Lesengrino»:p.105), e per le implicazioni socioculturali KRAUSS 1980, pp. 25-69 (condivisibile il giudizioespresso a p. 69: V 13 si situa, «rispetto al Bovo laurenziano, a un livello intellettualmente edesteticamente più alto»).

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E un pan blancho…La donçela alora la toaia piá, L 308-309E do pani…

E vient ala cambra lò est B. li ber U 41E veno alla camara o’ Bovolin sta L 311

E vient a le plaçe li nobel bacalier, U 76-77e non trova chi le fese destorbier

Vene a la sala, de fora scampá, L 344-345e in la plaça algun nol contrastá

[La giovane allora prese la tovaglia e un pane bianco /due pani… - E viene allacamera dove sta (il prode) Bovo – E il giovane nobile viene nella piazza, e nontrova chi lo affronti/ Venne alla sala, di fuori scappò, e nella piazza nessuno loaffrontò]

Note linguistiche: come indicano le opposizioni infant/donçela, si/alora,oit…pié/pià, un pan/do pani; vient/veno, cambra/camara, est/sta; vient/vene,plaçe/plaça, si distingue tra forme francesi con interferenze italiane (quali in-fant, pan, cambra, plaça; di contro alla evidente italianità grafica e fonetica di chie nobel, la forma nominativale ber è squisitamente francese; per bacalier cfr.afr.bacheler) ed un tessuto ormai italiano foneticamente (donçela,camara,algun),morfologicamente (pani, sta, vene) ed anche lessicalmente (oltre agli invariabilialora, de fora, cfr. pier,-ar ‘pigliare’, e forse scampar per cui cfr.comunqueafr.eschamper).

Si rivela quindi scarsamente funzionale la vulgata tripartizione del cor-pus58 in base al grado di autonomia creativa – copie italianizzate, rimaneg-giamenti più o meno liberi ed opere originali di autori italosettentrionali –,anche perché l’endemica tendenza manipolatoria riduce drasticamente lospazio della prima categoria. Un esempio illuminante è rappresentato dallacopia marciana (Ms. Marc. fr. IV=225), o V4, del Roland, che nonostantel’alto grado di fedeltà alla primitiva redazione assonanzata (Oxford, Bod-leian Library, Digby 23: O), soprattutto evidente nella sua prima parte (vv.1-3846), esplica il proprio connaturale dinamismo nell’inserzione di un episo-dio inedito (la presa di Narbona: vv.3847-4417) e termina (vv. 4418-6011) inparziale aderenza alla più recente e meno attendibile versione rimata. Limi-tandosi al primo e più conservativo settore della copia marciana, la messa araffronto di una lassa di O con i corrispondenti versi di V4 risulta indicativadel travestimento linguistico attuato, tramite varia combinazione di elementifrancesi e veneti (per maggiori approssimazioni localizzatorie si rimanda aicontributi di G.B. Pellegrini e C. Beretta)59.

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58 Viscardi 1941, pp. 37-38 (in esplicito rimando allo schema precedentemente propostoda Bertoni 1907).

59 Pellegrini 19771, pp. 143-144 e note; Beretta 1985 e 1995, p. XVII.

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Chanson de Roland, vv.1139-51 (O); vv.1069-78 (V4) [INFURNA 2003, p. 408-409]Franceis se drecent, si se metent sur piez;Ben sunt asols, quites de lur pecchez;E l’arcevesque de Deu les ad seignez.Puis sunt muntez sur lur curanz destrers;Adobez sunt a lei de chevalersE de bataille sunt tuit apareillez.Li quens Rollant apelet Oliver:-Sire cumpainz, mult ben le savïezQue Guenelun nos ad tuz espïez:Pris en ad or e aveir e deners.Li emperere nos devreit ben venger!Li reis Marsilie de nos ad fait marchét;Mais as espees l’estuvrat esleger-.

Li Franchi de França se driça sor pe:Ben sont asolti de tuti lor pecé;Li arcivesque da Deo li ont signé.Pois sont monté sor lor corant destrer;Adobé sunt a lei de civalerE de bataile sum tuti apareclé.Li cont Rollant appelle Oliver:-Ben creço che Gaines n’à çuçé.Li emperer nos devroit vençer.Li roi Marsilio de nos ont fat merçé-.[I Franchi (di Francia) si alzano in piedi: ben sono assolti (e liberi) da (tutti) iloro peccati; l’arcivescovo li ha benedetti nel nome di Dio. Poi sono montati suiloro veloci destrieri: sono armati come si conviene a cavaliere e tutti pronti allabattaglia. Il conte Rolando si rivolge a Olivieri: -Signore compagno, lo sapevatemolto bene che Gano ci aveva tradito / Credo proprio che Gano ci abbia tradi-to. Ha preso oro, averi, denaro. L’imperatore ci dovrebbe (ben) vendicare! Il reMarsilio ha fatto di noi mercato (ma a colpi di spada gli toccherà conquistarci)].

Note linguistiche: Il confronto coi versi correttamente anticofrancesi di O evi-denzia italianismi grafo-fonetici (sur piez/sor pe; arce-/arcivesqe; de Deu/da Deo;sunt tuit/ sum tuti; vençer/venger, marchét/merçé, ed ancora Franchi, França,creço, çuçé), morfologici (regole casuali inosservate: quens/cont; sunt asols/sontasolti; de lur pecchez/de tuti lor pecé; curanz destrers/corant destrer), sintattici(le opposizioni metent/driça, ad fait/ont fat alludono allo scambio di 3a e 6 a p.verbale con il corrispettivo ipercorrettismo ad seignez/ont signé).

Dinamiche ancora più profondamente innovative sono state verificatesu altre composizioni: è indiscutibile, ad esempio, l’almeno parziale origina-lità del cosiddetto Prologo Marciano del Gui de Nanteuil (Cod.Marc. fr.X),sorta di riassunto dell’Aye d’Avignon che costituiva il normale antefatto delGui nei manoscritti ciclici francesi e che per vari aspetti, dall’intitolazione al

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femminile alla smitizzazione della figura regia, anticipava tendenze poi dila-ganti in area franco-italiana, a cui riconduce del resto parte della sua tradi-zione (i frammenti di Bruxelles, Bibliothèque Royale, 14637 e Venezia, Bi-blioteca di S.Marco, ms.lat.xi/129). Mentre la versione del Gui tramandatadal Marc.fr.X si qualifica semplice copia (sia pure discretamente italianizza-ta) del modello francese (Montpellier, Faculté de Medecine, H 247; dubbiolo statuto testuale del frammento conservato alla BNC di Firenze, II,iv,588),il testo del ‘Prologo’ marciano manifesta una spiccata autonomia redaziona-le oltre che linguistica. Esso risulta opera di un estroso copista trecentesco,certamente veneto (si autonomina Çenat, da collegare ai veneti Zeno, Zenat-ti, e scrive in una lingua fortemente ibridata in quella direzione), che purprotestando un autoere di riferimento (v. 375), oltre a scricture o lecture nonspecificate, produce «un rimaneggiamento assai libero…con innovazionioriginali o quanto meno attinte da una tradizione a noi sconosciuta»60.

Uno dei compromessi più felici tra entusiastica adesione alle matrici oi-taniche ed esuberante interventismo indigeno è senz’altro offerto della Ge-ste Francor (Codice Marciano fr. XIII). La trecentesca copia marciana dimo-stra di risalire ad un originale probabilmente inquadrabile nella secondametà del secolo XIII (Henning Krauss ha suggestivamente proposto di iden-tificare in Ezzelino da Romano uno dei personaggi più aspramente negatividell’opera: il Masimo Çudé della Chevalerie Ogier, tiranno di Marmora = Ve-rona)61. Al di là di questo o altri possibili richiami di attualità, tutta l’operarielabora in maniera largamente originale le principali chansons de geste delciclo carolingio, disponendole in un’organica architettura genealogico-dina-stica, purtroppo giunta incompleta. Al centro di tale ambiziosa costruzione,imperniata sull’armonico avvicendarsi di enfances e maturità per ciascunodei protagonisti, si collocano due poemetti dedicati agli amori dei genitoridi Orlando ed alla nascita ed infanzia del piccolo eroe (Berte e Milon – Ro-landin), episodi totalmente inediti nel panorama epico francese, ma cheavranno echi significativi nei romanzi cavallereschi e nei cantari italiani62. Laclamorosa assenza di un modello transalpino per l’Enfance Roland, mentresi affollano quelle di tanti altri eroi anche minori, induce a supporre, anchein base a riemergenti scorci testuali (le apparizioni di Roland giovinetto in

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60 Cavaliere 1958, pp. 14, 17; cfr. Callu-Turiaf 1961, e per riepiloghi bibliografici relativiad Aye e Gui Holtus-Wunderli 2005, pp. 169-171 e 185-186.

61 Rosellini 1986, pp. 17-23 (Storia e data del Codice) e Capusso 1988, pp. 185-187;Krauss 1970 nonché 1980, pp. 166, 172-173 (su cui cfr. Cremonesi 1977, pp. LV-LX, Limen-tani 1992 D, p. 163 n. 42 nonché G, p. 226: «Quanto all’ignoto ‘architetto’-rielaboratore delMarc.fr.XIII…è probabilmente lecito asserire che la sua opera fu nota al Padovano dell’En-trée»).

62 Sulle strategie compositive cfr. Krauss 1980, Cingolani 1987, Capusso 1992 (pp. 230-232), 1997 e 2001, Negri 2003, e per gli sbocchi italiani Roncaglia-Beggiato 1967, France-schetti 1975, Allaire 1997.

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Girart de Vienne e nell’Aspremont, oltre che nel tardo Charlemagne)63, unavolontaria cancellazione di scomodi archetipi oitanici, comuni almeno inparte all’area ispanica (Bernardo del Carpio)64. La causa di tali reticenzecensorie sarebbe da ricercare nel cosiddetto peccato di Carlomagno; il pre-coce acclimatamento italiano di questa genealogia proibita appare invececomprovato dai bassorilievi della cattedrale di Borgo S. Donnino (oggi Fi-denza), risalenti addirittura al secolo XII e convincentemente descritti da R.Lejeune e J. Stiennon65.

In ogni caso, anche le parti della Geste Francor provviste di riconoscibilied illustri modelli si caratterizzano per un accentuato interventismo compo-sitivo, in aderenza alle attese ideologiche ed estetiche di un pubblico ormaiben lontano dall’originaria aristocrazia feudale66: forse anche per soddisfaretali modificate esigenze ricettive l’anonimo compilatore sviluppa al massimogrado le additate potenzialità compromissorie dei due interloquenti sistemilinguistici. Il risultato è qualcosa di inclassificabile secondo il più recenteeditore dell’opera, che pure ne ha forniti generosi spogli parziali67, a causadell’accentuato ibridismo: la mescidanza continua di francese e dialetti ita-liani (prevalentemente ma non solo veneti, ad esclusione del veneziano, conintrusioni addirittura toscane se non latineggianti) e la presenza di una co-spicua dose di vocaboli di incerto etimo e significato produce effetti quasisurreali e insieme sapidamente espressivi. Qui di seguito si citano alcunibrani variamente esemplificativi della fusione o confusione sia paradigmati-ca (fenomeni di interferenza tra i due sistemi linguistici in uno stesso voca-bolo) che sintagmatica (alternanza di elementi italosettentrionali e francesi).

Berta da li pè grandi, vv.1215-1217 [ROSELLINI 1986]:Doncha verisi mante robe mostrerDe diversi color de palij e de çenderQe pois li ont doné a li çubler[Dunque avreste potuto veder sciorinare molti abiti di diversi colori, drappi diseta e di zendado, che poi han donato al giullare]Note linguistiche: mante robe mostrer, pois li ont doné (sintagmi francesi con in-terferenze italiane: mante per maintes, robe per robes, pois per puis); doncha ve-risi – de diversi color de palij (parti italiane); çender (a.fr. cendal, it.a. zèndalo) esoprattutto çubler (afr. jo(n)gler) sono esempi di formazioni lessicali arbitrarie(sul secondo vocabolo cfr. Pellegrini 19771, p. 128 n. 5; Holtus 1983, pp. 67-68;Holtus-Wunderli 2005, pp. 70-71).

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63 Aebischer 1975, Heintze 1993, Carney 1993-94, Capusso 2001 con altri rimandi.64 Horrent 1951, Monteverdi 1956, Luongo 2001.65 Lejeune 1961, Roncaglia 1984, Moisan 1991; sull’iconografia Lejeune-Stiennon 1966,

Lejeune 1970. 66 Cfr. al riguardo Hiestand e Krauss 1989; per gli aspetti sociologico-letterari Bender

1961, Krauss 19781 e 1980, Wunderli 1996.67 Rosellini 1986, pp. 34-58, Capusso 1988, pp. 187-198 e 1992, p. 229; per l’esemplifica-

zione di cui a testo Renzi 1976, pp. 571-577.

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Macaire, vv. 14585-14586 [ROSELLINI 1986]:Fa moi venir un qualche çapelanQe voio conter tot li mon engan[Fammi venire un qualsiasi cappellano, poiché voglio raccontare tutti i miei in-ganni]Note linguistiche: è proponibile la seguente scansione. Fa (it.) moi venir (fr.) unqualche çapelan / qe voio (it.) conter tot li mon (fr., con scambio sg/pl del posses-sivo) engan (afr enganer e it.inganno). La direzione italo-settentrionale è com-provata dalla resa grafo-fonetica di çapelan, voio.

Nel successivo passo, assumono rilievo anche stilistico68 le coppie sino-nimiche (vv. 9099-9101-9107: çativa-malaguré, arsa e bruxé, onia e vergogné)formate da un termine almeno lessicalmente francese (cfr. afr.chetive, arse,honie; però anche ven.arsar) e dal corrispettivo traduttorio locale (anche quicfr. afr.vergoignier).

Berta e Milon, vv. 9099-9107 [ROSELLINI 1986]:Ela se clama: «Çativa, malaguré!Cun in malora eo fu ençendré!Ma mer me fu et arsa e bruxé,E dos me frer en furent apiçé.Or sonto eo ençinta de filz e d’erité.Se li rois li soit cun averò mal ovré,Por li grant amor qe me frer m’a mostré,Da tota jent eo ne serò laideçé,E si ne serò onia e vergogné».[Ella (Berta) grida: «Infelice, disgraziata! Quanto malauguratamente sono statagenerata! Mia madre mi fu arsa e bruciata, e due miei fratelli furono impiccati.Ora io sono incinta di un figlio ed erede. Se il re viene a sapere come ho agitomale, in cambio del grande amore che mi ha dimostrato mio fratello, da tutta lagente io sarò vituperata a causa di ciò, e ne sarò pure vilipesa e svergognata»]

Appigli genealogico-tematici intriganti come quelli sopra ricordati man-cano per giustificare l’appello a testi francesi andati perduti quali modellicriptici di opere franco-italiane che allo stato attuale delle conoscenze siqualificano totalmente originali: e se meritano comunque attenzione gli stu-di di Aebischer e Roncaglia relativi ad una possibile preesistenza oitanicadel circostanziato antefatto del Roland costituito dall’Entree d’Espagne69,sembrano meno risolutivi gli argomenti avanzati a sfavore di altre probabilicreazioni franco-italiane. Un esempio indicativo è costituito da quella sortadi ramo collaterale del Roman de Troie di Benoit de Sainte-Maure (di cui

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68 Spiess 1974, Rosellini 1984.69 Aebischer 1928 e 1975, Roncaglia 1961 (altre indicazioni in LIMENTANI 1992 B, pp.

48-49).

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pure sopravvivono varie copie redatte in Italia)70 intitolato Roman d’Hectoret Hercule. La compatta franco-italianità della tradizione manoscritta indu-ce a collocare appunto in tale ambito le radici della composizione, ma se-condo l’editore Palermo sarebbe ipotizzabile un prototipo transalpino per-duto in base ad indizi eterogenei (progressiva italianizzazione linguistica, ar-caismi metrici, peculiarità strutturali)71.

Sintomatico anche il caso dell’Huon d’Auvergne franco-italiano, quasisconosciuto in quanto personaggio oitanico (contro i pareri filofrancesi diGraf e Renier si era decisamente pronunciata a suo tempo M.L.Meregazzi) edestinato piuttosto a successive e persistenti fortune italiane72. Per quest’o-pera atipica e suggestiva, che fonde tematiche avventurose con aneliti esca-tologico-devoti, sono stati addirittura supposti influssi danteschi, consentititeoricamente dalla sua probabile cronologia; risalta in ogni caso la compo-nente colta, in direzione forse ecclesiastica. Dal punto di vista linguistico, ivari testimoni (B=Berlin, Staatsbibliothek, Hamilton 337, datato 1341;P=Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile, n.32, inizio XV sec., e T=To-rino, Bibl.Naz., N.III.19, datato 1441, distrutto nell’incendio del 1904 maprecentemente copiato da Pio Rajna; più il cosiddetto frammento Barbieri:Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, B.3429, sec.XIV°) per-mettono di verificare quasi didatticamente lo stesso processo di graduale ita-lianizzazione già notato per il ‘Bovo’, con B ancora prevalentemente france-se, P (ed il frammento) in posizione intermedia e T ormai di fondo italiano.Dati gli ampi e circostanziati studi già dedicati all’argomento73, basterà for-nire qui di seguito un veloce raffronto dei tre principali assetti linguistici.

Huon d’Auvergne [VISCARDI 1941, pp. 133-134: B, vv. 6783-6787; P, vv. 6783-6786; T, vv. 6783-6787]:

Près le dancelles qui par dou frans lignageChivauce Huon sanç nul mauveis coraçe,Le trois davant por scurter lor viageUne chançon cantent en lor lengagePor retirer a soy plus li mesage.

Apresso le duncele che fo de falso lignaçeCavalca Ugo sença mal coraçeLe.iii. davanti per ascurtar viaçeUna cançon cantava in so linguaçe

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70 Ronchi 1988; Jung 1992 e soprattutto Jung 1996; Punzi 2004; Holtus-Wunderli 2005,pp. 207-211 e 374 ss.

71 Sulla lingua cfr.Palermo 1965, ed inoltre Palermo 1972, p. 28 (precedente edizioneMeyer-Lubke 1886 III), Palermo 1984, p. 732; riepilogo in Holtus-Wunderli 2005, pp. 186-187 e 329-340.

72 Meregazzi 1936, Vitale-Brovarone 1978, Allaire 2001, Morgan 2003 e 2004.73 De Bartholomaeis 1929, Mainone 1911 e 1936, Möhren 1977, Vitale- Brovarone 1978,

Holtus 2001, Holtus-Wunderli 2005, pp. 189-190 e 341-358.

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Apresso le donzele che pareno del franco lignazoChavalça Ugon senza nulo malvasse corazo,Le tre donzele pur davante per ascurtare so viazoUna chanzo’ cantano yn lo franzos leguazoPer retirare sego più lo mesazo.[Dietro le donzelle che paiono di nobile lignaggio cavalca Huon senza alcunacattiva intenzione; le tre davanti, per abbreviare il loro viaggio, cantano unacanzone nella loro lingua (francese), così da tenersi più vicini i messaggeri].

Note linguistiche: l’isolamento oitaneggiante di B è reso evidente da opposizionidel tipo dancelles/duncele, dunzele; frans/franco; chivauce/cavalca, chavalça;sanç/sença,senza; trois/tre; davant/davanti, davante; scurter/ascurtar(e);chançon/cançon, chanzo’; cantent/cantava, cantano; retirer/retirare; soy/sego;plus/più, ecc. Per il resto, anche se le parole-rima di P (-açe) risultano più in lineacon B (-age) delle uscite ormai italiane di T (-azo), qualche filiera sembra privilegia-re T rispetto a P (cfr. Huon/Ugon/Ugo). L’alterità di T rispetto al «franzos legua-zo» (v. 6786) appare indirettamente confermata dalla suddetta espansione glossa-toria, assente da B e da P.

L’emergente polo toscano è comunque palpabile anche altrove: se la Ge-ste Francor trasferisce disinvoltamente varie imprese carolinge in territorioitaliano (lo scenario ambientale comprende Venezia, Verona, Mantova, e l’in-fanzia dell’esule Rolandino si dipana privatamente da Imola in Emilia alla la-ziale Sutri, dove avviene l’imprevisto ricongiungimento familiare), anche perl’Aquilon de Baviere, al di là del trasparente omaggio linguistico (l’incornicia-tura in versi toscani della prosa francese), spicca la trasposizione italocentralee addirittura fiorentina di molte delle vicende narrate74. La localizzazionepredominante rimane comunque settentrionale, dalla Pavia longobarda dellaPrise agli scenari veneteggianti dell’Attila, indicativa di quella sintonia fra au-tore e personaggi indigeni che percorre la produzione franco-italiana e che siconcretizza epicamente nella coraggiosa riabilitazione dei ‘Lombardi’75. Il di-stacco polemico dai modelli oitanici risulta evidente: accantonati i malevolistereotipi (italiani pigri e pavidi) di origine transalpina, si evidenziano nuovemodalità di rappresentazione sia per quanto attiene a scene guerresche col-lettive che, soprattutto, in relazione ad eccezionali figure singole: e se il vail-lant roi Lombart (Desiderio) nobilita fin dall’incipit la complue di Niccolò daVerona, nell’Attila si impongono eroici antagonisti dell’orda unna (e pretesiprogenitori degli Estensi) quali Foresto ed Acarino76.

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74 Il Rolandin è stato analizzato anche da questo punto di vista in Capusso 2001 (e cfr.Capusso 1992, pp. 229-230); sulla ‘fiorentinità’ di Aquilon cfr. Coronedi 1935, pp. 300-301 eKrauss 1987.

75 Ruggieri 1969, Krauss 1971, 1989, Babbi 1979; riepilogo in Holtus-Wunderli 2005,pp. 120-124.

76 Di Ninni 1992, pp. 21-25, e in rimando a Krauss 1980, p. 237, Holtus-Wunderli 2005,

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Oltre all’assetto linguistico ed alla tendenza localizzatoria, le convergen-ze franco-italiane riguardano aspetti squisitamente letterari come l’interte-stualità (attiva a vari livelli, dalla citazione all’inserto, alla ripresa parodica) ela commistione generica, ambedue rispondenti ai gusti spregiudicatamentecontaminatori di un pubblico allargato socialmente, anche se impoveritoculturalmente, rispetto all’originario alveo aristocratico già meno uniformesullo stesso suolo francese77. Da un lato, quindi, si producono solerti e quasididattiche rivisitazioni, anche endogene rispetto al quadro franco-italiano(si pensi alle evidenti interrelazioni tra Aspremont e Aquilon de Baviere), dal-l’altro emerge un vistoso interesse per l’aspetto economico dell’esistenza eper le minute necessità quotidiane, dal cibo e l’alloggio all’abbigliamento,ed opere come la Geste Francor non esitano a proporre inediti personaggipositivi (il valente boscaiolo Varocher o il ‘cortese oste’ Baldovino, impensa-bili in area oitanica ortodossa)78.

Ed anche se la fase trecentesca viene definita a predominanza epica (allasuddetta categoria potrebbero parzialmente assimilarsi prodotti originaria-mente distinti dalla chanson de geste come le citate copie del Roman de Troieo il Roman d’Hector et Hercule), tale impianto ideologico e tematico vienead interloquire fittamente con corrispettivi piuttosto romanzeschi: del resto,anche nella madrepatria si stava imponendo la cosiddetta chanson d’aventu-re79, rappresentata da opere quali l’Huon de Bordeaux o La Reine Sibile, do-ve l’allentamento della tensione epica ha il suo contrappeso nell’incrementodegli aspetti sentimentali, avventurosi e fiabeschi (ne consegue il rilievo con-cesso alle figure femminili ed alle imprese esotiche e fantastiche), con sem-pre più frequenti intrusioni del registro comico: quest’ultimo appare note-volmente congeniale all’area franco-italiana80. Tutto ciò risalta in modo pa-lese nella Geste Francor (che rende protagoniste di alcune sue sezioni donneperseguitate quali le due Berte e la regina Biancofiore) e nell’affollato entre-lacement dell’Aquilon de Baviere, dove addirittura può avvenire un ineditoincontro fra Rolando e Galahad figlio di Lancillotto81. La suddetta tendenza

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p. 201 (Desiderio si qualifica «le chef de tous les Lombards»); la «storiografia fantasiosa e dicomodo, ma certo di potente suggestione» ricostruita nell’l’Attila viene additata in Villoresi2005, p. 201 (da cui si cita).

77Per orientamenti generali rispettivi, cfr. Aspects de l’épopée romane 1995, Wunderli1987, Holtus-Wunderli 2005, pp. 140-156; Suard 1994, L’épique médiéval 2005, Roussel2005.

78 Boni 1987 e 1988, Wunderli 1987; Cremonesi 1983 II, Bartolucci Chiecchi 1984, Ca-pusso 1992, pp. 234 ss.

79 Kibler 1984, Kibler-Suard 2003.80 Cfr. per tutti questi aspetti Rossi 1975, Suard 1994, Aspects de l’épopée romane 1995,

pp. 3-91, Berthelot 2001 e 2002, Holtus-Wunderli 2005, pp. 127-134; in particolare sul comi-co Limentani 1992 C, Vallecalle 1995, Morgan 2002.

81 Cfr. Capusso 2001, Morgan 2001; sul curioso sincretismo ‘generico’ dell’Aquilon Co-ronedi 1935, pp. 261-264 (l’autore «versò… l’intero materiale carolingio… nello stampo ca-

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investe anche opere dall’indubbio sfondo guerresco come l’Entree d’Espa-gne, che si compiace di descrivere amori ed imprese esotiche del peregrinan-te Rolando, tentato addirittura da pratiche di magia, o il cupo poema su At-tila, ingentilito dagli amori cristiano-saraceni fra Gardena di Damasco eAcarino d’Este82.

Il fatto che non si giunga tuttavia, se non eccezionalmente (un bell’e-sempio isolato è dato dal Roman de Belris, che Jacques Monfrin collegava al-l’oitanico Bel Inconnu)83, al romanzo bretone in senso stretto, pure diffusis-simo a livello di copia manoscritta e di rifacimento rielaboratorio-tradutto-rio (senza contare i vari Tristani rimaneggiati in area italiana), conferma latendenza al conguaglio, operante anche a livelli per così dire microscopici.Ci si riferisce alla mescidanza dei tratti portanti dei più prestigiosi personag-gi franco-italiani, primo fra tutti il Rolando insieme prode e saggio dell’En-tree che rende pressoché inutile la presenza di Olivieri, suo originario anta-gonista caratteriale: la raffigurazione totalmente positiva dell’eroe è giàpreannunciata dalla Geste Francor, nelle parti più o meno ampiamente dedi-cate alla rappresentazione di Rolando giovane (Rolandin e ChevalerieOgier), e risulta confermata dagli sviluppi narrativi dell’Aquilon de Baviere,che contempla addirittura un Rolando teologo84.

Quanto ai rapporti tra produzione franco-italiana e fioritura epico-ca-valleresca pienamente autoctona, intanto conviene ribadire la loro almenoparziale contemporaneità (già rilevata da Vincenzo Crescini e da Carlo Dio-nisotti)85 ed una certa contiguità territoriale, anche se risultano in decisaflessione i testi linguisticamente italosettentrionali (ben poco da registrareoltre ai mediocri ‘Fatti di Spagna’)86. La graduale discesa subappenninicadella produzione epico-cavalleresca è concretamente additata dalla disomo-genea tradizione manoscritta della cosiddetta Spagna in versi nelle sue reda-zioni ‘breve’ e ‘lunga’, rappresentate rispettivamente da eleganti codici mi-niati di area padana e da meno raffinati testimoni toscani. Tale ridondante

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ratteristico del ciclo brettone»: p. 261), Krauss 1982-83 (a pp. 434-435 si giudica «sorpren-dente l’avvicinamento reciproco di questi due generi»).

82 Brook 1995 e 1996-1997, e di converso Limentani 1992 H; Villoresi 2005 (a pp. 207-208 circa l’interessante figura di Gardena, «fascinosa regina di Damasco perita nell’arte dellanegromanzia…una delle rarissime, felici anticipazioni delle eroine innamorate del Boiardo,specie di Angelica»).

83 Monfrin 1962 e 1989; per i ‘Tristani’ italiani, Delcorno Branca 1998 e sulla locale tra-dizione romanzesca v. ancora Benedetti, Cigni, Delcorno Branca 2004 con ulteriori rimandi.

84 Vallecalle 1994, Sturm-Maddox 1996-97, Capusso 1997; Krauss 1982-83, Holtus-Wunderli 2005, pp. 106-113.

85 Crescini 19321 e 19322, p. 351 («la epopea franco veneta seguitò a fiorire più lunga-mente che non si fosse creduto…il suo svolgimento fu per gran tratto contemporaneo a quel-lo della epopea toscana»); Dionisotti 1959 (p. 213: il Trecento viene definito «l’età meridiana,non…occidua della letteratura cavalleresca franco-italiana»).

86 Ruggieri 1951, Flöss 1992, e cfr. Melli 1996.

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poema, con il suo corrispettivo versificato tardoquattrocentesco (la Spagnain prosa)87, deve molto alle creazioni franco-italiane di ambito carolingio,senza trascurare l’apporto determinante di Andrea da Barberino (dai Realidi Francia all’Aspramonte). Figura emblematica quella di Andrea, prolificoed accattivante romanziere che apre, insieme alla pure pullulante resa versi-ficata dei cantari (si pensi all’Aspromonte), la nuova rigogliosa frontiera to-scana dell’epica francesizzante, le cui ancora salde radici franco-italiane ri-saltano sia per le tematiche affrontate che soprattutto per l’ingegnoso inca-stro ciclico88.

In ultima analisi, è riconosciuto da tempo che i grandi autori rinasci-mentali, da Pulci a Boiardo e Ariosto, hanno direttamente o indirettamenteusufruito della produzione franco-italiana, rielaborandone sapientementemateriali e moduli espressivi: non è questa la sede per approfondire l’argo-mento, ma al di là di probabili echi riscontrati a livello di articolazioni narra-tive e stilistico-formali i più noti protagonisti, a cominciare da Orlando, ri-flettono tracce evidenti dei rispettivi modelli. Particolarmente istruttiva lavicenda del personaggio Estolt, «felice creazione del Padovano», che conso-lida nell’Aquilon de Baviere la propria individuale fisionomia poi consegnataall’Astolfo italiano89. Su questa linea di fecondo interscambio convergono irisultati di specifici sondaggi testuali e compositivi: e se la misconosciutaSpagna in prosa potrebbe avere influenzato gli ultimi cantari del Morgante,appaiono altamente verosimili i contatti strutturali e tematici individuati traEntree d’Espagne, Attila e Orlando innamorato90. Non ci si può che rallegra-re, in conclusione, del superamento di un pervicace ed improduttivo disde-gno critico nei confronti di quella che non molti decenni fa era ancora pro-vocatoriamente definita una «terra di nessuno, destinata ai lazzaretti dellastoria letteraria»91. Ormai la sua riconosciuta posizione di confine, anziché

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87 Cfr. Rajna 1998, pp. 215-235 e 235-290 ed inoltre Catalano 1939-40, Rosiello 2001;Forni Marmocchi 1979-80, Boni 1980-81, Moretti 2004 (è in corso di stampa, a cura dellostesso F .Moretti, l’edizione critica dell’opera, già oggetto di una tesi di dottorato presso l’U-niversità di Pavia).

88 Rajna 1872, 1975,1998; Boni 1951, Roncaglia-Beggiato 1967, Fassò 1981, Allaire 1997.89 Per Estout-Astolfo cfr. Ferrero 1961, Di Ninni 1992, p. 22 (da cui si cita a testo), Val-

lecalle 1998, Bartolucci 2003; su Roland-Orlando cfr. inoltre Dorigatti 1996, Morgan 2002,Everson 2005.

90 Cfr. in precedenti nn. 88-89 ed inoltre RAJNA 1975 e 1998 (pp. 325-369); Orvieto1978; Morgan 1995; Sberlati 1998 (a p. 175 si auspica «una ricerca d’insieme specificamentededicata all’esame delle relazioni intertestuali tra il poema boiardesco e i modelli franco-ìta-liani»); Villoresi 2005 (a pp. 206-207 opportuna citazione di Roncaglia 1965, p. 754: l’Attilainaugura «quel nuovo mondo fantastico che… caratterizzerà i futuri grandi poemi cavallere-schi della Rinascenza», e cfr. a p. 219: «Il materiale da inventariare è molto, e l’Attila, al paridell’Entrée o dell’Aquilon de Bavière si rivela un buon serbatoio di tematiche e di fenomenitestuali dal quale Boiardo e i romanzieri del Rinascimento potevano attingere»).

91 Limentani 1992 E, p. 514 da cui si cita a testo.

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relegarla ad una inerte marginalità, suggerisce piuttosto di investigare positi-vamente i contatti differenziati e plurimi con le realtà culturali adiacenti: loscavalcamento dei tradizionali (talvolta deleteri) confini interdisciplinari, ol-tre che degli antifilologici pregiudizi estetici, consente insomma di intrave-dere vie d’indagine ancora obiettivamente fruttuose.

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BARBARA WEHR

Venetismi e toscanisminel MS. B.N. FR. 1116 del testo di Marco Polo

1. Il testo di Marco Polo è un “caso esemplare” di plurilinguismo lettera-rio nel Medioevo perché il manoscritto B.N. fr. 1116, che malgrado la sua ve-ste linguistica corrotta viene considerato come la versione più autentica cheabbiamo a nostra disposizione della relazione di Marco Polo1, è scritto inquella lingua mista che chiamiamo “franco-veneto” o “franco-italiano”, stra-no artefatto letterario diffuso nell’Italia settentrionale nel Tre e Quattrocento,dove si incontrano due sistemi linguistici e due culture letterarie differenti2.

Per ragioni di chiarezza ripetiamo l’opinio communis a proposito della ge-nesi della relazione di Marco Polo: il libro sarebbe stato scritto per mano di uncerto Rusticiano o Rustichello3 da Pisa sotto la dettatura di Marco Polo nell’an-no 1298 nelle prigioni di Genova, e la prima versione proveniente dalla penna

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1 Cfr. P. Ménard, L’édition du Devisement du monde de Marco Polo”, Académie des In-scriptions et Belles Lettres, Comptes rendus des séances de l’année 2005 janvier-mars, Paris2005, p. 409.

2 Le ricerche a proposito del franco-italiano abbondano. Per ulteriori informazioni cfr. –fra tanti altri lavori - G.B. Pellegrini, “Franco-veneto e veneto antico”, in Id., Studi di dialet-tologia e filologia veneta, Pisa 1977, pp. 125-146 [1956], G. Holtus, Lexikalische Untersu-chungen zur Interferenz: die franko-italienische “Entrée d’Espagne”, Tübingen 1979, C. Segre,“La letteratura franco-veneta”, in E. Malato (ed.), Storia della letteratura italiana vol. I: Dalleorigini a Dante, Roma 1995, pp. 631-647, P. Wunderli, “Interferenze” in franco-italiano. L’e-sempio dell’‘Aquilon de Bavière’, Vox Romanica 58, 1999, pp. 124-148 e P. Wunderli, “Unluogo di ‘interferenze’: il franco-italiano”, in Morini 2001, pp. 55-66) e Capusso (in questovolume). Per una discussione della terminologia (“franco-italiano”, “franco-veneto”ecc.) cfr.Wunderli (1999: 124). Io intendo con “franco-veneto”lo stesso di C. Segre, “La letteraturafranco-veneta”, in E. Malato (ed.), Storia della letteratura italiana vol. I: Dalle origini a Dante,Roma 1995, p. 645, cioè un continuum che va “da un francese leggermente venetizzato a unveneto con tracce residue di francese”.

3 Per una difesa della forma Rusticiano, forma preferita anche da G. Bertoni, Recensionedi Benedetto 1928, in Giornale storico della letteratura italiana 92, 1928, p. 286), cfr. B.Wehr, “A propos de la genèse du Devisement dou monde de Marco Polo”, in M. Selig et al.(eds.), Le passage à l’écrit des langues romanes, Tübingen 1993, p. 299, n. 5). Ma è vero che ilnome di un personaggio del quale non sappiamo quasi nulla ha poca importanza.

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di Rusticiano sarebbe stata scritta in franco-veneto (forse sulla base di appuntiscritti dalla mano di Marco Polo)4. Quest’ultima opinione si basa sul fatto che ilms. fr. 1116, che contiene all’inizio queste indicazioni a proposito della dettatu-ra, è infatti scritto in un brutto francese pieno di italianismi/venetismi che so-miglia in parte alle forme che conosciamo di testi franco-veneti tipici (si vedanoi rimandi frequenti in Capusso, La lingua del Divisament dou monde)5.

Che questo manoscritto presenti fra gli italianismi anche numerosi veneti-smi6 è già stato osservato dai marcopolisti (in primo luogo per quanto concer-ne il lessico)7. Benedetto8 e Gossen9 hanno proposto differenti spiegazioni:

a) tali forme sarebbero la traccia degli appunti scritti di Marco Polo cheRusticiano da Pisa aveva a sua disposizione, appunti scritti in un francese“levantino” secondo Benedetto (p. XXX), in veneziano o franco-veneto se-condo Gossen (p. 142).

b) Benedetto (loc. cit.) non nega l’influsso possibile del copista/dei copi-sti, ma è nondimeno del parere che “[l]a lingua a cui ci troviamo dinanzi ècerto [...] quella di Rusticiano da Pisa”. Allo stesso tempo ammette che ilms. fr. 1116 non possa essere “una esemplazione diretta, e nemmen vicinissi-ma, del prototipo” (p. XXXI). Gossen dal canto suo non prende in conside-razione il ruolo possibile dei copisti per motivare i venetismi del ms. (chia-mati da lui “venezianismi”10).

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4 M.G. Capusso, La lingua del Divisament dou monde di Marco Polo 1. Morfologia verba-le, Pisa 1980. Per una ipotesi differente cfr. B. Wehr, “A propos de la genèse du Devisementdou monde de Marco Polo”, in M. Selig et al. (eds.), Le passage à l’écrit des langues romanes,Tübingen 1993.

5 La lingua del ms. fr. 1116 è già stata oggetto di ricerche speciali; si notino soprattutto illavoro di C. Th. Gossen, “Marco Polo und Rustichello da Pisa”, in M. Bambeck/H. H. Chri-stmann et al. (eds.), Philologica Romanica. Erhard Lommatzsch gewidmet, München 1975, pp.133-143 per il lessico, di M.G. Capusso, La lingua del Divisament dou monde di Marco Polo1. Morfologia verbale, Pisa 1980 per la morfologia verbale, ricco di informazioni preziose, e diG. Ineichen, “La mescolanza delle forme linguistiche nel Milione di Marco Polo”, in Holtuset al. 1989, pp. 65-74 con osservazioni a proposito della sintassi.

6 Gli italianismi includono i venetismi, e i venetismi includono i venezianismi, se non al-trimenti indicato.

7 Cfr. B. Wehr, “Zum altvenezianischen Fragment VA1 des Reiseberichts von Marco Po-lo”, in Morini 2001, p. 132) con ulteriori rimandi. Benedetto per es. menziona (Ms. B.N. fr.1116, Marco Polo, Il Milione. Prima edizione integrale, Firenze 1928, p. XXX) “la confusio-ne frequentissima delle due terze persone, singolare e plurale; la riduzione al g o all’i dello lpalatale; forme come abatando, ociando; voci come pare, pirun, çabater, moreles, ostrige”. G.Bertoni, Recensione di Benedetto 1928, in Giornale storico della letteratura italiana 92, 1928,p. 288) rileva “forme metafoniche come poirì [...], cisti”.

8 Ms. B.N. fr. 1116, L.F. Benedetto (ed.), Marco Polo, Il Milione. Prima edizione integra-le, Firenze 1928

9 C. Th. Gossen, “Marco Polo und Rustichello da Pisa”, in M. Bambeck/H. H. Christ-mann et al. (eds.), Philologica Romanica. Erhard Lommatzsch gewidmet, München 1975.

10 I “venezianismi”di Gossen includono i venetismi (accanto a Boerio cita i lavori di Freye di Prati come fonti per l’identificazione degli elementi “veneziani”).

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c) Come Benedetto, anche Gossen pensa che Rusticiano da Pisa dovevaavere familiarità con il franco-veneto.

Siccome Benedetto ha notato la presenza di un toscanismo nella grafiadel ms. fr. 1116 (p. XXVII), pensa ad un copista toscano. Gossen (p. 136 ep. 142) crede di poter distinguere nel nostro manoscritto persino due stratitoscani, l’uno di un copista dell’Italia centrale (senza argomenti), l’altro pro-veniente dal “ghost-writer” pisano (tracce marginali nel lessico secondo lui).

In questa “selva oscura”, guardiamo da più vicino la lingua del mano-scritto per vedere quali strati linguistici si lasciano distinguere al di fuori dellessico11. Vedremo alla fine se questi strati possono avere qualque importan-za per la questione della genesi del testo di Marco Polo.

1.1 Ecco un esempio scelto a caso dove vediamo come il francese delmanoscritto è continuamente infettato dalla presenza di italianismi, fra iquali si distinguono una patina veneta e alcuni toscanismi grafici12:

(1) Avint que un jorno a la maison de cest çabater vent une bella do femene porachater çabate (cap. 27, 13; R. p. 334)

Nel campo grafico-fonetico spiccano -o (jorno) e -a finali (bella)13, -a-nella sillaba atona media in achater (ven. acatar, achatar, Frey) e l’accentoproparossitono in femene (venez. id., Bo); vent con -e- presenta il vocalismodel ven. vene/tosc. venne invece di -i- (fr. vint); venetismi sono il grafema<ç> e i lessemi çabater e çabate (venez. zavater, zavate, Bo). Toscanismi grafi-ci sono <ll> in bella e <b> invece di <v> in çabater/çabate. Dopo bella il co-pista ha voluto continuare con don(n)a14: un bell’esempio di questa linguamista tra francese e veneto, la cui base è però sempre il francese.

La lingua del ms. fr. 1116 è tanto corrotta che qualche volta risulta in-comprensibile, persino per noi esperti di linguistica romanza. Basta un’oc-chiata all’apparato di G. Ronchi15 a piè di pagina dove troviamo “mostri”come autaesse (p. 308), cralantur (p. 334) e çuilant/çiulant (p. 335); altre for-me strane come baratere (cap. 70, 19; R. p. 390), cuble (cap. 92, 3; R. p. 430)

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11 Per il lessico, il lavoro di C. Th. Gossen, “Marco Polo und Rustichello da Pisa”, in M.Bambeck/H. H. Christmann et al. (eds.), Philologica Romanica. Erhard Lommatzsch gewid-met, München 1975, pp. 133-143 è un utile punto di partenza; può però essere criticato sottodiversi aspetti (cfr. B. Wehr, “Zum altvenezianischen Fragment VA1 des Reiseberichts vonMarco Polo”, in Morini 2001, p. 132, n. 66).

12 Quando una forma è attestata nel lessico di Boerio, viene notata come “venez.”anchese è diffusa nei dialetti veneti di terraferma.

13 Accanto a forme in -a e -o sono frequenti anche plurali in -i, come p. es. in cesti leufan-ti (cap. 121, 5; R. p. 478).

14 Cfr. L. F. Benedetto (ed.), Marco Polo, Il Milione. Prima edizione integrale, Firenze1928, p. 21, nota al capitolo 27, 1. 24.

15 G. Ronchi (ed.), Marco Polo, Milione. Le divisament dou monde. Il Milione nelle reda-zioni toscana e franco-italiana, Milano 1982.

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e excaregaites (cap. 70, 17; R. p. 390) sono state accettate nel testo dell’edi-zione e costituiscono un vero rompicapo per il linguista. Accanto a evidenti“ghost-words” provenienti dalla penna dell’ultimo copista con una cono-scenza insufficiente del francese abbiamo anche a che fare con forme dietrole quali si nasconde una voce italiana o locale del Veneto.

Ma chi poteva comprendere questa lingua mista, il brutto francese delms. fr. 1116? Quale era il pubblico al quale era destinato questo manoscrit-to? I manoscritti scritti in franco-veneto erano oggetti di prestigio nelle bi-blioteche aristocratiche dell’Italia settentrionale; ma erano anche letti? Lettie compresi? Purtroppo sappiamo troppo poco su questo problema centrale.Si tratta di un problema sociolinguistico interessante e ancora aperto, aquanto vedo. È impensabile che un testo così corrotto sotto l’aspetto lingui-stico come il ms. fr. 1116 sia stato il modello per traduzioni e adattamenti inaltre lingue. Che avrebbero capito i traduttori e redattori di fronte ad un taletesto? Certamente avevano davanti agli occhi un testo scritto in un francesemigliore, più vicino allo standard.

2. Prima di cominciare la nostra analisi dobbiamo premettere che l’edi-zione di Benedetto (1928) e purtroppo anche quella di G. Ronchi (1982) of-frono una base malsicura, soprattutto per quanto riguarda le grafie del ma-noscritto16. L. F. Benedetto è intervenuto nel testo, come osserva lui stessocandidamente alle pp. XXVIII-XXX: ha cambiato per es. la grafia tipica-mente veneta <ç>, che è “addirittura profusa”, in <g> quando è iniziale da-vanti a e-, i- (scrive dunque gire invece di çire del ms.)17 e in <s> quando è fi-nale18; anche <x> sparisce (invece di uxance Benedetto scrive usance)19.Neanche si vedono nella sua edizione gli “innumerevoli” casi della grafiacousse “cose” con <ss>, tipico per es. per il padovano e il veneziano20. Ingiu-

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16 Gli interventi di Benedetto nella grafia riguardano anche le forme, come si può vederenella riproduzione fotografica dell’inizio del cap. 159 (da Benedetto)/158 (da Ronchi) del ms.nella Storia della cultura veneta I, immagine 187. Nel ms. si legge (con scioglimento delle ab-breviazioni): “Ci comance le livre de Indie e devisera tote les mervoies qe il sunt e les maine-res de iors”. Benedetto (p. 161) scrive: “[...] et devisera toutes les mervoilles que i sunt et lesmaineres des jens”, menzionando soltanto la sostituzione di jors con jens. Ronchi (p. 529)stampa il testo di Benedetto, aggiungendo delle parentesi in j[en]s, senza indicazione rispettoalle altre modificazioni effettuate.

17 In alcuni casi come p. es. çabater, çabate Benedetto ha però conservato <ç> (cfr. p. 21nella sua edizione).

18 <ç> finale viene ricostituita nell’edizione di G. Ronchi (senza commento nella “Notaal testo” finale), come si vede negli esempi citati alle p. 675ss. dove Ronchi scrive <-ç> (voç)di fronte a <-s> di Benedetto (vos).

19 Alla p. XXVII Benedetto menziona “l’impiego relativamente raro di x con valore di ssonora”.

20 Cfr. es. G. Ineichen, “Die paduanische Mundart am Ende des 14. Jahrhunderts auf-grund des Erbario carrarese”, Zeitschrift für romanische Philologie 73, 1957, p. 92; A. An-dreose, “La grafia e la lingua del manoscritto”, in A. Barbieri/A. Andreose (eds.), Marco Po-

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stificabile è anche la sostituzione di -<m> finale nel tipo gram, latim con -<n>: viene così eliminato un importante tratto tipico dell’emiliano, del pa-dovano e del veronese, attestato sporadicamente anche a Venezia21. Connes-so con l’alternanza delle grafie -<m>/-<n> in fine di parola che denotano un-n velare è l’esito comune di CUM e QUOMODO (senza ET) in alcuni dia-letti veneti e anche sporadicamente nel veneziano22. Anche nel nostro ma-noscritto com e con sono usati indifferentemente con i significati di “con” edi “come“. Benedetto scrive nel primo caso con e nel secondo caso come (p.XXVIII), eliminando così di nuovo un tratto veneto importante.

L’edizione meritevole di G. Ronchi che diverge in alcuni punti dal testo diBenedetto (si vedano le sue osservazioni pp. 674 e ss.) riprende, come pare,queste unificazioni grafiche (eccezion fatta per <ç> finale, cfr. qui n. 13). Unodegli auspici più urgenti nella ricerca poliana sarebbe dunque una nuova edi-zione del ms. fr. 1116 che presenti esattamente la lingua del manoscritto.

3. In seguito distingueremo fra venetismi inclusa la città di Venezia, ve-netismi della terraferma con l’esclusione di Venezia, italianismi in genere etoscanismi. Possiamo presentare comunque soltanto una scelta.

3.1 Cominciamo con un elenco di forme tipiche dei dialetti veneti inclusala città di Venezia. Nonostante i diffetti dell’edizione di L. F. Benedetto e diquella di G. Ronchi accennati sopra possiamo osservare alcuni venetismi co-spicui a livello grafico-fonetico, fra il quali l’esito di [j] < -LJ- (cfr. Stussi, Te-st. venez. § 7.6) in bataies “battaglie” (p. es. nel cap. 199, 13; R. p. 612), foies“foglie” (cap. 111, 2; R. p. 457), mervaie “meraviglie” (cap. 23, 14; R. p. 328),moier “moglie” (cap. 70, 34; R. p. 392), recoient “raccolgono” (cap. 58, 5; R.

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lo, Il “Milione” veneto. Ms. CM 211 della Biblioteca Civica di Padova, Venezia 1999, p. 74; M.Alinei, Spogli elettronici dell’italiano delle origini e del Duecento II: Forme. 17: Prose Venezia-ne. Ed. A. Stussi, Bologna 1973 s.v. cossa).

21 Cfr. per es. G. Ineichen, “Die paduanische Mundart am Ende des 14. Jahrhundertsaufgrund des Erbario carrarese”, Zeitschrift für romanische Philologie 73, 1957, p. 97; G.B.Pellegrini, “Franco-veneto e veneto antico”, in Id., Studi di dialettologia e filologia veneta, Pi-sa 1977, p. 143, n. 31; Stussi, Testi venez. = A. Stussi, Testi veneziani del Duecento e dei primidel Trecento, Pisa 1965, § 7.11.

22 Cfr. per es. D. Bortolan, Vocabolario del dialetto antico vicentino, Vicenza 1893 [rist.Bologna 1969] s.v. com/como/con, F. Riva, “Lessico di antico veronese desunto da testi in ver-si (sec. XIII - sec. XVII)”, Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere diVerona, serie VI, vol. V (1953-54), Verona 1955, s.v. co/com, R. Ambrosini, “Spoglio foneti-co, morfologico e lessicale del ‘Tristano Corsiniano’”, Italia dialettale 20, 1956, s.v. com/con,F. Brugnolo, “Per il testo della tenzone veneta del Canzoniere colombino di Nicolò de’ Ros-si”, in Scritti linguistici in onore di G. B. Pellegrini, vol. 1, Pisa 1983, pp. 372 e s., Stussi, Testivenez. = A. Stussi, Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, Pisa 1965, § 7.11 e G.Rohlfs, Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, 3 vol., Bern1949-54. Trad. it.: Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 vol., Torino1966-1969, § 945 per com < QUOMODO).

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p. 372) e l’esito di [j] < -CL- in quaie “quaglia” (cap. 174, 64; R. p. 560). L’esi-to di -LJ- è scritto anche con il grafema <g> (cfr. Stussi, Test. venez. § 4.4 e §7.6) in se recogent “si raccolgono, si rendono” (cap. 19, 4; R. p. 321).

Passiamo alla morfologia. Un fenomeno cospicuo è l’impiego della 3.pers. sg. in funzione della 3. pers. pl., caratteristico per i dialetti settentrionalidove CANTA e CANTANT hanno l’esito comune di canta23. Un esempio:

(2) les povres homes s’e<n> vont a la becarie et prenent le feie crue tant tostcom se trai hors de la bestes, et le trence menu, puis le met en la sause del’aille et le menuie24 mantenant; et ausi font de toutes les autres chars(cap. 118, 12; R. p. 470)

Troviamo anche occorrenze del caso inverso, cioè la 3. pers. pl. invecedella 3. pers. sg., che è da interpretare come “ipercorrettismo”:

(3) la cort que le grant sire [= Khubilai Khan] hi tienent(cap. 95, 11; R. p. 438)

Anche l’impiego della forma singolare del pronome possessivo invecedella forma plurale con un possessore al plurale è caratteristico per l’italianosettentrionale25. Questo fenomeno è anche toscano (cfr. Rohlfs § 427), maqui sarà il risultato di una interferenza diretta dei dialetti veneti:

(4) Il prenent le cousines por feme et prenent la feme sun pere(cap. 62, 12; R. p. 379)

Il gerundio in -ando nei dialetti veneti è esteso a tutte le coniugazioni(cfr. Rohlfs § 618 e Stussi, Testi venez. § 8.4.9). Non sarebbe significativo infrancese dove ha avuto luogo lo stesso fenomeno (abbiamo -ant in tutte le

212

23 Cfr. G. Rohlfs, Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten,3 vol., Bern 1949-54. Trad. it.: Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3vol., Torino 1966-1969, § 532; Stussi, Testi venez. = A. Stussi, Testi veneziani del Duecento edei primi del Trecento, Pisa 1965, § 8.4. e M. G. Capusso, La lingua del Divisament dou mon-de di Marco Polo 1. Morfologia verbale, Pisa 1980, p. 64, n. 113 rispetto al nostro ms. Per l’e-stensione geografica del fenomeno all’inizio del Novecento si veda la carta geografica secon-do l’AIS in B. Wehr, SE-Diathese im Italienischen, Tübingen 1995, p. 188).

24 Questa forma menuie, frequente nel nostro ms., dovrebbe forse essere letta meniue =menjue (cfr. Rheinfelder H. Rheinfelder, Altfranzösische Grammatik 2. Teil: Formenlehre,München 1967, § 596). Si può anche trattare di una forma sbagliata entrata nel repertoriodella lingua del nostro ms. Non è documentata né nella concordanza elettronica FIOLA nénel TLIO. Altre forme strane frequenti nel ms. fr. 1116 sono peitet “piccolo”, “breve”e ydres“idolatri”(invece di ydolastres). Neanche queste sono documentate né nel FIOLA né nelTLIO.

25 Cfr. per es. A. Andreose, “La grafia e la lingua del manoscritto”, in A. Barbieri/A. An-dreose (eds.), Marco Polo, Il “Milione”veneto. Ms. CM 211 della Biblioteca Civica di Padova,Venezia 1999, pp. 93 e s. e L. Renzi/A. Barbieri, “Commento al cap. LV del Milione veneto(ms. CM 211 della Biblioteca Civica di Padova)”, in A. Daniele (ed.), Antichi testi veneti, Pa-dova 2002, p. 168.

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coniugazioni). Ma la piena desinenza che si ritrova nel ms. fr. 1116 attira na-turalmente la nostra attenzione26:

(5) il les sivent e le chacent e les vont abatando et ociando(cap. 227, 6; R. p. 653)

Passando alla morfosintassi, troviamo la ripresa del pronome l’en detto“impersonale”, meglio: che denota un agente umano (personale dunque)non specificato (ted. man), con il pronome soggetto anaforico il. Un esem-pio fra tanti:

(6) /Quant l’en s’en part de Caraian, il ala27 por ponent V jornee(cap. 120, 1; R. p. 473)

Questa costruzione è già stata discussa in Wehr28; si tratta senza dubbiodi un venetismo. L’omo nel significato di ted. “man” è ben attestato in anticoveneziano. Siccome la forma omonima con il pieno significato lessicale (ted.“der Mann/Mensch“) viene ripresa e continuata con elo, anche l’omo nel si-gnificato di ted. “man” può essere ripreso con elo, come si vede per. es. inFra Paolino:

(7) El segondo modo si è quando l’omo se mete en perigolo per alguna expe-riencia ch’elo à, perch’elo è scampado plusor fiade de somejante perigolo(De regimine rectoris, ed. Mussafia 1868, p. 11, l. 22)“quando ci si mette in pericolo...”29

In francese però l’evoluzione fonetica ha separato l’uem, forma tonicacome lessema (ted. “der Mann/Mensch“), e l’en, forma proclitica comemorfema grammaticale (ted. “man“), di modo che per i parlanti la connes-sione etimologica fra le due forme non è più evidente. Si dovrebbe dunquecontinuare in francese con l’en: Quant l’en [...], l’en [...]30.

Gli esempi seguenti scelti a caso dalle versioni parallele in VA1 e VA3 deltesto di Marco Polo rappresentano dunque una lingua pura non influenzatadal francese:

213

26 Cfr. anche M.G. Capusso, La lingua del Divisament dou monde, cit., pp. 40 e s.27 Per ala = ála, presente, cfr. M. G. Capusso, La lingua del Divisament dou monde di

Marco Polo 1. Morfologia verbale, Pisa 1980, p. 21 e p. 39); al- rappresenta la radice del fran-cese (p. es. nell’infinito) e -a è la desinenza italiana.

28 B. Wehr, “Zum altvenezianischen Fragment VA1 des Reiseberichts von Marco Polo”,in Morini 2001, pp. 124 e s.

29 Le regole di questo trattato sono indirizzate a tutti coloro che vogliono essere un buonretor; perciò mi sembra evidente l’interpretazione di l’omo come morfema grammaticale (ted.“man”).

30 Così nella versione parallela in buon francese “FG”(chiamata adesso “VF”, versione fran-cese, da Ph. Ménard): Quant l’en s’en part de Caraian et l’en a chevauchié.x. journees par ponent,si treuve l’en une province que l’en appelle Zardandan (cap. 119, l. 1ss.; P.-Y. Badel (ed.), MarcoPolo, La description du monde. Edition, traduction et présentation, Paris 1998, p. 290).

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(8) Quando l’omo se parte de questo castello, ello cavalca per uno belo plano(VA1 cap. 7, 1; Barbieri p. 507)

(9) Quando l’omo se parte da quel castello, el cavalcha per uno bel piano(VA3 cap. 30, 1; Barbieri/Andreose p. 140)

Anche in toscano questa costruzione l’uomo – egli è possibile; si vedaper es. nella versione TA2 del testo di Marco Polo:

(10) E quando l’uomo si parte d’Erguil [...], egli truova una provincia chiamataEgrigaia(cap. 72, 1; Bertolucci Pizzorusso p. 104)

Ma in toscano il soggetto pronominale all’inizio di una frase principalepreceduta da una subordinata può anche mancare:

(11) Quando l’uomo si parte di Caragian [...], truova una provincia che si chiamaArdandan(cap. 119, 1; Bertolucci Pizzorussi p. 187; testo parallelo all’es. (6))

mentre è obbligatorio o quasi obbligatorio in veneziano in questa posi-zione31. La costruzione l’en – il, frequente nel nostro manoscritto agli inizi dicapitolo per indicare distanze geografiche fra province, città e altri luoghi, èdunque un calque sintattico importato dai dialetti veneti o dal veneziano.

Un altro sintagma interessante è la costruzione il V– S, un calque del ve-neziano el V – S, dove troviamo un soggetto espletivo (“dummy subject“) asinistra del verbo, il quale è seguito dal suo soggetto “reale”:

(12) il tient Quiacatu la segnorie II anz(cap. 215, 7; R. p. 637)

Questa costruzione che è stata descritta per la sintassi di Lio Mazor daBenincà32 si ritrova nella versione VA3 del testo di Marco Polo33; con un sog-getto definito come qui (Chiacatu) sarebbe impossibile, a quanto vedo, nellasintassi del francese.

3.2 In seguito passiamo ad alcuni fenomeni che sono caratteristici delVeneto di terraferma34. Anche se sono attestati sporadicamente a Venezia,preferisco trattarli in questa sezione.

214

31 P. Benincà, “Osservazioni sulla sintassi dei testi di Lio Mazor”in Ead., La variazione sin-tattica. Studi di dialettologia romanza, Bologna, 1994, p. 167 in quanto alla sintassi di Lio Mazor eA. Andreose, “La grafia e la lingua del manoscritto”, in A. Barbieri/A. Andreose (eds.), MarcoPolo, Il “Milione”veneto. Ms. CM 211 della Biblioteca Civica di Padova, Venezia 1999, pp. 106 e s.

32 P. Benincà, Osservazioni sulla sintassi dei testi di Lio Mazor, cit., pp- 169 e s.33 A. Andreose, La grafia e la lingua del manoscritto, cit., p. 107.34 In questa sezione seguo il consiglio di G.B. Pellegrini, “Franco-veneto e veneto antico”,

in Id., Studi di dialettologia e filologia veneta, Pisa 1977, p. 128) e cerco il modello per formestrane nel francese di testi scritti nel Veneto non nei dialetti francesi, ma nei dialetti veneti.

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A livello fonetico, si deve menzionare qui l’esito comune di CUM eQUOMODO discusso sopra nella sez. 2. Troviamo due casi di metafonesiin cisti (cap. 42, 2; R. p. 354 e cap. 190, 15; R. p. 592)35. L’evoluzione di AU> ou è frequente nel ms. fr. 1116: paroule(s) (per es. in cap. 146, 9; R. p. 505),se repousent (per es. in cap. 57, 3; R. p. 370) e soprattutto chouse(s)/couse(s)(394 [!] occorrenze, per es. nel cap. 1, 3; R. p. 305)36. Questo esito è tipicodel trevisano-bellunese, ma è attestato anche in Lio Mazor37 (cfr. Stussi, Testivenez. § 7.1, n. 47 con ulteriori rimandi; Corti e Tomasoni38.

È soprattutto nella morfologia verbale che spiccano i tratti veneti del ms.fr. 1116. Cominciamo con gli infiniti in -ere che hanno un’alta frequenza:

(13) il ne entendent a autre couse for che a soner estromens et a chantere et aballere

(cap. 59, 5; R. p. 374)(14) et, quant il velt, il le laise alere et prant un cerf ou dain(cap. 75, 5; R. p. 400)

Se non abbiamo qui a che fare con un toscanismo, -e conservato dopo rpuò rappresentare un tratto tipico del padovano39. Questi infiniti in -ere so-no tipici del franco-veneto (cfr. Capusso loc. cit.)40.

Frequentissima nel nostro ms. è la 1. pers. pl. in -ón nel presente e futu-ro, desinenza caratteristica per il Veneto centrale e settentrionale: padovano,vicentino, trevisano e bellunese41. La desinenza -ón è caratteristica del fran-co-veneto. Accanto a -ón troviamo anche -ún nel nostro ms. Alcuni esempi:

215

35 Occorrenze isolate della metafonesi nel veneziano sono attestate in Stussi, Testi venez.§ 5.4 (quili, quisti).

36 I casi con <ss> non appaiono nelle edizioni di Benedetto e di Ronchi (si veda sopranella sez. 2).

37 In Fra Paolino questo tratto viene considerato come “abnorme”(cfr. P. Tomasoni, “Vene-to”, in L. Serianni/P. Trifone (eds.), Storia della lingua italiana vol. III, Torino 1994, p. 220).

38 M. Corti, “Emiliano e Veneto nella tradizione manoscritta del ‘Fiore di Virtù’”, Studidi filologia italiana 18, 1960, p. 58 e P. Tomasoni, “Per una storia dell’antico trevisano”, Studidi grammatica italiana 3, 1973, p. 174, Id., “Veneto”, in L. Serianni/P. Trifone (eds.), Storiadella lingua italiana vol. III, Torino 1994, pp. 218, 220, 236 e 239.

39 Stussi, op. cit., § 5.1, n. 21; G. Ineichen, “Die paduanische Mundart”, cit., pp. 82 e s.;M. Careri, Il canzoniere provenzale H (Vat. Lat. 3207). Struttura, contenuto e fonti, Modena1990, p. 290; M.G. Capusso, La lingua del Divisament dou monde, p. 32 per il nostro ms; peri dialetti moderni cfr. A. Zamboni, “Le caratteristiche essenziali dei dialetti veneti”, in M.Cortelazzo (ed.), Guida ai dialetti veneti I, Padova 1979, p. 34.

40 Alere è attestato per il ms. Marc. fr. XIII, cfr. L. Zarker Morgan, “Text and Non-text:For an Standard Lemmatization of Franco-Italian”, in G. Holtus et al. 1989, p. 213), e ci so-no 4 occorrenze nel FIOLA.

41 Cfr. G.B. Pellegrini, “Franco-veneto e veneto antico”, in Id., Studi di dialettologia e fi-lologia veneta, Pisa 1977, pp. 133 e ss.; M. G. Capusso, La lingua del Divisament dou monde,cit., p. 36 per il nostro ms.; per la generalizzazione di -?MUS; cfr. G. Rohfls, HistorischeGrammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, § 530.

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(15) Car bien voç avon contés dou Mangi et dou Catai e de maintes au-tres provences(cap. 157, 17; R. p. 529)

(16) Or voç laieron de ce et voç conteron avant(cap. 19, 23; R. p. 323)

(17) Et por çe que nostre livre n’estoit encore conpli de ce que nos hivolun iscrivre, [...](cap. 157, 18; R. p. 529)

Troviamo anche occorrenze sporadiche della 2. pers. pl. in -ì42:

(18) si com voç pori oir(cap. 25, 19; R. p. 331)

(19) si com vos la pori oir(cap. 124, 7; R. p. 482)

(20) com voç avi oi(cap. 27, 19; R. p. 335)

Questa desinenza è tipica del padovano e del veronese43 Secondo gli au-tori citati, questo fenomeno è dovuto alla metafonesi, ma potrebbe anche es-sere il risultato di un’analogia con la coniugazione in -IRE.

Il perfetto debole della 1. coniugazione termina frequentemente nella 3.pers. sg. in -è:

(21) je voç fais savoir que, puis que notre Sire Dieu pasme [= p<l>asmè] deseç mainç Adam notre primer pere [...], ne fu cristienç, ne paiens [...] quetant seust ne cherchast de les deverses partie dou monde [...] come cestuimessire Marc en cherche [= cherchè] et soi(cap. 1, 4; R. p. 306)44

Questa formazione rappresenta il tipo DEDI, generalizzato per es. nel-l’antico occitanico (cantet) e l’antico valdese e attestato – accanto alla desi-nenza normale -à – anche nei dialetti veneti, soprattutto a Padova45, ma an-che a Treviso (nell’Egloga pastorale di Morel, area trevisana46e Vicenza (nel

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42 Scrivo -ì come Stussi (cfr. la nota seguente).43 G. Rohfls, op.cit., § 531; Stussi, op.cit., § 5.2; G. Ineichen, “Die paduanische Mun-

dart”, cit., p. 79; P. Tomasoni, “Veneto”, cit., pp. 226 e 231; G. Capusso, La lingua del Divisa-ment dou monde, cit., p. 39 e n. 59 per il nostro ms. In Bocc. Dec. VI 4.8 il veneziano Chichi-bio dice due volte: “Voi non l’avrí da mi”(ed. Branca 1980). Nei Testi venez. c’è un’occorren-za isolata di -ì in serì (Stussi § 5.2).

44 Queste forme sono già state commentate da G. Bertoni, Recensione di Benedetto1928, in Giornale storico della letteratura italiana 92, 1928, pp. 291 e s.). Scrivo -è con l’ac-cento grave in analogia a dè < DEDIT (con l’e aperto; si veda Lausberg § 894) e in corrispon-denza con la grafia del perfetto dei verbi della 2. e 3. coniugazione (potè, credè) dove trovia-mo lo stesso -è < DEDIT.

45 Cfr. G. Rohlfs, op.cit., § 569, G. Ineichen, “Die paduanische Mundart”, p. 111 e M.Corti, op.cit., p. 48.

46 G. B. Pellegrini, “Franco-veneto e veneto antico”, cit., p. 384.

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Tristano Corsiniano47)48; Capusso49 menziona anche il veronese. La desinen-za è prima entrata nel paradigma della 1. coniugazione nel verbo andare:andè, in analogia con dare: dè (per questa ragione -è è qualche volta limitatoal verbo andare). Non è attestata a Venezia, né nei Testi venez. curati daStussi, dove il perfetto debole dei verbi in -ARE termina in -à (cfr. § 8.4.3),né nella versione VA? del testo di Marco Polo, dove la desinenza è -à alla ve-neziana o -ò alla toscana (cfr. Andreose50). Possiamo dunque escludere Ve-nezia come fonte per questo tratto51.

Ritornando al nostro ms. fr. 1116, c’è un grave problema per l’identifica-zione di -e nella 3. pers. sg. in questo testo bastardo: può rappresentare o unpresente francese o un perfetto veneto (= -è). Siccome i perfetti in -è nelleedizioni di Benedetto e Ronchi non vengono mai contraddistinti dall’accen-to, hanno sempre l’aspetto di un presente francese. Guardiamo questo pro-blema più da vicino. Come interpretare la forma seguente in -e scelta a caso?

(22) Or avint que au tens que Mongu Can [...] regnoit, adonc li fu denunsiéscomant celz de Camul fasoient ensi avoutrer lor femes a forastier. E celMo<n>gu mande elç comandant sout grant poine que il ne deusent her-berger les forestiers(cap. 59, 9s.; R. p. 375)

Nell’es. (21) il contesto è sufficiente all’identificazione delle forme in -ecome perfetti; ma in altri casi come (22) è difficile dire se abbiamo a che farecon un “presente storico” o con un perfetto52. L’omografia presenta una dif-ficoltà quasi insormontabile per l’editore di una nuova edizione del ms. fr.1116 che deve decidersi dove mettere l’accento. Ma forse il testo parallelodella redazione “FG“/ “VF” (cfr. la n. 19) scritta in un medio francese “qua-si corretto”, può aiutarci a trovare la soluzione giusta: nell’es. (22) il ms. B4legge leur manda commandement (cap. 58; Badel p. 146). La terminazione in-ent/-ènt, 3. pers. pl., nel nostro ms. presenta lo stesso problema di omogra-

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47 R. Ambrosini, “Spoglio fonetico, morfologico e lessicale del ‘Tristano Corsiniano’”,cit., p. 54.

48 La localizzazione è di P. Tomasoni, “Veneto”, in L. Serianni/P. Trifone (eds.), Storiadella lingua italiana vol. III, Torino 1994, p. 235), ma si vedi Stussi, Testi venez. = A. Stussi,Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, Pisa 1965, p. XVII: “redazione veneta diterraferma priva di tratti ben localizzabili.“

49 M. G. Capusso, La lingua del Divisament dou monde, cit., p. 24, n. 17.50 A. Andreose, “La grafia e la lingua del manoscritto”, cit., p. 100.51 W. Meyer-Lübke, Grammatik der romanischen Sprachen vol. II: Formenlehre, Leipzig

1894, § 270) menziona la presenza di -è in Calmo, autore veneziano che però è del Cinque-cento.

52 Si vedano anche le acute osservazioni di M. G. Capusso, La lingua del Divisament doumonde di Marco Polo 1. Morfologia verbale, Pisa 1980, pp. 24 e s. e le note 124-126) a propo-sito di questo problema.

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fia (cfr. Capusso53: dobbiamo interpretare pasent e trovent nell’esempio se-guente come “presenti storici” o come perfetti e scrivere -ènt?

(23) E da Oucaca si partirent et pasent le flum de Tigri et alerent por undeçert ki estoit lonc XVII jornee: il ne trovent villes ne castiaus for seu-le[m]ant Tartars con lor tentes qui vivoent de lor bestes(cap. 3, 11; R. p. 308)

Il testo parallelo in B4 ci dà le forme passerent e trouverent (cap. 2; Badelp. 54), dunque dei perfetti. Anche le altre versioni del testo di Marco Polopossono aiutarci a risolvere questi casi ambigui che sono una sfida per unfuturo editore del manoscritto.

3.3 Italianismi generali, non localizzabili, sono l’impiego del pronomepossessivo in combinazione con l’articolo indefinito o con un sostantivo in-definito (cfr. Rohlfs § 433): en une lor gliese (cap. 32, 9; R. p. 340), trois sezbaronç (cap. 18, 4; R. p. 320), e con l’articolo definito (cfr. Rohlfs § 432): lelor feu (cap. 32, 10; R. p. 340), le lor dio et les lor ydres (cap. 117, 5; R. p.467). Anche il sintagma tuit et trois (cap. 19, 1; R. p. 321), tuit e quatre (cap.13, 6; R. p. 315) è italiano (cfr. Rohlfs § 759).

Più interessante e riguardante la sintassi verbale è la costruzione con SEper denotare un agente umano non specificato (“si passivo”/“si impersona-le”)54. Questa costruzione è estremamente rara in antico francese55. L’impie-go frequente con un verbo transitivo nel ms. fr. 1116 è dunque un italiani-smo “nascosto”:

(24) Et encore en ceste provence se spendent les porcelaine [...](cap. 119, 5; R. p. 471)

(25) La mainere comant elle [les grandes couleuvres = coccodrilli] se prenentest ceste:(cap. 119, 11; R. loc. cit.)

In combinazione con un verbo intransitivo la costruzione non è attestatadel tutto in francese56; si tratta dunque di un calque dall’italiano:

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53 M. G. Capusso, La lingua del Divisament dou monde, cit., p. 23 e pp. 27 e s. Capusso ap. 23, interpreta alènt come sviluppo da alerent. Preferisco vedere in -ènt una forma analogi-ca alla 3. pers. sg. in -è.

54 Per un’analisi unitaria cfr. B. Wehr, SE-Diathese im Italienischen, Tübingen 1995.55 F. Brunot, Histoire de la langue française des origines à nos jours, vol. I: De l’époque lati-

ne à la Renaissance, Paris 1966, pp. 482 e s.; Ph. Ménard, Syntaxe de l’ancien français, Bor-deaux 41994, § 126d, Remarque e B. Wehr, “Diathesen im Altokzitanischen (mit einemExkurs zu den lateinischen Vorläufern des ‘reflexiven Passivs’)”, in A. Rieger (ed.), Okzitani-stik, Altokzitanistik und Provenzalistik. Geschichte und Auftrag einer europäischen Philologie,Frankfurt a. M. etc. 2000, p. 117.

56 Un caso isolato è chanter utilizzato senza oggetto diretto in Aucassin et Nicolette: Or secante.

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(26) mes por le grant froit, ne i [= di Rosie a Oroech] se puet mie si bien aler(cap. 219, 17; R. p. 644)

Anche il tipo mander + gerundio è un calque dell’italiano57:

(27) il mandoit desant a l’apostoille que [...](cap. 8, 8; R. p. 311)

(28) E cel Mo<n>gu mande [= mandè] elç comandant sout grant poine que [...](cap. 59, 10; R. p. 375; = es. (22))

(29) Et quant le Prester Johan oi ce que Cinghis Can li mande demandant [...](cap. 65, 11; R. p. 381)

Secondo Skerlj (1926: 274) che ha esaminato questa costruzione nell’an-tico italiano, questo sintagma esiste soltanto in italiano58 e soltanto con ilverbo mandare; cfr. anche Rohlfs § 720 e Barbina/Bosco, Concordanze delDecameron s.v. mandò:

(30) e sí gli mandò dicendo che a cena l’arostisse e governassela [= la gru] bene(Bocc. Dec. VI 4.5, ed. Branca 1980)

3.4 Passiamo ai toscanismi, cioè agli italianismi che non si lasciano loca-lizzare nell’italiano settentrionale. Grafie alla toscana sembrano essere i rad-doppiamenti di consonanti, soprattutto all’inizio di una parola, al di fuoridelle lettere con un’asta <f>, <l> e <s> dove troviamo raddoppiamenti, an-che iniziali, nel veneziano (cfr. Stussi, Testi venez. § 4.11): a ccellui, a cchief(Benedetto p. XXVII; questi raddoppiamenti sono eliminati nella sua edi-zione). Anche <gh-> è un toscanismo grafico, attestato in ghere (p. es. nelcap. 3, 6; R. p. 307)/gherre (cap. 222, 0; R. p. 645), se possiamo aver fiducianell’edizione di G. Ronchi59.

Forse anche gli infiniti in -ere sono da interpretare come un toscanismo(si veda sopra nella sez. 3.2).

Anche due fenomeni sintattici sembrano essere dei toscanismi. Il primoconcerne la posizione di SE nella funzione di denotare un agente umanonon specificato (si veda sopra nella sez. 3.3). Nel nostro manoscritto l’avver-bio locativo precede SE:

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57 Già notato da G.G. Bianconi, “Dell’Epyornis Maximus e degli scritti di Marco Polo.Memoria II.”, Memorie della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, serie seconda,t. II, Bologna 1862, p. 9, n. 1).

58 Le eccezioni citate da Skerlj, Syntaxe du participe présent et du gérondif en vieil italien,Paris 1926, p. 274, n. 1) provengono dalle Biographies des troubadours in ant. occit. scritte nelVeneto che presentano, come si sa, dei venetismi, e da Philippe de Novare, un italiano chescriveva nel francese considerato “franco-italiano”(cfr. G. Holtus, Lexikalische Untersuchun-gen zur Interferenz: die franko-italienische “Entrée d’Espagne”, Tübingen 1979, p. 88).

59 In altri casi <h> viene aggiunto senza necessità: g<h>ere (per es. nel cap. 199, 2; R. p.611). Per <g> davanti a e, i col valore di [g] si veda Stussi, Testi venez. = A. Stussi, Testi vene-ziani del Duecento e dei primi del Trecento, Pisa 1965, § 4.2.

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(31) et hi si laborent dras de soie(cap. 23, 11, R. p. 327)

(32) encore hi si fait auques mercandies(cap. 74, 6, R. p. 398)

(33) por le grant froit, ne i se puet mie si bien aler(cap. 219, 17, R. p. 644)

Quest’ordine rappresenta il tipo toscano, dove già nel medioevo la posi-zione è LOC + SE + verbo finito, come nell’italiano attuale:

(34) vi si lavora molti drappi e ad oro e ad seta(TA2 cap. 94, 13; Bertolucci Pizzorusso p. 150)

Per l’antico francese, dove la costruzione con SE è estremamente rara(cfr. sopra nella sez. 3.3) mi mancano esempi rilevanti. Brunot60 (1966: 483)cita un esempio del sec. XV dove l’ordine è, come in francese moderno, SE+ LOC + verbo finito:

(35) i s’i disoit autant de messes par jour comme à Rome (Commines)(36) fr. mod. il s’y boit beaucoup de vin

Nei dialetti settentrionali antichi la posizione è la stessa del francese,cioè SE + LOC + verbo finito61:

(37) el se ge prende pernixe assai(VA? cap. 22, 2; Andreose 1999: 108)

Possiamo dunque concludere che siamo qui di fronte a un tratto toscanodella sintassi del ms. fr. 1116. Anche il secondo toscanismo sintattico con-cerne l’ordine delle parole. Molto frequente nel nostro manoscritto è il tipodist elz, con l’oggetto indiretto dopo il verbo finito:

(38) Et meser lo legat [...] dist elz: “[...]”(cap. 11, 7; R. p. 314)

(39) E cel Mo<n>gu mande [= mandè] elç comandant sout grant poine que [...](cap. 59, 10; R. p. 375; = es. (22))

(40) il les recevi honorablemente et fait elç grant joie(cap. 6, 1,: R. p. 309)

Questa costruzione sembra essere un calque sintattico del toscano disseloro (cfr. Rohlfs § 463 per la posizione già identica nell’antico italiano). Infrancese troveremmo la forma proclitica dell’oggetto indiretto davanti al

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60 F. Brunot, Histoire de la langue française des origines à nos jours, cit., p. 483.61 Cfr. G. Ineichen, “Die paduanische Mundart”, cit., p. 107; B. Wehr, SE-Diathese im

Italienischen, cit., p. 159 e A. Andreose, “La grafia e la lingua del manoscritto”, p. 108; Id.,“La prima attestazione della versione VA del Milione (ms. 3999 della Biblioteca Casanatensedi Roma). Studio linguistico”, Critica del testo V, 3, 2002, p. 662).

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verbo finito (lor) o la forma tonica con la preposizione a dopo il verbo finito(a els) (cfr. Rheinfelder62). I contesti negli esempi citati sono neutrali: il refe-rente dell’oggetto indiretto non è accentuato. L’ordine delle parole nel ms.1116 dovrebbe dunque essere lor dist. Sorprendente è la forma elç in dist elçinvece di lor: lor sarebbe più vicino alla forma toscana.

Nei dialetti veneti incluso il veneziano la posizione dell’oggetto indirettoclitico sarebbe, come in francese, davanti al verbo finito (se non impedita dalla“legge Tobler-Mussafia“); le forme sono ghe (cfr. Rohlfs § 464), li, i, gli, ge (cfr.Andreose63). Nell’antico veneto il sintagma sarebbe dunque ghe/li disse.

4. Veniamo alla conclusione delle nostre indagini. Abbiamo osservatouna forte presenza di venetismi nella lingua del ms. fr. 1116, che per la mag-gior parte sono però limitati al veneto della terraferma e escludono Venezia(cfr. per es. le grafie di -m invece di -n, purtroppo non visibili nelle edizionidi Benedetto e di Ronchi, l’esito di AU > ou, gli infiniti in -ere e le desinenzeverbali -ón per la 1. pers. pl., -í per la 2. pers. pl. e -è/-ènt come morfemi del-la 3. pers. del perfetto). Questa patina veneta deve essere attribuita senzadubbio ai copisti che lavoravano in uno scriptorium del Veneto. Era proba-bilmente una scelta consapevole quella di “adornare” un testo francese ditratti caratteristici della koiné veneta che ha dato come risultato questa lin-gua mista che chiamiamo “franco-veneta“. Per l’interpretazione di una scel-ta cosciente a proposito di forme franco-venete cfr. Pellegrini64 e Wunder-li65. È vero che mancano nel ms. fr. 1116 “parole chiave” del franco-venetocome çival e çubler “giullare”66: la parola per “cavallo” qui è sempre cheval eper “giullare” joculer (2 occorrenze). Dall’altra parte troviamo nel nostroms. altre parole chiave come c(h)ouse (citata sopra), menuie, peitet e ydres(cfr. n. 16) che suggeriscono una spiccata volontà del copista/dei copisti aseguire certi principi nella scelta delle sue/loro parole. Queste forme, sianografiche, morfologiche o lessicali, avevano certamente un valore simbolico,anche se non sappiamo bene come interpretarle allo stato attuale delle no-stre ricerche. Dovevano essere una specie di “marchio di fabbrica” di qual-che scriptorium del Veneto.

Un fatto che rende ancora più complicata l’interpretazione della linguamista del ms. fr. 1116 è la presenza di forme sbagliate che non si lasciano

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62 H. Rheinfelder, Altfranzösische Grammatik 2. Teil: Formenlehre, München 1967, § 267e § 269.

63 A. Andreose, “La grafia e la lingua del manoscritto”, cit., p. 96.64 G.B. Pellegrini, “Franco-veneto e veneto antico”, cit., p. 128, n. 5.65 P. Wunderli, Interferenze’in franco-italiano. L’esempio dell’‘Aquilon de Bavière’, Vox

Romanica 58, 1999, pp. 125 e s.; Id., “Un luogo di ‘interferenze’: il franco-italiano”, in Mori-ni 2001, p. 66.

66 Per la forma çubler si veda G.B. Pellegrini, “Franco-veneto e veneto antico”, in Id.,Studi di dialettologia e filologia veneta, Pisa 1977, p. 128, n. 5).

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motivare in questa maniera: l’ultimo copista aveva semplicemente delle co-noscenze limitate del francese e scriveva delle parole bizzarre secondo i suoicapricci (cfr. la nota 11, dove si vede che scrive jors invece di jens, e le “gho-st-words” citate nella sez. 1.1).

Non abbiamo scoperto delle forme che sono limitate a Venezia e che po-trebbero univocamente rappresentare la lingua di Marco Polo; nessuna trac-cia sicura dunque della sua lingua materna, il veneziano.

Passando ai toscanismi nel nostro manoscritto, come sono da interpreta-re? I toscanismi grafici non provano necessariamente l’influenza di un copi-sta toscano (ammessa come possibilità da Benedetto67), ma possono ancheessere il risultato di una toscanizzazione della scripta dei dialetti veneti, atte-stata già dalla prima metà del Trecento; si vedano per es. le osservazioni diIneichen68 per l’antico padovano. Già il frammento casanatense VA1 del te-sto di Marco Polo, databile ai primi decenni del Trecento e localizzato ades-so da A. Andreose69 a Bologna, presenta tratti univoci toscani (cfr. Wehr70).Ma i raddoppiamenti consonantici iniziali, ai quali accenna Benedetto (cfr.sopra), possono anch’essi provenire dall’imitazione di un modello toscano?Rimetto questo problema all’arbitrio degli esperti della scripta franco-veneta.

Nella morfologia verbale G. Ronchi71 non ha scoperto dei toscanisminel ms. fr. 1116, ma abbiamo visto che ci sono dei toscanismi sintattici. Dob-biamo dunque ammettere che questi potrebbero provenire dal personaggioenigmatico di Rusticiano da Pisa (se veramente lui stesso era di Pisa, e nonsuo padre o un suo nonno dal quale aveva eredidato il nome)?

La genesi del testo di Marco Polo resta dunque ancora un mistero. Citia-mo a questo proposito le parole sempre valide dell’esperto C. Segre72: “noinon sappiamo le cose sostanziali, non sappiamo come [Marco Polo] hascritto la sua opera, non sappiamo che tipi di rapporto di lavoro siano inter-corsi tra lui e Rusticiano”.

5. Nel Veneto la koiné veneta entrava in contatto non soltanto con la lin-gua e la cultura francese, ma anche con la lingua e la cultura occitanica. Anchele Biografie trobadoriche scritte in antico occitanico in uno scriptorium del Ve-neto contengono dei venetismi, per es. con/com/cum invece di ab “con”73, il

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67 L. F. Benedetto (ed.), Marco Polo, Il Milione, cit., p. XXVII.68 G. Ineichen, “Die paduanische Mundart”, cit., p. 44.69 A. Andreose, “La grafia e la lingua del manoscritto”, cit.70 B. Wehr, “Zum altvenezianischen Fragment VA1 des Reiseberichts von Marco Polo”,

in Morini 2001, pp. 103 e s.71 G. Ronchi (ed.), Marco Polo, Milione. Le divisament dou monde. Il Milione nelle reda-

zioni toscana e franco-italiana, Milano 1982, p. 35.72 C. Segre, “Marco Polo: Filologia e industria culturale”, in C. Segre/G. Ronchi/M. Mi-

lanesi, Avventure del “Milione”, Parma 1983, p. 14.73 Ricordiamo che anche nel ms. fr. 1116 troviamo con, com (invece di avec).

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perfetto in -à invece di -et, la costruzione mandar + gerundio (mandet pregan)e si < S±C nella posizione tra soggetto e predicato (X si fo...) (cfr. Pellegrini eWehr74). Probabilmente gli stessi copisti nel Veneto copiavano sia testi france-si che testi occitanici e lasciavano la loro traccia nella grafia, la morfologia e lasintassi dei testi copiati (si veda anche P. Meyer75 a proposito di manoscritticontenenti testi in differenti lingue ma scritti dalla stessa mano nell’Italia set-tentrionale)76. Anche nelle Biografie trobadoriche la presenza di certi venetismiviene interpretata come intenzionale, cfr. Pellegrini77 a proposito di com, con,cum. Siccome i perfetti in -à appaiono “in cascate” (cfr. Boutière in Boutiè-re/Schutz78), saranno anch’essi il risultato della volontà dei copisti di dare lapropria impronta allo scritto.

6. Già Bertoni79 ha proposto che Rusticiano da Pisa scriveva in un fran-cese “assai più corretto” di quello trasmesso dal ms. fr. 1116. C. Segre80 con-sidera anche la possibilità che Rusticiano abbia scritto in corretto francese eche poi siano stati gli interventi dei copisti a trasformare il testo in franco-veneto. Una redazione in corretto francese può essere esistita, ma quasi tuttele redazioni del testo di Marco Polo portano infatti la traccia di forme straneo di italianismi/venetismi nel loro modello81.

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74 G.B. Pellegrini, “Franco-veneto e veneto antico”, cit., pp. 92 e ss. e B. Wehr, “Anc.occ. Bernartz de Ventadorn si fo de Limozin: encore un italianisme dans les Biographies destroubadours”, in G. Gouiran (ed.), Contacts de langues, de civilisations et intertextualité. Ac-tes du IIIème Congrès International de l’Association Internationale d’Études Occitanes, Mont-pellier 20-26 août 1990, Montpellier 1992, t. III; Id., “À propos des vénétismes dans les Bio-graphies des troubadours”, Intervento al Septième Congrès International de l’Association In-ternationale d’Études Occitanes, Reggio Calabria - Messina, 7-13 juillet 2002 (inedito).

75 P. Meyer, “De l’expansion de la langue française en Italie pendant le Moyen-Âge”, Attidel Congresso Internazionale di Scienze Storiche (Roma, 1-9 aprile 1903), vol. IV, Roma1904, p. 73.

76 “Le ms. 584 de Lyon, qui renferme outre un poème religieux en italien dialectal com-posé ou du moins écrit à Vérone, divers poèmes français [...], a certainement été écrit enLombardie ou en Vénétie. Il est curieux de constater que ce ms. est de la main qui a écrit lepoème de Florimont [...] et un des manuscrits de l’Aspremont”. In una nota P. Meyer aggiun-ge che l’uno dei due mss. del Jaufre occitanico è stato scritto dalla stessa mano.

77 G.B. Pellegrini, “Franco-veneto e veneto antico”, cit., p. 93, n. 16.78 J. Boutiere/A. H. Schutz (eds.), Biographies des troubadours. Textes provençaux des

XIIIe et XIVe siècles. 2e éd. refondue [...] par J. Boutière avec la collaboration de I.-M. Cluzel,Paris 1973, p. XLIV.

79 G. Bertoni, Recensione di Benedetto 1928, in Giornale storico della letteratura italiana92, 1928, p. 287.

80 C. Segre, “Marco Polo: Filologia e industria culturale”, in C. Segre/G. Ronchi/M. Mi-lanesi, Avventure del “Milione”, Parma 1983, p. 13.

81 Eccezion fatta per la versione in medio latino di Fra Pipino da Bologna e per il fram-mento VA1 (in ogni caso non ne ho potuto trovare nei miei articoli di 1999 e 2001 (B. Wehr,“Zum Reisebericht von Marco Polo in der lateinischen Fassung von Fra Pipino da Bologna”,in H. Petersmann/R. Kettemann (eds.), Latin vulgaire – latin tardif V. Actes du Ve Colloque

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Non abbiamo potuto mostrare in questo contributo che ci sono dei ve-netismi anche nella versione toscana TA e nella versione francese “quasi cor-retta” “FG”/“VF”, cioè la 3. pers. sg. invece della 3. per. pl., senza corri-spondenza diretta con il testo del ms. fr. 1116. Per la non-corrispondenza dialcuni italianismi nel lessico del ms. fr. 1116 e di VA1, si veda Wehr82. Taliforme provano come siano esistiti prototipi affini al ms. fr. 1116 che eranoscritti anch’essi in un francese “non ortodosso”, ma che differivano l’unodall’altro; tali forme servono dunque a ricostruire i prototipi perduti. Questirisultati confermano l’ipotesi di L. F. Benedetto a proposito delle differentiversioni in circolazione: “F”83, F1, F2 ecc. Vediamo così la vitalità delle ver-sioni franco-venete del testo di Marco Polo: circolavano versioni differentiperdute per sempre, ma trasparenti nelle versioni tramandate.

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que publiéÈe sous la direction de Ph. M. T. I – t.V, GenèËve 2001-2006[basata sul ms. B1 = London, British Library, Royal 19 D 1; in corso dipubblicazione].

TA

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international sur le latin vulgaire et tardif, Heidelberg, 5-8 septembre 1997, Heidelberg 1999,pp. 117-132 e B. Wehr, “Zum altvenezianischen Fragment VA1 des Reiseberichts von MarcoPolo”, in Morini 2001, pp. 111-142); forse sbagliavo e c’è qualche forma strana in Pipino). Laparola misteriosa rondes nella versione di Pipino e in VA1 è stata finalmente identificata: èuno sbaglio per condes < pers. qunduz “zebellino”(cfr. B. Wehr, “Eine Crux im Text vonMarco Polo: rondes”, in V. Noll/S. Thiele (eds.), Sprachkontakte in der Romania. Zum 75. Ge-burtstag von Gustav Ineichen, Tübingen 2004, pp. 147-158). Per gli italianismi nel lessico di“FG”/“VF”si vedano i capitoli “Italianismes”nei volumi dell’edizione curata da Ph. Ménard.

82 B. Wehr, “Zum altvenezianischen Fragment VA1 des Reiseberichts von Marco Polo”,cit., p. 132.

83 La sigla “F”è forviante come denominazione del ms. fr. 1116 perché suggerisce chequesto ms. abbia una posizione più alta dei prototipi F1, F2 (cfr. B. Wehr, “Zum altveneziani-schen Fragment VA1 des Reiseberichts von Marco Polo”, in Morini 2001, p. 112, n. 3).

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Indice

Introduzione di Renato Oniga e Sergio Vatteroni p. 00

Grecs, Romains et barbares: contribution à l’étude de la diversitélinguistique dans l’antiquité classiqueBruno Rochette 00

Greco e latino in contatto nella Satira romanaAnna Chahoud 00

La latinizzazione degli antroponimi inglesi e scandinavi nel DomesdayBook (1086) di Guglielmo IHenry Daniels 00

Qualche nota sulla commedia plurilinguistica veneta del RinascimentoAntonio Daniele 00

Il plurilinguismo nelle opere di Petar Bakula (1816-1873)Pavao Knezovic 00

La “lingua de preto” nella letteratura portoghese fra Quattro e Cinque-centoMario Barbieri 00

Milione latino: per la fisionomia delle redazioni Z e LGiuseppe Mascherpa-Eugenio Burgio 00

La produzione francoitaliana dei secoli XIII e XIV: convergenze lette-rarie e linguisticheMaria Grazia Capusso 00

Venetismi nel testo franco-italiano di Marco Polo (ms. BN fr. 1116)Barbara Wehr 00

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