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121 GRÉGOIRE BRON IL MEDITERRANEO DEI PORTOGHESI ALL'INIZIO DEL XIX SECOLO: DIPLOMAZIA E INTERNAZIONALISMO LIBERALE, 1808-1835 ABSTRACT - During the first decades of the 19th century, the emanci- pation and independence of Brazil, and the new European order settled at the Congress of Vienna, challenged the international position of Por- tugal. The Lusitanian monarchy has to find a new place in the world. But while the historiography has always considered that the later internation- al projection of Portugal was directed to Africa and perpetuated the At- lantic dimension of the country, my contribution stresses the importance of the Mediterranean area in the elaboration of a new system of interna- tional relations. The new international policy formulated by the Portu- guese government as well as by the Lusitanian liberal movement be- tween the invasion of the monarchy by the Napoleonic armies in 1808 and the definitive implantation of a parliamentary regime in 1834 pro- vide evidence for this Mediterranean attraction. Nel 1807, l'invasione del Portogallo dagli eserciti napoleonici se- gna lo scacco della politica estera proseguita dalla diplomazia lusita- na durante tutto il Settecento. Essa consisteva nell'adottare quanto possibile una posizione di neutralità nelle vicende europee, per man- tenere allo stesso tempo una salda alleanza con l'Inghilterra, le cui forze navali erano necessarie alla difesa di un vasto impero centrato sull'Atlantico, e buone relazioni con le altre potenze continentali, per premunirsi contro una possibile invasione del Portogallo europeo da parte della Spagna e della Francia, e per fare da contrappeso ad un'al- leanza squilibrata con Londra che rischiava di trasformarsi in sogge- zione. Inoltre il carattere multipolare della diplomazia portoghese ri- fletteva la necessità di proteggere dei mercati commerciali che, no- nostante l'importanza dell'Inghilterra nel commercio estero portoghe- se, rimanevano molto diversificati: nel XVIII secolo, oltre che a Londra, le esportazioni lusitane venivano smerciate in Francia, nei porti baltici e in Italia. Questi sbocchi, importanti per il commercio delle derrate coloniali da cui la corona traeva l'essenziale delle sue DAEDALUS 5/2014 - ISSN 1970-2175 SAGGI

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________________________ Il Mediterraneo dei portoghesi all'inizio del XIX secolo

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GRÉGOIRE BRON

IL MEDITERRANEO DEI PORTOGHESI ALL'INIZIO DEL XIX SECOLO: DIPLOMAZIA

E INTERNAZIONALISMO LIBERALE, 1808-1835

ABSTRACT - During the first decades of the 19th century, the emanci-pation and independence of Brazil, and the new European order settled at the Congress of Vienna, challenged the international position of Por-tugal. The Lusitanian monarchy has to find a new place in the world. But while the historiography has always considered that the later internation-al projection of Portugal was directed to Africa and perpetuated the At-lantic dimension of the country, my contribution stresses the importance of the Mediterranean area in the elaboration of a new system of interna-tional relations. The new international policy formulated by the Portu-guese government as well as by the Lusitanian liberal movement be-tween the invasion of the monarchy by the Napoleonic armies in 1808 and the definitive implantation of a parliamentary regime in 1834 pro-vide evidence for this Mediterranean attraction.

Nel 1807, l'invasione del Portogallo dagli eserciti napoleonici se-

gna lo scacco della politica estera proseguita dalla diplomazia lusita-na durante tutto il Settecento. Essa consisteva nell'adottare quanto possibile una posizione di neutralità nelle vicende europee, per man-tenere allo stesso tempo una salda alleanza con l'Inghilterra, le cui forze navali erano necessarie alla difesa di un vasto impero centrato sull'Atlantico, e buone relazioni con le altre potenze continentali, per premunirsi contro una possibile invasione del Portogallo europeo da parte della Spagna e della Francia, e per fare da contrappeso ad un'al-leanza squilibrata con Londra che rischiava di trasformarsi in sogge-zione. Inoltre il carattere multipolare della diplomazia portoghese ri-fletteva la necessità di proteggere dei mercati commerciali che, no-nostante l'importanza dell'Inghilterra nel commercio estero portoghe-se, rimanevano molto diversificati: nel XVIII secolo, oltre che a Londra, le esportazioni lusitane venivano smerciate in Francia, nei porti baltici e in Italia. Questi sbocchi, importanti per il commercio delle derrate coloniali da cui la corona traeva l'essenziale delle sue

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risorse, permettevano al Portogallo di non cadere in una stretta di-pendenza economica dalla Gran Bretagna.

La politica estera portoghese era quindi caratterizzata dalla ricerca di un equilibrio tra le grandi potenze che, nonostante la sua relativa ef-ficacia, imprimeva alla posizione internazionale della monarchia lusi-tana una forte «vulnerabilità”, che non resistette alla crisi politica di fine secolo (Macedo, 1987; Alexandre, 1993, p. 93). In effetti, la neu-tralità proclamata tra Francia e Inghilterra nella bufera napoleonica si avvera insostenibile. Dopo la sfortunata partecipazione portoghese alla prima coalizione contro la Rivoluzione francese tra il 1793 e il 1795, il ristabilimento della pace con Parigi nel 1801 viene ottenuto al prezzo di concessioni sempre più pesanti a Napoleone, che mettono a rischio l'alleanza con Londra. Senza profitto, visto che il ravvicinamento con la Francia si rivela incapace di impedire l'invasione del Portogallo, la cui neutralità minaccia l'efficacia del blocco continentale. Per sottrarsi al pericolo francese, la monarchia deve rimettersi all'alleato inglese che, dopo aver protetto la fuga transatlantica della corte portoghese che si rifugia in Brasile, impone nel 1810 un trattato di commercio secon-do cui i negozianti britannici ottengono dei diritti doganali preferenzia-li sui mercati brasiliani, a scapito del negozio portoghese (ibid.).

Il governo lusitano, che deve gestire questa nuova situazione, è co-stretto ad adattarvi la sua politica estera, ma questo compito viene complicato dal nuovo funzionamento delle relazioni internazionali, elaborato al Congresso di Vienna e destinato ad evitare la ripetizione di una guerra generale tra le grandi potenze europee. Invece di cercare di stabilire un equilibrio europeo tramite l'azione bilaterale di una di-plomazia che, procacciandosi in permanenza nuove zone d'influenza, conduceva alla guerra, i quattro grandi vincitori di Napoleone, a cui si aggiunge rapidamente la Francia completamente riabilitata nel 1818, favoriscono la concertazione per giungere ad un equilibrio tra di loro, in modo di prevenire ogni confronto bellico (Schroeder, 1994). For-mano il concerto europeo, che adotta in comune le decisioni concer-nenti gli affari continentali e le impone alle potenze di secondo o terzo ordine, la cui sovranità in materia di politica estera risulta di conse-guenza molto limitata (Schulz, 2009). Ciascun grande Stato acquisisce così una zona d'influenza propria in cui le altre potenze non si intro-mettono, ma che devono anche tenere sotto controllo, perché non ne sorga l'occasione di una guerra generale. In questo sistema, il Portogal-lo viene relegato allo stato di cliente dell'Inghilterra e la tradizione al-leanza diventa soggezione diplomatica (Alexandre, 1993, p. 327).

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L'assimilazione delle nuove regole del gioco internazionale da parte delle piccole potenze costituisce però un lento apprendistato e la loro imposizione alla corona lusitana suscita una viva resistenza. A partire dal 1808, il governo portoghese, costretto ad escogitare una nuova po-litica estera, cerca di sottrarsi all'inedita dipendenza dall'Inghilterra. Stabilito a Rio di Janeiro fino al 1821, si sforza di rifondare un potente impero a partire dal Brasile, secondo un assetto territoriale in cui il Portogallo europeo viene marginalizzato. Ma questa politica, ostacola-ta dall'impossibilità di contrattare con altre grandi potenze delle allean-ze alternative a quella con Londra, provoca anche l'emancipazione del-la ricca colonia americana, d'altronde ugualmente favorita dal governo britannico, che cerca di – e riesce a – procurarsi una posizione domi-nante sui mercati brasiliani. Nel 1808, l'abolizione del monopolio di cui godevano i negozianti portoghesi sulle derrate coloniali e l'apertura dei porti brasiliani alle navi di tutte le nazioni, determinate dalla con-vinzione che una politica economica liberista costituisce lo strumento più efficace per resistere alla concorrenza inglese (Cardoso, 2008), li-berano il commercio brasiliano dalla tutela dei mercanti metropolitani e precipitano il Portogallo europeo in una profonda crisi economica. Nel 1815, il Brasile viene elevato allo stato di regno su piede di ugua-glianza con la metropoli, mentre la rivoluzione liberale lusitana del 1820, che dilaga l'anno dopo sul territorio americano e costringe il re Giovanni VI a tornare a Lisbona, sancisce la fine dell'impero: nel 1822, il Brasile, sotto l'egida del principe ereditario D. Pedro, procla-ma l'indipendenza, riconosciuta dal Portogallo nel 1825.

Nei primi decenni dell'Ottocento, la monarchia portoghese viene quindi drasticamente ridimensionata e, da esteso impero, diventa un esiguo regno europeo, povero e sottomesso alla tutela di Londra. Ma questa situazione del tutto nuova non appaga i Portoghesi, che la con-siderano come una vergognosa espressione di decadenza nazionale e cercano di contrastarla. Al momento in cui l'indipendenza del Brasile priva la monarchia del suo principale atout diplomatico, lo sviluppo del liberalismo offre una nuova prospettiva internazionale al Portogal-lo. In effetti, sotto la Restaurazione, la lotta alla libertà e alla costitu-zione viene concepita come una lotta internazionale, che accomuna tutti i progressisti europei contro l'Europa del Congresso di Vienna, definito come l'opera dispotica della Santa Alleanza dei re contro i di-ritti dei popoli e delle nazioni. I liberali devono unirsi e formare la Santa Alleanza dei popoli, per rovesciare l'iniquo sistema imposto dai sovrani assoluti al continente nel 1815 e fondare, secondo una linea

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d'ispirazione neo-kantiana, l'Europa della nazioni sui principi di libertà e di diritto, unica vera garanzia di pace (Isabella, 2008 e 2009).

Dunque, all'inizio dell'Ottocento, il processo di emancipazione del Brasile e l'ordinamento europeo stabilito a Vienna modificano in pro-fondità la posizione internazionale del Portogallo e costringono le élites politiche ed intellettuali lusitane ad immaginare un posto nuovo per il loro paese nell'ordine internazionale del XIX secolo. Ne sono espressioni la nuova politica estera sviluppata a partire dal 1808 e i progetti internazionalisti dei liberali portoghesi, che verranno presen-tati più dettagliatamente qui sotto. Per approfondire la conoscenza del riorientamento della proiezione estera del Portogallo, lo scopo di questo articolo è di presentare l'attenzione accordata dai Portoghesi allo spazio mediterraneo, tradizionalmente considerato del tutto mar-ginale per una monarchia rivolta verso l'oceano sin dal XV secolo, nonostante le importanti relazioni diplomatiche che questo impero cattolico mantiene con Roma (Fonseca, 2002; Barata, 2002; Montei-ro, 2008). Verrano esaminati successivamente l'importanza del Medi-terraneo nella diplomazia portoghese della Restaurazione e il peso di questo spazio geografico nei progetti di riordinamento internazionale dei liberali lusitani. Si tenterà finalmente di presentare le implicazio-ni mediterranee della diplomazia ideologica portoghese, all'epoca della guerra civile del 1832-34 che sancisce l'introduzione definitiva delle istituzioni liberali e parlamentari in Portogallo.

Il conflitto oppone i liberali capeggiati da D. Pedro, e i fautori dell'assolutismo, agli ordini del principe D. Miguel, fratello di D. Pe-dro. Questi, ex imperatore del Brasile cacciato dal suo trono ameri-cano da una rivoluzione nel 1831, è anche stato. tra il 1826 e il 1828, re del Portogallo, a cui ha accordato una carta costituzionale prima di abdicare a favore della figlia D. Maria II. Ma il regime parlamentare viene rovesciato nel 1828 da un colpo di stato di D. Miguel, che inaugura un regime controrivoluzionario, a cui la vittoria dei liberali nella guerra civile pone un termine. Mentre la storia imperiale rinno-vata dall'approccio transnazionale comincia ad interessarsi alla dislo-cazione dello spazio atlantico luso-brasiliano d'Antico Regime (Pa-quette, 2013), le righe seguenti, elaborate a margine di una tesi di dottorato consacrata alle relazioni politiche italiane in Portogallo (Bron, 2013), vorrebbero anche attirare l'attenzione sugli aspetti me-diterranei di tale processo e formulare a questo proposito alcune pri-me ipotesi di lavoro.

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La diplomazia portoghese nel Mediterraneo, 1808-1821 Tra il 1808 e il 1821, la monarchia portoghese, stabilita a Rio de

Janeiro, cerca di rifondare l'impero a partire dal Brasile. Sottomessa ad una crescente pressione politica ed economica dell'Inghilterra, in-vestiga vari mezzi per sottrarvisi e una parte della soluzione escogita-ta consiste nel rivolgersi all'area mediterranea. Tale prospettiva non rappresenta un'innovazione nella politica estera lusitana. In effetti, al-la fine del Settecento, le relazioni politiche ed economiche tra la mo-narchia portoghese e il Mediterraneo, soprattutto l'Italia, erano tutt'al-tro che aneddotiche. Spazio secondario nell'economia complessiva dell'impero, Lisbona vi manteneva però importanti relazioni diploma-tiche in Italia, suscettibili di favorire, tramite i Borboni di Napoli, un ravvicinamento con la Francia e la Spagna, come avvenne sotto il go-verno del marchese di Pombal (Venturi, 1976; Miller, 1978); il Porto-gallo beneficiava inoltre di proficui sbocchi commerciali nel Mediter-raneo, soprattutto a Genova che cominciò a concentrare poco a poco nella seconda metà del XVIII secolo la maggiore parte dei flussi mer-cantili tra la monarchia lusitana e la penisola italiana (Niephaus, 1975; Alexandre, 1993); e la corona portoghese sapeva difendere i suoi inte-ressi politici ed economici nel Mediterraneo. Prima di firmare la pace con Parigi nel 1801, vi mandò nel 1797 una squadra incaricata di agi-re in collaborazione con l'Inghilterra contro le tentazioni egemoniche della Francia, ma anche di difendere e promuovere il suo commercio con l'Impero ottomano, con Trieste e con le reggenze di Algeri e Tri-poli (ANTT, MNE, cx 323; Silva, 2004).

Rivolgendosi al Mediterraneo a partire dal 1808, la corona lusitana non fa altro che riannodare le fila solo parzialmente recise di una rela-zione tradizionale con un'area geografica dove controbilanciava politi-camente ed economicamente l'alleanza con Londra. All'inizio del XIX secolo, lo scopo rimane lo stesso: trarre profitto dalla possessione del Brasile, che offre grandi risorse politiche e commerciali, per recupera-re, nel quadro di una politica commerciale ormai liberista, i mercati mediterranei di cui il blocco continentale napoleonico aveva privato il Portogallo, di conquistarne altri e, nella misura del possibile, di stinge-re alleanze politiche con le potenze dell'Europa meridionale, sempre nell'idea di diminuire l'alleanza britannica sempre più imperiosa. Ma ormai si tratta di sviluppare un commercio diretto tra il Brasile e il Mediterraneo, liberato dai vincoli del sistema monopolistico.

A partire dal 1814, Roma diventa nuovamente il posto diplomatico

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più prestigioso nel bacino mediterraneo, dove Sua Maestà Fedelissima è rappresentata da un «ambasciatore straordinario e ministro plenipo-tenziario”. Ma nella capitale del cattolicesimo, la politica portoghese si limita essenzialmente a difendere le riforme di secolarizzazione avvia-te sin dal governo di Pombal, che comunque il papato, sotto il ministe-ro del Cardinal Consalvi, non cerca di fare abrogare, nonostante il ri-stabilimento della compagnia di Gesù, contro cui il rappresentante por-toghese, il conte di Funchal, non manca di protestare (Miller, 1978, 391-394). Di conseguenza, l'attività diplomatica lusitana a Roma sotto la Restaurazione è alquanto scarsa. Come lo nota Funchal, titolare del posto quasi senza interruzione fino al 1831, «non c'era riposo più ono-rabile dell'ambasciata di Roma» (Funchal, 1824, p. 6). Inoltre lo Stato pontificio non rappresenta un importante partner economico e in con-seguenza, il Portogallo si rivolge ad altri interlocutori per controbilan-ciare nel Mediterraneo la pressione britannica.

Sin dal 1809, mentre l'Europa vive ancora al ritmo delle guerre napoleoniche, il governo lusitano manda il cavaliere João Pedro Quinn quale incaricato d'affari a Palermo, presso la corte di Napoli rifugiata in Sicilia. Le sue istruzioni sono chiare:

«Siccome è essenziale cercare in Italia e su tutte le coste del Mediterra-

neo e dell'Adriatico i mezzi per risuscitare l'antico e molto lucrativo com-mercio di derrate coloniali brasiliane che si faceva in tutti i porti della peni-sola, S[ua] A[ltezza] R[eale] raccomanda che V[ostra] E[ccellenza] esamini i mezzi che, in questa congiuntura e nel futuro, potranno aumentare ed assicu-rare il nostro commercio negli Stati siciliani […]». (ANTT, MNE, AC, Liv. 611, fol. 20-22)

Per giungere alla sua meta, il Portogallo propone immediatamente

al re delle Due Sicilie la conclusione di un accordo commerciale fon-dato sul principio della nazione più favorita, incarica il suo rappre-sentante di riordinare la rete consolare in Sicilia ed cerca ugualmente di aprire trattative commerciali con le reggenze barbaresche di Algeri e Tripoli, che conducono nel 1812 all'apertura di un consolato in quest'ultimo porto (ANTT, MNE, AC, Liv. 269, fol. 20-21 e Liv. 382, fol. 83-91). Tale politica viene proseguita negli anni seguenti. Nel 1813 il diplomata Navarro de Andrade è delegato a Cagliari presso la corte di Savoia esiliata in Sardegna, con la missione di «esaminare tutti i mezzi con i quali si potrà favorire e stabilire il commercio diretto di questa isola e di tutto il Mediterraneo non solo con il Portogallo, ma anche con il Brasile, e quali sarebbero i mezzi

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che bisognerebbe ancora mettere in pratica per fare sì che la nostra navigazione mercantile si stabilisse e si affermasse nel Mediterra-neo» (ANTT, MNE, AC, Liv. 629, fol. 18). Nel 1814, il governo por-toghese riprende le trattative con l'Impero ottomano per la conclusio-ne di un trattato di commercio (ibid., fol. 20-21). Nel 1817, apre una rappresentanza diplomatica a Firenze per accogliere la principessa Maria Leopoldina d'Austria che imbarca a Livorno per sposare in Brasile il principe ereditario portoghese, ma anche per sondare la possibilità di promuovere il commercio lusitano con il porto tosca-no (Coppini, 1994; Salvadorini, 1994). Finalmente, nel 1819, la co-rona portoghese conclude un trattato di commercio con il regno di Napoli. A quest'occasione vengono aperte le trattative per lo stabi-limento di un'alleanza formale, difensiva ed offensiva, che sarebbe dovuta essere incoronata dal matrimonio del figlio secondogenito del re portoghese, D. Miguel, con una principessa napoletana. Sen-za opporvisi, Ferdinando I insiste soprattutto per convenire del principio della deportazione, dopo la fine della loro pena, di con-dannati napoletani di diritto comune verso il Brasile. Ma Giovanni VI rifiuta di ratificare questa convenzione, mentre le rivoluzioni del 1820 in Portogallo e a Napoli pongono un termine ai progetti di al-leanza politica e dinastica tra le due corone (ANTT, MNE, AC, cx 787; Galasso, 2007, pp. 156-159).

Quasi ossessionale, il volontarismo della diplomazia portoghese nel Mediterraneo tra il 1808 e il 1820 risulta però del tutto inutile. Certo, nel 1810 gli scambi tra la Sicilia e il Brasile sembrano aumen-tare e il ministro portoghese degli Affari esteri può congratularsi dell'arrivo delle prime navi mercantili napoletane nei porti del territo-rio americano (ANTT, MNE, AC, Liv. 611 fol. 26). Ma questa cre-scita è soprattutto il risultato della situazione eccezionale in cui vive l'Europa all'epoca napoleonica, che spinge le potenze libere dall'in-tervento francese a fornirsi sui mercati disponibili. Il ritorno della pa-ce nel 1814 provoca sì una forte ripresa delle esportazioni portoghesi dirette al Mediterraneo, ma esse sono gestite prevalentemente dai mercanti genovesi, intermediari commerciali privilegiati tra la mo-narchia lusitana e l'area mediterranea già nel Settecento, che consoli-dano la loro posizione egemonica nei primi decenni dell'Ottocento.

Ottimamente inseriti nei circuiti del commercio coloniale d'Antico Regime grazie all'importante comunità ligure stabilita in Portogallo e soprattutto a Lisbona, una delle comunità straniere più numerosa nella città, che conta più di mille persone nel 1832 (AST, Mat. pol. est.,

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cons. naz., Lisbona, m. 4, no 87; Rosário, 1977)1, i commercianti ge-novesi concentrano tra le loro mani le importazioni delle derrate colo-niali portoghesi nel Mediterraneo, smerciandovi in particolare lo zuc-chero, il cottone e i cuoi basiliani, e le esportazioni dal Mediterraneo al Portogallo, ad esempio quelle del grano siciliano e tunisino verso la monarchia lusitana (AST, Mat. pol. est., cons. naz., Lisbona, m. 3; Brilli, 2008, p. 100; Niephaus, 1975, pp. 139-141 e 208-211). Benché il funzionamento di queste reti commerciali all'inizio dell'Ottocento non abbia fatto l'oggetto di un'accurata indagine analoga a quella di Catia Brilli sugli scambi tra Cadice e Genova (Brilli, 2008 e 2010), sembra che i negozianti liguri temano più che altro l'intervento dello Stato lusitano nella politica commerciale, che rischia di compromette-re l'importanza dello scalo di Lisbona con lo sviluppo di legami diretti tra il Mediterraneo e il Brasile, e di osteggiare il contrabbando da cui traggono una parte non irrilevante dei loro profitti. Davanti a questa posizione dominante dei Genovesi, gli sforzi diplomatici dell'indebo-lita monarchia portoghese della Restaurazione per aprirsi nuovi mer-cati nel Mediterraneo e promuovere un commercio diretto con il Bra-sile sono vani e non trovano nessun riscontro da parte dei suoi poten-ziali partner mediterranei, anch'essi marginalizzati nel sistema di re-lazioni internazionali post-napoleonico e troppo deboli per sviluppare significativi progetti di espansione commerciale marittima. Il Piemon-te-Sardegna non risponde all'apertura portoghese del 1813 e non cerca nemmeno di nominare un rappresentante alla corte lusitana: la lega-zione piemontese a Lisbona e Rio rimane vacante fino al 1819, ciò che spinge il Portogallo ad adottare una stretta reciprocità e a richia-mare il suo agente diplomatico presso la corte sabauda già nel 1814 (ANTT, MNE, AC, cx 875, no 359). Gli interessi toscani nella mo-narchia dei Braganza vengono rappresentati da un solo console a Li-sbona e dall'ambasciatore austriaco (ANTT, MNE, AC, cx 242), men-tre Napoli, unica potenza interessata a promuovere una vera e propria politica commerciale con il Portogallo per infrangere il monopolio genovese sulle sue esportazioni di grano, è troppo debole per recarla ed effetto. Non prende la pena di sostituire né il suo incaricato d'affari presso il re portoghese, né il suo console generale a Lisbona, entrambi morti in carica nel 1817. Mentre viene ratificato il trattato di commer-

1 La tesi di dottorato di Carmine Cassino, in corso di realizzazione sotto la dire-zione del Prof. Sérgio Campos Matos all'Università di Lisbona, dovrebbe portare una nuova luce su questa comunità poco studiata.

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cio del 1819, le Due Sicilie sono rappresentate in Portogallo unica-mente da tre vice-consoli e la legazione napoletana nel paese rimane vacante fino al 1827 (ANTT, MNE, AC, cx 503 et 241; Almanacco della Real Casa e Corte, 1822-28).

Fino al 1828, il Portogallo non cerca più di sviluppare una politica mediterranea. La perdita del Brasile priva la monarchia dei Braganza dell'unico interesse che rappresenta per le potenze mediterranee e in particolare per gli Stati italiani, che si affrettano di riconoscere il nuovo impero con cui il Piemonte cerca subito di concludere un trat-tato commerciale (Rosselli, 1954, pp. 250-1; Nada (a cura di), 1970, p. 189). Inoltre, durante tutta la decada, la posizione politica della monarchia portoghese è particolarmente debole. Alla fine della rivo-luzione liberale del Triénio vintista (1820-1823), il re Giovanni VI promette di accordare una carta costituzionale, che l'imperatore brasi-liano D. Pedro promulga quando eredita nel 1826 la corona porto-ghese, a cui abdica a favore della figlia D. Maria II. In un paese dila-niato dal conflitto or larvato or violento tra liberali e partigiani dell'Antico Regime, chiamati miguelisti perché parteggiano per il principe controrivoluzionario D. Miguel, questa politica innovatrice del governo, in cui siedono alcune importanti personalità del liberali-smo, suscita l'opposizione dei settori controrivoluzionari, che tentano di rovesciare il re nel 1824. Davanti a questa minaccia, la monarchia viene salvata dai suoi alleati internazionali ed in particolare dall'In-ghilterra, che manda delle truppe nel 1826 in Portogallo per premuni-re il giovane regime costituzionale contro i sollevamenti miguelisti (Temperley, 1925), prima che nel 1828, il colpo di stato di D. Miguel riesca finalmente a rovesciare il re legittimo con le istituzioni rappre-sentative. In queste condizioni, la corona non ha la forza di sviluppa-re un'importante diplomazia mediterranea in chiave anti-britannica e deve al contrario rafforzare i suoi legami con Londra. Inoltre, a parte gli insorti greci, di un peso politico ed economico marginale, gli Stati mediterranei, strettamente sorvegliato dalle grandi potenze conserva-trici, adottano negli anni 1820 una linea politica molto retriva, affatto opposta alla politica costituzionale della monarchia lusitana, sicché i potenziali partner mediterranei di un Portogallo sprovvisto di impor-tanti risorse commerciabili sono pochi. Eppure, se gli scambi mer-cantili con le Due Sicilie si esauriscono del tutto, come ne testimonia l'incaricato d'affari lusitano a Napoli nel 1828 (ANTT, MNE, AC, cx 788, no 6), le reti dei mercanti genovesi con Lisbona, sviluppate nel quadro dell'impero d'Antico Regime, sanno resistere in un modo sor-

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prendente alla nuova situazione. Continuano a dominare lo smercio delle derrate brasiliane nel Mediterraneo e in Italia fino all'inizio de-gli anni 1830 e a rappresentare un peso importante nel commercio estero portoghese fino agli anni 1840, nonostante l'accresciuta con-correnza dell'Inghilterra e lo sviluppo di un commercio diretto con il Brasile. All'inizio degli anni 1830, la capitale portoghese continua ad essere il primo esportatore di cottone e di cuoio a Genova, mentre costituisce la terza destinazione delle esportazioni marittime dalla Dominante (Niephaus, 1975, pp. 210-211).

L'internazionalismo liberale portoghese e il Mediterraneo durante gli anni 1820

Come tutti i rivoluzionari europei della Restaurazione, i liberali

portoghesi nutrono dei forti sentimenti di solidarietà politica interna-zionale. Concepiscono la causa della nazione e della libertà in Euro-pa come comune ai patrioti di tutti i paesi, che devono combattere uno stesso nemico, l'ordine internazionale dispotico stabilito dalla Santa Alleanza e dalle cinque grandi potenze al Congresso di Vienna, a dispetto dei diritti dei popoli. Durante il periodo costituzionale del Triénio vintista (1820-23), un quotidiano liberale di Lisbona, O In-dependente, illustra tale concezione della lotta liberale:

[poiché i re assoluti si sono associati pubblicamente e solennemente per di-struggere la libertà delle nazioni, queste, dall'eterna legge della giusta difesa e della resistenza naturale, devono unirsi ed associarsi tra di loro per respin-gere con la forza tutti gli attacchi brutali del dispotismo contro la libertà» (O Independente, sup. al no 18, 14 dicembre 1821).

Nel 1820-21, con la simultaneità delle insurrezioni liberali in tutta

l'Europa meridionale, il Mediterraneo diventa uno spazio privilegiato dell'espressione di questi sentimenti di solidarietà politica, dove si traducono da un impegno propagandistico a favore delle sollevazioni straniere, dall'organizzazione di reti cospirative internazionali che le-gano tra di loro i liberali dei vari focolai rivoluzionari, e dall'emer-genza di un importante movimento di volontariato politico-militare internazionale (Comellas, 1963, 398-409; Castells, 1988; Miller, 1990; Isabella, 2009; Pécout, 2008 e 2012). I liberali portoghesi par-tecipano a questa solidarietà politica mediterranea. In aprile del 1821, il giovane aristocratico rivoluzionario Bernardo de Sá Nogueira cerca ad esempio di organizzare una spedizione di volontari per contribuire

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con le armi alla difesa del regime costituzionale napoletano (Soriano, 1887-88, t. I, p. 55). Durante tutto il periodo parlamentare lusitano, le referenze ai liberali spagnoli sono onnipresenti, l'interesse della stampa periodica liberale per le rivoluzioni italiane e greca è forte, e vari rivoluzionari di spicco prendono pubblicamente posizione a fa-vore degli insorti ellenici, prima che il generale Figueira de Almeida partecipi al volontariato internazionale a loro favore, dopo la caduta della costituzione in Portogallo (Lima, 1939).

È in questo contesto che viene formulata una prima proposta di riorientamento mediterraneo delle relazioni estere portoghesi, illustra-zione della ricerca di un ordine internazionale adeguato alla nuova si-tuazione del paese. Nell'ambiente molto anglofobo della rivoluzione del 1820, essa si esprime in chiave anti-britannica in vari progetti di alleanze liberali con la Spagna costituzionale. In effetti, i rivoluzionari portoghesi attribuiscono il misero stato in cui si trova il loro paese, ridotto ad una «colonia della sua colonia”, privato dei proventi del commercio transatlantico e governato dal Brasile, alla politica impe-rialista di Londra, che ha imposto il disastroso trattato commerciale del 1810, che favorisce la permanenza della corte oltre-oceano e i cui ufficiali militari inquadrano l'esercito portoghese sin dal 1808. Di conseguenza, il rovesciamento della monarchia assoluta viene inter-pretato come una riaffermazione dell'indipendenza nazionale contro la Gran Bretagna. Ma benché i liberali sperino ancora di potere riprende-re in mano l'impero e di effettuarne la rigenerazione, cominciano an-che a prendere in considerazione la possibilità di una perdita definiti-va dei loro domini americani, che farebbe del Portogallo europeo una preda facile per Londra. Secondo alcuni come il giornalista emigrato José Liberato Freire de Carvalho o il pubblicista e deputato Manuel Borges Carneiro, l'emancipazione definitiva del Brasile impedirebbe addirittura al Portogallo di mantenere più di una indipendenza nomi-nale nella subordinazione all'Inghilterra, e ridurrebbe in realtà il paese allo stato di mera colonia britannica. Per loro, se si avvererà la sepa-razione delle due parti della monarchia, non rimarrà altra soluzione che abbandonare volontariamente l'indipendenza nazionale e fondersi nella Spagna costituzionale, che procurerebbe al Portogallo i benefici della libertà costituzionale, del governo razionale e della garanzia dei diritti, condizioni, pur in seno ad una nazione iberica, della rigenera-zione portoghese che Londra cerca ad ogni modo di contrastare per agevolare la sua dominazione sul suo alleato (O Campeão Português em Inglaterra, no 22, 16 luglio 1820; Borges Carneiro, 1821). Se una

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soluzione così radicale non viene difesa dai più, la maggioranza dei deputati liberali sono favorevoli ad un'alleanza politica, offensiva e difensiva con l'altro Stato iberico, necessaria sia per liberare il Porto-gallo dalla tutela di Londra che per difendere in comune la causa della libertà, minacciata dalle grandi potenze sin dal 1821, anche se gli at-triti tra i due paesi e l'opposizione del ministro portoghese degli Affari esteri, Silvestre Pinheiro Ferreira, risultano abbastanza forti perché non si concluda nulla (Alexandre, 1993, pp. 740-41).

La proposta di alleanza con la Spagna rivela una percezione dell'Inghilterra come nemico del Portogallo e membro della pentarchia che, dal 1814, opprime i popoli europei con i suoi maneggi diplomati-ci. In queste condizioni, il Mediterraneo, verso il quale l'alleanza rivo-luzionaria con la Spagna proietta il Portogallo, comincia ad essere con-siderato come lo spazio dove stringere alleanze destinate a combattere le grandi potenze per rovesciare l'ordine di Vienna e fare scaturire la rigenerazione del Portogallo da un ordine internazionale mutato. Du-rante gli anni 1820, si rafforza la funzione di crogiolo dell'internazio-nalismo liberale e anti-britannico attribuita al Mediterraneo da parte di vari patrioti liberali portoghesi. I continui interventi dell'Inghilterra ne-gli affari portoghesi vengono denunciati come anti-liberali da numero-si patrioti, esuli dopo il colpo di stato di D. Miguel del 1828, di cui ac-cusano il ministero britannico. Come lo illustra un pamphlet pubblica-to anonimo a Rennes nel 1830 da uno di loro, José Pinto Rebelo de Carvalho, la presenza a Lisbona nel 1828 dell'ambasciatore inglese William A'Court, già rappresentante britannico a Palermo nel 1814, quando venne abolita la costituzione siciliana, e a Madrid al momento della caduta del regime liberale nel 1823, accentua il sentimento di so-lidarietà dei liberali portoghesi con i rivoluzionari dell'Europa meri-dionale, tutti vittime dell'oppressione esercitata da Londra sul Mediter-raneo. ([Carvalho], 1830). Il celebre opuscolo Portugal na balança da Europa, pubblicato a Parigi poco dopo la Rivoluzione di Luglio del 1830 dal poeta e pubblicista Almeida Garrett, primo grande esponente del romanticismo letterario in Portogallo, illustra l'accresciuta impor-tanza anti-britannica del Mediterraneo per la nuova posizione del Por-togallo nel mondo (Garrett, 1970). L'incipit dell'opera è famoso:

Siamo giunti ad una crisi dell'Europa, di tutto il mondo incivilito; -crisi

che si preparava da molti anni, che tanti sintomi annunciavano prossima; i cui risultati disfaranno tutti i falsi e forzati equilibri politici antichi e ne sta-biliranno dei nuovi e regolari (Ibid., p. 27).

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Scopo del libro è di indagare quale deve e può essere il posto del Portogallo in questo nuovo ordine internazionale, che emerge poco a poco dal trionfo della civilizzazione sul dispotismo. Secondo uno schema caratteristico del liberalismo europeo della Restaurazione, Garrett considera che i progressi dell'incivilimento spingono i popoli a reclamare i loro diritti e a fare causa comune per promuovere l'idea-le di libertà, rovesciare l’opera del Congresso di Vienna e rifondare l'Europa su delle basi sane e «regolari”. La Rivoluzione francese, ispi-rata all'esempio statunitense, ha avviato il risorgere della libertà in Eu-ropa, ma l'ha fatto nel sangue e nell'anarchia terrorista, preludio alla dittatura napoleonica e al trionfo della reazione nel 1814. Quindi spet-tava al Mediterraneo indicare con le rivoluzioni del 1820 la via giusta alla rigenerazione europea e al trionfo della civilizzazione:

In verità, sembrava che sotto il bello e dolce clima del Mezzogiorno do-

veva nascere questo sistema indulgente, generoso e tollerante, che […] scen-deva come un angelo conciliatore in mezzo agli uomini per […] unirli tutti nell'obiettivo della comune felicità. Che prospettiva per la razza umana! Quante speranze! Libertà senza sangue, uguaglianza senza attriti, religione senza fanatismo, monarchia senza dispotismo, nobiltà senza oligarchia, go-verno popolare senza demagoghi! Il Portogallo seguì la Spagna. In poco tempo la penisola italiana accorse all'appello della libertà meridionale. Dall'opposta sponda gli rispose la Grecia» (ibid., pp. 68-9).

Questo «sistema della libertà meridionale» presenta però un punto

debole: effettuato dall'esercito, il rovesciamento della tirannia ha ri-vestito un carattere meramente militare, senza che i rivoluzionari cercassero di ottenere l'appoggio del popolo, lasciato a disposizione della controrivoluzione (ibid., pp. 69-72). Esso è un errore che non è stato commesso dal Luglio francese del 1830, che l'autore erige come esempio per gli altri popoli. Con le Trois Glorieuses, la Francia, «cuore della civilizzazione» (ibid., p. 192), riprende la testa della ri-voluzione in Europa e questa volta, ammaestrata dall'esempio del 1820, non smarrirà nell'anarchia e porterà il movimento al suo termi-ne. Per l'incivilimento: è il «Waterloo dei popoli» che permette la formazione della «Santa Alleanza dei popoli”, destinata a rovesciare una volta per tutte le potenze reazionarie:

Il Waterloo dei popoli fu vinto, e la Santa Alleanza dei popoli sta per

formarsi sul campo della vittoria; così come l'empia lega degli oligarchi fu giurata nelle pianure del Belgio, così la santissima lega delle nazioni fu giu-rata sulle mura di Parigi. La bandiera tricolore sventola nuovamente nel cen-

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tro dell'Europa e chiama attorno a sé gli oppressi perché si uniscano contro gli oppressori (ibid., p. 192).

Prime chiamate a rispondere all'appello della Francia e a beneficia-

re delle ricadute della rivoluzione del 1830 sono, secondo Garrett, le nazioni del Mezzogiorno dell'Europa. Le insurrezioni del 1820 hanno dimostrato che erano pronte a risorgere e grazie alla lezione francese, sanno ormai che la rivoluzione non può vincere senza il concorso del popolo -che però non viene confuso colle «masse inerti e non pensan-ti» (ibid., p. 119). Capeggiata dalla Francia, la loro rigenerazione nella libertà deve fare del Mediterraneo il centro di irradiazione della civiltà in Europa, grazie all'appoggio paradossale della politica estera dello zar. Per l'autore, l'intervento russo a favore dei Greci insorti sancisce la relegazione dei Turchi fuori dal Mediterraneo, ciò che rappresenta un triplo progresso per il comune incivilimento: segna l'inizio della fine del dispotismo barbarico del Sultano e il risorgimento della na-zione greca, madre della civiltà europea; permette l'espansione del cristianesimo a danno dell'islam e riapre la rotta commerciale medi-terranea dell'Asia. Quest'ultimo punto è ovviamente essenziale, per-ché costituisce l'arma più sicura contro la supremazia commerciale dell'Inghilterra, nemica della libertà: con la diminuzione della sua po-tenza economica, «[…] la causa dell'umanità […] guadagna, e guada-gna considerabilmente, straordinariamente» (Ibid., p. 184).

Solo da un Mediterraneo così rigenerato il Portogallo potrà trarre le forze per resistere all'Inghilterra e mantenere un posto a parte intera nella lega delle nazioni. In effetti, come i suoi predecessori del 1820, Garrett dubita della capacità di una monarchia lusitana privata del Brasile di mantenere una vera e propria indipendenza sotto la pressio-ne di Londra. Non si scoraggia però: l'appoggio degli altri popoli me-diterranei sotto direzione francese può permettere al Portogallo di te-nere testa a Londra. Ma come Freire de Carvalho e Borges Carneiro, considera che se ciò non bastasse, sarebbe più auspicabile per il Por-togallo abdicare alla sua indipendenza e fondersi in una nazione iberi-ca con la Spagna nel quadro di un Mediterraneo rigenerato, piuttosto che vegetare in una semi-indipendenza sotto la tutela dell'Inghilterra.

Con i progetti mediterraneisti anti-britannici sin qui presi in con-siderazione, i liberali portoghesi testimoniano di una volontà di rom-pere la tradizionale alleanza luso-britannica, cardine della politica estera portoghese da più di un secolo, per aderire risolutamente ad una lega delle nazioni capeggiata dalla Francia e centrata sul Medi-

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terraneo. Ma per altri liberali lusitani, nel contesto politico europeo della Restaurazione, l'alleanza con l'Inghilterra rappresenta invece il più grande vantaggio per introdurre un sistema parlamentare e costi-tuzionale in Portogallo. La sua posizione di forza nella monarchia lu-sitana la colloca fuori portata dagli eserciti della Santa Alleanza e inoltre, grande potenza parlamentare, non si oppone per principio alle istituzioni rappresentative, contrariamente alla rappresentazione cari-caturale dei suoi interventi nella politica lusitana veicolata dai suoi avversari. Per ciò, importanti settori del liberalismo portoghese ri-mangono fedele alla politica estera tradizionale della monarchia e di-fendono il mantenimento dell'alleanza con Londra. Inoltre, benché risentiti della dipendenza del Portogallo dal suo alleato, pensano spesso che lo sviluppo dei legami con l'Inghilterra permetterà di dif-fondere la civilizzazione in questa monarchia che giudicano arretrata, come tutti gli uomini colti del loro tempo (Palmela, 1826). Ciò non significa però che non cerchino di controbilanciare la preponderanza britannica, come si praticava durante il Settecento, né che dispregino la solidarietà politica internazionale. E anche per questi liberali filo-britannici, il Mediterraneo costituisce uno spazio in cui stringere al-leanze ideologiche, anche se non li portano obbligatoriamente a rom-pere l'alleanza con l'Inghilterra.

Un esempio di questo approccio al Mediterraneo viene fornito dal ministro degli Affari esteri durante il Triénio vintista, l'intellettuale Silvestre Pinheiro Ferreira. Convinto che l'unica possibilità di so-pravvivenza per il regime costituzionale portoghese risiede nella pro-tezione dell'Inghilterra contro la Santa Alleanza, si impegna a disso-ciare la sorte del Portogallo da quella della Spagna, si oppone al pro-getto di alleanza rivoluzionaria iberica e cerca di ottenere da Londra la garanzia della difesa della costituzione contro i suoi nemici esterni. Con successo, poiché al Congresso di Verona, il governo di Canning annuisce alla spedizione delle truppe francesi delegate dalle grandi potenze per restaurare il trono assoluto del re di Spagna, a patto che non entrino in Portogallo (Alexandre, 1993, pp. 743-751).

Eppure, il ministro portoghese cerca anche lui di sviluppare una politica mediterranea fondata sulla solidarietà liberale internazionale, come lo dimostra la sua proposta di alleanza con la Grecia, formulata all'estate del 1822. Cogliendo l'occasione dell'arrivo a Lisbona di un sedicente inviato del governo ellenico, l’avventuriero Nicola Chiefa-la, in realtà sprovvisto di incarico ufficiale, Silvestre Pinheiro Ferrei-ra tenta di stabilire delle relazioni con gli insorti greci. Le lettere che

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scrive al principe Mavrocordato e al metropolita Ignazio per proporre loro la conclusione di un trattato di alleanza politica, e le istruzioni segrete che redige per il suo amico Luís Francisco Risso, segretario di legazione a Roma incaricato di negoziare l'alleanza con il governo di Napoli di Romania, testimoniano dell'importanza attribuita allo spazio mediterraneo rigenerato dalla libertà nel processo di emergen-za di un nuovo ordine internazionale in cui il Portogallo è destinato a collocarsi, all'epoca in cui il Brasile si emancipa dalla tutela di Li-sbona (ANTT, MNE, Liv. 175).

Secondo il ministro portoghese, che si dichiara erede della cultura classica greca, l'insurrezione ellenica contro il «dispotismo musul-mano» incide profondamente sul futuro di tutto il continente e, nel contesto rivoluzionario del 1820, concorre al risorgimento di tutto il Mezzogiorno d'Europa:

«Il grido di libertà e d'indipendenza si è fatto sentire allo stesso tempo, e

grazie ad una catena non interrotta, la fiamma elettrica attraversò istanta-neamente tutta la parte meridionale fino al punto più occidentale dell'Europa. La causa per la cui difesa la Grecia si è alzata è anche la nostra stessa causa. Gli sforzi per farla trionfare devono essere comuni a tutti i popoli che, come lei, si sono costituiti in nazioni con la loro propria energia» (Ibid.).

L'unità della causa spinge Pinheiro Ferreira a escogitare un

progetto di unione politica con la Grecia, sotto la forma di una fede-razione destinata ad allargarsi alla Spagna. In poco tempo, l'esempio di questa lega mediterranea «farà tremare i troni del dispotismo tanto dei pregiudizi che degli uomini su tutta la superficie della terra» (ibid.); costituisce un preannuncio del superamento dell'ordine euro-peo stabilito al Congresso di Vienna:

«Uniamoci e saremo abbastanza forti per resistere alle minacce di quelli

che pretendono arrogarsi il diritto di governare tutte le nazioni dell'Universo. Nel loro accecamento, non hanno riflettuto quanto era pericoloso per loro im-piegare i popoli per fare la guerra alle nazioni! che questi popoli sanno che possono diventare nazioni e che lo strumento impiegato dai nostri nemici con-tro la nostra indipendenza si frantumerà da se stesso tra le loro mani» (Ibid.).

Di conseguenza, l'unione delle potenze meridionali proposto al

governo greco dal ministro portoghese viene concepita come la pri-ma tappa verso la «Grande Federazione dei popoli liberi», tramite la quale spera che «l'albero dell'indipendenza delle nazioni prenderà l'importanza a cui è destinato dalla Provvidenza, e di cui il primo ef-

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fetto sarà l'annientamento della tirannide delle opinioni e degli uomi-ni, principale sorgente di tutte le calamità dell'universo». Dovranno in seguito aderirvi anche le repubbliche americane e gli Stati Uniti, a cui Pinheiro Ferreira pensa di chiedere di accogliere il parlamento comune delle libere nazioni federate (Ibid.).

Lo stato attuale della documentazione non permette di sapere con esattezza se la federazione dei popoli liberi costituita a partire dall'u-nione delle nazioni costituzionali mediterranee consiste realmente, da parte di Silvestre Pinheiro Ferreira, in un tentativo di sconvolgere l'ordine internazionale o piuttosto, e più modestamente, in una mano-vra politica del ministro portoghese destinata a fare pressione sull'In-ghilterra per costringerla a garantire il regime del Triénio vintista contro possibili attacchi dall'estero, minacciando di rompere l'allean-za tradizionale con Londra. In ogni caso, dimostra che il Mediterra-neo rappresenta per i liberali lusitani uno spazio a cui mirano per di-minuire la dipendenza del Portogallo dalla Gran Bretagna, che si trat-ti semplicemente di cercare dei contrappesi ad una alleanza sempre più imperiosa a cui rimangono fedeli, o che si tratti di organizzare un sistema alternativo di relazioni internazionali, suscettibile di sosti-tuirsi al legame privilegiato con l'Inghilterra.

Oscillante tra queste due posizioni in funzione del livello di ostili-tà alla Gran Bretagna, determinato, più che da considerazioni ideolo-giche, dall'atteggiamento politico di Londra nei confronti del Porto-gallo e dalla percezione che se ne fanno i patrioti lusitani, la loro at-tenzione un internazionalismo mediterraneo destinato a resistere all'Inghilterra non viene meno durante tutta la decada del 1820 e riappare nel contesto della guerra civile del 1832-34 tra liberali e mi-guelisti, che sembrano anch'essi interessarsi al Mediterraneo. Lo snodo della crisi politica portoghese e il Mediterraneo, 1828-1835

Effettuato contro le istituzioni costituzionali ottriate dal re legit-

timo, il colpo di stato di D. Miguel taglia il Portogallo da ogni contat-to diplomatico con le altre potenze europee che, coerentemente con la legalità internazionale, richiamano i loro rappresentanti dalla corte del re usurpatore, nonostante la simpatia che suscita non solo nelle monarchie assolutiste, ma anche nel governo britannico del duca di Wellington. Mentre i diplomatici portoghesi rompono ogni legame con il governo anticostituzionale di Lisbona e costituiscono una reg-genza liberale in esilio presieduta dal marchese di Palmela, che rap-

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presenta allo stesso tempo il liberalismo e il re legittimo, i gabinetti di tutta Europa si dichiarano neutrali nella contesa lusitana, la cui ge-stione viene affidata, dal punto di vista delle relazioni internazionali, alla Gran Bretagna, potenza di tutela del Portogallo.

Di conseguenza, il governo liberale portoghese in esilio abbando-na ogni velleità mediterranea e si sforza di ottenere l'appoggio dell'Inghilterra, ciò che suscita una viva opposizione da parte di quel-li che accusano l'alleato tradizionale di aver favorito il colpo di stato reazionario (Bonifácio, 2004). Le condizioni dell'emigrazione accen-tuano le divisione del liberalismo portoghese e la virulenza dell'ostili-tà a Palmela e al suo governo, accusati di vendersi a Londra e di tra-dire la causa costituzionale. Benché la reggenza riesca a organizzare, con un discreto sostegno dei whigs inglesi, al potere a partire dal 1830, una spedizione militare comandata da D. Pedro che salpa dai porti francesi e britannici nel 1832 e porta la guerra civile in Porto-gallo, una parte significativa dell'emigrazione liberale lusitana recla-ma l'abbandono delle trattative diplomatiche con Londra e, dopo la rivoluzione di Luglio, una crociata rivoluzionaria capeggiata da Pari-gi che deve portare la libertà a tutto il mondo, ma in particolare all'Europa meridionale. Portogallo, Spagna e Italia devono unire le loro forze a quelle della Francia nella lotta comune contro il dispoti-smo delle «potenze del Nord» (O Palinuro, 7 agosto 1830; O Portu-guês constitucional em Londres, no 2 e 4, 3 e 17 aprile 1832).

Come la reggenza di Palmela, il governo miguelista si sforza an-ch'egli di ottenere il riconoscimento diplomatico di Londra, che de-terminerebbe quello delle altre grandi potenze e di tutta Europa Ma il governo di D. Miguel rifiuta di concedere l'amnistia politica richiesta dal ministero britannico per procedere allo scambio di diplomati, e sviluppa ugualmente una diplomazia ideologica, in cui sembra possi-bile scorgere un orientamento propriamente mediterraneo, anch'esso determinato da considerazioni anti-britanniche.

Nel 1829 il visconte di Santarém, ministro degli affari esteri del governo controrivoluzionario, ottiene un primo successo con il ristabi-limento delle relazioni con Madrid, dove Ferdinando VII condivide l'ideale politico reazionario di suo nipote D. Miguel. Ma l'obiettivo principale della politica estera miguelista consiste nell'ottenere il rico-noscimento del papa, che nel 1831 accetta di ricevere l'ambasciatore di D. Miguel e di rinnovare le credenziali del nunzio a Lisbona (Brasão, 1972; Lousada e Ferreira, 2006). Illustrazione dell'importan-za del cattolicesimo ultramontano nell'ideologia reazionaria che carat-

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terizza il governo portoghese, la ripresa delle relazioni diplomatiche con Roma costituisce d'altronde un argomento utilizzato dagli agenti dell'assolutismo portoghese presso le corti cattoliche per ottenerne il ristabilimento delle relazioni, insistendo sulla comunità confessionale e anti-liberale che li accomuna. Le corti di Torino e di Napoli costitui-scono da questo punto di vista un obiettivo privilegiato. I rappresen-tanti di D. Miguel vi insistono sulla necessità di unire le forze delle potenze cattoliche per combattere i progressi del liberalismo in Euro-pa. Focalizzano l'attenzione dei loro interlocutori sul pericolo che rappresenterebbe per la penisola italiana l'introduzione di un regime parlamentare in Portogallo, da cui il liberalismo non mancherebbe di dilagare in Spagna e in Italia, rovesciando i troni legittimi (ANTT, MNE, cx 788 e 877; AST, Mat. pol. est., lett. mini. est., Portogallo).

Benché più ampie ricerche dovrebbero confermarlo, l'offensiva diplomatica miguelista presso le corti italiane sembra illustrare la permanenza di un Mediterraneo considerato come spazio a cui rivol-gersi per resistere all'Inghilterra, destinato a sfociare in un progetto di alleanza cattolica e controrivoluzionaria delle monarchie meridionali di seconda importanza. E tale alleanza sembra, come nei progetti li-berali, costituire una risposta alla dominazione delle grandi potenze europee sugli affari politici del continente. Il loro atteggiamento nella questione portoghese dimostra ai sovrani di diritto divino che il con-certo europeo non costituisce uno strumento ideologico al servizio del mantenimento delle istituzioni della monarchia assoluta, ma un organo di preservazione della pace: le grandi potenze conservatrici, soprattutto la cattolica Austria di Metternich, abbandonano il Porto-gallo all'Inghilterra, impediscono ai Stati conservatori loro clienti di riconoscere il re portoghese bandito dalle potenze europee e lasciano che Londra tolleri l'introduzione di istituzioni liberali nella monar-chia lusitana. La diplomazia miguelista presso le corti italiane sem-bra per ciò intenta ad infrangere, con il sostegno del papa, il dominio delle grandi potenze sulle relazioni internazionali.

Le monarchie assolute cattoliche d'Europa meridionale sono sen-sibili a questi appelli, particolarmente dopo che la Rivoluzione di Luglio ha affievolito il campo conservatore all'interno del concerto europeo. Mentre la Spagna aveva già ostacolato le decisioni adottate dai cinque grandi riconoscendo la legittimità di D. Miguel nel 1829, i re italiani, dopo la caduta di Carlo X a Parigi, cominciano a rimettere in causa la loro subordinazione diplomatica e politica in un ordine internazionale che si rivela incapace di garantire le loro istituzioni, e

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a tessere importanti relazioni internazionali sotto la bandiera della controrivoluzione, che si sviluppano in particolare nello spazio medi-terraneo. Per lo meno, è ciò che lascia supporre la giustificazione del caldo sostegno del Piemonte alle controrivoluzioni iberiche a partire dalla fine della guerra civile portoghese, formulata dall'ambasciatore sardo a Madrid nel 1835, Solaro della Margherita, poco prima la sua nomina al ministero degli Affari esteri:

«[…] il nostro sovrano, giustamente geloso dell'indipendenza di cui deve gode-re un principe che non rileva da nessuno fuorché da Dio e da se stesso, cura ugualmente che lo spirito di disordine e di rivoluzione del nostro secolo non sbiadisca lo splendore della sua corona, e che le potenze straniere, che conside-rano sempre la nostra alleanza molto importante nei casi di crisi, ci trattino nel frattempo con il riguardo che ci è dovuto, senza permettere loro di immischiar-si nei nostri affari, né di imporci il partito che dobbiamo seguire nelle differenti questioni che si presentano in Europa» (cit. in Bianchi, 1867, pp. 330-1).

Ulteriori ricerche dovranno interrogare l'esistenza di un consistente

progetto politico internazionale d'unione delle forze cattoliche e con-trorivoluzionarie meridionali, destinata ad alzare un argine contro il dilagare del liberalismo e a fare del Mediterraneo una fortezza anti-liberale centrata su Roma. Comunque, le simpatie reazionarie delle corti italiane, dove i miguelisti si rifugiano dopo la vittoria liberale in Portogallo nel 1834, e il massiccio appoggio della monarchia piemon-tese ai partigiani del principe decaduto che, dalle coste liguri, tentano di rovesciare il giovane regime liberale, determinano il nuovo governo di Lisbona a mandare una nave di guerra davanti il porto di Genova all'autunno del 1834, una seconda alcuni mesi più tardi, e finalmente a tagliare le relazioni consolari all'estate del 1835. Ma benché la piccola squadra portoghese sia anche incaricata di fare vela verso il Levante, «perché la nostra bandiera, dopo tanti anni, apparisca nei porti più re-moti del Mediterraneo» (ANTT, MNE, Liv. 629); benché sembri per ciò consistere in un tentativo di recare ad effetto i progetti liberali che associano il Mediterraneo a uno spazio da cui trarre le risorse per resi-stere all'Inghilterra ad un momento di dipendenza quasi totale da Lon-dra, il fragile regime liberale portoghese non può sperare di sviluppare una politica mediterranea indipendente.

Dopo un anno di alta tensione tra il Piemonte e il Portogallo, l'In-ghilterra interviene a Lisbona e Vienna a Torino per costringere i loro clienti rispettivi a retrocedere e a smettere le loro dimostrazioni d'osti-lità reciproca (Rosselli, 1954, pp. 622-642; Lousada e Ferreira, 2006).

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Conclusioni provvisorie Dal 1808 al 1830, durante tutto il periodo di profondo mutamento

territoriale della monarchia lusitana provocato dalla perdita del Bra-sile, e durante tutto il processo correlativo di ridimensionamento del-lo Stato lusitano che, in un ordine europeo che limita la sovranità del-le piccole potenze in materia diplomatica, passa ad una posizione di cliente dell'Inghilterra, la geografia politica lusitana considera il Me-diterraneo come un serbatoio di possibili contatti politici grazie ai quali il Portogallo potrà affermare la sua indipendenza politica ed economica nei confronti di Londra, o addirittura come uno spazio in cui fondare, rovesciando l'opera del Congresso di Vienna, un nuovo ordine internazionale, sia sulla solidarietà di nazioni libere e costitu-zionali, sia, possibilmente, sulla solidarietà cattolica e controrivolu-zionarie di monarchie assolute.

Dopo lo snodo, nella prima metà degli anni 1830, del confronto politico portoghese tra liberali e controrivoluzionari, sembra che la tentazione mediterranea del Portogallo diminuisca d'intensità e spari-sca, anche se la scarsezza degli studi a questo proposito non autoriz-za nessuna conclusione definitiva. Se la monarchia portoghese con-clude rapidamente un'alleanza con la Spagna costituzionale, essa vie-ne patrocinata dalla Gran Bretagna e dalla Francia e non riveste nes-sun carattere propriamente mediterraneo. Gli Stati italiani non rico-noscono il governo liberale portoghese fino al 1842, e dopo questa data, mentre gli scambi commerciali tra Genova e il Portogallo di-ventano affatto aneddotici, il riallaccio delle relazioni diplomatiche non provoca nessun impegno globalmente mediterraneo da parte di Lisbona: la diplomazia mediterranea del Portogallo si limita essen-zialmente alle relazioni con il papa. A partire dagli anni 1830, per emanciparsi dalla tutela britannica, il Portogallo, rivolgendosi di nuovo all'Atlantico per fondarvi un impero coloniale africano (Ale-xandre, 1998), sembra girare le spalle al Mediterraneo.

Queste ipotesi che bisognerà confermare suggeriscono che il con-testo della guerra civile portoghese dell'inizio degli anni 1830 procuri l'ultima occorrenza di una rotta politica forgiata nella geografia dell'impero lusitano d'Antico Regime. Di conseguenza, un approccio più propriamente transnazionale dovrebbe ormai chiedersi se la guer-ra civile portoghese non testimoni della disgregazione definitiva del-lo spazio imperiale portoghese dell'epoca moderna, nel Mediterraneo come nell'Atlantico (Paquette, 2013).

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Referenze archivistiche Archivio di Stato di Torino (AST), Materie politiche per rapporto all'estero Consolati nazionali. Lisbona, mazzo 3 e 4 Lettere ministri esteri, Portogallo, 1 mazzo Arquivo Nacional da Torre do Tombo (ANTT, Lisbona) Ministério dos Negocios estrangeiros. Arquivo central (MNE, AC) Liv. 175, 269, 382, 611, 629. Cx 241, 242, 323, 503, 787, 788, 875, 877

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