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MATTEO BARTOLI Quando, il 20 gennaio 1946, Matteo Bartoli morì a Torino l'Istria ne fu coster nata e pianse in lui il più genuino e il pi ù persuasivo assertore del~ l'italianidella Venezia Giulia e s pecialmente dell'Istria ch'egli amò con de- vozione di figlio. Nato in Albona ( d'Istria) , il 22 settembre 1872, da Vincenzo Bartoli, modesto negoziante, e da Giulia Palisca, primo di quattro fi g li, dopo gli s tudi (:lement ari, fu avviato dai genitori agli studi classici, che-compì al Ginnasio di Capodistri a, dal quale sono uscit i t anti uomini chiari per sapere e per patri oti smo. Superato l 'esame di maturità, volle iscriversi all'Università di Vienna e, veramente in un primo tempo aveva pensato di iniziarsi agli studi storici e geografici, ce11:amente nell' intento di di ventare, poi, professore di geografia e stori a . Ma, in quel torno di temp o, insegnavano alla facoltà di lett ere dell'Universit à viennese, due uomini, due maestri di fama europea: Guglielmo Meyer•Liibke, tedesco della Svizzera, e Adolfo Mussafi a, it aliano della Dalmazia, tutti e due profondi ricer catori delle origini e dello sviluppo delle lingue della Romàni a, dì quelle lingue, cioè, che erano nate sul terri tori o·, dominato da Roma e che s'è convenuto di chiamar e «neolatine» per distìn• guerle dalla vecchia lingua di Roma, quella di Ennio di Terènzio di Ci cerone e di Virgilio. Jl giovine Bartoli fu come abbagliato da lla luce, che si spandeva dalla cattedra dei due grandi linguist i, e, dopo pochi mesi, abbandonò lo stu dio della geografia e della st oria, propriamente dette, per darsi , tutto, a quelli delle lingue romanze, secondo il metodo st orico-comparativo, ginstaurato da Federico Diez, nel dòminio delle lingue neolatine. Veramente, il nostro Bartoli, se ben si riguarda, aHa sua opera scientifica, rimase in fondo sempre uno st orìco e un geografo: storico delle lingue e anche geografo delle lingue, le quali vivono, sì sviluppano e muoiono, secondo det erminate leggi o forre stori che e in det erminate regioni geografiche, in det erminat e «aree» per dir la con vocabolo caro a Lui, vocabOlo che avrà grande i mportanza nell'ulteriore sviluppo del suo .pensiero scientifico. Allora all' Universit à di Vienna, come in altre università tedesche, im- perava il metodo dei neogrammatici , anche se non incontrastato, giacchè il gran Meyer•Liibke, spirito verament e libero, aveva intravvisto la fallacia delle famose leggi fonetiche in più d'un caso; tuttavia egli non avversava, di proposito -le teorie e il metodo dei neogrammatici. I nfa tti, le leggi fonetiche hanno un loro valore, purchè non si considerino come qualchecosa di a priori che regoli il divenire delle lingue, e il Meyer-Hii bke e il Mussafia ne facevano tema delle loro lezioni, quando Matt eo Bart oli s'accostava, pieno di entusiasmo,

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MATTEO BARTOLI

Quando, il 20 gennaio 1946, Matteo Bartoli morì a Torino l'Istria ne fu costernata e pianse in lui il più genuino e il più persuasivo assertore del~ l'italianità della Venezia Giulia e specialmente dell'Istria ch'egli amò con de­vozione di figlio.

Nato in Albona (d'Istria) , il 22 settembre 1872, da Vincenzo Bartoli , modesto negoziante, e da Giulia Palisca, primo di quattro fig li, dopo gli studi (:lementari, fu avviato dai genitori agli studi classici, che-compì al Ginnasio di Capodistria, dal quale sono usciti t anti uomini chiari per sapere e per patriotismo. Superato l 'esame di maturità, volle iscr iversi all'Università di Vienna e, veramente in un primo tempo aveva pensato di iniziarsi agli studi storici e geografici, ce11:amente nell 'intento di diventare, poi, professore di geografia e storia . Ma, in quel torno di t empo, insegnavano alla facoltà di lettere dell'Università viennese, due uomini , due maestri di fama europea: Guglielmo Meyer•Liibke, tedesco della Svizzera, e Adolfo Mussafia, italiano della Dalmazia, tutti e due profondi ricercatori delle origini e dello sviluppo delle lingue della Romània, dì quelle lingue, cioè, che erano nate sul territorio·, dominato da Roma e che s'è convenuto di chiamare «neolatine» per distìn• guerle dalla vecchia lingua di Roma, quella di Ennio di Terènzio di Cicerone e di Virgilio.

Jl giovine Bartoli fu come abbagliato da lla luce, che si spandeva dalla cattedra dei due grandi linguist i, e, dopo pochi mesi, abbandonò lo studio della geografia e della storia, propriamente dette, per darsi, tutto, a quelli delle lingue romanze, secondo il metodo storico-comparativo, già instaurato da Federico Diez, nel dòminio delle lingue neolatine. Veramente, il nostro Bartoli , se ben si riguarda, aHa sua opera scientifica, rimase in fondo sempre uno storìco e un geografo: storico delle lingue e anche geografo delle lingue, le quali vivono, sì sviluppano e muoiono, secondo det erminate leggi o forre storiche e in determinate regioni geografiche, in determinate «aree» per dir la con vocabolo caro a Lui, vocabOlo che avrà grande importanza nell'ulteriore sviluppo del suo .pensiero scientifico.

Allora all'Università di Vienna, come in altre università tedesche, im­perava il metodo dei neogrammatici , anche se non incontrastato, giacchè il gran Meyer•Liibke, spirito veramente libero, aveva intravvisto la fallacia delle famose leggi fonet iche in più d'un caso; tuttavia egli non avversava, di proposito -le t eorie e il metodo dei neogrammatici. Infa tti, le leggi fonetiche hanno un loro valore, purchè non si considerino come qualchecosa di a priori che regoli il divenire delle lingue, e il Meyer-Hiibke e il Mussafia ne facevano tema delle loro lezioni, quando Matt eo Bartoli s'accostava, pieno di entusiasmo,

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agli studi linguistici. Ma certi linguisti tedeschi come il Leskien, l'Osthoff, il Bruggmann ritenevano le leggi fonetiche ineccepibili, assolute. P er contro Graziadio Isaia Ascoli pur non rinunciando alle leggi fonetiche, ammetteva anche l'influsso di a ltre forze nella vita concreta del linguaggio ma solo lo Schuchardt osò levare alta la voce contro le esagerazioni dei neogrammatici, che meccanizzavano_ la lingua certa1nente una delle prime manifestazioni dello spirito. Diede Io Schuchardt origine a un movimento, il quale, non ripudiando il principio della legge fonetica, secondo la quale una determinata vocale, una determinat a consonante hanno in una determinata posizione sempre Io stesso sviluppo o meglio lo stesso destino, dava importanza immensa all'elemento storico geografico sociale e all'imitazione: era il movimento dei neolinguisti. Quando il nostro Bartoli s'è laureato, il movimento di reazione alla scuola dei neogrammatici era ai suoi inizi, e la sua tesi di laurea si risente ancora delle 1oro teorie. Questa tesi del giovane albanese non era uno dei solit i Iavorucci abbozzacchiati, tanto per presentare una prova di buona volontà all'indulgente professore, dal quale, in ultima analisi, dipende d'ottenere quel sospirato diploma che dà il diritto a chiamarsi «dottore». La t esi del giovane Bartoli era un lavoro originale e di gran mole, frutto di lunghe osservazioni e di lunghi studi , condotti con una pazienza da Certosino. Era questa sua tesi uno studio sul Dalmatico, su quella lingua cioè che si parlava in Dalmazia e nelle isole dalmate, prima della venetizzazione, rispettivamente, prima della slaviz• za.zione della Dalmazia. Nella sua grande onestà scientifica egli si richiamava a tutti coloro che in qualche modo lo avevano preceduto, e per quanto riguarda i materiali, ricordava perfino le informi nota di uno scolaretto fiumano ; ma la ricerca profonda, la sistemazione di tutto il materiale raccolto, era tutta sua. Egli offri va ai dotti d'Europa una fonetica, una morfologia e un lessico; insomma una grammatica di quella lingua morta. I materiali li aveva tratti, in gran parte, dalla viva voce di un vecchio veglioto Antonio Udina (Tuone Udàina), morto nel 1898. Fu l'Udina l'ultimo a parlare l'antica lingua di Veglia, fu l'Udina che il giovine linguista interrogò, esaminò con santa pa­zienza, fu l'Udiua il testo vivente, sul quale egli esercitò e condusse le sue indagini. Certo1 lo soccorrevano anche le antiche carte della repubblica di Ragusa, certi nomi locali dalmati, singole espressioni dalmatiche rimaste come cristallizzate nel veneto e nel serbocroato di Dalmazia, ma il grosso dei mate· riali egli li raccolse sul posto, a Veglia.

Questo lavoro mise in luce il nome del nostro linguista. L'Accademia delle scienze di Vie?na lo pubblicò in due volumi di grande formato, e l'edi· zione che ne possediamo è quella curata proprio da quell'Accademia. E' scritto ir: tedesco e di questo molti se ne dolsero e se ne dolgono, ma forse a torto, perchè la tesi, giacchè non bisogna dimenticare che esso è una tesi di laurea, fu presentata a una commissione tedesca e quindi doveva essere scritta in tedesco. Solo più tardi, il nostro Bartòli pensò a una traduzione e a una ridu­zione italiana, che auguro sia condotta a buon fine da qualche suo discepolo o da qualche suo ammiratore, appassionato di tali studi. Credo anzi che il curarne u~a traduzione italiana. sia doveroso per noi italiani dell'Istria, perchè questa prima opera del nostro linguista è opera, veramente, italiana opera di filiale pietà verso le reliquie della romanità sepolte sotto la grave ~ ora di nuove genti venute nella Dalmazia dopo il sesto e il settimo secolo. Quest'opera che prima nella laboriosa giornata di Lui è la più grande anche come mole segnò il cammino, che egli doveva percorrere, come scienziato, figlio di un~ terra, ove avvengono le più interessanti compenetrazioni di due linguaggi, ove

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il linguista vede, quasi la concorrenza di essi, e trionfare quello che ha un maggior prestigio, ove constata la cbnservazione di antiche forme ita liane, nel linguaggio degli Slavi e assiste, quasi, al formarsi di una nuova lingua, per la fusione dei due linguaggi, come sembra avvenire alla costa orientale dell'Istria e dell'isola di Cherso.

Dunque l'istrianità di Matteo Bartoli, così profondai"Tiente latino, è la ispiratrice non solo del suo poderoso lavoro sul dalmatico ma in complesso della maggior parte dei suoi lavori poster iori. E chi dice istrianità, dice anche fa.tinità, dice romanità. Infatti si guardi pure anche a quei suoi studi che cÒn­templano r emote regioni balcaniche, come la Romanìa e la Bulgaria, si guardi anche fino all'India ove il suo occhio indagatore si spinse nell'ultimo periodo della sua vita, per trovare una riconferma alla sua teoria delle aree e si vedrà che egli ha sempre in mente l'augusta lingua di Roma di cui ovunque ricerca, pietosamente, le vestigia, simile all'archeologo che da un cippo, da una colon­na stroncata, da un capitello scheggiato risale ad imaginare, a raffigurare l'edificio in tutta la sua bellezza.

Qualche anno prima del Dalmatico, aveva pubblicato, per l'intèressa­mento di Alberto Priora, le Lettere Gitt,liane (1903), scritto polemico contro coloro che dicevano e scrivevano «Litorale Au.stroiU-i?'-ico» invece di V cnezia Gì-ulia, espressione già messa in onore da Graziadio Ascoli. Qui il nostro Bartoli mostra che razza di polemista egli fosse. Bisogna leggere quelle lettere per vedere come egli sapesse mettere il suo sapere a profitto di una nobile «idea nazionale», Gli avversari gli austriacanti , per sostenere l'espre~sione di Litorale, s'appellano addirittura a Strabone, ed egli dimostra loro, citando «esattamente» il passo di Strabone che l'autore usa questa espressione come nome comune e non già come nome proprio, e per quanto poi riguarda l'espres­sione «illirico» mostra che essa è dovuta ai francesi che l'hanno usata per erro­re ;e continua per cinquanta pagine a trastullarsi -con un avversario, forte solo del potere politico, ma quasi digiuno di storia e assolutamente digiuno di lin~ guistica. La nostra Regione: 'l'rieste, l'Ist ria e il Goriziano non possono dunque chiamarsi Litorale Austroillirico, ma Venezia Giulia che è il nome che oggi è in'. bocca a tutti, ma fu proprio il Bartoli primo o t ra i primi a sostenerlo con argomenti tratti dall'arsenale della glottologia e della storia, come p. e. che Friuli deriva da Forum Iulii, che il nome locale Zugìio corrisponde esat­tamente a. Giulio (Iulius), che il nome di Zuliani, diffuso in tutto il Veneto corrisponde a Giuliani e che, come un'altra nobile r egione ita liana ha tratto il suo nome da Emilio, la nostra ha tratto il suo da Giulio, Insomma, fu il nostro linguistà a consacrare questo nome latino e italiano alla nostra Regione, il che non è piccolo merito. I suoi avversari, a corto d'argomenti, e forse senten­do il pericolo che l'accettazione di quel nome implicava, rispondevano, pacchia­namente, esser gli argomenti del Bartoli quisquiglie da professore, ma questo professore sapeva l'importanza dei nomi, e pensava che se quello che allora si chiamava Litorale Austroillirico si fosse chiamato secondo voleva la storia e la linguistica, Venezia Giulia, quasi sicuramente, il nostro paese avrebbe seguito le sorti delle altre Venezie. Ma sentite il patriota e il polemista: «Il nome Litorale Austroillirico, ostrogotamente nebuloso è un vipistrello boreale, che di rabbia e d'ignominia carco, è fugato ognor più dal sole di Venezia Giulia, irradiato da mente latinamente chiara». Questa mente, lati­namente chiara, è quella di Graziadio Ascoli, che tale espressione usava per

la nostra Regione.

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Accanto alle «Lettere Giuliane» bisogna ri cordare la Lettera glottolo­gica, che se anche concepita quindici anni .dopo, _ _ rientra nell'~mbito della polemica per l'italianità della nostra t erra, e mfatt1 m essa mette 11 suo sapere a profitto della patria, intervenendo nelle discussioni sul nostro confine orien­t ale che anche allora, nel 1918, ci era conteso, dopo la guerra vittoriosa.

Mentre fugacemente stia.'UO discorrenèo delle opere di Lui e come ri.cordarlo d2gnamente, se non occupandoci del!e sue opere, non dobbiamo tuttavia dimenticare elle la sua fama di dottissimo linguista, il favore che il suo «Dal-rnatico» gli aveva procurat o t ra i membri dell'Accademia delle scienze dì Vienna gli avevano procurato un ufficio alla Biblioteca palatina di Vienna ufficio che tenne per poco, perchè presto chiamato, credo, come lettore d'italiano al.l'Università di Strassburgo, sita in regione, in cui com-e nell 'Istria, l'italiano e lo slavo (sloveno e serbocroato ) due lingue, il francese e il t edesco, si con­trappongono, e si abbracciano, formano ibridismi, dando quindi luogo a feno­meni di simbiosi che ovunque, si manifestano, ove due lingue si trovino a contatto.

Il soggiorno a Strassburgo durò 4 anni , fi no al 1908, anno in cui fu chiamato a insegnare lingue neolatine all'Università di Torino, ove insegnò e lavorò indefesso fino al 1944 cioè fino al suo collocamento a riposo.

Torino è diventata per Lui quasi una seconda Patria. Qui forma la sua famiglia, unendosi a Miranda Allievo, figlia di un professore di pedagogia. Ma le cure familiari non lo distolgono dal suo grande amore della scienza del linguagg10, dagli studi glottologici che egli continuava ad approfondil'e e ad ampliare non solo fino ad abbracciare tutte le lingue della Romània, ma fino a spingere il suo interessamento alle antiche lingue italiche all'umbro e a l­l'osco che egli considerò addirittura quale lirigua di maggior prestigio del latino e coll'influsso del quale egli spiegò certi fenomeni fonetici che i neo­grar.."!.nlatici avevano semplicemente indicati, come ad esempio la caduta della s della seconda persona del presente del verbo lat ino ( cantas: canti).

Fissò la sua attenzione suU'ario europeo cioè sulla lingua madre di tutte le lingue europee, del quale si occupò più tardi e al quale credette poter applicare la sua t eoria delle aree come già le aveva applicate al campo delle lingue romanze.

Auche se si considera il nostro Matteo soltanto come linguista non si può non vedere in lui l'Europeo di una migliore Europa, nella quale i popoli, affratellati , per essersi reciprocamente intesi, sono ormai tutti volt i alle nobili gare del lavoro, dell'arte e della scienza. E questo Europeo fu veramente il Bartoli: indagatore dei fenomeni linguistici, quali si manifestano in tutte le terre già dominate da Roma, e cioè dell'Iberia, della Gallia , dell 'ltalia, della Dacia, conoscitore delle lingue slave e delle lingue germaniche, egli aveva compiuto l'eroico sforzo di assimilarsi e le forme e gli spiriti di esse. Così egli comprendeva, veramente, tutti i popoli europei e di tutti si sentiva quasi interprete, giacchè chi come lui ha compreso il formarsi deJle Iinuue o il loro svilrippo e la loro decadenza, comprende anche la storia dello s;irito umano di cui l'espressione più importante è appunto il linguaggio. I suoi studi sul romeno lo rendono meritevole del Grande Ufficialato della Corona di Romania

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i~ Meillet, uno dei più insigni linguisti di Francia proclama che nessun scien­ziato come Matteo Bartoli ha saputo mettere in evidenza la grande, complessità dello sviluppo delle lingue. Nessuno! Neanche il gran Meyer-Liibke neanche l'Ascoli maestro ai linguisti italiani, n~anche il Salvioni e lo Schuch~rdt ! An-

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che se nel giudizio del linguista francese c'è troppa cortesia, com'ebbe a dire modestamente. lo stesso 5artoli, bisogna dire che esso ·è in gran parte giusti­ficato dal suo studio «Alle fonti del neolatino» che è comparso nella Miscel­lanea in · onore di Attilio Hortis, al quale facendogliene omaggio, ricordò che l'italianità dell 'Ist r ia è anche quella di Trieste. Questo lavo.ro che è del 1910 segna già il distacco di Lui dalla scuola dei. neogrammatici, e il suo accosta­mento a quello dei neolinguisti. Non si può occuparsi dell'attività scientifica di lui come ci appare nella sua Jnt rod11,zione alla neolinguistica) senza fermare qui i tratti caratteristici delle due scuole che polemizzano qualche volta per degni motivi, qualche volta per quisquiglie, giacchè esse hanno molto in comu­ne, e non solo la materia, ma anche qualche arnese di cui tutt'e due si servono. Intanto una divisione netta tra le due scuole non esiste. Tuttavia, essendosi il nostro Bartoli professato· neolinguista conviene qui tentare di definire i due campi l'un càntro l'altro armati.

1 neogrammatici credono nella infallibilità della legge fonetica alla quale danno primo luogo fra gli elementi che presiedono all'evoluzione delle lingue e ritengono aberranti i casi di aferesi , epentesi, epitesi,. metatesi ecc. 11 metodo dei neolinguisti non ripudia la legge fonetica, ma la ritiene null'altro che un accorgimento pratico, e s'ispirano anzitutto a quella fonte di idee e dì fatt i che è l'Atlante ling~dstico del Gilliéron di più i neolinguisti italiani debbono molto a lla linguistica ascoliana e alla filosofia di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, i quali secondo il nostro linguista hanno insegnato ai linguisti d'Italia che fra le varie divisioni tradizionali della grammatica, quali il lessico, la fonetica, la morfologia e la sintassi non v'è la differenza tanto conclamata dalle scuole e che i mutamenti fonetici non sono spiegati da cause fisiologiche e similia , Si vede, insomma, che i neogrammatici furono. dalla nuova scuola considerati quali i materialisti della linguistica, in quanto la legge fònetica opera, secondo loro, con assoluta efficacia, oltre la defension de' senni umani.

Per il nostro Bartoli la linguistica è soprattutto storia ed è molto affine alla storia del costume,, alla storia dei modi o delle mode di vestire. E come in questa così nella linguistica hanno molta importanza i centri d' irradiazione e le regioni, le aree, in cui una determinata espressione vive. Questa idea delle aree gli fu suggerita dallo studio dell 'Atlante linguistico del Gilliéron il terzo maestro del nostro, dopo il Meyer-Ltibke e dopo il Mussafia. E' il Gilliéron che gli ha ispirato l'idea di un Atlante li1-iguistico italiano, al quale stava lavorando da quasi vent'anni. Opera colossale alla quale collaboravano pure Giuseppe Vidossich, Ugo Pellis, esperto fonetista, mancato troppo presto. Fu questa im­presa dell'Atlante linguistico italiano il pensiero predominante del nostro Bartoli, negli ultimi anni della sua vita . Ma anche qui . a degnamente rìcordarlo bisogna formarsi una i9"ea di un Atlante linguistico.

Nell'Atlante linguist ico le parole sono . disposte in ordine geografico. n quale ordine geografico ci permette di desumere la maggiore o minore dif­fusione delle singole voci p. e . dove e in che area è più diffusa l'espressione testa,, dove è più diffusa l'espressione capo, dove è più diffusa quella di coccia, e in quale area si riscontrano le varie forme delle singole voci: «capo», capa, cao, cavo. Queste sono le sue parole a l prof. Mittner che lo intervistava nel 1937, quando l'Atlante linguistico italiano era già ben avviato. Sempre in questa intervista il Bartoli nel suo entusiasmo scientifico, quasi direi nel suo eroico furore esclama: «Per noi tutti discepoli di lui ( cioè del Gilliéron)

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la carta non è uno schema o una raccolta». Noi ci vediamo la vita stessa delle parole, vèdiamo dove le innovazioni sorgono, da qual centro s'irradiano, come si diffondono nelle r~gioni vicine, come entrano in concorrenza con altre parole, come son.o sopraffatte o come si spengono.

Abbiamo detto entusiasmo scientifico, eroico furore. E non crediamo dire cose avventate. E veramente lo spirito di quest'uomo eccezionale è tutto e sempre volto ai problemi linguist ici, i quali sono la sua professione nel senso che i religiosi danno a questa parola: egli è proprio sempre e ovunque linguista tanto che non poche voìte è sembrato strano, originale a coloro che una tale passione non intendono nè possono intendere. Ma s'imagini il Bartoli tutto occupato a risuscitare la morta latinità della Dalmazia, a esuma.re voci latine, nel resto dei Balcani, lo s'imagini ad ascoltare con pietosa attenzione gli ultimi echi della parlata friulana a :Muggia, lo s'imagini a osser vare le vocali labiali slave in voci latin-e, greche e romanze ; ancora: lo s 'imagini intento ad applicare i metodi dei · neolinguisti nel campo delle lingue indoeuropee e si potrà benissimo comprendere quel suo distacco dalle faccende pratiche quella sua distrazione, e anche quella sua insofferenza di fronte a chi gli sembrasse tratt 9,re con leggerezza di quei probk:mi che erano per lui i soli importanti.

Non è qui il iuogo di discorrere ancora delle sue polemiche; sempre onestamente volte a sostenere le sue opinione scientifiche. Certo fu, a volte, caustico e irruento e come abbiamo detto un po' insofferente di contraddizione, ma bisogna pensare anche all'immensa sua autorità nel suo campo, autorità cli cui dove-..,.·a essere consapevole. Non dimentichiamo che dopo la morte del Trombetti rappresentava con onore l'Italia nel Comitato internazionale dei linguisti, era poi il successore di Graziadio Ascoli alla Direzione dell'Archivio glottologico italiano. S'aggiunga a tutto questo la benedetta sincerità e la benedetta ingenuità istriana non sempre intesa, non sempre apprezzata. A un insigne romariista slavo dice per lodarlo: «Che peccato, caro amico, che tu sia croat o !». Al professore che viene a intervistarlo per la Rivista Lingue estere dice a modo d)introduzione: «Sarà opera difficile la Sua. Bisognerebbe entrare subito nei particolari, in minuti particolari tecnici che non sono facilmente spiegabili a chi non s'è occupato di linguistica». Il che significava: Lei non s'è occupato di linguistica e poco può capire dei problemi di un Atlante lin­guistico. Qui bisogna ricordare che H Bartoli conosceva anche le più umili pubblicazioni nel suo campo e che il nome dell 'intervistato era sicuramente quello d'un profano di tali studi. Seguiva egli tutto quanto veniva pubblicato nel campo della linguistica e non si capisce come egli trovasse il t empo a tanta bisogna, seguiva perfino fin le modeste pubblicazioni dei nostri Annuari scolastici, ma non a titolo semplicemente bibliografico: le leggeva, le discuteva, le correggeva, le approvava o le censurava . Di lui si poteva dire quello che don Abbondio àice di Federico Borromeo: «O che sant'uomo, ma che tormento». Se uno quindi era a lui del tutto sconosciuto voleva dire che nulla dì notevole aveva pubblicato nel campo di quegli studi di cui egli invece faceva suo vital n~triment~. Vediamolo una sera dell'agosto 1897 far viaggio verso Muggia, a oordo dt. un vaporino per accogliervi, come dice, gli ultimi aneliti del ladino, che qualche vecchio ancora parlava nella cara cittadina istriana. Mentre con­templa il nostro bel mare improvvisamente un «vedo» partito da un crocchio ai passeggeri colpisce il suo orecchio sensibilissimo e subito la sua meiite corre a Trieste, ove gli sembra che_Ia «e;r, in quella posizione abbia un'altra qualità e compie a Muggia un'accurata inchiesta sulla qualità della «e» e della «o» in determinate posizionì e per approfondire la sua inchi€sta interroga vecchi e

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giovani e penetra fino nella scuola elementarei col consenso del Direttore della scuola e trova che la qualità della vocale è influenzata o meglio dipende dalla vocale finale, scopre cosi nel veneto di Muggia quel fenomeno di metafonesi già riscontrato nel francese da Adolfo Mussafia e al Mussafia dedica questo suo lavoro sulla Metafonesi nel dialetto veneto di Muggia . Il suo orecchio sembrava veramente formato per raccogliere le più delicate sfumature fone­tiche e ci teneva a dire ai suoi discepoli : «Noi glottologi dobbiamo possedere un orecchio musicale» . E molto amava la musica e era suonatore, non già di violino o di pianoforte, ma di cornetta, che egli suonava nella banda comu• nale di AlbOna, quando aveva l'occasione di fare una capatina nella sua città natia, anche quando era prossimo ad occupare la cattedra di glottologia al­l'Università di Torino. Ed abbiamo da buona fonte «che giunto un giorno come Uli bolide da Vienna in Albona, le prime parole, rivolte alla buona signora Giulia, sua madre, furono: «Mamma dove xe la corneta?». Aveva sentito che la banda musicale d'Albona doveva dare un concerto in Piazza, ed egli voleva prendervi parte, si capisce nell'uniforme prescritta. Siamo giunti così a discor­rere di Lui come uomo, come figlio di questa terra. Non fu nè poteva esser e uomo politico1 anche se fin da giovane fosse repubblicano e sèguace di Giu­seppe Mazzini.

Non _godette, naturalmente, trol1pe simpatie tra gli uomirii del governo fascista per qu'el suo religioso rispetto del suo ufficio, per rassoluta sua rilut• tanza a mescolare il sacro al profano. Non fu all'Accademia d1ltalia, Lui successore del Trombetti nel Comitato internazionale dei linguisti, il suc­cessore di Graziadio Ascoli a lla Direzione dell'Archivio glottologico it aliano, perchè aveva potenti avversari in seno all'Accademia stessa e anche perchè aveva r ifiutato la tessera ad honorem, offertagli da un segretario federale eX· giolittiano rinunciatario e quindi indifferente alla passione italiana di questa 110stra Istria. Ma quello che gli deve aver nociuto, presso gli zelatori del fasci­smo, fu una sua lettera nella quale esprimeva un giudizio poco lusinghiero su Roberto Farinacci, il Ras di Cremona. La lettera non era destinata alla pub­blicità, ma fu però pubblicata. Per un altro che non fosse stato Matteo Bartoli, conosciut o per altezza d'ingegno in tutta l'Europa dotta poteva significare il confino; tuttavia d'allora in poi passò per «elemento infido». I suoi avversari andavano vociferando che non solo il nostro linguista era antifascista, ma che era addirittura antiitalianol Antiit aliano Lui autore del «Dalmatico» e di «Lettere Giuliane »! Antiit aliano l'autore della «Lettera glottologica», colui che mostrava ai dotti la diffusione della latinità nella Balcallia; antiitaliano colui che a Torino s'er a fatto protettore e sostenitore di tutti quei Giuliani che vi accorrevano per apprendere da Lui la storia della nostra lingua! Ma t ant 'è il fascismo si r eggeva colla falsificazione dei concetti e delle situazioni : chi non condivideva le idee di un Farinacci e del suo padrone Mussolini pro­clamato infallibile era dichiarato antinazionale. E' vero che il Bartoli si trovava in buona compagnia, ma questa accusa, questa taccia d'antiitaliano lo faceva soffrire veramente. Era un antiitaliano che soffriva, vedendo la nostra Patria preda del1e orde germaniche, barbare della peggior barbarie, la barbarie mec­canizzata, quelle orde che l'italianissimo Mussolini aveva fatto calare nel nostro Paese, per sostenere gli interessi della sua fazione, anche a costo della totale rovina della Patria . Certo l'uomo che oggi onoriamo non poteva essere uno sciovinista giacchè il suo spirito era aperto alla comprensione dei valori di ogni altra nazione. Figlio di una terra in cui fatalmente la lotta nazionale ferveva implacabile egli aveva sentimenti di ammirazione per quegli slavi che

Page 8: MATTEO BARTOLI - units.it · 2019. 11. 18. · MATTEO BARTOLI 135 il linguista vede, quasi la concorrenza di essi, e trionfare quello che ha un maggior prestigio, ove constata la

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con lui avevano comune la passione per i suoi cari studi e collaborava alla Miscellanea in onore dell'insigne slavista Jagic, al quale dedica il suo bello studio sui Riflessi di vocali labiali slave in parole romane e romanze greche e germaniche, comparso in una raccolta promossa da Slavi (Zbornik u Slavu V. Jagica. Berlino 1908) . Dunque non uno sciovinista, ma anche non un uomo politico: la politica, come azione, era qualche cosa di assolutamente estraneo al suo spirito. Immaginarlo coinvolto negli inevitabili compromessi della vita politica ci riesce difficile.

Era incapace di simulare e dissimulare ; pronto al rimbrotto, quando occorresse, all'ironia, a rilevare errori, ovunque s'annidassero, chiunque li commettesse, ma in fondo buono e generoso e incapace di serbar rancore.

Ho detto brevemente di Lui, come scienziato, _ ho brevemente accennato alle doti del suo animo ed ora e specialmente in questo momento sarà bene qui fra noi ricordare qualche tratto della Sua nobile figura.

Alto di statura, bruna la carnagione, abbondanti i capelli , con una gran barba, che gli scendeva a mezzo il petto. Nero l'occhio che mandava come un vivido raggio quando egli animatamente discorreva. L'andatura era un po' frettolosa, come il parlare, rapido, concettoso e spesso faceto.

Cosl fu Matteo Bartoli d 1Albona, che ha onorato l'Istria e l'Italia, nei più ardui studi linguistici. Il suo nome s'aggiunge ora a quello degli uomini che hanno reso illustre questa piccola Istria nella storia delle lettere e delle arti. Accanto ai nomi di Gerolamo Muzio, umanista, di Vergerio, teologo, di Vettor Carpaccio, pittore, di Giuseppe Tartini e di Antonio Smareglia, mu­sicisti; -accanto ai nomi di Santorio San torio, medico, di Andrea Antico da Montana tipografo, di Francesco Patrizio, filosofo, e di Giovanni Moise, gram­matico, collochiamo reverenti quello di Matteo Bartoli glottologo e linguista insigne.

ATTILIO CRAGLIEI'TO

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