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© DEP ISSN 1824 - 4483 “La gomma è morte” I crimini in Congo nell’obiettivo di Alice Seeley Harris (1898-1912) di Bruna Bianchi Abstract: The article draws a brief profile of Alice Harris, the most important missionary pho- tographer during the Congo Reform Campaign. It analyses the main features of her “atrocities photographs” attempting to assess the impact they had on European and American public opinion. Introduzione La kodak è stata una dolorosa calamità, il nemico in assoluto più potente che ci siamo trovati di fronte. Nei primi anni non abbiamo avuto alcuna difficoltà a indurre la stampa a presentare i racconti delle mutilazioni come calunnie, menzogne, invenzioni [...] e con l’aiuto della stampa siamo riusciti a far sì che tutte le nazioni cristiane non prestassero ascolto a quei rac- conti [...]. Poi, improvvisamente, la rottura, ovvero l’incorruttibile kodak, e tutta l’armonia andò al diavolo. La sola testimone che, in tutta la mia lunga esperienza, non sono riuscito a corrompere 1 . Così Mark Twain immaginava dicesse tra sé e sé re Leopoldo II del Belgio in un scritto di denuncia dei crimini commessi in Congo: Il soliloquio di re Leopoldo, pubblicato nel 1905. Le fotografie che raggiunsero l’Europa e l’America e che ritraevano gli uomini in catene, curvi sotto la sferza delle guardie, i villaggi devastati, i corpi delle donne e dei bambini mutilati, erano state scattate e divulgate dai missionari e in particola- re dalla missionaria britannica Alice Harris. Esse sollevarono un’ondata di indigna- zione a livello internazionale che condusse nel 1908 alla sottrazione del Libero Sta- to del Congo al controllo del re Leopoldo II e all’attribuzione dell’amministrazione della colonia al parlamento belga. Per la prima volta la fotografia ebbe un ruolo decisivo in una campagna per i di- ritti umani, la più vasta che si sia verificata nell’arco di oltre un secolo, tra quella per l’abolizione della schiavitù e quella per l’abolizione dell’apartheid, la prima in cui apparve l’espressione “crimini contro l’umanità” 2 . Alcuni studiosi, infatti, so- 1 Mark Twain, King Leopold’s Soliloquy. A Defense of His Congo Rule, Warren, Boston 1905, pp. 37- 38. 2 Adam Hochschild, Gli spettri del Congo, Rizzoli, Milano 2001.

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© DEP ISSN 1824 - 4483

“La gomma è morte” I crimini in Congo nell’obiettivo di Alice Seeley Harris

(1898-1912)

di

Bruna Bianchi

Abstract: The article draws a brief profile of Alice Harris, the most important missionary pho-tographer during the Congo Reform Campaign. It analyses the main features of her “atrocities photographs” attempting to assess the impact they had on European and American public opinion.

Introduzione

La kodak è stata una dolorosa calamità, il nemico in assoluto più potente che ci siamo trovati di fronte. Nei primi anni non abbiamo avuto alcuna difficoltà a indurre la stampa a presentare i racconti delle mutilazioni come calunnie, menzogne, invenzioni [...] e con l’aiuto della stampa siamo riusciti a far sì che tutte le nazioni cristiane non prestassero ascolto a quei rac-conti [...]. Poi, improvvisamente, la rottura, ovvero l’incorruttibile kodak, e tutta l’armonia andò al diavolo. La sola testimone che, in tutta la mia lunga esperienza, non sono riuscito a corrompere1.

Così Mark Twain immaginava dicesse tra sé e sé re Leopoldo II del Belgio in un scritto di denuncia dei crimini commessi in Congo: Il soliloquio di re Leopoldo, pubblicato nel 1905.

Le fotografie che raggiunsero l’Europa e l’America e che ritraevano gli uomini in catene, curvi sotto la sferza delle guardie, i villaggi devastati, i corpi delle donne e dei bambini mutilati, erano state scattate e divulgate dai missionari e in particola-re dalla missionaria britannica Alice Harris. Esse sollevarono un’ondata di indigna-zione a livello internazionale che condusse nel 1908 alla sottrazione del Libero Sta-to del Congo al controllo del re Leopoldo II e all’attribuzione dell’amministrazione della colonia al parlamento belga.

Per la prima volta la fotografia ebbe un ruolo decisivo in una campagna per i di-ritti umani, la più vasta che si sia verificata nell’arco di oltre un secolo, tra quella per l’abolizione della schiavitù e quella per l’abolizione dell’apartheid, la prima in cui apparve l’espressione “crimini contro l’umanità”2. Alcuni studiosi, infatti, so- 1 Mark Twain, King Leopold’s Soliloquy. A Defense of His Congo Rule, Warren, Boston 1905, pp. 37-38. 2 Adam Hochschild, Gli spettri del Congo, Rizzoli, Milano 2001.

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stengono che da quella mobilitazione a livello internazionale si debba far iniziare la storia dei diritti umani3.

Nelle pagine che seguono, dopo aver ricostruito brevemente il contesto degli avvenimenti, mi propongo di tracciare un breve profilo di Alice Harris, della sua attività in Congo e del ruolo che ebbero le sue fotografie nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica su quanto accadeva nel paese africano.

Alice Seeley Harris: dall’arrivo in Congo alla denuncia delle atrocità (1898-1903)

Poco si conosce di Alice Seely Harris (1870-1970); a tutt’oggi non esiste ancora una biografia e neppure l’Oxford Dictionary of National Biography le dedica un profilo. Ben più noto il marito, John Harris, missionario che consacrò tutta la sua vita alla denuncia della schiavitù in Africa e in Oriente4. Benché egli abbia ricono-sciuto il contributo della moglie alle sue numerose opere, il nome di Alice non compare mai come coautrice accanto al suo. Pochissime sono pure le immagini della missionaria britannica che la ritraggono per lo più in lontananza: nella foresta, sulle canoe, nella veranda della missione, sempre vestita di bianco, capelli raccolti, occhiali dalla montatura leggera. Un unico primo piano, conservato presso la Re-gions Beyond Missionary Union, ci restituisce la sua espressione gentile e volitiva al tempo stesso5.

Le ricostruzioni storiche dell’attività delle missioni in Congo la menzionano so-lo di sfuggita e anche il pregevole documentario prodotto nel 2004 da Peter Bate dal titolo White King, Red Rubber, Black Death – che ricostruisce con rigore i cri-mini commessi in Congo e la campagna a livello internazionale per porre fine al dominio di re Leopoldo II –, pur riproducendo alcune fotografie scattate da Alice 3 A questo proposito si veda Sharon Sliwinski, The Childhood of Human Rights: The Kodak on the Congo, in “Journal of Visual Culture”, vol. 5, 3, 2006, pp. 333-363; Derrick M. Nault, “At the Bar of Public Sentiment”: The Congo Free State Controversy, Atrocity Tales, And Human Rights History, Paper presented at Humanity and Humanitarianism in Crisis, the 7th Annual International Conference of the Asia Association for Global Studies (AAGS), 17-18 March 2012, International Christian Uni-versity, Tokyo, Japan, consultabile in internet all’indirizzohttp://www.academia.edu/1470271/_At_the_Bar_of_Public_Sentiment_The_Congo_Free_State_Controversy_Atrocity_Tales_and_Human_Rights_History. 4 John Harris (1874-1940) si impegnò per l’eliminazione della schiavitù, denunciò la vendita delle bambine per il servizio domestico (le Mui-tsai) a Hong Kong e a Ceylon, lo sfruttamento dei bambini in Kenia, l’oppressione degli afroamericani negli stati meridionali degli Stati Uniti e in Sud Africa; fu tra i primi a intervenire contro l’oppressione degli aborigeni in Australia. Per un profilo del missiona-rio britannico si veda la voce curata da Sybil Oldfield per l’Oxford Dictionary of National Biography, http://www.oxforddnb.com/view/article/40721. 5 Si può ammirare il ritratto in T. Jack Thompson, Light on Darkness? Missionary Photography of Africa in the XIX and Early Twentieth Century, William B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, Michigan-Cambridge UK 2012, p. 184. Una fotografia che la ritrae in cima a una piramide di bambini congolesi a cui insegnava si può osservare, insieme ad altre sue fotografie, all’indirizzo http://www.v2.autograph-abp-shop.co.uk/files/Newspapers/Harris_News_Sheet.pdf.

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Harris, si sofferma appena sull’importanza che esse ebbero nel favorire un movi-mento autenticamente popolare di protesta6.

Solo in tempi molto recenti, sotto la spinta della preoccupazione per quanto ac-cade oggi in Congo, si è assistito ad un interesse nuovo per l’attività della missio-naria7, interesse che ha condotto all’allestimento di due mostre a lei dedicate aperte in questi giorni a Liverpool e a Londra8. Formatasi al Grattan Guinness’s Missio-nary Training Institute di Londra, fino dall’età di 20 anni Alice Seeley avrebbe vo-luto recarsi in Africa rispondendo all’appello del predicatore battista Frederick Brotherton Meyer, ma solo sette anni dopo riuscì a superare le resistenze della fa-miglia9. Nel 1898, immediatamente dopo il suo matrimonio con John Harris, si re-cò in Congo presso la Balolo Mission e poi a Baringa, a 2.400 chilometri all’interno della costa occidentale. Lì si dedicò all’insegnamento dell’inglese, adot-tò due bambini abbandonati e ben presto venne a conoscenza delle crudeltà legate alla raccolta della gomma.

In quegli anni la scoperta del processo di vulcanizzazione aveva dato un forte impulso alla produzione di una vasta gamma di articoli industriali: suole da scarpe, copertoni di biciclette e automobili, rivestimenti per fili elettrici, ecc. L’esportazione della gomma superò in breve tempo quella dell’avorio ed era sem-pre insufficiente rispetto alla domanda. In soli cinque anni, dal 1892 al 1897, au-mentò del 600%, da 250 a 1.500 tonnellate10. La preziosa materia prima era estratta da rampicanti selvatici che si avvolgevano intorno agli alberi delle foreste e risali-vano lungo il tronco alla ricerca della luce; per raggiungerle i raccoglitori dovevano arrampicarsi talvolta per decine di metri. Erano uomini costretti al lavoro forzato, privati della terra e dei mezzi di sussistenza.

La prima violazione commessa dall’amministrazione di re Leopoldo II, che dal Congresso di Berlino del 1884-1885 aveva ottenuto il possedimento personale ed esclusivo del Congo in cambio dell’impegno ad aprire le ricchezze del paese al li-bero commercio e a intraprendere attività umanitarie, fu infatti la sottrazione della terra ai nativi. Nel 1891 il paese fu diviso per decreto in territori disabitati, le cui ricchezze appartenevano allo stato, e territori dati in concessione a compagnie per 6 Il documentario, prodotto dalla ArtMattan di New York, è visibile in internet all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=aUZLtkLA0VE. 7 Si veda in particolare T. Jack Thompson, Light on Darkness?, cit.; Robert M. Burroughs, Travel Writing and Atrocities. Eyewitness Accounts of Colonialism in the Congo, Angola, and the Putumayo, Routledge, London 2011. Ma è stata Sybil Oldfield che già all’inizio degli anni Duemila ha dedicato un ampio profilo alla missionaria. Sybil Oldfield, Doers of the Word. British Women Humanitarians 1900-1950, Continuum, London 2006, pp. 94-95. La ricostruzione della storica britannica si basa su alcuni discorsi di Alice Harris e alcuni articoli su “The Anti-Slavery Reporter and Aborigines’ Friend” del 1912 conservati presso la biblioteca della Anti-Slavery International di Londra. 8 La mostra aperta a Liverpool (24 gennaio-7 settembre 2014) ha come titolo: Alice Seeley Harris Brutal Exposure:The Congo ed è accolta all’International Slavery Museum, http://autograph-abp.co.uk/exhibitions/brutal-exposure; quella aperta a Londra il 16 gennaio (fino al 7 marzo) al Ri-vington Palace ha come titolo “When Harmony Went to Hell”. Congo Dialogues: Alice Seeley Harris and Sammy Baloji http://autograph-abp.co.uk/exhibitions/congo-dialogues. 9 Sybil Oldfield, Doers of the Word, cit. 10 T. Jack Thompson, Light on Darkness?, cit., p. 172.

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lo sfruttamento delle risorse naturali in cui il sovrano manteneva elevate percentua-li dei profitti. Nel frattempo tutti i mercanti stranieri furono esclusi dalla colonia.

Lo sradicamento dalla propria terra, dai mezzi di sussistenza e di scambio, dalla propria concezione della vita11 rappresentava la violenza originaria che, a parere di John Harris, aveva segnato il destino dei popoli nativi:

Il sole, l’acqua, la terra nella concezione degli indigeni non sono tre elementi, ma un solo e-lemento, l’elemento supremo da cui dipende la sussistenza umana. Questa interdipendenza è tale che nell’africano la vendita della terra suscita un orrore pari alla vendita dell’acqua o del sole. Una concezione che è stata distrutta dall’influenza dei bianchi12.

Le compagnie concessionarie, come la Anglo-Belgian India-Rubber and Explo-ration Company (ABIR) inviavano agenti nei più remoti villaggi; ad ogni villaggio veniva attribuita una quota, quasi sempre al di sopra delle forze dei raccoglitori, per un compenso irrisorio, per lo più in natura: piccole cose come anelli, zappe, abiti o liquori. A questa condanna delle quote Alice Harris dedicò alcune fotografie scatta-te nei villaggi e nella foresta.

“Cesti che i nativi sono tenuti a riempire completamente ogni quindici giorni”13.

Alle immagini dei raccoglitori, per lo più ragazzi e bambini, con i loro cesti tra le mani, la missionaria accostava il brano di un ordine ufficiale: 11 I prodotti tratti dalle terre non coltivate erano utilizzati come mezzi di scambio. 12 John Harris, Africa Slave or Free?, Student Cristian Movement, London 1919, pp. 108-109. Si ve-da inoltre Idem, Dawn in Darkest Africa, Smith, Elder and Co., London 1912. In quest’ultima opera, dedicata alla moglie, rivendicando il diritto dei popoli colonizzati alla terra e all’autodeterminazione, scrive: “Il futuro economico dei popoli nativi è determinato dalla percentuale della terra che viene loro sottratta”, Ivi, p. 161. 13 Alice Harris, The Camera and the Congo Crime, Congo Reform Association, London 1906, p. 4. Il testo è ormai di difficile reperibilità; faccio riferimento alla copia conservata presso la biblioteca dell’Università di Bristol.

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Parlate loro in questo modo: “Vai immediatamente nella foresta e se tra una settimana non a-vrai fatto ritorno con 10 libbre di gomma, brucerò la tua capanna e tu stesso brucerai”14.

Un’altra immagine ritrae un ragazzo accanto ai rampicanti che aveva divelto nel disperato tentativo di raggiungere le quote, una pratica che portò in breve tempo all’esaurimento della risorsa naturale. Le punizioni per il mancato rispetto delle quote andavano dalla distruzione dei villaggi, alle sferzate con la chicotte, una fru-sta di pelle essiccata di ippopotamo che causava profonde ferite, alla fucilazione, all’impiccagione – e non mancavano casi di decapitazione e di crocefissione –, alla cattura delle donne e dei bambini come ostaggi. Se i cesti non erano riconsegnati colmi di gomma, venivano riempiti con le mani mozzate degli ostaggi. Erano le donne e i bambini a subire le mutilazioni e le torture più atroci; gli uomini erano maggiormente risparmiati, “altrimenti – come ebbe a dichiarare una “sentinella”– chi avrebbe raccolto la gomma che [era] un lavoro da uomini?”15.

Lo strumento del regime di terrore era una forza di polizia composta da nativi al comando di ufficiali belgi. A causa delle violenze, delle privazioni, della sottrazio-ne della terra, delle stragi, della diminuzione della natalità, si calcola che la popola-zione del Congo dal 1890 al 1910 si sia dimezzata16. Scrive Hannah Arendt citando Victory di Joseph Conrad a proposito della facilità di uccidere e far uccidere i nati-vi:

Non si assassinava un uomo se si uccideva un indigeno, bensì una larva, nella cui realtà vi-vente quegli individui non potevano in ogni caso credere. La vita indigena assumeva ai loro occhi la parvenza “di un mero gioco d’ombre. Un gioco d’ombre, attraverso il quale la razza dominatrice poteva procedere imperturbata e inosservata nel proseguimento dei suoi fini e bi-sogni incomprensibili”17.

La campagna per i diritti umani 1890-1904

La campagna per i diritti del popolo congolese aveva preso avvio dalla lettera aperta che George Washington Williams18, pastore protestante, storico e avvocato afroamericano, indirizzò a re Leopoldo II il 18 luglio 1890 in cui denunciava le uc-cisioni, le torture, il lavoro forzato e il commercio di schiavi che insanguinavano e spopolavano il Congo19. In quel breve scritto Williams anticipava tutti i temi prin-cipali che saranno al centro della campagna umanitaria che si avviò dieci anni più tardi. 14 Ibidem. 15 Congo Reform Association, The Treatment of Women and Children in the Congo State (1895-1904). An Appeal to the Women of United States of America. Selections from a Pamphlet of E. D. Mo-rel, with Comment by Robert Park, Congo Reform Association, Boston 1904, p. 17. Dichiarazione alla Commissione di inchiesta presieduta da Roger Casement di cui si dirà più avanti. 16 Per una valutazione delle cause molteplici della mortalità rinvio a Adam Hochschild, Gli spettri del Congo, cit., pp. 274-285. 17 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo (1966), trad it. di Amerigo Guadagnin, Edizioni di Comunità, Milano 1996, p. 265. 18 Si veda la biografia di Franklin John Hope, George Washington Williams: A Biography, Chicago, University of Chicago Press, Chicago 1985; per un breve, ma accurato profilo: Adam Hochschild, Gli spettri del Congo, cit., pp. 128-144. 19 Sharon Sliwinski, The Childhood of Human Rights, cit., p. 334.

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La lettera, in cui si chiedeva alla comunità internazionale di intervenire “in no-me dell’Umanità” per far rispettare il trattato di Berlino del 1885, fu poi stampata in forma di libello e inviata alla stampa americana e britannica.

Mi appello alle potenze che hanno affidato questo giovane paese a vostra Maestà e ai grandi stati che lo hanno riconosciuto a livello internazionale e delle cui leggi vi siete fatto beffe e che avete calpestato, perché nominino una Commissione internazionale che faccia luce sulle accuse qui contenute in nome dell’Umanità, del Commercio, del Governo Costituzionale e della Civiltà Cristiana [...]. Rivolgo il mio appello alle Società contro la schiavitù in ogni pae-se cristiano, ai filantropi, ai cristiani, ai capi di stato e alla grande massa del popolo affinché chiedano ai governi europei di affrettarsi per porre fine alla tragedia che la monarchia assoluta di sua Maestà sta mettendo in atto in Congo20.

In una lettera inviata successivamente al segretario di Stato americano Williams utilizzava per la prima volta l’espressione “crimini contro l’umanità”21. Quando il pastore afroamericano si era recato in Congo, la ricchezza del paese ad essere mag-giormente sfruttata era l’avorio e le atrocità a cui aveva assistito non erano che il preludio di altre ancora più terribili e più estese. Per oltre dieci anni, tuttavia, le condizioni nella colonia non sollevarono alcuna protesta pubblica, fino a che, alla fine degli anni Novanta, Eduard Dene Morel22, impiegato presso una società com-merciale di Liverpool, dall’analisi dei libri contabili della ditta e dalle sue ispezioni al porto di Anversa, non intuì che alla base del commercio con il Congo doveva es-serci il lavoro forzato: in cambio della gomma e dell’avorio i congolesi non riceve-vano nulla. E per di più una grande quantità di armi prendeva regolarmente la via del paese africano. “Ero incappato in una società di assassini capeggiata da un re”23 e iniziò a indagare e a raccogliere prove. In un primo tempo la principale preoccu-pazione di Morel era quella di aprire il Congo al libero commercio, successivamen-te, grazie all’amicizia con l’etnologa Mary Kingsley24, maturò convinzioni assai più radicali sui diritti dei nativi alla terra e all’autodeterminazione25.

Se Morel aveva intuito l’esistenza della schiavitù a migliaia di chilometri di di-stanza, qual’era la reazione di coloro che ne erano i diretti testimoni, ovvero i mis-sionari, gli unici, a parere di John Harris, a conoscere la lingua e le tradizioni dei nativi? Per anni gran parte dei missionari, nel timore che il governo belga, da cui dipendevano per i permessi, i trasporti, la sicurezza e il lavoro, impedisse loro di 20 La lettera è consultabile all’indirizzo http://www.blackpast.org/george-washington-williams-open-letter-king-leopold-congo-1890. 21 Adam Hochschild, Gli spettri del Congo, cit., p. 141. 22 Una pregevole biografia di Morel, che si sofferma sulla sua attività pacifista durante la Grande guerra come fondatore della Union of Democratic Control, è quella di Catherine Ann Cline, E. D. Morel, 1873-1924: the Strategies of Protest, Balckstaff, Belfast 1980. 23 Adam Hochschild, Gli spettri del Congo, cit., p. 224. 24 Mary Henrietta Kingsley (1862-1900) fu tra le prime a considerare le società africane come società strutturate e coese, spezzate dal colonialismo e dai pregiudizi dei missionari. La sua opera principale, un testo etnologico e di viaggio è Travels in West Africa: Congo Français, Corsico and Cameroons, Macmillan, London-New York 1897. 25 Su questo tema si veda il suo scritto più dettagliato: Edmund Dene Morel, A Memorial on Native Rights in the Land and Its Fruits in the Congo Territories Annexed by Belgium (Subject to Internatio-nal Recognition) in August 1908, Congo Reform Association, London 1908.

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stabilirsi o di inoltrarsi nel paese, si dimostrarono riluttanti a divulgare le notizie dei crimini a cui assistevano e diedero la priorità al lavoro di evangelizzazione26.

Molti altri, tuttavia, tra cui John e Alice Harris, erano convinti che la missione civilizzatrice dovesse piuttosto rivolgersi all’occidente cristiano, e iniziarono anch’essi a raccogliere prove e a scrivere rapporti dando unendosi a un movimento di pressione che nel 1903 costrinse Lord Lansdowne, segretario del British Foreign Office, a nominare una commissione di inchiesta presieduta dal console di Boma Roger Casement27. In questa atmosfera in fermento apparve il racconto di Joseph Conrad, Cuore di tenebra basato sulla sua esperienza in Congo nel 1890 in cui, at-traverso il personaggio di Kurz, condannava l’avidità degli europei e gli orrori da essi compiuti28.

I coniugi Harris collaborarono molto attivamente all’inchiesta di Roger Case-ment fornendo prove e informazioni, raccogliendo testimonianze, scattando foto-grafie, segnalando la pratica diffusa di decapitare le donne per impadronirsi dei lo-ro collari di ottone29. Per portare avanti il suo impegno nella denuncia delle atrocità Alice Harris aveva lasciato i suoi bambini – l’ultimo nato aveva appena sei setti-mane – alle cure di amici in Inghilterra, ben sapendo che avrebbe potuto trascorrere molto tempo prima che potesse rivederli30. Il rapporto Casement, concluso nel di-cembre 1903, fu pubblicato solo l’11 febbraio nel 190431; esso confermò tutte le denunce di lavoro forzato, torture, uccisioni e mutilazioni e lanciò l’allarme per la diminuzione della popolazione. Il rapporto inoltre sfatò il mito che attribuiva agli indigeni l’antica consuetudine di tagliare le mani per dimostrare il loro coraggio32. Per la prima volta le atrocità che il sovrano del Belgio aveva cercato di occultare erano venute alla luce e le ritorsioni non si fecero attendere.

Nell’estate 1904 la ABIR vietò a chiunque di vendere cibo e offrire lavoro alla missione di Baringa e un agente della compagnia, Raoul Van Calcken, ordinò alle sue guardie di tormentare gli Harris, “sparando sulla missione e nelle vicinanze a 26 Kevin Grant, Christian Critics of Empire: Missionaries, Lantern Lectures, and the Congo Reform Campaign in Britain, “ The Journal of Imperial and Commonwealth History”, vol. 29, 2, 2001, pp. 27-58. 27 Su Roger Casement, giustiziato nel 1916 per aver preso parte all’insurrezione irlandese, si veda: Brian Inglis, Roger Casement, Hodder and Stoughton, London 1973. 28 Sul coinvolgimento di Conrad nel movimento di riforma si veda Hunt Hawkins, Joseph Conrad, Roger Casement, and the Congo Reform Movement, “Journal of Modern Literature”, vol. 9, 1, 1981-1982, pp. 65-80. 29 Ibidem 30 Sybil Oldfield, Doers of the Word, cit., pp. 94-95. 31 La pubblicazione incontrò resistenze, in particolare da parte di Alfred Jones, proprietario della linea di navigazione che aveva il monopolio delle merci che dal Congo erano dirette ad Anversa. Per affret-tare la pubblicazione Roger Casement chiese il sostegno di Joseph Conrad che aveva conosciuto anni prima in Congo. Hunt Hawkins, Joseph Conrad, Roger Casement, and the Congo Reform Movement, cit., p. 69. 32 William Roger Louis, Roger Casement and the Congo, “The Journal of African History”, vol. 5, 1, 1964, pp. 99-120.

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tutte le ore del giorno”33. Fu in queste circostanze che Alice Harris inviò le sue prime fotografie in Inghilterra.

Minacciati di morte, privi del sostegno delle autorità britanniche in una terra sotto legge marziale, John e Alice tornarono temporaneamente in patria. La loro missione non era più quella di portare il cristianesimo in Africa, ma di accusare l’Occidente cristiano per i suoi crimini. Un simile orientamento critico nei confron-ti del lavoro di evangelizzazione, così come era comunemente inteso, si rispecchia anche in alcune fotografie di Alice Harris, in particolare in Mr. Stannard Preaching at Iyonji che ritrae un missionario di Baringa circondato dai neoconvertiti; nella di-dascalia si legge: “La gente continua a gridare a gran voce: Salvateci dalla gomma; questa è l’unica salvezza che vogliamo”34. Poche settimane dopo la pubblicazione del Rapporto Casement, il 23 marzo 1904, alla Liverpool’s Philarmonic Hall veni-va ufficialmente fondata la Congo Reform Association (CRA) per iniziativa di Ro-ger Casement e Edmund Dene Morel, un gruppo composito formato di missionari, umanitari e uomini d’affari che l’abilità di Morel seppe unire in un potente gruppo di pressione. In quell’occasione si dichiarò che il compito più importante dell’associazione era la diffusione delle notizie sulle atrocità. Le fotografie erano lo strumento privilegiato della propaganda ed esse iniziarono ad essere diffuse sulla stampa e sulla pubblicistica dell’Associazione. Nel settembre 1905 il giornale fon-dato e diretto da Edmund Dene Morel, “The West African Mail” pubblicava un ar-ticolo fotografico che conteneva numerosi scatti di Alice Harris. Anche la sua ope-ra più importante, King Leopold’s Rule in Africa, era illustrata dalle sue fotografie. Nello stesso anno lo scrittore americano Mark Twain, attivo nel movimento per la riforma del Congo, inseriva la fotografia più nota di Alice Harris, Nsala of Wala, nel suo Soliloquio di re Leopoldo. Nello stesso anno anche il giornale australiano “The Advertiser”, in un articolo dal titolo The Kodak Cannot Lie, portava come prova inoppugnabile dei crimini commessi in Congo le immagini di Alice, con i nomi, i luoghi, le circostanze35. Nel 1906 il New York American pubblicò una serie di articoli sulle atrocità in Congo, sempre illustrati dalle fotografie della missiona-ria britannica. E gli esempi potrebbero continuare a lungo.

Dopo la pubblicazione del rapporto Casement stragi e mutilazioni non accenna-rono a diminuire. Nell’autunno 1904, venuti a conoscenza di un terribile massacro avvenuto nel villaggio di Bongwonga ad opera degli agenti della ABIR, gli Harris si misero in viaggio alla ricerca di superstiti che potessero testimoniare sull’accaduto. Trascorsero giorni e giorni nella foresta dove si erano rifugiati i so-pravvissuti e raccolsero i loro racconti che poi riportarono nell’opuscolo “Botofé bo le iwa”. “Rubber is Death”: the Story of the Bongwonga Rubber Collectors. In una lettera a Edmund Dene Morel, John Harris affermò che l’opuscolo era stato scritto a quattro mani con la moglie, ma anche in questo caso solo lui appare come 33 Kevin Grant, Christian Critics of Empire: Missionaries, Lantern Lectures, and the Congo Reform Campaign, cit., pp. 27-58. 34 Robert M. Burroughs, Travel Writing and Atrocities. Eyewitness Accounts of Colonialism in the Congo, Angola, and the Putumayo, Routledge, London 2011, p. 96. 35 Derrick M. Nault, “At the Bar of Public Sentiment”, cit.

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l’autore36. “Quando, uno dopo l’altro – si legge nello scritto – ci narravano questi orrori, ci siamo vergognati della nostra pelle bianca”37. Iniziò allora la fase più in-tensa del loro impegno a favore dei congolesi che diede al movimento per la rifor-ma un sostegno di massa. Morel aveva annunciato che il movimento per la riforma del Congo avrebbe eguagliato il movimento abolizionista, ma né lui, né Fox Bour-ne, segretario della Aborigenes’ Protection Society, avevano esperienza di mobili-tazione politica e la loro influenza si limitava agli ambienti commerciali interessati al libero mercato della gomma, agli ambienti politici e della stampa. Non così i co-niugi Harris che condividevano le posizioni radicali sulla terra di Morel, ma che desideravano che il loro messaggi raggiungessero ampi strati dell’opinione pubbli-ca. Il 19 agosto 1905 John Harris scriveva a Morel: “Tu ti rivolgi alle classi istruite e ai politici, ciò che voglio fare io è rivolgermi alla mente popolare”38. E lo stru-mento per toccare le corde dell’immaginazione e del cuore era la lanterna magica.

La lanterna magica di Alice Harris 1905-1907

“Conferenza con proiezioni sulle atrocità in Congo. 60 eccellenti diapositive dalle fotografie della signora Harris di Baringa, Congo”39.

Con queste parole venivano annunciati gli eventi, tra lo spettacolare e l’informativo, che gli Harris a nome della CRA organizzarono in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e a cui parteciparono migliaia di persone. La locandina elencava le didascalie delle diapositive che si potevano anche acquistare a poco prezzo. Nel complesso dal 1903 al 1910 Alice Harris proiettò le sue diapositive in non meno di 600 assemblee (di cui 200 negli Stati Uniti in ben 49 città), nelle cappelle battiste, congregazionaliste e nelle sedi dei quaccheri. Le narrazioni, le immagini, il canto di inni, le preghiere, gli appelli alla nozione cristiana del dovere e della responsabi-lità avevano un forte impatto emotivo su coloro che assistevano alle proiezioni. A Chicago, una donna anziana afroamericana che era stata schiava offrì ad Alice Har-ris i risparmi di tutta la sua vita e nel Galles una donna le consegnò tutti i suoi gioielli40. Ovunque, infatti, erano le donne a partecipare più numerose alle assem-blee pubbliche, a dimostrarsi ansiose di agire e di far circolare lettere e petizioni. Nel 1906, dopo un ciclo di conferenze in molte città americane, lettere e petizioni furono una valanga. Così i due missionari britannici scrissero entusiasticamente a Morel: “Arrivano migliaia di telegrammi, petizioni, lettere private [...] ancora un po’ di pressione e il presidente interverrà”41.

Non è difficile immaginare il tenore dei discorsi e delle prediche tenuti nel cor-so di quelle serate: il tradimento della missione civilizzatrice riconosciuta dal Con-gresso di Berlino a re Leopoldo II, gli appelli alla responsabilità cristiana e 36 Robert M. Burroughs, Travel Writing and Atrocities, cit., p. 135. 37 John Harris, Rubber is Death: the Story of the Bonguronga Rubber Collector, London s.d., p. 21. 38 Kevin Grant, Christian Critics of Empire, cit., p. 41. 39 La locandina è riprodotta in T. Jack Thompson, Light on Darkness?, cit., p. 231. 40 Adam Hochschild, Gli spettri del Congo, cit., pp. 264; 295. 41 Ivi, p. 295.

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all’autorità morale della Gran Bretagna, i doveri della comunità internazionale, ma anche la questione della terra e il tema della sproporzione tra le sofferenze causate dall’estrazione delle risorse naturali e la futilità degli usi a cui erano destinate. Scriverà John Harris in un’opera a cui la moglie aveva ampiamente contribuito:

Coloro che simpatizzano per la teoria del “negro indolente” farebbero bene a trascorrere un’ora al porto di Liverpool e osservare quel continuo flusso di carretti carichi di tonnellate e tonnellate di mogano per i nostri tavoli, semi di cacao per le nostre cioccolate, gomma per le nostre auto, olio di palma per i nostri saponi, semi il cui olio sarà indicato nelle etichette come “fine olio per condire” o “nutriente margarina”. Anche altre merci arrivano a vagoni: canapa e cotone, noci, pelli, ebano e avorio, un vero e proprio fiume che giunge al cuore dell’impero britannico senza sosta42.

In un mondo reso interdipendente dal commercio non si poteva ignorare ciò che avveniva in luoghi remoti del pianeta e che inevitabilmente aveva implicazioni nel-la vita quotidiana in Occidente. Tra le 60 immagini che Alice Harris proiettava con la sua lanterna magica, la più nota è quella che ritrae un uomo, Nsala, accanto alla mano e al piede della sua figlioletta di cinque anni: Nsala of Wala With His Dau-ghter’s Hand and Foot, una immagine divenuta una icona al pari della madre mi-grante di Dorothea Lange.

“Nsala di Wala, con la mano e il piede della sua figlioletta di cinque anni – tutto ciò che ri-maneva dall’incursione delle sentinelle cannibali”43.

42 John Harris, Dawn in Darkest Africa, cit., p. 126. 43 Alice Harris, The Camera and the Congo Crime, cit., p. 11.

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Il silenzio in cui è immersa la scena, lo sguardo di Nsala, che pare assorto nella rievocazione della sua bambina, e quello che i nativi sullo sfondo rivolgono a Nsa-la, conferiscono un’atmosfera di solennità a tutta l’inquadratura. Di fronte all’oltraggio estremo alla vita e alla dignità umana, Nsala e gli osservatori della scena, sia all’interno che all’esterno della fotografia, ammutoliscono e pare che il tempo si sia fermato. L’uomo era giunto alla missione reggendo tra le mani il ma-cabro fagotto e Alice lo aveva pregato di posare per una fotografia nella veranda della missione. Una pubblicazione che contiene una selezione di immagini a cura della stessa missionaria, l’unica opera che porti il suo nome, e dalla quale sono trat-te le immagini che corredano questo saggio, apparve nel 1906 a cura della CRA.

Donna Boaji mutilata dalle “sentinelle”44 Ventitré fotografie accompagnate da citazioni tratte dalle commissioni di in-

chiesta, dai discorsi di religiosi, dalle testimonianze dei capi nativi, dalle dichiara- 44 Alice Harris, The Camera and the Congo Crime, cit., p. 16.

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zioni di John Harris, ritraggono i villaggi prima dell’arrivo dei mercanti della gomma, i raccoglitori, gli ostaggi, “le sentinelle”, le mutilazioni, l’albero delle fuci-lazioni e delle impiccagioni, ma anche uomini, tutt’altro che “negri indolenti”, in-tenti al disboscamento, alla fabbricazione dei mattoni e alla costruzione delle abita-zioni. Se, come osserva Hannah Arendt, agli occhi degli europei gli indigeni non erano che “irreali fantasmi”, “esseri naturali”, privi dello specifico carattere umano così che essi non si rendevano conto di commettere un omicidio quando li uccide-vano, nell’obiettivo di Alice Harris essi riacquistano tutta la loro umanità e indivi-dualità; la fotografa ritrae persone violate, dignitose, consapevoli.

Nella maggior parte delle fotografie scattate da altri missionari, come in quelle del reverendo Armstrong, sono gli arti mutilati ad essere in primo piano; essi spic-cano, appoggiati sugli abiti bianchi fatti indossare ai nativi, o addirittura vengono sostenuti dai missionari stessi e rivolti verso l’obiettivo. Nel repertorio di Alice Harris, al contrario, normalmente sono i volti a dominare la scena, la loro bellezza, l’intensità dei sentimenti che esprimono e i loro sguardi, ora sconcertati, ora dispe-rati, ora malinconici, ora adirati, come nell’immagine che ritrae la donna mutilata del piede e in quella di due nativi del Nsongo accanto ai reverendi Harris e Stan-nard che reggono tra le mani quelle di due uomini del loro villaggio, Lingomo e Bolengo. Anche per quei poveri resti, infatti, Alice Harris volle ricordare i nomi di coloro a cui appartenevano.

“Nativi del distretto di Nsongo con le mani di due abitanti del loro stesso villaggio Lingomo e Bolengo assassinati dalle “sentinelle” nel maggio 1904. I due uomini bianchi sono il reveren-do J. H. Harris e il reverendo Edgar Stannard”45.

45 Fonte: Alice Harris, The Camera and the Congo Crime, cit., p. 9.

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Conclusione

Nel 1910, quando il Congo era già stato sottratto al controllo del re Leopoldo, gli Harris collaborarono con la British and Foreign Anti-Slavery and Aborigenes’ Protection Society denunciando lo sfruttamento dei nativi nell’estrazione dell’olio di palma che aveva sostituito la gomma selvatica – ormai soppiantata da quella di piantagione – come materia prima principale di esportazione. Nel 1911 essi intra-presero un viaggio di oltre 10.000 chilometri nelle foreste tropicali congolesi, in vaporetto, in canoa, a piedi, per documentare le nuove condizioni del paese. Da quel viaggio esplorativo trassero la convinzione che non esisteva alcuna garanzia che l’antico sistema non potesse rivivere. Il diritto dei nativi alla terra continuava a essere negato come pure quello di utilizzare i prodotti della loro terra; gli antichi funzionari governativi non solo non erano stati rimossi, bensì avevano ricevuto promozioni e le risorse naturali erano estratte con indicibile sofferenza. Il lavoro forzato era la regola nelle opere pubbliche e John Harris avanzava il timore che il lavoro nelle piantagioni e nelle miniere potesse essere equiparato a lavori di pub-blica utilità46. Il pregiudizio razzista non era stato scalfitto.

Benché nel 1912 la situazione fosse migliorata, una tale descrizione contrasta con l’ottimismo espresso da Morel nel suo ultimo discorso alla CRA nel 1913. In quell’occasione affermò che gli scopi per cui era nata l’associazione erano stati ormai raggiunti: le atrocità erano cessate, il libero commercio ristabilito, lo strapo-tere delle compagnie limitato e la tassazione sui nativi diminuita. Nel frattempo re Leopoldo era morto e la Gran Bretagna aveva riconosciuto il Congo belga; la cam-pagna era ufficialmente chiusa.

In rapporto alla mobilitazione i risultati del movimento per la riforma del Congo appaiono molto limitati; l’enfasi sul libero commercio e sull’autorità morale dell’Inghilterra rivelavano quanto debole fosse la critica al sistema economico e all’imperialismo. Anche il grande impatto emotivo suscitato dalla campagna uma-nitaria si dimostrò effimero. A differenza di quanto era accaduto per il movimento abolizionista – di cui Morel si sentiva l’erede morale – l’indignazione non si era accompagnata ad azioni individuali e collettive di protesta, come atti di disobbe-dienza civile o il rifiuto di consumare merci prodotte con il lavoro schiavo. La campagna, inoltre, aveva ignorato le colonie francesi in Africa in cui per costringe-re i nativi ad estrarre la gomma si adottavano con gli stessi metodi crudeli.

Eppure non si devono sottovalutare alcune conseguenze di grande rilievo: in quegli anni, infatti, nacque un nuovo linguaggio, quello della violazione dei diritti umani e l’espressione “crimine contro l’umanità” comparsa per la prima volta nella lettera di Williams, ritorna in numerosi scritti di grandissima diffusione, in partico-lare nell’opera di Morel, King Leopold’s Rule47. Si rafforzò l’idea della necessità di istituire una corte internazionale di giustizia; la invocò nel 190548 il giornalista 46 Lettera di John Harris a Morel, febbraio 1912, in The Present State of the Congo Question. Official Correspondance Between the Foreign Office and the Congo Reform Association, March 1912, pp. 11-16. 47 E. D. Morel, King Leopold’s Rule in Africa, William Heinemann, London 1904, p. 255. 48 Lo scritto, una intervista a John Harris, dal titolo Ought King Leopold to be Hanged? è riportato in appendice in Mark Twain, King Leopold’s Soliloquy, cit., pp. 45-50.

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William Stead49, che già nel 1901 aveva denunciato le violazioni della Convenzio-ne dell’Aia del 1899 da parte della Gran Bretagna in Sud Africa. Nel 1907 il Fo-reign Mission Board di Stati Uniti e Canada, un’organizzazione che comprendeva 40 associazioni missionarie, si riunì a Filadelfia e chiese una conferenza interna-zionale sul problema del Congo “in nome dell’umanità, della giustizia internazio-nale, dei fondamentali diritti umani”50. L’espressione “diritti umani” iniziò a entra-re nell’uso corrente e nelle coscienze.

L’attività dei missionari contribuì a creare una visione empatica nuova nei con-fronti di popoli colpiti dalla deumanizzazione e le fotografie, osservate da milioni di persone, sopravvissero ai tentativi di re Leopoldo prima, e del governo belga nei decenni successivi, di distruggere e distorcere le prove e ancora oggi, ostinatamen-te, ricordano ciò che è stato. Sono testimonianze di verità tanto più “importanti per un continente la cui storia è costellata da silenzi”51.

Il dominio di re Leopoldo in Congo non è annoverato tra i genocidi del XX se-colo benché l’ondata di terrore che percorse il paese nel corso di un ventennio ab-bia condotto allo sterminio sistematico degli abitanti, alla distruzione dei fonda-menti stessi della sussistenza, materiali e culturali. Alice Harris era consapevole del fatto che le conseguenze di quegli anni drammatici erano ben più gravi di quanto non fosse stato riconosciuto pubblicamente. In Africa, scriveva nel 1912 nell’ “An-ti-Slavery Reporter and Aborigenes’ Friend”, si erano poste le premesse per “l’estinzione definitiva della razza”:

Gli africani hanno avuto le loro società native, le loro istituzioni e le loro scuole da tempi im-memorabili, i loro antichi ordini delle donne e degli uomini e la disintegrazione di questi si-stemi significa la fine e l’estinzione definitiva della razza52.

Da allora Alice Harris continuò per molti anni a tenere conferenze contro la schiavitù, in particolare nelle isole di São Tomé, denunciò i linciaggi in Sud Africa e negli Stati americani del sud.

Era trascorso appena un anno da quando si era conclusa la campagna per i diritti umani in Congo, quando, nell’agosto 1914, in occasione dell’invasione del Belgio e della Francia da parte della Germania, si diffuse la leggenda delle “mains cou-pées”. I soldati tedeschi al loro passaggio avrebbero tagliato le mani ai bambini e nelle immagini della propaganda dei paesi dell’Intesa durante gli anni di guerra i moncherini sanguinanti levati verso il cielo volevano risvegliare l’indignazione per la barbarie del nemico. Quali che fossero i crimini compiuti dai soldati tedeschi, scriveva Marc Bloch nel 1921, essi si erano mescolati ai racconti che avevano col-pito l’immaginazione popolare, erano stati deformati in un sistema di convinzioni 49 William Thomas Stead (1849-1912), giornalista radicale, nel 1890 fondò la “Review of Reviews” che diresse fino all’anno della morte. Si impegnò per l’arbitrato e la limitazione degli armamenti. Nel gennaio 1900 diede vita al comitato Stop the War Committee. Warren F. Kuehl (a cura di), Bio-graphical Dictionary of Internationalists, Greenwood, Westport 1983, pp. 686-688. 50 Citato in Derrick M. Nault, “At the Bar of Public Sentiment”, cit., p. 9. 51 Adam Hochschild, Gli spettri del Congo, cit., p. 369. 52 Da un articolo pubblicato nell’ottobre 1912 in “Anti-Slavery Reporter and Aborigenes’ Friend” ci-tato in Sybil Oldfield, Doers of the Word, cit., p. 96.

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erronee, ma ben “fondat[e] sulla storia”53. Ed è alla storia e alla psicologia sociale che occorre ancora rivolgersi: come era stata accolta in Francia e in Belgio la cam-pagna sugli orrori perpetrati in Congo? Quale lo stato d’animo che può aver portato i civili belgi a trasferire sull’invasore crimini di cui era stato accusato il proprio go-verno e il proprio esercito? A quali modelli o reminiscenze si ispirarono propagan-disti e disegnatori durante gli anni di guerra?

Nelle false notizie delle mani mozzate Marc Bloch indicava un oggetto di studio “molto avvincente per una persona onesta e coraggiosa”, un invito che ancora oggi vale la pena di raccogliere in primo luogo perché lo sfruttamento da parte della propaganda delle sofferenze del “piccolo coraggioso paese” attraverso la leggenda delle mani mozzate ha segnato il culmine del processo di negazione e di dimenti-canza delle atrocità avvenute in Congo.

53 Marc Bloch, Réflections d’un historien sur les fausses nouvelles de la guerre, “Revue de synthèse historique”, t. 33, 1921, cito dall’edizione italiana La guerra e le false notizie, Donzelli, Roma 1994, p. 100.