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IL GRANDEDIO PAN

ARTHUR MACHEN

A D I A P H O R A E D I Z I O N I

Testo originale a fronte

A cura di Matteo Zapparelli Olivetti

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I edizione: aprile 2018, Verona

Proprietà letteraria riservata © Arthur Machen© Associazione Culturale Adiaphora

ISBN 978 88 99593 10 0

Adiaphora [email protected]

Titolo originale: The Great God Pan (1894)Traduzione dall’inglese di Matteo Zapparelli Olivetti basata sul testo dell’edizione americana del romanzo (Arthur Machen, The Great God Pan and The Inmost Light, Boston, Robert Bros., 1895), conservata nella bibliote-ca della Harvard University.

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Frontespizio dell’edizione americana del 1895 illustrata da Aubrey Beardsley, conservata nella biblioteca della Harvard University.

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prefazione

1 – Arthur Machen, narratore di estasi e terrore

Machen nacque a Caerleon-on-Usk nel 1863, battez-zato Arthur Llewellyn Jones, figlio di un pastore an-glicano vicario della piccola parrocchia di Llanddewi Fach. Il cognome Machen, che acquisì solo in seguito, apparteneva alla famiglia materna di origini scozze-si. È proprio la biblioteca paterna a esercitare sul gio-vane Arthur una grande influenza: il futuro scrittore divorò una vasta collezione eterogenea di volumi, tra cui numerosi classici. Il padre lo iscrisse alla Hereford Cathedral School, dove ricevette un’eccellente forma-zione classica. I gravi problemi economici della fami-glia impedirono al giovane Machen di proseguire gli studi all’università per seguire le orme paterne. Si recò quindi a Londra per tentare di accedere alla professio-ne medica, ma a causa della scarsa attitudine alla ma-tematica fallì gli esami di ammissione al Royal College of Surgeons. Fece ritorno in Galles con il sogno di di-ventare giornalista e la famiglia lo rimandò a Londra nel giugno del 1881, diciottenne, dove visse in relativa povertà lavorando come giornalista, impiegato di tipo-

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grafia e precettore.Trascorse la maggior parte del decennio successi-

vo in grave povertà e facendo una lunga gavetta che lo portò a tradurre l’Heptaméron di Marguerite de Na-varre e Le Memorie di Casanova, a scrivere un trattato sul tabacco e una raccolta di racconti pseudo-rinasci-mentali in inglese arcaico, e a farsi strada in una sof-fitta colma di libri esoterici per redigere il catalogo di una libreria. Quest’ultima esperienza fornì a Machen moltissimo materiale, che avrebbe rielaborato nelle sue opere future. Ad esempio, il concetto di una scienza occulta capace di trascendere quella comune si ritrova nella novella Il Grande Dio Pan.

Lo stesso Oscar Wilde definì questo breve romanzo un grande successo, tuttavia Machen si fece influen-zare molto di più dalle numerose critiche, così come avrebbe fatto durante tutta la sua carriera di scrittore. L’opera venne giudicata orribile, oscena, scialba, persi-no sgradevole, ridicola o incoerente. Alcuni condan-narono l’autore per aver rivelato troppo poco, invece che il contrario. Molti recensori hanno rinnovato que-sta critica, in riferimento all’uso allora pionieristico di Machen di una tecnica che sarebbe divenuta un luogo comune della letteratura dell’orrore del ventesimo se-colo: l’accenno ripetuto a cose innominabili e indicibili, che non possono essere descritte in alcun modo e che sfuggono alla comprensione umana. Quest’ambiguità si estende ad altri aspetti del romanzo, in particolare alla struttura narrativa, basata su singoli episodi appa-rentemente scollegati tra loro. Lovecraft vi individuò il maggior punto di forza dell’opera stessa, capace di in-fondere un crescente senso di tensione nel lettore, ma molti si discostarono da questa opinione.

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La seconda metà del decennio fu per Machen pro-duttiva quanto la precedente, nonostante lo scandalo che aveva investito Oscar Wilde e il decadentismo, di cui il gallese era considerato un esponente, gli avesse reso sempre più difficile trovare nuovi editori. Nel 1897 scrisse il romanzo La collina dei sogni (The Hill of Dre-ams) e una raccolta di poemetti fantastici in prosa. Due anni più tardi ultimò il racconto Il Popolo Bianco (The White People, 1899), opera chiave della moderna narra-tiva dell’orrore, e un volume di critica letteraria intitola-to Hieroglyphics. Quello stesso anno, la scomparsa della moglie in seguito a una lunga malattia diede un im-provviso arresto alla produzione letteraria di Machen: nessuna delle opere citate vide la luce prima del 1904.

Quando l’epoca vittoriana giunse a termine, Ma-chen aveva ormai cinquant’anni. A quei tempi aveva già scritto, anche se non sempre pubblicato, la maggior parte delle sue migliori storie dell’orrore. Eppure, riuscì ancora una volta a lasciare il segno quando diede vita inconsapevolmente a una leggenda che si fece strada nell’immaginario collettivo di un’intera nazione. Il 25 settembre del 1914, l’Evening News riportò che una compagnia inglese sotto attacco sul fronte occidentale era stata miracolosamente salvata dall’intervento degli arcieri fantasma di Agincourt. I lettori presero per vera quella storia di fantasia, che diede vita al mito degli An-geli di Mons. Il successo ottenuto permise a Machen di scrivere molti racconti su commissione negli anni successivi, spesso basati sulla leggenda del Graal.

Durante i primi anni ’20 Machen ottenne nuova fortuna letteraria grazie all’apprezzamento del pubbli-co americano nei confronti dei suoi scritti, che vennero raccolti in un’antologia completa. Verso la fine del de-

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cennio, purtroppo, tale fortuna andò di nuovo sceman-do. Pubblicò nuovamente i lavori giovanili in antologie e scrisse saggi e articoli per diverse riviste, tralasciando quasi del tutto la narrativa e trovandosi ancora una vol-ta in povertà. Visse felicemente gli ultimi anni, dopo che nel 1943, ormai ottantenne, venne inserito in una lista di importanti letterati che gli garantì una discreta rendita. Morì ad Amersham nel dicembre del 1947.

Il suo nome rimarrà sempre legato alla sua perso-nale concezione del romanzo gotico dell’orrore di fine ’800, che non smetterà di influenzare numerosi autori e artisti, tra i quali Lovecraft, Stephen King e il regista Guillermo del Toro.

2 – Genesi ed eredità de Il Grande Dio Pan

Arthur Machen pubblicò una prima versione della no-vella sulla rivista The Whirlwind nel 1890, ispirato pro-babilmente dall’ultima opera della poetessa Elizabeth Barrett Browning, A Musical Instrument (1862), nella quale il primo verso di ciascuna strofa si chiude con le parole: «[…] il grande dio Pan». In seguito, revisionò e allungò il testo per darlo alle stampe nella sua versione definitiva del 1894, assieme al racconto La luce interiore (The Inmost Light). L’opera vide la luce all’interno del-la famigerata collana Keynotes Series della casa editri-ce The Bodley Head di John Lane (dalla quale sarebbe nata molti anni più tardi Penguin Books), che contri-buì a definire il decadentismo inglese durante l’ultimo decennio dell’Ottocento.

In seguito all’arresto di Oscar Wilde nel 1895, gli uf-fici londinesi di The Bodley Head in Vigo Street ven-nero assaliti da una folla con numerosi lanci di pietre.

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Quest’isteria generale spiega forse la preoccupazione di Machen di prendere le distanze dal decadentismo, del quale, scrive lui stesso nella prefazione a una ristampa de Il Grande Dio Pan del 1916, non riteneva neppure di far parte.

Il libro scandalizzò la stampa, che lo additò ritenen-dolo orribile e degenerato a causa dello stile decadente e dei riferimenti sessuali, pur guadagnandosi la reputa-zione di classico della letteratura dell’orrore e divenen-do l’esempio per eccellenza del romanzo gotico tardo ottocentesco.

La storia narrata da Machen era, all’epoca, una del-le tante basate sulla figura del dio greco Pan, elevato a simbolo del potere della natura e del paganesimo. Il po-tente fascino esercitato ne Il Grande Dio Pan da Helen su uomini e donne, unito alla repulsione sperimentata al tempo stesso da coloro che la incontrano, rivela mol-to sulla natura ambivalente dell’atteggiamento di fine Ottocento verso la Grecia classica. Nel bel mezzo del mondo industrializzato, materialista e razionale della società tardo-vittoriana, segnato dal progresso scienti-fico, dall’avvento dell’elettricità e dall’Esposizione uni-versale di Londra, si sviluppano un latente desiderio di spiritualità e un interesse segreto per l’occulto, come si evince analizzando il personaggio di Clarke.

Il Grande Dio Pan ebbe una profonda influenza sulla cerchia di autori che orbitavano attorno allo scrittore americano H.P. Lovecraft. La descrizione di una mo-struosa entità semiumana ispirò la trama del racconto L’orrore di Dunwich (The Dunwich Horror, 1929) del so-litario di Providence, nel quale il romanzo di Machen viene persino esplicitamente menzionato. Il raccon-to è un vero e proprio omaggio allo scrittore gallese e

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ai suoi scritti, tanto che il nome stesso della cittadina, Dunwich, potrebbe trarre origine da Il Terrore (The Terror, 1917) di Machen.

Altri autori sono stati in seguito ispirati da Il Grande Dio Pan: Clark Ashton Smith con il racconto Vampi-ro (The nameless Offspring, 1932), che descrive la mo-struosa commistione di umano e sovrannaturale, e Pe-ter Straub con il romanzo La casa dei fantasmi (Ghost Story, 1979). Lo stesso Stephen King, nella postfazio-ne alla sua antologia Al crepuscolo (Just After Sunset, 2008), rivela che il racconto lungo N. in essa contenuto è stato fortemente influenzato dall’opera di Machen, la quale si rivela una delle migliori storie dell’orrore mai scritte, forse la migliore in lingua inglese. Anche Revi-val (Revival, 2014) è stato di certo influenzato dall’opera di Machen. Nel romanzo I diari della falena (The Moth Diaries, 2002) dell’autrice statunitense Rachel Klein, Il Grande Dio Pan viene letto dalla protagonista durante lo svolgersi della storia.

Allo stesso modo di due grandi maestri del sovran-naturale che lo hanno preceduto, Edgar Allan Poe e M.R. James, Machen non impressiona il lettore facendo ricorso a scene violente o apparizioni mostruose, bensì dà vita alla sua oscura magia insinuando un senso di terrore strisciante e di crescente suspense.

Proprio come ne Il ritratto di Dorian Gray (The pi-cture of Dorian Gray, 1890) di Oscar Wilde, l’opera di Machen allude a un male segreto e innominato in ag-guato al di sotto della superficie luccicante della bel-lezza esteriore. Tuttavia, Il Grande Dio Pan parla delle angosce vittoriane circa la libertà sessuale della donna, piuttosto che della decadenza degli esteti: la bellezza non è mai descritta nel dettaglio, a interessare l’autore

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è invece l’effetto che la sensualità e la bellezza hanno sull’anima altrui. La potente capacità di Machen di di-sturbare il lettore non risiede in ciò che descrive, ma in ciò a cui accenna e nei ripetuti improvvisi salti tempo-rali e spaziali.

Eppure, al di là dei trucchi narrativi, giace un più profondo enigma esistenziale che Machen indivi-dua nel paesaggio del Gwent, dove ha inizio la storia. Nell’autobiografia Far Off Things del 1922 lo scrittore gallese descrive il villaggio natio di Caerleon e la cam-pagna circostante, colmando intere pagine di descri-zioni evocative dei luoghi della sua giovinezza e ricor-dando in più occasioni quanto sia stato forte l’impatto della storia del Galles sulla sua personalità. Una terra impregnata di antichità e di leggenda, in cui forti sono l’eredità celtica e quella romana. Per Machen il Gwent non rappresentava soltanto il ricordo dei dolci sogni d’infanzia, ma anche una sorta di portale trascenden-tale in cui il tempo e lo spazio potevano collassare e an-nullarsi, un mezzo grazie al quale comprendere la vera natura dell’universo, al di là del velo ingannatore della quotidianità, proprio come spiega il dottor Raymond nel lungo monologo del primo capitolo de Il Grande Dio Pan.

Nelle opere di Machen si ritrova in più occasioni il concetto platonico di una realtà interiore ed eterna contrapposta a quella esteriore e transitoria. Questo è il motivo per cui Il Grande Dio Pan riesce ancora oggi, nonostante la prosa macchinosa, a farsi strada nel cuo-re dei lettori e a risvegliare il sospetto che la realtà che ci circonda possa essere soltanto percepita, e mai cono-sciuta fino in fondo.

Matteo Zapparelli Olivetti

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IL GRANDE DIO PAN

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the experiment

“I am glad you came, Clarke; very glad indeed. I was not sure you could spare the time.”

“I was able to make arrangements for a few days; things are not very lively just now. But have you no misgivings, Raymond? Is it absolutely safe?”

The two men were slowly pacing the terrace in front of Dr. Raymond’s house. The sun still hung above the western mountain-line, but it shone with a dull red glow that cast no shadows, and all the air was quiet; a sweet breath came from the great wood on the hillside above, and with it, at intervals, the soft murmuring call of the wild doves. Below, in the long lovely valley, the river wound in and out between the lonely hills, and, as the sun hovered and vanished into the west, a faint mist, pure white, began to rise from the hills. Dr. Ray-mond turned sharply to his friend.

“Safe? Of course it is. In itself the operation is a per-fectly simple one; any surgeon could do it.”

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l’esperimento

«Sono felice che tu sia venuto, Clarke. Davvero molto felice. Non ero sicuro che ne avresti trovato il tempo.»

«Sono riuscito a prendere accordi per qualche gior-no. In questo periodo le cose sono abbastanza tran-quille. Ma… non hai alcun timore, Raymond? È del tutto sicuro?»

I due uomini passeggiavano con calma avanti e indietro lungo il terrazzo davanti alla casa del dottor Raymond. Il sole si attardava sulla catena montuosa occidentale, ma brillava di un cupo bagliore rossastro che non proiettava ombre, e l’aria era quieta. Dal va-sto bosco sul pendio superiore della collina proveniva una piacevole brezza e con essa, a intervalli, il delica-to richiamo delle tortore selvatiche. Più in basso, nella lunga e deliziosa vallata, il fiume si snodava tra le col-line solitarie e, mentre il sole svaniva a occidente, una debole e candida nebbia cominciò a salire dalle colline. Il dottor Raymond si rivolse all’amico in tono brusco.

«Sicuro? Certo che lo è. Di per sé, l’operazione è molto semplice: qualsiasi chirurgo potrebbe eseguirla.»

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“And there is no danger at any other stage?”“None; absolutely no physical danger whatsoever,

I give you my word. You are always timid, Clarke, always; but you know my history. I have devoted my-self to transcendental medicine for the last twenty ye-ars. I have heard myself called quack and charlatan and impostor, but all the while I knew I was on the right path. Five years ago I reached the goal, and since then every day has been a preparation for what we shall do tonight.”

“I should like to believe it is all true.” Clarke knit his brows, and looked doubtfully at Dr. Raymond. “Are you perfectly sure, Raymond, that your theory is not a phantasmagoria—a splendid vision, certainly, but a mere vision after all?”

Dr. Raymond stopped in his walk and turned shar-ply. He was a middle-aged man, gaunt and thin, of a pale yellow complexion, but as he answered Clarke and faced him, there was a flush on his cheek.

“Look about you, Clarke. You see the mountain, and hill following after hill, as wave on wave, you see the woods and orchard, the fields of ripe corn, and the meadows reaching to the reed-beds by the river. You see me standing here beside you, and hear my voice; but I tell you that all these things—yes, from that star that has just shone out in the sky to the solid ground beneath our feet—I say that all these are but dreams and shadows; the shadows that hide the real world from our eyes. There is a real world, but it is beyond this glamour and this vision, beyond these ‘chases in Arras, dreams in a career1,’ beyond them all as beyond 1 La citazione fa riferimento alla poesia Dotage del poeta metafisico gallese George Herbert (1593-1633), contenuta nell’an-tologia The Temple del 1633. Il dottor Raymond descrive una vi-

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«E non vi è alcun pericolo per il futuro?»«Nessuno. Assolutamente nessun pericolo sul pia-

no fisico, ti do la mia parola. Sei sempre titubante, Clarke. Sempre. Eppure, conosci la mia storia. Negli ultimi vent’anni ho consacrato me stesso alla medicina trascendentale. Mi sono sentito dare dell’imbonitore, del ciarlatano e dell’impostore, ma per tutto il tempo ho avuto la certezza di trovarmi sulla strada giusta. Cinque anni fa ho raggiunto il mio scopo e da allora ho trascorso ogni giorno in preparazione di ciò che com-piremo stanotte.»

«Mi piacerebbe credere che sia tutto vero.» Clarke aggrottò le sopracciglia e fissò dubbioso il dottor Ray-mond. «Sei davvero sicuro, Raymond, che la tua teoria non sia una fantasmagoria… Una fantasia magnifica, senz’altro, ma dopotutto soltanto una fantasia?»

Il dottor Raymond si fermò e si voltò di scatto. Era un uomo di mezz’età, magro e sparuto, con una pallida carnagione giallognola, eppure nel rispondere e fron-teggiare Clarke un rossore si dipinse sulle sue guance.

«Guardati attorno, Clarke. Vedi la montagna e le col-line che si susseguono una dopo l’altra, come onde. Vedi i boschi e i frutteti, i campi di grano maturo e i pascoli che si allungano fino ai canneti in riva al fiume. Mi vedi in piedi accanto a te e odi la mia voce. Ti dico che tutte queste cose… Sì, da quella stella che ha appena brillato nel cielo al solido terreno sotto i nostri piedi… Ti dico che tutte queste cose non sono che sogni e ombre, le ombre che celano il mondo reale ai nostri occhi. C’è un mondo reale, ma si trova al di là di questo incanto e di questa allucinazione, oltre queste “scene di caccia su un arazzo, fantasie sfrenate”, al di là di esse come al di là

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a veil. I do not know whether any human being has ever lifted that veil; but I do know, Clarke, that you and I shall see it lifted this very night from before another’s eyes. You may think this all strange nonsense; it may be strange, but it is true, and the ancients knew what li-fting the veil means. They called it seeing the god Pan.”

Clarke shivered; the white mist gathering over the river was chilly.

“It is wonderful indeed,” he said. “We are standing on the brink of a strange world, Raymond, if what you say is true. I suppose the knife is absolutely necessary?”

“Yes; a slight lesion in the grey matter, that is all; a trifling rearrangement of certain cells, a microsco-pical alteration that would escape the attention of ni-nety-nine brain specialists out of a hundred. I don’t want to bother you with ‘shop,’ Clarke; I might give you a mass of technical detail which would sound very imposing, and would leave you as enlightened as you are now. But I suppose you have read, casually, in out-of-the-way corners of your paper, that immen-se strides have been made recently in the physiology of the brain. I saw a paragraph the other day about

sione neoplatonica della realtà, nella quale la rivelazione di un più elevato mondo spirituale è l’obiettivo della sua ricerca.

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di un velo. Non so dire se qualche essere umano abbia mai alzato quel velo. Ma so, Clarke, che stanotte tu e io lo vedremo sollevato davanti agli occhi di qualcun al-tro. Penserai che questa sia una bizzarra assurdità. Sarà anche bizzarra, ma è reale: gli antichi sapevano cosa significa sollevare il velo. Chiamavano ciò: “vedere il dio Pan”1.»

Clarke rabbrividì. La bianca foschia che si raccoglie-va sul fiume era gelida.

«È davvero straordinario» disse. «Se ciò che sostieni è vero, Raymond, ci troviamo sull’orlo di un mondo sconosciuto. Suppongo che il bisturi sia assolutamente necessario?»

«Sì. Una minuscola lesione nella materia grigia, tutto qui. Un’insignificante ridisposizione di alcune cellule, un’alterazione microscopica che sfuggirebbe all’attenzione di novantanove neurologi su cento. Non voglio annoiarti con queste nozioni, Clarke: potrei for-nirti un mucchio di dettagli che suonerebbero davvero impressionanti e ne sapresti quanto prima. Ma sup-pongo tu abbia letto, senza darci troppo peso, da qual-che parte sul tuo giornale, quali passi da gigante sono stati fatti di recente nello studio della fisiologia del cer-vello. L’altro giorno ho letto un trafiletto sulla teoria di

1 Pan, metà capro e metà uomo, è la divinità greca dell’Ar-cadia, dei pastori e dei loro greggi, della natura intesa come un’u-nica totalità (panteismo): il nome Pan, infatti, deriva dal greco paein (pân), che significa “pascolare”, ma è anche simile a πᾶν, che significa “tutto”. Il decadentismo, caratterizzato da controtendenza e trasgressione, rese Pan una figura seducente. Machen potreb-be aver trovato ispirazione nel poema di Algernon Swinburne A Nympholept (1917), in cui Pan incarna la deliziosa combinazione di estasi e terrore.

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Digby’s theory, and Browne Faber’s discoveries. The-ories and discoveries! Where they are standing now, I stood fifteen years ago, and I need not tell you that I have not been standing still for the last fifteen years. It will be enough if I say that five years ago I made the discovery that I alluded to when I said that ten years ago I reached the goal. After years of labour, after years of toiling and groping in the dark, after days and nights of disappointments and sometimes of despair, in whi-ch I used now and then to tremble and grow cold with the thought that perhaps there were others seeking for what I sought, at last, after so long, a pang of sudden joy thrilled my soul, and I knew the long journey was at an end. By what seemed then and still seems a chan-ce, the suggestion of a moment’s idle thought followed up upon familiar lines and paths that I had tracked a hundred times already, the great truth burst upon me, and I saw, mapped out in lines of sight, a whole world, a sphere unknown; continents and islands, and great oceans in which no ship has sailed (to my belief) since a Man first lifted up his eyes and beheld the sun, and the stars of heaven, and the quiet earth beneath. You will think this all high-flown language, Clarke, but it is hard to be literal. And yet; I do not know whether what I am hinting at cannot be set forth in plain and lonely terms.

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Digby2 e le scoperte di Browne Faber3. Teorie e scoper-te! Dove loro si trovano adesso io mi trovavo già quin-dici anni fa e non ho bisogno di dirti che negli ultimi quindici anni non sono rimasto con le mani in mano. Basterà dire che cinque anni fa feci la scoperta che ho menzionato quando ho detto che dieci anni fa ho rag-giunto il mio obiettivo. Dopo anni di lavoro, dopo anni passati a faticare duramente e procedendo a tentoni nel buio, dopo giorni e notti di delusioni e a volte di-sperazione, in cui di tanto in tanto tremavo e raggelavo al pensiero che forse vi erano altri in cerca di ciò che io stesso cercavo… Finalmente, dopo tanto tempo, un sussulto di gioia improvvisa mi fece fremere l’anima e seppi che il lungo viaggio era giunto a termine. Grazie a quello che allora mi sembrò, e ancora oggi mi sembra, un caso fortuito, la suggestione di una momentanea e futile idea proseguì lungo percorsi e linee familiari che avevo già tracciato un centinaio di volte e la grande ve-rità piombò su di me. Vidi un mondo intero, una sfera sconosciuta, prendere forma dinanzi a me. Continenti, isole e vasti oceani sui quali nessuna nave ha più na-vigato, per quanto io ne sappia, da quando l’uomo ha alzato gli occhi e visto il sole, le stelle del firmamento e la placida terra sottostante. Penserai che questo sia un linguaggio pomposo, Clarke, ma è difficile essere letterali. Tuttavia, non so se quello che sto insinuan-do possa essere espresso con parole semplici e chiare.

2 Potrebbe trattarsi di un riferimento a Sir Kenelm Digby, medico e alchimista del XVII secolo. Scrisse dei trattati sull’in-terconnessione tra il corpo e lo spirito e si vantava di possedere capacità curative e di essere l’artefice di così tante cure miracolose che i contemporanei lo consideravano un ciarlatano.3 Forse un riferimento al neurologo Charles Brown-Se-quard (1817-1894), coinvolto all’epoca in dispute sulla localizza-zione delle singole funzioni del cervello.