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Michael Pollan Il dilemma dell’onnivoro relazione ed approfondimenti Metodi di ricerca del progetto Prof. Stefano Maffei tutor Elena Giunta Elif Ayalp 735998 Lucia Fontana 735740 Alberto Solazzi 733284 Politecnico di Milano Facoltà del Design CLS I anno a.a. 2008/09

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Michael PollanIl dilemma dell’onnivoro

relazione ed approfondimenti

Metodi di ricerca del progettoProf. Stefano Maffei

tutor Elena Giunta

Elif Ayalp 735998Lucia Fontana 735740

Alberto Solazzi 733284

Politecnico di MilanoFacoltà del Design CLS I anno

a.a. 2008/09

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Indice

Introduzione

Struttura del libro

Tematiche

Parte ILa catena industriale Approfondienti bibliografici

Wandell Berry - “The pleasure of Eating”Betty Fussel – “The story of Corn”Arturo Warman - Corn and Capitalism: How a Botanical Bastard Grew to Global Dominance.by Allan G. Bogue

Approfondimenti tematiciIl contesto socio-economico-politicoLa struttura dell’USDA: una multinazionale??Il sistema delle ExtensionHistoryIl report della National Farmers Union rispetto al mercato agricolo americano (2007)Le Food CompaniesFibersol-2Product Specification

Parte IILa catena pastorale: l’erba

Ritorno a un antico sogno pastorale

L’impero del biologicoUn percorso formativoDomande da farsiL’erba: mille modi di vivere un pastoGli animali:la complessità al lavoroIl macello trasparenteIl popolo senza codice a barreL’esperienza in una cena

Parte IIISchema primordialeDilemma dell’onnivoroDilemma del vegetarianoL‘esperienzaGli animali felici e quelli che soffronoLa cena

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Metodo di ricercaUser Centered Design & Participatory DesignEtnografia e Antropologia Il Cambiamento Tecnologico

I risultati di Pollan

Approfondimenti: le esperienze alternative1. Slow Food vs Food Design Studio

FilosofiaCos’èLa storia...Cosa può are il Food DesignLa progettazione di portata

2. Microrealities3. Milano Expo 2015

Un eco contrarioPollan e il suo progetto di ricerca: “In Defense of Food, An Eater’s Manifesto”Book Review: “In Defense of Food, An Eater’s Manifesto” by Michael Pollan

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Introduzione“Quel grande orto che continuiamo a chiamare terra” recita il titolo del Corriere della Sera di Lunedì 5 gennaio 2009. Ciò ci dà subito l’idea del tema del libro: l’alimentazione, o meglio il sistema di produzione dell’alimentazione su ampia scala. Michael Pollan è un giornalista del New York Times si è cimentato in una virtuosa impresa: posto che la complessità oggi ha rag-giunto anche il cibo e i suoi processi produttivi, commerciali, economici, scegliere cosa man-giare richiede diventare esperti di un settore in profonda evoluzione. L’uomo ha infatti necessità essere informato, o meglio informarsi su ciò che gli sta nel piatto, poichè in realtà non conosce cosa c’è dentro, da dove viene, come è arrivato, etc.L’onnivoro è dunque l’uomo moderno, che ontologicamente parlando è in grado di cibarsi di qualsiasi cosa, la sua indole è rivolta alla varietà ed alla necessità di variabilità, ma la perdita di contatto con la terra (assunta come luogo di produzione del cibo) rappresenta anche una dram-matica serie di dubbi, domande su cosa sia giusto o non giusto mangiare, su cosa sia dannoso o meno, etc.. tutto ciò è dilemma.È l’eterno problema del “nuovo”, rappresentata nel racconto come l’antitesi di neofilia e neofo-bia: il nuovo piace ed è ricercato, ma è affrontato con timore perchè potenzialmente pericoloso.

L’America, storicamente terra di migrazioni e porto di culture generalista, non ha prodotto, assunto, sviluppato una propria tradizione culinaria. Lo si vede, lo si respira passeggiando per le strade della Grande Mela, si respira la diversità e l’apparententemente insolita ma ormai consolidata convivenza di centinaia di culture, e ad ogni pasto è possibile “provare” qualcosa di diverso. In realtà un quinto dei pasti sono consumati in auto, un terzo dei giovani mangia ogni giorno nei fast food, la “Repubblica obesa” si carica ogni giorno di qualche nuovo seguace. Ci sono due altri aspetti veramente significativi del contesto sociale americano in materia di alimentazione: l’esplosione del vegetariano, versione extreme, la conversione di tantissime persone a questa tipologia di alimentazione a cavallo tra biologico e anoressia. Un paradosso, insomma. Ma la grande città, la moda, producono culture dell’alimentazione distorte e perico-lose. L’altro aspetto riguarda la scomparsa dell’angolo cucina nei nuovi flat: ebbene sì, al mas-simo una piastra per farsi il caffè, ma d’altronde ogni occasione è buona per uscire a cena, e ciò significa che possiamo fare a meno dell’angolo cottura.

Probabilmente in paesi come Francia e Italia queste cose non potrebbero esistere, ma anche in questi luoghi europei vi sono neofili, e le nuove mode si importano con facilità e accondis-cendenza, e lo sviluppo di interner e dei social network ne sono uno strumento di rapidissima diffusione su larga scala.Ma torniamo al nostro Pollan: la chiave di lettura che ci siamo proposti di adottare è duplice e parallela; innanzitutto un percorso storico che segna le tappe dell’evoluzione del sistema ali-mentare americano, inoltre un percorso socio-economico che riguarda più da vicino gli aspetti decisionali e le conseguenze ed implicazioni in termini di impatto sociale (cambiamento delle abitudini), economico (mercato), sanitario-ambientale (salute e qualità della vita).L’introduzione si conclude con l’enunciazione delle tre catene alimentari: industriale, biologica (organica), tradizionale o primordiale. Ognuna di esse dà luogo ad una esperienza alimentare relativa, risepttivamente: il pasto fast food, il pasto biologico del supermarket vs. pasto natu-rale, ed infine il pasto primordiale (o perfetto). L’obiettivo è riprendere un contatto con la terra, con il sistema del sostentamento, con la presa di coscienza dell’evoluzione del cibo nell’era moderna.

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“Mangiare è un atto agricolo” sottolineava Wendell Berry* nel 1990. E Pollan aggiunge: “Ma è anche un gesto ecologico e politico.” Nulla di più vero e concreto, se pensiamo come le nos-tre scelte in termini di acquisto di alimenti ( sia al supermercato, sia al ristorante dove di fatto acquistiamo un piatto pronto) sia connesso strettamente con l’utilizzo del mondo e delle sue risorse, ed il futuro di esso e dunque nostro e dei nostri figli.

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Struttura del libro

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Tematiche

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Parte I

Catena industriale

La descrizione dell’impero del mais inizia dalla coda, rappresentata da un moderno supermar-ket: in esso si trova il paradigma della varietà, e l’autore relaziona questo luogo alla foresta, nella quale non sarebbe possibile trovare numeri e quantità analoghe di cibo. Ma ogni cosa che è acquistabile, tangibile, che si tocca con mano, da dove arriva? Che terre ha incontrato? Come è arrivata al reparto ortofrutta metropolitano? La risposta risulta pià o meno la stessa, e il luo-go è da risalire alla Corn Belt, la regione del mais del Midwest americano. Qui si produce tutto il mais degli Stati federali, che è il principale componente di ogni singolo prodotto, attraverso le sue mille forme: sciroppi, malti, lieviti, olii, grassi di varia denominazione, coloranti, acidi, etc..L’impero della varietà e della scelta, il supermercato, non è altro che paladino di una varietà effimera ed apparente: 45.000 prodotti al mais, con 17.000 novità ogni anno. Todd Dawson af-ferma: “L’americano medio è un sacchetto di chips con le gambe.Ma qual è la storia di Zea Mays?(The story of Corn*) Una pianta erbacea dell’America Centrale, che ha colonizzato il mondo.William Cobbett: “il mais è la maggior benedizione che Dio abbia mai donato all’uomo”. Punti di vista, diciamo noi. Dal momento che dall’800 ad oggi sono cambiate innumerevoli cose.Le caratteristiche principali dell’ascesa del mais sono da ricercare nella grande versatilità d’impiego, nella capacità di adattamento al clima, nella resa mediamente più elevata rispetto agli altri cereali, più possibilità di conservazione. Una pianta protocapitalista, che ha determi-nato la traslazione da economia di sussistenza ad economia di mercato. Ma l’uomo, in questo, ha avuto un ruolo determinante.Innanzitutto nel processo di addomesticamento del mais, con la creazione di specie coltiva-bili per la cui riproduzione è stato necessario l’intervento dell’uomo (dal teosinte al mais). Ed inoltre attraverso innumerevoli cause antropiche connesse allo sviluppo dell’agricoltura, come la creazione e l’impiego degli ibridi (semi conciate), l’utilizzo dei concimi chimici a scapito dei cicli biologici, le politiche liberiste senza alcun controllo sulle quote di produzione, la politica dei sussidi statali, le scoperte scientifiche come l’azoto di sintesi (capacità produttiva garantita dalla chimica), etc in altri termini la MONOCOLTURA.

Il sistema alimentare americano si è strutturato ed gestito, consolidato sulla spinta della po-litica, rappresentata dal Ministero dell’Agricoltura, che oggi rappresenta un organo tra i più potenti e influenzanti del potere americano nel mondo. La curiosità sta nel fatto che fin dalla sua costituzione, esso ha sempre rappresentato interessi commerciali privati, dal momento che alla sua dirigenza convergono rappresentanze del mondo agricolo ed industriale, ammesso che ci sia una differenza.Lo USDA*, infatti, stabilisce attraverso le Farm Bill* gli obiettivi da raggiungere, con una logica da business plan di una multinazionale, ricercando (come si legge nella mission) la leader-ship nei settore dell’agricoltura ma anche dello sfruttamento delle risorse energetiche e, più esteso, naturali. Tutto ciò affiancandosi della più moderna sperimentazione e ricerca scienti-fica, con organi di ricerca estesi su tutto il territorio federale, colalborando con le università e i centri ricerca, e da qui fino alle associazioni dei farmers (National Farmers Union*), attraverso programmi specializzati di educazione (es. eXtension Web*) e divulgazione dei nuovi progressi

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scientifico-tecnologici, nonchè la creazione di una classe dirigente e profili di alto livello per sostenere il sistema delle farm come vere e proprie industrie di produzione delle commodities.Dal’altro lato (o dallo stesso) stanno le Food Companies, che forniscono al farmer le sementi ed i fertilizzanti, prendono il raccolto e lo lavorano scomponendolo molecolarmente nei com-ponenti principali per poi ricomporre nuovi alimenti progettati, forniscono i mangimi aI CAFO (allevamenti intensivi), macellano le carni e le inviano al sistema della Food Comsumer Produc-tion o della Global Distribution.Il consumatore finale è all’oscuro di tutti questi processi, ma è l’elemento finale chiave in quanto “consumatore”, soggetto economico che sceglie l’acquisto e determina un utile per il sistema.La presenza del mais così consistente ma invisibile attorno a noi è principalmente determinata dal fatto che la produzione non ha mai conosciuto un arresto in termini di crescita quantitativa, pertanto è stato necessario trovare nuove strade di applicazione per poter smaltire e movimen-tare i flussi di mais: la nutrizione degli animali, la creazione di nuovi prodotti alimentari comp-lessi per l’uomo, l’utilizzo energetico nei biocarburanti.

La catena industriale presenta un dettaglio più profondo: se è vero che il mais è presente in maniera incontrastata, l’uomo ha giocato il ruolo fondamentale di sfruttamento economico di questa risorsa.Le strategie economiche rispetto all’alimentazione sono state sviluppate nel corso degli ultimi decenni dalle grandi catene del cibo: McDonalds & co. Come fare mangiare di più le persone se lo stomaco è in qualche modo legato ad una fissità biologica della quantità di cibo che può ingerire? Ecco che la Food Technology si è adoperata per produrre maggiore varietà possibile con un solo prodotto di base multiforme, oltre che produrre sostanze indigeribili che non ci portano nutrizione e pertanto possiamo mangiarne all’infinito, superando l’orizzonte della sazietà. L’amido resistente, per esempio, il Fibersol-2*, con tanto di brevetto di Matsutani Chemical Industry, ma già acquistato da giganti come ADM (Archer Daniels Midlands)*. Un’altra strategia riguarda l’aumento graduale della porzione one–person di cibo, per smaltire più merce, ad un consumatore che è disposto a pagare anche un pò di più. (Supersizing)Ogni nuovo prodotto contiene maggiore varietà di componenti derivati da mais, poi si opera una scelta “di gusto”: si tolgono quanti più componenti possibili senza che il gusto al palato ne risenta, contenendo quanto più possibile i costi. Ecco perchè 4 centesimi di mais diventano 4 dollari! La teoria (e la pratica) del valore aggiunto al prodotto.Posto che dunque la CocaCola è fatta per il 100% di mais, l’esperienza di Pollan si conclude con la presentazione dei risultati: ognuno ogni anno ingerisce circa una tonnellata di mais (piuttosto impensabile ma è così), e un pasto in auto per 3 persone (Cheeseburget, Cobbsalad e McNug-gets, giustamente differenziato, c’è un target da rispettare!) equivale al consumo di un intero bagagliaio dell’auto stessa (non ci è dato sapere se fosse una station wagon e quanti litri conte-nesse). In ogni caso, cifre, esempi significativi.In aggiunta ad esso la dimensione sociale, quale perdita della convivialità del cibo, del piacere della tavola in comunione con altre persone, oltre che la dimensione economica: più calorie pro capite, più spreco di risorse rinnovabili per produrle (combustibili fossili, nochè l’humus del suolo americano), più inquinamento sanitario-ambientale.Che senso ha dunque trascurare gli effetti che questo sistema sta causando sull’uomo e la sua sopravvivenza, in nome di una logica economica che troppo spesso, pur essendo “governata” da uomini, sembra esserne al di sopra?

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Titolo

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Approfondimenti bibliografici

Wendell Berry – “The Pleasures of Eating” (from What are people for?)

Many times, after I have finished a lecture on the decline of American farming and rural life, someone in the audience has asked, “What can city people do?”“Eat responsibly,” I have usually answered. Of course, I have tried to explain what I meant by that, but afterwards I have invariably felt that there was more to be said than I had been able to say. Now I would like to attempt a better explanation.I begin with the proposition that eating is an agricultural act. Eating ends the annual drama of the food economy that begins with planting and birth. Most eaters, however, are no longer aware that this is true. They think of food as an agricultural product, perhaps, but they do not think of themselves as participants in agriculture. They think of themselves as “consumers.” If they think beyond that, they recognize that they are passive consumers. They buy what they want-or what they have been persuaded to want-within the limits of wifery of the old household food economy. But one can be thus liberated only by entering a trap (unless one sees ignorance and helplessness as the signs of privilege, as many people apparently do). The trap is the ideal of industrialism: a walled city surrounded by valves that let merchandise in but no conscious-ness out. How does one escape this trap? Only voluntarily, the same way that one went in: by re-storing one’s consciousness of what is involved in eating; by reclaiming responsibility for one’s own part in the food economy. One might begin with the illuminating principle of Sir Albert Howard’s The Soil and Health, that we should understand “the whole problem of health in soil, plant, animal, and man as one great subject.” Eaters, that is, must understand that eating takes place inescapably in the world, that it is inescapably an agricultural act, and that how we eat determines, to a considerable extent, how the world is used. This is a simple way of describing a relationship that is inexpressibly complex. To eat responsibly is to understand and enact, so far as one can, this complex relationship. What can one do? Here is a list, probably not definitive:Participate in food production to the extent that you can. If you have a yard or even just a porch box or a pot in a sunny window, grow something to eat in it. Make a little compost of your kitchen scraps and use it for fertilizer, Only by growing some food for yourself can you become acquainted with the beautiful energy cycle that revolves from soil to seed to flower to fruit to food to offal to decay, and around again. You will he fully responsible for any food that you grow for yourself, and you will know all about it. You will appreciate it fully, having known it all its life.Prepare your own food. This means reviving in your own mind and life the arts of kitchen and household. This should enable you to eat more cheaply, and it will give you a measure of “qual-ity control’’: you will have some reliable knowledge of what has been added to the food you eat.Learn the origins of the food you buy, and buy the food that is produced closest to your home. The idea that every locality should be, as much as possible, the source of its own food makes several kinds of sense. The locally produced food supply is the most secure, the freshest, and the easiest for local consumers to know about and to influence,Whenever possible, deal directly with a local farmer, gardener, or orchardist. All the reasons listed for the previous suggestion apply here. In addition, by such dealing you eliminate the whole pack of merchants, transporters, processors, packagers. and advertisers who thrive at the expense of both producers and consumers.Learn, in self-defense, as much as you can of the economy and technology of industrial food production. What is added to food that is not food, and what do you pay for these additions?

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Learn what is involved in the best farming and gardening.Learn as much as you can, by direct observation and experience if possible, of the life histories of the food species.The last suggestion seems particularly important to me. Many people are now as much es-tranged from the lives of domestic plants and animals (except for flowers and dogs and cats) as they are from the lives of the wild ones. This is regrettable, for these domestic creatures are in diverse ways attractive; there is much pleasure in knowing them. And farming, animal hus-bandry, horticulture, and gardening, at their best, are complex and comely arts; there is much pleasure in knowing them, too.It follows that there is great displeasure in knowing about a food economy that degrades and abuses those arts and those plants and animals and the soil from which they come. For any-one who does know something of the modern history of food, eating away from home can be a chore. My own inclination is to eat seafood instead of red meat or poultry when I am traveling. Though I am by no means a vegetarian, I dislike the thought that some animal has been made miserable in order to feed me. If I am going to eat meat, I want it to be from an animal that has lived a pleasant, uncrowned life outdoors, on bountiful pasture, with good water nearby and trees for shade. And I am getting almost as fussy about food plants. I like to eat vegetables and fruits that I know have lived happily and healthily in good soil. not the products of the huge, bechemicaled factory-fields that I have seen, for example, in the Central Valley of California. The industrial farm is said to have been patterned on the factory production line. In practice, it looks more like a concentration camp.The pleasure of eating should be an extensive pleasure, not that of the mere gourmet. People who know the garden in which their vegetables have grown and know that the garden is healthy will remember the beauty of the growing plants, perhaps in the dewy first light of morning when gardens are at their best. Such a memory involves itself with the food and is one of the plea-sures of eating. The knowledge of the good health of the garden relieves and frees and com-forts the eater. The same goes for eating meat. The thought of the good pasture and of the calf contentedly grazing flavors the steak. Some. I know, will think it bloodthirsty or worse to eat a fellow creature you have known all its life. On the contrary, I think it means that you eat with un-derstanding and with gratitude. A significant part of the pleasure of eating is in one’s accurate consciousness of the lives and the world from which food comes. The pleasure of eating, then, may be the best available standard of our health. And this pleasure, I think, is pretty fully avail-able to the urban consumer who will make the necessary effort.I mentioned earlier the politics, esthetics, and ethics of food. But to speak of the pleasure of eating is to go beyond those categories. Eating with the fullest pleasure-pleasure, that is, that does not depend on ignorance-is perhaps the profoundest enactment of our connection with the world. In this pleasure we experience and celebrate our dependence and our gratitude, for we are living from mystery, from creatures we did not make and powers we cannot comprehend. When I think of the meaning of food, I always remember these fines by the poet William Carlos Williams, which seem to me merely honest:There is nothing to eat, seek it where you will, but the body of the Lord.The blessed plants and the sea, yield it to the imaginationintact.

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Betty Fussel – “The story of Corn”

Like its subject, The Story of Corn is a unique hybrid, drawing upon history and mythology, sci-ence and art, anecdote and image, personal narrative and epic, to tell the extraordinary story of the grain that built the New World. Indeed, corn transformed the way the whole world eats, pro-viding both a hardy, inexpensive alternative to rice or wheat and cheap fodder for livestock. And, with its mercurial genetic structure, it found its way into everything from explosives to embalm-ing fluid. As Fussell writes, “Corn made the whole world kin.”But the story of corn is essentially an American saga, entwining the histories–and often clash-ing worldviews–of the indigenous peoples who first cultivated the grain and the European con-querors who appropriated and then propagated it around the globe. With characteristic wit and passion, Fussell explores its roles as food and fetish, crop and commodity, to the peoples who for seven centuries have planted, consumed, worshiped, processed, and profited from it. If corn makes the whole world kin, in Fussell’s eloquent account it also reveals the inherent tragedy of our tribalism.From Publishers WeeklyFussell ( Food in Good Season ) documents the history of corn on many levels in this well-researched book. As food, fertility symbol, genetic marvel, and subject of ancient myths, corn is one of the oldest food staples and a truly American food source. And because the author covers so much material, it’s best to approach The Story of Corn bit by bit to avoid being overwhelmed. While it’s fun to read about the history of popcorn (popcorn poppers dating back to A.D. 100 have been found in Peru), it’s downright fascinating to read about what corn meant to native North and South Americans. Apparently corn was used in everything from funerals to birth rituals; corn images are embedded in the Hopi language. Fussell even tracked down a retired moonshiner to find out how corn was used to make corn whiskey and its more socially accept-able cousins, bourbon and Peruvian chicha . The author, descended from Nebraska farmers for whom corn was a mainstay, weaves her family’s history into the larger saga. And along the way, she unfortunately consorts with some rather highfalutinok language (”The migration of my an-cestors was across continents, up and away from the earth navel of fallen man. My own journey had been down . . . into the darkness of seeds and roots to find my dead mother and her moth-ers . . . in the womb not of Eden but of Mother Earth”). But the volume is otherwise so absorbing and well written that she’s easily forgiven. Photos not seen by PW.From Library JournalLike a modern variety of Zea mays , this book is a sophisticated hybrid, a skillful blend of his-tory, science, art, and anthropology. Written in a lively and nontechnical style, with 150 photo-graphs and 100 line drawings, it is an accessible, handsome volume. Fussell, food journalist, historian of foodways, and author of cookbooks, including the highly recommended Food in Good Season ( LJ 9/15/88), is known as a likeable and knowledgeable writer. These qualities are evident in this tour de force about corn, covering every aspect of this important commodity and offering an extensive bibliography. Anyone reading all or a substantial portion of this book will never pass a cornfield again in quite the same way. Recommended.- Richard Shotwell, Hancock Shaker Village, Pittsfield, Mass.From Kirkus ReviewsFussell (Food in Good Season, 1988, etc.) has steeped herself in corn lore and emerged with this encyclopedic entry on that sustaining American grain in myth, ritual, history, science and technology, breeding and cultivation, industry, processing, and cookery (not recipes, just a

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survey)–with a chapter on corn whiskey thrown in and an interweaving of personal root-claiming by way of a Nebraska grandfather. Fussell has clearly done a good deal of research and a lot of traveling–peering over a precipice at Machu Picchu, descending into a restored ceremonial kiva of the Anasazi people in New Mexico, visiting the sole surviving corn palace from the Midwest boosters’ glory days of a century ago–but her prose fails to vivify the scenes she’s visited, and, without any argument or added insights, her research reports have a secondhand, summarizing quality. Still, the labor and immersion are evident, and libraries should find uses for Fussell’s odd compilation.

Arturo Warman - Corn and Capitalism: How a Botanical Bastard Grew to Global Dominance.by Allan G. Bogue

The distinguished Mexican anthropologist, Arturo Warman, published the Spanish language edition of this sweeping survey of the place of corn in world history since the sixteenth century in 1988. The colorful subtitle refers to corn’s disputed parentage and the fact that through his-tory the crop has stayed outside “the system of accepted norms” (p. xiii). As a Mexican social scientist Warman became deeply interested in the social and economic significance of corn and planned a history of the crop’s place in Mexican life. Various scholarly projects prepared him for that work but he ultimately deferred it in favor of the current volume.Several preliminary chapters lay a foundation for the book. Warman begins by describing the many useful American plants that have had major “repercussions” in “the development of the world economy, and the world market place.” At the heart of corn’s story, he writes, “lies the history of capitalism” (p. 11). The corn plant (Zea mays), Warman explains, has various amazing characteristics. Evolved from the grass teosinte, it does not propagate itself in nature, is self-pollenizing, is remarkably responsive to hybridization, is adaptable to a wide range of environ-ments, has outstripped other food plants in its yields, is accommodative to complementary crops, is easily converted to edible form, and is capable of conversion into a myriad of derivative products ranging from bourbon to adhesives and automotive fuel, as well as providing livestock feed that enters the human diet as animal protein. Debate has raged as to whether the birth-place of corn was the Americas or Asia. Sketching the archeological evidence, Warman accepts Mexico as the place of origin.Warman devotes most of the remainder of the book to tracing the history of corn in major ar-eas of the world, dealing first with Asiatic locales. First introduced there in the early sixteenth century by the Portuguese, corn became a crop of the mountains and frontier regions and particularly a food of the poor. He links its history to the complex land tenures and labor inten-sive systems of cropping in that great region and the relation of this crop to other major crops including a number of other western immigrants. Corn, he explains, was an important part of the second great agricultural revolution that occurred in China during the nineteenth and twen-tieth centuries.He follows with an account of the place of corn in the Atlantic slave trade. Slaves endured their passage to the new world on a diet consisting almost solely of corn meal paste, the grain’s high vitamin content warding off scurvy. Introduced primarily by the Portuguese, corn became a ma-jor crop in the African slave shipping areas and their hinterlands to meet the provisioning needs of the slavers. The crop adapted well to slash and burn agriculture. By the seventeenth century, corn was well established on the Atlantic coast of Africa and probably in much of the interior. With the decline of the slave trade in Africa, European nations developed colonial relations with its peoples. Corn now became increasingly important as a subsistence crop grown by peasants.

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Colonial administrators and white settlers emerged as a ruling class in the colonial dependen-cies and a native worker class emerged to provide labor for extractive ventures and settler agriculture. Corn products also sustained this labor sector but corn’s resistance to disease, short growth cycle, versatility, low requirements of capital and labor, and high yields also com-mended it to white farmers. Colonial land policies, Warman explains, benefited white interests and confined native populations in restricted areas, thus limiting native livestock operations. Hampered by natural hazards and colonial policies, peasants used corn both as sustenance and to provide agricultural surplus. Corn became, Warman concludes “one of the secret weapons in peasant resistance to colonial rule” (p. 81). In the era of national independence that followed the colonial era in Africa growth in the volume of commercial export crops -- coffee, tobacco, cacao, and cotton -- far outstripped growth in domestic food crops; a condition of dietary de-pendence prevailed. Corn flour was one of the cheapest foods per thousand calories available in urban African markets. The hope for future growth in food production in Tropical Africa lies, Warman suggests, in land reform.Turning to Europe, Warman reviews the treatment of corn in European publications from the sixteenth century to the modern era. First grown as a curiosity in Andalusia and later as an agricultural crop, by the eighteenth century it had displaced long established cereals both in irrigated areas and in the subsistence peasant economy of northern Spain. By the end of that century corn was planted from the Black Sea to Gibraltar and, it was said, south of a line from the mouth of the Garonne to the Rhine above Strasbourg. It was often planted on land that formerly had been fallowed. Ripening at a time that had typically been one of food scarcity, it reduced the threat of famine and became the food of those who lived in “poverty, rural depriva-tion, and primitive ... conditions.” Corn contributed vitally to the ongoing, “intellectual, politi-cal, industrial, and agricultural revolutions” then underway (p. 111). Finding no “ubiquitous and precise cultural agent” that accounted for the diffusion of corn growing through much of early Modern Europe, Warman identifies four “natural and social factors”: “growing conditions and the agricultural systems or their associated methods: population dynamics; trade, prices, and markets; and landownership and the relations of domination existing between landowners and direct producers” (p. 112). Their interaction, sometimes affected by more subtle influences, made corn “the bread of southern Europe’s poor.” But it also “generated wealth for landown-ers, shopkeepers and money lenders, overlords, and the new middle class,” who, ironically, ate wheat bread (p. 131). This occurred as an agricultural revolution took place between the six-teenth and eighteenth centuries involving more intensive cultivation of the land and dwindling use of fallow.Two American agricultural exports had tragic consequences -- the potato famines of the mid nineteenth century and the widespread incidence of pellagra in southern Europe and later in the southern United States. Those highly dependent on corn as a food might develop pellagra and this chronic disease, causing dermatitis, diarrhea, and ultimately dementia, battered the population of European corn growing regions during the nineteenth century. Warman describes the various efforts to explain the disease and the developing conviction that diets heavily depen-dent on corn were responsible. Such dependence was usually associated with poverty and such onerous rents that peasants could not eat a balanced diet. Pellagra was “a symptom of a pro-cess of fierce modernization in peripheral areas” (p. 150).In telling the story of corn in the United States, Warman stresses the importance of Native American tutelage. “Once the settlers had fully grasped the secrets and potential of corn, they no longer needed the Native Americans. Indigenous peoples were wiped out, scattered or re-located as settlers penetrated even further inland” (p. 155). Warman’s discussion of American

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economic development sketches many of the familiar facts of that story. Corn was a basic crop in the long continuing American frontier experience but played “its most important and long-lasting role,” he writes, “ in the predominantly rural world of the American South” (p. 159). It was a staple of slave diets but these were apparently sufficiently varied that the slaves did not suffer from nutrition deficiency diseases. Corn cultivation was far more extensive than cotton in the South but the latter produced the wealth and contributed most to the development of class differences. Sharecroppers became so hard pressed that pellagra was endemic by the early twentieth century. U.S. Public Health Service researchers discovered that a diet rich in milk, meat, and beans countered the disease. In the 1930s the University of Wisconsin’s Conrad A. Elvehjem showed that nicotinic acid deficiency was the specific cause. The human digestive process failed to unlock corn’s content of this vitamin when it was prepared as food in certain ways. Warman here comments that “pellagra was a disease born of development, a product of a type of progress that was imposed, unjust, and unequal”(p. 173).Prior to the nineteenth century corn’s history was “tied directly to human nutrition.” In the expanding, industrializing, railroad-building United States, however it also became “the raw material for the production of meat and dairy products” and in the first half of twentieth century the U.S. crop accounted for half of the world’s production. It was the “very backbone” of Ameri-can agriculture (pp. 181, 183). During that era U.S. corn production was more or less stable. The successful development of hybrids, however, along with improvements in mechanization, and fertilizer and herbicide use resulted in unprecedented yields of the crop after World War II. Now American corn became a significant factor in the world trade in cereals. By the beginning of the twentieth century U.S. pioneer subsistence agriculture had been replaced by commercial farm-ing but farmers still continued “to supply the largest part of the means of production”-- “labor, motive power, seeds, organic fertilizers.” Now the farmer became increasingly dependent on the market for these things. A massive institutional framework developed to sustain and direct agriculture and agribusiness became the “dominant force” in American agriculture (pp. 186, 188). In 1954 the Agricultural Trade Development and Assistance Act of 1954 was designed “to use U.S. agricultural surpluses abroad in the effort to eradicate world hunger” (p. 190). Re-lated programs followed and corn was a major element in the U.S. contribution. Because “corn entered the world market ... as a food stuff for the poor and as forage for the rich it surmounted the inelasticity of demand typically associated with cereals” (p. 192).In a final substantive chapter Warman describes the world market for food as it developed be-tween the 1950s and the mid 1980s. Prior to World War II, Western Europe was the only major agricultural region that did not meet its own needs and also provide some export grains. By the 1960s only the United States, New Zealand, Australia, and Canada were independent produc-ers. U.S. aid programs exacerbated this trend and “food dependence became a chronic and widespread phenomenon in many Third World countries” as did population explosions (p. 203). Wheat dominated in U.S. exports until the 1970s and then corn became increasingly important. American aid had generated “an entirely new market, whether by introducing the consumption of wheat or by displacing existing domestic production” (p. 205). The U.S., charges Warman, dis-tributed aid with a view to its strategic political impact. The political considerations of the United States and its allies dictated the magnitudes of supply and demand, prices and the conditions of sale, that defined the world cereal market and interacted with domestic tariffs, subsidies, and other production controls (p. 209). By the 1970s five great multinational grain handling com-panies dominated world trade in cereals. After a food production crisis in Russia and a failure of the hybrid corn crop in the U.S. during the early 1970s, however, food production outpaced population growth. Although “corn’s incredible growth as a commodity for reexport was the

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most outstanding phenomenon.” most third world countries had entered a condition of dietary dependence (p. 212). Despite adequate world supplies of food at the time of writing, Warman identifies a major problem of distribution and future vulnerability to shortages.In two concluding chapters Warman discusses the recent phenomenal expansion of food pro-duction in which corn has been an important part and the possible ways in which growth in food production may be sustained. He sees two available agricultural modes -- “capitalized inten-sive agriculture, also known as scientific agriculture or production by the wealthy.” The other is traditional peasant agriculture, utilizing few resources beyond those readily available and controlled by the production unit. This is farming by the poor” (p. 218). The first of these, he ar-gues, has not improved world diets in the past nor solved the problem of distribution. Advocates of the Green Revolution tried to increase production in peasant agriculture by the use of hybrid crop varieties but had very limited success because of the high costs involved. Warman identi-fies less expensive ways of increasing peasant production -- reduction of fallowing, bringing marginal lands into production and land reform. “The only way to confront the problem of world hunger,” he argues, “is to increase peasant production, using the many and at times unimagi-nable means to achieve that goal” (p. 231).In the final chapter “New Reflections on Utopia and the New Millennium,” Warman explains that he has attempted “to analyze some social processes in which corn has played an important role” (p. 232). From one perspective his book is a sweeping historical survey of the adoption of corn as a major food and feed crop in much of the world. In this respect it is a fascinating com-pendium of thought-provoking facts and illustrative statistics. The volume is also a somewhat sour Marxist critique of modernization and, one may argue, a defense of peasant agriculture. A few passages illustrate Warman’s perspective. Concluding his discussion of the Chinese case, he writes “Growing rural surpluses did not remain in the rural countryside or even in China it-self. ... They were transferred to foreign powers’ spheres of economic influence and accumulat-ed there. Peasants were the source of agricultural know-how and labor, yet they were increas-ingly threatened ... settling marginal lands on the nation’s domestic frontier. For many decades they accepted the destiny of peasants everywhere, unable to eat what they produced because it was prohibitively expensive. Thus they transformed corn and other American plants, previously foods for the poor, into essential resources for their very survival. They did even more, they car-ried out a [social] revolution” (p. 50). He summarizes the slave trade this way: “the slave trade was not destiny or fate, but a series of opportunities and limitations.” Those “opposed to slav-ery ... were social groups with the emerging power and will to confront that circumstance. The slave trade was an aberration, but neither was it the result of a general law of historical devel-opment. Rather, it was history; something that happened, but that just as easily could not have taken place at all” (p. 65). In considering the European agricultural revolution of 1600 to 1800, Warman rejects the common assumption that it was “the result of the application of scientific knowledge to production, diffused by elites and intellectual vanguards,” preferring instead “the idea of revolution as a result of collective knowledge and collective action” (p. 119). Leav-ing discussion of pellagra, he argues, “Change was promoted in the periphery from above and from abroad in order to recreate society in accordance with an ideological model; the industrial millennium that sought to establish a homogenous world. ... Pellagra was not simply a disease of poverty and deficiencies, but one of the many diseases of modernization, of development, of prodevelopment capitalism” (p. 150). And finally, the history of U.S. agriculture is a process of accumulation with very different and increasingly accelerated rhythms. It is also a history of inequality, of exclusion, and of subjugation. Each process created its own marginal groups” -- Native Americans, rural poor, urban poor, migratory workers, food stampers (p. 193). “Margin-

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alization threatens the American farmer, the most outstanding product of the U.S. democratic ideal” (p. 194). He contrasts these developments with the diversity, stability, community rein-forcement, and population controls found in peasant societies.Although the principle of comparative advantage was at work in the spread of corn, it was conditioned by relations of power and dominance, argues Warman; accumulated wealth put less powerful groups at severe disadvantage. He was apparently unaware of ongoing cliometric research on the profits of imperial enterprise. He does not offer a rigid formula of class dif-ferentiation; to him the process was one of diverse conditions and forces but invariably involved exploitation. In considering the sections dealing with corn’s history in the United States, Ameri-canists will consider some of his judgments to be overstated. The achievements of American plant scientists are brushed aside in a sentence, and the mechanics of diffusion are described in terms more general than modern scholarship has achieved. Warman emphasizes the need for increasing the effectiveness of peasant agriculture’s national or regional dietary indepen-dence but he gives much less attention to the issue of population control. Warman’s translator has produced a lucid, stimulating, and informative narrative but the reviewer remains happy that he is not one of Warman’s peasants nor sentenced to relive the existence that he, himself, experienced as a farm boy, living the democratic ideal.Allan G. Bogue is Professor Emeritus of History at the University of Wisconsin

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Approfondimenti tematici

Il contesto socio-economico-politico

USDA, US Minister of Agriculture.

La biografia del segretario al Ministero dell’Agricoltura: la politica rappresenta gli interessi privati.Ed Schafer was sworn in as the 29th Secretary of the U.S. Department of Agriculture (USDA) on January 28, 2008.Secretary Schafer brings a record as an innovative two-term governor of North Dakota to USDA along with extensive private sector experience as both an entrepreneur and a business execu-tive. Schafer served as North Dakota’s governor from 1992 to 2000 and made diversifying and ex-panding North Dakota’s economy, reducing the cost of government and advancing agriculture his top priorities in office.

He worked to normalize trading relations with China and develop that nation as an export mar-ket for North Dakota farm products. He also led efforts to upgrade North Dakota’s communica-tions infrastructure and make high-speed voice and data networks available to farmers, ranch-ers and rural businesses. To expand the state’s job base, he encouraged the growth of value-added agricultural industries such as pasta and corn sweetener manufacturing. As governor, Schafer managed a state workforce of 12,000 people, oversaw a budget of $4.6 billion, and led the state’s response to emergencies such as the severe floods that hit the Grand Forks area in 1997.As chair of the Western Governors Association, Schafer led regional efforts to demonstrate how technology could improve the efficiency and lower the cost of delivering government services such as health benefits and food stamps. He also worked to make telemedicine more available and affordable in rural areas. Schafer was elected chair of the Republican Governors Association in 2000 and that same year he co-founded and co-chaired the Governors Biotechnology Partnership to increase public un-derstanding and support for the benefits of agricultural biotechnology. He has had a lifelong interest in conservation and helped arrange the U.S. Forest Service’s May 2007 purchase of the 5,200 acre Elkhorn ranch in North Dakota. The site was where Theodore Roosevelt had his home and operated a cattle ranch in the 1880s. It is near the preserved town of Medora-the state’s leading tourist attraction. Born and raised in Bismarck, North Dakota, Schafer graduated from the University of North Dakota in 1969 with a bachelor’s degree in Business Administration and earned an MBA from the University of Denver in 1970. Secretary Schafer’s grandfather immigrated to North Dakota from Denmark and homesteaded land in Hettinger County that he turned into a wheat and livestock farm. Schafer spent sum-mers there while growing up. He helped his uncles with chores, tinkered with engines and learned firsthand about agriculture.

Before entering public life, Schafer was an executive with the Gold Seal Company in Bismarck,

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a successful marketer of nationally-known consumer products such as “Mr. Bubble” bubble bath, “Glass Wax” glass cleaner and “Snowy Bleach.” The company had been founded by his father, Harold Schafer.Secretary Schafer joined Gold Seal after he earned his MBA and held a series of management positions with the company before becoming president in 1978. Under his leadership, Gold Seal’s sales climbed to $50 million through acquisitions and new product introductions and its net worth tripled. It was sold in 1986. Schafer then went on to launch several new businesses, including a commercial real estate development company, a fish farm and a classic car dealer-ship

After leaving office in 2000, he co-founded Extend America, a venture capital-backed company, to provide wireless voice and high-speed data services to commercial and residential custom-ers in five rural Midwestern states.

He also served as a director of the Theodore Roosevelt Medora Foundation that oversees the historic town’s operations and became active in leading several other nonprofit and citizens advocacy groups in North Dakota.

Secretary Schafer enjoys the outdoors and his hobbies include bicycling, hiking, scuba diving and restoring classic automobiles. He and his wife, Nancy, have four children; Tom Schafer, El-lie Schafer and Eric Jones and Kari Hammer; and eight grandchildren.

La struttura dell’USDA: una multinazionale??

The Cooperative State Research, Education, and Extension Service (CSREES) is an agency within the U.S. Department of Agriculture (USDA), part of the executive branch of the Federal Government. Congress created CSREES through the 1994 Department Reorganization Act, by combining the USDA’s Cooperative State Research Service (CSRS) and Extension Service (ES) into a single agency. This move united the research, education, and extension portfolios of both agencies and consolidated their expertise and resources under one leadership structure.CSREES is one of four USDA agencies that make up its Research, Education, and Economics (REE) mission area. The other three agencies are:• Agricultural Research Service (ARS)• Economics Research Service (ERS)• National Agricultural Statistics Service (NASS)

The USDA-REE agencies provide federal leadership in creating and disseminating knowledge spanning the biological, physical, and social sciences related to agricultural research, economic analysis, statistics, extension, and higher education.CSREES’ unique mission is to advance knowledge for agriculture, the environment, human health and well-being, and communities by supporting research, education, and extension pro-grams in the Land-Grant University System and other partner organizations. CSREES doesn’t perform actual research, education, and extension but rather helps fund it at the state and local level and provides program leadership in these areas.CSREES’ targeted areas of interest—its 60 identified programs—are grouped in the following

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National Emphasis Areas:• Agricultural & Food Biosecurity• Agricultural Systems• Animals & Animal Products• Biotechnology & Genomics• Economics & Commerce• Education• Families, Youth & Communities• Food, Nutrition & Health• International• Natural Resources & Environment• Pest Management• Plants & Plant Products• Technology & Engineering

CSREES’ two key mechanisms for accomplishing its mission of “advancing knowledge” are:

National program leadership. We help states identify and meet research, extension, and edu-cation priorities in areas of public concern that affect agricultural producers, small business owners, youth and families, and others.

Federal assistance. We provide annual formula grants to land-grant universities and competi-tively granted funds to researchers in land-grant and other universities.

CSREES collaborates or has formal working partnerships with many institutions and individu-als. Our key partners are the institutions of higher learning making up the Land-Grant Univer-sity System. However, we also partner with other federal agencies, within and beyond USDA; non-profit associations; professional societies; commodity groups and grower associations; multistate research committees; private industry; citizen groups; foundations; regional centers; the military; task forces; and other groups.

CSREES and its partners focus on critical issues affecting people’s daily lives and the nation’s future. The advanced research and educational technologies we support empower people and communities to solve problems and improve their lives on the local level.We respond to quality-of-life problems such as:• Improving agricultural productivity• Creating new products• Protecting animal and plant health• Promoting sound human nutrition and health• Strengthening children, youth, and families• Revitalizing rural American communities

We do this through an extensive network of state, regional, and county extension offices in every U.S. state and territory. These offices have educators and other staff who respond to public inquiries and conduct informal, noncredit workshops and other educational events. You’re con-nected to this system—which is now 90 years old—through your nearest extension office, which provides answers to commonly encountered problems through educational materials (print,

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video, CD), Web-based information, the telephone, and other means.With support from more than 600,000 volunteers, 4-H—USDA’s 105-year-old youth development program administered through CSREES—engages more than 6.5 million young people every year and teaches them life skills through hands-on learning and leadership activities.Through all of these activities, CSREES impacts the lives of millions of Americans each day.

Si consulti il USDA FY 2008 Performance and Accountability Report. (in allegato digitale)

Il sistema delle Extension

All universities engage in research and teaching, but the nation’s more than 100 land-grant colleges and universities, have a third critical mission—extension. “Extension” means “reaching out,” and—along with teaching and research—land-grant institutions “extend” their resources, solving public needs with college or university resources through non-formal, non-credit pro-grams.

These programs are largely administered through thousands of county and regional extension offices, which bring land-grant expertise to the most local of levels. And both the universities and their local offices are supported by CSREES, the federal partner in the Cooperative Exten-sion System (CES). CSREES plays a key role in the land-grant extension mission by distributing annual Congressionally appropriated formula grants to supplement state and county funds. CS-REES affects how these formula grants are used through national program leadership to help identify timely national priorities and ways to address them.Congress created the extension system nearly a century ago to address exclusively rural, ag-ricultural issues. At that time, more than 50 percent of the U.S. population lived in rural areas, and 30 percent of the workforce was engaged in farming. Extension’s engagement with rural America helped make possible the American agricultural revolution, which dramatically in-creased farm productivity:In 1945, it took up to 14 labor-hours to produce 100 bushels of corn on 2 acres of land.By 1987, it took just under 3 labor-hours to produce that same 100 bushels of corn on just over 1 acre.In 2002, that same 100 bushels of corn were produced on less than 1 acre.That increase in productivity has allowed fewer farmers to produce more food.Fewer than 2 percent of Americans farm for a living today, and only 10 percent of Americans now live in rural areas. Yet, the extension service still plays an important role in American life—rural, urban, and suburban. With its unprecedented reach—with an office in or near most of the nation’s approximately 3,000 counties—extension agents help farmers grow crops, homeown-ers plan and maintain their homes, and children learn skills to become tomorrow’s leaders.Despite the decline in the population and and economic importance of rural America , the national Cooperative Extension System remains an important player in American life. It increas-ingly addresses urban, suburban, in addition to rural issues, and it has responded to informa-tion technology changes in America by developing a national Web presence.

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History

The roots of U.S. agricultural extension go back to the early years of our country. There were agricultural societies and clubs after the American Revolution, and in 1810 came the first Farm Journal. It survived for only 2 years, but in 1819 John Stuart Skinner of Baltimore began pub-lishing the American Farmer. Farmers were encouraged to report on their achievements and their methods of solving problems. Some worthwhile ideas, along with some utterly useless ones, appeared on the pages of the publication.The Morrill Act of 1862 established land-grant universities to educate citizens in agriculture, home economics, mechanical arts, and other practical professions. Extension was formalized in 1914, with the Smith-Lever Act (link to that topic in About Us). It established the partnership between the agricultural colleges and the U.S. Department of Agriculture to provide for coop-erative agricultural extension work. At the heart of agricultural extension work, according to the Act, was:Developing practical applications of research knowledge.Giving instruction and practical demonstrations of existing or improved practices or technolo-gies in agriculture.Smith-Lever mandated that the Federal Government (through USDA) provide each state with funds based on a population-related formula. Today, CSREES distributes these so-called for-mula grants annually.The extension service’s first big test came during World War I, when it helped the nation meet its wartime needs by:Increasing wheat acreage significantly, from an average of 47 million acres annually in 1913 to 74 million in 1919.Helping the USDA implement its new authority to encourage farm production, marketing, and conserving of perishable products by canning, drying, and preserving.Helping to address war-related farm labor shortages at harvest time by organizing the Wom-en’s Land Army and the Boys’ Working Reserve.More generally, extension’s role in WWI helped it expand its reputation as an educational entity to one that also emphasized service for individuals, organizations, and the Federal Government.During the Great Depression, state colleges and the USDA emphasized farm management for individual farmers. Extension agents taught farmers about marketing and helped farm groups organize both buying and selling cooperatives. At the same time, extension home economists taught farm women—who traditionally maintained the household—good nutrition, canning sur-plus foods, house gardening, home poultry production, home nursing, furniture refinishing, and sewing—skills that helped many farm families survive the years of economic depression and drought.During World War II, the extension service again worked with farmers and their families, along with 4-H club members, to secure the production increases essential to the war effort. Each year for 5 years, total food production increased. In 1944, food production was 38 percent above the 1935-1939 average.The Victory Garden Program was one of the most popular programs in the war period, and extension agents developed programs to provide seed, fertilizer, and simple gardening tools for victory gardeners. An estimated 15 million families planted victory gardens in 1942, and in 1943 some 20 million victory gardens produced more than 40 percent of the vegetables grown for that year’s fresh consumption.Between 1950 and 1997, the number of farms in the U.S. declined dramatically—from 5.4 mil-

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lion to 1.9 million. Because the amount of farmland did not decrease as much as the number of farms, the remaining farms have a larger average acreage. During the same period, farm production increased from one farmer supporting the food needs of 15.5 persons in 1950 to one farmer supporting 100 persons in 1990. By 1997, one farmer supported the food needs of almost 140 U.S. citizens. That increased productivity, despite the decline in farm numbers, resulted from increased mechanization, commercial fertilizers, new hybrid seeds, and other technologies. Extension played an important role in extending these new technologies to U.S. farmers and ranchers.

Extension today (including eXtension)

Over the last century, extension has adapted to changing times and landscapes, and it contin-ues to address a wide range of human, plant, and animal needs in both urban and rural areas. Today, extension works in six major areas:4-H Youth Development —cultivates important life skills in youth that build character and assist them in making appropriate life and career choices. At-risk youth participate in school retention and enrichment programs. Youth learn science, math, social skills, and much more, through hands-on projects and activities.Agriculture —research and educational programs help individuals learn new ways to produce income through alternative enterprises, improved marketing strategies, and management skills and help farmers and ranchers improve productivity through resource management, controlling crop pests, soil testing, livestock production practices, and marketing.Leadership Development —trains extension professionals and volunteers to deliver programs in gardening, health and safety, family and consumer issues, and 4-H youth development and serve in leadership roles in the community.Natural Resources —teaches landowners and homeowners how to use natural resources wisely and protect the environment with educational programs in water quality, timber manage-ment, composting, lawn waste management, and recycling.Family and Consumer Sciences —helps families become resilient and healthy by teaching nutri-tion, food preparation skills, positive child care, family communication, financial management, and health care strategies.Community and Economic Development —helps local governments investigate and create vi-able options for economic and community development, such as improved job creation and re-tention, small and medium-sized business development, effective and coordinated emergency response, solid waste disposal, tourism development, workforce education, and land use plan-ning.Regardless of the program, extension expertise meets public needs at the local level. Although the number of local extension offices has declined over the years, and some county offices have consolidated into regional extension centers, there remain approximately 2,900 extension of-fices nationwide. Increasingly, extension serves a growing, increasingly diverse constituency with fewer and fewer resources.The extension system also supports the eXtension Web site. One of the goals of eXtension is to develop a coordinated, Internet-based information system where customers will have round-the-clock access to trustworthy, balanced views of specialized information and education on a wide range of topics. For customers, the value will be personalized, validated information ad-dressing their specific questions, issues, and life events in an aggregated, non-duplicative ap-proach.

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Information on the eXtension Web site is organized into Communities of Practice (COP). Each COP includes articles, news, events, and frequently asked questions (FAQs). The information comes from Land-Grant University System faculty and staff experts. It is based on unbiased research and undergoes peer review prior to publication. Current COPs are organized around a many topics, including but not limited to diversity, entrepreneurship, agrosecurity, cotton, dairy, and more.The eXtension Web site also includes a collection of news stories from partner institutions, aFrequently Asked Questions section, a calendar of extension events, online-learning opportu-nities, and content feeds.

Per maggiori info si consulti il sito: http://www.extension.org/

La Farm Bill 2008: Food, Conservation, and Energy Act of 2008.

Per il testo si consulti il Food, Conservation, and Energy Act of 2008 Text.pdf (in allegato digi-tale)Di seguito proponiamo il commento di Associated Press:

US Offers a Subsidy Concession at Trade TalksBy Associated Press July 23, 2008

The United States took the first bold step in a week of crucial trade talks Tuesday, slicing $1.4 billion from a previous offer to limit contentious, trade-distorting subsidies to American farm-ers. The United States Trade Representative, Susan C. Schwab, told a news conference that Washington was prepared to rewrite elements of its recently passed farm bill to ensure that American subsidies deemed to unfairly enhance the competitiveness of American farmers were limited to $15 billion annually. While Congress may view the move skeptically, the Bush admin-istration’s top negotiator shifted pressure on Brazil, India and other emerging economies to open up their markets for industrial goods — a crucial demand of rich countries in the World Trade Organization’s seven-year-old trade round.Emerging countries have demanded a cap closer to $12 billion for the United States, noting that actual American subsidies have fallen to around $9 billion a year amid higher prices for basic commodities. The poorer countries say the payments are providing farmers in developed econ-omies an unfair advantage that hinders Third World development. But the Bush administration and Congress have sought flexibility in case crop prices fall and American farmers need greater support. Washington is currently allowed to distribute more than $48 billion in subsidies linked to price, production and other trade-distorting criteria. It agreed last year to come to at least below $16.4 billion in a move that generated criticism for American farm groups. The European Union and Japan are also offering steep cuts in subsidy limits. “Anyone who understands farm programs will understand how significant the reduction is implied by this number,” Ms. Schwab said, noting that United States subsidies have exceeded her proposed limit in 7 of the last 10 years.Without a global trade deal, they may exceed $15 billion again as part of the United States’ new five-year farm bill worth nearly $300 billion that Congress passed over President Bush’s veto. Ms. Schwab described the concession as a ”major move, taken in good faith, with the expecta-tion that others will reciprocate and step forward with improved market access” for farm and

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industrial exports. Rich and poor countries have clashed repeatedly in the W.T.O. talks started in Qatar’s capital in 2001, and now known as the Doha round. Developing nations want to reduce agricultural tariffs and subsidies in rich countries so they can sell more of their produce, while the United States, European Union and others seek better conditions in emerging economies for their manufacturers, banks, insurers and telecommunications companies.Negotiators are hoping for agreement this week on a deal that would liberalize world agricul-ture and manufacturing, setting the stage for an overall trade accord by the end of the year. But there is widespread skepticism. Ms. Schwab said her move showed leadership.“Here’s the catch: We are making this offer without actually knowing what others will do,” she said in Ge-neva. “For this round to succeed as a developing round, all of the main developed and emerg-ing market players will be faced with hard decisions.” Brazil and India, as co-leaders of a broad coalition of developing countries, have resisted cuts in manufacturing tariffs that would create new opportunities for automakers, machinery and electronics from the United States, Europe and Japan.Brazil’s foreign minister declined to say how it would respond, and instead criticized the United States offer as not going far enough. “I hope this is not the last offer,” the minister, Celso Amorim, said. “It’s a very low level of ambition.”

Di seguito proponiamo il commento tradotto del Ministro del Commercio australiano rispetto ai provvedimenti del Farm Bill 2008: competitività internazionale.Più info: http://www.trademinister.gov.au/

By Agrolinker.com (articolo di Luca Federico Fianchini)30 giugno 2008Il Ministro Australiano per il Commercio (trade) Simon Crean, come riportato sul suo sito per-sonale, ha espresso la sua costernazione per il verificarsi di un incremento dei sussidi statu-nitensi alle aziende agricole (US farm support) proposti nel ‘Farm Bill 2008’, che ha superato il vaglio dell’assemblea del Congresso statunitense , il 15 maggio 2008.Egli è rimasto deluso poichè evidentemente contava sul fatto che il Congresso Statunitense avrebbe eliminato i sussidi all’agricoltura, riformando completamente la politica agricola. In-vece così non è avvenuto.Sulla vena del disappunto ha quindi riferito le seguenti dichiarazioni: ‘Questo Farm Bill ha fallito il test della riforma’, egli dice, “Esso connette (entrenches) l’approccio del ‘welfare’ alla politica agricola. Ed è particolarmente fastidioso (disappointing) che il ‘Bill’ (atto, documento) incrementi le elemosina (hands-out; per soldi, o denaro) governative anziché ridurre il sostegno all’agricoltura in un epoca di prezzi record dei prodotti agricoli (commodities) e dei redditi aziendali (farm incomes) negli Stati Uniti”.“Il Farm Bill ha una visione di breve periodo (letteralmente: ‘ha la vista ridotta’, short-sighted), è reazionario (reactive) ed è una opportunità perduta (a lost opportunity)”, egli riferisce.“Io sono preoccupato in particolare riguardo l’impatto negativo del Farm Bill sugli altamente competitivi esportatori australiani, i quali non possono contare su sussidi attualmente in vigore” (which do not rely on ongoing subsidies).Egli afferma quindi che i sussidi negli Stati Uniti sono adesso più facilmente disponibili per gli agricoltori, relativamente alle principali produzioni (major commodities), inoltre alcuni aggravi con effetto discriminante (some discriminatory charges) presenti nel Farm Bill potrebbero influenzare negativamente gli esportatori australiani operanti sul mercato mondiale e su quello

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statunitense (would negatively affect australian exporters in the world and US market).Dopo le notazioni critiche rilancia la sua idea:”Io ho anche sostenuto che (to argue=litigare; ragionare; to argue that=sostenere che) l’implementazione di politiche agricole orientate al mercato (implementing market-oriented farm policies), come ha fatto l’Australia, creerebbe significative nuove opportunità per l’agricoltura statunitense e globale”.L’ufficio stampa del Ministro meglio precisa il suo orientamento, in aggiunta alle dichiarazioni, facendoci capire che egli spera ancora in una modifica del ‘Farm Bill’, essendo convinto che il Presidente statunitense, a cui il Farm Bill è stato inviato nella fase successiva del procedimento di approvazione, possa rinviarlo al Congresso (essendo questo uno dei suoi poteri). Infine vine sottolineata l’importanza dei prossimi negoziati di Doha (Doha Round) sulla via di una maggiore liberalizzazione degli scambi di prodotti agricoli sul mercato mondiale. Un forte esito delle negoziazioni nel senso della riduzione dei sussidi statali interni (A strong Doha outcome on do-mestic support) al settore agricolo, potrebbe imporre una limitazione della spesa statunitense in favore dell’agricoltura.In questo ambito sono evidentemente riposte le maggiori speranze del Ministro australiano.

Il report della National Farmers Union rispetto al mercato agricolo americano (2007)

NFU: Study Shows Ag Market Concentration IncreasingWASHINGTON (April 16, 2007) – Agricultural market concentration is rising steadily, according to a study released today by National Farmers Union.NFU released the findings of a NFU-commissioned study conducted by Drs. Mary Hendrickson and William Heffernan of the University of Missouri on the concentration of agricultural mar-kets. The statistics revealed increased concentration in every industry except ethanol produc-tion.The NFU study documents that the top four beef packers dominate 83.5 percent of the market, four pork packers control 66 percent of that market and the top four poultry companies process 58.5 percent of the broilers in the United States. Tyson Foods is listed in the top four of each of these categories. The retailing industry has been gradually increasing its degree of concentra-tion, with the top five companies controlling 48 percent of U.S. food retailing, compared to 24 percent a decade ago.“This study supports what we have long known,” NFU President Tom Buis said. “In the absence of public policy intervention, consolidated and non-competitive markets flourish, while indepen-dent family farmers disappear. Congress must take action to restore competition in the mar-ketplace. The 2007 Farm Bill is the perfect opportunity to make that happen.”The study also found that ethanol production is the only agricultural sector in which concentra-tion has steadily decreased. Today, the top four companies control 31.5 percent of the market-place. In 1987 the top four companies owned 73 percent. Farmer owned ethanol plans account for 39 percent of total capacity.“Renewable fuels is one of the most exciting areas of agriculture and is a clear example of the impact and potential for public policies that encourage competition and reward local owner-ship,” Buis said. “It is important to continue this trend for ethanol but also expand rural owner-ship to our other agriculture-related sectors.”Buis will testify before the House Agriculture Subcommittee on Livestock, Dairy and Poultry, chaired by Rep. Leonard Boswell, D-Iowa, at a Tuesday hearing to discuss market concentra-

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tion.

Si consulti il report: NFU Concentration of Agriculture Market 2007.pdf (allegato digitale)

Le Food Companies

Per i dati relative alle companies comparsi nella presentazione si consulti: http://money.cnn.com/magazines/fortune/Inoltre: ADM (Archer Daniels Midlands) http://www.admworld.com/Smithfield Foods http://www.smithfieldfoods.com/Tyson Foods http://www.tyson.com/Kraft Foods http://www.kraft.com/Pepsico http://www.pepsico.com/Sara Lee Corporation http://www.saralee.com/Procter & Gamble http://www.pg.comMonsanto http://www.monsanto.com/Whole Foods http://www.wholefoodsmarket.com/Cargill http://www.cargill.com/General Mills http://www.generalmills.com & Cereal Partners Worldwide http://www.general-mills.com/corporate/company/cereal_partners.aspx

Fibersol-2

Fibersol-2, detto anche amido resistente: la nuova frontiera della Food Technology.Si tratta di un amido progettato che è indigeribile, per aggirare il limite fisiologico dell’uomo, cioè la capacità di ingerire. Una sostanza che entra ed esce nel nostro corpo senza lasciare traccia, consente di mangiare di più perchè per nutrirci dobbiamo mangiare di più. La politica di diffusione è quella del miglior benessere fisico, e soprattutto nel poter mangiare qualsiasi cosa, dal momento che gli alimenti contenenti questa sostanza sono poveri di calorie.Di seguito riportiamo la descrizione di ADM (ha acquistato lo sfruttamento commerciale dalla giapponese Matsutani Chemical Industry Co. Ltd.) e la presentazione della proprietaria del bre-vetto (Matsutani Chemical Industry Co).

Fibersol-2™

Fibersol-2™ digestion resistant maltodextrin is an innovative, highly soluble fiber. It is very stable, has low viscosity, is transparent in solution and adds virtually no flavor to the finished product. These remarkable physical and sensory attributes make ADM’s Fibersol-2™ diges-tion resistant maltodextrin an exceptional ingredient for a myriad of ingredient applications: reduced-calorie products, beverages, baked goods, cereals, processed meats, dairy and frozen dairy items, soups, dressings, meal replacements, dietary supplements, medical foods, func-tional foods and more.

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Attività nello stomaco

Impendenza fisiologica

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Livello di batteri

Livello di acidi

Livello di glucometrici

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Livello di grassi

Livello di grassi

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Product Specification

Total Dietary Fiber : 90% minimum, dry-weight basis via AOAC Official Method 2001.03Appearance : White free-flowing powderTaste / Odor : Non-sweet / odorlessSolution : ClearMoisture : 5% max.Dextrose Equivalent : DE 8.0 - 12.0 via the WS methodpH : 4 - 6 in 10% solutionAsh : 0.2% max.Arsenic : 1 ppm max.Heavy Metals : 5 ppm max.

Microbiological Standard Plate Count : 300 /g max.Yeast and Mold : 100 /g max.Salmonella : Negative / 25 gColiform : Negative /g

Labeling Information

US: Maltodextrin (FDA GRAS)

Labeling Examples:

MaltodextrinResistant MaltodextrinDigestion Resistant MaltodextrinMaltodextrin (Fiber)Maltodextrin (Dietary Fiber)Maltodextrin (Soluble Dietary Fiber)Maltodextrin (Source of Soluble Fiber)Maltodextrin (Digestion Resistant Type)Maltodextrin (Fibersol-2)Maltodextrin (Dietary Fiber, Fibersol-2), etc.

EU: Dextrin/ Maltodextrin

JAPAN: Indigestible Dextrin

Caloric ValuesCaloric value for soluble dietary fibers varies depending on the regulation in each country. Sci-entifically, the caloric value for Fibersol-2 is estimated as 1.0-1.5 kcal/ gram. For more specific information, please contact us.US: 3.8 kcal/ gramEU: 1.5-2.0 kcal/ gramAustralia & New Zealand: 1.9 kcal/ gram

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JAPAN: 1.0 kcal/ gramKorea: 0.27 kcal/ gram

Affirmation as a FOSHU ingredient- Intestinal regularity (1992)- Moderating post-prandinal blood glucose levels (1994)- Lowering serum cholesterol levels (1998)- Lowering triglyceride levels (1998)- Recommended intake amount: 3-10 grams/serving

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Parte II

La catena pastorale: l’erba

Ritorno a un antico sogno pastorale

Michael Pollan nella seconda parte del libro intraprende un esperienza diretta all’interno di una fattoria agricola che si definisce oltre il movimento biologico. La fattoria è a gestione familiare, il padre, Joel Salatin, ne è il direttore e lavora insieme a sua figlio Daniel e i due aiutanti. Joel si definisce “un contadino cristiano conservatore libertario ecologista e un po’ matto”, che come obiettivo il tentativo di riprodurre il vecchio ideale agricolo-pastorale in vera e propria erba, descrivendo che all’interno della propria fattoria “gli animali fanno la maggior parte del lavoro”, e dimostrando che l’antico sogno pastorale è vivo ed è ancora necessario.Alla base dell’intricata catena alimentare della Polyface una delle aziende alternative più produttive d’America, c’è la coltivazione dell’erba.Il processo produttivo si basa sulla gestione a rotazione dei pascoli: i quali non solo sostentano i bovini ma vengono curati dalle galline, le quali si occupano della parte sanitaria, inoltre fornis-cono al terreno centinaia di chili di azoto, dopo una settimana di riposo i pascoli si possono dare in pasto ai manzi che convertono l’erba in carne al ritmo di due chili al giorno.Nella Polyface si riprende quell’antico legame tra l’animale e la terra descritto nella Bibbia “Ogni carne è come l’erba” Isaia 40,6; oggi questo antico legame ci sfugge in quanto si è tras-formato piuttosto in “ogni carne è come il mais”Questo legame nasce da un attrazione innata per le piante gli animali e gli ambienti insieme ai quali ci siamo evoluti, legame che E. O. Wilson definisce “biofilia”: la quale nell’uomo si mani-festa nella sua esistenza come cacciatore raccoglitore, nel momento in cui è sceso dagli alberi il rapporto uomo-erba fu mediato da specie animali capaci già di dirigere l’erba; inoltre si mani-festa nella sua esistenza come agricoltore, definendosi appunto come “inventore dell’ agricol-tura”, una definizione autocelebratoria che non tiene conto del ruolo delle piante.Successivamente Pollan effettua un confronto tra due realtà diverse, l’agricoltura biologica di Naylor e la fattoria dei Salatin, entrambi coltivano piante erbacee con cui nutrire bovini polli e maiali che a loro volta nutriranno noi.Il modello di Naylor è parte di un sistema industriale, mentre Salatin rappresenta una realtà alternativa.Alternativa all’agricoltura industriale in America è stato il biologico (J. I. Rodale), dove si ebbe una superiorità del modello naturale in agricoltura contrapposto a quello industriale.Dopotutto la Polyface non è una fattoria biologica, lo stesso Salatin dice che sono oltre il bio-logico, sono a un livello superiore.

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L’impero del biologico

La Whole Foods è una catena di supermercati biologici più grande del mondo, dove i prodotti alimentari presentano diverse etichette come: biologico certificato, allevato in modo umano o allevato in libertà.È il classico caso dove i consumatori sono disposti a pagare di più per sentirsi raccontare sem-plicemente una bella storia.Paradossalmente in una catena industriale l’unica informazione che viaggia lungo essa, e lega il produttore all’utente finale, è il prezzo, quindi con l’agricoltura biologica si rafforza il circuito dei prodotti a buon mercato.Da questo si denota che l’innovazione del biologico oggi sta nel maggiore scambio di informazi-oni che intercorrono tra il produttore e l’utente finale

La parola biologico si è dimostrata una delle più forti al mondo del commercio al dettaglio, questa etichetta non è che un sostituto dell’osservazione diretta, il marchio biologico ci fa ve-nire in mente un’ agricoltura più tradizionale, ma la sua stessa esistenza è un artefatto indus-triale.Pollan lo chiama “Arcadia da supermercato”, cioè la creazioni di storie solo con la lettura dell’etichetta biologico, diventando una forma letteraria molto seducente perché soddisfa uno dei nostri desideri più antichi: mangiare sano e mantenere un legame con la terra e con le creature domestiche. Con l’impressione di partecipare ad esperienze autentiche.Al contrario Leo Marx in “La macchina nel giardino” scrive del tutt’altro che primitivo pastore Ritiro:il quale ”gode del meglio dei due mondi, l’ordine raffinato dell’arte e la semplice sponta-neità della natura”

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Così Whole Foods offre un paesaggio di riconciliazione tra i regni della natura e della cultura, un luogo dove la gente si riunisce e attraverso il biologico torna alle origini delle cose.In questa visione idilliaca si manifesta la più grande contraddizione nella storia dell’alimentazione: l’industrializzazione della catena alimentare biologica e gli ideali agresti da cui parte.La domanda è: Vi aspetteresti di trovare qualcosa di veramente bucolico nel cuore di un indus-tria che fattura 11 miliardi di dollari?non molto.Il biologico ha radici nel movimento radicale degli anni 60. Il People’s park nasce il 20 aprile del 1969 un gruppo autonominatosi “commissione Robin Hood” occupò un appezzamento di terra incolta di proprietà dell’università della California e incominciò a metter su un orto con qualche erba spelacchiata. Il gruppo di riforma agraria voleva fondare da zero una società cooperativa, che si sarebbe sostenuta coltivando da sé elementi non contaminati da pesticidi, questo raccolto sarebbe stato biologico.Secondo Warren Belasco questo ha cambiato il nostro modo di nutrirci,e fu l’inizio della svolta ambientalista e bucolica del movimento che avrebbe portato dalle comuni agricole alla nascita del business del biologico e di imprese come Whole foods.A questo concetto si unisce un altro pilastro della coscienza umana nata nell’ultimo secolo l’ ecologia, l’uso di questa parola risale al 1940, fu usata nella rivista “Organic Gardenind and farming” fondata da Rodale con lo scopo di far conoscere i metodi e i benefici delle tecniche agricole senza l’uso di sostanze sintetiche.

Il movimento dei primordi del biologico ha come pilastri: 1. un modo alternativo di produzione 2. un modo alternativo di distribuzione 3. un modo alternativo di consumo

A questo punto entra in gioco la figura di Gene Kahn, fondatore della Cascadian, azienda re-sponsabile del cibo pronto biologico, la quale oggi è una marchio della General Mills, la quale nacque quasi come una comune hippy.Kahn fonda la New Cascadian nel 1971, egli fu pioniere dell’intero movimento biologico e prin-cipale artefice dell’ingresso nel mainstream e del suo passaggio dalla cooperativa agli scaffali dei supermercati, creatore di quello che oggi Joel Salatin definisce l’ impero del biologico.Tra i modelli a cui si ispirò possiamo trovare il chimico Albert Howard che ne I diritti della terra, individua la chiave di volta nell’interconnessione tra ambiti apparentemente separati, come la fertilità del suole e la salute della nazione, la fondamentale importanza dell’urina animale e il metodo scientifico.

Pollan individua come serpente tentatore un chimico tedesco dell’ 800 Justus von Liebig, il quale con il NPK pose l’agricoltura sulla strada dell’industrializzazione, dimostrando che le piante per crescere hanno semplicemente bisogno di una certa quantità di elementi: azoto, fosforo e potassio.L’uso di concime artificiale secondo Howard avrebbe portato a uomini e donne artificiali. Avreb-be annullato la fertilità del suolo, reso la pianta vulnerabile a malattie e parassiti e peggiorato la salute degli animali e degli uomini. Ma questo non contrastò la vittoria dei sostenitori della mentalità NPK.Secondo Howard si doveva ritornare alla natura e copiare i procedimenti che si vedono

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all’opera nei boschi e nelle praterie. La madre terra non cerca mai di far crescere qualcosa senza l’aiuto degli animali.L’ agricoltura proposta da lui è premoderna e antiscientifica: per lui non abbiamo bisogno di sapere come funzione l’humus o il compostaggio per poterne fare buon uso.L’agricoltura biologica ha finito per assomigliare sempre di più a quel sistema industriale cui all’inizio voleva sostituirsi, come Kahn da contadino alternativo è diventato un imprenditore agroalimentare.Il caso Alar 1990 determina la nascita della moderna industria agroalimentare biologica, sco-prendo che il pesticida usato nella coltivazione delle mele era cancerogeno, l’America scoprì il biologico.Diventare parte del sistema industriale vuol dire gettare due dei pilastri che erano alla base del biologico: la cucina alternativa e le cooperative alimentari, facendo rimanere in piedi solo il nuovo modo di produrre, trattando il biologico come un prodotto di nicchia, ma che poteva es-sere commercializzato attraverso i canali già esistenti.Nel 1990 si ebbe il primo riconoscimento legale del settore, e il primo provvedimento risale al 1997, il quale permise l’uso di OGM e l’irrigazione con acque nere nelle culture biologiche.

Un percorso formativo

Per Kahn ciò che vale nel processo si industrializzazione del prodotto biologico è solo la quan-tità di ettari che si riesca a convertire nella gestione certificata.Pollan a questo proposito decide di visitare alcune aziende certificate in California:

1. La prima è la Greenways, dove si coltivano i pomodori per le salse per la Muir glen, la parte certificata occupa 800 ettari affianco a un modello tradizione, in totale ci sono 9600 ettari. Le cose non sono molto diverse, ogni sostanza chimica utilizzata nella coltivazione convenzion-ale viene sostituita con un componente meno aggressivo in quella biologica. Il problema affrontato da questa azienda è come sbarazzarsi delle infestanti senza fare uso di erbicidi chimici, ma alla fine i campi sono zeppi di erbicidi tanto quanto quelli tradizionali.La semplice sostituzione di un ingrediente con un altro è una deviazione dell’ideale biologico, secondo il quale un’ aziende deve creare fertilità il più possibile in modo autoprodotto e com-battere i parassiti con le armi della diversificazione e della rotazione.Infatti le piccole aziende si limitano a sostituire gli additivi, ma nessuno si rifornisce da esse perché è inconveniente per due ragioni: A. alti costi di intermediazione B. non riescono a coltivare enormi quantità di un singolo prodottoFacendo si che gli ideali capitalistici prendono il posto di quelli naturali.Il biologico è un business che può funzionare a larga scala (Kahn) i benefici ambientali sono indubbi ma i costi si alzano, come prima conseguenza si formano grandi agglomerati agricoli: oggi gran parte dei prodotto freschi sono prodotto dalla Earthbound, nata negli anni ‘80 per opera di Drew e Myra Goodman, inventori dell’insalata lavata a mano e messa in sacchetti (in-salata pronta). Una tipica confezione da 500g di insalata fornisce 80 calorie, secondo i calcoli di Pimentel, coltivare, refrigerare, lavare, confezionare e trasportare lo stesso sacchetto fino a una tavola americana necessita di 4600 calorie di energia ricavata da combustibili fossili, pari al 57% per ogni caloria alimentare.

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L’insalata ci fa comportare come erbivori, cosa c’è di più salutare di una bella forchettata di foglie verdi? Qui Polan ci pone di fronte a un nuovo contrasto: tra la semplicità dell’alimento e la comples-sità industriale che si trova alle sue spalle, il quale fa pensare a un altro significato della parola biologico, “alla fine tutto rientra nel modo in cui gira il mondo” Kahn.Il successo di imprese cometa Earthbound e la Small Planet ha scavato un abisso tra il bio-logico “grande” e quello “piccolo”, il che ha spinto molti fondatori e sperimentatori come Joel Salatin a pensare che sia giunto il tempo di superare il biologico e di richiedere standard ancora più elevati.

2. La seconda è polleria Petaluma, dove vuole conoscere Rosie la gallina.Pollan anche qui è costretto a scontrarsi con una realtà lontana dalle belle storie raccontate sulle etichette alimentari.Rosie infatti era una gallina biologica allevata in libertà. Andando a Petaluma conosce Rosie, tutte galline di razza Cornish, varietà bianca e vengono trattati secondo i metodi correnti dell’industria agroalimentare, risultando il più efficiente convertitore di mais in carne mai esis-tito. I pollai assomigliano a dei campi militari: ventimila polli che bevono e mangiano cibo biologico, diventando così animali particolarmente vulnerabili alle infezioni: uno dei paradossi più evidenti della produzione di cibo biologico con metodi industriali.Comunque per essere certificato un pollo deve avere l’accesso all’aria aperta, le porte riman-gono chiuse per le prime cinque settimane di vita, acquisendo dei comportamenti abituali all’interno del pollaio. Questi animali vivono in totale sette settimane quindi non sentono la necessità di avventurarsi al di fuori del pollaio.

3. Infine Pollan si reca nella Salinas Valley, dove si produce la maggior parte della coltivazione delle verdura della Earthbound.

Domande da farsi

Cena comprata da Whole Foods: pollo arrosto (Rosie) con contorno di verdure e un dessert gelato il tutto biologico.Le domande che si pone l’autore sono:

Il biologico è davvero migliore?vale il prezzo maggiorato?È migliore in che senso?Se intendiamo più gustoso la risposta è affermativa ma non è così scontato almeno per le carni.

Migliore per la salute?Anche adesso la risposta sarà quasi sicuramente positiva, ma non in modo automatico, infatti il cibo biologico sicuramente contengono pochi o punti residui di pesticidi e di tutti quei can-cerogeni, neurotossici e distruttori endocrini che si trovano comunemente in tutti gli altri tipi di verdure e carni, ma nel verificare i benefici di un alimento non dobbiamo considerare solo la sua tossicità, ma anche il suo valore nutrizionale.Il ministro dell’Agricoltura Glickman nel 2000 disse che “l’etichetta di Biologico è uno strumen-to di marketing, non una certificazione di sicurezza alimentare, né un giudizio di valore nutriz-ionale o di qualità”

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Ricerche fatte nel 2003 all’università della California a Devis dimostrano che le piante coltivate con metodi biologici e in generale sostenibili presentavano in modo significativo livelli maggiori di acido ascorbico (vitamina C) e un buon numero di polifenoli. È sbagliato fare affidamento su un’unica ricerca ma allo stesso tempo non possiamo pensare che l’ etichetta biologico su un alimento lo renda automaticamente salutare, nel caso di cibi preconfezionati e prodotti molto lontani dal luogo di acquisto.

Il biologico è meglio per l’ambiente? Per i coltivatori?per la salute pubblica? Per i contribuenti? Si, eppure gli alimenti biologici di tipo industriale lasciano profonde tracce sull’ambiente.La cena biologico-industriale gronda combustibili fossili quasi quanto una cena tradizionale pensando solo al trasporto. Secondo Pimentel l’agricoltura biologica consuma un terzo di combustibile fossili in meno rispetto a quella tradizionale, ma questo risparmio scompare nel caso in cui il compost non sia prodotto in loco o nelle vicinanze.Coltivare è il meno:solo un quinto dell’energia totale si consuma nei campi.

La catena alimentare biologica industriale è una contraddizione in termini?è una contraddizione con cui si può convivere, qual è il prezzo che paghiamo per i nostri compromessi?

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L’erba: mille modi di vivere un pasto

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Nella fattoria di Joel Salatin, l’ erba è l’ elemento fondamentale e presenta un infinita varietà.Joel si definisce un erbicoltore, termine nato in Nuova Zelanda, la salute della fattoria dipende più di ogni altra cosa dalla salute dei prati.Nella fattoria si mette in atto la teoria della rotazione del pascolo, nella quale l’erba è la chiave di volta, il nesso tra l’energia solare che fa da motore al tutto e gli animali di cui ci nutriamo. Potremmo definire Joel più che un erbicoltore un “eliocoltore”, in quanto l’erba è solo un mezzo per catturare l’energia del sole.La crescita delle erbe segue una curva sigmoidale ad S: per individuare i momenti per man-dare le bestie al pascolo,al punto più alto della crescita esplosiva. Alle mucche non deve essere consentito ripassare su un pezzo di pascolo che non ha ancora avuto il tempo di rimettersi in forma.L’unità a cui riferirsi per calcolare i tempi e i luoghi in cui consentire di nuovo l’accesso al pascolo è il cow-day giorno mucca, che equivale alla quantità media di foraggio che un capo di bestiame ingerisce in un giorno. Perché la rotazione funzioni è necessario sapere quanti giorni-mucca può fornire ogni singolo appezzamento. Per Joel il ritmo ottimale è il polso dei pascoli: la Polyface è arrivata a una produttività di mille giorni-mucca per ettaro.

Per la rotazione del pascolo Joel sposta le sue mucche su un prato su un erba fresca, i continui spostamenti aiutano a mantenere le bestie in salute. Senza il lavoro degli erbivori la ricostruzi-one del suole non sarebbe né così veloce né così efficiente.L’ alta produttività fa si che i pascoli di Joel smaltiscono tonnellate di carbonio atmosferico; le specie erbacee, al contrario di quelle arboree, immagazzinano gran parte di questo elemento sottoterra, sotto forma di humus.Wes Jackson, direttore di un centro ricerca il Land Institute di Salina nel Kansas, dove si lavora a un progetto a lungo termine: rendere perenni i cereali per poterli coltivare in grandi policol-ture che andrebbero avanti in modo autonomo, senza o quasi aratura o semina.L’idea di fondo è quella di vivere con le ricchezze della terra costringendo le specie erbacee a sviluppare semi più grossi e nutrienti.La vittoria del mais sull’erba, dipese dalla credenza che un ettaro di cereali produce più calorie totali di un ettaro di pascolo, in realtà un pascolo ben gestito fornisce una maggiore quantità di macronutrienti, infatti in un campo di mais si sfruttano solo i chicchi, mentre quasi tutte le parti delle piante di un pascolo finisco nel rumine di un bovino.Un motivo che ha portato il bestiame americano ad allevamenti intensivi è che la nostra civiltà e il modo in cui ci alimentiamo sono organizzati secondo logiche rigidamente industriali, valori più desiderabili sono l’uniformità, la meccanizzazione,la prevedibilità, la sostituzione degli im-put e l’economia di scala. Il mais si lascia stritolare da questa macchina, l’erba no.L’erba non è una commodity, non è facile da accumulare, scambiare, trasportare o immaga-zzinare, almeno su lunghi tempi.La gestione intensiva di un pascolo segue le regole del biologico e non si adatta a quelle dell’industria che detta legge.

La casa di Salatin era proprio il focolare di campagna che innumerevoli cucine nelle periferie americane hanno tentato di emulare dal dopoguerra. La cena era composta esclusivamente con ingredienti prodotti nella fattoria, da bere c’era solo acqua: ci stavamo alimentando in modo quasi completamente autosufficiente, rendendomi conto che l’agricoltura praticata alla Polyface si accorda con lo stile di vita del Salatin. Joel non voleva avere nulla a che fare con le istituzione e con il governo. La fattoria e la famiglia

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creavano una comunità, un mondo autosufficiente, l’autonomia agraria era frutto della neces-sità (Thomas Jefferson) mentre oggi costituisce una scelta politica, economica e sociale delib-erata e faticosa, un obiettivo da raggiungere.

Gli animali:la complessità al lavoro

Polyface è la prova vivente che a volte è possibile migliorare la salute di un’area coltivandola piuttosto che lasciandola in pace.Joel invento un nuovo metodo di allevamento dei polli negli anni 80 Pastured Poultry Profit$ spostando gli animali tutti i giorni migliora la loro salute e quella dei terreni. I polli non riman-gono a contatto con gli agenti patogeni e trovano nelle varie specie erbacee un buon numero di vitamine e minerali. Il loro letame fertilizza i prati fornendo loro tutto l’azoto di cui hanno bisog-no. Il mangime convertito in letame dagli uccelli nutre a sua volta l’erba, che nutre le mucche, che nutrono i maiali e le galline ovaiole.Entra in gioco anche la uovomobile, un incrocio tra un pollaio e un carro dei pionieri che tras-portava quattrocento chiocce. In natura gli uccelli seguono gli onnivori, così la uovomobile porta gli uccelli a nutrirsi delle larve delle mosche presenti nello sterco dei bovini, che tre giorni prima avevano pascolato e che avevano tagliato l’erba nel brulicare a un altezza gradita alle chiocce, su quel appezzamento di terra. Così le galline decontaminano lo sterco, ora utile per coltivare il mangime iperproteico per le galline quindi il costo della produzione di uova si abbatte.Questo intendeva Joel quando diceva che da lui sono gli animali che lavorano davvero, lui si definisce come un direttore d’orchestra assicurandosi che tutti stiano al posto giusto al mo-mento giusto.Questo tipo di allevamento è differente da quello industriale, perchè questo segue una logica chiara e gerarchica, mentre la relazione che intercorre tra mucche e le galline della Polyface è un ragionamento circolare.<< In un ecosistema come questo tutte le parti sono connesse tra loro. Non si può cambiare un componente senza cambiare altri 10 a lui collegati>>(Joel), in un sistema di tipo biologico nessuna azione è isolata, tutto è interconnesso, la fattoria è un organismo non una macchina.<<L’agricoltura non si adatta a imprese di grandi dimensioni perché è un attività che a che fare con piante e animali che nascono, crescono e muoiono>>Importane in un azienda agricola è il concetto di efficienza, l’efficienza della natura, piena di reciproche influenze e relazioni tra specie che si sono evolute insieme.In un sistema industriale la chiave è la semplificazione: fare sempre le stesse cose in grandi quantità, arrivando alla monocultura o allevare un solo animale o coltivando una sola pianta. Il punto estremo della semplicità sta nella monocoltura permettendo di introdurre macchinari e procedure standard che aumentato l’efficienza.Diversamente l’efficienza di una ecosistema naturale nasce dalla complessità, considerando non solo i prodotti primari ma anche le spese che vengono abbattute come gli antibiotici, anti-parassiti, fertilizzanti e vermifughi.Polyface imita le relazioni presenti in natura formando un nuovo ecosistema stratificato.Ogni livello della stratificazione è un alone, può essere sia un tutto autosufficiente, sia una parte dipendente da altre come la uovomobile.Un ulteriore problematica affrontata da Joel è l’osservazione che le istituzioni non aiutano un impresa a basso capitale e alto tasso intellettuale come la sua: perché non acquista quasi nulla

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dall’esterno.La salute si identifica come la massima efficienza di una fattoria gestita come un ecosistema, dimostrandosi un sistema forte e molto meno fragile come quello biologico industriale.Per contare la quantità di produzione della fattoria si deve infatti tenere conto anche di 180 et-tari di bosco.Che c’ entra il bosco con la produzione alimentare?1. le riserve d’acqua della fattoria dipendono dagli alberi, che trattengono l’umidità e scon-giurano il pericolo di erosione2. gli alberi fanno da condizionatori e fanno soffrire meno gli animali d’estate3. gli alberi bloccano parte del vento che spazza i pascoli4. più erba per le mucche5. capacità degli alberi di trattenere l’umidità6. la biodiversità portata dal bosco7. più uccelli significa meno insetti che serve a controllare il numero di predatori che evi-tano di andare a mangiare le galline8. gli alberi producono molta più biomassa di quanto potrebbero fare le erbeNon si può fare una cosa sola, slegata da tutte le altreUna delle più grandi risorse economiche di una fattoria è data dalla pura e semplice gioia della vita (Joel)

Il macello trasparente

Il mercoledì era il giorno per scannare i polli da cerne. Il macello si effettuava all’aria aperta, il quale era considerato un passaggio inevitabile.Le azione da fare erano: catturare e portare via in apposite cassette i 300 esemplari da macel-lare dopo la colazione.Joel sosteneva quanto fosse importante macellare in fattoria per costruire una catena alimen-tare sostenibile. I migliori disinfettanti al mondo sono il sole e l’aria fresca. Il difetto delle nor-mative è che sono pensate per i grandi complessi industriali. Le norme federali descrivono in minuziosi dettagli come deve essere fatto uno stabilimento, ma non stabiliscono nessuna soglia massima per i patogeni presenti sulla carne.L’ obiettivo diventa quindi far chiudere tutti gli impianti di macellazione tranne i più grandi con la scusa della sicurezza alimentare. Tutte le malattie di origine alimentare sono da ricercare nella produzione e nella lavorazione centralizzata e nella distribuzione a lunga distanza.Pollan davanti al momento dell’uccisione pensava che fosse una vista difficile da reggere: ”Mi dissi che gli spasmi erano involontari, che gli animali in attesa del loro turno non avevano idea di quello che stava succedendo nel cono accanto, che la loro sofferenza dopo il taglio della gola, dovevano essere brevi. La loro inconsapevolezza mi dava sollievo. Non c’era molto tempo per pensare a queste cose perché il lavoro era quello di una catena di montaggio. Dopo un po’ il ritmo del lavoro aveva preso il sopravvento sulle mie paure e l’unica cosa a cui pensavo mentre uccidevo un animale era l’esecuzione corretta dei movimenti. Come è facile abituarsi a qualco-sa, soprattutto se chi ti circonda sembra non farci caso. L’aspetto che più disturba moralmente nel macellare i polli è il fatto che dopo un po’ non disturba più.Arrivavano i primi clienti. Essi possono assistere al macello. Mi resi conto che un macello all’aria aperta sia un concetto altamente morale, questa trasparenza è la migliore garanzia del fatto che la carne che stanno per comprare è stata trattata in modo pulito e non crudele.

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Il macellare in casa viene a essere anche meno caro, le leggi non permettono di macellare, af-fumicare e stagionare manzi e maiali. Perchè considerati trasformazioni industriali proibiti in un area destinata all’agricoltura.”Secondo Joel le leggi sono il principale ostacolo sulla strada della costruzione di una catena alimentare sostenibile, secondo lui dovrebbe essere un diritto costituzionale la libertà di com-prare una costoletta di maiale dal contadini che l’ha allevato.Successivamente affrontarono il processo di compostaggio degli scarti della macellazione. “Il compost era ripugnante, ma quel mucchio di materia mi ricordava che dietro a una cena a base di pollo c’è un animale che viene ucciso, dissanguato, sviscerato, e questo sentore di morte ac-compagna ogni tipo di carne industriale, biologica.”

Il popolo senza codice a barre

I Prodotti della Polyface possono arrivare nelle case dei consumatori per cinque diverse vie:1. vendita diretta al negozio della fattoria2. mercatini agricoli3. gruppi di acquisto metropolitano4. una manciata di negozietti di Staunton5. alcuni ristoranti della zona che Art, il fratello di Joel, rifornisce ogni giovedì con il suo furgone.Questa è considerata la strada per una riforma radicale del sistema alimentare globale. La rivoluzione inizia quando il cliente si prende la briga di comprare direttamente da un produt-tore del quale si fida: Joel lo chiama “marketing relazionale”. Venditore e compratore possono guardarsi negli occhi: comprare un pollo alla Polyface è un azione salvifica dal punto di vista sociale, ambientale, nutrizionale e politico. I clienti della Polyface non avevano l’aria dei gourmet benestanti di città, alla base di tutto c’ero lo stesso brodo di cultura, un misto di paure e piaceri alimentari e nostalgie legate al cibo, che ha fatto crescere l’agricoltura biologica negli ultimi ‘20 anni.

Qui entra in gioco un nuovo personaggio: Bev Eggleston, titolare e unico dipendente della EcoF-riendly Foods società di distribuzione, secondo canale lungo il quale i prodotti Polyface arrivano ai consumatori.Consapevole di essere i più economici sul mercato si tiene conto di tutti i costi visibili e invisibili, come le voci di spesa nascosti che gravano sull’ambiente e sul contribuente come accade nei prodotti industriali.La forza di quest’uomo è nell’ idea che la scelta del consumatore sta nel comprare un alimento con un prezzo onesto o alimenti con un prezzo irresponsabilmente basso.In America i prodotti a prezzo basso sono sovvenzionati dallo stato, finche le regole saranno così il cibo biologico o sostenibile costerà sempre un po’ di più all’utente finale.La famiglia americana media spende solo il 10 % del suo reddito per il cibo, e fra tutte le cul-ture della storia dell’umanità, dedica meno risorse agli alimenti.I prodotti artigianali di Joel possono competere per la qualità non per il prezzo e questo è in-usuale per quanto riguarda il cibo.Pollan osserva come sia impressionante quanto la vendita di un prodotto tanto importante per la nostra salute sia determinata solo dal prezzo. Grazie al marketing relazionale, oltre al pr-ezzo, si scambiano più informazioni.

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In genere invece di un testo che ci racconti come è stato prodotto un cibo troviamo un codice a barre simbolo della sua totale oscurità.A questo punto siamo sempre più coscienti che i prodotti del supermercato non regge a un simile livello di trasparenza.Il prezzo basso e la non conoscenza si rinforzano a vicenda. Tra l’ignoranza e l’incuranza il passo è breve:non sapendo chi c’è all’altro capo della catena alimentare si alimenta il disinter-esse sia del consumatore che del produttore.Esistono gruppi di acquisto urbano, gruppi di famiglie che si mettono insieme per fare un gros-so ordine collettivo. La quantità ordinata è sufficiente per giustificare la consegna da parte di Joel che si spingi e mezza giornata dalla Polyface.Il bello della rete è che permette a persone che la pensano allo stesso modo di trovare la loro tribù, e questa tribù di arrivare alla Polyface attraverso Bev, che si rilevò un venditore nato, senza spese pubblicitarie e senza dover affittare un locale.Allan Nation distingueva tra imprese industriali e artigianali e dimostrava perché i tentativi di fondere i due modelli fossero destinati al fallimento. Infatti coltivatori di tipo industriale vendono commodities e operano in un settore dove per sconfiggere la concorrenza la forza è quella di minimizzare i costi, aumentare la produzione per sfruttare le economie di scala e compensare il margine di profitto calante.Nella “produzione artigianale”, la strategia competitiva è vendere qualcosa di speciale. Il mod-ello funziona fino a quando non cerca di imitare la logica industriale. Il piccolo coltivatore devo volgere a sua vantaggio la diversità e le variazioni stagionali, deve concentrarsi sul mercato locale, basandosi sulla reputazione e sul passaparola piuttosto che sulla pubblicità, deve sfrut-tare il più possibile l’energia gratuita del sole e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Joel, sentendo le parole di Allan Nation,aveva capito perché riusciva a guadagnare di più con i polli che con i manzi e i maiali: i primi avevano un processo totalmente artigianale, i secondi dovevano passare attraverso uno stabilimento industriale, il che faceva aumentare i costi e diminuire i profitti.La teoria di Porter-Nation spiegava anche la difficoltà di Bev, la sua azienda era costretta a con-formarsi a un sistema di norme basato sul modello industriale.

Gran parte dei cuochi di Charlottesville si servono dai Salatin soprattutto per polli e uova.Perché una catena locale abbia successo i consumatori devono imparare di nuovo cosa sig-nifichi alimentarsi seguendo il ritmo naturale delle stagioni. Grazie ai CAFO ci siamo abituati ad avere carne fresca tutto l’anno. Ci siamo dimenticati che le proteine animali avevano un ciclo stagionale come i pomodori o il mais.L’alleanza informale tra cuochi e piccoli produttori esiste da quando Alice Waters aprì nel 1973 il suo Chez Panisse a Berkeley, i migliori chef hanno contribuito non poco a sollevare le sorti dell’agricoltura locale in America. Essi hanno anche un ruolo importante nell’educare i con-sumatori ad apprezzare le virtù del localismo, il piacere di mangiare seguendo il ritmo delle stagioni e la superiore qualità organolettiche di prodotti coltivati con amore.Siamo di fronte a un nuovo movimento a un ibrido tra mercato e politica che ha come idea cen-trale una nuova figura di consumatore. Tutta quella gente che comprava alla Polyface lo faceva quasi come se fosse una forma di civismo, una forma di protesta, sobbarcandosi di disagi e spese per “chiamarsi fuori”: dai supermercati, dalle logiche del fast food, dall’agricoltura in-dustriale globale che sta dietro a tutto.Wendell Berry sostiene che per riparare i danni causati alle economie locali e alla terra dal rullo compressore del commercio mondiale ci vorrebbe “la rivolta dei piccoli produttori e con-

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sumatori contro l’industrializzazione globalizzata delle multinazionali”In un suo saggio The Total Economy (2003) sostiene che oggi viviamo in un epoca di <<senti-mentalismo economico perché credere nelle promesse di un sentimentalismo globale richiede in realtà un atto di fede: la certezza che raggiungere la felicità in un futuro indefinito.

Molti aspetti della nostra vita in un mondo globalizzato ci sembrano al di fuori dal controllo individuale, ma siamo ancora in grado di scegliere cosa mettere in pancia, e di quale catena alimentare fare parte.Ci sono buone ragioni per ritenere che un agricoltura locale tende a essere automaticamente più sostenibile:. non si basa su una monocoltura, il peccato originale che è la causa di tutti i problemi. Un colti-vatore locale deve necessariamente avere una grande varietà di alimenti.. le fattorie produco ben più di semplice cibo:danno forma a un certo tipo di paesaggio e a un certo tipo di societàMangiare in modo locale è anche una scelta ecologica, ma mangiare locale è più faticoso.Gran parte dell’attrazione esercitata dal cibo industriale sta nella sua comodità.Quindi per non fallire, un economia alimentare locale ha bisogno non solo di un nuovo tipo di produttore ma anche di un nuovo tipo di consumatore che vede l’acquisto, la conservazione e la preparazione del cibo come un piacere e non come un lavoro, Wendell Berry diceva che “man-giare è un atto agricolo”.Questa è la missione di Slow Food, ricordare i legami che ci uniscono alla terra, il fondatore Carlo Petrini dice che il consumatore deve diventare un “coproduttore”.

L’ ultimo giorno alla Polyface Pollan chiese a Joel se credeva davvero che il sistema alimentare industriale potesse venire rovesciato da un movimento informale e improvvisato fatto di mer-catini, piccola distribuzione e gruppi di acquisto. Joel rispose: “Non dobbiamo batterli. Ciò che dobbiamo fare è dare alla gente una buona filosofia e una corretta informazione che gli consen-ta di tirarsi fuori in massa. Sta già accadendo formando piccoli gruppi grazie a internet.Joel si vedeva come un Lutero, l’ obiettivo non era far saltare in aria la Chiesa ma aggirarla. L’importante è assicurasi che esiste un alternativa.

L’esperienza in una cena

Per rispettare fino in fondo lo spirito di questa catena alimentare locale sarebbe stato bene consumare il cibo a una distanza accettabile dalla fattoria in cui era stato prodotto.Ultimo compito era quello di marinare la carne in salamoia che aveva come compito mettere una distanza tra la cena e la mattanza del mercoledì.La cottura degli animali ha lo scopo di rendere civilizzata, di sublimare, quella che in fondo è una relazione piuttosto brutale tra specie diverse.Claude Levi-Strauss disse che la civiltà è il processo di trasformazione dal crudo al cotto, dalla natura alla cultura.Il fatto che le carni di animali allevati al pascolo siano migliori per noi ha un preciso senso evo-lutivo. Carne, latte, uova, prodotti in questo modo hanno meno grassi totali e meno grassi saturi dei medesimi alimenti ottenuti con i metodi standard, presentano i livelli più alti di omega-3, acidi grassi essenziali favoriscono la crescita dei neuroni.Brillat-Savarin nella Fisiologia del gusto in un capitolo “sul piacere delle tavola”scrive “alla

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prima portata ognuno mangia avidamente, senza parlare o prestare attenzione a ciò che si può dire intorno”.Il pollo era sensazionale, sapeva di pollo perché aveva vissuto come un pollo.Nello stesso libro si distingue il piacere di mangiare e il piacere della tavola proprio della specie umana: la sensazione riflessa che nasce da diverse circostanze di fatti, di luoghi, di cose e di persone che accompagnano il pasto e costituisce uno dei valori più alti della civiltà.Ogni pasto che condividiamo con altri in una tavola costituisce questa evoluzione da natura a cultura, passando dalla soddisfazione silenziosa degli appetiti animali all’eterea sostanza della conversazione, lo sfamarsi diventa il cenare.

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Parte IIISchema primordiale

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Il motivo di questo percorso descritto nella terza parte é provare cosa significa preparare e mangiare dei cibi con la piena consapevolezza di ciò che comporta. Quindi é il lato più etico e filosofico del mangiare stando il più vicino possibile a tutti i processi primordiali sfruttando la brevità della catena alimentare. L’autore, in questa parte, approfondisce la sua ricerca antropologica sull’evoluzione umana per capire meglio il rapporto cibo-uomo fin dalla vita primordiale. Questa preparazione teorica gli servirà poi per capire meglio la difficoltà dell’uomo che una volta sopravviveva con la caccia e la raccolta. La separazione della logica naturale da quella industriale é appunto per far vedere il distacco di Pollan, un cittadino americano qualsiasi, che si immerge nell’ambiente dell’uomo primordiale e quindi guarda alla natura con un punto di vista diversa. Inoltre l’autore sottolinea ogni tanto come l’uomo é capace a complicarsi la vita con la propria intelligenza. Da quando l’uomo si é industrializzato” non riesce a capire che fa parte di un sistema molto complesso chiamata “natura” e non é capace dirigerlo.

Dilemma dell’onnivoro

La ricerca antropologica si collega alla ricerca psicologica per capire il comportamento alimen-tare dell’uomo rispetto alle condizioni esterne.Gli esperimenti fatti da Rozin sui topi illumina molto il comportamento della scelta alimentare degli uomini. I ratti come gli uomini si sono evoluti e diventati numerosi nella natura grazie alle possibilità dell’onnivoro rispetto alle altre specie. Ma questo vantaggio si controbilancia con lo stress causato dai due istinti presenti in tutti gli uomini chiamati “neofobia e neofilia” (il dilemma dell’onnivoro). L’uomo, però, con la sua intelligenza si é riuscito a semplificarlo con l’invenzione della cultura. La maggior parte della complessa rete di tabù, rituali e tradizioni sono delle codifiche per una saggia alimentazione (Rozin: le cucine nazionali incarnano parte della saggezza alimentare di una cultura)Lo svantaggio del passaggio all’agricoltura e vivere insieme é stato forse il passaggio a una vita monotona ma dall’altra parte si é eliminato o ridotto il dilemma dell’onnivoro. Oggi con la globalizzazione e l’industrializzazione si é resa disponibile una grande varietà di cibi. Come dice il sociologo Daniel Bell “Regole e rituali alimentari si opponevano alle esigenze delle industrie di vendere sempre pi,u roba a una popolazione già ben nutrita.” Soprattutto nei paesi multietnici che non hanno una dominanza culturale come gli Stati Uniti, ma anche nei paesi industrial-mente sviluppati, le persone hanno cominciato a rivivere lo stress e hanno sentito sempre di più la necessità di consigli alimentari. Questo ha fatto questi popoli un facile bersaglio per le offerte seduttive del marketing, quindi del capitalismo. Il distacco dal mondo naturale e la completa fiducia nelle aziende multinazionali ha portato ai problemi salutari fino a diventare un problema nazionale.

Dilemma del vegetariano

L’esperienza di caccia rappresenta per Pollan uno sperimento sia per la consapevolezza di ciò che mangia ma anche per capire se veramente l’uomo non dovrebbe, come dicono gli animal-

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isti, cacciare un’animale. Nella caccia moderna non si parla di una dipendenza di sopravvivenza come dice il filosofo australiano Peter Singer. Pollan si sente la necessità di leggere le opinioni di un vegetariano prima di uccidere un’animale. L’uccisione dell’animale, come dice l’autore, é un fatto brutale tra i singoli ma ogni singolo fa una cosa buona per la sua Specie. Secondo gli animalisti e vegetariani come Singer non possiamo uccidere gli animali basando sull’intelligenza o sull’ordine naturale perchè certi animali sono più intelligenti degli uomini ritardati e se basassimo sull’ordine naturale dovremmo anche accettare lo stupro e l’assasinio. Questo suo ragionamento non accetta neanche l’ordine morale perchè crede nel sistema di diritti dell’uomo. Ma questi diritti, secondo Pollan, sono un’invenzione umana e vanno bene solo per gli uomini. La conclusione che arriva l’autore é che gli animalisti e i vegetariani vogliono sollevare l’uomo dal male intrinseco della natura e tutti gli animali con lui. Cioè cercano di cambiare totalmente la natura senza rispettare prima per ciò che é. (Ortega Y Gasset)

L’esperienza

L’esperienza come cacciatore viene affiancato con gli autori che hanno scritto sull’etica e filo-sofia della caccia. Questa lettura é importante per Pollan per confermare e confrontare le sue impressioni con quelle dei cacciatori professionali. Nel suo viaggio viene accompagnato da un chef (che non fa il cacciotore per lo sport) molto naturalistico. Pollan sottolinea la differenza tra vedere dall’esterno e vivere l’uccisione. Il cacciatore rimane tra il disgusto (sbatte in faccia la parte animale dell’uomo) e il piacere dell’ammazzare (“é un compimento non un sovvertimento delle regole naturali sia per il cacciatore che per la preda”)L’esperienza che fa lui non viene consigliato come alternativa del mercato industriale ma é importante capire il lato animale che c’é dentro ogni uomo. La relazione tra l’animale e l’uomo é qualcosa di più della caccia, c’é una simbiosi nella natura e sia l’uomo che l’animale la sanno per istinto. Per l’uomo é necessario guardare negli occhi dell’animale per rispettare e poi per mangiare con gratitudine come facevano una volta.

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Animali felici e quelli che soffrono

La questione importante nel dibattito della condizione degli animali é la misura delle loro sof-ferenze. Anche se esistono vari metodi per capire se un animale soffre é difficile capire negli allevamenti industriali chiusi da tutti i lati. La crudeltà della logica industriale vede gli animali come delle unità produttive e non come esseri viventi. La separazione di tutti i componenti della catena naturale porterà sicuramente al deterioramento dei componenti. Un esempio ben visibile sono le terre monocoltivate che diventano dopo un pò inutilizzabili. Anche la storia del manzo 534 di Pollan é davvero triste. Cosa é allora la soluzione? Secondo l’autore, La felicità dell’animale sembra coincidere con la sua forma aristotelica (Aristo: forma di vita caratteristica), quindi la piena espressione delle aspirazioni istintive come succedeva a Polyface. Per la questione dell’uccisione la soluzione sembra la trasparenza sempre di Polyface. Se quella trasparenza potesse essere applicata a grande scala sicuramente cambierà qualcosa. Si aprirà la terza strada senza togliere lo sguar-do dal macello( National Beef) o senza rifiutare la carne (Peter Singer) per iniziare a guardare in faccia dell’animale e poi mangiarlo.

La cena

Dopo aver analizzato il mondo misterioso dei funghi e raccolto abbastanza per la sua cena l’autore comincia a preparare la sua cena. Tra tutte le cene che fa (Quella a McDonald’s, quella con i prodotti della Polyface e questa) questa é più soddisfacente sia per il lavoro fisico e morale che per consumare in piena coscienza di quanto é costato. Il piacere di questo pasto viene dalla piena conoscenza ed é vario perchè si basa sulla varietà che la natura ci offre. Invece il pasto fatto da McDonald’s si basa all’ingegnosità dell’industria alimentare che riesce a simulare vari alimenti basandosi su una sola specie coltivata in un solo ambiente. Si dimentica su cosa si ap-poggia l’industria. Il costo del primo pasto é giustificabile non come il pasto da McDonald’s che non riflette i costi reali. (“sono scaricati sull’ambiente, sulla salute pubblica, sulle tasche dei contribuenti, sul futuro”)

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Metodo di ricerca

User Centered Design & Participatory Design

Il percorso di ricerca intrapreso da Michael Pollan si basa su un cammino a ritroso nell’osservazione di un sistema complesso, come quello industriale, a un sistema dove l’uomo è spinto a scegliere cosa mangiare per il suo sostentamento, portandosi fino a sperimentare l’antico rito della caccia tipico di un sistema primordiale.In questo percorso, centrale è l’esperienza diretta e l’osservazione sul campo, la quale mette in relazione sempre più ravvicinata l’uomo e la terra.Pollan ci presenta il paradosso dell’ uomo il quale è illuso dalla sua presunzione di conoscenza, ma nella realtà si allontanato notevolmente da uno stato di natura che lo portava alla ricerca di nuovi sapori e alla difesa della vita, parlando di neofilia e neofobia.Infatti se in un sistema primordiale avevamo la possibilità di scegliere ciò che cacciavamo e raccoglievamo e quindi mangiavamo, oggi in un sistema complesso industriale, dove le et-ichette degli alimenti commercializzati presentano solo messaggi criptati, non interpretabili da un consumatore comune, il quale ignora la possibilità di una maggiore informazione, non ab-biamo la consapevolezza di mangiare solo mais.È questo il paradosso più grande della società odierna, dove l’uomo crede di aver raggiunto un buon grado di conoscenza di ciò che gli sta intorno, tale da poter essere raggirato facilmente da ricerche di mercato e azioni di marketing, andando contro la nostra essenza di onnivori.Questo percorso lo ritroviamo in un tipico modello di metodologia di ricerca riscontrabile nel campo della progettazione industriale. Il modello a cui si riferisce è lo User Centered Design e Participatory Design, il quale ha come punti focali della ricerca la partecipazione dell’utente e la compresenza di diverse competenze in differenti discipline.La filosofia che sta alla base di questo tipo di progettazione è il coinvolgimento dell’utente in relazione a due aspetti fondamentali, il mercato e le dinamiche sociali.Come punto di partenza ritroviamo l’osservazione di come l’utente interagisce con il prodotto, successivamente c’è il suo coinvolgimento all’interno del progetto, l’unione di diverse discipline e conoscenze, arrivando infine a un processo ciclico tra soluzione e verifica.Le fasi del processo in Pollan si esplicano come prima cosa nella comprensione del contesto d’uso nei diversi sistemi: quello industriale, biologico industriale, agricolo e primordiale; suc-cessivamente mette in relazione tali sistemi con l’obiettivo della sua ricerca, cioè dimostrare che scegliere cosa mangiare richiede avere una maggiore consapevolezza e informazione da parte dell’utente , il tutto attraverso l’osservazione sul campo dei diversi sistemi e proponendo come soluzione progettuale un cambiamento nelle scelte nel quotidiano, arrivando alla definiz-ione di piccoli gesti responsabili che possono cominciare a far cambiare il mercato. Ovviamente la valutazione di questa proposta non potrà avere una verifica immediata ma solo a lungo ter-mine.

Etnografia e Antropologia L’etnografia consiste in una metodologia di ricerca che si esplica nell’osservazione parteci-pante da parte del progettista, facendo delle considerazioni entrando direttamente nelle diverse comunità.

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È ciò che fa Pollan nel suo percorso verso la definizione del dilemma dell’onnivoro. Presenta innanzi tutto il contesto naturale del campo di osservazione, avendo in tutti i sistemi un ap-proccio olistico, e cioè applicando un metodo interdisciplinare nello studio di sistemi complessi ponendo alla basa l’interazione tra le parti che costituiscono lo stesso sistema. Inoltre vi è un approccio descrittivo.Nei tre diversi sistemi presentati da Pollan si denota come partendo da un sistema industri-ale per arrivare a un sistema naturale, la complessità di questa interazione e relazione tra gli elementi che li compongono è decrescente.Nella ricerca entra in gioco il concetto della Situativity, tipica in questa metodologia di una ric-erca fatta su scala territoriale, in quanto il contesto di osservazione è sempre dominato da un limite fisico e temporale, rendendo le scelte di oggi irreversibili e la base per le scelte del do-mani, questa problematica la potremo ritrovare anche nella proposta progettuale di Pollan che pone alla base di un futuro cambiamento le scelte fatte oggi nel piccolo quotidiano di ognuno di noi.Un altro concetto in relazione con il problema della scelta è la Path Dependance , che pone la tematica del cambiamento tecnologico, nei processi e nei sistemi, una variabile che dipende dalle decisioni fatte lungo il cammino.Pollan segue anche un percorso antropologico in quanto studia l’uomo in relazione con la terra e le piante, le sua relazioni sociali, culturali e fisiche e quindi il riscontro con i topoi della società. Disciplina fondamentale è in tal caso la etno-antropologia la quale si occupa delle reti di relazioni sociali, dei comportamenti, usi e costumi, delle leggi e istituzioni politiche, dell’ideologia, religione e credenze, degli schemi di comportamento nella produzione e nel con-sumo dei beni e negli scambi e nelle altre espressioni culturali, con particolare enfasi al lavoro sul campo, che prevede un periodo di vita nel gruppo sociale oggetto di studio.

Il Cambiamento Tecnologico

Pollan mette in forte evidenza come il cambiamento tecnologico è in forte coesione con l’evoluzione della società, focalizzandosi sul carattere coevolvente della tecnologia con i sistemi sociali, capaci di plasmare e di essere plasmati con i sistemi tecnologici.In questo caso la tecnologia si presenta nel suo carattere di variabile di competizione, come determinante dello sviluppo economico (Schumpeter) nel passaggio da un sistema di autosuf-ficienza naturale e un sistema complesso come quello industriale.Pollan riesce inoltre a identificare in ognuno di questi sistemi un abilitatore dell’innovazione, una figura capace di indurre verso la produzione del nuovo.Nel sistema industriale individua in Fritz Haber che nel 1909 inventò per i campi di concen-tramento nazisti i primi gas tossici dello Ziklon-B, grazie al quale prende nel 1920 il premio Nobel per aver migliorato gli standard dell’agricoltura e aumentato il benessere dell’umanità. Infatti lo Zyklon-B si è scoperta essere un arma a doppio taglio, una fonte vitale di fertilità e allo stesso tempo una terribile arma . Grazie a questa scoperta la fertilità dl suolo ha cessato di dipendere esclusivamente dall’energia solare entrando nella categoria dei combustibili fos-sili. Da questo oggi le fattorie si conducono con criteri industriali tali da portare all’estremo la semplificazione del sistema di produzione con le monocolture, le quali effettuano il processo di convertire i combustibili fossili in cibo, ovviamente con un prezzo molto alto per la salute dell’ambiente.La rivoluzione del mondo industriale verso un nuovo sistema, il biologico, la ritroviamo nella

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rivoluzione agraria del 20 aprile 1969 di un gruppo autonominatosi “Commissione Robin Hood” i quali occupano un appezzamento di terra dell’università della California per cominciare a coltivare piante e frutta senza l’uso di pesticidi e creando una nuova società cooperativa. Il mo-vimento portò alle comuni agricole, alle cooperative alimentari, al capitalismo di guerriglia ma anche al Business del biologico, rappresentato oggi da Whole Foods.Artefice dell’ingresso del biologico nel mainstream e del passaggio dalla cooperativa agli scaf-fali del supermercato è Gene Kahn fondatore della Cascadian nel 1971.Ma alla base di questo cambiamento vi è il chimico tedesco Justus von Liebig, che creò la so-cietà dell’NPK. In un trattato del 1840 sostenne che le piante per crescere hanno bisogno solo della giusta quantità di azoto, fosforo e potassio, lasciando così che la biologia venga sostituita e ponendo l’agricoltura sulla strada dell’industrializzazione.La creazione dell’azoto sintetico oltre a rendere le piante maggiormente vulnerabili a insetti e malattie, porta inevitabilmente alla creazione di pesticidi chimici che rovinano la salute del suolo e quindi quella di tutti noi.Howard sostiene che partendo dalla creazione di concimi ar-tificiali passiamo a una nutrizione artificiali, a un cibo artificiale ad animali artificiali e quindi a uomini artificiali.Il biologico così diventa un sistema industriale che ha gettato via due dei tre pilastri con cui in-traprese il suo cammino, cioè la volontà di creare una cucina alternativa, le cooperative alimen-tari, facendo rimanere in piedi solo la volontà di trovare un nuovo modo di produrre.Ovviamente per quanto riguarda il sistema primordiale, lo stesso uomo è promotore di un auto-sostentamento, portato avanti da un innato senso di curiosità verso ciò che non conosce, e di un naturale attacco alla vita.

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I risultati di Pollan

Pollan pensa che il movimento per vincere il mercato industriale deve cominciare dai consuma-tori. Una richiesta e ribellione che viene dal basso é un’arma molto potente per vincere contro le multinazionali e le strategie del governo. Il passato di questo deterioramento non é molto lontano, l’umanità può riprendere il controllo di quello che mangia senza avere più bisogno di chiedere cosa dovrebbe mangiare per la sua salute. Il primo modo é accettare l’ordine naturale e un’agricoltura sostenibile. Senza la presenza di animali non si può pensare di una sostenibilità.Il secondo modo é aumentare il prezzo per cui si paga per l’alimentazione. Dobbiamo accettare che il cibo é un elemento importante della nostra vita, dobbiamo dargli la priorità.Il terzo modo é la trasparenza negli allevamenti industriali. Questo può essere molto inconve-niente per certe aziende o per il governo, ma la trasparenza dovrebbe essere un diritto umano. L’applicabilità della Polyface su larga scala sarebbe forse un pensiero molto utopistico e proba-bilmente ci vuole uno studio economico ma risultato simile potrebbe risolvere tanti dei nostri problemi.

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Approfondimenti: le esperienze alternative

1. Slow Food vs Food Design Studio

SLOW FOOD (www.slowfood.it)Fondata da Carlo Petrini nel 1986, Slow Food è diventata nel 1989 una associazione internazi-onale. Nata a Bra, oggi conta 86 000 iscritti, con sedi in Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Francia, Giappone, Regno Unito (in ordine di costituzione) e aderenti in 130 Paesi. Da un’idea di Slow Food è nata Terra Madre, il meeting mondiale tra le Comunità del Cibo, che giungerà nell’ottobre 2008 alla sua terza edizione.

Slow Food significa dare la giusta importanza al piacere legato al cibo, imparando a godere della diversità delle ricette e dei sapori, a riconoscere la varietà dei luoghi di produzione e degli artefici, a rispettare i ritmi delle stagioni e del convivio. Slow Food afferma la necessità dell’educazione del gusto come migliore difesa contro la cat-tiva qualità e le frodi e come strada maestra contro l’omologazione dei nostri pasti; opera per la salvaguardia delle cucine locali, delle produzioni tradizionali, delle specie vegetali e animali a rischio di estinzione; sostiene un nuovo modello di agricoltura, meno intensivo e più pulito.

Slow Food, attraverso progetti (Presìdi), pubblicazioni (Slow Food Editore), eventi (Terra Madre) e manifestazioni (Salone del Gusto,Cheese, Slow Fish) difende la biodiversità e i diritti dei popoli alla sovranità alimentare. La rete degli 86 000 associati di Slow Food è suddivisa in sedi locali - dette Condotte in Ita-lia e Convivium nel mondo, coordinate da un Convivium leader - che si occupano di organiz-zare corsi, degustazioni, cene, viaggi, di promuovere a livello locale le campagne lanciate dall’associazione, di attivare progetti diffusi come gli orti scolastici e di partecipare ai grandi eventi organizzati da Slow Food a livello internazionale. Sono attivi più di 1000 Convivium Slow Food in 130 Paesi, comprese le 410 Condotte in Italia.

E Slow Food è anche:

• Un’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche

Mission Slow Food è il movimento per la tutela e il diritto al piacere.Slow Food promuove, comunica e studia la cultura del cibo in tutti i suoi aspetti. La sua mission è: • EDUCARE al gusto, all’alimentazione, alle scienze gastronomiche. • SALVAGUARDARE la biodiversità e le produzioni alimentari tradizionali ad essa collegate: le culture del cibo che rispettano gli ecosistemi, il piacere del cibo e la qualità della vita per gli uomini. • PROMUOVERE un nuovo modello alimentare, rispettoso dell’ambiente, delle tradizioni e delle identità culturali, capace di avvicinare i consumatori al mondo della produzione, creando una rete virtuosa di relazioni internazionali e una maggior condivisione di saperi.

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Filosofia

La filosofia di Slow Food parte dalla riscoperta del piacere attraverso la cultura materiale. Il piacere è quello alimentare, dotto, sensibile, condiviso e responsabile. Per avvicinarsi a questa conquista, che deve essere di tutti, bisogna innanzi tutto riflettere sulla lentezza, recuperare ritmi esistenziali compatibili con una qualità della vita che deve essere totale.

Non è un’eresia dire che il piacere alimentare - spesso tabù, represso, riservato soltanto a élite facoltose – va democraticamente perseguito per tutti nel mondo. Non è eresia lavorare perché anche i più poveri ne possano godere.Dire piacere alimentare significa ricercare le produzioni lente, ricche di tradizione e in armo-nia con gli ecosistemi; significa difendere i saperi lenti, che scompaiono insieme alle culture del cibo; significa lavorare per la sostenibilità delle produzioni alimentari e quindi per la salute della Terra e la felicità delle persone.

Il passaggio non è immediato, ma la storia di Slow Food lo dimostra.Da eno-gastronomi a eco-gastronomi, fino a porsi come neo-gastronomi alle prese con la cul-tura del cibo, in tutta la sua caotica complessità, che coinvolge le nostre vite e le vite di tutti in un intreccio di saperi e sapori che non riguardano soltanto il cibo, ma che da esso sono stret-tamente dipendenti.Slow Food è consapevole che uno dei nodi centrali, tra le sfide cui ci mette di fronte la post mo-dernità, è il sistema di produzione, di distribuzione e di consumo del cibo. Stando dalla parte di chi produce, distribuisce e consuma in maniera buona, pulita e giusta il sistema può cambiare, e renderci tutti più felici, non frenetici, non omologati, non soli. Lentamente, Slow Food lavora per avere più bellezza, più piacere, più diversità nel mondo. Perché tutti possano godere del loro territorio e dei suoi frutti, perché tutti abbiano diritto alla propria libertà alimentare, in piena fratellanza e nel rispetto del pianeta su cui viviamo.

FOOD DESIGN STUDIO (www.fooddesign.it)

Cos’è

Food Design Studio riunisce esperienze e conoscenze di Chef, Designer, Tecnologi, Chimici, Fisici e Scienziati. allo scopo di esplorare il cibo e l’alimentazione sotto tutti gli aspetti.La nostra filosofia vede il cibo come argomento di ricerca. Gli alimenti come i prodotti di Design nascono per soddisfare un’esigenza dell’uomo.L’obiettivo primario è la diffusione della cultura di progetto in campo Enogastronomico e Agroalimentare.La cultura di progetto è una vera e propria filosofia metodica di lavoro, un modo di porsi verso la propria attività. Prevede di studiare e adottare un piano che parte preventivamente in modo organizzato e ordinato da un’idea e si sviluppa per passi programmati fino ad arrivare alla realizzazione dell’obiettivo.Una volta che il progetto è testato, il programma prevede di fissare le regole che ne disci-plinano la corretta riproducibilità nel tempo.

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Food Design ha individuato il mezzo per raggiungere questo scopo nella progettazione di por-tata, disciplina questa che studia la realizzazione di Architetture Alimentari contestualizzate.

La Storia

Il Food Design (progettazione del cibo) è una disciplina Internazionale sviluppatasi negli ultimi anni. Recentemente in Italia è stata amplificata dal Salone Internazionale del Mobile di Milano 2004 grazie alla mostra (aperta anche alla Triennale Coffedesign) Dining Design (Guida Interni Streetfood Restdesign).Celebri stilisti, Importanti Università, Ricercatori, Designer ed Aziende stanno investendo note-voli risorse nel futuro di questa nuova disciplina.Il Food Design, basa le sue regole sull’applicazione di norme derivate dalle arti visive in sim-biosi con il polisensoriale. L’applicazione riguarda settori come industrial, interior e product design, spaziando dalla Mise en place, all’ambiente, sino al contenuto del piatto, il tutto concen-trato per ottenere l’aura che determina il raggiungimento espressivo del regalare un emozione al proprio interlocutore.

Le provocazioni di alcuni designer da un lato, l’incursione di alcuni grandi chef nelle categorie del progetto dall’altro (la cui origine risale all’invenzione della nouvelle cuisine francese di fine anni ‘70), sono stati elementi determinanti nel suscitare il grande interesse attuale per il food design, divenuto ormai materia di seminari, corsi universitari (ai Politecnici di Torino e Milano), iniziative culturali e pubblicazioni, probabili premesse a una futura frequente collaborazione tra designer, grandi chef e industria.Parlare di Design nell’alimentazione può far pensare a chi non è designer e non conosce la filo-sofia del Bauhaus ad una forzatura o addirittura ad un inflazionamento del termine.Chi veramente sa cosa è il Design, ossia cultura di progetto e innovazione tecnologica potrà ca-pire quanto spazio di lavoro ancora c’è nel settore alimentare per questa disciplina trasversale. A chi mi domanda ma allora il Design può essere applicato a qualsiasi cosa? rispondo sicura-mente SI.

La ricerca tecnologica legata al Design e alla forma di alcuni prodotti, ne ha sicuramente ga-rantito la fortuna: dal tradizionale cioccolato svizzeroToblerone, la cui architettura invita a un particolare gesto per spezzarne le porzioni, alle più recenti patatine Pringles, un artificio chimico-fisico-morfologico dove la fetta di patata è ricostruita in una sagoma ergonomica che si adagia sul palato e veicola le particelle che determinano il sapore solo sul lato a contatto con le papille gustative. Le famose patatine, nascono non solo per stuzzicare il palato, ma per farlo il più a lungo pos-sibile. A questo devono la loro forma, che si adatta perfettamente alla bocca, lasciando il sapore più a lungo. E a questo serve il famoso tubo, comodo e perfetto per non schiacciare il prodotto. Poco importa che la patatina, in fondo, non sia per nulla una patatina, ma il prodotto di una farina di patata compatta.O ancora il Solero, granita che sostituisce il ghiaccio tritato con palline che si sciolgono in bocca, cambiando radicalmente la percezione del gusto.Nel caso di questi prodotti, la forma diventa l’elemento caratterizzante per identificare il pro-dotto.

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..Cosa può fare il Food Design?

Veramente molto, i campi di lavoro sono numerosi, e la metodologia applicata ampiamente sperimentata. Le direzioni di sviluppo sono fondamentalmente 3: La progettazione per il cibo, la progettazione con il cibo e la progettazione di portata.

La Progettazione di Portata

Per evitare di creare squilibri di comunicazione, il campo che contiene l’alimento, deve mante-nere basso l’impatto di contrasto formale con il contenuto.Per possedere un corretto impatto espressivo, la portata deve creare armonia, mantenendo un’equilibrata interazione tra il piatto e l’alimento. Occorre ricordare che in una portata è il pi-atto ad essere a servizio dell’alimento e non viceversa. Se un piatto produce un impatto estetico eccessivo o possiede una forza espressiva che lo fa spiccare rispetto al suo contenuto avrà la netta tendenza a sovrastarlo creando uno squilibrio di abbinamento a discapito dell’alimento e della sua presentazione.L’abbinamento è particolarmente efficace se l’interazione valorizza il risultato finale, ed ognuno degli elementi contribuisce in modo equilibrato a formare la forza espressiva alla composizione della portata (piatto blu e riso giallo, campo che cambia in funzione del contenuto... degustazi-one formaggi e piatto portamiele).L’interazione può avvenire anche per similitudine di appartenenza dei materiali che possono essere entrambi commestibili, quindi il piatto o strumento di portata può divenire alimento stesso...Per comprendere fino a che punto può essere determinante il rapporto tra Packaging e il con-tenuto, basti pensare che lo champagne non sarebbe mai esistito se la tecnologia non avesse inventato la bottiglia stampata in sostituzione a quella soffiata. La bottiglia stampata permette all’involucro di sopportare pressioni nettamente superiori rispetto a quella soffiata. In questo modo le bottiglie non esplodono quando lo Champagne inizia la fermentazione.Il rapporto tra il contenitore ed il contenuto è per Food Design il punto principale di sviluppo, e nello studio per arrivare a ciò, particolare attenzione viene prestata a materie come ergonomia, morfologia, cromatologia e composizione geometrica.Per riuscire a mantenere questo equilibrio di gusto ed estetica è necessario sposare stili come purismo, minimalismo e funzionalismo, resistendo alla tentazione degli inutili barocchismi che imperano oggi nel settore.Food Design applica la creatività e le leggi della percezione sensoriale e guarda con interesse alle ricerche effettuate dalla Gastronomia Molecolare.Gli elementi che intervengono per ottenere un’Architettura Alimentare passano per l’interazione tra campo e volume dato dalla materia alimentare tramite l’ausilio della tecnolo-gia.Possiamo definire un prodotto Architettura Alimentare nel momento in cui grazie alla cultura di progetto, nulla è lasciato al caso e la materia alimentare è posta sul campo in base a motivi ben precisi e dimostrabili.Non ci dobbiamo fermare all’effetto, ma andare ad analizzare a fondo la causa che ha generato quell’effetto in modo da poterlo riprodurre e soprattutto controllare.Food Design non accetta una spiegazione non scientifica riguardo un determinato fenomeno, ogni processo deve essere dimostrato e documentato.Il Design è la disciplina che da sempre si è occupata di studiare e favorire il rapporto che si in-

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staura tra utente e prodotto, mentre la Gastronomia Molecolare basa i suoi studi sulla chimica e la fisica, che secondo il suo fondatore Hervè This, non sono che conoscenza della materia e delle sue trasformazioni.

Mission Lo scopo di Food Design è di trasformare la ricerca effettuata in cucina, studio e labo-ratorio in prodotti da portare sulla tavola, nei ristoranti e sugli scaffali dei supermercati.Unendo l’esperienza degli Chef con quella dei Designer è possibile con l’ausilio degli imprendi-tori ottenere risultati che spaziano verso nuove frontiere.L’interazione tra materia organica ed inorganica nella progettazione di portata è il fulcro degli studi del nostro movimento. La manipolazione, trasformazione e comportamento della mate-ria organica per scopi alimentari è uno dei principali ambiti di ricerca e sviluppo. I processi e le tecnologie utili per controllare e determinare la riproducibilità di un prodotto ottenuto dalla ricerca sono il target.In Food Design si uniscono gli studi di Bauhaus e movimenti artistici come Futurismo, Espres-sionismo e Pop Art con quelli di nouvelle cuisine e gastronomia molecolare. In laboratorio, studio e Cucina si parla spesso di teoria del campo, cromatologia, modellazione 3D, tecnologia, chimica, ricette ecc...L’obiettivo degli studi di progetto e della ricerca di Food Design è di creare prodotti che soddis-fino il più possibile le esigenze del pubblico sotto tutti i punti di vista.Per fare ciò è necessario che i Designer si occupino della parte riguardante la forma e la fun-zione (rapporti visivo/tattili, composizione ed ergonomia) in stretto rapporto con gli Chef che si occupano di definire quella relativa all’olfatto ed il gusto.Trattandosi di materia alimentare, un contributo fondamentale durante gli studi di Designer e Chef è quello portato da esperti Chimici e Scienziati che si occupano di tecnologia, nutrizione, salute e sicurezza.Tutto questo è Food Design, Centro di Ricerca per l’applicazione e diffusione del Design a pro-dotti Agroalimentari ed Enogastronomici, una chiave per iniziare la ricerca dell’emozione po-lisensoriale.Quando il piatto prima di arrivare in tavola passa per il tecnigrafo…

Filosofia della PolisensorialitàLa filosofia sulla Polisensorialità è una delle ricerche più importanti che Food Design ha pro-dotto.Consiste in un innovativo e rivoluzionario approccio con il modo di utilizzare i sensi per la valutazione di un prodotto.Per richiedere il testo relativo alla Filosofia sulla Polisensorialità e per ricevere informazioni contatta Food Design.

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2. MicrorealitiesSi consulti www.microrealities.org & www.cibicpartners.com

3. Milano Expo 2015

Nuove prospettive per l’alimentazione mondialeSI consulti www.milanoexpo-2015.com

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Un eco contrario

Pollan e il suo progetto di ricerca: “In Defense of Food, An Eater’s Manifesto”

Il libro che segue il dilemma dell’onnivoro, pubblicato per ora solo negli States.Si consulti in allegato digitale il primo capitolo: In Defense of Food – Extract.pdf

Di seguito riportiamo la Book Review del blog Joe Pastry ( http://joepastry.web.aplus.net )

Book Review: In Defense of Food, An Eater’s Manifesto, by Michael Pollan

Filed under: Blog, Versus Michael Pollan— by joe @ 04:55:10 am Everybody’s had the experience: you’re standing in a line, or sitting on a train or in a bus, and you share a laugh with a complete stranger. A comment about a politician or a movie star, or some scandal in the news, and suddenly you find yourself in a conversation. The first few mo-ments pass pleasantly enough, though as the minutes tick by you notice you’re not doing much of the talking anymore. Odd comments are made, and with increasing frequency, until you realize that you’re engaged with, for lack of a better term, a nut. A Rosicrucian say, a JFK con-spiracy theorist...or a food blogger. Oh please oh please, you think behind your nodding grin, somebody get me out of here! Such, I am very sad to say, has been the trajectory of my relation-ship to Michael Pollan.In truth, I’d stop short of calling him a “nut”. The fellow is a fabulously talented writer. And indeed I have found much in his past work to recommend: Omnivore’s Dilemma, but especially the earlier Botany of Desire, which I consider an extraordinarily well-researched and well-writ-ten collection of essays. Sure, both contained sections that were indicative of radical leanings, but they were easy enough to gloss over, since information abounded and the prose sparkled. The diatribes grew longer in Omnivore, but how was I to know that what he was really warming up to was a full-fledged sermon? And that, unfortunately, is what In Defense of Food is: the pur-est distillation yet of Mr. Pollan’s thinking on nutrition and the American diet. Just like a sermon it moves fast, and is filled with angels, devils, sin, hell fire and damnation. It is also, even more so than Unhappy Meals, the New York Times Magazine article from which it sprung, extremely selective about its facts, being meant primarily for the ears of true believers.The base premise of In Defense is that nutritional science is junk, at best worthless and at worst a manipulative lie, in which nearly everyone is complicit: nutritionists, food journalists, politicians (especially George McGovern, and later the Nixon administration), regulators and nonprofits (especially the USDA, FDA and the American Heart Association), farmers, food man-ufacturers, advertisers…even the health care establishment. Anyone, in short, who benefits in any way, whether directly or indirectly, from the way food is grown, processed and consumed. The only people Mr. Pollan doesn’t blame for the state of the American diet are the ones who do the actual eating.“Nutritionism” is what Mr. Pollan calls it (though in fact that is Gyorgy Scrinis’ term). It can be defined as any attempt to understand foods as anything less than the total sum of their parts. To refer to, say, an apple as a repository of energy, vitamins, fiber or other nutrients is to dimin-ish what it represents in its whole state, and open the door to commercial exploitation. This, Mr. Pollan claims, is exactly what the food industry does when it has the temerity to attempt

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Politecnico di Milano_Facoltà del Design_Metodi di ricerca del progetto prof. Stefano Maffei/tutor Elena Giunta

to make packaged foods healthier. “Adulteration has been repositioned as food science”, he writes, the upshot being that a whole food like a banana now has a harder time competing with say, a Lean Cuisine entrée. Seen in that light, the entire field of nutrition becomes one great en-abler to commerce, providing a never-ending stream of opportunities for food manufacturers to create and sell products that make ever more outlandish health claims. It’s an argument that’s not entirely without its merits, however the logic upon which it depends is ultimately circular (we’ll get to that a bit later).His enemy defined, Mr. Pollan sets out to demolish the credibility of nutritional science, and in fact does a darn good job of it. In the chapter Bad Science he reveals the myriad shortcomings of “reductionist” single-nutrient health studies, and proceeds to trash even the most sacred of the nutritional establishment’s sacred cows: the multi-million dollar, years-long Women’s Health Initiative and the Nurses Health Study. Along the way he makes statements that are truly astonishing in their presumption and audacity:It’s important to understand doing nutrition science isn’t easy. In fact, it’s a lot harder than most of the scientists who do it for a living are willing to admit. For one thing, the scientific tools at their disposal are in many ways ill suited to the task of understanding systems as complex as food and diet.I’m sure the researchers at, say, the Johns Hopkins School of Public Health enjoy it as much as any when a non-scientist (Pollan is a professor of journalism) tells them they don’t know what they’re doing. And while this statement may in fact be true in the ultimate sense, the fact is that science is the only tool we have to evaluate the relative value — and safety — of food. Pitch out the bath water of nutritional science, and you find that more than a few babies go out with it.Mr. Pollan very shortly discovers this when he tries to posit his own arguments in favor of whole foods, which are of course every bit as reductionist and myopic. He blasts the nutritional estab-lishment’s obsessive focus on lipids and cholesterol in one chapter, only to return a few chap-ters later to extol the trendy science of omega-3’s, omega-6’s and soy isoflavones. Nutritional science has a value after all, it seems, so long as it props up Mr. Pollan’s own arguments.It’s probably only fitting that a book, devoted as it is to the virtues of whole fruits and vegetables, should contain this much statistical cherry picking. Though to be fair, Mr. Pollan does heavily favor studies of the least scientific sort: the interesting but ultimately unenlightening research on Australian Aborigines by Kerin O’Dea, and the work of early 20th century scientific pariahs Westin Price and Albert Howard. All are heavily populated with Rouseauian noble savages liv-ing in unspoiled freedom from the ravages of the modern diet, yet none provide any real insight into what exactly it is that results in their comparatively low incidence of Western maladies like obesity, diabetes, and cancer (their comparatively high incidences of Third World maladies like infectious disease, child mortality and truncated lifespan are conveniently omitted).Which brings me to my chief complaint about In Defense of Food, Mr. Pollan’s near-total obses-sion with the what of the Western diet. Hyperventilating over that, he almost completely glosses over the how much. Might not the volume of food consumed have something to do with the so-called “Western diseases”? Might not obesity (to say nothing of diabetes, hypertension and heart disease) be at least as much a result of overindulgence (a clear factor of wealth) as about food quality? And what about other possible causes? Exercise is scarcely mentioned in the book, yet not a doctor I’ve ever encountered considers it to be something we Westerners get nearly enough of. Occupational stress is another of the great hazards of Western-style living, yet it goes entirely unmentioned. How about smoking? The bell curve that describes the increase, then fall-off, of smoking in America corresponds almost exactly with the national incidence of heart attack, yet it receives only the most cursory nod.

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That said I don’t wish to minimize the seriousness or the impact (human and economic) of the so-called “Western diseases”. They are the maladies that we in the West mostly die from vis-à-vis the maladies that people in other cultures die from. Thus it is both fair and right to ask our-selves “why?” and look for a cause. The problem I have with Mr. Pollan is that he seeks to prove that the sole cause of these diseases is dietary, a reductive error on par with any he criticizes in the book.On a more minor note, In Defense is riddled with aggravating factual errors: the claim that trans fats are a “biological novelty” (when in fact 5% of the fat in the milk or meat of any rumi-nant animal is composed of trans fat), the assertion that the main reason white flour was cre-ated was for fashion’s sake (the reality being that unlike whole wheat flour, it doesn’t go rancid) and the implication that the human body is somehow biologically pre-adapted to fresh corn, a New World crop that the wider world had no experience with prior to the Age of Exploration. Furthermore it is peppered with cheap cynicism, of which but one example is this testy aside:No doubt we can look forward to a qualified health claim for high-fructose corn syrup, a table-spoon of which probably does contribute to your health — as long as it replaces a comparable amount of, say, poison in your diet and doesn’t increase the total number of calories you eat in a day.Forget that there isn’t a shred scientific evidence to support a statement this preposterous (a fact he lately admitted), it’s just plain embarrassing. But then In Defense of Food isn’t a seri-ous piece of either scholarship or journalism, it’s a screed. It’s intended targets are the ears of the faithful, not the critical reader or thinker. Though I should also add to that short list of demographics “the fearful” for another key point Pollan admitted at a recent live event here in Louisville is that he elected to promote his local/organic foods movement’s policy aims from the vantage of health “because people think a lot about their health and worry a lot about their health”. By his own words then, his decision to appeal to the public on the basis of their health concerns was strategic in nature.There’s a word for a style of writing that selectively plays upon fears in pursuit of broader politi-cal objectives: propaganda. There’s also a word for a person who perceives the world as one gigantic racket that everyone — from the president to your doctor on down to the corner grocer — is in on but keeps secret from you: paranoid. Put those two things together, and well, I’m not entirely sure what you have, but whatever it is it sure ain’t science, and it definitely isn’t helpful for dealing with the real issues facing a small planet with steadily growing numbers of hungry mouths (at least through about 2050, at which point they will level off and begin to decline).There’s a point in the book where Mr. Pollan exults that thanks to the modern local foods move-ment it is now possible to enjoy the benefits of Western civilization while at the same time opt-ing entirely out of the Western diet. Personally, I find the elitism inherent in that notion appall-ing. Yet in a free society it is the prerogative of everyone to do just that should they wish to, and if they can afford it. I think I’d find that sort of permanent opposition to our food culture to be a rather sad — not to mention stark and lonely — way of living (there’d be no pastries for one thing). The best advice I’ve ever heard on the subject of eating, and you hear it a lot in medical circles, is to “eat a mix”. Supplemented with moderation and exercise, I can think of no better regimen for utilizing — and enjoying — all that our modern food system (including the new local food system) has to offer.

Per gli articoli, approfondimenti di Michael Pollan si consulti: http://michaelpollan.com/Video: youtube.com digitando “Michael Pollan”