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CRIMEN et DELICTUM – n. XII, November 2016 International Journal of Criminological and Investigative Sciences Il centro di supporto alle vittime di reato di Mantova: dalla teoria alla pratica. Received: 11-07-2016 Accepted: 19-07-2016 Published: 20-11-2016 S i m o n a C a s t e l l u c c i a Psicologa, Arteteraputa e Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica a Brescia M a u r o B a r d i FDE Istituto di Criminologia di Mantova E l i s a C o r b a r i Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova Associazione Libra Onlus di Mantova Abstract (italiano) L’articolo, partendo dallo stato dell’arte delle riflessioni intorno al concetto di vittima e allo sviluppo della vittimologia, cerca di ampliare tale concetto in una prospettiva globale. Vengono prese in considerazione le linee guida proposte dal manuale americano Firts respons to Victims of crime e dal manuale di Victim Support Europe circa l’approccio alle vittime di reato. Si considera dunque la situazione italiana a partire dai dati raccolti dall’Istituto Nazionale di Statistica sui reati e le vittime fino al recepimento della direttiva europea in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. Tali principi trovano applicazione nel Centro di Supporto alle Vittime di Reato di Mantova, del quale si analizzano presupposti teorici e modalità operative. Parole chiave: vittimologia, reato, empowerment, responsabilizzazione, violenza. Abstract (english) The article, starting from the state of reflections around the concept of victim and the further development of victimology, seeks to expand these constructs in a global 27

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CRIMEN et DELICTUM – n. XII, November 2016 International Journal of Criminological and Investigative Sciences

Il centro di supporto alle vittime di reato di Mantova: dalla teoria alla pratica.

Received: 11-07-2016 Accepted: 19-07-2016 Published: 20-11-2016

S i m o n a C a s t e l l u c c i a Psicologa, Arteteraputa e Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica a Brescia

M a u r o B a r d i FDE Istituto di Criminologia di Mantova

E l i s a C o r b a r i Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova

Associazione Libra Onlus di Mantova

Abstract (italiano)

L’articolo, partendo dallo stato dell’arte delle riflessioni intorno al concetto di vittima e allo sviluppo della vittimologia, cerca di ampliare tale concetto in una prospettiva globale. Vengono prese in considerazione le linee guida proposte dal manuale americano Firts respons to Victims of crime e dal manuale di Victim Support Europe circa l’approccio alle vittime di reato. Si considera dunque la situazione italiana a partire dai dati raccolti dall’Istituto Nazionale di Statistica sui reati e le vittime fino al recepimento della direttiva europea in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. Tali principi trovano applicazione nel Centro di Supporto alle Vittime di Reato di Mantova, del quale si analizzano presupposti teorici e modalità operative.

Parole chiave: vittimologia, reato, empowerment, responsabilizzazione, violenza.

Abstract (english)

The article, starting from the state of reflections around the concept of victim and the further development of victimology, seeks to expand these constructs in a global

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perspective. In this regard, we have taken into account the guidelines proposed by the American manual Firts respons to Victims of Crime and the Victim Support Europe manual about the approach to crime victims. Furthermore we have evaluated the Italian situation, starting from the data collected by the National Institute of Statistics on crimes and victims until the transposition of the European Directive on the rights, support and protection of victims of crime. In the light of this background and these theoretical assumptions, the present paper will analyze and describe the operational modalities that are applied in the Centre of Support to Crime Victims of Mantua.

Keywords: Victimology, crime, empowerment, empowerment, violence

Premessa

L’accresciuto interesse per la figura della vittima di reato (o per la vittima di un torto tout court) è attestato da diversi marcatori, tra i quali: una produzione normativa sempre più attenta alla prevenzione penale dei crimini contro categorie vulnerabili, o la predisposizione e lo sviluppo di strutture quali i Centri di Supporto alle Vittime o le Case di Accoglienza per la protezione di soggetti fragili o in pericolo. Sarebbe utile interrogarsi sui diversi motivi che possono aver orientato e rinforzato la ricerca in materia di vittimologia: in particolare se l’interesse sia ricollegabile, ad esempio, ad un corrispettivo incremento dei verificati episodi di vittimizzazione. Sul punto si può registrare una diminuzione generale dei reati violenti in Italia, ed un relativo incremento di quelli contro il patrimonio. Quindi l’interesse potrebbe essere rivolto, anche da un punto di vista operativo, nei confronti delle parti offese, ad esempio, di furti in casa o di episodi di frodi. D’altro canto l’interessamento nei confronti delle vittime può essere posto in relazione all’accresciuta sensibilizzazione verso i torti subiti da categorie fragili, o poste in condizione di particolare subordinazione: con speciale r i ferimento al la violenza di genere, al maltrattamento contro minori, contro anziani, lavoratori, o soggetti sottoposti a istituzioni totali. Se in passato, infatti, tali fenomeni potevano tendere a passare sotto silenzio, bisogna affermare che oggi gli stessi sono in grado di suscitare anche partecipazione emotiva e preoccupazione. In ogni caso la materia vittimologica si presenta complessa e delicata.

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Complessa perché la disciplina non può fare a meno di confrontarsi con temi ed istituti di criminologia generale, in particolare: le interazioni e le relazioni con l’offender nell’ambito della criminogenesi; ed il problema del dark number del crimine che può essere riguardato sia dal punto di vista dell’autore, che da quello della parte offesa. Ma deve fare anche i conti e porsi in relazione con gli istituti giuridici, specie quelli relativi alla protezione dei soggetti deboli, quelli cautelari (anche civili) ed in generale con la ramificata ed estesa disciplina risarcitoria. Delicata poiché si tratta di una disciplina che ha a che fare, da un punto di vista pratico, con soggetti che hanno subito ferite patrimoniali, morali ed esistenziali e che rischiano di incorrere anche in vittimizzazioni secondarie a seguito del ricordo e della rievocazione dell’evento offensivo primario . 1

Ma non solo: è molto facile che la vittima, proprio a seguito dell’emersione del fatto-reato, possa incappare in due percorsi non auspicabili: - il primo è quello che conduce al rimprovero ed alla denigrazione della vittima ed alla sua colpevolizzazione per aver facilitato o favorito l’aggressione; - il secondo, sotto certi aspetti opposto e speculare rispetto al primo, è quello che porta ad una strumentalizzazione, talvolta spettacolare, della vittima. Questo atteggiamento si inscrive nell’ambito di una propaganda di carattere vittimocentrico che, purtroppo, non tutela il sacrificato e 2

reclama invece misure repressive volte a conseguire una sicurezza illusoria e a realizzare una specie di vendetta indiretta per il reato commesso. Va da sé che la falsa e strumentale solidarietà nei confronti della vittima non è in grado né di portare conforto, né di risolvere il problema delle conseguenze del torto subito e della relazione spezzata con l’autore dell’illecito.

Vittima: percezioni e definizioni

a. Quando si parla di vittima, in un’accezione comune, si aprono scenari vari e differenziati. Esistono molte e diverse definizioni di vittima e anche la percezione di essa non è univoca e assoluta.

Su questo cfr. Fornari, U. (2008). Trattato di psichiatria forense (4th ed., 1

pp 975 ss.). Torino: Utet Giuridica

Questa espressione, nel senso di un vittimocentrismo interessato e 2

strumentalizzante, è introdotta da Palazzo F. in Giustizia riparativa e giustizia punitiva (2015).

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b. Già riferire di percezione della vittima introduce un interessante orientamento al discorso che intendiamo affrontare: la vittima, infatti, può essere considerata in modo relativamente monodimensionale come soggetto definito e delineato dalla normativa sulla parte offesa e sulla parte civile. Può, però, anche essere anche vista in modo più dinamico,

c. quale soggettività risultante dalla costruzione che deriva dall’azione esercitata da diversi punti di vista:

d. il punto di vista della legge e della sua prassi applicativa: in particolare i modi attraverso i quali le definizioni legali ed il loro realizzarsi pratico sono in grado di farsi dispositivi che creano e modellano soggetti, anche processuali: la vittima – definizione sconosciuta al codice penale e al codice di rito – può assumere il ruolo di parte offesa con uno statuto di recente ampliato per effetto del D. Lgs. n. 212/2015. Successivamente, la stessa, può definirsi (ed essere definita) come parte civile, ossia soggetto orientato nel giudizio a chiedere il risarcimento dei danni;

e. il punto di vista dell’offender, sulla base del quale la vittima può costruire di sé una immagine e modulare un comportamento in grado di determinare anche il percorso giudiziario. La vittima può assumere la veste di parte offesa, o (successivamente) di parte civile anche in relazione alla figura, al rilievo ed al comportamento (anche successivo) dell’autore dell’illecito. Costui infatti – per una serie di motivi, è in grado di influenzare il percorso decisionale di colui che ha subito un torto: questa influenza può essere volta a far emerge o meno il fatto offensivo. Ma non solo: l’offender può anche dare il proprio contributo alla definizione della violazione, ad esempio attraverso il risarcimento del danno o mediante l’intrapresa di un percorso di riparazione o di mediazione;

f. il punto di vista della comunità osservante, la quale, sulla base del giudizio (o del pregiudizio) può orientare il sentire, l’atteggiamento e il comportamento della vittima. Vi sono casi in cui la vittima può scegliere di denunciare e magari intraprendere un percorso riparativo e restitutivo o, al contrario, può rinunciare a far valere i propri diritti proprio in considerazione dell’atteggiamento della cerchia sociale (significativa o generalizzata). Spesso il timore di essere colpevolizzata o svergognata conduce la vittima a non denunciare; d’altro canto, la stessa, se adeguatamente sostenuta, può sottoporsi con maggior agio e serenità anche ai disagi che le iniziative giudiziarie comportano.

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g. Come afferma Uberto Gatti (2012) appare sorprendente il fatto che la criminologia, nata nel secolo XIX, si sia per molti decenni occupata esclusivamente dei reati e dei loro autori, ignorando del tutto la figura della vittima, che è diventata oggetto di studio scientifico con grande ritardo. è come se la criminologia si fosse adattata alla priorità del sistema della giustizia, che attraverso i secoli aveva visto declinare l’importanza del ruolo della vittima nell’ambito del processo penale. La ragione di questo è forse da individuarsi nel fatto che, tradizionalmente, l’illecito penale è stato considerato prevalentemente un’offesa nei confronti dello Stato, della collettività, o di interessi che talvolta trascendono anche la soggettività della vittima attinta (Kreiser, 1985). Pertanto la vittimologia emerge come disciplina di frontiera, sempre sospesa tra l’evento offensivo del crimine, la reazione della vittima ed il suo recupero e riscatto: si tratta di una disciplina che esplora non solo gli aspetti sanzionatori e punitivi dell’ordinamento, ma anche quelli di carattere riparatorio. In questa direzione verranno quindi a rilievo non solo i tipici istituti penalistici, ma anche quelli più ramificati e fluidi del corpus del diritto civile, in particolare gli istituti risarcitori, gli istituti protettivi, cautelari e quelli mediatori in senso tecnico e in senso lato.

h. Nivoli G.C., Lorettu L., Milia P., Nivoli A.M.A, Nivoli L.F. (2010) affrontano la questione da un’ottica più ampia e allargata, che ci sembra particolarmente adatta alle considerazioni su più livelli contenute in questo articolo. Egli definisce la vittimologia come ciò che si occupa a livello multidisciplinare degli aspetti biologici, sociologici, giuridici e politici della vittima; ed intende per vittima un soggetto in sofferenza fisica e psichica, che ha subìto un danno in seguito a eventi interpersonali, spesso devianti o antigiuridici, o catastrofi causate dall’uomo o dalla natura.

i. All’interno di questa definizione possiamo considerare che si declinano vari tipi di percezioni della vittima, riassumibili in cinque categorie che evidenziano, in un’ottica di progressione, l’evoluzione che il concetto di vittima ha subito: vittima sacralizzata, vittima ignorata, vittima criminalizzata, vittima tutelata, vittima valorizzata.

j. Possiamo considerare che tale questione diviene ancor più fondamentale nel momento in cui si corre il rischio di un’assolutizzazione di un di queste accezioni, a discapito della stratificazione di ogni singola situazione.

k. Vediamoli nel dettaglio.

l. a) Vittima sacralizzata. L’etimologia del termine vittima deriva dal latino vittima e si riferisce a una creatura vivente che, in un rituale sacrificale, veniva offerta a

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una divinità. In tale rituale la vittima passava da umana a divina e si trasfigurava in un oggetto sacro. Interessante notare che la vittima doveva possedere caratteristiche positive di alta visibilità sociale, come, ad esempio, giovinezza, bellezza, illibatezza e innocenza. Il significato profondo legato alla sacralizzazione della vittima non è univoco: in psicoanalisi è stata legata alla nascita dell’umanità e alla necessità di placare i sensi di colpa (Freud, 1913), in sociologia è usata per spiegare l’utilizzo della vittima come elemento favorente la pacifica convivenza sociale nella comunità: identificazione unica di un capro espiatorio contro il quale l’aggressività può essere riutilizzata e tenuta sotto controllo (Girard, 2004).

m. Attualmente questa percezione della vittima rimane, ad esempio nella sacralizzazione delle vittime di guerra morte per la patria, la ricerca di capri espiatori nelle catastrofi naturali

n. b) Vittima ignorata. Nella dinamica delittuosa, la vittima è stata per lungo tempo ignorata. Questo è avvenuto anche per un evidente meccanismo di difesa scissionale che ha spesso portato la comunità a tenere divisi il buono dal cattivo, il bene dal male. Col Positivismo si è affermata una visione statica del reato, dove da una parte c’è il criminale che agisce e dall’altra la vittima che subisce. Questa vis ione ha inf lui to enormemente anche sull’approccio giuridico: sì è rivolta l’attenzione prevalentemente al soggetto che agisce e la vittima è finita per essere ignorata ed estromessa dai percorsi processuali.

o. c) Vittima criminalizzata. Il progredire degli studi sul reato in prospettiva relazionale ha permesso si sottolineare l’importanza della vittima nelle dinamiche delittuose. Questa concezione che, oltre al criminale, attribuisce anche alla vittima una qualche partecipazione all’evento delittuoso, ha finito per dar luogo in molti casi a una forma di criminalizzazione della vittima. In questa accezione infatti la vittima non è più sempre e del tutto innocente, ma in alcuni casi può essere essa stessa responsabile del reato. Questo cambiamento di prospettiva ha permesso il passaggio da una concezione statica del delitto a una dimensione dinamica. Gli studi criminologici, clinici e forensi sulla partecipazione della vittima alla d inamica de l i t tuosa hanno dato luogo, seppur involontariamente, a una precipitosa e superficiale criminalizzazione della stessa.

p. Sia la vittima ignorata, che la vittima criminalizzata, rappresentano figure problematiche.

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q. In verità espressioni quali quelle indicate, non vogliono costituire o sottendere giudizi di carattere svalutante, ma possono anche rinviare a complesse ramificazioni di discorsi giuridici e criminologici.

r. Da un punto di vista giuridico non possiamo trascurare la disciplina delle cause di giustificazione la quale, segnatamente all’art. 50 c.p. , si occupa di una fattispecie 3

nella quale viene a rilevo una relazione ed interazione tra autore e vittima che pone quest’ultima non come protagonista passiva della scena penale, ma come cooperatrice alla realizzazione del fatto.

s. Possiamo anche pensare, ad esempio, in tema di circostanze attenuanti, al ruolo di facilitazione che svolge la vittima come configurata dall’art. 62, n. 5) c.p. 4

t. Ed in entrambi i casi non si tratta di esprimere dei rimproveri nei confronti delle parti offese, ma di prendere atto del fatto che non può parlarsi di antigiuridicità quando il titolare del diritto abbia acconsentito all’offesa, o che può ammettersi una diminuzione della riprovazione penale quando la vittima abbia, in qualche modo, impresso un dinamismo alla causazione materiale del crimine.

u. d) Vittima tutelata. Molti studi hanno confermato che le vittime sono il più delle volte i soggetti più deboli da proteggere e difendere a livello istituzionale. Studi recenti hanno anche messo in luce i gravi danni, di natura psichica e organica, che le vittime di reato presentano come conseguenza delle ingiurie subite. Questa concezione di danno della vittima ha sviluppato la tendenza verso una politica retributiva riferita non solo al danno fisico e morale, ma anche al danno esistenziale che le vittime di comportamenti antigiuridici possono subire in corso di reato. Movimenti importanti in tal senso sono avvenuti e stanno avvenendo, come vedremo meglio in seguito, anche a livello legislativo in ambito Europeo (Direttiva 29/2012/UE) e Nazionale.

v. Proprio in tema del danno, possiamo assistere ad una segmentazione che presenta:

w. un danno patrimoniale che, giusta la disposizione dell’art. 1223 del Codice Civile, si ripartisce in perdita subita dal danneggiato e mancato guadagno dallo stesso sopportato; a questo particolare segmento si è

Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della 3

persona che può validamente disporne.

L'essere concorso a determinare l'evento, insieme con la azione o 4

l'omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa.

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aggiunto quello del danno da perdita di chances, il quale riguarda un torto che ha impedito la verificazione futura di un risultato utile per la vittima;

x. un danno biologico. Si tratta del frutto di una elaborata evoluzione giurisprudenziale e dottrinale che trova il suo punto fondante nella sentenza n. 3675 del 6 giugno 1981 della Suprema Corte di Cassazione: la medesima sancisce il principio in base al quale la lesione alla integrità f i s i c a r a p p r e s e n t a v o c e d i d a n n o r i s a r c i b i l e indipendentemente dal deterioramento della capacità lavorativa (Alpa, G., Bessone, M.). Ora la nozione è formalizzata anche all’interno del Codice delle Assicurazioni (Decreto Legislativo n. 209/2005) agli artt. 138 e 139;

y. danno non patrimoniale. E’ previsto dall’art. 2059 del Codice Civile. Questo segmento di danno ha suscitato diverse controversie interpretative. Il riferimento contenuto nella norma all’art. 185 del Codice Penale: “Ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui.” ha contribuito a configurare un orizzonte giurisprudenziale mutevole e liquido. Su questo argomento si può parlare di un danno morale, riconosciuto peraltro dall’ordinamento attraverso l’art. 5, comma I, c) del D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37, art. 5, c. 1 c), e considerato come compenso dovuto alla vittima di reato per i patemi 5

d’animo , per le angosce morali e le sofferenze spirituali 6

subite (Bonilini, 1983) a cagione del delitto subito. Si può anche concepire, del resto, un danno non patrimoniale, e nel contempo non morale, volto a compensare quei danni, anche se svincolati dalla commissione di un reato, che abbiano coinvolto la sfera affettiva della vittima e siano legati alla lesione di diritti di carattere primario (Cassazione Civile, n. 531 del 14 gennaio 2014). Si tratta del consolidamento di una evoluzione di pensiero che ha fortemente avvertito l'esigenza di non lasciare priva di compenso la lesione di diritti costituzionalmente garantiti, dei diritti inviolabili, dei diritti fondamentali della persona e, in particolare, dei diritti all'integrità psico-fisica, all'onore, alla reputazione,

Bonilini, G. (1983). Il danno non patrimoniale. Milano: Giuffrè. 5

Monatieri, M.G. (1998). La responsabilità civile. In Sacco, R. (Ed.), Trattato di diritto civile vol. 34 (pp. 295). Torino: Utet

Manzini, V. (1935). Istituzioni di Diritto Penale Italiano secondo il 6

Codice Penale del 1930 (5th ed., p. 246) Torino: Editrice Torinese

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all'integrità familiare (Cassazione Civile, n. 8827 del 31 maggio 2003).

z. e) Vittima valorizzata. Questa concezione della vittima permette di ripensare la giustizia non solo in termini retributivi, che valorizzano la persecuzione del reato e l’applicazione di pene proporzionate, ma anche in termini di giustizia restitutiva, più modulata sulle specifiche esigenze della vittima. Si tende quindi a non privilegiare solo la punizione del colpevole ma piuttosto una politica volta a restituire alla vittima una qualità di vita il più possibile soddisfacente.

aa. Con questo excursus sulle diverse percezioni della vittima è possibile rilevare una sempre maggiore attenzione ai diritti e alle necessità delle vittime da parte del sistema giudiziario. Si sta affermando sempre di più la tendenza a un’assistenza e cura della vittima di tipo multidisciplinare (psichiatrico, psicologico, criminologico e giuridico) e specialistico secondo la tipologia di reato in cui è coinvolta la vittima da parte di operatori esperti in vittimologia.

bb. Nel corso degli anni e nello sviluppo degli studi sulla vittimologia si è cercato di definire con sempre maggiore decisione quali sono le caratteristiche “tipiche” della vittima e se esistono dei fattori predisponenti in modo da favorire degli aspetti di prevenzione.

cc. L’esperienza maturata presso il Centro Vittime di Mantova e, in generale, la ricerca criminologica pratica esperita nell’ambito dei progetti dell’Associazione Libra, hanno fornito la possibilità di individuare altre tipologie di vittime.

dd. f) Vittima inconsapevole: ovvero quella vittima che ha subito – o sta ancora subendo – un reato o un torto senza averne una coscienza reale. Una tale situazione psicologica può derivare sia dalla azione dell’offender, che anche da circostanze obiettive. Possiamo riferirci, ad esempio, alle parti passive dei Cultural Crimes, ossìa di quei reati posti in essere sulla base dei condizionamenti esercitati dalle ingiunzioni culturali tipiche di determinati gruppi etnici. Se l’autore è spesso ignaro dell’illecito che commette, in quanto convinto della correttezza del proprio operato poiché conforme a tradizione; allo stesso modo lo sarà la vittima – che appartiene allo stesso gruppo sociale dell’offensore. Questa particolare vittima si trova in una

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condizione di svantaggio giuridico e sociale , che lo conduce 7

a non far emergere l’illecito compiuto ai suoi danni, e ad incrementare il dark number del crimine. E ciò, proprio in considerazione del fatto che il crimine culturale vede prevalentemente come parti passive soggetti che appartengono alla cerchia dell’offensore e che, anche una volta scoperto il carattere illecito della azione, non facilmente fanno emergere l’accaduto. Non possiamo tacere oltretutto, in questa materia, i casi di vittimizzazione quasi-consapevole e quasi-consentita che possono essere registrati nell’ambito di gruppi ristretti e fortemente connotati da riferimenti religiosi e spirituali; gruppi nei quali il titolare dell’interesse aggredito (libertà, patrimonio) sembra molto spesso acconsentire alla offesa.

ee. g) Vittima oscurata: si tratta di una, tipologia che si riallaccia ancora al problema del dark number del crimine; si può trattare sia di una vittima totalmente inconsapevole (di cui supra), che di una vittima consapevole che non denuncia o neppure si rivolge a un centro vittime.

ff. Trattare del problema del dark number è compito della criminologia generale , ma è possibile 8

affrontarlo anche in sede di vittimologia: in genere la vittima consapevole non denuncia per effetto di tre fattori:

gg. per sfiducia nei confronti degli organi di polizia giudiziaria; per sfiducia nei confronti della magistratura; e per pessimismo rispetto alla possibilità di ottenere risultati di carattere risarcitorio o riparatorio;

hh. per timore di ritorsioni da parte dell’offender;

ii. nella convinzione di essere colpevolizzata o non sostenuta da parte della comunità osservante.

jj. h) Vittima allargata o Vittima di riflesso.

kk. N e l m o m e n t o i n c u i p a r l i a m o d i vittimizzazione ci riferiamo alla classica fattispecie di offesa recata dall’autore alla parte passiva del reato: una offesa che viene a coinvolgere interessi o diritti riguardanti la vita, l’integrità fisica, la libertà, la dignità ed il patrimonio.

Claes, E. & Vrielink J., (2009). Cultural Defense and Societal Dynamics. In 7

Foblets M.-C., Renteln A.D. (Eds.), Multicultural Jurisprudence. Comparative Perspectives on Cultural Defense (pp. 302). Portland: Hart Publishing

Sul punto cfr. ex multis, Kaiser, G. (1985). Criminologia (pp. 174 ss.). 8

Milano: Giuffrè. Ponti, G. & Merzagora Betsos, I. (2008). Compendio di criminologia (5th ed., pp. 40 ss.). Milano: Raffaello Cortina

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ll. Si possono però registrare casi in cui la vittima non coincide con la parte offesa (Canestrari, Cornacchia & De Simone, 2007): si tratta di una vittima che è stata protagonista passiva della scena criminale, ma che non transita nella scena penale: si consideri il caso dell’omicidio in cui la vittima non è più soggetto giuridico e le parti offese sono individui distinti (familiari, datore di lavoro) e legittimati a chiedere un risarcimento.

mm. Vi sono oltretutto frangenti in cui l’offesa è portata nei confronti di interessi diffusi e non adesi a soggetti precisi e determinati. Coloro che si sentono offesi per via di una aggressione recata a un bene che trascende i singoli ma ai quali gli stessi si sentono legati, non facilmente e non sempre possono essere considerati come vittime in senso proprio. Si deve pensare qui al caso dei caso dei Vage Verbrechen, che pone il problema degli illeciti che non portano aggressioni materiali e precise (Nuvolone, 1982), ma che colpiscono interessi immateriali e sfuggenti quali: il sentimento religioso (art. 7 della Legge n. 85/2006) o la pietà dei defunti (art. 407 Codice penale).

nn. Si può altresì parlare di offese provocano la lesione di interessi compositi e non omogenei: vi sono casi nei quali l’offesa è portata nei confronti di un interesse che trascende i singoli. Si tratta di fattispecie nelle quali l’aggressione coinvolge, in via principale, beni che riguardano i compiti fondamentali dello Stato; e che solo in via secondaria e riflessa possono colpire e ledere interessi individuali e facenti capo ad una vittima precisa.

oo. Per finire questa breve rassegna possiamo anche riferire il caso di quegli episodi che non provocano una lesione nel senso di un danno od una aggressione materiale o morale, ma possono porre in essere una messa in pericolo di interessi rilevanti per la collettività. In questo caso si tratta di comportamenti illeciti che danno comprensibilmente luogo ad un grave allarme sociale od un senso di preoccupazione, ma dai quali non emerge un vero e proprio pregiudizio o vittimizzazione. Si può trattare di reati di carattere eterogeneo, rilevantissimi o bagatellari che, indipendentemente dal loro profilo giuridico e giudiziario, creano un senso di vittimizzazione, vulnerabilità e fragilità diffusa. Come del resto non possiamo scordare quella vittimizzazione particolare che si rileva tutte le volte in cui i cittadini sono esposti alla rappresentazione di reati che non li coinvolgono direttamente, ma dai quali si sentono oltremodo offesi. Si pensi al caso dei furti in appartamento, ai sinistri stradali, o al caso dell’esercizio della prostituzione: si tratta di reati che non attingono in modo diretto gli spettatori della scena criminale (Pitch, 2006), cioè sono illeciti che colpiscono

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altri soggetti (il derubato, il ferito, la prostituta sfruttata). Ma sono eventi che, in ogni caso debbono essere tenuti in conto, in una prospettiva che trascenda la classica impostazione penalistica e riparatoria. Si assiste ad una dinamica che potrebbe essere definitiva di vittimizzazione preventiva e allargata, ove si registra la tendenza diffusa alla identificazione sociale ed emotiva nei confronti delle vittime dei crimini (Sanchez, 1999); o alla preoccupazione per il mutamento degli scenari ambientali ritenuti sempre meno sicuri poiché degradati o malfrequentati.

Vittimologia

La vittimologia nasce negli anni ’40 come branca della criminologia. I due padri fondatori sono considerati Hans Von Henting e Benjamin Mendelsohn.

Prendere qui in considerazione i vari passaggi concettuali che dalla nascita di questa disciplina ad oggi si sono evoluti, è importante per avere una visione d’insieme dei cambiamenti nell’ambito considerato.

Von Henting (1948) ha elaborato alcuni importanti concetti che sono stati in seguito sviluppati ed ampliati con ulteriori ricerche: criminale-vittima, vittima latente, predisposizione speciale.

Il concetto di “criminale-vittima”, si riferisce a tutti i casi in cui un soggetto può diventare criminale o vittima a seconda delle circostanze, può essere prima criminale e poi vittima o viceversa, può essere nello stesso tempo criminale o vittima.

Il concetto di “vittima latente”, in base al quale in certe persone esisterebbe una “predisposizione” a diventare vittima di reati e, in un certo senso ad attrarre il proprio aggressore.

Ed il concetto di predisposizione “speciale”, dovuta alla presenza di alcuni specifici fattori socio-demografici e psicopatologici. Tale riflessione viene ripresa da Fattah (1971) che identifica tre predisposizioni vittimogene specifiche: predisposizioni biofisiologiche, psicologiche e sociali. Questo rimane un argomento estremamente delicato e tuttora fonte di discussione nei dibattiti attuali.

Mendelsohn (1976) ha proposto uno schema inerente al grado di colpa da attribuirsi alla vittima:

vittima “del tutto innocente”, come nel caso dei bambini;

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vittima “con colpa lieve” e vittima “per ignoranza”, come nel caso di un passeggero che, a bordo di un’auto, distrae il guidatore e, causando una sbandata al veicolo, rimane ferito o ucciso;

vittima “colpevole quanto il delinquente” e vittima “volontaria”, come nel caso del suicidio nella “roulette russa”, suicidio “per adesione” o “in coppia”;

vittima “maggiormente colpevole del delinquente”, come nel caso della vittima “provocatrice” o della vittima “imprudente”;

vittima “con un altissimo grado di colpa” e vittima come “unica colpevole”, come ad esempio un criminale che aggredisce una persona e viene ucciso per legittima difesa.

E’ intuibile come il passaggio da queste riflessioni a nozioni come “vittima che precipita il reato” (Wolfgang, 1957) intendendo tutte quelle situazioni in cui la vittima in qualche modo è stata la prima a prendere l’iniziativa sulla scena dell’omicidio, sia molto delicato e corra il rischio di g i u n g e r e a d u n ’ e c c e s s i v a e d i n g i u s t i f i c a t a “colpevolizzazione” della vittima. E’ stato infatti sottolineato come in molti casi non sia il comportamento della vittima a far scattare il reato, ma la percezione, spesso distorta dell’autore attribuisce alla vittima intenzioni e responsabilità in realtà inesistenti.

In ogni caso approcciare il concetto di vittima in base al grado di colpa ha in sé una visione parziale della situazione: sappiamo oggi che la relazione tra criminale e vittima può essere molto più complessa e sfaccettata e molto raramente così facilmente categorizzabile.

A partire dagli anni ’70 ad oggi sono state condotte varie ricerche e studi sui fattori e situazioni che possono favorire la vittimizzazione. Si è parlato del modello basato sullo stile di vita (Hindelang M., Gottfredson M., Garofalo J. 1978), dell’approccio basato sull’attività routinaria (Cohen & Felson, 1979) e della vulnerabilità che deriva dalla residenza in determinate aree urbane (Stark, 1987). Sulla scia di questi studi ne sono stati condotti poi altri in seguito che risultano importanti per fornire considerazioni pratiche sulla prevenzione del crimine. In Italia, in particolare, risultano in quest’ottica particolarmente interessanti le indagini svolte dall’Istituto Nazionale di Statistica, delle quali analizziamo i dati emersi nel capitolo successivo.

Una vittimologia fondata sul porre al centro gli stili di vita e le attività routinarie può presentare alcune criticità e tratti discutibili. Si apre il capitolo di una vittimologia che intreccia temi criminologici e della Science of Crime (Clarke & Eck, 2003), e che richiama motivi di sfondo quali la Rational Choice (e la assunzione di responsabilità) ed una generale impostazione di carattere difensivistico e

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securitario. Si assiste alla generazione ed al consolidamento di apparati disciplinari volti alla classificazione e modellizzazione di potenziali vittime, ed alla imposizione alle stesse di specifiche e differenziate discipline limitanti e preventive; il tutto senza escludere anche la possibilità di un sistema di rimproveri differenziali in caso di avvenuta vittimizzazione. Si può oltretutto profilare una duplice prospettiva in materia di soggetti passivi di illeciti: da un lato le potenziali vittime e bersagli da proteggere e difendere (donne, bambini, abitazioni); d’altro canto potenziali vittime che si difendono (e difendono) ricorrendo a vari dispositivi di sicurezza privata individuale (Pitch, 2006). Siamo certamente lontani da una vittimologia che tende alla comprensione profonda delle ragioni dell’offeso ed eventualmente alla mediazione con l’aggressore: si tratta di una serie di precetti che si dirigono come istruzioni preventive di evitamento di pericoli e che sottendono impliciti ammonimenti e biasimi in caso di loro violazione.

La criminologia dell’occasione mette in guardia circa il rischio di vittimizzazione di alcune condotte che, comunemente, vengono giudicate imprudenti. Questa considerazione non deve però indurre a concludere che determinati stili di vita, magari disinvolti ed anticonvenzionali , possano, da un lato costituire una 9

causa di giustificazione impropria per l’aggressore e, d’altro 10

canto, costituire occasioni di rimprovero per la vittima aggredita . 11

Una tendenza a prendere le distanze dalla vittima presenta, in modo inquietante, una certa diffusione nella esperienza sociale; e si concreta in risultati di varia natura che possono andare dalla: minimizzazione della aggressione, alla negazione del danno sino ad un giudizio di apprezzamento nei confronti dell’autore. Il tutto per scopi poco edificanti che risalgono a dinamiche legate alla appartenenza, o al desiderio di voler appartenere, al gruppo che ha espresso l’aggressione e che passano attraverso giustificazioni della medesima . Si tratta, tutto sommato, della riproduzione e 12

della applicazione distorta e disfunzionale di schemi cognitivi e

Zuffanieri, M. & Amistà E. La perizia vittimologica in un’ottica 9

pragmatica, in Gulotta G. & Curci A. (2010). Mente, Società e Diritto. Milano: Giuffrè Collana di psicologia giuridica e criminale

Marotta G. (2004). Teorie Criminologiche. Da Beccaria al Postmoderno 10

(pp. 191 ss.). Milano: LED Edizioni Universitarie

Pontigliatti Barbos, M. (1999). Vittimologia, in Digesto delle Discipline 11

Penalistiche, v. XV, Torino: Utet Giuridica. Fornari, U. (2014). Follia transitoria. Il problema dell’irresistibile impulso e del raptus omicida. Milano: Raffaello Cortina

Vezzadini, S. (2012). Per una sociologia della vittima. Milano: Franco 12

Angeli

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comportamentali che rinviano alle cause di giustificazione ed alle attenuanti o scusanti previste dalle leggi penali.

Chi è la vittima?

Risulta ora chiara l’importanza di non considerare una visione dicotomica della vittima: non possiamo dividere le vittime in “buone” o “cattive” in base al livello di “casualità” o “partecipazione” al reato subito. L’unico modo per non cadere in questa dicotomia è analizzare con precisione le varie categorie di vittime e le distinzioni operabili all’interno di questa macrocategoria. Una precisazione importante sta nel non focalizzare l’attenzione esclusivamente sulle vittime di violenza ma a tutte le tipologie di reati (furti, reati informatici, usura…).

Le riflessioni di Fattah (2009) in merito chiariscono la questione:

Sono stati creati gruppi privilegiati di vittime, posti a un livello superiore rispetto ad altri, dando a loro uno status preferenziale, mentre altri venivano trascurati, lasciati senza assistenza e cure. Arrendendoci ai pregiudizi, abbiamo fatto una vistosa distinzione tra vittime buone e cattive, tra vittime innocenti e colpevoli, tra vittime con le mani pulite e quelle con le mani sporche. Abbiamo contraddistinto, in modo arbitrario e sulla base dei nostri pregiudizi morali e ideologici, le vittime che non meritavano aiuto da quelle che lo meritavano. (p.52)

Nel suo contributo Fattah (p.52) pone una domanda alla quale, a suo parere, non è possibile dare una risposta univoca: “Chi è la vittima?” Non è possibile rispondere perché il concetto di vittima è un concetto dinamico, sottoposto a continui cambiamenti. E’ un concetto che varia anche in base al contesto storico e sociale: si pensi che chi è stato accusato di eresia e sottoposto a qualsiasi tipo di tortura, oggi è visto come vittima d’inquisizione.

Inoltre la vittimizzazione definita secondo standard normativi, ideologici o legislativi, può non essere percepita come tale da chi la subisce; in ogni situazione specifica entrano in gioco limiti individuali che riflettono la capacità e la prontezza a sopportare eventi dolorosi o pericolosi senza sentirsi vittimizzati.

Seguendo il pensiero di Fattah (p.54), certe domande sono inevitabili: chi decide quali vittime meritano o meno assistenza e aiuto, accesso a programmi e servizi specifici, risarcimenti economici, trattamenti psicologici o psichiatrici?

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Chi stabilisce i criteri e le regole di queste scelte? Chi stabilisce che le vittime di violenza sono più bisognose delle vittime di crimini contro la proprietà o di furto o di incendio doloso? A quali valori, ideologie, norme si deve far ricorso per operare distinzioni di questa importanza? I comportamenti sociali e culturali, gli stereotipi negativi influenzano queste decisioni? e se sì, che cosa si può fare per assicurare pratiche più imparziali e corrette?

Il dato di fatto è che sono recentemente nate moltissime realtà che si occupano di specifiche tipologie di vittime e, di nuovo Fattah va dritto al centro della questione: La pretesa da parte di queste lobby che alcune vittime meritino più protezione rispetto ad altre è sempre risultata offensiva agli occhi di chi pensa che un trattamento equo delle vittime sia segno di giustizia e di correttezza. […] Non è scioccante che alcuni piani di riabilitazione delle vittime escludano a chiare lettere i detenuti degli istituti di pena, sebbene vengano vittimizzati con violenza? […] I tossicodipendenti, gli alcolisti, i criminali, le prostitute, i travestiti, i mendicanti, i senza tetto, i bambini di strada ecc. sono trattati come le altre vittime da parte delle Forze dell’Ordine e degli altri servizi sociali? (p.58)

Una frase che può sintetizzare questo discorso può essere “hanno avuto ciò che meritavano”. E’ evidente che le società hanno creato una gerarchia delle vittime e che i servizi di assistenza alle vittime sembrano proprio rispecchiare i punti di vista e gli atteggiamenti della società di cui fanno parte, condividendone pregiudizi e stereotipi.

Il già citato Fattah giunge a delle riflessioni conclusive interessanti sulla questione dei centri vittime:

Se non è giusto che i centri di assistenza alle vittime si limitino solo ad alcune categorie, devono essere fatti sforzi continui per indurre le vittime nascoste o riluttanti a uscire allo scoperto e per raggiungerle in qualsiasi modo. […] i servizi per le vittime, sono stati molto più accessibili per alcune categorie di vittime rispetto ad altre. Migliaia, forse milioni di vittime di violenza sessuale o dei più comuni reati contro la proprietà sono state aiutate da questi servizi, ma quasi nessuno si è mai occupato di truffe commerciali e telematiche, o semplicemente di chi è stato ingannato da un rivenditore di auto, un meccanico o un idraulico. Allo stesso modo sono state ignorate le vittime di ricatti, estorsioni, frodi o chi ha perso tutti i propri averi personali grazie alle manipolazioni di abili truffatori. (p. 66)

Il Centro di Supporto alle Vittime di Reato dell’associazione Libra di Mantova, accoglie e ascolta tutte le persone che si sentono vittime, non seleziona categorie come vedremo nel capitolo dedicato; perché diventa fondamentale ricordare che abbiamo bisogno di politiche che non creino

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corsie preferenziali per alcune tipologie di vittime, che non suffraghino pregiudizi sociali e culturali, atteggiamenti negativi, stereotipi e preconcetti (p. 71).

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Come approcciare la vittima?

In questa sezione dell’articolo analizzeremo tre diversi punti di vista e proposte di linee operative di approcci alle vittime di reato: il manuale americano First response to Victims of crime (2008), le linee guida di Victim support Europe (2013), 13

e la situazione Italiana. Nel 2008 il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti realizza e pubblica il manuale First Response to Victims of Crime. Tale documento contiene delle linee guida che sono state, in primo luogo pensate, per coloro che più spesso, si trovano a dover approcciare in prima battuta le vittime di un reato: le forze dell’ordine. Riteniamo che sia possibile estendere tali riflessioni anche ad altre categorie, oltre che agli organi ufficiali, che comprendano tutti coloro che possono trovarsi a contatto con una persona che ha subito un reato: una vittima, in quel momento. Per questo motivo verranno di seguito riportate le indicazioni tratte dal documento in lingua inglese, arricchite da riflessioni degli autori. Vengono, in primo luogo, presi in considerazione i tre bisogni che la maggior parte delle vittime ha dopo che è stato commesso un crimine: − Bisogno di sentirsi al sicuro. − Bisogno di esprimere le proprie emozioni. − Bisogno di sapere che cosa succederà dopo

Bisogno di sentirsi al sicuro

Poiché le persone, dopo aver subito un crimine, si sentono spesso spaventate, impotenti, vulnerabili e senza protezione è opportuno dare alla vittima il messaggio che, ora, è al sicuro. Ciò è realizzabile seguendo le linee guida di seguito riportate: Presentarsi alla vittima con nome e titolo. Spiegare il proprio ruolo e ciò che è in vostro potere fare per lei. Rassicurare la vittima sulla sua incolumità, dichiarare la propria disponibilità per le sue esigenze. Fare attenzione a tutti i livelli di comunicazione, verbale e non verbale (alle parole, alla postura, al modo di porsi e al tono della voce:

Di tale manuale esiste una versione in italiano adattata all’interno del 13

testo Leone A., Monzani M. & Tettamanti, M. (2013). Primo approccio e supporto alle vittime. Milano: Gruppo Editoriale Vitator

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non incrociare le braccia, spegnere il telefono, mantenere il contatto oculare). Usare il linguaggio del corpo per dimostrare preoccupazione e interesse. Può essere utile porsi fisicamente alla stessa altezza della vittima, non stare in piedi e non sedersi su poltrone più alte, può essere anche valutata la possibilità di utilizzare una stanza dove non è presente una scrivania e predisporre due poltrone una di fronte all’altra (con un leggero angolo d’inclinazione). Chiedere alla vittima di riassumere in poche parole (una frase o due) che cosa le è successo. Informarla del fatto che, a breve, le verrà fatta un’intervista sull’accaduto. Chiederle se ha riportato ferite sul corpo. Preoccuparsi delle necessità mediche della vittima. Offrirsi di contattare un famigliare o un amico. Offrirsi, se necessario, di cercare una aiuto per la gestione del loro animale (cane, gatto…): per molte vittime gli animali hanno un fondamentale ruolo affettivo. Fornire i contatti di eventuali servizi di supporto alle vittime (o di altri servizi che possono supportare la persona). Chiedere se hanno già un consulente di crisi per le vittime (psicologo o psichiatra), in caso contrario, se necessario, proporre un appuntamento con un professionista. Porre attenzione alla privacy della vittima durante l’intervista sia facendola accomodare in un luogo dove possa sentirsi tranquilla e sicura, sia facendole firmare il modulo predisposto per la privacy. Fare domande molto semplici che permettano alla vittima di prendere decisioni concrete così da riacquisire il controllo di se stessa: es. “vuole qualcosa da bere?”, “Posso sedermi accanto a lei?”, “Come vorrebbe mi rivolgessi a lei?”. Chiedere alla vittima se ha bisogno di qualcosa di particolare, interessi o necessità. Prima di chiudere il colloquio, creare una “rete di sicurezza” alla vittima attraverso telefonate fatte insieme a lei, in modo che sappia dove andare e con chi stare una volta terminato l’incontro. Dare alla vittima un documento che spieghi i “diritti delle vittime” ed elencare le risorse disponibili per ulteriori informazioni e aiuto. Tale documento deve contenere: informazioni sui servizi di supporto alle vittime, servizi locali di intervento e gruppi di supporto. Invitare le vittime ad utilizzare tali servizi per essere aiutate. Dare alle vittime un documento con il vostro nome, i vostri recapiti e le informazioni necessarie per essere rintracciati. Incoraggiare le persone a ricontattarvi se hanno delle domande e se potete esserle di ulteriore aiuto.

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Bisogno di esprimere le proprie emozioni

Le vittime hanno bisogno di esprimere le proprie emozioni e di raccontare la storia del trauma dovuto al reato subito. Hanno bisogno che i loro sentimenti siano accettati e i loro racconti ascoltati da un interlocutore non giudicante. Oltre alla paura, potrebbero avere sentimenti di colpa, di rabbia, di vergogna, di tristezza o rifiuto. La loro reazione più comune è: “non posso credere sia successo a me!”. La sofferenza può emergere in modi particolari, ad esempio con una risata o con la totale assenza di espressioni facciali. Talvolta le vittime mostrano rabbia davanti alla minaccia alla propria sicurezza e alla propria vita inattesa, improvvisa e incontrollabile. Tale collera può essere rivolta anche alle persone che stanno cercando di aiutare le vittime. Può essere importante facilitare le vittime ad esprimere le proprie emozioni seguendo queste linee guida: − Non interrompete e non provate a “tagliar corto” mentre le vittime esprimono il loro stato d’animo; − Osservare il linguaggio del corpo delle vittime, la postura, l’espressione facciale, il tono della voce, i gesti, il contatto oculare e l’apparenza generale. Ciò può aiutare a comprendere che cosa la vittima sta provando e che cosa sta cercando di dire; − Rassicurare le vittime, spiegando che le loro reazioni al crimine non sono insolite; − Mostrare comprensione alle vittime, in modo empatico; − Parlare con la vittima, sedersi e mettere da parte il bloc-notes. Chiedere alla vittima come si sente e ascoltarla; − Dire alle vittime: “voglio ascoltare l’intera storia, ogni cosa possa ricordare, anche ciò che non ritiene importante”, − Fare domande aperte, con risposta libera. Evitare domande chiuse che abbiano risposta solo “sì” o “no”. Fare domande del tipo: “mi può raccontare che cosa è successo?”, “c’è qualcos’altro che può raccontarmi?”; − Mostrarsi attivi nell’ascoltare le vittime, attraverso espressioni facciali, il linguaggio del corpo e commenti del tipo: “Si prenda tempo, io ascolto”, “Possiamo fare una pausa, se lo desidera, io non ho fretta”; − Trattenersi dall’interrompere la vittima mentre racconta la sua storia; − Ripetere o riformulare con parole vostre ciò che credete di aver sentito/capito dal racconto della vittima, ad

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esempio: “Se ho capito correttamente, Lei ha detto…”, “ Allora, da quello che ho capito…”, “sta dicendo…?”. Si tratta di applicare tecniche di riassunto e di riformulazione.

Bisogno delle vittime di sapere “che cosa accadrà dopo”

Le vittime di solito si preoccupano del loro ruolo all’interno del procedimento giudiziario e i conseguenti procedimenti legali. Si preoccupano anche di ciò che verrà pubblicato da parte dei media e di eventuali costi e danni materiali. Alcune delle inquietudini possono essere alleviate se si sa che cosa bisogna aspettarsi di conseguenza al crimine. Queste informazioni, inoltre, aiuteranno la persona a prepararsi agli event i s tressant i e agl i ul ter ior i event i che ne condizioneranno la vita. Si può rispondere alle necessità delle vittime di sapere “ che cosa succederà dopo”, alcune indicazioni possono essere: − Spiegare alle vittime che cosa si sta facendo, le procedure per l’applicazione della legge, le mansioni pendenti come la classificazione del rapporto, l’indagine riguardo il crimine, l’arresto e la contestazione dell’accusa di un sospetto; − Parlare alle vittime riguardo alle ulteriori interviste collegate alle indagini o altri tipi di eventi che potrebbero aspettarsi; − Discutere della natura generale di tutti gli esami medici legali che potrebbero essere richiesti alle vittime e dell’importanza di essi per l’applicazione della legge e per proseguire con le indagini; − Lasciare che la vittima sappia quali informazioni riguardanti il crimine saranno disponibili per i media e quale può essere la probabilità che esse vengano pubblicate; − Spiegare alle vittime che difficoltà di concentrazione, perdita di memoria, depressione e disturbi fisici sono reazioni naturali tipiche delle vittime di crimini; − Incoraggiare le vittime a recuperare la regolare routine quanto prima per ristabilire il suo recupero psico-fisico; − Elaborare e dare alle vittime un opuscolo che spieghi i suoi “diritti” elencando le risorse disponibili allo scopo di aiuto e informazione. Le informazioni contenute nell’opuscolo potrebbero essere: informazioni sui servizi di supporto alle vittime; servizi locali di intervento e gruppi di supporto; diritti processuali delle vittime; − Chiedere alle vittime se hanno domande da fare. Fornire il vostro numero di telefono cartaceo, sollecitando a chiamare nel caso ci fosse la necessità di ulteriore assistenza, nel caso l’utente lo richieda fissare ulteriore appuntamento.

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− Fornire mater ia le da leggere re la t ivo a l le problematiche che emergono nel colloquio (ad esempio, informazioni giuridiche, conoscenza sul ciclo della violenza, articoli sui maltrattamenti, ecc.). Il Manuale per l’implementazione della legislazione e delle migliori pratiche per la tutela delle vittime di reato in Europa

dell’organizzazione Victim Support Europe fornisce una panoramica degli atteggiamenti e dei comportamenti generali applicabili a tutte le figure professionali che lavorano a contatto con le vittime di reato. Essi possono essere riassunti nei seguenti aspetti fondamentali: − Nessuna gerarchizzazione delle vittime. Non si deve mirare a stabilire una gerarchia di vittime o di dolore, ma a garantire diritti e servizi a tutte le vittime, indifferentemente dalla natura del crimine o dalle caratteristiche personali della vittima. − Le vittime hanno un ruolo fondamentale e interessi riguardo al loro caso. È auspicabile aspettarsi un sistema di giustizia criminale plasmabile e regolabile in base alle necessità dei singoli coinvolti, e non il contrario. − Rispetto e dignità. Le vittime hanno il diritto di essere trattate in modo rispettoso, cortese, individualizzato e professionale in tutte le interazioni con gli enti rappresentativi della giustizia criminale e di supporto vittime − Credere alla vittima. Tutti i professionisti dovrebbero ascoltare la vittima, fornire una risposta idonea e non fare domande riguardanti la sua affidabilità. − Definizione di vittima. Per tale definizione il manuale fa riferimento alla Direttiva EU del 2012 che stabilisce gli standard minimi sui diritti, sul supporto e sulla protezione delle vittime di reato: una persona dovrebbe essere considerata una vittima indipendentemente dal fatto che il colpevole sia stato identificato, arrestato, sottoposto ad indagine o condannato; inoltre devono essere presi in considerazione anche i famigliari della vittima. − Fornire informazioni in modo proattivo. Al fine di partecipare ai processi di giustizia criminale o beneficiare di qualsiasi altro diritto, le vittime necessitano di informazioni su quali siano i loro diritti e a quali servizi possano accedere. − Diritto di capire e di essere capiti. Le informazioni dovrebbero quindi essere date in un linguaggio e in un modo che permetta alla vittima una facile comprensione. Le considerazioni dovrebbero essere date valutando le capacità di comunicazione della vittima e i suoi requisiti linguistici. − Diritto di sapere chi contattare. È fondamentale che a vittima sappia chi contattare per ricevere ulteriori

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informazioni o per chiederne altre riguardo una specifica parte del caso o del processo . − Formazione dei professionisti. La già citata Direttiva europea stabilisce che i professionisti che entrano in contatto le vittime ricevano un inquadramento generico e una formazione specifica per aiutarli ad interagire con le vittime in modo imparziale, rispettoso e non discriminatorio. Il livello del training dovrebbe dipendere dal livello del contatto; i professionisti che hanno contatti giornalieri con le vittime dovrebbero ricevere un addestramento pi ù approfondito. − Non discriminazione. La non discriminazione include l’evitamento di trattamenti e comportamenti discriminatori sulla base di razza, colore, etnia o origine sociale, fattori genetici, linguaggio, religione o credenze, associazioni politiche, appartenenza a minoranze nazionali, orientamento sessuale, stato di residenza, stato di salute o qualsiasi altra caratteristica personale della vittima − Raccolta dati e statistiche. Per misurare l’impatto e l’applicazione della normativa sulle vittime, è importante valutare quante vittime sono in grado di accedere ai loro diritti, ad esempio osservando quante vittime entrano in contatto con gli enti preposti dalla giustizia e a quali servizi possono avere accesso Nel manuale citato viene elencato ciò che i servizi di supporto alle vittime di reato dovrebbero come minimo garantire: − Informazioni riguardanti il sistema di giustizia penale; − Informazioni riguardanti i diritti delle vittime e su come accedere a tali diritti; − Informazioni e assistenza applicata al risarcimento del danno; − Informazioni riguardanti l’esito del giudizio, nonché la preparazione per partecipare al giudizio; − Supporto emotivo e, dove necessario, psicologico; − Consigli riguardanti le necessità finanziarie e pratiche conseguenti il crimine, vale a dire informazioni su chi contattare per assicurazione, riparazione, risarcimento, questioni finanziarie, questioni riguardanti l’alloggio, supporto occupazionale, domande sui servizi sociali, ecc.; − Informazioni riguardanti il rischio e la prevenzione di vittimizzazione ripetuta e secondaria, intimidazioni e rappresaglie; − I centri di supporto vittime dovrebbero essere a conoscenza di tutti i servizi specialistici presenti e offrire, alla vittima, l’accesso a quelli specificatamente indirizzati ai bisogni individuali della stessa. Inoltre tutti i servizi di supporto dovrebbero essere:

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− Gratuiti. − Confidenziali. − Centrati sui bisogni delle vittime. − Indipendenti. − Accessibili in tutta Europa. − Adeguati ad accogliere le necessità individuali della vittima. − Guidati da uno staff o da volontari qualificati e monitorati. − Disponibili anche in caso la vittima non abbia ancora esposto denuncia/querela alla Polizia. − Disponibili indipendentemente dal tipo di crimine o dalle caratteristiche personali della vittima. Tali indicazioni sono state assorbite dal CSVR di Mantova fin dalla sua nascita per creare il proprio modello operativo di supporto alle vittime di reato, come vedremo qui di seguito, Mantova si pone come obiettivo l’attuazione e la realizzazione di tutto ciò che “dovrebbe essere” in riferimento alla normativa vigente. L’attuazione della Direttiva Europea che stabilisce standard minimi sui diritti, sul supporto e sulla protezione per le vittime di reato è stata recentemente recepita in Italia, ma già da tempo il CSVR di Mantova si muove seguendo i principi dichiarati in tale direttiva e le buone prassi indicate a livello internazionale.

5. La situazione in Italia: dati di riferimento

Il 22 novembre 2010 sono stati pubblicati i dati relativi all’indagine “Reati, vittime e percezione della sicurezza” effettuato dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat); tali dati si riferiscono agli anni 2008-2009. Questa è la terza indagine effettuata dall’Istituto in materia; rispetto alle precedenti, effettuate nel 1997-1998 e nel 2002, sono state rilevate alcune nuove tipologie di reati, come la clonazione delle carte bancarie, le truffe e le frodi informatiche. Il campione è di 60 mila individui di 14 anni e più intervistati su tutto il territorio nazionale con tecnica telefonica. Tale indagine ha lo scopo di conoscere il fenomeno della criminalità attraverso il punto di vista della vittima e permette di stimare il “sommerso” di molti reati e di identificare i gruppo di popolazione più a rischio. Inoltre, offre il quadro della percezione soggettiva della sicurezza, del rischio percepito della criminalità nella zona in cui si vive, del rapporto con le forze dell’ordine e delle strategie messe in atto da individui e famiglie per difendersi. Sono considerati i seguenti reati: lo scippo, il borseggio, il furto di oggetti personali, la rapina, la minaccia,

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l’aggressione, la clonazione della carta di credito, la truffa, il furto di veicoli e delle parti di veicolo, il furto di oggetti dai veicoli, il furto in abitazione e l’ingresso abusivo, gli atti di vandalismo, il furto e il maltrattamento di animali. I principali risultati possono essere di seguito riassunti: - la diffusione di reati: al Sud più rapine, scippi, minacce, furti di veicoli, al Centro - Nord più furti di oggetti senza contatto, furti nella prima casa, borseggi e furti di biciclette. - La percentuale di denuncia è elevata per furti di veicoli, rapine, furti nella prima casa; è bassa per i tentati furti. - Le rapine e le aggressioni avvengono di sera, di notte e nelle prime ore del mattino; gli scippi e i borseggi di giorno: i furti d’auto di sera e di notte. - Nella maggior parte dei furti in abitazione i ladri non forzano porte e finestre ma approfittano della distrazione dei padroni di casa. - Per scippi, rapine e aggressione gli autori sono in maggioranza maschi, con meno di 40 anni, in un terzo dei casi stranieri. - Le donne sono più colpite da scippi e borseggi, gli uomini da rapine e aggressioni, i giovani tra i 14 e i 24 anni sono i più colpiti in tutti i reati. - La paura è elevata soprattutto nel Sud e tra le ragazze di 14-24 anni, metà della popolazione dichiara di essere influenzata dalla criminalità nei comportamenti. - E’ alta la preoccupazione di subire un reato, al primo posto la violenza sessuale. - Più del 60% dichiara che la criminalità è rimasta invariata nella zona in cui si vive, ma un quinto sostiene che è aumentata. - Tra le strategie di difesa dei cittadini al primo posto c’è la porta blindata seguita dal supporto dei vicini e dal bloccaggio delle finestre; più di un terzo dei cittadini evita, quando è buio, certi luoghi o certe strade. - Negli ultimi 10 anni sono diminuiti e furti nella prima casa, di auto, di oggetti dai veicoli, di animali; è aumentata la preoccupazione di subire scippi, borseggi, rapine aggressioni e violenze sessuali; il rischio di subire violenza sessuale preoccupa più della metà delle donne; è migliorato il giudizio sul lavoro delle forze dell’ordine, è cresciuto l’uso di strategie di difesa meccaniche ed elettroniche (porte blindate, allarmi…). - Nel territorio emergono alcuni luoghi di maggiore criticità: Campania, Lazio e Puglia si posizionano sempre ai livelli più altri della graduatoria sia rispetto ai reati subiti, che al timore di subirli.

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In tale indagine è esclusa la stima della violenza contro le donne che viene rilevata con indagini ad hoc: la più recente “La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia” è stata pubblicata il 5 giugno 2015 ed è relativa all’anno 2014; la precedente, nonché prima indagine, è stata pubblicata il 21 febbraio 2007 ed è relativa ai dati dell’anno 2006. Di seguito si riportano i dati più rilevanti: - La violenza contro le donne è fenomeno ampio e diffuso. 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri. - Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita. La violenza fisica è più frequente fra le straniere, mentre quella sessuale più tra le italiane. Le straniere sono molto più soggette a stupri e tentati stupri. Le donne moldave, rumene e ucraine subiscono più violenze. - I partner attuali o ex commettono le violenze più gravi. Il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente. Gli autori di molestie sessuali sono invece degli sconosciuti nella maggior parte dei casi (76,8%). - Il 10,6% delle donne ha subìto violenze sessuali prima dei 16 anni. Considerando il totale delle violenze subìte da donne con figli, aumenta la percentuale dei figli che hanno assistito ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% del dato del 2006 al 65,2% rilevato nel 2014). - Le donne separate o divorziate hanno subìto violenze fisiche o sessuali in misura maggiore rispetto alle altre. Critica anche la situazione delle donne con problemi di salute o disabilità. - Emergono importanti segnali di miglioramento rispetto all'indagine precedente: negli ultimi 5 anni le violenze fisiche o sessuali sono diminuite, rispetto ai 5 anni precedenti il 2006. Ciò è frutto di una maggiore informazione, del lavoro sul campo, ma soprattutto di una migliore capacità delle donne di prevenire e combattere il fenomeno e di un clima sociale di maggiore condanna della violenza. - È in calo sia la violenza fisica sia la sessuale, dai partner e ex partner come dai non partner. - In forte calo anche la violenza psicologica dal partner attuale. - Alla maggiore capacità delle donne di uscire dalle relazioni violente o di prevenirle si affianca anche una

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maggiore consapevolezza. Più spesso considerano la violenza subìta un reato e la denunciano di più alle forze dell’ordine. Più spesso ne parlano con qualcuno e cercano aiuto presso i servizi specializzati, centri antiviolenza, sportelli. La stessa situazione si riscontra per le violenze da parte dei non partner. - Rispetto al 2006, le vittime sono più soddisfatte del lavoro delle forze dell'ordine. - Si segnalano però anche elementi negativi. Non si intacca lo zoccolo duro della violenza, gli stupri e i tentati stupri. Le violenze sono più gravi: aumentano quelle che hanno causato ferite e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita. Anche le violenze da parte dei non partner sono più gravi. - 3 milioni 466 mila donne hanno subìto stalking nel corso della vita, il 16,1% delle donne. Di queste, 1 milione 524 mila l'ha subìto dall'ex partner, 2 milioni 229 mila da persone diverse dall'ex partner. Riteniamo che la conoscenza di dati siano fondamentali per orientare l’intervento di un centro di supporto alle vittime di reato.

6. Normativa Italiana: recepimento direttiva europea

Con il D.Lgs. 15 dicembre 2015 n. 212, pubblicato sulla G.U. n. 3 del 5 gennaio 2016, l’Italia dà attuazione alla direttiva 2012/29/UE in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. La fonte europea stabilisce norme minime che assicurino alle vittime di reato adeguati livelli di tutela e assistenza, sia nelle fasi di accesso e partecipazione al procedimento penale, sia al di fuori e indipendentemente da esso.  Di seguito sono riportate le modifiche principali che hanno fatto seguito ai menzionati passaggi legislativi. - Definizione di vittima di reato. La nozione europea include sia la persona che abbia direttamente subito un danno dal compimento di un reato sia - in caso di decesso di questa a causa dell’illecito - i suoi familiari, fra i quali si annoverano anche le persone con essa conviventi in situazioni affettive stabili e continue. Quindi la necessità di accogliere una nozione di vittima che tenda all’allargamento ed al riconoscimento dei pregiudizi patrimoniali e morali riflessi e non solo di quelli diretti. - In caso di dubbio sull’età, può disporne anche d’ufficio l’apposito accertamento, analogamente a quanto già previsto per l’incertezza sull’età dell’imputato nel rito minorile. Ove il dubbio permanga, la minore età della persona offesa viene presunta, a scopo di garanzia.

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-In tema d’informazione e partecipazione della vittima al processo, il decreto attuativo interviene su istituti già esistenti, integrandone la disciplina al fine di ampliarne l’operatività, fino ad oggi per lo più rivolta a certe categorie di soggetti e a certi titoli di reato. In questo modo, prerogative processuali tradizionalmente riservate ai portatori di handicap o ai sordomuti vengono estese alla vittima di reato che non conosca la lingua italiana, alla quale sono riconosciuti i diritti a comprendere gli atti necessari ad una sua consapevole partecipazione al processo e ad essere compresa, fin dai primi contatti con l’autorità competente.  - Il decreto aggiunge al codice di rito disposizioni relative all’assistenza linguistica, in forza delle quali anche alla vittima – e non più al solo imputato, sulla base della previgente disciplina – devono essere garantiti servizi gratuiti di interpretariato, nel corso dell’intero processo penale, e di traduzione degli atti essenziali all’esercizio dei propri diritti. Le nuove disposizioni integrano la disciplina già modificata, recentemente, in occasione del recepimento della direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Sul punto si dispone, in vista di un contenimento dei costi, che l’assistenza dell’interprete possa avvenire attraverso strumenti tecnologici di comunicazione, sempreché la presenza fisica dell’interprete non sia resa necessaria.  - Risulta poi ampliato il catalogo delle informazioni che la persona offesa ha diritto di ricevere dall’autorità procedente, in una lingua a lei comprensibile. Viene, in questo modo, assicurato il tempestivo avviso di informazioni concernenti sia le fasi essenziali del procedimento penale sia dell’eventuale vicenda cautelare. Così, il decreto integra la disciplina delle comunicazioni sulle misure di protezione prevedendo che - nei processi relativi ai reati con violenza alla persona – la persona offesa che lo richieda venga informata dell’avvenuta scarcerazione o della cessazione delle misure restrittive applicate. Fra le novità introdotte in tema di comunicazioni, vi è la previsione per cui la vittima del reato sia posta a conoscenza della possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela. Allo stesso modo, la persona offesa deve essere informata dei servizi offerti indipendentemente dall’instaurazione del processo penale: gli eventuali strumenti di giustizia riparativa (quali la mediazione) o i servizi assistenziali di carattere sociale, personalizzabili previa valutazione individualizzata delle esigenze di protezione sussistenti nel caso concreto (strutture sanitarie, case famiglie, case rifugio, centri di accoglienza).  Con riferimento invece al rafforzamento dei diritti di partecipazione al processo la normativa di attuazione

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introduce, per i reati più gravi, la possibilità per la vittima di impugnare le decisioni di non luogo a procedere. - Accanto agli strumenti d’informazione sulla (e di partecipazione alla) dinamica processuale, il decreto interviene ad assicurare più ampie forme di tutela, nel corso del processo, alla vittima cui è riconosciuto un particolare stato di vulnerabilità, al fine di evitare i fenomeni di vittimizzazione secondaria. Viene così data attuazione al duplice scopo perseguito dalla direttiva 2012/29/UE sul punto: di individuare sia modalità di protezione della vittima da interferenze esterne e contatti con l'autore del reato, sia modalità di tutela che consentano alla persona offesa vulnerabile di prendere parte al processo senza dover scontare le conseguenze negative derivabili da una sua testimonianza. Il decreto modifica dunque la disciplina dell’incidente probatorio e della prova testimoniale attraverso modalità protette, disponendo l’applicazione delle specifiche tutele ivi previste in tutti casi in cui si proceda all’esame di una vittima vulnerabile, indipendentemente dal catalogo dei reati presupposti che fino ad oggi ne legittimava l’adozione.  - Viene dunque recepito l’invito, rivolto agli Stati membri dalla direttiva, ad uniformare i criteri atti a riconoscere lo status di vittima vulnerabile, senza per questo vincolare tale accertamento al meccanico ricorso a presunzioni, connesse a condizioni soggettive o al tipo di illecito oggetto del giudizio, ma valorizzando invece un tipo di valutazione fondata anzitutto sulle caratteristiche della persona e del caso concreto: ai sensi dell’art. 90-quater la condizione di "particolare vulnerabilità" è desunta, oltre che dall’età e dallo stato d’infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede, e si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato. Anche da questa prospettiva la direttiva ha teso dunque ad attribuire una dignità autonoma alla figura della vittima di reato meritevole di tutela in quanto tale, e di una tutela individualizzata, ove possibile, nel rispetto delle esigenze e caratteristiche proprie della singola persona.  Fornire un giudizio generale sulla introduzione della categoria della particolare vulnerabilità richiede forse il trascorrere di un periodo di applicazione e “rodaggio” dell’istituto in questione. I punti critici e criticabili però restano evidenti sin da subito.

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Il primo è quello legato alla eventuale sub-procedura per la dichiarazione dello status di vulnerabilità che, in assenza di indici, dovrà avvenire volta per volta con la presa in esame del caso singolo e con tutte le incognite che il caso stesso può presentare. Su questo si potrebbe obiettare che l’art. 90-quater prevede indici oggettivi, che comunque presentano 14

una certa rigidità che non rende sempre agevole e duttile la loro applicazione . 15

In secondo luogo bisogna tener presente che un allargamento delle prerogative processuali in capo alla parte offesa, deve sempre tener conto di eventuali interferenze con la posizione difensiva dell’indagato o dell’imputato; dove tali interferenze non debbono tradursi in corrispettive limitazioni e restringimenti difensivi per l’accusato. E’ infatti necessario che le due parti contrapposte possano iniziare il giudizio su un piano di parità.

Art. 90-quater (Condizione di particolare vulnerabilità). - 14

1. Agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall'età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato.

E su questo non possiamo non concordare con Bouchard, quando 15

considera che “In altri termini si fa desumere l'esigenza di protezione della vittima da caratteristiche “specifiche” anziché accertarla, in concreto, di volta in volta, a prescindere da quelle caratteristiche che qualificano una particolare situazione di vittimizzazione. Le due prospettive hanno conseguenze inevitabilmente diverse: infatti se si afferma che la vulnerabilità della vittima va desunta da precise caratteristiche estrinseche si preclude la protezione per quelle vittime che non rientrano nel catalogo dell'art. 90 quater c.p.p. E, soprattutto, si affida la valutazione di vulnerabilità - e in particolare del rischio di vittimizzazione secondaria – all'operatore giudiziario (polizia giudiziaria o magistrato) anziché ad operatori formati alla bisogna. Il decreto, infatti, non si preoccupa di indicare quale sia il soggetto abilitato a fornire elementi di valutazione della vulnerabilità della vittima contraddicendo l'indicazione della direttiva che all'art. 9 attribuisce tale compito ai servizi di assistenza. Anche su questo punto il parere della Camera dei deputati era stato chiaro nell'invitare il governo a considerare l'opportunità di attribuire al pubblico ministero lo specifico compito di dichiarare l'eventuale stato di vulnerabilità della vittima anche attraverso un accertamento tecnico psicologico. Nel parere della Commissione giustizia la rubrica dell'art. 90 quater c.p.p. si intitolava, appunto, alla “dichiarazione dello stato di vulnerabilità della vittima e del testimone” da notificarsi – a seconda dei casi – alla vittima stessa, all'indagato e ai loro difensori”.

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Del resto criteri fissati per l’individuazione dello stato di particolare vulnerabilità, e contenuti all’art. 90-quater, risultano forse un po’ troppo manualistici, stereotipati e riepilogativi. Alcune espressioni contenute nell’elenco, oltretutto, risultano un po’ di maniera. Infermità e deficienza psichica sono indici, il primo riferito alla capacità penale dell’autore, ed il secondo di non facile definizione. D’altro canto gli ulteriori indici sono riferiti a rimandi a circostanze eterogenee: soggettive, situazionali ed oggettive rispetto all’offesa. Possiamo ipotizzare che una formulazione più astratta (e meno schematica: a griglia) volta a definire il nuovo istituto, avrebbe potuto trovare una applicazione più duttile, elastica e, magari, più inclusiva. In particolare, una formalizzazione che avesse tenuto conto del concetto già preso in considerazione: vulnerabilità intesa come situazione di deprivazione di risorse (psico-sociali, patrimoniali, reali ed emotive), sia anteriormente all’illecito, sia concomitante (situazionale), che anche successiva al fatto. Oltretutto giova segnalare che non sembra essere sufficiente una mera vulnerabilità, ma è necessaria una vulnerabilità rafforzata dall’aggettivo particolare; tutte le volte che il legislatore pone un attributo restrittivo ad un sostantivo che vuole delimitare un istituto, si pone sempre il problema della sua interpretazione. In altre parole: se esiste vulnerabilità in astratto questa dovrà essere necessariamente qualificata in concreto come particolare, ma – viene da chiedersi – la particolarità come dovrà essere letta? In termini oggettivi o soggettivi? La prima ipotesi è, sotto certi aspetti priva di significato ed astratta; invece: una valutazione soggettiva (cioè riferita dapprima al caso concreto) deve peraltro scontare il filtro di come la vulnerabilità (particolare) sia vissuta, esperita e concepita dalla stessa vittima, ma anche il filtro delle imprescindibili valutazioni e convinzioni personali del soggetto che la deve sancire. La specificazione dell’art. 90-quater rischia il destino di altre specificazioni dei concetti, che hanno presentato difficoltà all’interprete: si prenda il caso, ad esempio, di altre espressioni quali: concreto pericolo; gravi indizi di colpevolezza; particolare tenuità; che debbono essere determinate tenendo conto dell’aggettivo che funge da criterio restrittivo. Ma quel che ci preme sottolineare è una considerazione che si pone sullo sfondo: l’introduzione di un nuovo istituto giuridico non rappresenta soltanto l’immissione di una nuova definizione, ma specialmente l’individuazione delle conseguenze giuridiche (non solo strettamente normative) che discendono da questa definizione E più la definizione introdotta è pregnante ed evocativa, più – vi è fondatamente

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da attendersi – che dalla stessa possano derivare implicazioni di sistema importanti. Vulnerabilità della parte offesa (o della vittima) è un concetto ‘forte’ e carico di connotazioni potenziali e di rinvii; e vi era da attendersi che dalla medesima potessero essere previsti effetti di dimensioni più ampie. Ad esempio si sarebbe potuto sfruttare le indicazioni contenute agli artt. 8 e 9 della Direttiva Europea, contenenti l’indicazione, l’organizzazione, le finalità e le attività dei centri per l’assistenza delle vittime, per ricollegare i vulnerabili a dette strutture. Si può pensare che una politica criminale in senso lato – preventiva o riparativa – non possa limitarsi ad innovazioni sul codice di rito come nel caso previsto per la vulnerabilità, la quale – nella sostanza – è solo in grado di attivare modalità di dichiarazioni e deposizioni protette. Sarebbe stato forse opportuno che il soggetto vulnerabile fosse preso in considerazione anche dal punto di vista del diritto sostanziale e non strettamente penale. Magari attraverso norme di carattere positivo e promozionale che possano porre questa particolare categoria di vittima non solo a conoscenza di prerogative processuali, ma porle nelle condizioni di essere indirizzate in modo efficace verso enti specializzati per il trattamento dei casi di vittimizzazione. E qui incontriamo un altro nervo scoperto – peraltro già evidenziato – del decreto legislativo: quello relativo alle strutture dedicate alle vittime. La norma in questo ambito si limita alla indicazione di enti di protezione (per vittimizzazioni particolari quali la violenza di genere), ma non parla – come richiesto dalla Direttiva – di centri di assistenza alle vittime; che sono soggetti diversi dalle case protette. L’omissione del legislatore italiano può essere attribuita forse ad una certa confusione che vige tra centri protetti e i centri di assistenza alle vittime, i quali non presentando sempre confini concettuali netti (e anche notevoli esempi di ibridazione) però possiedono due diverse strutturazioni e funzioni. L’omissione può essere dovuta quindi a scarsa informazione corrente, ma anche – ove il legislatore avesse avuto una idea più precisa circa le distinzioni – a una certa propensione a non ottemperare a quanto prescritto in sede europea a causa di considerazioni di (dis)impegno patrimoniale. In entrambi i casi, premesso che ad oggi sul territorio italiano sono già presenti ed agenti centri di assistenza alle vittime, sorge la necessità che gli stessi, magari unendosi o coordinandosi, possano far conoscere a livello istituzionale (locale e centrale) le proprie competenze, specializzazioni ed attività; ed i vantaggi per la collettività legati alla presenza di un centro di ascolto che eroga in modo gratuito e con

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delicatezza e rispetto, non solo indicazioni in campo giuridico, psicologico e sociale, ma anche supporto di carattere emotivo, comprensione. Tantopiù se consideriamo che la vocazione di un centro vittime non è quella di prendere le parti ad ogni costo della parte offesa, - condotta che si presta anche a strumentalizzazioni ideologiche o volte ad un ritorno di immagine e patrimoniale con la assunzione di incarichi professionali in capo ai membri del centro -, ma ove possibile è quella di favorire l’incontro e il dialogo con l’offender allo scopo di riannodare un discorso strappato tra le parti, per raggiungere un punto di accordo, o per chiudere senza rancori, strascichi o rivendicazioni delle relazioni pericolose. In presenza dei presupposti, quindi, il centro di assistenza alle vittime favorisce la mediazione, attua la cooperazione, e non si presta all’incremento della conflittualità e del risentimento.

L’occasione sollecitata con l’adozione della direttiva 2012/29/UE, non dedicata a particolari categorie di vittime, né alle vittime di particolari categorie di reati, è stata dunque quella di attribuire organicità al sistema composito di tutele. L’entrata in vigore del decreto legislativo determina un indiscutibile passo in avanti del sistema di tutele assicurato dall’ordinamento nazionale alla persona offesa dal reato, alla quale si attribuisce una considerazione sempre più rilevante, dentro e fuori le dinamiche del processo penale.

7. CSVR di Mantova: proposta di modello operativo

Il Centro di Supporto alle vittime di reato di Mantova (CSVR), si pone l’obiettivo di rendere applicativo quanto dichiarato dalle normative vigenti integrando, nell’incontro con la persona, le linee guida proposte dai testi sopra riportati. Nel maggio 2012 è stato aperto presso l’Associazione Libra Onlus di Mantova uno sportello (CSVR) che accoglie le vittime di reato nel rispetto della privacy e della situazione di vulnerabilità della persona. Si pone quale centro di ascolto e orientamento verso i servizi territoriali e fa da ponte (facilitatore) per agevolare un percorso di superamento del trauma subito. Fornisce servizio di prima consulenza orientativa e legale, sostegno emotivo e supporto sociale, gratuitamente, anche a t t r a v e r s o a z i o n i d i c o r r e t t a i n f o r m a z i o n e e accompagnamento ai Servizi sul territorio, durante le fasi d’indagine e processo in cui la vittima di reato è coinvolta.

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Svolge inoltre attività di raccolta dati e analisi delle casistiche, mediante un modello di matrice scientifica che prevede colloqui di follow-up. Il CSVR sostiene l’attuazione di percorsi di mediazione-conciliazione, ove possibile. Il CSVR è inoltre coinvolto nella formazione di volontari e professionisti, nella condivisione e diffusione di buone prassi con gli operatori del territorio del settore, per la costruzione di una rete di comunità, nella promozione di informazione sulla tutela dei diritti fondamentali e della prevenzione del disagio e nella progettazione di programmi di ricerca applicata sperimentali in ambito vittimologico e criminologico. Il personale del CSVR è composto da criminologi, avvocati, psicologi, terapeuti, psichiatri, esperti in audizione protetta del minore e volontari. Si può accedere allo sportello durante gli orari di apertura e previo appuntamento telefonico. Per urgenze è attivo un numero di cellulare (h24). Il CSVR opera nel rispetto della tutela del soggetto e dei suoi dati sensibili. Nel primo incontro è richiesta la presa visione e l’accettazione dei seguenti moduli: - Consenso Informato sul trattamento dei dati sensibili e delle informazioni acquisite durante i colloqui e le attività di supporto; - Consenso Informato per l’eventuale audio e video registrazione (se necessaria); - Consenso informato per il follow-up. Inoltre il CSVR ha predisposto una scheda anagrafica di raccolta dati e gli operatori coinvolti nel colloquio, al termine di ogni incontro, stendono una relazione descrittiva di quanto svolto.

8. Risvolti applicativi del recepimento della direttiva europea nel CSVR di Mantova

Abbiamo visto sopra quali sono stati i maggiori cambiamenti avvenuti in seguito all’attuazione della direttiva 2012/29/UE. Gli aspetti ai quali il CSVR ha dedicato particolare attenzione nel corso di questi anni riguardano la tipologia di vittima e la vittimizzazione secondaria.

Tipologia di vittima

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Con vittima di reato s’intende sia la persona che ha direttamente subito un danno sia i suoi famigliari in senso lato: anche conviventi o coloro che sono in situazioni affettive stabili e continue. L’accezione di vittima tenuta in considerazione dal CSVR amplia inoltre il proprio campo d’azione anche a tutte quelle persone che si percepiscono vittime, al di là del fatto che poi la legge riconosca o meno il reato come tale. Questo presupposto permette al CSVR di aprire le proprie porte a chiunque si “senta vittima”. Tale punto di partenza è alla base di ogni percorsi di sostegno che il CSVR offre: il primo passo è accogliere la persona, qualunque sia il suo vissuto e la storia che porta con sé. Il secondo passo è l’empowerment (Corbari E., Gagliardi L., Viecelli F., Puccia A., 2014), ovvero il rafforzamento della capacità di autodeterminazione dell’individuo nel pieno riconoscimento delle proprie capacità e responsabilità. L’empowerment è sia uno strumento di lavoro sia l’obiettivo dei percorsi svolti: aiutare la persona ad uscire dal ruolo di vittima, spesso cristallizzato e alimentato da dinamiche distruttive, ed a ri-costruire una nuova immagine di sé. Spesso la vittima s’identifica con il reato subito -come il malato s’identifica con la malattia- e giungere alla consapevolezza che la perdita di oggetti (come nel caso di un furto o di terremoto) o la perdita della propria dignità (come nel caso di una violenza) non è una perdita definitiva della persona. Esiste un margine di riparazione, di ricostruzione dell’immagine di sé e della propria vita che può avvenire indipendentemente dal reato o dall’ “ingiustizia” subita; la persona può essere ancora attiva nella propria vita e recuperare questo “potere su di sé”, al di là di tutto ciò che ha vissuto fino a quel momento.

Vittimizzazione secondaria

Abbiamo visto come alla vittima cui è riconosciuto un particolare stato di vulnerabilità è necessario evitare i fenomeni di vittimizzazione secondaria. Questo significa che, in base alla normativa, bisogna individuare sia modalità di protezione della vittima da interferenze esterne e contatti con l'autore del reato, sia modalità di tutela che consentano alla persona offesa vulnerabile di prendere parte al processo senza dover scontare le conseguenze negative derivabili da una sua testimonianza. In base all’esperienza maturata negli anni al CSVR è possibile affermare che questo aspetto di “prevenzione” relativamente alla vittimizzazione secondaria è realizzabile anche attraverso informazioni dettagliate alla vittima sull’iter giudiziario. Molte vittime, al primo contatto con il CSVR,

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non immaginano le conseguenze di una possibile denuncia e informarle su quali saranno i passaggi successivi che si troveranno a vivere, risulta fondamentale per ridurre quell’aspetto di imprevedibilità e incertezza in cui la vittima si sente costantemente. Questo contribuisce alla riappropriazione da parte della vittima di un potere decisionale e di un’assunzione di responsabilità rispetto a se stessa, sia che poi decida di denunciare il reato o meno.

Responsabilizzazione della vittima

Grande importanza è data alla necessità ci accogliere la vittima, ascoltarla e darle la possibilità di esprimere il proprio vissuto senza sentirsi giudicata. Questa funzione di accoglienza ha senso se vissuta come punto di partenza: da qui poi sono necessari dei passaggi affinchè la persona possa spostarsi dal suo ruolo di vittima, che rischia di svolgere una funzione immobilizzante per molte delle persone che subiscono un reato. Questo è possibile se le persone possono riconoscere un proprio ruolo attivo nella vicenda che stanno raccontando. Questa è l’unica strada che può portare ad un movimento e ad una riappropriazione della propria vita. Non è possibile generalizzare in questo caso, il rischio è di cadere nell’attribuzione di un grado di colpa elevato alla vittima (si veda il già citato Mendelsohn, 1976) e ciò non porterebbe a nessun passaggio evolutivo. È fondamentale quindi considerare ogni storia a sé, ed aiutare ogni persona a trovare quell’aspetto che dipende solo da lei, di cui è l’unica detentrice. Il compito degli operatori del CSVR sta proprio nell’aiutare ognuno a trovare il suo movimento personale, assumersi la propria responsabilità (empowerment) e perdonarsi quelli che ritiene siano i propri errori.

Un case report

Viene di seguito riportato il caso della signora Sara e del marito Luciano . 16

Questo percorso mettere in risalto le modalità di lavoro su qui si basa l’intervento del CSVR di Mantova: assunzione di responsabilità e empowerment. Tali principi vengono, di volta in volta, declinati in ogni situazione specifica dove il

I nomi sono inventati dagli autori.16

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concetto di “vittima” si manifesta nelle molte accezioni sopra riportate. Il primo incontro con la signora Sara avviene nel 2015 presso il CSVR, la signora ha telefonato per prendere un appuntamento su indicazione del medico di base. Al telefono Sara ha parlato di problemi con il marito, con il quale è sposata da circa una quarantina d’anni. Durante il primo colloquio sono presenti due operatori del CSVR. All’inizio del colloquio Sara descrive il marito come “nevrotico, aggressivo”. Dice che “finché le cose vanno bene, va tutto bene, quando succede la minima cosa diventa aggressivo”. Riferisce che urla moltissimo e che lei non sopporta ciò: “non c’è bisogno di urlare! non sono sorda! Mi vergogno anche dei vicini che sentono. Non mi chiede mai scusa, diventa violento e ho paura”. Sara racconta dell’episodio dell’ultima lite tra lei e il marito, evento che poi l’ha portata a contattare il CSVR. Una lite iniziata per un motivo futile, degenerata poi in urla. Sara, durante il colloquio, viene accompagnata nella formulazione di una riflessione che si sposta dall’attribuire tutto “il male” al marito a una prospettiva che include anche una propria azione. Sara arriva quindi a chiedere agli operatori: “Che cosa posso fare io per migliorare questa situazione?”. Questo è un passaggio importante che ha a che fare con un’assunzione di responsabilità da parte di Sara: in questo momento si sposta dal suo ruolo di vittima e si pone attivamente nella relazione, chiedendosi che cosa dipende da lei, che cosa è in suo potere fare per migliorare le cose. Sara viene sostenuta dagli operatori in questo pensiero. A questo incontro ne segue un altro con il marito Luciano, sempre alla presenza di due operatori del CSVR. Durante il colloquio il sig. Luciano esprime il suo punto di vista e la prima cosa che Luciano dice è che la moglie è impulsiva. Anche lui, quindi, tende ad attribuire la prima responsabilità all’altro all’interno della coppia. Dopo essere stato riportato ad una riflessione su di sé, Luciano dice che il suo maggior difetto è “il tono di voce”. Riporta ciò come una sua problematica, dovuta anche all’ambiente in cui lavora dove è necessario urlare per comunicare. Questa impossibilità di comunicare riguarda anche la famiglia d’origine di Luciano: emerge molta sofferenza alla rievocazione di questi ricordi. Rispetto al rapporto con la moglie, Luciano riferisce che, a suo parere, i problemi sono due: che Sara s’irrigidisce e non è

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disposta al dialogo e che cambia umore in maniera improvvisa. Nel complesso Luciano dice di essere soddisfatto del suo ruolo di padre e marito. Quando gli viene chiesto che cosa vorrebbe che il CSVR facesse per lui risponde che gli sarebbero utili dei “consigli” per trovare una certa tranquillità nel rapporto con la moglie. Gli operatori decidono quindi di proporre ad entrambi un incontro, insieme. I due coniugi si presentano puntuali al CSVR e il colloquio avviene in presenza di due operatori. Entrambi i coniugi, in sedi separate, nonostante le difficoltà, hanno dichiarato la volontà di “migliorare” e stare meglio all’interno della coppia. Sara inizia a parlare per prima sostenendo la posizione che “Lui deve smettere di urlare”, afferma che se le cose sono andate avanti in questi anni è solo per merito suo. Quando viene data la parola a Luciano lui ammette che tende ad alzare il tono di voce e che non se ne rende conto. Dice che il motivo per cui i toni si alzano nella discussione è che la moglie si intestardisce sulle sue posizioni e che vorrebbe che tutto fosse fatto come dice lei, in base alle sue convinzioni e che non c’è possibilità di confronto. La modalità di comunicazione tra i due si ripete: lei inizia a parlare senza dare tregua, il marito interviene solo per dire che si sta inventando alcune cose e che alcuni ricordi sono distorti. Il marito si limita a scuotere la testa. Si riporta successivamente il focus sulla motivazione iniziale che ha spinto i due coniugi a chiedere aiuto: migliorare la situazione della coppia. Quindi si chiede loro se ci sono degli aspetti positivi che ciascuno vede nell’altro. Entrambi esprimono sentimenti positivi senza rivolgersi direttamente al partner ma in terza persona: “io la amo, è la madre dei miei figli” - “Io lo amo, non ci ha mai fatto mancare niente”. Dopodiché si chiede ad entrambi di identificare una piccola cosa che ognuno, in prima persona, può fare per migliorare la situazione della coppia; la prima a parlare è Sara. Dice “cercherò di trattenermi e non dire quello che penso”, il marito risponde che non chiede che lei non parli e non esprima quello che pensa ma che trovi un modo meno estenuante di farlo. Si rimanda alla signora che tra l’essere estenuante e il non parlare possono esserci delle modalità intermedie e che proprio la ricerca del livello “adatto alla situazione” può essere l’obiettivo. Luciano dice che si propone di impegnarsi a tenere un tono di voce più basso, ad abbassare il volume della televisione. Entrambi si assumono dei “compiti” e si danno un tempo per realizzarli, questa assunzione di responsabilità è già un cambiamento importante.

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Questo caso è l’esempio della modalità di lavoro del CSVR: il primo passaggio è stato quello di accogliere la persona con il suo vissuto di “vittima”, entrambi sono arrivati riportando una colpevolizzazione reciproca che bloccava la coppia in una situazione di stallo nella quale era impossibile trovare altre modalità di affrontare i problemi. L’aver aiutato entrambi a focalizzarsi sulla propria parte di responsabilità ha permesso loro di uscire dalla rigida posizione che stava portando a liti continue, fissazioni e accuse reciproche. Sara e Luciano si sono riappropriati del proprio “pezzo” di responsabilità e si sono riproposti di “fare attivamente” qualcosa per la coppia, questo movimento ha determinato una serie di conseguenze a catena positive che ha permesso ai due coniugi di vivere con maggiore serenità il loro rapporto.

Conclusioni

Il testo pone in risalto come il Centro di Supporto alle Vittime di Reato di Mantova si sia, fin dalla sua nascita, posto in una prospettiva innovativa e d’avanguardia rispetto alla recente normativa italiana entrata in vigore: essa infatti trova piena applicazione nella pratica quotidiana del Centro. Tale luogo accoglie la Vittima di Reato in ogni sua accezione e accompagna ogni persona in un percorso di empowerment rispetto alla propria condizione, spesso connotata da sofferenza.

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