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Rivista di enologia, gastronomia e turismo Anno XXVIII - Numero 3 - Maggio-Giugno 2010
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Rivista di enologia, gastronomia e turismo Anno XXVIII - Numero 3 - Maggio-Giugno 2010
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speciale Sicilia
Incontro con Valerie Lavigne - Nicola Masiello Pag. 8
Montepulciano e Montalcino: assegnate le stelle - Nicola Masiello 10
India: tradizioni a tavola e in famiglia - Gudrun Dalla Via 18
Il Paese dei mille laghi - Enza Bettelli 21
Vino Cileno - Breno Raigorodsky 25
Il Veneto: una storia enogastronomica di eccellenza Saverio Scarpino 27
I vini del Lazio si presentano a Vienna - Maria Luisa Doldi 32
Le notizie di enogastronomia e turismo a cura della redazione di Quality ADV 34
Fare sistema per competere - a cura della redazione di Quality ADV 38
Agricola Brandini - La Morra - a cura della redazione di Quality ADV 42
44
2010 - Mario Del Debbio 86
A Castelbrando, nel Congresso Autunnale, la verifica dei nostri impegni - Mario Del Debbio 88
Il Principe dei vini Trentini: Il Teroldego Rotaliano Luca Iacopini e Massimo Bracci 90
L’opinione del Presidente Pag. 2
Territorio, qualità del vivere e turismo - Roberto Rabachino 4
L'opinione di Marcello Masi 6
La Biblioteca di Gladys 92
News dall’Italia 94
In famiglia 95
ComuniCazione istituzionale
ENOGASTRONOMIA • TURISMO • CURIOSITà
SCIENZA • TECNICA • APPROFONDIMENTI
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ario
speciale Siciliavinitaly 2010 La F.I.S.A.R. protagonista 84
diVinando
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 32
Si spengono le luci sulla grande kermesse enologica veronese e una volta calato il sipario si traggono le conclusioni circa il successo
della manifestazione; sono in tanti a sbandierare cifre altalenanti sulla sempre crescente partecipazione alla Fiera, sia da parte degli espositori che dei visitatori. Dalla nostra postazione del Centro Servizi Arena, affollatissimo corridoio di collegamento tra i padiglioni. 6 e 7, dal quale transitano in tanti, quest’anno invece ho avuto la netta sensazione che la tanto decantata affluenza non ci sia stata, così come non mi è sembrata granché la “qualità” della folla, allegra e sbevazzata che ciondolava tra gli stand. A parte qualche Regione, come ad esempio la Sicilia, presa d’assalto come sempre dai visitatori, ho visto padiglioni desolatamente vuoti con espositori annoiati e sonnacchiosi. Ho l’impressione, leggendo e cogliendo commenti entusiasti, che si voglia far passare a forza la notizia di un trionfo, che forse grande successo non è stato; ci sono i problemi di sempre irrisolti, sia all’interno che all’esterno della Fiera, un Vinitaly a due dimensioni, dove da una parte ci stanno gli espositori che lamentano disservizi quali la pulizia dei calici, la refrigerazione dei vini negli stand, il ghiaccio che a metà giornata termina, e dall’altra gli operatori che sperano in una Fiera dove sia possibile discutere, assaggiare, trovare prodotti vecchi e nuovi da confrontare, senza dovere spartire l’esiguo spazio con l’euforico avventore in cerca di alcoliche emozioni. Tuttavia posso comunque affermare che i nostri stand sono stati molto e ben frequentati, sia dai nostri Soci provenienti da tutta Italia che sono “passati” per un saluto, compresa una folta delegazione di associati brasiliani sia da visitatori occasionali che hanno chiesto informazioni sulle nostre attività nelle varie città della penisola; ho usato il plurale perché quest’anno abbiamo dedicato uno stand alla nostra rivista. Dal 23 al 26 di aprile la Comunità Fisariana si è riunita in Versilia, in quel di Forte dei Marmi, per la consueta Assemblea annuale, della quale troverete la dettagliata
cronaca in altre pagine di questo giornale, puntualmente
vergata da Mario Del Debbio.
In contemporanea, ma in Sicilia, Palermo ha ospitato
il Concours Mondial de Bruxelles, uno dei maggiori
appuntamenti enologici che ha visto, a far parte della
giuria, la partecipazione di circa 300 tra sommelier,
giornalisti ed esperti giunti da tutto il mondo e fra questi
anche una rappresentanza di sommelier Fisar (Claudia
Marinelli e Davide Cecio). Il risultato della “sfida” tra
quasi 7mila etichette in concorso provenienti da tutto
il mondo, vede l’Italia posizionarsi al terzo posto,
dopo Francia e Spagna, che conquista ben 228
medaglie aggiudicate su circa 950 etichette inviate
per le degustazioni e in ambito nazionale, tra le Regioni
partecipanti, la Sicilia conquista il gradino più alto del
podio. Scorrendo la lista dei premiati, la cosa che mi
colpisce sono proprio i nomi dei vini e delle Aziende: vini
e cantine che di solito non sono presenti sulle Guide.
Visto che le degustazioni sono state effettuate con
campioni anonimi, considerato che i giudici provenivano
da svariati Paesi e certamente senza interessi di sorta,
a me un dubbio viene. E a Voi?
Capita a proposito questa considerevole performance
siciliana, visto che con questo numero de Il Sommelier
inizia lo Speciale Regione, dedicato proprio alla Trinacria,
terra dal cuore aspro e possente, dove la natura ha
un fascino ardente e nello stesso tempo irruente,
dove le pietre accatastate dall’uomo per dare vita ad
una viticoltura estrema, di montagna, lascia spazio ad
una terra bruna dalle mille tonalità cromatiche, dove il
verde smeraldo delle vigne e degli agrumeti si alterna
al turchese del firmamento che appare statico ed
irreale, in attesa di un candido cirro che lo porti in una
dimensione terrestre, mentre il sole incide volti e braccia
nell’orgoglioso gesto di un primitivo sodalizio con la
natura. Anche questa è Sicilia. Ed è con il profumo della
zagara in fiore che mi congedo auspicando serenità e
che il vostro calice sia sempre colmo.
Presidente Vittorio Cardaci Amaper comunicare con il Presidente:
Un mese di Aprile denso di impegni e attività enologiche
“”
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 3
Rivista di Enologia, Gastronomia e Turismo
Organo Ufficiale della F.I.S.A.R.Federazione Italiana Sommelier
Albergatori RistoratoriRic. di Pers. Giuridica PI. n° 1070/01 Sett. I del 9.5.01
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Distribuzione della rivistaLa rivista viene inviata a tutti i soci Fisar, a tutti gli organi di informazione, atutti i giornalisti dei gruppi di specializzazione di settore, a tutte le Istituzioni,a tutte le Associazioni di settore e a tutti gli IPSSAR che ne facciano richiesta
tramite spedizione gratuita in abbonamento postale.
La rivista è associata al USPIUnione Stampa Periodica Italiana
Hanno collaborato a questo numeroMarcello Masi, Giancarlo Roversi,
Enza Bettelli, Gudrun Dalla Via, Virgilio Pronzati,Luca Iacopini, Massimo Bracci, Silvana Delfuoco,
Cinzia Tosetti, Attilio L. Vinci
Per la fotografiaOliviero Toscani, Saverio Scarpino,
Roberto Rabachino, Enza Bettelli, Alberto Doriae immagini di Redazione.
Per la vostraPUBBLICITÀ
Responsabile Piemonte e Valle d'AostaAlessandro MACCHI
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www.ilsommelier.com
”
In copertina il Conte Lucio Tasca d'Almerita
Questa teoria porta alla conclusione
che esistono semplicemente persone
normali che si spostano dalla propria
abitazione verso altri luoghi per i più svariati
motivi.
Tutti coloro che si sono impegnati e si
impegneranno sul turismo e nel turismo devono
effettuare un’approfondita considerazione sul
tipo di cultura economica a cui il turismo si deve
ispirare, partendo dall’assioma che l’economia
classica, governata da rigidi principi di causa ed
effetto, non si applica ad un bene come il turismo,
al quale si associa una dimensione di gusto, di
affettività, di propensione che non è codificabile.
Si deve comprendere principalmente che l’offerta
turistica va al di là di quella genericamente
conosciuta come “produzione turistica”, in quanto
racchiude l’utilizzazione di tutte le attività di un
territorio, delle risorse naturali, culturali, artistiche,
aventi la natura di beni pubblici.
Per questo motivo è il territorio la risorsa turistica
essenziale, la base da cui partire per produrre
turismo e la qualità del vivere offerta agli abitanti
del territorio diventa “qualità turistica”.
Fondamentale è comprendere che, in un
paese senza le fabbriche, il territorio diventa
la risorsa essenziale, e che è indispensabile
armonizzare e coordinare tre settori tra loro
indivisibili: industria del turismo (intesa come
sistema produttivo), centralità del consumatore,
protezione del patrimonio naturale e culturale.
Il peso che il turismo rivendica oggi nelle politiche
comunitarie, nazionali e regionali è strettamente
correlato alla sua capacità di creare nuovi posti
di lavoro.
Nel Documento Comunitario sui “nuovi giacimenti
di posti di lavoro” vien detto che gli orientamenti
che emergono per lo sviluppo delle iniziative locali
vedono il turismo protagonista dei cambiamenti
auspicati verso una società di iniziative.
Il punto cruciale è capire cosa si intenda con il
termine turismo.
Al contrario delle altre attività economiche, infatti,
il turismo non si presta ad essere compreso
facendo riferimento ai prodotti e servizi generati o ai
Territorio, qualità del vivere
e turismo
Il territorio con tutte le sue attività, la sua popolazione e le sue risorse costituisce l’offerta cosiddetta turistica,
che è semplicemente l’offerta di qualità del vivere che un territorio offre ai suoi abitanti
“”
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 34
per comunicare con il Direttore:[email protected]
di Roberto Rabachino
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 5
processi produttivi. Le sue molteplici sfaccettature
comprendono i beni e servizi che possono essere
utilizzati sia dai turisti (residenti provvisori) che dai
residenti abituali, come i trasporti, la ristorazione,
l’industria alimentare, ecc.
Tutto questo obbliga a cambiare la metodologia
degli studi economici sul turismo, poiché
elimina i concetti di consumo turistico, di spesa
turistica e di occupazione prodotta dal turismo,
dal momento che tutti lavorano per il turismo
e più aumentano le presenze turistiche, più
cresce il lavoro e l’occupazione in tutti i settori.
In sintesi, il turismo è un motore per lo sviluppo
economico-sociale di un’area e per la creazione
di posti di lavoro, non solo negli alberghi e nelle
attività considerate storicamente turistiche, ma in
tutte quelle collegate allo sviluppo del territorio.
La capacità di un’area di attrarre turisti è data da
diversi fattori: beni culturali, ambientali, climatici,
ecc. ma, prima ancora, dalla qualità del vivere
offerta dal territorio.
Non si può costruire una qualità per uso esclusivo
del forestiero per attrarre i turisti, occorre invece
migliorare la qualità del vivere della popolazione
locale per raggiungere, anche, una giusta qualità
del vivere turistico.
Costiera Amalfitana
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 36
Il futuro, per definizione, ha contorni un po’
vaghi. C’è chi lo teme e chi lo invoca. Troppe
volte, invece, il passato è esaltato come un
bene perduto per sempre.
Su questo vorrei fare qualche riflessione insieme
a voi. Non c’è dubbio che, per chi non è più
un bambino, il passato ha il grande fascino dei
vent’anni andati, il profumo dell’incoscienza e
della presunta immortalità. Sono motivi naturali
per rimpiangerlo, non c’è dubbio, ma a ben
vedere questi sono frammenti esistenziali
non generalizzabili e personali. Diversa è la
valutazione fatta con criteri oggettivi e generali.
Bene, cominciamo dai nostri avi. I latini ai tempi di
Cicerone e Cesare, dunque nel massimo fulgore
della magnificenza romana, usavano scrivere
spesso: mala tempora currunt che tradotto in
linguaggio corrente significa tira una brutta aria.
Insomma duemila anni fa si indulgeva a ricordare il
passato, anche recente, con una certa nostalgia.
Eppure, la vita in quei tempi non era tanto facile.
Se perdevi una battaglia in una delle innumerevoli
guerre, bene che andava finivi a fare lo schiavo
in Mesopotamia. Ma, soprattutto, si moriva per
un’indigestione di fichi e il vino simile all’aceto si
annacquava o si mischiava con il miele. Il cibo per
“
Il terroir non si clona
di Marcello MasiVice Direttore TG2 RAI
e responsabile rubrica Eat Parade
I latini ai tempi di Cicerone e Cesare, dunque nel massimo fulgore della magnificenza romana, usavano scrivere spesso: mala tempora currunt che tradotto in linguaggio corrente significa tira una brutta aria
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Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 7
la gente comune era decisamente scarso, mentre
i ricchi si permettevano piatti che oggi farebbero
inorridire. Su tutti, interiora di pesce fatte marcire
per bene in una pseudo salamoia. Inoltre si andava
al bagno tutti insieme in simpatici luoghi affollati
e la carta igienica non esisteva. Per carità l’aria
non era inquinata dalle industrie, in compenso si
moriva di malaria in un batter d’occhio. Stesso
ragionamento per i secoli di mezzo. Nel medioevo
si gettavano gli escrementi dalla finestra e colera
e peste festeggiavano più volte durante l’anno.
Vogliamo parlare poi di quei romanticoni di Renzo
e Lucia ? Sempre peste, sempre fame, e molte
angherie sparse
qua e là. Sono
stato frettoloso
n e l l ’ a n a l i s i ,
evidentemente è
così, ma parliamo
allora di un dato
incontrovertibi le:
l’aspettativa di vita.
Ebbene qualche
anno fa in Etiopia
in Africa fu scoperta
Lucy, definita dagli
antropologi la nostra
comune mamma.
Attraverso la datazione
con il carbonio il suo
corpo mummificato è stato
datato a 3,2 milioni di anni fa.
Sempre attraverso l’uso dei
più sofisticati mezzi scientifici è
stato stabilito che la signora Lucy
morì all’età di 42 anni. All’inizio
del secolo scorso l’aspettativa di
vita per una donna caucasica non
arrivava a cinquant’anni. In poche
parole, 3,2 milioni di anni hanno portato
un beneficio inferiore alle otto primavere.
Oggi l’aspettativa di vita per una donna nel
nostro Paese è di oltre 76 anni. In cento anni
abbiamo guadagnato 26 estati e relativi inverni. 26
vendemmie ed innumerevoli annate eccezionali.
Sinceramente non mi sento di aggiungere altro. E
visto che il vino non ci lascia indifferenti, parliamo
anche di questo nostro presunto passato dorato.
In Italia fino al metanolo praticamente non esisteva
un’economica enologica. Il consumo pro capite
era sì decisamente maggiore di oggi, ma la qualità
del prodotto era decisamente inferiore. Il famoso
vino contadino nella stragrande maggioranza dei
casi era un prodotto al limite dell’accettabilità. In
cantina avvenivano alchimie alquanto discutibili,
sicuramente non controllate e con forti dubbi
sulla loro salubrità. Senza citare il metanolo,
basterebbe sapere che fino a pochi anni fa le
molecole chimiche usate in vigna erano più di
mille ora sono state ridotte a trecento. Inoltre,
ai controlli per forza maggiore superficiali del
passato oggi i truffatori devono fare i conti con
laboratori di analisi che rintracciano ogni sostanza
lecita e non. A guadagnarci è tutta la filiera del
vino che guarda caso ha incrementato non
solo le esportazioni, ma soprattutto la qualità e
la credibilità internazionale. Infine, ma non meno
importante, il nostro presente e cioè il futuro del
passato ci permette di gustare ogni qualità di vino
proveniente da ogni parte del mondo cosa che
solo qualche decennio fa era solo impossibile.
Certamente nel futuro c’è anche la clonazione dei
nostri vitigni. In Cina sembrano prossimi a copiare
geneticamente i vitigni dell’Amarone, l’allarme
viene dall’autorevole Università di Verona. La
cosa mi lascia indifferente se avremo definita ed
applicata la sacrosante legislazione di tutela dei
prodotti, di tutti i prodotti italiani. Se, insomma,
sulla bottiglia cinese sarà evidenziato che si tratta
di una imitazione io non mi preoccuperei più di
tanto. Quello che conta è il terroir, sono sicuro
che Dio, dopo aver creato i nostri paesaggi ha
distrutto lo stampo. I cinesi prima o poi, sono
convinto, si rassegneranno e cominceranno
a guardare al passato dei Ming con una certa
nostalgia.
”
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 38
Abbiamo incontrato Valerie nel suo
primo giorno di lavoro in Italia, presso la
Fattoria Casato Prime Donne Montalcino
di Donatella Cinelli Colombini, naturalmente
entusiasta dell’esperienza appena iniziata,ma con
le idee ben chiare per il futuro.
Quale è stato lo stimolo per venire in Italia?
Sono una donna che accetta le sfide globali
riguardo sempre al mio campo d’azione che è il
vino in tutte le sue componenti, dalla storia del
vitigno, al terreno, ai sistemi di allevamento fino ad
arrivare al prodotto finito. Voglio sottolineare che
non sono sola in questo progetto, ma siamo in
tre e tutti condividiamo la stessa filosofia che è:
CONOSCERE PER MIGLIORARE.
Perché Montalcino?
Crediamo e credo che ogni regione del mondo
ha nella storia di un vitigno tutta l’essenza
del territorio. Per questo abbiamo focalizzato
Montalcino con il suo Sangiovese grosso
Enologa, complice dell'ultima scommessa di Donatella Cinelli Colombini“ ”
Incontro con Valerie Lavigne
di Nicola Masiello
Valerie Lavigne
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 9
quale massima espressione del Sangiovese
in Toscana.Questa la scelta, da ora in avanti
cercherò di studiare attraverso la conoscenza del
terreno, la conoscenza delle pratiche enologiche
e soprattutto tanti assaggi di vino mirati a capire le
sfumature del vino prodotto da questo vitigno.
I prossimi passi quali saranno?
Saranno quelli di entrare nel sistema “Montalcino”
e questo grazie a Donatella ed al suo staff mi
riuscirà nel migliore dei modi. Fatto questo
studieremo i punti deboli che riscontreremo
e cercheremo di risolvere o migliorare questi
punti. Tutto questo senza cambiare gli usi e le
tradizioni locali,ma cercheremo di contribuire ad
un innalzamento della qualità.
Non si corre il rischio così facendo di globalizzare
il Brunello?
Assolutamente no, il nostro compito è appunto
quello di contribuire al miglioramento dei caratteri
di un vino, abbassando le negatività nel rispetto
del territorio e del vino stesso. Se passasse
un concetto diverso da questo tutto il lavoro
sarebbe inutile, penso solo a tutte le ricerche
fatte in Francia nelle zone storiche dell’enologia,
Alsazia, Bourgogne, Bordeaux solo per citarne
alcune e quelle fatte in altre parti del mondo dalla
Spagna al Portogallo, alla California ed all’Italia.
In ognuna di queste andiamo a studiare prima,
per migliorare dopo, lasciando ad ogni vitigno le
proprie peculiarità.
La curiosità che ci ha destato è tanta,a quando il
primo assaggio?
Non sono in grado al momento di dare una data
certa, ma di sicuro, nel rispetto dei disciplinari
di produzione e delle tradizioni aziendali, faremo
il massimo per essere pronti a questo evento,
quindi la vendemmia 2009 sarà l’annata di lancio
di tutti i vini dell’Azienda.
Alla prima degustazione!!!
Con tantissimo interesse e curiosità.
Valeriè Lavigne è nata a Chateauroux il 29 ottobre 1966,
sposata e madre di due figli. Diplomatasi in enologia nel
1989, continua la specializzazione presso l’Università di
Bordeaux; nel 1991 si specializza in “studio e ricerca”
dove continua la collaborazione di ricercatrice fino al
1996, quando raggiunge il Dottorato in scienze biologiche
e medicinali,con la menzione di “Molto onorevole”.
L’attività di ricercatrice ed enologa consulente la porta
a collaborare dal 1990 ad oggi con il Prof.ri Denis
Debordieu e Christophe Olivier sia a livello tecnico che
pratico in alcune delle cantine più importanti al mondo
quali: Chateaux d’Yquem, Margaux, Cheval Blanc.
La passione per il vino la porta a collaborare anche a
fianco di personaggi eccellenti dell’enologia mondiali quali
Ribereau-Gayon e Glories in oltre 40 conferenze
scientifiche ed in altrettanti manuali di applicazione
delle ricerche effettuate. La ricerca, la voglia di scoprire
e la curiosità la portano a studiare alcuni tra i vitigni più
importanti e conosciuti nel mondo al fine di migliorarne la
qualità tra questi lo Chardonnay, il Sauvignon, il Merlot, i
Cabernet ed il Sangiovese.
In entrambi i comprensori le stelle sono state
quattro. I presidenti dei rispettivi consorzi hanno
commentato positivamente queste valutazioni
effettuate da commissioni miste composte da
Enologi, Sommelier, Degustatori e Produttori.
Facendo una valutazione sull’andamento
climatico dell’annata 2009 (simile nei due territori)
dobbiamo ricordare un Gennaio-Febbraio e
Marzo, molto freddi e piovosi a cui sono seguiti
due mesi asciutti e con temperature sopra i valori
stagionali che hanno favorito la fase vegetativa
forse in modo anche troppo voluminoso. Un
giugno piovoso, ha ristabilito l’equilibrio creando
le condizioni ottimali per il proseguo della fase
vegetativa e produttiva. I mesi di Luglio ed Agosto
molto caldi, hanno garantito la salubrità delle uve
che grazie ad un Settembre alternato fra brevi
piogge e momenti soleggiati, hanno portato
le uve ad una buona maturazione ed in modo
corretto, con graduale accumulo zuccherino
e polifenolico. La vendemmia del sangiovese
si è svolta tra l’ultima settimana di Settembre e
la prima di Ottobre. All’assaggio dei campioni
da botte, si nota un bel punto di colore rosso
violaceo, all’olfatto profumi primari, con floreale e
fruttato, leggermente ridotti e poco netti, al gusto
è caldo, con acidità in evidenza e una tannicità
non molto pronunciata, ma comunque presente
e sufficiente ad affrontare il periodo di affinamento
previsto dal disciplinare di produzione.
La vendemmia 2007
Vino nobile di Montepulciano
La vendemmia 2007 rispetta la valutazione data a
suo tempo dell’annata ed è riconducibile ad una
grande annata. All’assaggio sono vini di qualità
con una generale tendenza al ridotto,ancora poco
propensi ad aprirsi nell’immediato, per mostrare
tutta la potenzialità. Il punto di colore è buono,
con riflessi interessanti dati da una buona
estrazione in fase fermentativa, la limpidezza è
buona (ed accettabile nei campioni da botte),
con punte alte su alcuni campioni con periodo
di bottiglia più lungo. Al naso i profumi sono
Sono state assegnate nei rispettivi territori le stelle all’annata 2009“ ”
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 310
Montepulciano e Montalcino:
assegnate le stelledi Nicola Masiello
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 312
intensi, netti, si evidenziano piacevoli note di
frutta rosa matura tendente alla confettura, il
legno contribuisce ad una speziatura garbata
a cui seguono note minerali e talvolta anche
vegetali,quando il legno domina, attutisce le note
floreali tipiche, penalizzando il vino. Al gusto si
riscontra una buona alcolicità che in alcuni casi
penalizza la freschezza acida dando la sensazione
di un vino corto e poco persistente. Quando
si riesce ad equilibrare l’alcolicità,l’acidità e la
spalla tannica, la piacevolezza sale decisamente.
Questa situazione e più marcata nei vini prodotti
nella parte più alta della zona di produzione e forse
sono dovute anche all’andamento stagionale del
2007.
Gli assaggi più interessanti
Rosso di Montepulciano 2008Podere Le BerneColore netto, deciso, limpido; al naso
intenso con richiami alla frutta rossa matura,
persistente; al gusto leggera disarmonia per
acidità in eccesso, buona la parte di alcol.
Ben predisposto agli abbinamenti territoriali.
Az. Ag. La CiarlanaColore intenso, limpido al naso frutta matura a
bacca rossa molto persistente al gusto molto
caldo con acidità marcata, buon corpo; manca di
equilibrio sicuramente longevo.
Podere SangalloColore rosso rubino, con bei riflessi violacei,
limpido; al naso intenso, fruttato, con note floreali
piacevoli; al gusto caldo, leggermente tannico
con buona acidità.
Nobile 2007Az. Agr. DeiGrande concentrazione cromatica, limpido; al
naso molto intenso, fine con sentori marcati di
frutta rossa, leggera speziatura; al gusto caldo,
di corpo, leggermente tannico, chiude con una
buona acidità.
Az. AvignonesiDi un bel rubino carico, limpido; al naso
piacevolmente floreale di mammolo, frutta matura
e speziatura elegante; al gusto caldo, rotondo,
buona acidità, sapido di piacevole beva.
Az. CannetoDi un bel rosso rubino, limpido al naso intenso,
con richiami di fiori e frutta matura, una leggera
nota speziato gradevole al gusto caldo, rotondo,
con la componente acida presente, lunga
persistenza.
Fassati “Pasiteo”Rosso rubino con riflessi che tendono al granato,
limpido al naso molto intenso e persistente, con
note fruttate piacevoli al gusto caldo, rotondo,
giustamente tannico, sapido buono l’equilibrio.
ContucciRosso rubino, scorrevole, limpido al naso è
intenso, schietto con bella frutta matura rossa
al gusto caldo, leggermente acidulo, buona
tannicità e persistenza un classico per
Montepulciano.
Tenimenti AngeliniRosso rubino, riflesso granato, limpido al naso
intenso persistente, fragrante al gusto caldo,
rotondo, morbido, tannicità in evidenza, sapido.
Nobile 2007 selezione
Poggio alla Sala “Parceto”Rosso rubino carico, limpido al naso molto
intenso, persistente, fragrante, con leggero boisè
al gusto caldo, rotondo, morbido, leggermente
tannico, buona sapidità appena nato, ma già fra
i grandi!!
Anch’io.
Ho scelto il Pinot GrigioSanta Margherita.
Pinot Grigio Alto Adige Impronta del Fondatore 2008 Santa Margherita:vincitore della Gran Medaglia d’Oro al Primo Palio del Pinot Grigio.
Esploratori del GustoScegli uno dei vini della linea Impronta del Fondatore Santa Margherita
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Il Somelier FISAR mm210x297 ok2.1 1 20-04-2010 17:16:02
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 314
Vecchia cantina “Cantina del Redi” Rosso rubino con riflesso aranciato, brillante al
naso intenso, fruttato, richiami floreali piacevoli,
leggermente speziato al gusto rotondo, caldo,
con buona tannicità, equilibratoe lungo al palato.
Nobile 2006 selezione
Fattoria del Cerro “Antica Chiusina”Rosso aranciato con riflessi netti, brillante
al naso è intenso, persistente, frutti a bacca rossa
maturi con note di confettura eleganti, speziato
al gusto caldo, rotondo, morbido, tannini evoluti e
puliti, buona sapidità e persistenza.
Villa S. Anna “Poldo”Rosso rubino con riflessi aranciati, brillante
al naso complesso, intenso con richiami alla
frutta rossa e sottobosco maturi al gusto caldo,
leggermente tannico, buona acidità e sapidità.
Nobile 2006 riservaAz. Agr. CannetoRosso aranciato, brillante al naso intenso,
complesso con note speziate leggere e richiami
balsamici, fragrante al gusto è caldo, rotondo con
acidità bilanciata, giustamente tannico e sapido.
Nobile 2005 selezione
Salcheto “Salco selezione”
Rosso granato con riflessi arancio, limpido,
intenso al naso molto intenso, complesso, con
note minerali e frutta a bacca rossa cotta, boisè
al gusto è strutturato, caldo, rotondo con tannini
evoluti e puliti, sapido e persistente.
Nobile 2005 riserva
Az. Agr. Nottola “Riserva il fattore”Rosso aranciato, limpido al naso è molto intenso,
persistente, con frutta matura e confettura a
bacca rossa, piacevole speziatura al gusto
caldo, rotondo, acidità bilanciata, equilibrato.
La vendemmia 2005
Brunello di Montalcino
Qualità dei vini molto buona, quasi ottima che
riserva delle piacevoli sorprese. Personalmente
ho notato due linee di brunello; la prima da
sangiovese grosso classico con tonalità di colore
non molto intense, i riflessi tendenti all’aranciato,
al naso netti con qualche peccato veniale che
penalizza un po’ la pulizia olfattiva a scapito
della nota floreale; al gusto alcol in dominanza
ben supportato da tannini puliti ma non
completamente evoluti. Acidità presente
e piacevole, dovuta forse alla possibilità di
“ringiovanire o rinfrescare” il brunello con
annate più giovani. Tanto per non destare
inutili supposizioni, detta pratica è prevista dal
disciplinare di produzione. Buona la sapidità.
La seconda linea è quella di un brunello di qualità
alta, tutto preciso e confezionato, senza spunti di
piacevolezza o spunti di durezza evidenti, quasi
lineari nella loro complessità. Sono risultati intensi
nel colore, con riflessi aranciati, limpidi - al naso
profumi netti persistenti, con la frutta rossa di
sottobosco matura, talvolta verso la confettura,
speziati, eleganti. Al gusto, rotondi, equilibrati,
buona acidità, sapidi e persistenti.
Gli assaggi più interessanti
Rosso 2008
BaricciColore rosso rubino, trasparente al naso intenso,
fruttato, leggermente pungente per l‘alcolicità,
al gusto, caldo, tannico, buona acidità vestita,
persistente.
Canalicchio di SopraUn bel rubino con riflessi granati, limpido
al naso complesso fragrante con note di frutta
rossa matura, al gusto, caldo, poco morbido
per accesso di tannino sapido, persistente
non ancora pronto, con grandi potenzialità.
16 Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3
Castello TricerchiRosso rubino carico, intenso al naso complesso
con frutta matura in evidenza ed un floreale
piacevole al gusto molto caldo, di corpo, tannicità
pronunciata in bilanciamento con l’alcol, fresco di
acidità, sapido.
Brunello 2005
Pacenti Franco - Canalicchio Rosso aranciato con riflessi aranciati, limpido
al naso caratteristico sentore di frutta
rossa cotta e di sottobosco matura,
speziatura elegante, non aggressiva, intenso
al gusto caldo, poco morbido per acidità
pronunciata, tannini puliti, sapido e persistente.
Villa i CipressiRosso granato con riflessi aranciati, limpido
al naso netto, persistente, con frutta rossa cotta,
speziato con pepe in evidenza, legno pulito
al gusto molto caldo, rotondo, equilibrato,
giustamente tannico.
Siro PacentiDi colore rosso aranciato, brillante al naso,
complesso con sentori di fruttato piacevoli,
speziatura da botte grande elegante, note
minerali piacevoli al gusto molto caldo, rotondo
con tannino ancora da maturare, sapido, molto
persistente.
LisiniRosso aranciato, limpido al naso molto intenso,
complesso, frutta rossa matura con richiamo
alla prugna cotta, floreale con richiamo alla rosa.
al gusto, caldo, di corpo, morbido, giustamente
tannico.
Castiglion del BoscoRosso granato con riflessi aranciati, limpido
al naso, complesso intenso, persistente con
piacevole note di frutta rossa cotta, legno pulito
al gusto molto caldo, rotondo, di corpo,
leggermente spigoloso per tannicità pronunciata,
sapido.
Val di SugaRosso aranciato, brillante al naso intenso,
schietto, fruttato, floreale con speziatura elegante
al gusto, caldo, rotondo di corpo, equilibrato,
giustamente tannico.
BanfiColore rosso granato con riflessi aranciati, limpido
al naso, poco intenso, fruttato con note di
confettura matura, richiami minerali, leggermente
ridotto al gusto, caldo, di corpo, schietto,
leggermente tannico, con acidità presente.
CastelgiocondoRosso granato con riflessi aranciati, limpido
al naso, intenso complesso, fruttato con note
speziate leggermente pungenti, persistente
al gusto molto caldo, rotondo, schietto e
persistente.
La PoderinaRosso granato, intenso, limpido al naso,
complesso, schietto, con piacevole speziatura
dolce e frutta rossa cotta, leggere note floreali
al gusto, molto caldo, morbido, giustamente
tannico, persistente, sapido.
Brunello 2004 riserva
TalentiRosso aranciato, brillante al naso, complesso,
intenso, fine nelle note balsamiche e minerali
accompagnate da una bella fragranza al gusto
molto caldo, strutturato, rotondo, giustamente
tannico, molto persistente.
Sasso di SoleRosso aranciato, brillante al naso,
complesso, intenso con ciliegia e prugna
cotta in evidenza, boisè, persistente
al gusto, caldo, strutturato, equilibrato con acidità
vestita e tannicità in equilibrio, molto persistente,
sapido.
Il PoggioneRosso granato scarico con riflessi aranciati,
brillante al naso, intenso, persistente con note
speziate dolci, note di sottobosco cotte, leggera
mineralità al gusto, molto caldo, equilibrato,
giustamente tannico, molto persistente.
Poggio Antico Rosso aranciato, con riflessi sempre arancio,
brillante al naso, molto intenso, persistente,
fragrante, con note boisè piacevoli e pulite
al gusto molto caldo, strutturato, rotondo, tannicità
elegante e piacevole.
Moscadello di Montalcino
Villa Poggio SalviColore giallo dorato carico, limpido al naso,
complesso, molto intenso, floreale di fiori bianchi,
frutta gialla matura, mieloso al gusto molto
caldo, pastoso, dolce, con acidità vestita, molto
equilibrato, persistente.
Tenute Silvio NardiColore giallo dorato carico, molto limpido
al naso molto intenso, molto fine, molto schietto,
con frutta gialla matura, in evidenza l’albicocca
e fiori bianchi, note balsamiche molto piacevoli
al gusto, robusto, caldo, pastoso, sapido, dolce
con buona aciditàì, molto persistente, una vera
chicca come si dice in Toscana.
Valdobbiadene,3-6 settembre 2010
www.brindalavita.it
Comune di Valdobbiadene
in collaborazione con:
Tuttavia, l’India, e non solo quella rurale,
conserva alcuni rituali legati al cibo e alla
coppia o alla famiglia da offrire spunti per
numerose riflessioni.
Un subcontinente con più di un miliardo di abitanti
e una grande varietà di climi; varie etnie con
diverse abitudini alimentari. Eppure vi sono delle
caratteristiche che accomunano larga parte degli
indiani.
Il 60 % di loro è vegetariano, da molte
generazioni.
Le spezie sono una prerogativa di tutti i pasti
indiani: se un ingrediente viene servito “al
naturale”, gli indiani sicuramente lo ravvivano con
uno dei numerosi intingoli, chutney o curry che
danno calore e colore ad ogni tavola.
Un’altra caratteristica infatti è il colore, anzi, i colori.
Così come i meravigliosi, luminosi
sari, nel bel portamento delle
donne indiane riempiono di
gioia, allo stesso modo
vedere i piatti indiani
gratifica l’occhio
ancora prima del
palato. Spesso
servito in numerosi
piattini separati, il pasto propone una gamma di
colori allettante ed appetitosa. Il riso è presente
spesso, ma lo è anche la pasta, e non manca mai
il dhal, un piatto preparato con una delle decine di
varietà di lenticchie.
Anche se in India ci sono sicuramente territori
molto adatti alla viticoltura, questa è per ora poco
diffusa, così come è pochissimo diffuso il consumo
del vino. Lo è un poco di più la birra, mentre il
consumo di superalcolici costituisce davvero
l’eccezione. Il caffè, nelle famiglie, è bevuto poco
o per nulla, mentre il tè è una consuetudine
quotidiana, riservata però agli adulti.
Caposaldo della famiglia
In India, come forse in nessun altro paese,
persistono innumerevoli tradizioni. Tradizioni che
riguardano il cibo, e tradizioni che riguardano la vita
familiare, sia quella quotidiana sia quella
delle feste. Le une e le altre sono
indissolubilmente legate tra
loro. Qualcuno potrebbe
considerare il perdurare
di molte tradizioni
come una forma di
superstizione. Gli
indiani infatti a volte
India: tradizioni a tavola
e in famiglia
Sicuramente in tutto il mondo, vi sono molte tradizioni che vengono tuttora osservate, specie nei giorni di festa,
per sentire la famiglia unita“”
di Gudrun Dalla Via
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 318
le migliori bollicineemiliane
Tenuta Farnè S.r.l. - Sede produttiva Castello di Serravalle (Bo) - Sede logistica Nord Italia Portogruaro (Ve) Tel. 0421 770619 - Fax 0421 770112 - E-Mail: [email protected] - http://www.tenutafarne.it
dicono “Lo facciamo perché siamo convinti che
il non farlo porterebbe disgrazia per i nostri figli,
e sarebbe davvero l’ultima cosa che vorremmo”.
Gesti scaramantici dunque? Forse, ma a guardar
bene costituiscono proprio il cemento per l’armonia
familiare e danno certezze e serenità a grandi e
piccoli. Gesti non necessariamente legati ad un
credo religioso (anche se la spiritualità si respira
ovunque, in India – è una presenza davvero forte),
ma a rituali, legati a precisi momenti del mese,
dell’anno o della vita.
Ecco alcuni esempi.
Plenilunio – Nei giorni intorno al plenilunio è
la padrona di casa a cucinare, anche se è di
famiglia molto agiata e dispone di tanta servitù
da delegare normalmente questo compito. In
questa consuetudine si possono trovare diversi
spunti, magari anche per il mondo femminile
occidentale.
Tutte le ragazze indiane, di ogni ceto sociale,
imparano a cucinare. Già le bambine piccole si
ammoniscono spesso, curiosamente non tanto
con la prospettiva di dover accudire in futuro alla
loro famiglia, ma… alla figura che farebbero con
la potenziale futura suocera quando questa verrà
a fare visita alla
famiglia con la quale intende imparentarsi. Ed in
quella occasione è la futura sposa ad esibire le
sue capacità culinarie.
Oggi non c’è più il costume di fidanzare i propri
figli quando sono ancora bambini. Tuttavia, le
famiglie, soprattutto fuori dalle grandi città, hanno
tuttora un forte ruolo nel proporre, nel suggerire
il futuro sposo alla sposa, dopo aver raccolto
informazioni, scambiato opinioni ecc.
Ma… anche i maschi imparano a cucinare!
Nei giorni del mestruo la donna indiana deve,
secondo la tradizione, riposare. Quindi sarà il
marito a provvedere a mensa e cucina.
Poi ci sono delle ricorrenze legate alle stagioni. Per
esempio, per la festa della primavera, la moglie
dedica molta attenzione alla cucina; tuttavia
digiuna tutto il giorno, fino al rientro del marito.
Allora sarà lui ad imboccarla amorevolmente,
secondo una sequenza ben stabilita, iniziando
con l’acqua. È facile intuire come questi teneri
gesti, ripetuti con ritualità e devozione, rafforzino il
legame coniugale e siano di esempio anche per
la prole.
Le nozze poi sono occasione per grandi
feste che si protraggono per giorni e giorni,
consumando pasti in compagnia passando per
le case di tutti i parenti. Poi la giovane coppia
compie un pellegrinaggio in diversi templi prima
di “consumare” le nozze.
L’India non conosce fine settimana; in compenso
vi è un grande numero di feste, durante tutto
l’anno. Molte di queste feste sono di origine
religiosa: indù, buddhista, javaista, musulmana
o cristiana. Gli appartenenti alle varie religioni
convivono così pacificamente che… le feste
diventano comunitarie, interreligiose, così come
lo diventa il consumare il cibo insieme, nel pieno
rispetto delle rispettive usanze dietetiche. L’indù
per esempio non consuma carne di manzo (salvo
pochissime, precise eccezioni); il musulmano
non mangia maiale. Eppure nei pasti delle feste e
cerimonie, si trovano le soluzioni per accontentare
gusti ed esigenze di tutti.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 320
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 21
Le strade della Finlandia corrono per la
maggior parte tra due ali di foreste che di
tanto in tanto si aprono su ampie distese
d’acqua e, anche se ovviamente l’andatura non è
quella dell’autostrada, a volte può passare anche
mezz’ora prima di incrociare un’altra macchina o
intravedere una casa o un villaggio. Un paesaggio
incontaminato dove crescono molti frutti che
vengono poi utilizzati per fare il “vino” finlandese.
Una regione particolarmente vocata per questa
produzione è quella dei Mille Laghi con il lago
Saimaa che è il più grande della Finlandia.
Il Paese dei mille laghi
La caratteristica connotazione del territorio finlandese è il risultato del lavoro del tempo che da un’immensa area ghiacciata ha fatto
nascere migliaia di laghi, fiumi e ruscelli in un verde paesaggio da fiaba“
”
di Enza Bettelli
Attualmente sono in attività una cinquantina di
aziende che producono il vino con vari tipi di frutti
spontanei e altri coltivati in modo assolutamente
naturale nei grandi spazi annessi alle fattorie.
Questo vino può essere venduto direttamente dai
produttori perché ha un grado alcolico massimo
di 13 gradi, mentre i vini con gradazione superiore
e i superalcolici sono venduti solo nei negozi di
proprietà dello Stato che ha il monopolio sulle
bevande alcoliche. Presso le aziende munite
di regolare licenza è possibile inoltre fare
degustazioni accompagnate da uno spuntino di
prodotti locali.
Una volta era proibito produrre vino casalingo
e la gente andava quindi di notte nelle foreste
per lavorare le bacche e poter così disporre di
qualche bottiglia per la famiglia. Col tempo, e
chiedendo la necessaria licenza governativa,
il vino viene prodotto con tecniche moderne
che tuttavia non si discostano molto da quelle
tradizionali. La frutta, soprattutto ribes e mele,
viene sottoposta a una congelazione preventiva
e, una volta estratto il succo, vi si aggiungono
zucchero e l’acqua purissima presa da fiumi
e torrenti, quindi si aggiunge anche il lievito e
si lascia fermentare in grandi vasche di acciaio
e al momento opportuno il vino viene filtrato e
imbottigliato. A questo punto le bottiglie vengono
trasferite in cantina in attesa della vendita. Questi
vini hanno raggiunto un livello di qualità davvero
significativo e sempre più spesso, con una
degustazione alla cieca, vengono scambiati per
vino di uva. È stato possibile arrivare a questo
grazie alla instaurazione in Finlandia di un sistema
di controllo che stabilisce standard di qualità per
colore, profumo e sapore dei vini di bacche e di
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 322
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 324
frutta, con un contrassegno speciale per i prodotti
che rispettano questi standard. Il vino finlandese si
beve ai pasti, al naturale o diluito con acqua, ma è
anche un eccellente aperitivo e in stagione viene
servito con le profumatissime fragole locali da
intingere nella densa e burrosa panna di giornata.
C’è anche la birra
La birra in Finlandia si produce da sempre, una
volta con il luppolo che cresceva spontaneo
nelle foreste, ora anche con quello coltivato
appositamente. Sono molti gli eventi dedicati a
questa bevanda ed è molto diffusa la moda delle
birrerie che mettono a disposizione degli avventori
la birra della casa assieme ad altre artigianali e
industriali, servite con semplici spuntini o a tutto
pasto. La birra viene spesso bevuta nei caratteristici
boccali di ceramica e ai Finlandesi piace gustarla
anche all’aperto, nei locali che si affacciano di solito
sugli specchi d’acqua. Soprattutto nella regione
di Saimaa lungo le sponde intorno allo stupendo
castello medioevale di Olavinlinna, sede agli inizi
di agosto di un famosissimo festival internazionale
di musica. La birra e il vino di bacche e di frutta
accompagnano molto bene la cucina del territorio,
ancora molto naturale grazie ai prodotti locali che
crescono in ambiente incontaminato. Molto pesce
di acqua dolce, ovviamente, ma anche selvaggina
di varie dimensioni, dall’anatra selvatica all’orso,
oltre ai prodotti della foresta, dai funghi alle bacche
che compaiono in tavola già alla mattina per la
tradizionale e sostanziosa prima colazione con
salmone, aringhe, salsicce e pancetta. Questo
è un pasto importante e in molte strutture per
vacanza è possibile ordinare la prima colazione,
che verrà consegnata all’ora prestabilita presso il
proprio cottage, e gustarsela sulla terrazza vista
lago.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 25
Il Cile è l’unico pease produttore di vino che
è stato risparmiato dalla peste distruttiva della
fillossera, un insetto del vino che per 40 anni ha
devastato le vigne europee trapiantate in tutto il
mondo: partendo dal Rodano francese nel 1863,
per arrivare fino in Algeria, agli inizi del ventesimo
secolo.
Oggi il Cile gode del sostegno e della solidarietà
dell’intero mondo a causa del recente terremoto
accompagnato da uno tsunami nello scorso
febbraio. La natura toglie, la natura dà: allora
perché non fare un brindisi con un buon vino
cileno per tutte le numerose vittime cilene?
Grazie alle uve francesi coltivate in Cile, oggi
abbiamo la fortuna di gustare un vino non per
forza fatto di uve americane, le sole graziate dal
parassita devastatore, come la varietà brasiliana
Isabel, con una percentuale di alcohol del
10,5%.
Le uve cilene sono fortunatamente vissute
indistrubate grazie alla protezione di due deserti,
delle Ande e dell’Oceano Pacifico: la medesima
natura che, come sappiamo, può provocare
anche tanti morti.
Quando fu poi possibile ritrapiantare la vite
francese in Europa grazie alle tecniche del
portoghese Joaquim Pinheiro de Azevedo Leite
Pereira, le uve erano quasi introvabili, soprattutto
le varietà Cabernet Sauvignon, Merlot e altre uve
di Bordeaux. In quel preciso momento storico,
le viti delle colline cilene, vive a riparo da tutto,
acquistarono una fondamentale importanza.
Il vino del Cile non esiste però solo nella storia. Il
paese non è più solo rappresentato dalle riserve
di rame, dalle riforme di Allende, dal sanguinario
capitolo di Pinochet. Il Cile è un produttore di vino
con la P maiuscola, il paese in cui vengono prodotti
vini fra i migliori del pianeta, secondo i critici e
anche secondo il mercato nordamericano.
Il Cabernet Sauvignon ad esempio ha sposato a
pieno i gusti degli americani, che lo trovano un
vino dalla buona consistenza, facile da gustare e
soprattutto a buon prezzo.
Il Cile è il secondo, dopo l’Australia, esportatore di
Vino Cileno
Quando si stappa una bottiglia di vino cileno, occorre ringraziare il Cile e l’amore che i cileni hanno per il vino:
tradizione che ha inizio nei primi del Novecento“
”
di Breno Raigorodosky
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 326
vino del “Nuovo Mondo” e con l’Almavida e il Don
Melchor è entrato nell’immaginario comune degli
appassionati come un buon vino, ma si è anche
inserito nella lista dei 100 migliori vini del pianeta.
Sulla scia del Cabernet Sauvignon, brillano
anche i Bordolesi, le varietà di Merlot, di Syrah e
infine il Carmenère, spesso erroneamente preso
per Merlot, che a partire dagli anni 70 divenne
il simbolo delle uve native cilene, proprio perché
non fu riprodotto in Europa.
La Aconchagua Valley è ritenuta dal “Wine
Spectator” la migliore “Via del Vino” del continente
e la più attrezzata del mondo, smitizzando un po’
i rinomati itinerari francesi, italiani e spagnoli. Nella
Aconchagua, come in altre valli, la primavera del
2009 è stata caratterizzata da fredde notti;
El Niño sembra rivelarsi ancora una volta il
responsabile dell’instabilità termica, che ha portato
un’estate molto più calda del normale, oltre i 30 °
C, ma ha anche dato vita a vere e proprie gelate
nelle ultime settimane dell’anno. I bruschi sbalzi
che vanno dai 30°C ai 2 °C in pochi giorni hanno
causato la perdita di oltre il 10% del raccolto.
In ogni caso, il 2009 non può certo dirsi un anno
cattivo per il vino, la riduzione di produzione può
essere assorbita da un lieve aumento dei prezzi,
un incremento più che accettabile per il mercato...
anche se la Nuova Zelanda sta guidando tutti
nella direzione del vino più economico.
La storia della cucina veneta è molto antica, essa appartiene alla storia stessa dell’uomo e della sua cultura e si intreccia con quella
dell’arte, della poesia, del teatro, della musica e persino della religione. La cucina veneta, sebbene abbia origini rustiche, si presenta oggi con un ricettario molto vasto e variegato. Un gran contributo al cambiamento è stato dato dai traffici dei mercanti che durante lo splendido periodo dominato dalla Repubblica della Serenissima hanno percorso con lunghi viaggi l’intero Oriente portando in laguna il sale, il pepe, lo zenzero e perfino lo zafferano: spezie conosciute che hanno
fatto la felicità dei cuochi veneti per la preparazione di piatti unici. Oggi si può ben dire che dopo diversi secoli la cucina veneta ha trovato il giusto amalgama per regalare al palato dei gourmet una cucina unica nel suo genere, espressione di una sintesi dell’incontro avvenuto tra i sapori semplici dei contadini e le raffinatezze della nobiltà. Per il turista enogastronomico, mangiare in Veneto significa innanzitutto gustare il pesce dell’Adriatico, pescato in gran quantità e portato principalmente nel mercato di Chioggia per essere poi trasferito alle tavole dei migliori ristoranti. Avere dunque tanto pesce significa avere grandi variazioni
Il Veneto: una storia enogastronomicadi eccellenza
Oggi si può ben dire che dopo diversi secoli la cucina veneta ha trovato il giusto amalgama per regalare al palato
dei gourmet una cucina unica nel suo genere“
”
Vigneti in Valdobbiadene
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 27
di Saverio Scarpino
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 328
gastronomiche con granchi, polipi, capesante, seppie e la speciale granceola che da sola diventa un prelibato antipasto, e sebbene sia un piatto raffinato è molto semplice nella preparazione e non manca mai nei menu veneziani. Continuando col pesce non si può fare a meno di menzionare un altro famoso antipasto, tipicamente marinaresco: le “Sarde in saor” ovvero le sarde marinate in cui l’ingrediente base è la cipolla. Passando ai primi piatti della cucina veneta si deve assolutamente parlare dei “bigoi”: spaghettoni rugosi che sono generalmente preparati in salsa oppure con l’anatra. I bigoi, introdotti dalla Cina da Marco Polo tra il XIII e XIV secolo, continuano ad essere fatti a mano con farina e uova, secondo l’antica tradizione. Altro piatto famoso, che veniva offerto al Doge il 25 di aprile in occasione della festa di San Marco, Patrono della città lagunare, è un primo di riso: “risi e bisi”. E’ un piatto diffuso in tutta la regione perché contiene il riso e i piselli delle colture venete. Per quanto riguarda invece i secondi piatti della cucina veneta, il fritto misto è ormai un classico, ma il baccalà è sicuramente quello più rappresentativo. Il Baccalà, giunto in veneto nell’alto medio evo con i mercanti dal Nord Europa, viene cucinato in vari modi ma quelli più
conosciuti e ricercati dai gastronauti sono alla
vicentina e mantecato. Genericamente il nome
baccalà indica il merluzzo ed è presente sia in
forma salata che essiccato (stoccafisso). Ma se
la cucina veneziana si basa prevalentemente sulla
valorizzazione del pesce dell’Adriatico, quella
dell’entroterra è più variegata ed è orientata alla
valorizzazione del riso e della polenta. Anche il
riso trova nel Veneto svariate modalità per essere
preparato: con verdure come le zucchine, i cavoli,
gli asparagi, i piselli e i cavolfiori oppure con la
carne d’anatra, con l’anguilla o con la tinca del
lago di Garda. La polenta, invece, è spesso
proposta come piatto unico, insieme con
un’adeguata farcitura di carni particolari come gli
“osei” che dopo essere stati insaporiti con lardo e
salvia e conditi con olio d’oliva completano la
cottura con una rosolatura a fuoco lento. Ma la
cucina tipica veneta non finisce qui, tra le altre
portate che si possono, a pieno titolo, ancora
menzionare ci sono i secondi piatti di cacciagione:
la faraona con la salsa “peverada” – il nome deriva
dal pevere (pepe) che ne costituisce l’ingrediente
principale, la gallina padovana, razza a petto
largo, famosa in tutto il mondo, la trippa alla
trevigiana e svariati preparati con carni di maiale e
di manzo. Il Veneto è anche grande scuola di
carni conservate: salami, salsicce e prosciutti.
Eccellenti sono le luganeghe e la soppressa
vicentina. Molto interessante è la tavolozza dei
formaggi proposta dalla cucina veneta. L’arte
casearia, di primaria importanza, e gli straordinari
vini, rappresentativi in tutto il territorio veneto, dal
Garda alle Dolomiti, consolidano quel
riconoscimento generale sulla bontà delle
specialità tipiche della cucina veneta. Quasi tutti i
settori dell’alimentazione, in questi ultimi anni di
grande competività dei mercati, si sono
riorganizzati e hanno istituito specifici disciplinari
di produzione consentendo l’inserimento di molte
tipicità sia negli elenchi delle denominazioni
d’origine sia in quelle delle indicazioni geografiche.
Volendo invece dare anche una valutazione
Bigoi in salsa
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 29
quantitativa sull’istituzione delle tipicità nella cucina veneta di questi ultimi decenni, il settore agroalimentare annovera ben 12 prodotti DOP e 9 IGP, così distinti: 9 nei formaggi, 5 negli ortaggi, 2 nella frutta, 2 nell’olio, e 2 nelle carni trasformate. Sono numeri significativi che da soli ci danno l’idea della straordinarietà di un settore enogastronomico particolarmente sviluppato e curato nei minimi particolari. Un altro grande contributo alla valorizzazione della cucina veneta è dato dal “vigneto veneto” con una produzione di vini straordinari capaci di continuare a destare interesse a consistenti masse di turisti enogastronomici che in ogni periodo dell’anno, per il bene anche del conto economico regionale, attraversano in lungo e in largo questi territori con l’obiettivo primario di scoprire il senso intimo dei luoghi, dei prodotti e della cultura che li circonda. Non a caso abbiamo parlato di “vigneto veneto” perché questo angolo del nord-est italiano è proprio così, tutto così, tutto un vigneto. Il Veneto è la regione italiana che più di ogni altra è stata “baciata” dalla natura. La sua conformazione geografica è molto interessante proprio per il suo carattere variegato che nella stessa regione comprende pianura, collina, montagna e laghi che occupano tre fasce ben distinte da nord a sud. Veneto e Vinum è un binomio che vive in perfetta simbiosi da tempi immemorabili. E non poteva essere diversamente, visto che le prime barbatelle di vitis vinifera si riscontrarono in questi territori già diversi millenni addietro, ormai remoto passato. Da allora molte cose sono cambiate. Si è coltivata la vite in ogni angolo del Veneto sfruttando al meglio le qualità dei terreni con impianti di vitigni ad essi più congeniali. Sono stati valorizzati i vitigni autoctoni ed impiantati altri, i cosiddetti vitigni internazionali. Gran parte del territorio della regione è dunque ad alta vocazione vinicola. Su circa 80.000 ettari di superficie coltivata, ben 25.000 sono le aziende agricole iscritte all’albo dei vigneti di vini a denominazione di origine per una produzione mediamente di
circa 9 milioni di ettolitri di vino di cui 2 milioni nelle
zone DOC e DOCG. Il Veneto è quindi
oggettivamente una delle regioni più significative
dell’enologia italiana. Questo è un segno evidente
di una volontà sinergica regionale che mira
costantemente alla crescita di una produzione di
alta qualità, ottenuta grazie all’armonizzazione
delle peculiarità del territorio ed alla valorizzazione
delle varietà autoctone tra le quali spiccano i
vitigni: Raboso, Corvina, Rondinella, Prosecco,
Garganega, Vespaiola e Verdisio) e al
miglioramento dei vitigni internazionali come il
Merlot, il Cabernet, Il Sauvignon, Il Pinot, il Riesling.
Oggi la Regione Veneto vanta 3DOCG, 22 DOC
e 9 IGT. I vini sono molto diversificati e
rappresentativi dei terroir dell’intera regione.
Troviamo, infatti, nella parte occidentale, la zona
del Bardolino, con terreno collinare, sciolto e
Polenta e Osei
spesso ciottoloso nello straordinario scenario del
Lago di Garda. Al confine con il
comprensorio del Lago di Garda troviamo la
Valpolicella, caratterizzata dalla produzione di uve
provenienti principalmente dai vitigni Corvina
veronese, Rondinella, Molinara, simili a quelli del
Bardolino, ma con una muscolatura più
pronunciata in virtù del terroir che, oltre agli influssi
climatici lacustri, beneficia dell’ambiente
pedemontano della Lessinia. I vini prodotti in
questo comprensorio si distinguono, con le
dovute sottodenominazioni di classico e
Superiore, in Valpolicella, Recioto e Amarone
della Valpolicella. A seguire in direzione da ovest
verso est, dopo la Valpolicella, sempre in provincia
di Verona, troviamo la zona del Soave. Questo
territorio è vocato principalmente alla produzione
di grandi vini bianchi, e comprende tredici comuni
incluso quello di Soave da cui il vino prende il
nome. A Nord della zona del Soave troviamo la
Lessinia, ovvero il comprensorio del Durello dei
Monti Lessini. La denominazione “Lessini Durello”
è riservata ai vini ottenuti con l’utilizzo di uve
Durello, coltivate soltanto in queste zone delle
province di Verona e Vicenza. Adiacente alla zona
del Soave troviamo il comprensorio di Gambellara
che comprende quattro comuni della provincia di
Vicenza. Procedendo verso il centro del Veneto
troviamo i Colli Euganei dove la produzione dei
vini non è fatta soltanto con i vitigni autoctoni
come il Garganega, il Tocai Friulano e il Moscato,
ma anche con uvaggi di vitigni internazionali
(Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc,
Chardonnay e Pinot). Spostandoci infine verso la
parte più orientale della regione, troviamo
l’eccellenza vinicola assoluta del Veneto: il
Prosecco. L’area di produzione del Prosecco si
estende sulla fascia collinare della provincia di
Treviso, detta anche Marca Trevigiana, e oltre a
Conegliano e Valdobiadene, comprende anche i
comuni di Vittorio Veneto, Pieve di Soligo e Vidor.
Il Prosecco prodotto con uve provenienti dalla
frazione S.Pietro di Barbozza è denominato
Cartizze con diritto anche alla sottodenominazione
“Superiore di Cartizze”. Quando parliamo del
Cartize sicuramente identifichiamo il vino bianco
più famoso in Veneto e forse anche in Italia. Ormai
tutto il bacino enogastronomico del Veneto è in
continua evoluzione e sicuramente, anche nei
prossimi anni, continuerà a destare curiosità e
sorpresa: ingredienti essenziali per donare gioia a
tutti gli eno-gastronauti.
VistidaVicino
a cura della redazione di
A dicembre 2007 presso il castello Generale Cantore di Aosta, sede della prestigiosa scuola militare alpina, è stato presentato un nuovo marchio sul panorama enologico valdostano:
Quatremillemètres Vins d’Altitude. Espressione della sinergia tra tre storiche cantine valdostane: Coopérative de l’Enfer, Cave du Vin Blanc de Morgex et La Salle e Crotta di Vegneron, consociatesi per produrre vini spumanti realizzati con Metodo Classico, Italiano ed Ancestrale, con sede presso lo stabile della Co-Enfer ad Arvier. Non si tratta di una fusione delle tre cooperative ma di una joint venture volta a far crescere l’offerta commerciale al fine di individuare nuovi sbocchi di mercato. Con l’obiettivo di coordinare la produzione delle tre aziende, ridurre i costi di gestione sul lungo termine, integrare la commercializzazione evitando inutili concorrenze Quatremillemètres ha come principale scopo il mantenimento della redditività dei 65 ettari coltivati sulle tre zone. L’orgoglio di una storia enologica antica, la consapevolezza e la responsabilità di gestire un patrimonio viticolo unico sul panorama enologico europeo per la sua bellezza e fragilità, ha spinto i presidenti
delle tre cooperative a trovare una base comune di lavoro che verrà scritta e costruita nei prossimi anni non a caso ad Arvier. A marchio Quatremillemètres Vins d’Altitude vengono prodotti e commercializzati i seguenti vini spumanti: Fripon, Refrain, Ancestrale, Caronte, 4478, Cuvée des Guides; “bollicine” di montagna”, i cui vigneti crescono ad un’altitudine compresa tra i 650 metri s.l.m. e i 1225 metri s.l.m. L’ultimo nato “La Cuvée des Guides” è prodotto nella cantina presso il Rifugio Franco Monzino a 2590 m di quota in Val Veny.
Quatremillemètres Vins d’Altitude
Quatremillemètres Vins d’Altitude scarlVia Corrado Gex, 52 - 11011 Arvier (AO)
Tel. 0165 929805 - Fax 0165 929808 - www.4000metres.net
Sarà un caso, ma le prime giornate
tiepide di questa primavera viennese
che tardava ad arrivare sono coincise
proprio con l’arrivo in città di 20 viticoltori del
Lazio che, nel contesto di una manifestazione
promossa dall’Arsial (Agenzia Regionale per
lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del
Lazio), hanno potuto presentare al pubblico
viennese i vini della propria regione, qui ancora
poco conosciuta.
La manifestazione – tenutasi il 18 marzo nella
cornice di Palais Coburg, uno dei palazzi più
eleganti della capitale austriaca – porta il nome
intrigante di “I castelli di Bacco” e si trova alla
sua seconda edizione. Come spiega il critico ed
enologo Ian D’Agata, che ha guidato le degustazioni:
“L’idea da cui è nata questa manifestazione è quella
di fare conoscere il Lazio e i suoi vini più tipici a
mercati importanti ed emergenti”. Quest’anno, oltre
che a Vienna, i viticoltori hanno fatto tappa anche a
Stoccolma e Londra.
Che il Lazio sia un grande produttore di vino, è noto:
la regione fornisce circa il 5% del prodotto nazionale e
possiede ben 26 zone D.O.C.
Meno nota è l’evoluzione che la viticoltura della
regione sta subendo da dieci anni a questa parte: da
una produzione mirata soprattutto alla quantità ad una
viticoltura di qualità, che cerca di esprimere nei suoi vini
I vini del Lazio si presentano
a Vienna
Che il Lazio sia un grande produttore di vino, è noto:la regione fornisce circa il 5% del prodotto nazionale
e possiede ben 26 zone D.O.C.“di Maria Luisa Doldi
32
”
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3
le peculiarità del territorio e le potenzialità dei suoi
vitigni.
Terra capace di dare grandi vini anche da vitigni
internazionali – ad esempio i Cabernet e Merlot
della zona di Atina (Frosinone) - sono però i tanti
vitigni autoctoni che fanno della regione un piccolo
gioiello nel vasto panorama enologico italiano.
Tra i rossi si citi ad esempio il Cesanese, diffuso
soprattutto intorno ai comuni di Olevano, Affile
e Piglio, al confine tra la provincia di Roma e
di Frosinone. Si tratta di un vitigno difficile – in
vigneto sensibile alla Peronospora, in cantina
arduo da domare nei tannini – ma se il viticoltore
riesce ad assecondarlo, allora è in grado di dare
vini dai tipici sentori fruttati di lampone e bacche
di bosco, ben adatti anche per “monologhi” da
selezione e invecchiamento. Su questo vitigno vi
è ancora molto da sperimentare e da scoprire,
ma già oggi esso rivela di avere grossi potenziali.
Secondo Ian D’Agata sarà “un hot spot della
viticoltura italiana dei prossimi anni”.
Tra i bianchi, degni di nota sono i vitigni Passerina,
Moscato di Terracina, Malvasia del Lazio (o
puntinata), Bellone, Bombino, Trebbiano giallo. Gli
ultimi quattro in particolare sono vitigni complessi,
sensibili alle malattie e di basse rese, ma in grado
di dare uve di alta qualità e grande aromaticità.
Sono proprio queste uve che, in concerto, danno
origine ai Frascati migliori, vini cioè di corpo,
carattere e spiccato aroma.
I vini del Lazio prodotti da uve native locali aprono
un universo di aromi e sentori completamente
nuovo, diverso da quello a cui ci ha abituato il
mercato internazionale, o da quello più riservato
e spigoloso degli autoctoni austriaci, ma proprio
per questo ancora più affascinante.
Per un pubblico straniero, che quando sente Italia
capisce Toscana e Piemonte, i vini del Lazio sono
stati una vera e propria rivelazione.
L’entusiasmo non si è manifestato solo per la
novità sensoriale e la forte espressione territoriale
di questi vini, ma anche per il loro ottimo rapporto
prezzo/qualità, anche questo un aspetto non
secondario.
Palais Coburg di Vienna
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 33
CAMBRAGO e il Soave D.O.C Classico“I Cèrceni”È un’azienda giovane ma determinata ad affermarsi nel mondo vinicolo di qualità. E di qualità ce n’è tanta nei loro vigneti posti su terreni di origine vulcanica a Costeggiola, nei pressi di Soave, ben esposti al sole e particolarmente vocati per la coltivazione di uve pregiate che permettono di ottenere vini qualitativamente superiori: dal Recioto di Soave al Soave Classico, dal Soave Superiore DOCG al Brut di Soave fino ad un Vino Rosso del Veronese, tutti ottenuti da vitigni autoctoni. Il terreno vulcanico
trasmette a questi vini caratteristiche organolettiche di eccellenza, finezza ed eleganza. Da una particolare zona coltivata a garganega viene ricavato il Soave d.o.c. Classico “I Cèrceni”. Dopo un’accurata raccolta tardiva, effettuata completamente a mano, l’uva garganega dei “Cèrceni”, viene lavorata con
una pressatura soffice e lasciata fermentare a temperatura controllata. L’imbottigliamento viene effettuato dopo 6 mesi e l’affinamento (3 mesi) in bottiglia rende il vino pronto per essere degustato al meglio. Ricco di profumi e caratterizzato da un elegante retrogusto di mandorla che lo rende ottimo con tutta la grande cucina internazionale, va servito alla temperatura di 10°C e si abbina elegantemente soprattutto con i grandi piatti a base di pesce e le carni bianche. Recentemente è stato premiato con la Medaglia di Bronzo nel Decanter World Wine Awards 2009.
Casa Vinicola Cambrago S.r.l - www.cambrago.it
CECCHI presenta COEVOCoevo è un vino, pensato, sentito e tanto desiderato da Andrea e Cesare Cecchi. “Volevamo dare un forte segnale di svolta
alla nostra più che centenaria storia enologica, - dice Cesare Cecchi - Creare un momento che fosse sintesi del nostro
passato, memoria della nostra tradizione, testimonianza del
nostro territorio, riferimento per il presente ma soprattutto per
il futuro”. L’annata è il 2006. L’uvaggio è composto da quattro vitigni provenienti da zone diverse della Toscana. La percentuale più alta è di Sangiovese per determinarne il carattere. Vitigno che insieme al Cabernet Sauvignon proviene dalla sede storica di Castellina in Chianti. Gli altri due vitigni sono Petit Verdot e Merlot dai vigneti della tenuta di famiglia in Maremma, Val delle Rose. La filosofia con cui nasce questo vino è semplice e chiara: il
le notizie di enogastronomia e turismo
IL CIPRESSO UN VALCALEPIO DA MEDAGLIA D’OROPoco più di quattro ettari di vigneto sulle soleggiate colline di
Scanzorosciate (il Comune alle porte di Bergamo celebre per il
suo splendido vino passito, il Moscato di Scanzo Docg): l’azienda
agricola “Il Cipresso”
si caratterizza per una
produzione limitata di
alta qualità. «In totale
- afferma la titolare
Angelica Cuni (nella
foto insieme al marito
Alfonso Esposito)
- siamo intorno alle
15-16 mila bottiglie
tra Valcalepio bianco
Doc, Valcalepio rosso Doc, Valcalepio rosso Riserva Doc
e Moscato di Scanzo Docg. Facciamo poche bottiglie ma
le vogliamo fare al massimo della qualità». L’acquisto della
Tenuta Il Cipresso da parte della famiglia Cuni-Esposito ha
coinciso con il rilancio paesaggistico ed enologico di questa
bellissima zona collinare. Nella conca naturale dove sono i
vigneti del “Cipresso” se ne può ammirare uno di oltre 25 anni,
uno splendido impianto a ritocchino che stupisce per l’ardita
geografia. I fatti stanno dando soddisfazione anche nel settore
enologico a questa donna manager, da anni alla guida di una
importante azienda meccanica. A conferma come al “Cipresso”
ogni anno di produzione sia al massimo della qualità, sono arrivati
lusinghieri riconoscimenti anche quest’anno dal 49° Concorso
enologico nazionale di Pramaggiore (Ve) e dal Vinitaly di Verona.
I due vini presentati a Pramaggiore hanno meritato il diploma
di medaglia d’oro. Si tratta del Valcalepio Rosso doc Riserva
“Bartolomeo” 2006 e del Valcalepio bianco Doc “Melardo”
2009. «Un en plein che ci fa piacere - commenta Angelica
Cuni - ma che non ci fa dormire sugli allori. L’impegno è sempre
tanto, anche per dimostrare nei fatti che i premi sono veritieri». Al
18° Concorso enologico internazionale abbinato al Vinitaly 2010,
il Valcalepio Rosso riserva Doc “Bartolomeo” 2005 dell’Azienda il
Cipresso ha meritato la “Gran Menzione”. Riconoscimento non da
poco, vista la grande selezione che gli enologi-degustatori fanno tra
le migliaia di campioni presentati in fiera.
Azienda agricola Il Cipresso - www.ilcipresso.info
a cura della redazione di
massimo della qualità per ogni annata. “La realizzazione
di un sogno, - dice Andrea Cecchi - Abbiamo voluto,
enologicamente, vivere il nostro tempo. Siamo partiti
dal concetto di contemporaneità perché volevamo
essere ‘coevi’ nell’esprimere la qualità. Qualità
organolettica, gusto moderno, cultura, sono
elementi dinamici, che si evolvono, e grazie all’uomo
variano nel tempo”. Per questo motivo l’uvaggio di Coevo potrà variare a seconda della vendemmia mantenendo comunque sempre l’elemento base che lega la famiglia Cecchi al proprio territorio, il Sangiovese: “Pensare di poterci muovere su
queste basi è stato ed è stimolante”, continua Andrea Cecchi. “Coevo non ha compromessi, - spiega Cesare Cecchi - Frutto di un lavoro duro e
lento che mio fratello ed io stiamo portando avanti
con passione e orgoglio da tanti anni con l’obiettivo di creare un
vino che racconti il territorio e che in qualche modo esprima la
‘saggezza’ del tempo agrario”. Ed è dal concetto di tempo che nasce la filosofia di questo progetto, espresso già nell’etichetta da un pensiero di Sant’Agostino, graficamente stilizzato in forma di clessidra. “Per noi il tempo è circolare. Non c’è un prima e un
dopo”, concludono i fratelli Cecchi. Casa Vinicola Luigi Cecchi e Figli - www.cecchi.net
NAWÀRI - IL PINOT NOIR SECONDO DUCA DI SALAPARUTAUn nuovo progetto che ha puntato sulle peculiarità del territorio, la sperimentazione e l’unicità del vitigno. Il Pinot Noir coltivato nella tenuta Vajasindi alla pendici dell’Etna è quindi la grande sfida di quest’anno per Duca di Salaparuta, un progetto enologico voluto fortemente dall’azienda che si basa sulla profonda conoscenza del territorio siciliano e sulla sperimentazione portata avanti da decenni. L’altitudine, il terreno ricco di minerali e le forti escursioni termiche dell’Etna creano le condizioni ideali per il Pinot Noir, vitigno capriccioso ed esigente, che su questa terra riesce ad esprimersi e a regalare emozioni uniche. Nasce così Nawari, un Pinot Noir in purezza che matura per circa dodici mesi in piccoli fusti di selezionato rovere e poi in bottiglia per almeno sei mesi, riposando in fresche
le notizie di enogastronomia e turismo
cantine per permettere la perfetta evoluzione del bouquet. Nawari, un nome arabo che identifica il popolo nomade, è stato scelto per rappresentare questo vitigno proprio perché il Pinot Noir è un “viaggiatore”, coltivato in molte parti del mondo dove si esprime in maniera differente in base alle caratteristiche del territorio che lo ospita.www.duca.it - www.vinicorvo.it - www.cantineflorio.it
IL FORUM SBARCA A VENEZIAIl Forum Spumanti d’Italia ha presentato il nuovissimo programma, che vedrà la Città di Venezia futura capitale dello spumante italiano. Dal 16 al 18 ottobre la città lagunare sarà la vetrina nazionale ed internazionale degli spumanti di casa nostra, una scelta accolta con favore dagli operatori che intuiscono la possibilità di lanciare l’intero comparto riuscendo a far collaborare le diverse aree di produzione. “Ringrazio quanti
hanno profuso fino ad oggi il proprio
impegno per sostenere e creare le
fondamenta del Forum Spumanti
d’Italia – spiega il Direttore Luca Giavi – Oggi abbiamo la maturità
per creare un grande evento
nazionale a Venezia sfruttandone
caratteristiche e fama mondiale. Il
Forum favorirà i processi di informazione e comunicazione legati
al mondo spumantistico”. Tra i promotori anche il Sindaco di Valdobbiadene Bernardino Zambon: “Il Prosecco Superiore, in
continua crescita nel mercato, avrà ancora più chances all’interno
dell’azione del comparto spumantistico italiano. Villa dei Cedri
rappresenta l’inizio dell’avventura dello spumante italiano, ora
però occorre un luogo capace di mettere in evidenza l’eccellenza
italiana e ognuno sente che Venezia può rappresentare al
meglio quest’esigenza. Venezia sarà il trampolino di lancio per
gli spumanti nel mondo, Valdobbiadene resterà la casa natale
dell’evento, il luogo in cui la comunità continuerà a festeggiarne
la nascita e la felice rinascita.” Forum Spumanti d’Italia - www.forumspumantiditalia.it
a cura della redazione di
Luca Giavi
di un albero, la marula, che
cresce spontaneo in gran parte
dell’Africa australe. Quando
giungono a maturazione hanno
la forma e la dimensione
delle nostre prugne con
una polpa bianca interna di
grande profumo e dolcezza.
Sottoposti a fermentazione e
poi a distillazione, producono
un’acquavite che viene affinata
in legno e quindi addizionata di
crema di latte, per dar luogo
al prodotto finito a 17 gradi
alcolici. Amarula può essere
consumata liscia, con ghiaccio o soda. È anche base di svariati
cocktail. Deliziosa come correzione del caffè, è ideale sui gelati
e come guarnizione di molti dessert. Alcuni chef innovativi la
utilizzano con successo su insalate e piatti riccamente conditi. La
sua bottiglia scura, molto elegante, reca in etichetta l’immagine
dell’elefante, simbolo del Sud Africa e animale eponimo della
marula. In Sud Africa questo albero è infatti conosciuto da
millenni come “l’albero degli elefanti”.
Fratelli Rinaldi Importatori - www.rinaldi.biz
MAGNIFICA - LA BOTTE DEL GUINNESS WORLD RECORD“MAGNIFICA”, la botte da affinamento più grande del mondo,
è stata presentata al Vinitaly presso lo stand di Garbellotto
alla presenza di un giudice ufficiale del GWR, che ha sancito
l’omologazione del record. La botte del Guinness è costruita
con 5.000 kg del miglior rovere, per un volume complessivo di
40 mc. ed una capacità di 33.300 litri, rappresenta la massima
espressione tecnica dell’Arte del Bottaio. Legname proveniente
da una foresta con più di 200 anni di vita è stato utilizzato per
produrre le doghe spesse da 85 a 110 mm e lunghe 360 cm.
Tommasi Viticoltori, storica cantina del territorio veronese, ha
collaborato con un’altrettanto storica azienda, la Garbellotto
Spa, nata nel lontano 1775 come azienda artigianale per la
produzione di botti e manufatti in legno e che produce bottame
per 45.000 hl l’anno. “Sono diversi anni - afferma l’enologo
Giancarlo Tommasi - che lavoriamo in collaborazione con
Garbellotto per selezionare le migliori tipologie di legno, che
meglio si adattino all’affinamento dei vini della Valpolicella, ed in
le notizie di enogastronomia e turismo
PALAZZO ROCCABRUNA UN GIUGNO RICCODI INIZIATIVE “GUSTOSE”Con l’arrivo della bella stagione entrano nel vivo le iniziative di
Palazzo Roccabruna: dal vino ai salumi, dal formaggio al pesce.
Non c’è che l’imbarazzo della scelta: Palazzo Roccabruna con
l’Enoteca provinciale del Trentino propone un fitto calendario di
eventi per tutti i gusti. Nel corso della settimana ogni giovedì e
sabato dalle 18 alle 22 gli ospiti dell’Enoteca potranno scegliere
fra oltre cento etichette di vini trentini in degustazione: dalle
raffinate bollicine del TRENTODOC al carattere intenso e deciso
del Teroldego, dall’eleganza del Marzemino alla freschezza del
Müller Thurgau, dalla delicatezza della Nosiola alla dolcezza
ammaliante del Vino Santo Trentino. Nel fine settimana tante
iniziative per parlare di qualità e di prodotti tipici. Dal 3 al 6 giugno in
occasione del Festival
dell’Economia che
fa di Trento ogni
anno la capitale
d e l l ’ e c o n o m i a
mondiale, Palazzo
Roccabruna propone
“Sulle vie del gusto”: quattro giorni
di appuntamenti
per scoprire i sapori
del territorio. Ospite d’onore della manifestazione l’Enoteca italiana di Siena con le specialità enogastronomiche più
rappresentative del Paese (5-6 giugno). Dal 10 al 13 giugno
vanno in scena i vini rosati con “Rosati trentini: emozioni d’estate”. Una quattro giorni di degustazioni, abbinamenti,
approfondimenti su un vino fresco e leggero, ideale per i brindisi
estivi. Dal 24 al 27 giugno è la volta del pesce con “Il pesce del
Trentino a Palazzo Roccabruna”: saranno protagonisti i prodotti
ittici della provincia (trote, trote salmonate e salmerini). Tante
valide ragioni per una gita nella città di Trento alla scoperta di
sapori unici e inconfondibili.
Per il calendario delle iniziative www.enotecadeltrentino.it
AMARULA - MARULA FRUITAND CREAMAmarula è una crema di liquore prodotta in Sud Africa a partire
dal 1989 ed è oggi nella sua categoria il secondo prodotto più
venduto al mondo, dietro soltanto a Baileys. È ottenuta dai frutti
a cura della redazione di
particolare al nostro Amarone. I vini
della Valpolicella Classica, infatti,
non prediligono affatto maturazioni
in legni “aggressivi” come quelli
delle barrique, ma richiedono un
affinamento lento e sapiente in legni
morbidi, neutri e dolci, che lascino
al vino la possibilità di evolversi
al meglio mantenendone intatta
l’integrità e l’espressività. Avere
dunque una botte da 33.300 litri,
dove l’Amarone matura e affina in
modo uniforme per più di 3 anni è la
garanzia per avere poi in bottiglia un
vino unico, elegante ed eccellente”.
L’Amarone Tommasi è vellutato,
corposo e di grande eleganza.
Grazie all’estrema cura dei vigneti,
alla selezione dei migliori grappoli, al
tradizionale metodo di appassimento
e al paziente affinamento in botte,
Tommasi ha fatto della qualità un
dovere morale.
TOMMASI Viticoltori - www.tommasiwine.it
FRANCIACORTA ’61 SATÈN LE NUOVE BOLLICINE DI BERLUCCHI
Dopo l’ottima accoglienza riservata a ’61 Brut e Rosè,
Berlucchi propone Satèn, Chardonnay in purezza
affinato sui lieviti 24 mesi, il Franciacorta più raffinato
per antonomasia, tipologia esclusiva del territorio
franciacortino. ’61 Satèn riprende il packaging
vintage della linea, in una elegante tonalità d’azzurro.
La gamma ’61, che celebra il Pinot di Franciacorta
1961, primo metodo classico del territorio, nato
proprio nelle cantine dell’azienda, rappresenta
“il nuovo modo di essere Berlucchi”: fresco e
complesso insieme, giovane ma ricco di storia,
euforico anche nell’immagine. Giallo paglierino
intenso con spuma soffice e cremosa e perlage
sottile e continuo, profumo ricco, elegante con
sentori di frutta matura gialla tropicale che si
evolvono in note di agrume candito, di spiccata
acidità e sapidità, presenta grande struttura e
le notizie di enogastronomia e turismo
finale lungo. È ottimo come aperitivo, ideale con risotti delicati
e piatti a base di pesce o con prosciutto crudo e formaggi non
troppo stagionati. Si serve a 8 °C.
GUIDO BERLUCCHI & C S.p.A. - www.berlucchi.it
AZIENDA AGRICOLA PROVENZA - UN CONVEGNO SUL LUGANA DOCIl prossimo 19 giugno ricorrono i 300 anni della Cantina Cà
Maiöl, una struttura costruita nel 1710 nel territorio di Desenzano
dal notaio Sebastiano Maioli, circondata da 12 ettari di terreno
vitato, proprio nel cuore della Lugana. Ma è nel 1967 che la
storica cantina inizia una nuova “vita”, quando Walter Contato,
membro di una famiglia di antiche origini provenzali con una
grande passione per il vino, l’acquista e decide di fondare
l’Azienda Agricola Provenza. La felice intuizione del fondatore,
i primi riconoscimenti e i premi, fanno crescere l’Azienda, sia
qualitativamente sia quantitativamente, portandola a 120 ettari
con l’acquisizione della cascina Molino, Rocchetta e Storta.
Oggi l’azienda, immersa nell’incantevole scenario delle Colline
Moreniche a sud di Sirmione, dove gode di un clima temperato
in inverno e d’estate non manca mai il ristoro della brezza
che viene dal lago, è diventata una dei migliori produttori di
pregiati vini doc del comprensorio. Questo lo si deve in parte
al suo fondatore Walter, scomparso nel 1996, e poi al figlio
Fabio Contato che con il “progetto-qualità”, volto al costante
miglioramento del prodotto e a tutti i valori ancora inespressi, è
riuscito ad interpretare al meglio
le richieste del mercato oramai
globalizzato, le nuove tendenze
di consumo e cambiamenti
di stile di vita puntando sulla
promozione e valorizzazione
del Lugana doc in Italia e
all’estero con determinazione e
consapevolezza della bontà del
prodotto, perchè “Dopo anni di
ricerca e sperimentazioni siamo riusciti a tirare fuori tutte le risorse
del Lugana, un vino di grande struttura e corpo che esprime
il carattere del Trebbiano e la sua potenzialità”. In ricordo del
fondatore Walter Contato e dei 300 anni dell’antica Cantina
Cà Maiöl, l’Azienda Agricola Provenza organizzerà nel mese di
settembre un importante convegno, “Il Lugana doc a tavola”.
Azienda Agricola Provenza - www.provenzacantine.it
a cura della redazione di
Dietro i successi del vino italiano che ha
conquistato i primi posti nelle classifiche
internazionali più prestigiose c’è una
tradizione magnifica, fatta di uomini, paesaggi, vitigni,
tecniche, conoscenze, ed arricchita da una passione
antica. Da oltre 50’ anni Bayer CropScience ha un
posto in questa tradizione, si è posta infatti al fianco
di viticoltori, enologi, sommeliers, consumatori, per
accompagnare la vite ed il vino italiani verso successi
sempre più importanti, in campo agronomico,
enologico e sui mercati del mondo. Terreni e clima
diversi in ogni angolo dello stivale, vitigni unici al
mondo, imprenditori capaci e creativi, mezzi tecnici
di assoluta avanguardia, sono la migliore garanzia
per guardare con fiducia ad un grande futuro.
Grazie alle innovazioni introdotte negli ultimi anni e
il forte impegno delle aziende nell’utilizzo di prodotti
efficaci contro le avversità, sicuri dal punto di vista
ambientale e che offrono le massime garanzie sulla
sanità del vino possiamo fare un punto di forza della
nostra vitivinicoltura di eccellenza, che trova riscontro
anche nell’innalzamento della qualità enologica delle
uve perchè un buon vino inizia nel vigneto e si
valorizza in cantina.
“L’impegno per la sostenibilità delle produzioni vitivinicole”Continuano le sfide per le nostre produzioni viticole
che oggi devono rispondere sempre di più a
requisiti di qualità e di prezzo in grado di soddisfare
le richieste del consumatore e rispettando le
sempre più stringenti normative italiane ed europee
volte alla tutela dell’ambiente e della salute sia
del consumatore sia degli operatori della filiera. In
questo panorama divengono sempre più importanti
Fare sistemaper competere
Un calice di vino racconta nei suoi aromi, nei suoi profumi, millenni di storia e di attività sia della natura sia dell’uomo“ ”
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 338
a cura della redazione di Quality ADV
gli aspetti legati all’etica delle produzioni e alla loro
sostenibilità ambientale e sociale; per rispondere
a queste esigenze Bayer CropScience sostiene
Magis, progetto volto a migliorare la competitività
delle aziende attraverso la creazione di valore e
l’ottimizzazione delle risorse. Tale progetto si pone
l’obiettivo di andare incontro nel modo più concreto
alle richieste di viticoltori e consumatori di differenziare
la produzione italiana in base a parametri oggettivi di
qualità.
“L’impegno nella comunicazione delle filiere strategiche”Il valore del vino è sempre più legato anche
all’informazione. Per saper produrre uve più sane.
Per conoscere i mercati. Per far conoscere le
eccellenze italiane. Per trasmettere ai consumatori
una corretta informazione aggiornata sui progressi
che sono costantemente introdotti nella filiera
dell’uva, Bayer CropScience sta coinvolgendo il
mondo giornalistico in momenti di formazione con i
maggiori esperti della filiera a livello nazionale.
La collana “Coltura&Cultura”.La percezione del consumatore
è ancora molto lontana
dall’agricoltura vera e soprattutto
da che cosa c’è dietro ad un
prodotto agricolo.Promuovere storia e cultura
della vite e dei suoi prodotti,
oltre che sottolineare il valore
tecnico che c’è all’interno di
una bottiglia, significa valorizzare
le conoscenze di un settore
agroalimentare trainante per l’Italia. Per la prima
volta dopo moltissimi anni, “La vite e il vino” della
collana “ Coltura & Cultura” di Bayer CropScience,
un libro scritto dai migliori esperti della ricerca, della
produzione e della comunicazione, si rivolge proprio
al consumatore e al vasto pubblico. Il volume parla
di botanica, di coltivazione, di cantina, ma anche
di storia, arte, paesaggi, cucina, alimentazione
ed economia legati al vino. E lo fa con linguaggio
semplice e piacevole da leggere, con l’aiuto di un
ricco e ben impaginato repertorio iconografico. Da
qui nasce il nome della collana: la cultura nasce infatti
quando le conoscenze vengono riunite, collegate
tra loro e condivise con chi ne ha bisogno.
Il libro La vite e il vino, ha ricevuto il premio mondiale
O.I.V. (ORGANISATION INTERNATIONALE DE LA
VIGNE ET DU VIN) 2008 per la categoria
Monografie e studi a carattere
descrittivo e promozionale.
Incontri e Convegni.Il destino della nostra viticoltura
dipende anche dalle decisioni
sulle normative prese a livello
internazionale, soprattutto europeo.
Ma come orientarsi su temi spesso
lontani dalla realtà delle aziende? Il
sistema più semplice è ascoltare i
bisogni dei protagonisti della filiera
vitivinicola nazionale, che Bayer
CropScience raccoglie in vista delle
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 39
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 340
scadenze più importanti, lo è stato l’approvazione
dell’Ocm vino, o in vista di cambiamenti per il vino
italiano sui temi dell’innovazione, dei mercati,
degli orientamenti dei consumatori, delle
normative, Valori e Valore del vino Italiano e
Valori e Valore dell’uva italiana a cui hanno
partecipato esponenti delle associazioni
vinicole, enologi, enotecnici e ministeriali,
grandi produttori, singoli ed associati, scienziati
e ricercatori, tutti con l’obiettivo comune di fare
sistema ed affrontare con sinergia le nuove
sfide e rendere competitivo il settore vitivinicolo
a livello mondiale.
Emozioni e cultura in video.
Il valore che trasmette un calice di vino nasce
anche dal paesaggio, dalla storia, dalle persone
che lo producono. Ma come comunicare queste
emozioni? Le immagini dei nostri paesaggi viticoli
sono forse il mezzo migliore per parlare, sia alla testa
sia al cuore dei consumatori, soprattutto se di altri
paesi. Per questo Bayer CropScience, ha raccolto
una documentazione visiva dei luoghi e dei paesaggi
di tutte le regioni del vino italiano, dal lavoro in vigna
alla testimonianze della storia, visite in cantina,
interviste vanno a costituire filmati, raccolti in Dvd, di
grande suggestione. Inoltre per conoscere i mercati
internazionali dove il vino italiano deve continuare ad
espandersi, sono nati i viaggi di studio in diverse
aree del mondo che coinvolgono ricercatori, tecnici
e produttori per poter toccare con mano le diverse
realtà economiche e colturali e capire in presa diretta
le dinamiche di produzione e consumi. A seguito
di questi viaggi, Bayer CropScience ha iniziato la
produzione di reportage video dal mondo, iniziando
dal Sud Africa, un importante competitore dove
la viticoltura vanta già quattro secoli di storia. Per
continuare in Cina, per scoprire l’altra faccia, per così
dire, della tumultuosa crescita del gigante asiatico
che ha iniziato una lunga rincorsa alla qualità ed in
Cile un esempio di competitività dal punto di vista
economico che ha origine nella cultura italiana.
Ma è sufficiente tutto questo?•Rimettere al centro la ricerca per rispondere con
oggettività alle richieste del consumatore, dei
mercati e delle normative future e misurare i valori
veri e distintivi delle produzioni italiane;
•Centralizzare nel nostro modo di operare la
condivisione della conoscenza e del linguaggio
(le pubblicazioni www.colturaecultura.it, i filmati
www.bayercropscience.it);
• Fare sistema, mettendo insieme tutti gli attori della
filiera per lavorare in sinergia con un obiettivo
comune: il successo delle nostre produzioni.
La formazione continua di ogni componente della
filiera riveste un ruolo strategico per il futuro del vino
italiano.
Viale Certosa, 130MILANO
Tel. 02.39721
Bayer CropScience Italia
Organo Ufficiale della FISARFederazione ItalianaSommelier Albergatori Ristoratori
Concessionaria esclusiva�di pubblicità per l'Italia10137 Torino • Corso Siracusa, 152tel. 011.3119090 • fax 011.3119548�[email protected]
Nell'ambito del potenziamento della nostra divisione advertising selezioniamo agenti o procacciatori per lavendita di spazi pubblicitari. Il candidato ideale è una persona determinata, dinamica, abile nello stabilire egestire i contatti interpersonali. Costituisce il titolo preferenziale l'esperienza lavorativa maturata presso Agenziadi Comunicazione o Marketing e conoscenza di enologia.Ai sensi della normativa vigente l'offerta si intende estesa ad entrambi i sessi. (L.903/77)
CERCHIAMO PERSONE CHE ABBIANO TALENTO... DA VENDERE!
CONTATTACI PER UN COLLOQUIO!
Organo Ufficiale della FISARFederazione ItalianaSommelier Albergatori Ristoratori
Concessionaria esclusiva�di pubblicità per l'Italia10137 Torino • Corso Siracusa, 152tel. 011.3119090 • fax 011.3119548�[email protected]
Nell'ambito del potenziamento della nostra divisione advertising selezioniamo agenti o procacciatori per lavendita di spazi pubblicitari. Il candidato ideale è una persona determinata, dinamica, abile nello stabilire egestire i contatti interpersonali. Costituisce il titolo preferenziale l'esperienza lavorativa maturata presso Agenziadi Comunicazione o Marketing e conoscenza di enologia.Ai sensi della normativa vigente l'offerta si intende estesa ad entrambi i sessi. (L.903/77)
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Entrata a fine 2007 a far parte del gruppo
delle Cantine di Eataly, l’Agricola Brandini
ha da subito cercato una propria
forte identità trovandola nella certificazione di
Agricoltura Biologica, strada a dire il vero
facilitata dalla conduzione dei vigneti, volta
da sempre al lavoro attento verso l'agricoltura
integrata. Sono circa 9 gli ettari vitati e attualmente
l’azienda produce circa 35.000 bottiglie di Barolo
docg, 10.000 di Langhe Nebbiolo doc, 5.000 di
Brandini & Brandini Langhe rosso doc 10.000 di
Barbera d’Alba Superiore doc e 5.000 di Dolcetto
doc. Il progetto aziendale verso l’eccellenza ha
portato a consolidare il rapporto di consulenza con
Beppe Caviola, Enologo di fama internazionale il
quale ha lavorato seguendo le tradizioni di Langa
con grande attenzione e cura nella produzione
dei vini usando moderne attrezzature, affinandoli
però solo in grandi botti di rovere nelle fresche
cantine dell’azienda. Sono arrivati nel 2009 i
primi risultati con l’ambito riconoscimento di Slow
Food “Etichetta” nella guida “Il vino quotidiano”
al Langhe Rosso quale miglior vino della propria
tipologia nel rapporto qualità-prezzo. Un ulteriore
motivo di soddisfazione è il premio speciale
“CARISTUM” per la categoria “Vini Rossi D.O.C.
- vendemmia 2008” al LANGHE DOC Rosso
BRANDINI E BRANDINI 2008 recentemente
conseguito nel maggio 2010 al “XXX Concorso
Enologico Città di Acqui Terme - 13ª Selezione
Regionale Vini del Piemonte". Produrre vini puliti
e buoni con l’uva proveniente da agricoltura
biologica da vendere a prezzi equilibrati, questo
è l'obiettivo dell'Azienda. Agricola Brandini
quest’anno ha partecipato a Vinitaly di Verona
con proprio stand ottenendo un grandissimo
Quando un’azienda agricola prende la strada giusta“ ”
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 342
a cura della redazione di Quality ADV
BrandiniAgricolA
lA MorrA
E
successo commerciale sia in Italia sia all’Estero.
L’azienda ha appena lanciato un nuovo progetto
per produrre un grande bianco di Langa con uve
biologiche e sta per mettere a dimora un ettaro di
sauvignon e riesling.
Nel 2009 l’azienda è stata visitata
da migliaia di persone che
hanno potuto degustare i vini in
modo professionale godendo
del fantastico panorama e della
nuovissima sala degustazione
costruita nel 2008.
I vini dell’Agricola Brandini sono
distribuiti in Italia dagli agenti di
Fontanafredda nel catalogo “IL
VINO E” (www.ilvinoe.it)
Elisabetta Manzone accoglienza e negozio interno
AgricolaBrandiniBorgata Brandini, 16 - La Morra (CN)
Tel. 0173 50266
www.agricolabrandini.it
Nasce nel 2010 un’altra azienda legata all’ormai
famoso nome, la Commerciale Brandini srl con
l’intento di distribuire nel mondo gli altri eccellenti vini
delle cantine del gruppo Eataly, presentandoli al mer-
cato con una nuova imma-
gine completamente
diversa da quella
dell’Agricola ed il-
lustrando in modo
chiaro e traspa-
rente la cantina
di produzione in
controetichetta.
Carlo Cavagnero - produttore
Erica Tallone amministrazione e commerciale
Al-Cantara: un pontetra poesia, cultura e vino
di Roberto Rabachino - Fotografia di Daniela D’Arrigo
Ogni bottiglia è intrinsecamente �letteraria,
martogliana per la precisione, nella sua denominazionee artistica nella sua etichetta.
Dalla felice intuizione di
Pucci Giuffrida che un
buon vino è �poesia�, e
per farlo ci vuole “arte” nasce
l’ azienda Al-Cantàra. Seppur
giovanissima, sono riusciti in
poco tempo ad affermarsi sul
mercato sia per il connubio,
unico e prezioso nel suo genere,
tra uva, versi e pastelli, sia per
la qualità dei vini, riconosciuta
con alcuni premi di portata
nazionale e internazionale.
L’azienda prende il nome dal
fiume che lambisce la Contrada
Feudo a Randazzo (Ct), presso
la quale si trovano i terreni.
Hanno voluto denominarla
Al-Cantàra non solo per
sottolineare il legame con la
terra siciliana, ma soprattutto
perché �al-cantàra� in arabo
significa �ponte: e proprio come
con un ponte, tradizionale
simbolo di unione, l’azienda
vuole collegare arte, vino e
poesia. Il ponte, che collega
un volto femminile con l’acqua
fiumana, è peraltro diventato il
nostro logo.
Ogni bottiglia è intrinsecamente
letteraria, martogliana per
la precisione, nella sua
denominazione e artistica
nella sua etichetta. Il poeta
belpassese del secolo
scorso è stato, infatti, la musa
ispiratrice del giovane artista
catanese Alfredo Guglielmino,
che ha letto le opere di
Martoglio, cui i vini si ispirano,
ricreandone sapientemente
l’atmosfera e riproponendo, in
modo elegante e raffinato, il
particolare sapore di ciascuna
di esse in chiave figurativa. Per
l’implementazione dell’aspetto
culturale dei prodotti si sono
avvalsi del prezioso aiuto di
Sarah Zappulla Muscarà,
Ordinaria di Letteratura Italiana
presso l’Università degli Studi
di Catania, occupatasi sia della
consulenza letteraria sia della
cura della stampa anastatica
delle poesie martogliane.
Per l’aspetto più propriamente
enologico l’Azienda si è
servita del valido aiuto
dell’enologo Vincenzo Angileri e
dell�agronomo Nunzio Puglisi.
L’arte e la cultura di questa
azienda è stata premiata.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 344
spec
iale
Sicili
a
speciale Sicilia
Al Vinitaly 2010 l�etichetta del
vino �Occhi di Ciumi è stata
premiata come miglior etichetta
nella categoria vini bianchi
ricevendo l’ambito premio
“Etichetta d’Oro 2010”�.
Il Territorio: Randazzo
Sul versante nord-occidentale
dell�Etna, il vulcano chiamato
persino da Dante Mongibello,
altrimenti noto in dialetto come
a� muntagna, non lontano da
luoghi impregnati di mitologia
classica (Aci e Galatea, Vulcano
e i Ciclopi, Ulisse e Polifemo,
Scilla e Cariddi), lambita dal
fiume Alcantara, sorge la città
di Randazzo, la più vicina al
cratere centrale dell�Etna. Il
nome Randazzo� potrebbe
essere una forma derivata
(Randacium), in seguito a
diverse modifiche e storpiature,
da �Trinacium, la più antica
città che sorse in questo sito,
oppure potrebbe prendere il
nome da un qualche parente
non meglio identificato del
governatore di Taormina, di
cognome �Randas� appunto,
mandato a morte nel 934.
Anche le origini di Randazzo,
nonostante i numerosi studi,
sono ancora ammantate dal
dubbio.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 45
speciale Sicilia
... e proprio come con
un ponte, tradizionale
simbolo di unione,
l’azienda vuole
collegare arte, vino e
poesia...
“
”
Etna tra naturae leggenda
ricerca di Roberto Rabachino
L’Etna è il vulcano più alto d’Europa,si trova nella Sicilia nord orientale
ed è attivo da tempo immemorabile.
Con la sua enorme mole si affaccia sul
mare Jonio ad est, a nord è delimitato dal
fiume Alcantara, il quale scavando il suo
letto su terreno lavico ha dato origine a stupende
strette gole, le cosidette “Gole dell’Alcantara”. Ad
ovest e sud ovest l’Etna è invece delimitato dal
fiume Simeto. L’Etna è attualmente alto circa 3330
metri, si estende su un perimetro di circa 210 Km
e su una superfice di 1600 chilometri quadrati.
Durante i periodi di intensa attività eruttiva, la lava
può fuoriuscire da centinaia di crateri avventizi
che si trovano sui fianchi del vulcano, questi
crateri sono raccolti in oltre 260 sistemi eruttivi.
In tempi storici la più grande eruzione fu quella
che avvenne nel 1669. La colata lavica, distrusse
molti paesi e terreni agricoli, seppellendo in parte
la stessa città di Catania e raggiungendo il mare.
Parco dell’Etna
La prima volta che si pensò all’istituzione di un
Parco dell’Etna, fu intorno agli anni sessanta,
quando cominciò ad affermarsi, fra gli appassionati
della Muntagna, la necessità di tutelare la natura
dalla invasione del turismo di massa portato
dalla diffusione dei mezzi di trasporto personali.
Sull’argomento si discusse molto sia fra la
popolazione che fra i politici
e si andò avanti fino agli
anni ottanta quando,
finalmente, una legge, (n.
98 del maggio 1981) della
Regione Siciliana, istituì
tre Parchi Regionali e fra
questi quello dell’Etna.
Per arrivare però alla
reale costituzione
del Parco, occorse
attendere ancora altri
sei anni ed arrivare al
marzo 1987. Seguì poi
nel corso dello stesso
anno la costituzione
dell’Ente Parco
dell’Etna con sede a
Nicolosi, presso l’antico
monastero di San Nicolò
l’Arena.Lo scopo del
Parco è quello di tutelare
il patrimonio boschivo
e la conservazione e
lo sviluppo delle specie
floreali e faunistiche
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 346
Castagno dei Cento Cavalli
spec
iale
Sicili
a
speciale Siciliaspecifiche dei luoghi e di regolamentare e
coordinare lo sviluppo di quelle attività turistiche
che possano dare fruibilità ai luoghi e benessere
alle popolazioni insediate nell’ambito territoriale.
Nella zona sommitale del vulcano non vi
è alcun tipo di vegetazione in quanto sulle
lave recenti nessun seme può germogliare.
Scendendo intorno ai 2400 metri si incontrano la
saponaria (Saponaria sicula), l’astragalo siciliano
(Astragalus siculus) e qualche muschio e lichene.
Già intorno ai 2000 metri si possono incontrare,
su alcuni versanti, il pino loricato, la Betula
aetnensis e il faggio ed ancora più in basso
anche castagno e ulivo. Assieme a questa
vegetazione convive la ginestra dell’Etna che con
i sui fiori gialli crea, nel periodo della fioritura, un
bel cromatismo con il nero della lava vulcanica.
Nella zona collinare delle falde si incontrano
i vigneti di Nerello, dai quali si produce
l’Etna vino DOC della zona pedemontana.
Nel versante nord-ovest del vulcano, dai 600
agli 850 metri di altitudine, prosperano i pistacchi
(Bronte) e le fragole (Maletto) unici per il loro
sapore e colore dovuti alla tipicità del territorio
e del microclima. Altra notevole produzione è
quella delle pere di vario tipo e delle pesche,
tra cui spicca fra tutte la “tabacchiera dell’Etna”.
Circa un secolo e mezzo fa Galvagni, descrivendo
la fauna dell’Etna, raccontava della presenza di
animali ormai scomparsi e divenuti per noi mitici:
lupi, cinghiali, daini e caprioli. Ma l’apertura di
nuove strade rotabili, il disboscamento selvaggio e
l’esercizio della caccia hanno portato all’estinzione
di questi grandi mammiferi e continuano a
minacciare la vita delle altre specie. Nonostante
ciò sul vulcano vivono ancora l’istrice, la volpe,
il gatto selvatico, la martora, il coniglio, la lepre
e, fra gli animali più piccoli, la donnola, il riccio, il
ghiro, il quercino e varie specie di topo, pipistrello
e serpente.
La leggenda
Il Castagno dei Cento Cavalli è un albero di
castagno plurimillenario, ubicato nel Parco
dell’Etna in territorio del comune di Sant’Alfio (CT).
Il castagno, considerato come il più famoso
d’Italia, è stato studiato da diversi botanici e
visitato da molti personaggi illustri; la sua storia
si fonde con la leggenda di una misteriosa regina
e di cento cavalieri con i loro destrieri, che,
si narra, vi trovarono riparo da un temporale.
Si narra che una Regina, con al seguito cento
cavalieri e dame fu sorpresa da un temporale,
durante una battuta di caccia, nelle vicinanze
dell’albero e proprio sotto i rami trovò riparo con
tutto il numeroso seguito. Il temporale continuò
fino a sera, così la regina passò sotto le fronde
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 47
Etna in eruzione
speciale Sicilia
del castagno la notte in compagnia, si dice, di
uno o più amanti fra i cavalieri al suo seguito.
Non si sa bene quale possa essere la regina,
secondo alcuni si tratterebbe di Giovanna
d’Aragona, secondo altri Giovanna I d’Angiò
ed è così che la leggenda verrà collegata
all’insurrezione del Vespro (XIV-XV secolo).
Ma è tutto, molto probabilmente, frutto della
semplice fantasia popolare. Ad esempio la
regina Giovanna d’Angiò, pur essendo nota
per una certa dissolutezza nelle relazioni
amorose, è quasi certo che non fu mai in Sicilia.
Traendo spunto dalla leggenda, alcuni poeti
cantarono del castagno e della regina, fra questi
vanno citati Giuseppe Borrello e Giuseppe
Villaroel che furono fra i maggiori poeti dialettali
catanesi del XIX secolo, e Carlo Parini.
Il castagno, (Castanea sativa), misura circa 22 m
di circonferenza del tronco, per 22 m d’altezza.
In realtà, oggi si presenta costituito da tre polle
(fusti), rispettivamente di 13, 20 e 21 m; su queste
polle è vivo il dibattito sulla unicità della pianta.
Negli ultimi anni il libro dei Guinness dei primati ha
registrato il Castagno come l’albero più grande del
mondo, per la rilevazione del 1780, quando furono
misurati ben 57,9 m di circonferenza con tutti i rami.
L’albero si trova nel bosco di Carpineto,
nel versante orientale del vulcano Etna, in
un’area tutelata dal Parco Regionale dell’Etna.
Diversi botanici concordano che avrebbe dai due
ai quattro mila anni di vita e secondo il botanico
torinese Bruno Peyronel è l’albero più antico
d’Europa ed il più grande d’Italia.
Le prime notizie storiche certe sul Castagno dei
Cento Cavalli furono fornite dal De Amodeo,
Carrera e da altri nel XVI secolo. Pietro Carrera
ne «Il Mongibello» (1636), descrisse maestoso
il tronco e l’albero «...capace di ospitare nel
suo interno trenta cavalli». Successivamente
ne parlerà anche Antonio Filoteo (1611).
Il 21 agosto 1745 venne emanato un primo atto
dal «Tribunale dell’Ordine del Real Patrimonio di
Sicilia» che tutelava istituzionalmente il Castagno
dei Cento Cavalli ed il vicino Castagno Nave.
Visto il periodo (fine del XVIII secolo) è un atto da
annoverare fra i primati della tutela ambientale.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 348
spec
iale
Sicili
a
Il Castagno dei 100 CavalliIl Castagno dei 100 Cavalli
Mi chiamo Pino Cutaia. Ho 41 anni e 3 figli ed ho aperto
la Madia a Licata insieme a mia moglie Loredana nel 2000, e abbiamo ricevuto la stella Michelin nel 2006. Sono nato a Licata, e da bambino ho seguito la famiglia nel nord Italia. Ho vissuto a Torino, e dopo gli studi ho cominciato a lavorare in fabbrica. Nel fine settimana cucinavo, per distrarmi. Poi la distrazione si è trasformata in lavoro, con lunghi soggiorni nelle cucine di ristoranti importanti (Il Sorriso a Soriso, Novara; Il Patio a Pollone, Biella). Al nord ho imparato la precisione
nel lavoro.Al sud ho ritrovato il calore, la passione, gli ingredienti e le ricette della mia infanzia. Quel
concorso di cose che tutte insieme si chiamano “identità”. Ed è proprio questo che mi dà la libertà di reinventare, di cucinare ricordando momenti passati, stagioni, simboli della storia gastronomica della mia gente.
Ed adesso parliamo della mia seppia.
La seppia con i suoi colori, che vanno dal marrone al grigio al nero; il candore del manto, che appena pescato è fosforescente, ha sempre esercitato su di me un certo fascino.Nessuno dei miei piatti è stato creato se non dietro una precisa
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 49
speciale Sicilia Pino Cuttaia,
premiato chef siciliano grida: Ho fatto l’uovo!
con la seppia.di Roberto Rabachino
Molte sono le cose che si possono raccontare su questo importante ed innovativo chef siciliano.
Ho scelto, però, di lasciare a lui la parola in prima persona. Di presentarsi e di parlarci di questa nuova, innovativa,
affascinante ricerca che ha fatto.
Pino Cuttaia
suggestione, il cucinare tanto per cucinare non mi appartiene, non ne sono capace.Ma nel caso della preparazione della seppia, non ho inseguito soltanto una seduzione. In questo caso si è trattato di una necessità, fare i conti con qualcosa che porto dentro di me: ricordi, legami con la mia terra, con la mia gente.Per questo la cucina è cultura: quando si prepara e quando si consuma. È il frutto della identità di ognuno di noi. La cucina è uno strumento per esprimere e comunicare la propria identità e la propria cultura.Dietro ogni piatto c’è una narrazione, che parla di noi. In questi piatti che vi propongo ci sono ricordi di infanzia, episodi di vita siciliana. Quando decido di cucinare qualcosa, il processo che porta alla creazione di un piatto non è diverso dalla sfida che quotidianamente tutte le massaie siciliane affrontavano, o affrontano, per portare in tavola qualcosa di buono ai propri familiari.I gesti forse sono più attenti e le tecniche esasperate. Ma il modo in cui si arriva ad un piatto finito, da poter inserire in menù, è assolutamente identico, anche se richiede molta più fatica: una infinita serie di esperimenti e prove. Esperimenti e prove che ci sono anche nella cucina tradizionale. Una ricetta della tradizione è il frutto di una ricerca
corale, che si è svolta in tutte le case, nel corso di secoli. Un piatto della cucina tradizionale si evolve nel corso del tempo, anche attraverso il confronto fra diversi modi di prepararlo, con i suggerimenti ed i consigli che ci si scambia, con i segreti ed i trucchi che ci si tramanda di generazione in generazione.Non conosco la chimica o la fisica. I miei gesti non sono molto diversi da quelli che ognuno può compiere nella propria cucina di casa, i miei attrezzi non sono quelli di un chimico, non ho microscopi o cose del genere, la mia cucina può ricordare la bottega di un artigiano.Come un artigiano, non sempre ho consapevolezza, dei processi che giustificano una determinata preparazione di un prodotto, cerco di assecondarne la natura, ed osservo le reazioni a determinati processi. Attraverso gesti comuni, con attrezzi semplici, un approccio di curiosa conoscenza cerco di esaltare le caratteristiche e le qualità di un prodotto.Cerco di dare a ricette della tradizione siciliana nuove forme, nel tentativo di coniugare creatività e semplicità.
La stagionalità
Le massaie cosa portavano in tavola? Quello che il mercato offriva loro a basso prezzo. Quindi era la stagionalità ad imporre il menù in tutte le case.La stagione di un determinato pesce o di un prodotto della terra, veniva attesa lungo tutto l’anno. Questo creava la memoria di un sapore, di un profumo che era tipico di quel periodo, e nel resto dell’anno veniva evocato, ricordato, desiderato.Un profumo che si imprimeva inevitabilmente nella memoria di tutti, perché non era una singola massaia a cucinare quel prodotto. Preparare i prodotti di stagione era un rito collettivo, in ogni tavola di ogni casa, in un determinato periodo, si trovavano gli stessi prodotti.In primavera, a Licata la seppia era la regina incontrastata delle tavole. Costava poco ed era disponibile in grandi quantità.Mia madre cucinava le seppie, le madri dei miei cugini cucinavano le seppie, le madri dei miei amici cucinavano le seppie. C’erano periodi in cui non c’era modo di sfuggire alla dieta a base di seppie, neanche facendosi invitare a pranzo
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 350
spec
iale
Sicili
a
da qualcuno. Quando fra bambini ci incontravamo in strada per giocare, negli assolati pomeriggi siciliani, spesso ci chiedevamo a vicenda “cosa hai mangiato?”, in primavera era un coro unanime: seppia! Cambiavano le preparazioni, le varianti erano infinite, ma sempre seppia era.
L’abbondanza
Le seppie in primavera si avvicinano alla costa per deporre le uova, rimangono sotto costa fin quando l’acqua è sufficientemente calda, anche fino a novembre. In questo periodo, dunque, riempivano le reti, anche delle barche più piccole che pescavano sottocosta. Persino i ragazzi (i carusi), con nasse o con vari arnesi di fortuna, riuscivano a pescarle. Un marinaio con una piccola lancia a remi (lancitedda) poteva pescarne grandi quantità. Che venivano riversate sul mercato abbassandone drasticamente il prezzo. Anche nelle case più povere poteva arrivare una intera cassetta di seppie. Ed i soldi che un marinaio guadagnava dalla vendita delle seppie li utilizzava per comprare dal contadino qualcosa, che di solito non si poteva permettere, con cui avrebbe accompagnato le seppie. Così le seppie arrivavano nelle case di tutti. Nelle case dei pescatori, come in quelle dei contadini e degli operai. La seppia si presta a numerose preparazioni sia nei primi che nei secondi e le casalinghe siciliane, nei secoli, hanno dovuto esplorare tutte queste possibilità che il prodotto offriva loro, perché dovevano affrontare questa abbondanza, dovevano riuscire ad inventare sempre nuovi modi di cucinare la seppia. In cucina la seppia non perde la capacità di mimetizzarsi e di nascondersi che ha in natura: si può preparare in tanti modi. Le casalinghe utilizzavano vari espedienti, ed illusioni: cambiavano la forma, la cottura o gli accostamenti per evitare che la famiglia si lamentasse che si mangiava sempre la stessa cosa. Quindi la ricerca di preparazioni nuove e diverse, il tentativo di dare alla seppia anche una forma differente era una necessità, era un espediente con cui le massaie gestivano l’abbondanza. Anche i ristoratori avevano la necessità di gestire l’abbondanza. Le trattorie proponevano numerosi piatti a base di seppie, sviluppando una
artigianalità legata alla preparazione di un pesce povero ma che consentiva una ricca varietà di utilizzi, piegandosi a varie modalità di cottura.Ho cercato di non smarrire questo approccio semplice, artigianale, al quale ho soltanto aggiunto la creatività e la voglia di comunicare un ricordo.
La seppia, però, non ha avuto grande fortuna tra i ristoratori. Non ha mai avuto troppi onori, è un pesce popolare: più presente sulle tavole che nei banchetti.Era il pesce che arrivava nelle case dei poveri, ai palati raffinati poteva risultare stopposo. La seppia, infatti, nella cottura esige attenzioni, va cotta con estrema delicatezza, ad alte temperature si ossida, e ne risultano compromessi consistenza e gusto, superati i 65 gradi subisce un processo di solidificazione che la rende dura, diventa croccante, anche per questo non ha mai avuto grande successo nei ristoranti.Paradossalmente la seppia è più famosa per il nero, che è entrato in tante preparazioni, anche in alcune particolarmente raffinate.Poteva capitare che i ricchi mangiassero il risotto al nero di seppia, magari con qualche tentacolo, mentre ai meno fortunati era riservato il resto del pesce.
Carbone di nero di seppiaConfrontarmi con la seppia era inevitabile: un prodotto del territorio, un pezzo della tradizione gastronomica siciliana, una parte della mia cultura, della mia identità.Sono partito dal legame con la memoria, che mi riporta ai piatti che mangiavo da bambino e che mi piacevano, agli odori che si percepivano in quegli anni, per le strade. Mi sono confrontato con il territorio, con le ricette della tradizione che si tramandavano di madre in figlia.Sono partito da queste ricette: nella tradizione c’erano molte varianti.Ho cominciato quindi ad accostarmi al prodotto.Come tutti sono partito dal nero di seppia. Essiccando e disidratando il nero sono riuscito ad ottenere una sorta di carbone, l’aspetto è quello di un minerale. Polverizzando il carbone ho scoperto che la polvere è molto aromatica, come una spezia, la fragranza della tostatura ha forti sentori di caffè o fave di cacao.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 51
speciale Sicilia
Qui c’è una prima sorpresa. Il nero, sempre
utilizzato come colorante, nella preparazione
della pasta o nel risotto, o per dipingere un
piatto, cambia forma è può essere utilizzato
per aromatizzare, per insaporire e profumare un
piatto. Ha subito una metamorfosi che ne ha
esaltato l’aroma.
Popcorn di seppiaLe seppie in primavera vengono pescate in grande
quantità perchè le femmine si avvicinano alla
costa per deporre le uova di cui sono cariche. E
qui ritorna la gestione dell’abbondanza, dovendo
gestire tanta abbondanza, gettare via una grande
quantità di uova di seppie era uno spreco che
non ci si poteva permettere. Della seppia, come
per il maiale, non si butta niente, era una sorta
di comandamento. Quindi le massaie, attraverso
varie prove ed esperimenti, sono arrivate ad
utilizzare anche le uova che venivano aggiunte
sia nel sugo al nero di seppia che in altre
preparazioni.
Le uova hanno le dimensioni ed il colore di grossi
chicchi di riso. Ricordando il maiale le abbiamo
fritte, come se si trattasse dei ciccioli. A contatto
con l’olio abbiamo ottenuto dei popcorn che
per profumo, sapore e consistenza ricordano
prepotentemente la seppia fritta.
Gnocchi di seppiaDal nero, passando per le uova sono arrivato al
mantello bianco.
La parte bianca della seppia, l’ho sempre vista
come un qualcosa di candido, di puro, era
un peccato farla ossidare con delle cotture
aggressive. Ho pensato, che per preservarne
il candore fosse necessario compiere un
cambiamento della forma.
Attraverso un lungo e faticoso processo di
lavorazione ho trovato che nella gran quantità
di proteine presenti nella seppia c’era anche
l’albumina che, proprio come nell’uovo, si
solidifica e che diventa bianca ed esalta il suo
candore. Ed allora ho sfruttato queste proprietà
del prodotto. Pulisco la seppia, la frullo, ottenendo una consistenza molle e collosa, quindi facilmente plasmabile. Con un sacco a poche, da pasticciere, ottengo dei piccoli bignè che ricordano la forma degli gnocchi.Li spruzzo con acqua di mare e li spadello velocemente a fiamma alta, così da formare un sottile strato croccante all’esterno che consente di mantenere i liquidi all’interno donando agli gnocchi particolare morbidezza.A questi gnocchi bianchi aggiungo, a mo’ di spezia, il carbone di nero di seppia ottenendo un piatto che, per sapore, e profumi, rinvia alla seppia fritta, ma con una rinnovata eleganza perché, sia dal punto di vista della presentazione che della consistenza, rimanda a preparazioni più raffinate.
Una ricetta della tradizione:
Pasta con il sugo di seppie ripiene.Una ricetta tradizionale con le seppie è la pasta con il sugo di seppie ripiene. Così il menù del giorno era assicurato, con il sugo si condiva la pasta, per secondo c’erano le seppie.Un piatto molto rustico, tipico anche delle trattorie. Era un modo di realizzare con un’unica preparazione sia il primo che il secondo.In questo caso ognuno aveva la propria ricetta, che cambiava da quartiere a quartiere, di casa in casa: il ripieno, la farcia, variava a seconda dei gusti. Di solito, però, non mancavano i tentacoli della stessa seppia, il
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pangrattato (per dare compattezza) ed il tritato di maiale. La seppia ed il maiale può sembrare un connubio curioso, ma ha una giustificazione. Veniva utilizzato il maiale, o la pancetta o la salsiccia, perché la seppia non ha parti grasse, non ha grassi. La fusione di questi due elementi, tanto diversi tra loro, produceva però un connubio perfetto: l’unione fra le proteine, della seppia, ed i grassi, del maiale.Le seppie, farcite con il maiale, venivano cotte nel sugo, in cui erano aggiunti anche i tentacoli e le parti rimanenti della seppia, in alcuni casi anche le uova della seppia oppure delle uova sode.Nella mia memoria, come in quella di molti miei conterranei, questa ricetta occupa un posto molto importante. Il piatto che ho realizzato rappresenta un esempio di come partendo da un prodotto tipico, da un piatto della tradizione, attraverso la ricerca, e con degli adattamenti di una ricetta antica, si può giungere ad un approdo inaspettato.
Sono passato quindi a riadattare la ricetta, influenzato dalle scoperte che ho compiuto lungo il percorso di ricerca. Ho tritato i tentacoli e, mischiati con del macinato di maiale, li ho inseriti in un budello di maiale. Ho cotto questa salsiccia di seppia, nel
sugo, insieme ad altri pezzi di seppia. In questo modo il sugo ha assunto il sapore della seppia. La salsiccia risulta ammorbidita dalla cottura, una volta macinata è perfetta per farcire la seppia.Ho riadattato la farcia, ora dovevo riadattare la seppia, dovevo dare alla seppia una forma che ne esaltasse la consistenza ed il sapore.
Ho fatto l’uovo! con la seppia
Le possibilità potrebbero sembrare infinite, io ho cercato la soluzione nella memoria, nella tradizione, e nel percorso di ricerca che ho compiuto attorno alla seppia.La parte bianca della seppia mi riporta alla mente il bianco dell’uovo sodo. E le uova sode potevano stare nel sugo della seppia o nel loro ripieno.Nella seppia, mentre provavo le varie preparazioni, ho trovato l’albumina. Il bianco della seppia, l’albumina: questi elementi, che mi avevano suggestionato molto, sono diventati predominanti e mi hanno portato a compiere la scelta di questa forma originale. Con la seppia… ho fatto l’uovo!
Ora il problema era realizzare questa suggestione: dare alla seppia la forma dell’uovo.Ho preso un uovo di gallina. La seppia dopo aver incontrato il maiale, incontra la gallina. Fare entrare una seppia in un uovo non è operazione facile. Ho praticato un piccolo foro nel guscio attraverso cui ho svuotato l’uovo. Ho riempito il guscio dell’uovo con la pasta di seppia, la stessa che ho usato per fare gli gnocchi. Ho lasciato una cavità che poi ho provveduto a riempire con la farcia, ottenuta dalla salsiccia di seppia.
Ho sigillato l’uovo con la seppia. E l’ho sottoposto ad una cottura delicata, 60° per 20 minuti.A questo punto ho una sorta di uovo sodo, a tutti gli effetti, che viene sgusciato e portato a tavola.La forma è originale ma è possibile ritrovare nell’uovo le consistenze, i colori, i sapori ed i profumi di un piatto della tradizione che, attraverso una forma insolita, scopre un’eleganza nuova.
speciale Sicilia
Etna
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Pasta al pescePer giungere a questo piatto ho dovuto fare i
conti anche io con l’abbondanza. La necessità
di gestire l’abbondanza è un problema che
ho dovuto affrontare, come lo affrontavano le
massaie, non nelle stesse forme, e con esiti
diversi.
I numerosi tentativi per giungere al piatto finito, mi
hanno donato l’abbondanza delle altre parti della
seppia. Prima di tutto la testa.
La testa è una parte che si utilizza poco, è una
parte dura, ricca di nervature.
Nelle cucine dei ristoranti era riservata al
personale. Anche i miei collaboratori, in questo
periodo, sono stati sottoposti ad una ferrea dieta
a base di teste di seppie.
Quindi ho iniziato a cucinare le teste, ho dovuto
cucinarle considerata l’abbondanza. Quando il
personale ed io eravamo sfiniti dalle seppie, dopo
la cottura le ho essiccate ed infine polverizzate.
Ho così ottenuto una polvere di pesce, una sorta
di farina dal forte aroma di pesce fritto e dal colore
della farina integrale.
A questo punto si è posto il problema di
come utilizzare questa farina, per quale tipo di
preparazione.
Dapprima abbiamo provato a fare il couscous,
arrivare all’idea di fare la pasta è stato un attimo.
Però, si poneva una questione di non poco conto:
nella farina, il glutine dona tempra alla pasta, che
consente di ottenere i vari formati che resistono
alla cottura.
Bisognava trovare, nella seppia, una proteina che
svolgesse la stessa funzione del glutine.
Anche qui non ho fatto analisi al microscopio
per trovare la proteina. Ho messo a frutto la mia
conoscenza del prodotto e l’esperienza artigianale
delle varie preparazioni.
Ho pensato di utilizzare le ghiandole della seppia,
che sono delle sacche bianche e gommose. Si
poteva utilizzare questa loro compattezza, per
donare resistenza alla farina: la stessa funzione
che ha il glutine nel grano.
Ho marinato le sacche, rigenerandole hanno
una consistenza gommosa, hanno resistenza
ma anche elasticità. Alcune caratteristiche che
possono tornare utili per fare della pasta. Per
trasferire queste caratteristiche nella farina ho
dovuto polverizzarla, ed una volta aggiunta alla
farina di pesce, ottenuta in precedenza, ne ha
aumentato la compattezza.
È stato così possibile fare un vero e proprio
impasto ed ottenere degli spaghetti: una pasta
al pesce.
Così ho riadattato, in tutte le sue parti, l’antica
ricetta della pasta al sugo di seppie ripiene. Ho
una pasta alla seppia da condire con il sugo delle
seppie ripiene.
Credo che questi piatti possano ben
rappresentare il lavoro di un cuoco che, oggi,
non consiste soltanto nel compiere i gesti della
tradizione culinaria. Oggi un cuoco esplora un
prodotto in maniera diversa dal passato. La
ricerca gastronomica porta a compiere diversi
tentativi e, a volte, dagli errori possono nascere
creazioni nuove.
Anche in cucina, a volte, la fortuna arriva
inaspettata; e viaggiando fra i fornelli si scoprono
continuamente, per caso o per intuito, cose
che non si stavano assolutamente cercando.
Si riceve il dono di trovare cose buone e belle
anche senza averle mai cercate, sta alle capacità
del cuoco trasformare in buone e belle cose che
non lo sono o che non appaiono come tali.
Può capitare, ed è un dono che si riceve per
l’impegno e la fatica che si mette nella ricerca,
ed è una cosa che insegna ad amare la cucina
e ci consegna una lezione che può tornare utile
anche lontano dai fornelli.
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Degustando
La degustazione dei vini che a nostro giudizio rappresentano e caratterizzano la Sicilia è stata fatta allo Sheraton Hotel di Catania da un panel composto da 12
degustatori FISAR.
Tasca d’Almerita
Rosso del Conte
Sicilia DOC 2005
Nero d’Avola
Colore rosso vivo dalle
sfumature violacee, profumo
di ciliegie succose, frutti di
bosco, vaniglia e cannella,
al palato una sensazione di
freschezza, di fruttato e di
floreale intensa.
www.tascadalmerita.it
Fondo Antico
Grillo Parlante
Sicilia IGT 2007
Grillo in purezza
Colore giallo paglierino
con riflessi verdognoli, profumi
delicati di fiori, fresco con una
buona sapidità, equilibrato
con una piacevole sensazione
acida.
www.fondoantico.it
Gulfi
Nerobaronj 2005 - Sicilia IGT
Nero d’Avola in purezza
Colore rosso rubino carico
intenso con riflessi violacei,
profumo intenso, tipico, di
frutta rossa e di vaniglia,
sapore fruttato, armonico, di
struttura, molto persistente al
gusto.
www.gulfi.it
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Murgo
Extra Brut 2004
Nerello Mascalese in purezza
Colore giallo paglierino, di
buon perlage, fruttato con una
buona sensazione di lieviti,
fresco con una piacevole
nota di frutta secca e una
persistente sensazione sapida.
www.murgo.it
Azienda Agricola COS
Cerasuolo di Vittoria Classico
2007 DOCG
60% Nero d’Avola, 40%
Frappato di Vittoria
Colore rosso ciliegia, profilo
aromatico ricco, fruttato con
un sapore caldo, armonico,
pieno.
www.cosvittoria.it
Barone di Villagrande
Etna bianco sup. 2008 DOC
Carricante in purezza
Colore giallo tenue con riflessi
verdi, profumo fine di mela e
biancospino, sapore fresco,
persistente, armonico.
www.villagrande.it
Girolamo Russo
Feudo
Etna rosso IGT 2007 DOC
98% Nerello Mascalese e 2%
Nerello Cappuccio
Colore rubino con riflessi
porpora, l’impatto olfattivo è
di piacevole sentori floreali
di rosa, fruttati di marasca,
ribes, eucalipto, con cornice
minerale e speziata, di grande
struttura.
Girolamo Russo -
Passopisciaro
AVIDE
Riflessi di Sole
Vittoria DOC 2007
Insolia in purezza
Colore giallo paglierino carico,
olfatto di legno tostato e
vaniglia con frutti esotici
prevalentemente banana e
ananas, al gusto presenta
struttura piena con un giusto
equilibrio.
www.avide.it
Barone di Villagrande
Malvasia delle Lipari - Passito -
DOC 2005
Malvasia delle Lipari 95% e
Corinto Nero 5%
Colore ambrato, profumo
intenso di fiori di ginestra ed
erbe aromatiche, sentori di
albicocca matura e miele,
sapore pieno, gradevolmente
persistente.
www.villagrande.it
Marco De Bartoli
Bukkuram - Passito di
Pantelleria - DOC 2006
Zibibbo in purezza
Colore oro/ambra ha eccellenti
sensazioni aromatiche di frutta
esotica candita, fichi secchi e
liquirizia, in bocca è dolce ma
non sciroppo, caldo equilibrato
con una buona acidità,
persistente.
www.marcodebartoli.com
Cantine Pellegrino
Vino Marsala Vergine
Riserva DOC 1962
Grillo e Catarratto
Colore ambrato e integro, il
profumo è etereo, speziato
quasi balsamico, gusto secco,
asciutto e armonico con una
ancora presente vivacità.
www.carlopellegrino.it
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Sicili
aCalatrasiTerre di Ginestra - Sicilia IGT 2008
Nero d’Avola in purezza
Colore rosso carico con profumi
di frutta matura a bacca rossa, al
palato intenso e persistente, ricco
di sentori di ciliegia e piacevolmente
tannico alla fine.
www.calatrasi.it
Duca di SalaparutaDuca Enrico - Sicilia IGT 2008
Nero d’Avola in purezza
Colore rosso rubino con riflessi
granato, profumi di frutti maturi,
iris e spezie. Al palato possente,
rotondo con sensazione di legno
ben fusa nell’insieme. Elevata
persistenza.
www.duca.it
NicosiaFondo Filara - Sicilia IGT 2007
Nerello Mascalese in purezza
Colore rosso rubino tenue,
elegante con note speziate e di
liquirizia, al palato caldo, intenso
con retrogusto balsamico, ben
equilibrato.
www.cantinenicosia.it
FazioBagli Catarratto - Sicilia IGT 2009
Catarratto in purezza
Colore giallo paglierino con riflessi
verdognoli con profumi di frutta
esotica e crosta di pane, al palato
fresco e persistente con sentori di
frutta esotica.
www.faziowines.it
FirriatoQuater - Sicilia IGT 2006
Nero d’Avola, Perricone, Frappato
e Nerello Cappuccio
Rubino fitto con tonalità violacee
e profumi di ciliegie sotto spirito,
frutti neri con sentori di cioccolato,
spezie, di grande struttura ed
eleganza.
www.firriato.it
Viticultori Associati Canicattì Aynat - Sicilia IGT 2008
Nero d’Avola in purezza
Colore rosso intenso, quasi nero
con riflessi purpurei, sentori di
prugna, ciliegia nera sotto spirito e
note di liquirizia, gustoso al palato
e con delicati tannini.
www.viticultoriassociati.it
PlanetaPassito di Noto - DOC 2007
Moscato Bianco in purezza
Colore giallo oro brillante con
ricchi profumi di frutti esotici,
albicocche e marmellata di agrumi,
in bocca è dolce, denso e di lunga
persistenza.
www.planeta.it
RalloGrillo - Sicilia IGT 2009
Grillo in purezza
Colore giallo paglierino con
riflessi verdastri, al naso
presenta spiccati sentori di
pompelmo, piacevoli note di
ananas, agrumi e frutti tropicali,
in bocca è pieno e ben
equilibrato.
www.cantinerallo.it
Milazzo
Duca di Montalbo - IGT 2007
Nero d’Avola, Nerello Cappuccio,
Inzolia Rossa
Colore porpora scuro con riflessi
violacei, al naso note di frutti di
bosco, menta, liquirizia e spezie,
sapore caldo, armonico e di
grande persistenza.
www.milazzovini.com
Donnafugata
Ben Ryè
Passito di Pantelleria DOC 2008
Zibibbo in purezza
Colore giallo ambrato lucente con
intense note di albicocca e pesca,
profumi dolci di fichi secchi e miele,
erbe aromatiche, complesso per
dolcezza, sapidità e morbidezza.
Finale lungo.
www.donnafugata.it
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 59
speciale Sicilia
I vini dell’Etna: una storia che viene
da lontano di Antonio Iacona
Antichissimi ritrovamenti alle falde dell’Etna farebbero risalire la presenza viticola addirittura all’età terziaria.
Qualunque settore si
tocchi, si sfiori o si
approfondisca del
vulcano attivo più alto d’Europa,
la parola d’ordine sembra essere
una e una soltanto: “unico” nel
suo genere. È anche la realtà
del vino dell’Etna, un prodotto
che negli ultimi decenni
ha conosciuto una nuova,
importante diffusione, grazie a
caratteristiche, appunto, uniche
dei sui vitigni, tanto che gli
stessi vini etnei si distinguono
nettamente anche da tutti gli
altri vini siciliani e sono ormai in
molti gli studiosi e i cultori che
definiscono il territorio catanese
“un’isola nell’isola”. Se è vero,
come qualcuno ha scritto, che
“ogni bottiglia di vino è un libro”
da leggere con attenzione,
allora l’Etna, con i suoi profili,
i suoi paesaggi, la sua storia,
le sue tradizioni, ha molto,
moltissimo da raccontare,
anche e soprattutto in fatto di
vini. È una storia che parte da
lontano, che affonda le radici
nell’età classica greca e latina,
e forse ancora prima, quando
la realtà dei popoli oscillava
piacevolmente tra il mito, la
leggenda, la cultura, la religione.
Antichissimi ritrovamenti alle
falde dell’Etna farebbero risalire
la presenza viticola addirittura
all’età terziaria. Ma è nel Neolitico
che le popolazioni dell’isola si
dedicano alla viticoltura. Sarà
con i Greci che compariranno
i primi, veri protagonisti del
vino, in particolare tra i paesi
etnei, ed essi ebbero anche il
merito di trasferire sulle coste
joniche l’arte del bere, come
testimoniano i molti recipienti
rinvenuti. Un gran bevitore di
vino, come racconta Omero
nell’Odissea, fu il ciclope
Polifemo, ubriacato e accecato
dalla furbizia di Ulisse. Anche
grazie ai Romani, giunti subito
dopo i Greci, la produzione di
vino conobbe nuovo vigore. Da
lì, nel corso dei secoli, il prestigio
delle viti dell’Etna fu un continuo
crescendo. Dopo lo splendore
del periodo Aragonese e dei
Vicerè, tra il 1700 e il 1800 in
quello che era considerato uno
dei più importanti porti del mare
Jonio, Riposto, arrivavano tutti i
vini prodotti sull’Etna per essere
commercializzati fuori dalla
Sicilia. Non è la prima volta
che la storia del vino ricorre a
poeti e scrittori per testimoniare
la grandezza delle produzioni.
Così avviene che poeti come
Giovanni Meli o Domenico
Tempio, conosciuti per la loro
arguzia, abbiano elogiato in
più di un’occasione il “sangue
di Bacco” sgorgante dai paesi
etnei.
Unica nel suo genere, e nel
corso dei secoli, è stata ed è
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 360
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tutt’oggi anche la tenacia dei
produttori di vino dell’Etna, che
hanno sempre trovato dinanzi a
sé un ostacolo fatto di lava, di
un terreno aspro e selvaggio,
a tratti lunare. A dimostrarlo
sono le grandi opere di
terrazzamento, con i muri
paraterra a secco, nati dallo
sforzo di uomini e muli. Anche
questa architettura rurale fa del
paesaggio etneo uno sfondo
unico del mondo del vino, dove
natura della terra, esposizione
delle viti e altitudine denotano
le caratteristiche dei vitigni: dal
Nerello Mascalese (Niureddu
Mascalisi, si presume originario
della piana di Mascali, da cui
il nome, dove è coltivato da
almeno 4 secoli) al Nerello
Cappuccio (Mantiddatu Niuru
o Niureddu Ammantiddatu,
coltivato esclusivamente nelle
province di Catania, Messina,
Reggio Calabria e Catanzaro),
dal Carricante (Carricanti,
presente, in particolare,
nei territori di Viagrande e
soprattutto di Milo; il nome
indicherebbe la tendenza di
questo vitigno a dare sempre
abbondanti produzioni e, fino
agli anni ’50, è stato il vitigno
ad uva bianca più diffuso nella
provincia etnea) al Catarratto
(molto diffuso, oltre che
sull’Etna, anche nella provincia
di Trapani). Un vitigno a bacca
bianca, anch’esso autoctono
e coltivato esclusivamente
nella zona etnea, è il Minnella
(Minnedda Janca, si trova, in
particolare, nei vecchi vigneti, e
viene utilizzato per l’Etna D.o.c.
assieme agli altri vitigni).
I vini dell’Etna si distinguono
da tutti gli altri vini siciliani per
due fondamentali motivi: per le
loro caratteristiche chimiche e
sensoriali, dovute all’ambiente
pedoclimatico e ai vitigni
autoctoni; e per la loro naturale
capacità di conservare l’originaria
piattaforma ampelografica, che
proprio dai vitigni autoctoni
deriva e che è stata regolata,
Un Vigneto a “terrazza” sull’Etna (Az. Barone di Villagrande)Un Vigneto a “terrazza” sull’Etna (Az. Barone di Villagrande)
con il riconoscimento dell’Etna
D.o.c. l’11 agosto del 1968, dal
disciplinare di produzione con
decreto di riconoscimento del
Presidente della Repubblica.
Così, i “biglietti da visita” del
vulcano, nei calici di siciliani
e di turisti, sono costituiti
dall’Etna Rosso (dal colore
rosso rubino, poi granato
quanto più passano gli anni,
caldo, robusto, secco, pieno,
armonico); dall’Etna Rosato
(vivace, spesso fruttato, gentile,
morbido); dall’Etna Bianco
(giallo paglierino, quasi dorato,
fresco, armonico). L’Etna
Bianco, inoltre, prodotto nella
zona di Milo, con la presenza
di almeno l’80% di uva di
Carricante, prende il nome
di Etna Bianco Superiore.
Sono 20, infine, i Comuni etnei
della provincia di Catania,
che rientrano nella zona di
produzione (Biancavilla, Santa
Maria di Licodia, Paternò,
Belpasso, Nicolosi, Pedara,
Trecastagni, Viagrande, Aci
Sant’Antonio, Acireale, Santa
Venerina, Giarre, Mascali,
Zafferana, Milo, Sant’Alfio,
Piedimonte, Linguaglossa,
Castiglione, Randazzo).
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Veduta dell’Etna dal vigneto dell’Azienda Tenuta San MicheleVeduta dell’Etna dal vigneto dell’Azienda Tenuta San Michele
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 63
speciale Sicilia Quantico,
un vino siciliano dell’agricoltura quantistica
di Gladys Torres
Le recenti scoperte della fisica considerano l'uomo, gli animali ed i vegetali
immersi in un campo quantico universale.
Gli squilibri vibrazionali
che attualmente
si individuano e si
curano per gli umani possono
essere similmente analizzati
e curati anche per piante ed
animali. Utilizzando particolari
apparecchiature innovative
e tecniche diagnostiche non
invasive è possibile analizzare
oltre che gli animali, anche
terreni e colture nella profondità
delle loro strutture atomico
molecolari, individuandone gli
squilibri e pianificando terapie
mirate che utilizzano, oltre
a rimedi frequenziali, anche
opportuni omeopatici testati
al momento e per il caso
specifico, che danno quindi,
una percentuale di efficacia
vicina al 100% delle proprie
capacità curative. Queste
metodiche rendono possibile
la riduzione e l'eliminazione
di anticrittogamici, concimi di
sintesi, pesticidi, fitofarmaci,
con conseguente
detossificazione dei
terreni e delle colture ed
immediato miglioramento
della produzione sia dal
punto di vista qualitativo che
quantitativo, con una evidente
riduzione dei costi.
Così come negli ultimi
decenni, accanto alla medicina
ponderale, si è sviluppata una
medicina energetica, si ritiene,
alla luce delle conoscenze
acquisite, si svilupperà
l'agricoltura energetica, ovvero
l'agricoltura quantistica.
Il principio di base prevede
il passaggio dall'approccio
chimico, fondato sull'uso
di materiali e sostanze che
promuovono processi di tipo
biochimico, all'approccio
dinamico-energetico, che
utilizza apporti di varie forme
di energia, quali le onde
elettromagnetiche e le
interazioni energetiche della
fisica quantistica.
L'agro ecosistema agricolo,
oltre a presentare una
complessa rete di interazioni
e processi biochimici dei vari
elementi abiotici e biotici,
presenta una complessa rete
di interazioni e flussi energetici
di vario tipo.
In effetti sono questi ultimi
che regolano ed indirizzano gli
stessi processi biochimici. Uno
squilibrio a livello energetico è
la causa prima di problemi
che successivamente si
evidenziano, poi, a livello
biochimico e fisico.
La stessa vitalità di tutti gli
organismi viventi ha alla base
processi di tipo energetico.
Con l'agricoltura quantistica si
mira al riequilibrio, prima, ed allo
stimolo, successivamente, dei
processi energetici regolatori.
I processi energetici complessi
sono oggi più compiutamente
descritti non solo dalla fisica
Newtoniana, per quanto
riguarda le energie di tipo
elettrico e di tipo magnetico,
ma dalla fisica quantistica che
prende in considerazione anche
le interazioni più sottili fra le
particelle subatomiche. Queste
ultime sono le più importanti
nei fenomeni regolatori e di
stimolo dei processi biologici
più sottili. Sono oggi disponibili
apparecchiature che utilizzano
processi fisici quantistici
con protocolli applicativi per
l'agricoltura.
Agendo principalmente a
livello di riequilibrio e stimolo
energetico, gli interventi sono
intesi come trattamento di
fondo. Il loro risultato può
essere variabile a secondo
della situazione di partenza.
È, quindi, importante poter
effettuare una “diagnosi”
approfondita di tutte le
componenti dell’ecosistema;
oggi possibile soltanto
con l’utilizzo della nostra
strumentazione quantistica.
Rivolgiamo alcune do-
mande specifiche al Dr.
Michelangelo Catalano,
proprietario dell’azienda.
In cosa consiste questa
tecnica?
Si tratta di un sistema
tecnologico che prevede
l'utilizzo di varie forme di energia,
quali le onde frequenziali e le
interazioni energetiche della
fisica quantistica, basato sulle
scoperte di Max Planck (Nobel
per la fisica nel 1918), il quale
rilevò che il nostro universo
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 364
spec
iale
Sicili
a
è formato da energia sottile (i cd. quanti) che
compongono la materia visibile ed invisibile.
Un hardware gestito da un sofisticatissimo
software consente di pervenire all’analisi e alla cura
delle “anomalie” funzionali dell’agroecosistema,
senza l’utilizzo di composti chimici.
Perché avete sentito la necessità di
sperimentare questo innovativo sistema?
La globalizzazione dei mercati ha reso difficile
per molti agricoltori produrre in modo competitivo,
con la conseguenza che gli stessi sono sempre
più spinti a preferire le monocolture intensive
al fine di ridurre i costi, o a lasciare incolti i
terreni. Questo sistema innovativo permette,
particolarmente in un Paese come l'Italia che
fa della tipicità il suo cavallo di battaglia, di
accentuarne le caratteristiche aumentandone la
forza di penetrazione nei mercati internazionali.
Che tipo di interesse suscita una sperimentazione
del genere nel consumatore finale ?
Questo metodo rende possibile la riduzione e
l’eliminazione di anticrittogamici, migliorando
le caratteristiche organolettiche del prodotto
e riducendone i possibili effetti allergenici.
Il QUANTICO, primo vino prodotto senza solfiti,
può essere consumato in tutta tranquillità
anche da chi presenta allergie a questo tipo di
sostanza.
Può avere uno sviluppo su larga scala una
produzione con queste caratteristiche?
Certamente. La rivoluzione tecnico-scientifica
dell�inizio di questo millennio basata sui quanti�
ha una potenzialità pressoché infinita, quindi
sfruttabile sia in piccola che in larga scala. Il nostro
progetto, con l'appoggio già in atto di alcune
Università Italiane, è finalizzato a diffondere
nella misura più ampia possibile, tale
metodica.
Che tipo di difficoltà ha dovuto
affrontare?
La maggior difficoltà è stata la difesa del
vino dai processi ossidativi. È importante,
quindi, curare tutte le fasi con estrema
attenzione.
Le caratteristiche organolettiche
variano?
No. Il vino è interessante ed unico
sia nei profumi (si percepisce una
leggera nota di aldeide abbinata
a sentori di mela cotogna). Al
sapore è assai interessante,
sapido, lungo con una buona
mineralità.
Il vino prodotto con questo
sistema è longevo?
E quali sono i vitigni più indicati ?
Siamo al primo anno di
sperimentazione e, quindi,
non sappiamo ancora quanto
potrà essere lunga la sua
conservazione. Il futuro ce
lo dirà. Tutti i vitigni possono
essere utilizzati per essere
vinificati con questo sistema.
Noi per il Quantico abbiamo
utilizzato: Caricante 70%,
Cataratto 20%, Grillo 10%.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 65
speciale Siciliada sinistra verso destra: Sig. Pennisi, Sig. Di Giovanni (enologo), Dott. Catalano, Sig. Raiti (prorpietario terreni, e seduta Sig. Pennisi (designer)
gNuovi orizzonti del bere in Sicilia
Nikao e Rodio: la scommessa vincente del Barone La Lumia b di Giancarlo Roversi
Il barone Nicolò coltiva un’altra ambizione: quella di creare a Licata una realtà vinicola che per qualità e sfruttamento del
terreno faccia a gara con gli Chateaux francesi.
Nikao (dal greco
vincitore, con una
sottile allusione a
Nicolò, il nome del barone La
Lumia che nè è l’appassionato
creatore) è il primo passito di
Nero d’Avola al mondo. In un
momento come l’attuale in cui
i passiti mostrano un trend di
consumo in aumento, il Nikao
rappresenta un’autentica rarità
del gusto. Del resto i passiti
rossi (da non confondere
con i vini liquorosi che hanno
avuto un’aggiunta di alcol),
sono un’autentica eccezione.
A paragonarlo ai normali
passiti si è completamente
fuori strada perchè il Nikao
più che un vino da chiusura
di un pasto importante, è
soprattutto un’emozione, un
vino da meditazione intensa.
È il frutto della tenacia e
dell’entusiasmo di Salvatore
figlio del barone Nicolò La
Lumia, una casata di antico e
illustre lignaggio il cui superbo
palazzo baronale troneggia
nel cuore di Licata la storica
città dell’Agrigentino. Dopo
instancabili sperimentazioni
di appassimento delle uve
e di vinificazione il caparbio
Salvatore, uno dei giovani più
preparati del mondo del vino
siciliano è riuscito a stillare
dalle botti di Nero d’Avola in
purezza la sua essenza più
intima e intrigante, il Nikao, un
vero capolavoro enologico.
Per realizzare questo prodigio
ha impiegato i sapidi grappoli
provenienti dai vigneti a spalliera
della tenuta baronale situata ai
piedi delle colline di Licata in
faccia al mare dove sfocia il
fiume Salso (l’antico Himera).
Le uve sono lavorate e vinificate
secondo la “manualità greca”.
Sulla base di un meticoloso
lavoro di ricerca e di verifica
sul campo e su antichi testi
enologici, il rampollo dell’antico
casato di Licata si è reso conto
di aver individuato il metodo di
produzione degli antichi Greci,
i quali scelsero queste stesse
terre accarezzate dalla brezza
del mare africano (i Campi
Geloi che includevano l’odierna
piana e parte della collina di
Licata) per dar vita a quei vini
che la resero ricca e famosa.
Le uve vengono fatte
interamente appassire al
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 366
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iale
Sicili
a
gsole. La maturazione in vasca
d’acciaio si protrae per almeno
due anni mentre l’affinamento
in bottiglia raggiunge i 12 mesi.
Ma non basta: il Nikao si fregia
in etichetta della dicitura “ad
alto contenuto di resveratrolo”,
una sostanza contenuta nei
vini rossi che esercita benefici
effetti a livello cardiocircolatorio.
Un privilegio che spetta
anche agli altri intriganti vini
rossi delle cantine La Lumia
(Signorio, Stemma, Torreforte,
Cadetto rosso, Delizia del
Conte, Don Totò, Limpiados)
perchè le analisi di laboratorio
hanno accertato che, grazie
alle particolari condizioni
pedoclimatiche dei terreni della
tenuta, possono vantare un
contenuto di resveratrolo 3-4
volte superiore a quello degli altri
rossi in commercio. Insomma
una specie di toccasana !
Il barone Nicolò coltiva un’altra
ambizione: quella di creare a
Licata una realtà vinicola che
per qualità e sfruttamento del
terreno faccia a gara con gli
Chateaux francesi.
Il Nikao ha un colore rosso
rubino carico con riflessi
violacei e all’esame olfattivo
presenta una gamma aromatica
non riconducibile a nessun
altro prodotto ove spiccano
il glicine la marasca ed i fichi.
Al gusto si rivela dolce ma non
stucchevole, complesso e
perfettamente equilibrato. Un
vino deliziosamente seducente
e non soverchiante insomma.
L’epoca di massimo godimento
per gustarlo nella sua pienezza
inizia dal secondo anno in
avanti con una temperatura di
servizio ideale sui 22°.
Rodio: il vino di Federico II
Per la casa baronale di Licata
la ricerca di nuovi orizzonti
enologici o meglio la riscoperta
di quelli sepolti nel tempo non
si limita al Nikao ma riguarda
un altro straordinario nettare, il
Rodio. Anche in questo caso
il tenace Salvatore La Lumia è
andato a scavare nella storia e
si è imbattuto nel “Grecisco”,
il vino prediletto da Federico
II. Veniva prodotto nelle tenute
reali di Licata secondo una
tradizione tramandata dalle
popolazioni rodio-cretesi che
si erano insediate lungo la
costa meridionale della Sicilia
nell’attuale territorio di Agrigento.
Questo nettare elegante e di
nobile blasone, idolatrato nel
mondo greco e nell’antica
speciale Sicilia
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 67
Il barone Niccolò La Lumia e suo figlio Salvatore
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 368
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iale
Sicili
a
Roma, rivive oggi gli antichi
splendori grazie alle cantine
del barone La Lumia. Con una
paziente quanto meritoria opera
di recupero è riuscito a farlo
sgorgare dalle sue vigne che
parlano con la brezza del mare,
mettendolo a disposizione degli
intenditori in una limitatissima
scorta di bottiglie da mezzo litro
per esaltarne le sue profonde
radici.
Contrassegnato dal marchio
IGT Sicilia è un rosso
ottenuto da Nero D’Avola in
purezza, naturalmente dolce
invecchiato per dieci anni in
barrique di ottavo passaggio
e straordinariamente ricco di
resveratrolo, quindi – giova
ripeterlo - se consumato in
giuste dosi, utile per prevenire
l’invecchiamento delle cellule
e arginare il colesterolo.
La tecnica di produzione
prevede l’appassimento delle
uve sulla pianta mediante
torsione del peduncolo su
grappoli selezionati. Il tempo
di disidratazione medio degli
acini si aggira sui diciotto-venti
giorni.
Ad appassimento completo
si procede alla raccolta e alla
diraspatura manuale quindi alla
fermentazione in contenitori di
acciaio e alla follatura manuale.
Si passa poi alla pigiatura con
torchio manuale e a un’ulteriore
fermentazione di tre mesi del
mosto pulito in barrique dove
avviene l’invecchiamento per
dieci anni.
Il Rodio appartiene alla ristretta
cerchia dei vini rari, dei vini che
vanno goduti in letizia e con
sorsi lenti e estatici per coglierne
tutte le nobili sfumature olfattive
e di sapore. Insomma un vino
per veri intenditori.
L’azienda agricola del barone Nicolò La Lumia venne fondata
nel 1883 nella piana di Licata e comprende una superficie
di 150 ettari di ottima terra di Sicilia, di cui 50 destinati alla
vite, tutti favoriti da un microclima unico per luminosità,
giusta vicinanza al mare ed escursione termica. L’azienda
vinifica esclusivamente uve proprie, che hanno origine da
vitigni autoctoni tra i migliori di Sicilia, da cui ottiene vini unici
per intensità di aromi e di gusto quali: Nero d’Avola, Inzolia,
Nerello Mascalese e Frappato commercializzati con le
etichette Stemma, Cadetto Rosso,Cadetto Bianco, Signorio
Rosso, Gloria Bianco, Delizia del Conte Rosso, Sogno Di
Dama Bianco, Don Toto’ Rosso, Torreforte Rosso, Limpiados
Rosso, Halykàs Bianco, Nikao Rosso, Rodio Rosso, tutti IGT
Sicilia.
Il casale di stile arabeggiante dove ha sede l’azienda, è stato
edificato alla fine del ‘700 dalla famiglia La Lumia e costituisce
una delle proprietà vinicole più affascinanti dell’isola.
LA LUMIA fattoriaLA LUMIA fattoria
L’orgoglio di un grande prodotto:
il Marsala di Attilio L. Vinci
Fotografie: Comune di Marsale e Walter Lunardi
La storiaIl Marsala per le sue origini, la
storia e la fama è il “Principe”
dei vini italiani da dessert.
Uno dei vini mito dell’enologia
italiaca che ha avuto, ad onor
del merito ed in più occasioni,
anche tante visite reali.
Teste coronate, d’ogni angolo
del mondo, per interesse,
curiosità, e per il fascino che
ha varcato già secoli fa i confini
di tutti i continenti, hanno
voluto visitare il suo incantevole
territorio di produzione, ricco
di siti naturalistici, storici,
archeologici e di coinvolgenti
tradizioni enogastronomiche.
L’ultima visita straordinaria è
quella della regina di Danimarca,
Margrehte II.
In vacanza in Italia, volle
dedicare una giornata alla zona
di produzione del Marsala ed alle
secolari cantine Florio. La figlia di
Federico IX era accompagnata
dal principe consorte, il conte
francese Henrik di Laborde di
Montpezat, grosso produttore
di vini francesi e personaggio
assai competente.
Tracce sulle origini del Marsala
si trovano già nei primi secoli
del Cristianesimo: in una lettera
indirizzata a Decio, Vescovo
di Lilybeo, S. Gregorio Papa
raccomandava di dotare il
costruendo convento di una
superficie vitata. Il nuovo
convento si stava costruendo
sul podere della nobildonna
lilybetana Adeodata, che aveva
voluto farne il dono al vescovo
concittadino per costruirvi,
appunto, un convento.
E siccome Papa Gregorio
assieme alla notizia del gentil
pensiero della nobile ricevette
anche vino ed uva prodotti da
quelle parti, che giudicò ottimi,
nell’inviare il suo messaggio di
ringraziamento pensò bene di
raccomandare il vescovo Decio
di impiantare un vigneto.
Nel 1560 Carlo V concesse
dei privilegi a favore della
produzione vinicola del territorio
di Marsala.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 69
speciale Sicilia
Cantina Storica
Marsala
Tra il 1590 ed il 1640, Pierre
Paul Rubens, incuriosito dal
fatto che il vino di Marsala era
noto alla corte di alcuni potenti,
volle assaggiarlo, e ne divenne
fedele consumatore.
Ma, il più antico riscontro, che si
collega all’industria del Marsala,
è una spedizione fatta nel 1773
da un commerciante inglese di
Liverpool, John Woodhouse.
Dal porto di Trapani, il
commerciante venuto in Sicilia
per acquistare ceneri di soda,
finì con lo spedire nella sua
madrepatria 60 pippe (botti), da
412 litri ciascuna, del vino che
casualmente aveva avuto modo
di assaggiare e di apprezzare
molto, in una bettola vicino al
porto di Marsala; aggiungendovi
un po’ di acquavite da vino per
salvaguardarlo da sofferenze e
da alterazioni da viaggio (circa
due litri per ettolitro di vino).
Fu un grande successo e
l’inizio dell’ascesa alla notorietà
internazionale.
Persino l’ammiraglio Horatio
Nelson, eroe del tempo,
richiese ai Woodhouse una
grossa fornitura di vino Marsala
per la sua flotta.
A titolo di curiosità storica
riportiamo il testo del primo
contratto stipulato nel marzo
del 1800 tra il Woodhouse
e l’ammiraglio Nelson: “Una
convenzione fu fatta e redatta
fra l’onorevole Contro-
Ammiraglio Orazio Lord Nelson
(K.B.), cavaliere dell’Ordine
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 370
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Sicili
a
Cattedrale di Marsala
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 71
speciale Sicilia
del Bagno, in Sicilia, ecc.,
con Giovanni e Guglielmo
Woodhouse, negozianti di vino
Marsala, a Palermo, il giorno 19
marzo 1800, per fornire le navi
di S.M. nella rada di Malta di 500
pipe del miglior vino Marsala
ed essere consegnato libero
di nolo e di ogni altra spesa,
senza perdita di tempo, ad
uno scellino e cinque pence di
sterlina per ogni gallone, misura
di vino, ed essere pagato in
cambiali sui Commissari per
la Provveditoria della flotta di
S.M. alla consueta data, a firma
dei pagatori dei bastimenti di
S.M. ai quali il vino sarà stato
consegnato, e nel caso che i
fusti siano trattenuti con il vino
sarà aumentata una spesa
addizionale di una lira sterlina
per ciascuna pipa.
Il vino dovrà essere consegnato
quanto più speditamente si
può, e tutto essere consegnato
nello spazio di cinque settimane
da quella data; una scorta sarà
necessaria per il bastimento
che parte da Marsala, …”.
Il contratto è firmato da
Bronte Nelson e da Giovanni
Woodhouse per sé ed il
fratello.
Bottaio al lavoro
Il successo del Marsala è
travolgente, e si afferma
sempre più nel mondo intero,
contro la concorrenza degli
altri vini stranieri della stessa
natura quali di Jerez, il Madera,
il Porto, il Malaga.
Nel 1880, in provincia di
Trapani, i grandi stabilimenti
di Marsala sono 18. E se
teniamo conto anche di quelli a
conduzione familiare il numero
sale a 40.
Il proliferare di tante aziende,
però, accende un’accanita
concorrenza, e la mancanza
di leggi che disciplinano la
produzione di Marsala induce
molte ditte poco scrupolose
a non seguire più nei dovuti
modi i metodi di lavorazione
e soprattutto i tempi di
invecchiamento introdotti ed
applicati dei prodotti seri.
All’inizio del ‘900 e nei successivi
due decenni tale fenomeno
degenerativo si accentua.
I vini spagnoli e portoghesi
recuperano in breve tempo gli
spazi portati via loro dal Marsala,
e riprendono ad imporsi in tutto
il mondo.
Le conseguenze dell’ultimo
conflitto mondiale accentuano
ancor più i mali del Marsala.
Vengono invocate leggi più
severe che disciplinano la pro-
duzione e la commercializza-
zione.
Leggi di tutelaMa si riesce solo nel 1950, e
con non poche difficoltà, ad
ottenere un decreto, il n. 1069
del 4.11.1950, che sancisce
una serie di disposizioni
concernenti i metodi di
preparazione del Marsala, i
tempi d’invecchiamento e la
classificazione degli stessi.
La legge, però, rimane
inoperante per 11 anni, poiché
non viene emanato il relativo
regolamento di esecuzioni.
È con il DPR n. 1644 del
20.10.1961 che finalmente
viene emanata la prima legge
sul Marsala.
Purtroppo in sede di conversione
della legge, vengono apportati
alcuni cambiamenti al testo
originale, che finiscono con
lo snaturare i principi basilari
su cui poggia tutto lo spirito
dell’autodisciplina che si voleva
dare. Ad esempio, Marsala
aromatizzati possono essere
prodotti al di fuori della zona
tipica di produzione, cosa che
in breve tempo apre la strada
ad ampie contraffazioni e ad
ulteriori svilimenti della qualità e
dell’immagine.
La DOCNel 1969, precisamente con il
DPR n. 143 del 2 aprile 1969,
il Marsala ha riconosciuto la
Denominazione di Origine
Controllata.
Ma, anche questo decreto
non porta alcun concreto
vantaggio al miglioramento della
produzione e quindi ad innalzare
la scarsa considerazione il cui
il Marsala è finito. Così, dopo
altri 15 anni di inutili tentativi
di rilancio, si arriva alla Legge
851 del 28 novembre 1984
che, definisce la zona di
produzione (la sola provincia
di Trapani con esclusione dei
comuni di Alcamo, Favignana e
Pantelleria), dei vitigni ammessi
(Grillo, Inzolia e Catarratto con
Pignatello, Calabrese, Nerello
mascalese e Nero d’Avola),
dei metodi di preparazione,
dei tempi di invecchiamento
in fusti di legno (da 1 anno per
il Fine ai 10 anni per il Vergine
Soleras Stravecchio o Riserva),
della classificazione per colore
(oro – ambra - rubino), per
contenuto zuccherino ( secco
– semisecco - dolce), delle
caratteristiche a seconda
dei tipi prescritti (quanta
gradazione alcolica, estratto
secco netto, acidità fissa e
volatile), dell’imbottigliamento
obbligatorio in zona tipica senza
possibili deroghe inquinanti.
La Legge del 1984 punta
all’effettivo rilancio, come i più
seri produttori dell’industria
marsalista auspicano da
tempo. L’immagine generale
che ha oggi il Marsala è
quella di un prodotto vecchio,
superato nei confronti del
gusto dei consumatori; di
un prodotto troppo dolce e
del convincimento che molto
sovente ci si trovi di fronte a
qualcosa di contraffatto.
Contrariamente a quel che si
potrebbe pensare, i volumi
di vendita non hanno subito
grandi flessioni, ma, non sono
cresciuti come è avvenuto per
tutti i prodotti alcolici e per i vini
liquorosi in particolare.
Cosa invece molto grave è il
prezzo basso cui sono esitati i
Marsala, conseguenza sempre
del modesto apprezzamento
riservato loro, che consente una
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 372
spec
iale
Sicili
aM
arsa
la
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 73
speciale Siciliamodestissima remunerazione e
che mortifica le aziende serie
che nel Marsala hanno sempre
creduto, e che in tale attività
hanno profuso e profondono le
proprie energie e risorse.
Possibilità di rilancio
Visti gli elementi negativi è
doveroso aggiungere che
esistono diverse premesse per
rilanciare il Marsala.
Per esempio è facile evidenziare
la mancanza di un “efficace”
supporto pubblicitario.
Sicuramente un’ottima promo-
zione fortificherebbe la fedeltà
dei consumatori ed ampliereb-
be gli spazi di mercato.
Il Consorzio Volontario per la
Tutela del Vino Marsala, istituito
il 27 dicembre del 1962 (che
da qualche mese ha rinnovato
il consiglio di amministrazione,
eleggendo Presidente il rag.
Giuseppe Ingargiola, già in
Florio) può fare la sua parte di
primo piano nel programmare
e concretizzare una grande
campagna promozionale,
effettuando un tipo di
operazione analoga a quella
attuata per la valorizzazione
dello Spumante italiano nei
confronti dello Champagne,
puntando a riproporre il Marsala
in alternativa al Porto ed allo
Sherry.
Aneddoto storico non
trascurabile: la campagna pro
Spumante ha fatto effettuare
il sorpasso nelle vendite sullo
Champagne.
Dunque, sarebbe bene
profittare “legittimamente” del
momento di favore che stanno
vivendo all’estero i prodotti
made in Italy.
La produzioneCon uve bianche: Catarratto,
Grillo, Inzolia e Damaschino.
Uve rosse (consentite solo
per la produzione del Marsala
rubino): Pignatello, Nero
d’Avola e Nerello Mascalese.
Tecnica di preparazione La tecnica di base per il Marsala
fine superiore: vino base DOC
alcolizzato, aggiunto di mosto
concentrato ( o di sifone) e di
mosto cotto(che è ottenuto dalle
uve destinate alla preparazione
del Marsala). Quest’ultimo viene
posto in caldaie di rame dai 15
ai 40 ettolitri e concentrato a
fuoco diretto o a vapore per
24 ore; fino a ridursi a circa 1/3
ed a caramellizzarsi. Durante la
cottura viene continuamente
agitato e schiumato (la schiuma
viene poi utilizzata per preparare
la concia).
Il mosto cotto conferisce
sapidità al Marsala, sapore
di cotto, e per i prodotti
caramellizzati, il caratteristico
amarognolo.
Il sifone o mistella è un mosto
concentrato addizionato di
acquavite di vino, il cui insieme
è chiamato concia. Si ottiene
partendo dal mosto fiore
aggiunto alla prima frazione
del mosto di pressatura, con
aggiunta di alcol di vino sino
a valori di 20 gradi. Quindi
rimane in botti di rovere da 20
a 60 ettolitri da 6 mesi a 2 anni.
Entro i tempi di stazionamento
nelle botti viene travasato a
causa delle precipitazioni.
Dopo viene aggiunto al vino
base in proporzioni varie.
Classificazioni
L’art. 2 della Legge 851 del
28 novembre 1984 enuncia
le classificazioni: il MARSALA
FINE è quello invecchiato
almeno 1 anno; il MARSALA
SUPERIORE è invecchiato
almeno 2 anni; il MARSALA
SUPERIORE RISERVA almeno
4 anni; il MARSALA VERGINE
e/o SOLERAS almeno 5
anni; il MARSALA VERGINE
STRAVECCHIO RISERVA
almeno 10 anni.
La stessa Legge distingue i 5
tipi di Marsala per il “colore”
in: Oro, Ambra e Rubino. E
per il “contenuto zuccherino”
in: Secco, con zuccheri
riduttori inferiori a 40 grammi/
litro; semisecco, con zuccheri
superiori a 40 ma inferiori
a 100 grammi/litro; dolce,
con zuccheri superiori a 100
grammi/litro.
Cantine a Marsala Marsala
La storia dell’azienda
inizia nel 1830 quando
i fratelli Don Lucio e
Don Carmelo Mastrogiovanni
Tasca acquistarono l’ex feudo
Regaleali, circa 1200 ettari nelle
campagne di Sclafani, al confine
della provincia di Palermo con
quella di Caltanissetta. Lucio
Tasca diresse l’intera proprietà
e, con il suo esempio, impresse
uno sviluppo decisivo all’intera
industria agraria siciliana.
L’erede e nipote omonimo,
Lucio Tasca, primo Conte
d’Almerita, allo stesso modo
si appassionò alla conduzione
dell’impresa agricola: sugli
Annali dell’Agricoltura
Siciliana nella seconda metà
dell’Ottocento i tecnici agrari
più autorevoli dell’epoca citano
la fattoria come un modello da
seguire per tutta la Sicilia. Suoi
successori a Regaleali furono il
figlio secondogenito Giuseppe
Amore per la Sicilia:il Conte Lucio
Tasca d’Almerita
di Roberto Rabachino - fonte Studio Suitner
Disponibilità ed interazione di diversi fattori, ambientali, genetici, umani, il tutto legato da una sola parola: Amore.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 374
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Sicili
a
Tasca Lanza, Senatore del
Regno e due volte Sindaco di
Palermo, e poi il nipote Lucio
Tasca Bordonaro, con lo stesso
grande amore e competenza
dell’omonimo nonno:
“Era stato don Lucio Tasca,
Barone di Regaleali, a spingere
il sistema della masseria
a latifondo verso un vero
progresso agricolo in Sicilia”
affermava il Prof. A. Scifò “e il
giovane Lucio Tasca Bordonaro
Cavaliere del Lavoro, oltre
alla fortuna nel 1922, aveva
ereditato il talento ad occuparsi,
a pubblica utilità, di una vasta
impresa rurale”.
L’unico figlio, il Conte Giuseppe
Tasca d’Almerita anche lui
Cavaliere del Lavoro, ereditò
tutta la terra e l’amore per
essa.
A partire dal 1957 il Conte
Giuseppe Tasca, coadiuvato
dalla moglie Baronessa Franca
Cammarata, assunse l’intera
responsabilità della conduzione
aziendale, dedicandovi tutto il
suo amore. Quattro i loro figli:
Anna, Costanza, Rosemarie
e Lucio, che oggi presiede
l’azienda.
Il Conte Lucio - così è chiamato
da amici e collaboratori - è
il simbolo del rinnovamento
dell’intero sistema aziendale.
A metà degli anni Ottanta,
grazie agli impianti sperimentali
di alcuni vitigni alloctoni,
presenta, primo in Sicilia,
un Cabernet Sauvignon e
uno Chardonnay vinificati in
purezza, pluripremiati nelle
diverse annate che seguirono,
e con il Rosso del Conte è uno
dei primi produttori del Nero
d’Avola in purezza, portando
così, per la prima volta, la
Sicilia all’attenzione del mondo
vitivinicolo internazionale e
aprendo la strada a quelli che
sarebbero stati i cambiamenti
e le innovazioni della viticultura
sull’isola.
Nei primi anni del 2000 decide
di acquisire direttamente
il controllo dei mercati in
cui sono presenti la marca
Regaleali ed i prodotti Tasca
d’Almerita, attraverso la
creazione di una S.r.l, società
del gruppo alla quale affida la
commercializzazione in Italia
e negli oltre 50 mercati esteri.
Alla vecchia struttura esterna
sostituisce una moderna e
completamente automatizzata
organizzazione interna, dotata
di strumenti tecnologici avanzati
per il controllo di gestione e
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 75
speciale Sicilia
Le vigne a triangolo Regaleali
le procedure amministrative,
affidata a personale scelto e
motivato, con la supervisione
del figlio Alberto. Al primogenito
Giuseppe, laureato in agraria,
affida la gestione delle cantine
e della Tenuta di Regaleali.
Lucio Tasca vive tra la residenza
cittadina di Villa Camastra
Tasca, dimora settecentesca
collocata tra i giardini della
Conca d’Oro e gestita dalla
figlia Franca, e la Tenuta di
Regaleali, dove accoglie amici,
clienti e gruppi di turisti attirati
dalla magia del luogo e dalla
cucina della Marchesa Anna
Tasca Lanza, conosciuta in
tutto il mondo per i suoi corsi
di cucina tenuti all’interno della
masseria di Case Vecchie.
Ha recentemente acquistato
la Tenuta di Capo Faro, dove
è sorto un resort ed è iniziata
la produzione di una Malvasia
D.o.c. delle Lipari.
Tra i numerosi riconoscimenti ai
vini e all’azienda spicca quello
tributato all’imprenditore: nel
1997, il Conte Lucio, riceve il
“Premio Speciale Gran Vinitaly”;
nello stesso anno l’azienda
Tasca d’Almerita ottiene il
“Premio Internazionale Vinitaly”.
La Famiglia Tasca da sempre
cura la terra con passione,
attenzione all’innovazione
tecnologica e profondo rispetto
per il territorio. Inserita in un
contesto paesaggistico di
rara bellezza, ad un’altezza
media compresa tra i 400 ed
i 750 metri s.l.m., la Tenuta di
Regaleali gode naturalmente
di un microclima vocato
alla viticoltura, che viene
qui praticata fin dal 1.100.
L’insistere di temperature
atte alla perfetta maturazione
dei frutti e la fondamentale
escursione termica giorno-notte
di oltre 15° C. consentono la
salvaguardia del patrimonio
aromatico delle uve. Apripista
in Sicilia nell’introdurre tecniche
di potatura corta per ottenere,
attraverso basse rese, uve
con elevate caratteristiche
organolettiche, nel valorizzare
i vitigni autoctoni - Inzolia e
Nero d’Avola - nell’introdurre
proprio con il Nero d’Avola un
uso moderato della barrique
e nello sperimentare sull’isola
Chardonnay e Cabernet-
Sauvignon. Il terreno di
proprietà, oltre 500 ettari di
cui 400 coltivati a vigneto,
di differente composizione
geologica, rappresenta un
patrimonio di grande versatilità
rendendo possibile la selezione
della varietà ideale di uva da
porre a dimora in funzione delle
caratteristiche di ciascun suolo.
Ai vigneti si alternano alberi di
mandorle, distese di grano,
avena, uliveti vecchi e nuovi; e
le pecore, antico “diserbante”
naturale permettono la
produzione di ottime ricotte
e formaggi, guarniti con un
prelibato miele di rosmarino o
con marmellate fatte in casa.
Piante di ginestre, rosmarino
ed eucalipti crescono attorno
le riserve di acqua piovana che
durante il periodo invernale sono
affollate da anatre selvatiche
e da aironi grigi. La caccia è
bandita, e non è difficile dopo il
tramonto incontrare istrici, lepri,
conigli selvatici e porcospini.
In tale contesto l’apporto
dell’uomo sta nello stabilire le
tecniche colturali prima e nella
conduzione e vinificazione
poi. Da quell’oasi ecologica
di oltre cinquecento ettari la
Tasca d’Almerita oggi produce
quattro vini bianchi (Regaleali,
Leone d’Almerita, Nozze d’Oro
e Chardonnay), cinque vini
rossi (Regaleali Nero d’Avola,
Camastra, Cygnus, Rosso del
Conte, Cabernet Sauvignon),
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Il trasporto dall'Isola di Mozia
un rosato (Rose di Regaleali) e due spumanti;
completano la gamma le specialità: le Grappe
(di Chardonnay e di Rosso del Conte) e l’Olio
ExtraVergine di Oliva Regaleali. Sperimentazione
e ricerca, nella vigna come in cantina sono
espressione di una tendenza alla qualità totale che
si concretizza nella finalizzazione dei prodotti.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 77
speciale Sicilia
Villa Tasca
Il Conte Lucio e le sue tenute
Intervista al Conte Lucio Tasca d’Almerita
Passato e presente: cosa desidera ancora per se
e per la sua azienda?
Non è mia abitudine guardarmi indietro perché niente ho da
farmi perdonare sia come uomo sia come imprenditore. Il
presente, poi, mi interessa relativamente.
Il futuro, quello mi affascina. Vedere la mia Sicilia crescere e
progredire all’insegna di quel progresso che passa per un
percorso dove legalità e tradizione sono le pietre fondanti, mi
entusiasma e mi da la forza giornaliera per migliorarmi.
Legalità. È il live motiv di Tasca d’Almerita.
Certamente. Noi da tempo abbiamo adottato un codice etico e
di comportamentale molto rigido. Legalità e trasparenza sono
i principi che regolano tutti i rapporti tra noi, i nostri dipendenti
e i nostri fornitori.
Parliamo della secolare filosofia produttiva della
Famiglia Tasca d’Almerita.
La nostra filosofia è molto semplice: innovazione nella
tradizione.
Oggi i miei figli Giuseppe e Alberto sono, con me, i custodi
di queste tradizioni e mai, per nessuna ragione al mondo,
cambieremo questa nostra strategia dove viene premiato prima
su tutto il territorio con le sue peculiarità e poi la strategica
ricerca di perfezionamento in vigna e in cantina.
I vini della Provinciadi Messina
di Irene Picciolo
La Provincia di Messina produce vini riconducibile al proprio territorio dove premiata è sempre la tipicità e la tradizione.
DOC FARO
Il Faro Doc è un vino rosso prodotto nel territorio del comune di Messina sulle colline sovrastanti lo stretto, un’ area della
Sicilia che vanta un’antichissima vocazione vitivinicola. Veniva prodotto già durante l’età Micenea (XIV secolo a.C. circa), come
attestano alcuni reperti rinvenuti soprattutto nelle isole Eolie.
Il processo di vinificazione del Faro Doc prevede la fermentazione del mosto a contatto con la vinaccia, che durante questa fase
rilascia parte delle sostanze in essa contenute, quali antociani e tannini. Il processo di fermentazione dura generalmente oltre i
15 giorni. Seguono la fase della svinatura, con la separazione della vinaccia dal mosto, i travasi, l’affinamento e l’invecchiamento
obbligatorio per un anno almeno. Al termine di questo periodo il vino viene stabilizzato ed, infine, imbottigliato.
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NotizieFaro
Uve: Nerello Mascalese (45-60%),
Nocera (5-10%), Nerello Cappuccio (15-30%)
ed eventuale aggiunta di Calabrese
e/o Gaglioppo e/o Sangiovese (max 15%)
Colore: rosso rubino intenso tendente al rosso mattone
con l’invecchiamento
Profumo: delicato, etereo, persistente,
Sapore: secco, armonico di medio corpo, caratteristico
Salame Sant’AngeloIl salame Sant’Angelo si sposa felicemente con vini amabili e corposi, e lo si apprezza per un alto contenuto proteico ed una facile digeribilità. Autentico capolavoro della civiltà contadina, il salame Sant’Angelo è molto apprezzato in tutto il mondo per la sua particolare bontà, frutto del sapiente lavoro dei produttori artigiani, delle particolari condizioni climatiche, dell’umidità e ventosità che facilitano la stagionatura dell’insaccato. Il Salame Sant’Angelo nasce probabilmente intorno all’XI secolo, come conseguenza della colonizzazione da parte dei normanni che introdussero nuove abitudini alimentari e il consumo della carne suina. Viene ottenuto con un impasto di carni di prima scelta di coscia, lombata, costata e pancetta tagliate a punta di coltello a grana grossa, lavorate ed impastate con sale marino grosso e pepe nero a mezza grana per favorirne una migliore conservazione. Insaccati sapientemente in budella di suino, i salami si fanno stagionare in sale arieggiate, per un periodo che và dai 30-100 giorni, secondo la pezzatura.
Suino Nero dei NebrodiI suino neri sono allevati allo stato semibrado e brado
sui monti Nebrodi. I prodotti realizzati con suino nero
quali il salame Sant’Angelo, il prosciutto e la salsiccia
dei Nebrodi, i salami, i capicolli e le pancette presentano
una particolare intensità aromatica e si prestano a lunghe
stagionature.
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DOC MAMERTINOLe prime testimonianze storiche sulla produzione del vino Mamert ino
risalgono al 289 a.C., quando i Mamertini piantarono nel territorio di Milazzo “una
pregevole vite per la produzione di un pregevole vino”. Tale era la bontà di questo vino già
all’epoca romana che, si narra, venne offerto da Giulio Cesare per celebrare il suo terzo consolato poi
raccontato anche nel “De Bello Gallico”. Nel Mamertino Rosso e Rosso Riserva è presente l’uva Nocera che fino agli anni 60 era
un vitigno ampiamente diffuso nella provincia di Messina ma col tempo è andato perduto perché soppiantato da altre varietà che
negli ultimi decenni hanno costituito le basi per la produzione di rossi importanti allargando la piattaforma ampelografica. Il metodo
di produzione del Mamertino di Milazzo Rosso Doc prevede la pigiatura delle uve, poi messe a fermentare e a macerare assieme
alla vinaccia. Con la successiva svinatura, si separa la vinaccia dal mosto e, dopo l’affinamento e l’invecchiamento, il vino viene
stabilizzato e imbottigliato. Questa Doc comprende le varietà di vino: Bianco, Bianco Riserva, Rosso, Rosso Riserva, Calabrese o
Nero d’Avola, Calabrese o Nero d’Avola Riserva, Grillo-Ansonica o Inzolia. Per tutti i tipi l’affinamento in bottiglia è obbligatorio per
3 mesi prima della messa in commercio.
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NotizieMamertino di Milazzo o Mamertino Bianco
Uve: Grillo e Ansonica o Inzolia (minimo 35%), Catarratti
(minimo 45%)ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca
bianca della zona
Colore: paglierino più o meno intenso, talvolta con riflessi
verdolini
Profumo: gradevole, fino, fruttato
Sapore: secco, equilibrato
Mamertino di Milazzo o Mamertino Bianco Riserva
Uve: Grillo e Ansonica o Inzolia (minimo 35%), Catarratti
(minimo 45%)ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca
bianca della zona
Colore: giallo dorato, talvolta con riflessi ambrati
Profumo: etereo, pieno, passito
Sapore: dal secco, all’amabile, al dolce, gradevole, tipico
È obbligatorio l’invecchiamento di 24 mesi di cui 6 mesi in
legno.
Mamertino di Milazzo o Mamertino Rosso
Uve: Calabrese o Nero d’Avola (minimo 60%), Nocera
(minimo 10%) ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca
rossa della zona
Colore: rubino tenue, tendente al rosso mattone con
l’invecchiamento
Profumo: tipico, lievemente fruttato, tipico, delicato
Sapore: secco, corposo, sapido
Mamertino di Milazzo o Mamertino Rosso Riserva
Uve: Calabrese o Nero d’Avola (minimo 60%), Nocera
(minimo 10%) ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca
rossa della zona
Colore: rubino intenso, tendente al rosso mattone
Profumo: caratteristico, vinoso, armonico
Sapore: secco, corposo, pieno
È obbligatorio l’invecchiamento di 24 mesi di cui 6 mesi in
legno.
Provola dei Nebrodi
La provola dei Nebrodi è un formaggio a pasta filata famosa per la
dimensione, ed inoltre è l’unica provola ad essere stagionata. La
forma è la tipica “a pera” con un’appendice, la classica “testina”
dei cacicavalli, fatta apposta per legare e appendere le forme.
La provola dei Nebrodi presenta le caratteristiche di crosta sottile
di colore giallo paglierino tendente al giallo ambrato con l’avanzare
della stagionatura. Di consistenza morbida e a sfoglie, sua peculiare
caratteristica, dal sapore dolce per il fresco, moderatamente
piccante e deciso nello stagionato, ottima da degustare, oltre che
col vino, accompagnata dal miele di castagno tipico dei Nebrodi.
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a Mamertino di Milazzo o Mamertino Calabrese
o Nero d’Avola
Uve: Calabrese o Nero d’Avola (minimo 85%)
ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca rossa
della zona
Colore: rubino intenso
Profumo: caratteristico, gradevole, fruttato
Sapore: asciutto, pieno, armonico
Mamertino di Milazzo o Mamertino Calabrese
o Nero d’Avola Riserva
Uve: Calabrese o Nero d’Avola (minimo 85%)
ed eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca rossa
della zona
Colore: rubino intenso tendente al rosso granato
Profumo: caratteristico, gradevole, fruttato
Sapore: asciutto, corposo, armonico
È obbligatorio l’invecchiamento di 24 mesi di cui 6
mesi in legno.
Mamertino di Milazzo o Mamertino Grillo
Ansonica o Inzolia
Uve: Grillo e Ansonica o Inzolia (minimo di ciascuno
del 20%)
Colore: paglierino più o meno intenso, talvolta con
riflessi verdolini
Profumo: caratteristico, fruttato, delicato
Sapore: secco, armonico, fresco
MaiorchinoÈ uno dei più grandi pecorini d’Italia sia qualitativamente
che in senso fisico, il suo peso infatti va dai 10 ai 18 chili.
Sembra sia comparso intorno al ‘600, in occasione della
sagra chiamata “Maiorchina”. Tutt’oggi a carnevale, in alcuni
comuni messinesi, con i Maiorchini stagionati si effettua
la tradizionale “ruzzola”, gara consistente nel far rotolare le
forme del formaggio il più lontano possibile. Si produce da
febbraio a metà giugno con latte crudo di pecora al quale
viene aggiunto caglio in pasta di capretto o agnello. Del tutto
particolare la consuetudine dei casari di bucherellare la pasta
con una sottile asta metallica o di legno per favorire l’uscita del
siero. L’attrezzo si chiama minacino. Dopo quarantotto ore,
il maiorchino viene salato a secco, con sale marino, per un
periodo di venti-trenta giorni. La stagionatura avviene in locali
di pietra interrati, a volte in grotte o cantine che garantiscono
temperatura costante. Durante questo periodo, che dura
otto mesi almeno, il prodotto viene pulito, deterso, girato più
volte, poi trattato con olio d’oliva. Da assaporare abbinato
alle tipologie di Mamertino rosso.
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Cappero di SalinaI capperi di Salina sono i migliori del mondo per qualità, uniformità, compattezza e profumo. La varietà più diffusa è la “nocellara” o “tondino” che dà boccioli rotondi e compatti, e un profumo forte
e aromatico. Durante la raccolta,che avviene da fine maggio ad agosto, i capperi vengono stesi su teli di juta all’ombra. Dopo qualche ora vengono salati, con sale marino grosso, nelle “tine” e travasati ogni giorno per otto o dieci giorni, per arieggiare il prodotto, evitando che l’azione combinata del sale e del calore li rovini. Infine, dopo circa un mese sono pronti per il consumo quindi sono selezionati nei diversi calibri, conditi, se necessario, invasettati e pronti per insaporire insalate, sughi a base di pesce, bruschette e abbinato alle tipologie di Mamertino Bianco.
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speciale SiciliaDOC MALVASIA DELLE LIPARILa bellezza delle spiagge e delle grotte, la dolcezza del clima, la storia millenaria danno il benvenuto alle isole Eolie (o Lipari).
Le fertili terre in cui crescono olivi, capperi e frutta, ospitano i vitigni della Malvasia di Lipari,da cui la DOC omonima trae
origine. Lipari subì la colonizzazione greca nel IV secolo a.C. periodo in cui si attribuisce l’importazione nell’isola del vitigno
Malvasia che si produce principalmente nell’isola di Salina. Il terreno vulcanico dona al vino particolari e raffinati sentori.
Il sistema di allevamento della vite a spalliera bassa, unito alla preziosità dei radi grappoli e alla loro tarda vendemmia,
conferiscono alla DOC un sapore pieno: le uve vengono lasciate più a lungo sulla pianta così da consentirne un primo
moderato appassimento, portato a termine poi, una volta raccolte, quando le si fa riposare al sole sui tipici graticci di canna.
Due sono le varietà di uve utilizzate: la malvasia di Lipari per il 95% e Corinto nero. È uno dei grandi vini dolci mediterranei,
oggi interpretato nelle tre versioni previste dal disciplinare: naturale, passito e liquoroso.
Malvasia delle Lipari Naturale
Uve: Malvasia di Lipari (massimo95%), Corinto nero(dal 5 all’8%)
Colore: dorato vivo
Profumo: morbidi di fiori bianchi e frutta gialla
Sapore: aroma dolce di pesca, susina e albicocca corretta da una leggera nota salmastra
Malvasia delle Lipari Passito
Uve: Malvasia di Lipari (massimo95%), Corinto nero(dal 5 all’8%)
Colore: ambrato
Profumo: frutta dolce, fichi, datteri e agrumi canditi
Sapore: sentori di eucalipto e di miele, mandorla, marmellata di arance
Malvasia delle Lipari Liquoroso
Uve: Malvasia di Lipari (massimo95%), Corinto nero(dal 5 all’8%)
Colore: giallo dorato
Profumo: albicocca matura
Sapore: dolce e aromaticoCannolo SicilianoDolce costituito da un
involucro cilindrico di pasta fritta, farcito con un impasto di
ricotta, zucchero e frutta candita.
PignolataSi presenta come un mucchietto di pigne di varie dimensioni
ricoperte di glassa bianca al limone e scura al cioccolato e
dall’odore di essenza di limone (o bergamotto) e cioccolato
vanigliato. La pignolata glassata deriva direttamente
dalla pignolata al miele, che prevedeva un mucchietto
di “pigne” fritte ricoperte da miele. La pignolata glassata
nasce nel periodo della dominazione spagnola, quando
su commissione di famiglie nobili si rielaborò la precedente
ricetta “povera” sostituendo la copertura con una dolcissima
glassa aromatizzata al limone ed al cacao. Oggi la pignolata,
che nel corso dei secoli si è diffusa in tutta l’Area dello Stretto,
è il dolce tipico più apprezzato della zona e vi è prodotto
in grandi quantità per l’esportazione in Italia e all’estero.
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Piparelle
Biscotti croccanti al cacao con mandorle, leggermente
piccanti per l’aggiunta di spezie. Forma a fetta tagliata di
sbieco.
Paste di mandorla
La pasta di mandorla è un impasto dolce tipicamente
siciliano che serve a confezionare diversi tipi di dolciumi. I
maestri pasticcieri lavorano la mandorla in maniera artigianale
con il miele, fino ad ottenere una pura pasta di mandorla
che può inoltre essere aromatizzata al limone o all’arancia
oltre che essere ricoperta di zucchero a velo. Una delle
più note applicazioni dolciarie della pasta di mandorle è la
cosiddetta frutta Martorana o pasta reale, ossia i “finti frutti”:
vero capolavoro dell’artigianato dolciario siciliano.
Vigneti di Malvasia delle Lipari
Una delizia: il Ragusano DOP
di Roberto Rabachino
In Sicilia è considerato il simbolo della tradizione e della genuinità.
È l’orgoglio delle mas-
serie, i complessi
architettonici della
campagna iblea costruiti su
pietra bianca calcarea, al
tempo stesso abitazione
del massaro e piccolo ca-
seificio dove viene prodotto
artigianalmente, secondo una
ricetta che si tramanda da gen-
erazioni, il prezioso formaggio.
Il Ragusano D.O.P. è un
formaggio prodotto nell’intero
territorio della provincia di
Ragusa e nei comuni di Noto,
Palazzolo Acreide e Rosolini
in provincia di Siracusa. È
un formaggio a pasta filata
derivante da latte di vacca
intero crudo. Ha la caratteristica
forma parallelepipeda a sezione
quadrata con angoli smussati:
per tale motivo viene chiamato
in dialetto anche scaluni, perché
la sua forma ricorda il gradino
di una scalinata, o pruvuluni.
La crosta è liscia, sottile,
compatta e di colore giallo
dorato o paglierino tendente
al marrone con il protrarsi
della stagionatura. La pasta è
compatta e al taglio si presenta
di colore bianco tendente al
giallo paglierino più o meno
intenso. Per la stagionatura,
le forme del Ragusano D.O.P.
vengono legate a coppia con
sottili funi e poste a cavallo
di appositi sostegni, così
da garantire una perfetta
aerazione dell’intera forma. La
maturazione può durare per
un periodo che va da quattro
mesi ad oltre un anno, in base
al tipo desiderato: la qualità di
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 382
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Marchiatura del Ragusano DOP Masseria nel Ragusano
questo formaggio è tale che
la complessità di sapori e di
profumi aumenta con il passare
del tempo e il miglior Ragusano
ha dagli otto ai ventiquattro
mesi di stagionatura. Il prodotto
può essere affumicato solo
con procedimenti naturali
e tradizionali; in tal caso la
denominazione di origine deve
essere seguita dalla dicitura
affumicata.
Vini consigliati per l’abbinamento:per il prodotto meno stagionato
Cerasuolo di Vittoria, Etna
Rosso, Faro; per quello
stagionato Marsala; mentre ad
un Ragusano con stagionatura
oltre i diciotto mesi si può
piacevolmente accostare del
miele di carrubo (o castagno)
abbinando un Moscato Passito
di Pantelleria.
Caratteristiche e fasi
di produzione
Il caciocavallo Ragusano
DOP ha una tipica forma
rettangolare (altezza 13-15 cm
e lunghezza 40-45 cm), pesa
normalmente più di 10 chili.
Tipo di formaggio: a pasta
compatta morbida. Il latte viene
filtrato in un grande recipiente
di legno - spesso fasciato in
rame - e viene aggiunta la
pasta di caglio d’agnello o di
capretto. La cagliata è pronta
dopo più di un’ora: viene rotta
in granuli della dimensione di
una lenticchia con un’asta di
legno che termina a forma di
disco. Contemporaneamente,
viene aggiunta acqua a 80°C,
per una prima cottura; quindi,
la cagliata viene depositata
dentro dei canestri da cui viene
fatto uscire il siero. Di seguito,
viene eseguita una seconda
cottura della cagliata, sempre
a 80°C, che termina dopo
un paio d’ore, utilizzando la
scotta, residuo della ricotta.
Infine, la cagliata viene riposta
nei canestri per completare il
filtraggio del siero e qui viene
lasciata riposare per venti
ore per far maturare il giusto
grado di acidità e il sapore.
Dopo questo tempo la pasta
densa viene tagliata a fette e
posta nello staccio, un altro
recipiente in legno o in rame su
cui viene versata acqua calda
che serve a far filare la pasta.
Le forme vengono immerse,
poi, in piccole vasche di acqua
e di sale per la prima salatura.
Possono restare in questo
stato di salamoia da due o otto
giorni, a seconda del peso delle
forme. Infine, vengono portati
alla stagionatura (spesso in
locali ricavati da grotte naturali).
Nei centri di stagionatura avviene
la seconda salatura, che dura
circa trenta giorni. Al termine di
questa fase le forme vengono a
coppie a cavallo di travi di legno
e controllate periodicamente.
Il “Ragusano” viene lasciato
maturare per un periodo che va
da quattro mesi ad un anno, in
base al tipo desiderato.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 83
speciale Sicilia
Il Segretario in compagnia dei sommelier della FSI-BRASIL
Luigi Mastrocicco all'assaggio
Graziella Cescon
L'arrivo del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
La delegazione dei Sommelier Brasiliani Lo stand della nostra rivista
Cristiano Ribeiro, Roberto Rabachino, Jefferson Nunes, Pres. FSI-Brasil, Vittorio Cardaci, Marcio Muller, e Mario Del Debbio
F.I.S.A.R.
protagonista
vinitaly 2010 Il Conte Lucio Tasca con Vittorio Cardaci
Tiziana Baldassari alla postazione FISAR allo stand di Toscana Promozione
Il Presidente Cardaci con Lucia Buffo capo redattore RAI TG2 premio Carpenè Malvolti
Il nostro stand istituzionale Francesca, Lavinia, Enza e Giusy hanno accolto i visitatori agli stand
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 386
diVinandoDIVINANDO IVINANDO
Presentata al Vinitaly la nuova edizione con una sfida tutta al femminile.
Domenica 11 aprile al Vinitaly la Giornata del Sommelier FISAR allo stand di Carpenè
Malvolti con il Grande Slam Carpenè e le nostre sommelier Fisar che si sono sfidate in una
edizione straordinaria di Divinando.
Tre squadre, rappresentate da tre donne capitane dei rispettivi team sfidanti, ovvero Giusy Certo di
Messina, Michela Taffarel di Treviso e Stefania Sforzi di Montecarlo di Lucca, si sono affrontate in
una sfida-degustazione “all’ultima bollicina” per identificare il neonato Petit Manseng tra quattro vini de
L’Arte Spumantistica Carpenè Malvolti attraverso le caratteristiche organolettiche distintive.
Ad aggiudicarsi la gara è stata la giovane Giusy Certo, ventottenne di Milazzo (ME) che si è abilmente
destreggiata tra le fini differenze individuando le note sensoriali del Petit Manseng Carpenè Malvolti nella
prima sfida e del Viognier nello spareggio.
Prima della premiazione, il Presidente Nazionale FISAR - Vittorio Cardaci Ama, ha pubblicamente
ringraziato la Rosanna Carpenè per la manifestazione che, ormai da quattro anni, vede la FISAR
festeggiare i propri associati alla Carpenè Malvolti durante la kermesse veronese.
Durante la manifestazione, il Segretario Nazionale Mario Del Debbio ha presentato al pubblico la prossima
terza edizione del Trofeo Divinando, torneo a squadre tra le delegazioni Fisar dedicato al vino in tutte le
sue sfaccettature, attraverso quesiti teorici sulle caratteristiche dei vini e prove di “abilità” di varia difficoltà.
Teatro della fase finale del concorso, come avviene già da due edizioni, sarà - l’ultima
settimana di ottobre - una cantina storica di Conegliano Veneto, ovvero quella di Carpené.
Le iscrizioni al torneo inizieranno il 15 maggio, per chiudersi il 20 giugno, mentre le eliminatorie si terranno
nella prima settimana di settembre.
Nalla stessa giornata, Carpené
Malvolti ha consegnato il “Premio
Carpené Malvolti ai protagonisti della
comunicazione” a Lucia Buffo,
capo redattore RAI del TG2 e
inviata per le Rubriche “Eat Parade”.
La vincitrice, intervistata dal direttore
della rivista Il Sommelier Roberto
Rabachino, è stata premiata con
una Magnum dorata di Prosecco
Carpené Malvolti e con una
pergamena attestante il premio
ricevuto.
2010
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Giusy Certo tra Laura Sandoli e Rosanna Carpenè
Giusy Certo tra Laura Sandoli e Rosanna Carpenè
diVinandodiVinando2010
FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI RISTORATORI
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Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 388
Forte dei Marmi ha accolto
con entusiasmo gli amici
fisariani regalandogli una
calda domenica di primavera. Lo
splendido scenario di Villa Bertelli
ha fatto da sfondo alle interessanti
degustazioni che i banchi di
assaggio della manifestazione
FORTE DIVINO offrivano ai
partecipanti. Ma è nella mattinata,
durante i seguitissimi lavori, che la
FISAR ha dimostrato il suo oramai
conclamato rinnovamento. Un
rinnovamento iniziato nel 2003
e che ha portato la Federazione
ad occupare in modo stabile
un posto di primaria importanza
nella sommellerie italiana. Un
successo testimoniato dal
continuo e crescente interesse
che il mondo dell�enogastronomia
rivolge ai nostri sommelier. La
nostra professionalità è ormai
partner ufficiale di tantissime
manifestazioni. Ciò nonostante
sono molti gli impegni che
ancora dobbiamo affrontare.
Per questo, domenica mattina,
una sala gremita di soci in
rappresentanza della grande
maggioranza delle Delegazioni
italiane, ha registrato la volontà di
fare un ulteriore sforzo. Quello di
percorrere questi ultimi metri che
devono portarci definitivamente
nel futuro, con un impegno ed
un�attenzione ancora maggiori.
Sappiamo tutti benissimo che,
dopo una corsa lunghissima,
trovare la forza per alzarsi ancora
sui pedali è prerogativa solo dei
grandi campioni, ma è proprio
questo che i soci presenti in
assemblea hanno promesso
di voler dimostrare. Ognuno di
noi si è assunto un impegno
preciso con la consapevolezza
che il tempo per attuarlo è molto
breve. Ad autunno ci ritroveremo
tutti a Castelbrando (TV). Lo
splendido castello medievale
accoglierà infatti il Congresso
annuale al quale sicuramente
saranno abbinate riunioni
tecniche ed organizzative. Quello
che riusciremo a fare in questi
pochi mesi è fondamentale per
decretare fin da subito un grande
exploit nel 2011 ed arrivare
pronti e decisi all�organizzazione
dei festeggiamenti dei 40 anni
di FISAR nel 2012 con evento
veramente memorabile. Un
ringraziamento alla Delegazione
Fisar Versilia per l�impegno
profuso nell�organizzazione
di questa Assemblea e un
ringraziamento particolare anche
al comitato organizzativo di
FORTE DIVINO per la splendida
accoglienza che ci hanno riservato
coronata dal Premio giornalistico
internazionale FORTEDIVINO
2010 che lo stesso comitato ha
deciso di assegnare a ROBERTO
RABACHINO, presidente ASA e
Direttore della nostra rivista.
A CASTELBRANDO, NEL CONGRESSO AUTUNNALE, LA VERIFICA DEI NOSTRI IMPEGNI.
Speciale Assemblea
Appena il tempo di archiviare la bella assemblea
di Forte dei Marmi e già si pensa al prossimo appuntamento.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 388
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 89
Speciale AssembleaIl delegato Flavio Nuti durante il suo intervento
Luisella Rubin parla
delle DONNE della FISAR
Baglietti, Del Debbio, Priscilla Occhipinti e Vittorio Cardaci
I sommelier della Delegazione Versilia
Il "grande" MarzioRoberto Rabachino con il Premio Fortedivino 2010
I Soci in sala
Carlo Stasi apre le danze
Grappa Nannoni con etichetta
personalizzata
Del Debbio impegnato
con il distintivo FISAR
donato a Priscilla OcchipintiL'inizio dei lavori dell'assemblea
FORTE DIVINOMagiche Degustazioni
I Soci in assemblea
Quante volte abbiamo percorso l’autostrada
del Brennero in direzione nord, che dopo
il lago di Garda si incunea nella catena
delle Prealpi; Questi monti hanno sempre suscitato
un fascino particolare perché difficilmente capita
di poter ammirare così tanti rilievi, molte volte
imbiancati dalla neve, comodamente seduti in
macchina, e così vicini; un paesaggio fiabesco
che non smette mai di meravigliarci ogni volta che
la percorriamo. Dopo la città di Trento la valle si
apre, e gli osservatori più attenti, non si saranno
fatti sfuggire le distese di vigneti a pergola trentina
che caratterizzano la Piana Rotaliana. Siamo nel
regno del Teroldego: Il vino rosso che identifica
questa terra. Il fiore all’occhiello del Trentino è lo
spumante metodo classico, il vino più esportato
in tutto il mondo con quelle fragranti bollicine
oramai riconosciute su qualsiasi tavola, ma i
trentini definiscono il Teroldego come il “principe
dei vini trentini”: quel bel rosso di corpo, pieno ma
elegante. Il vino è prodotto esclusivamente con le
uve del vigneto omonimo. È un vitigno autoctono
e recenti studi hanno individuato molte affinità
con il Lagrein e il Marzemino, “cugini” di casa che
danno eccellenti risultati in aree attigue. Cresce
solo in questa zona, se infatti viene coltivato in
altre zone, pur con lo stesso sistema di impianto
e di cure colturali, produce risultati deludenti e
Il Principe dei vini Trentini: Il Teroldego
Rotaliano
Un vino di montagna profumato ed elegante“ ”
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 390
di Luca Iacopini e Massimo Bracci
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 91
completamente diversi, ne sono un esempio in
Veneto, in Lombardia e in altre zone del Trentino.
Quindi la piana Rotaliana con il suo territorio e il
suo microclima è l’habitat ideale.
Il nome sembra derivi da Tirodola, una modalità
di coltivazione che prevede l’uso delle tipiche
“tirelle” che costituivano il tutore vivo a cui si
reggeva la vite. Vi è anche una tesi più mitica
che vuole il nome derivato da “Tiroler Gold”, l’oro
del Tirolo, così come il vino veniva chiamato alla
corte di Vienna, infatti era estremamente popolare
in Austria, Germania e Svizzera alla fine del XVIII
secolo, ma più realisticamente l’origine sembra sia
da ricercare sul nome di un posto locale, la località
Teroldeghe, nel comune di Mezzolombardo.
Grappoli grandi affusolati capaci di produrre il
doppio di un normale vitigno autoctono italiano. Il
Teroldego con un buon livello qualitativo riesce a
dare anche dieci tonnellate di uva per ettaro.
Attualmente il sistema di allevamento più usato è
la pergola trentina caratterizzata dal tetto inclinato
leggermente verso l’alto di 20-30° rispetto al palo
verticale. La pergola trentina necessita di una
palificazione complessa e piuttosto onerosa ma
è stata pensata per ottimizzare l’esposizione al
sole e il perfetto circolo dell’aria tra i filari dove si
possono produrre frutti asciutti e sani. I capi della
vite vengono appoggiati a raggiera sul tetto della
pergola e potati a Guyot.
Il Campo Rotaliano su cui si coltiva la vite è una
zona pianeggiante che ricade nei comuni di
Mezzacorona, Mezzolombardo e San Michele
all’Adige tutti in provincia di Trento. Il territorio è
caratterizzato da una struttura alluvionale formatasi
con le frequenti esondazioni del fiume Noce, con
presenza di limo e ghiaia in superficie, sabbia e
ciottoli in profondità, quindi un ottimo drenaggio
anche se variabile da zona a zona. Dal punto di vista
climatico questa “piana” è protetta dai venti grazie
a queste alte pareti rocciose. Il vino è prodotto
esclusivamente con le uve del vigneto omonimo,
può essere anche nella tipologia Superiore se
ha una gradazione alcolica minima di 12 gradi e
riserva se invecchiato almeno due anni in cantina
prima della sua commercializzazione. Esiste anche
la versione rosato che deve avere una gradazione
minima di 11,5 gradi.
Abbiamo degustato un vino fra i vini simbolo di
questa terra: Teroldego Rotaliano 2005 della
cantina Foradori di Mezzolombardo con gradazione
alcolica
di 13°.
Si presenta con
un colore quasi impenetrabile, rubino carico con
sfumature violacee.
Al naso si caratterizza da profumi intensi e fini.
All’inizio predomina la frutta rossa come la ciliegia
e la mora, dopo pochi secondi si apre con uno
spettro di profumi variegato dovuto anche al
passaggio in barrique come la noce moscata e
sentori di sottobosco: humus. In bocca è fresco,
sapido e morbido, lungamente fruttato che
confermano i sentori olfattivi. Ha un ottima acidità
che fa da giusto contrasto con la sua struttura,
equilibrato. Il tannino è setoso, in bocca sentiamo
dei sentori minerali e della buona sapidità,
caratteristica principale di questi terreni. È un vino
di ottima struttura e ci lascia la bocca in perfetta
sintonia.
È un da servire ad una temperatura di 14-16° e
magari alcune versioni come il superiore o vecchie
annate anche a 18°. I Teroldego giovani sono
ideali da abbinare ai primi piatti semplici ma saporiti
come i piatti trentini, ottimo anche con frittate
farcite e affettati. Le versioni invecchiate e
strutturate prediligono la carne e i formaggi
stagionati. Possiamo solo concludere
confermando che da questa meravigliosa valle
nasce un vero vino principe.
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 392
Collana Coltura & Cultura
Editore: Bayer CropScience
Autore: vari
L’agricoltura italiana ha oggi due necessità non sempre facili da conciliare: saper innovare ed avere la fiducia dei consumatori. Come comunicare dunque l’innovazione? Non solo attraverso un’informazione tecnico-scientifica, ma piuttosto con una comunicazione “integrata” che preveda di comunicare le ragioni ed i benefici dell’innovazione, la cultura e i valori della nostra agricoltura, senza appiattirsi sulla retorica dei “buoni sapori di una volta”, e, che sappia affiancare innovazione ad altri aspetti dell’agricoltura, sicuramente apprezzati dai consumatori; in altre parole che rimetta l’agricoltura nella cultura, e la cultura nell’agricoltura.In linea con questi principi, Bayer CropScience ha reso possibile la realizzazione della collana “Coltura & Cultura”, che ha come primo scopo quello di far conoscere i valori della produzione agroalimentare italiana, della sua storia e degli stretti legami con il territorio.
Info: www.colturaecultura.it
ladi
Biblioteca di Gladys Torres
Gladys
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 93
L’Atlante dei vini Spumanti Editore: Carlo Cambi Editore
Autore: Andrea Zanfi
Costo: 130,00 euro
L’Atlante degli Spumanti d’Italia (due volumi indivisibili in prestigioso cofanetto: “Metodo Classico di Territorio” e “Metodo Classico di Vitigno”) è un’opera importante, completa, informativa e didattica, che pensiamo contribuirà a fornire chiarezza e un’ulteriore promozione al movimento produttivo delle bollicine italiane. Un lavoro di grande pregio, in conformità agli alti standard qualitativi delle pubblicazioni della Carlo Cambi Editore. Il lettore potrà scoprire in quest’opera le migliori aziende produttrici di Spumante Metodo Classico - interpretate da Andrea Zanfi con la sua solita metodologia originale - e attingere altresì le informazioni complete sulla produzione degli Spumanti, sui territori, sui vitigni utilizzati, sulle fasi della vinificazione, le caratteristiche dei vini selezionati, la degustazione e molto altro... Hanno collaborato per i testi inseriti all’interno del doppio volume il prof. Attilio Scienza dell’Università di Milano, la Ager s.c. Agricoltura e Ricerca, Giampietro Comolli del Forum degli Spumanti d’Italia, gli enologi Stefano Capelli e Mattia Vezzola. Un libro da leggere, da consultare, da tenere in biblioteca, ma anche semplicemente da sfogliare e da gustare con gli occhi - grazie anche alle splendide fotografie inedite di Giò Martorana. Un nuovo e importante tassello che consente a tutti i lettori, siano essi semplici appassionati o professionisti del mondo del vino, di avere una fotografia dettagliata del movimento spumantistico italiano e dei suoi protagonisti.
Raboso del Piave - Fascino della terra Editore: Dario De Bastiani
Autore: vari
Costo: 25,00 euro
Vitigno autoctono della Marca Trevigiana, coltivato da sempre lungo le rive del fiume Piave, dal quale si ricava un grande vino da invecchiamento ricco di personalità e fascino, espressione di storia, cultura e tradizione. Scritto in italiano ed inglese, questo testo è un progetto volto a rivalutare l’autenticità del Raboso del Piave, in cui si alternano le immagini di viti e cantine, con antiche scene rupestri e rare cartine topografiche del bacino della zona “DOC Piave”. Si rievocano le usanze paleovenete, con uno sguardo che attraversa il presente e si protrae al futuro, inseguendo gli aspetti tecnologici più raffinati. Lo sguardo è concentrato sulla cultura più vera di un popolo in cui si basano le tradizioni e le radici di un’epoca che non potrà essere dimenticata. Nel libro “Il Raboso del Piave (207 pagine) sono raccolte le preziose testimonianze degli autori sul tema Raboso: Antonio Calò, già direttore dell’Istituto Sperimentale per la viticoltura; Francesco Francini, nutrizionista e docente all’Università di Padova; Paolo Lauciani, giornalista della rubrica Gusto del Tg5; Giampiero Rorato, studioso di enogastronomia; Diego Tomasi ricercatore del Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano (TV).
ladi
BibliotecaGladys
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3
news dall'Italia
94
Vinitaly caput mundi dell’enologia,
con un incremento del 4,4% de-
gli operatori esteri per un totale di
47.000 provenienti da oltre 110
Paesi e soprattutto da nuovi merca-
ti, per un totale di 152.000 presen-
ze. Oltre 2.500 giornalisti accredita-
ti, in arrivo da oltre una cinquantina
di Paesi. “La mia soddisfazione più
grande – afferma Ettore Riello, pre-
sidente di Veronafiere – è aver visto
ritornare la fiducia sul volto degli
espositori, che hanno potuto con-
statare il lavoro svolto dalla squadra
di Vinitaly per incrementare la pre-
senza di operatori”. “Per raggiunge-
re questo risultato – dice Giovanni
Mantovani, direttore generale di
Veronafiere - Vinitaly ha realizzato
massicce azioni di marketing diret-
to sui principali mercati e ha porta-
to a Verona delegazioni qualificate
da Nord, Centro ed Est Europa,
Russia, ma anche da Usa, Canada
e Australia, Paesi mediterranei, Asia,
Estremo Oriente, America Centrale
e Meridionale”.
“Storica per questo Vinitaly la visita
del presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano – ricorda Riello
– che ha dato al settore la misura
dell’attenzione delle istituzioni e uno
sprone a guardare avanti. Per questo
è di buon auspicio l’idea condivisa
con il presidente della
Repubblica di indire un concorso
per realizzare la bottiglia celebrativa
del 150° dell’Unità d’Italia, da
presentare insieme al Vinitaly del
prossimo anno (7-11 aprile 2011)”.
“Questo è stato il Vinitaly della
serenità, abbiamo lavorato fin dal
primo giorno di manifestazione e
c’è la coscienza che il settore può
uscire più velocemente di altri dalla
crisi”. Lo dice Sandro Boscaini
della Masi, ma dello stesso parere
sono altri storici produttori, da
sempre presenti al salone del vino
di Verona. “Un Vinitaly di successo,
con una buona affluenza di operatori
italiani e stranieri», dice Lamberto
Vallarino Gancia, e Andrea
Sartori conferma, sottolineando
“l’ottimismo che si respira e che
rassicura sulla volontà di
lasciare alle spalle un periodo
difficile”. Molto bene anche per
Francesco Zonin: “Al di là
dei numeri, l’aspetto più
positivo è proprio l’ottimismo.
Ben organizzato Vinitaly, che
ha visto gli operatori stranieri
concentrati soprattutto nei primi
due giorni”.
“È andata benissimo, abbiamo
visto i nostri importatori, ma ne
abbiamo incontrati anche di nuovi,
tra i quali anche cinque-sei società
russe”, dice Jacopo Biondi Santi.
Molto soddisfatta pure Francesca
Planeta, che ha visto spazzata via
la paura che aleggiava nel 2009:
“Buona l’affluenza dai mercati esteri”,
confermata da Lorenzo Biscontin di
Santa Margherita: “Parecchi i contatti
di business senza appuntamento
e ho sentito che anche altre
cantine hanno fatto affari. Presenti
quest’anno Sudamerica, Turchia,
ma anche Nord Europa”.
“Il segnale di questo Vinitaly è che i
mercati stanno andando bene, con
la presenza qui a Verona di tutti i
principali partner stranieri asiatici e
nordamericani, ma abbiamo avuto
anche nuovi contatti da Ungheria,
Ucrania e Kazakistan. La crisi c’è
ancora, la differenza – spiega Alberto
Chiarlo – è che adesso il mercato
si concentra sui marchi che danno
garanzie e sicurezza, così c’è una
dicotomia sempre più accentuata
fra cantine che vanno bene e
quelle che fanno fatica”. Nuovi
contatti pure per Masciarelli: “Siamo
soddisfatti dell’andamento generale
e dei contatti con italiani e operatori
internazionali. Sull’organizzazione,
poi – dice Rocco Cipollone – nulla
da eccepire”. “Complimenti al
presidente di Veronafiere Ettore
Riello” li fa Gianluca Bisol, “per
l’intensità di eventi e incontri
importanti di grande forza attrattiva.
Qualificata la presenza di importatori
con la firma di accordi di distribuzione
per i mercati dell’Est europeo e
dell’America Latina”.
Un Vinitaly 2010 da recordRecord storico di visitatori stranieri alla rassegna, che ha visto anche per la prima volta nella sua storia la visita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Torna la fiducia tra i produttori.
Ufficio Stampa Verona Fiere
in famiglia
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 95
La Delegazione di Milano consegna gli attestai di 1° livello20 nuovi aspiranti sommelier hanno ultimato con impegno
e ottimo profitto il corso di 1° livello nella Delegazione
di Milano e hanno ricevuto il 27 aprile gli attestati di
partecipazione durante una cena al ristorante “Lo
Chalet” di Opera, dove lo chef Stefano Jelo ha proposto
un menu di sua creazione: Theobroma l’alimento degli
Dei, accostando tradizione e innovazione. Tema della
serata cioccolato “dolce e salato”, un accostamento
audace ma molto interessante che è stato apprezzato e
discusso dai commensali, abbinato con insolia Principi
di Butera, aglianico del Vulture delle cantine Maschito e
un zibibbo liquoroso.
Si è poi proceduto alla consegna degli attestati dal
delegato Gianni Longoni e dal segretario Carlo Boggero,
presente il consigliere di delegazione Emanuela Terrazzini
Zini ai soci:
Bonanno Oscar, Invernizzi Mauro, Colombo Franco,
Geraci Lucrezia, Versari Silvia, Tuason Margarita,
D’agata Francesco, Melli Matteo, Gallo Silvia, Graziano
Giovanni, Meneghini Barbara, Suardi Elisa, Bellone
Filippo, Boggero Dario, Gabbioneta Giovanna, Rosa
Luigi, Garbarino Alice.
Con l’occasione sono stati consegnati anche gli attestati
ai seguenti partecipanti di un minicorso che si è svolto
nel mese di aprile: Vanni Di Giustino, Elena Ricci, Fabio
Di Petrillo, Marco Prato, Damiano Baccelloni, Darya
Deliyeva, Edoardo Sforza, Carmen Canillas, Enea Da
Olio, Daniela Lipari. La serata si è conclusa con un
brindisi augurale e un arrivederci al prossimo corso di
2° livello.
Notizia inviata dalla segreteriadella Delegazione FISAR di Milano
Consegnati a Milano gli attestati di 2° livelloIl 26 marzo al ristorante Café Canottieri Milano, storico
luogo d’incontro milanese tra sport e buona cucina
gestito dal socio Vittorio Zaccagni, sono stati consegnati
gli attestati ai partecipanti al corso di secondo livello
della delegazioone di Milano. Il tema della serata è
stato il Veneto ed il menù è stato rispettoso della
tradizione gastronomica della regione, accompagnato
dai vini delle Tenute Zonin proposti dall’amico sommelier
Bartolomeo Mansi.
Agazzi Tiziano, Barbieri Giovanna, Bulgheroni Emanuele,
Contrafatto Omar, Crovetto Mario, Danelli Daniele,
Delduca Igino, Fachini Maria Teresa, Guidara Massimo,
Hassmueller Cornelia, Longoni Cristina, Nannini
Leandro, Olewczyska Ewa, Pintos Sinai, Rizzi
Carolina, Boselli Enrico, Santoro Francesco,
Terrazzini Zini Emanuela, Uberti Anna, Venagli
Laura, Zaccagni Vittorio, Zaccagni Andrea,
Zerbini Mario hanno superaro con ottimo profitto
il test di verifica e la consegna degli attestati da
parte del delegato Gianni Longoni e del segretario
Carlo Boggero ha coronato una serata all’insegna
della cordialità e amicizia.
Notizia inviata dalla segreteriadella Delegazione FISAR di Milano
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3
in famiglia
96
Se fosse stata a Hollywood, cuore del mondo
cinematografico, il premio sarebbe certamente
stato un Oscar. Del resto, fantasia e creatività
ci sono tutte. Il prestigio, anche, e a vincerlo
per ben due volte (caso unico per un’azienda
vitivinicola siciliana) è stata “Al-Cantàra” del
produttore Pucci Giuffrida di Randazzo, sull’Etna.
I premi, assegnati all’azienda pochi giorni prima
dell’apertura del Vinitaly 2010, sono la Medaglia
d’Oro per l’etichetta “Occhi di ciumi” e la
Gran Menzione per l’etichetta
“La fata galanti”, nell’ambito del “Concorso
internazionale Packaging”.
Ad affascinare la qualificata giuria del concorso è
stato il messaggio culturale, fortemente legato alla
qualità dei vini siciliani, che “Al-Cantàra” da anni ha
messo in commercio, gettando un ponte ideale
tra vino, arte e poesia. Una mission vincente,
visto che già al Vinitaly 2008 la Gran Menzione
era andata a un’altra etichetta dell’azienda, “O’
scuru o’ scuru”, annata 2005.
Il messaggio culturale è già nella presentazione
delle bottiglie dell’azienda, con etichette tratte da
opere di scrittori siciliani, come Nino Martoglio
e Luigi Pirandello, e illustrate da insigni pittori. I
nomi sono significativi: “Luci luci”, “Cappiddazzu
paga tuttu”, “ ‘A nutturna”, “Lu disìu”, con il merito
di esportare l’arte siciliana, oltre al prodotto dei
rinomati vitigni del vulcano.
Anche la storia di Pucci Giuffrida è interessante,
un po’ da self made man siciliano: commercialista,
appassionato di vino, introdottosi nel mondo
enoico con un corso per sommelier F.i.s.a.r. (di
cui è ancora orgogliosamente socio!), da alcuni
anni ha deciso di investire nella produzione
vitivinicola, ottenendo prestigiosi successi in
manifestazioni internazionali come il Vinitaly. E
proprio la “sua” delegazione F.i.s.a.r., quella
etnea, ha deciso nei giorni scorsi di festeggiare
le etichette “Al-Cantàra” con una piacevole serata
di degustazione e di letture di poesie organizzata
al Katane Palace Hotel di Catania, alla presenza
del presidente nazionale F.i.s.a.r., Vittorio Cardaci
Ama, del delegato provinciale, Gaetano Prosperini,
del segretario di delegazione, Carlo Guzzardi, e di
numerosi soci. Ad essere degustate sono state
le produzioni vecchie e nuove dell’azienda, a cui
è andato l’augurio F.i.s.a.r. per sempre più grandi
successi ( nella fotografia Pucci Giuffrida con il
Presidente Cardaci).
La Delegazione di Catania festeggia Pucci Giuffrida
Notizia inviata da Antonio Iacona Delegazione di Catania
XXVII Primavera in Valdichiana.La Delegazione FISAR Valdichiana a Montefollonico
Un piccolo ma accogliente borgo medievale,
Montefollonico di Torrita di Siena ha ospitato sabato 27
marzo 2010, al Ristorante “Il Medioevo”, la Delegazione
FISAR Valdichiana che ha celebrato la sua ”Primavera in
Valdichiana“ sposando una fresca aria di montagna ad
una invitante cena di pesce calabrese. La Manifestazione,
che da 27 anni si rinnova puntualmente in vari locali del
territorio, mira a valorizzare ogni anno la cucina tipica di
una regione italiana in abbinamento ai rispettivi vini.
La Delegazione consegna, in questa occasione, un
premio di riconoscimento per l’attività svolta nel campo
enogastronomico da un giornalista, un enologo o
un cuoco e quest’ anno il premio è stato assegnato
al Commendatore Pierluigi Stiaccini, cuoco di fama
internazionale che in Castellina in Chianti
opera nel locale di famiglia l’ “Antica
Trattoria la Torre“ risalente al 1860.
Lo spirito avventuroso e creativo di Pierluigi
lo ha portato e lo porta tuttora in giro per
il mondo quale testimone e maestro della
cucina italiana e prevalentemente toscana
di cui ci rende grandemente fieri.
Non sono comunque mancati altri
ospiti quali giornalisti, personalità
dell’Amministrazione comunale di
Torrita e Sinalunga,rappresentanti
dell’AICOO, e poi i Soci fisariani che
hanno degnamente fatto onore ai
cuochi calabresi Biagio e Umberto Di
Marco che dalla Trattoria di famiglia
“A’ Campagnola” in Gallina Di Reggio
Calabria hanno portato e cucinato i loro succulenti piatti
di pesce caduto nella rete solamente il giorno prima. È
stato un cammino di sapori marini fatto di stocco, alici,
cozze, gamberoni, pesce spada,moscardini ed altri
manicaretti che accostati ai vini calabresi della Casa
Vinicola CRISERA’ di Reggio Calabria hanno regalato
ai commensali una serata particolare, terminata da un
brindisi finale con un Moscato d’Asti D.O.C.G. “Castello
del Poggio“ di Portocomaro d’Asti.
Durante la cena si è rinnovato l’appuntamento per la
consegna dei tulipani che quest’anno si sono vestiti
solamente d’oro. L’ambito traguardo è stato raggiunto da:
Masiello Claudia, Palmerini Luciana, Senserini Roberto.
Ad essi vanno le nostre più sentite congratulazioni.
A complemento della Manifestazione non poteva
logicamente mancare il servizio dei Sommelier della
Delegazione Valdichiana: Palmerini Luciana (responsabile
Sommelier), Laurini Giorgio, Sensi Marilena, Senserini
Roberto, Passeri Michela, Magi Leonardo hanno fatto
da Tutor ai Neo Sommelier, Del Buono Luca, Farfarini
Sabrina, Morello Simona, Paoloni Roberto, che durante
la cena sono stati investiti ufficialmente dello stemma
F.I.S.A.R. e del tasteven insieme agli altri diplomati del
corso di 3° livello conclusosi il 25 febbraio 2010: Spada
Pierluigi, Baldini Giorgio, Tedeschi Marco, Paoloni Marco,
Mannucci Federico, Silvi Gabriele, Liccardi Mario,
Ca rnasc i a l i
Giuseppe, La Fauci Sara, Menchini Fabiana,
Pietrini Pierangelo, Presenti Andrea; hanno premiato il
Vicepresidente Masiello Nicola, Il Delegato Emma Lami,
Il Consigliere nazionale Franco Rossi,il segretario Magi
Leonardo, Il Tesoriere Esposito Amedeo, Il Resposabile
dei Sommelier Palmerini Luciana, il Direttore di Corso
Senserini Roberto.
La serata si è conclusa con il gentile omaggio alle signore
di una rosa nella calda atmosfera della sala medievale
del Ristorante.
in famiglia
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 97
La notizia è inviata dal Delegato Emma Lami
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3
in famiglia
98
“Ad Maiora!” L’evento nei Castelli di Jesi
Notizia inviata da Giovanni Elce Fabbretti della Delegazione dei Castelli di Jesi
Si è svolto sabato, nell’elegante
cornice del Ristorante dell’Hotel
Federico II di Jesi l’evento “Ad
Maiora!” organizzato dalla
Federazione Italiana Sommelier
Albergatori Ristoratori (F.I.S.A.R.)
Delegazione dei Castelli di Jesi,
per festeggiare la qualifica dei
primi Sommelier che hanno
frequentato i corsi interamente
nella Delegazione stessa, nata
a Maiolati Spontini nel dicembre
del 2007 per iniziativa di un
gruppo di appassionati e che
conta oramai 100 soci nella
provincia di Ancona.
I Sommelier hanno fatto il loro
percorso di formazione nel 2008
e 2009 ed hanno sostenuto
l’esame, estremamente
selettivo, il 18 gennaio 2010
presso l’Albergo la Torre di Moie
di Maiolati Spontini. Questo a
coronare un percorso di studi
certo non facili ma nel quale
gli allievi si sono impegnati
fortemente e con passione
per conseguire la preziosa
qualifica; grande soddisfazione
anche nel Consiglio Direttivo
della Delegazione che ha fatto
un grosso sforzo organizzativo
per poter permettere questo
risultato, coronato anch’esso
dalla valutazione positiva del
corso data dalla Commissione
di Valutazione Nazionale.
L’evento intitolato “Ad Maiora!”
proprio come auspicio per più
grandi futuri traguardi si è svolto
nel Ristorante dell’Hotel Federico
II di Jesi con un menù a base di
carne sapientemente preparato
dallo chef in abbinamento ai vini
di una delle realtà emergenti più
importanti dell’attuale panorama
enologico marchigiano ovvero
la Cantina Cològnola (Az.
Agraria Lombardi Antonietta),
presentati da Corrado Drudi,
titolare dell’azienda.
Al termine dell’evento, prima
della consegna delle qualifiche
e dell’ambito tastevin, ormai
simbolo internazionale dei
professionisti del settore,
il Delegato Giovanni Elce
Fabbretti ha voluto ringraziare
gli organizzatori dell’evento i
Sommelier Stefano Cantarini e
Luciano Todisco, il Consigliere
Nazionale Franco Rossi ed ha
quindi augurato ancora una
volta un percorso professionale
pieno di grandi successi ai
nuovi Sommelier: Barbara
Scaloni, Francesca Perini, Paola
Balducci, Andrea Bonvecchi,
Sauro Bini, Silvano Zannotti,
Paolo Sartini, Stefano Argentati,
Matteo Sticozzi, Alberto Cerreti,
Flavio Maria Federici.
Alla scoperta della Lunigiana con la Delegazione di Pisa e litoraleLa delegazione di Pisa e litorale, sempre alla ricerca
di nuovi vini da proporre ai suoi soci, ha organizzato
una degustazione di vini della Lunigiana.
Questa storica regione, a cavallo tra Toscana e
Liguria, incastonata come un gioiello dai dolci riflessi
del mare della Versilia, tra l’Appennino, le Alpi Apuane
e il Mar Ligure, produce vini poco conosciuti, ma
dalle interessanti potenzialità. Attualmente i suoi
confini includono 14 comuni della media e alta Val di
Magra in Toscana e in Liguria, la cittadina di Sarzana,
Luni e tre comuni alla sinistra del Magra. Boschi,
colline, aspre montagne, caratterizzano il paesaggio
dove antichi borghi testimoniano le
antiche vicissitudini della regione.
Molti i popoli che hanno cercato
di dominare queste terre partendo
proprio dall’antico porto di Luni, che
a partire dal II secolo avanti Cristo,
ha visto succedersi il domino dei
Romani, dei Liguri e dei Longobardi.
Gli antichi borghi e le storiche dimore
dei Malaspina, che nel medioevo
estesero il loro dominio su queste
terre, testimoniano le mille vicissitudini
della Lunigiana.
In un territorio così variegato per
condizioni podologiche e climatiche,
nascono varietà antiche, recuperate
solo in tempi recenti, per dare vini
fortemente ancorati ad una terra dalle forti tradizioni
rurali, come la Pollera nera, la Durella, il Vermentino
nero, la Masseretta. I vini di Lunigiana appartengono
alla IGT Val di Magra e alla DOC Colli di Luni.
Il locale che ha ospitato la degustazione, organizzata
dal sommelier e consigliere Luca Barsanti, si chiama
Modus Bibendi di cui è titolare col suo socio, l’amico
Stefano Micheletti, che ha brillantemente conseguito
l’anno scorso il titolo di sommelier professionale nei
corsi Fisar. Il locale, situato in Via Cavalca a Pisa, nel
centro storico vicino al mercato delle Vettovaglie,
mantiene la vecchia architettura con i soffitti a volta di
mattoni rossi, ma con uno sguardo alle linee moderne
più attuali, buona musica di sottofondo, ottima
ospitalità, cucina ben curata e una bella varietà di vini.
Il cuoco ha voluto affidarsi alle ricette lunigianesi per
accompagnare i vini in degustazione.
Il primo vino, a base di uve Ruzzese bianco, storica
varietà a bacca bianca, parente prossima del più noto
Rossese del Ponente ligure, di cui divide l’origine, è
stato abbinato con bordatino tagliato a tocchetti e
fritto. Il vino è prodotto dall’azienda dei Conti Picedi
Benettini, il Chioso di Baccano d’Arcola, in provincia
di Spezia. Azienda dalle origini secolari che ha
creduto fortemente nel recupero
di questa varietà che però, al
momento, non è ancora iscritta
al registro nazionale dei vitigni da
vino. Il vino, vendemmia 2008,
12,5 gradi alcol, è un bianco
dal colore paglierino carico, di
spiccata acidità e sapidità, che
ben si è sposato col primo piatto
proposto.
Come secondo vino è stato
proposto un rosso a base di uve
Pollera, prodotto dal Podere Benelli
della località Oppilo, antico borgo
a pochi chilometri da Pontremoli.
Vino della indicazione Val di Magra,
vendemmia 2007, 13 gradi alcol,
dal colore rosso rubino, spiccata acidità e tannini
ancora vivi. Vino ancora fresco abbinato ottimamente
alla torta d’erbe, a base di finocchio selvatico, carote
e patate.
Terzo vino la Masseretta dell’azienda Cima, nota
azienda di Massa, che produce vini di taglio moderno
con un calibrato uso della barrique per i rossi più
potenti come questo. La Masseretta è coltivata
sporadicamente e quasi esclusivamente nel massese
come testimonia anche il suo nome.
Vino di buona struttura, annata 2007, 13,5 gradi. Il
vino ha accompagnato i coi pieni, involtini di cavolo
in famiglia
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 99
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3
in famiglia
100
verza con carne e aromi.
Infine il Vermentino nero, sempre
di Cima. Vino rosso di struttura,
vendemmia 2006, anch’esso sui
13,5 gradi, con aromi di piccoli frutti
rossi, ribes, mirto e una leggera
nota di legno. L’abbinamento col
coniglio in salsa di pomodoro.
Forse un piatto un po’ delicato di
fronte a un tale vino.
I commenti ai vini hanno animato
la serata e hanno garantito il suo
successo. Lo spirito dell’iniziativa
è stato rispettato grazie anche alla
collaborazione del socio Micheletti
che non tarderà ad ospitare
nuovamente gli amici sommelier e
tutti gli appassionati di Bacco.
Notizia inviata da Simone Canton della Delegazione di Pisa e litorale
La FISAR di Pisa e Litorale
consegna gli attestati di primo
livello nel corso di una cena
organizzata all’ “Osteria La
Madia”in via Che Guevara, 17 a
Pontasserchio. Si è iniziato con gli
antipasti di Barchette di verdure
con mousse di funghi e formaggio,
Bresaola al pompelmo e crostini
toscani con polenta gratinata
accompagnati dal Fiano
d’Avellino DOCG 2008
dell’Azienda Cantina di Tufo.
Ai primi piatti di Caserecce
alle melanzane e Pappardelle
al coniglio è stato abbinato il
Chianti Clemente VII DOCG
2007 dell’Azienda Castelli
del Grevepesa che ha anche
accompagnato il successivo
Cosciotto di maiale e patate
al forno. Per finire, frittelle
dolci, con Passito liquoroso
Pantelleria DOC Buvl’re 2007.
Ottimo il servizio vini eseguito
dai sommelier FISAR, Roberto
Menichetti e Piero Ristori. La
conviviale si è conclusa con
la consegna degli attestati da
parte del delegato Maria Cristina
Messina ai bravi corsisti che hanno
superato l’esame : Alessandra
Bartoli, Alda Battini, Simona Bettini,
Sandro Buchignani, Marika Calò,
Marco Cuocci, Lorenzo Cutelli,
Nicola De Bartoli, Paola Donati,
Anita Falezza, Antonio Filippone,
Simona Fiori, Stefania Ghelardi,
Massimiliano Guerrini, Giada Guidi,
Daniel Manetti, Mariù Masucci,
Mariangela Mazzillo, Melissa Mei,
Stefano Pagani, Carla Ramacciotti,
Amanuel Sikera, Antonio Tosciri,e
Bruna Vinci.
La FISAR di Pisa e Litorale consegna i diplomi
Notizia inviata da Tiziano Taccola della Delegazione di Pisa e Litorale
in famiglia
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 101
Martedì 22 febbraio alle ore
21,00 nella sede formativa della
Delegazione FISAR di Vercelli, presso
la sala conferenze dell’Agenzia
formativa CO.VER.FO.P., si è tenuta
una lezione – degustazione dal titolo
“Barolo e Barbaresco: i signori del
Piemonte” con la partecipazione di 25
sommelier, vari corsisti di secondo
livello e altri ospiti. I vini degustati
sono stati forniti dall’Azienda
“Poderi Colla” e presentati dal dott.
Fiorenzo Cirio, agronomo e Direttore
Commerciale dell’Azienda e dalla
sig.ra Luisa Pezzia, agente di zona.
Sono stati degustati Dardi Le
Rose – Barolo 1996 e 2004 di
Monforte e il Barbaresco di Tenute
Roncaglia annate 1997 e 2005.
Al termine sono stati consegnati
gli attestati e tastevin a 19
nuovi sommelier del corso
terminato nel dicembre scorso.
I nuovi sommelier: Marco Rondinelli,
Andrea Carpani, Fulvio Bovolenta,
Carlo Franciscone, Ambra Bonato,
Paola Ghittino, Milena Armignago,
Maria Rita Cedone, Mario Martinetti,
Luca Campana, Antonio Mordanini,
Massimo Calliera, Roberto
Villarboito, Massimiliano Bellini,
Stefano Monfermoso, Robert
Kennedy Tagliafierro, Roberto
Graziano, Matteo Zingarelli, Davide
Grosso.
Notizia inviata da Claudio Valenza
della Delegazione di Vercelli
Serata di aggiornamento e consegna dei diplomi alla Delegazione di Vercelli
Domenica 7 e Lunedì 8 Marzo
si è svolta a Lido di Camaiore
(Lu), la terza edizione di “Terre di
Toscana” organizzata dal periodico
on line di cultura enogastronomica;
L’AcquaBuona. La manifestazione
si è svolta presso UNA Hotel, un
prestigioso hotel del lungomare
della Versilia durante due bellissime
giornate baciate dal sole. Una
manifestazione di riferimento per
tecnici di settore, i neofiti, i wine-
lovers, gli operatori e gli addetti
ai lavori. Un appuntamento di
alta qualità a livello nazionale.
Cento delle più grandi e storiche
aziende vitivinicole toscane hanno
presentato le ultime annate e non
solo. Le due giornate hanno visto
un grande afflusso di persone.
Grande novità di quest’anno, il
“Come eravamo” con tante vecchie
annate proposte dai produttori la
domenica dalle 14 alle 17, una
sorta di “ricapitolazione” della storia
del vino toscano dalla sua rinascita
in poi con qualche intrigante salto
nelle sue radici profonde. Sono state
degustate bottiglie oramai uniche
come: Badia a Coltibuono Chianti
riserva 1970, Chianti Selvapiana
1979, Castello Monsanto 1982,
Sassicaia 1984, Chianti Grosso
Sanese 1982/1990, Rocca di
Montegrossi 1990, Vin Santo Villa
Petriolo 1968 e molte altri grandi
nomi. Una grande retrospettiva
di vecchie annate selezionate dai
produttori stessi di Terre di Toscana.
Una occasione più unica che rara
per capire percorsi, stili, orizzonti
e vertici. Nella sera di domenica si
è svolta la cena, in compagnia dei
produttori con le oltre 150 etichette
da abbinare liberamente ai piatti
ispirandosi anche al proprio gusto,
a disposizione degli ospiti e di tutti i
vignaioli. Il servizio è stato effettuato
dalla Delegazione Fisar Versilia con
15 sommelier per coprire tutte le
degustazioni e i servizi richiesti
dall’organizzazione.
Notizia inviata da Luca Iacopini
Grande Evento in Versilia a Lido di Camaiore
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3
in famiglia
102
Un bel successo di adesioni ha
avuto il Corso riservato ai soci
sommelier che si è tenuto nei
giorni 3 e 16 dicembre 2009 e
13 e 26 gennaio 2010 presso
l’Istituto Berna di Mestre.
Nato da un idea del
Consigliere Nazionale Giorgio
Pennazzato il corso è stato
creato in collaborazione con
la Dr.ssa Deborah Franceschi
del C.I.R.V.E. (Centro
Interdipartimentale per la Ricerca
in Viticoltura ed Enologia)
della sede di Conegliano
dell’Università degli Studi di PD.
Scopo del corso è stato
approfondire le conoscenze dei
metodi di analisi e di ricerca che
vengono utilizzati in campagna
ed in cantina per arrivare ad un
prodotto finale, il vino, di qualità.
La Dr.ssa Franceschi, ha trattato
i seguenti argomenti:
•La qualità delle uve
analisi tecnica e sensoriale
•La qualità del vini
analisi chimico-fisica
•La qualità del vini
analisi sensoriale
•La produzione degli spumanti
Nel corso dei quattro incontri
sono state illustrate, tra l’altro,
le tecniche di raccolta dei dati
sul campo, cioè in vigna, e gli
strumenti utilizzati come anche
i metodi matematico - numerici
e gli strumenti utilizzati in
laboratorio. Il corso si è chiuso
con la consegna degli attestati
ai partecipanti, che si sono
portati a casa pure un notevole
arricchimento “enotecnico”.
Finalmente i numeri che
accompagnano certe schede
dei vini (pH, estratto, polifenoli,
SO2 libera…) non hanno più
segreti; le indicazioni di carattere
“edonistico” sono state così
collegate con i vari parametri
enotecnici, utili ad offrire una
base oggettiva di valutazione.
Notizia inviata da Lucio Chiaranda - Delegazione di Venezia
Corso di perfezionamento in enotecnica alla Delegazione di Venezia
in famiglia
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3 103
Nella sala degustazioni della Regione
del Veneto, nel 4° Padiglione del
Vinitaly, il Consorzio Doc Corti
Benedettine del Padovano ha
organizzato, nell’ultima giornata del
Vinitaly, dedicata agli operatori, di
fronte ad un pubblico molto attento
e interessato, una degustazione
di quattro vini Doc selezionati
presso la “Sansovino Vigneti e
Cantine Sca” di Conselve (PD).
Ha introdotto l’incontro, che ha
visto la collaborazione del Delegato
Fisar di Padova, Andrea Zampieri,
il Presidente del Consorzio Onorio
Finesso, che ha ricordato come i vini
che portano le insegne delle Corti
Benedettine del Padovano, abbiano
da poco conquistato la DOC, pur
vantando una storia molto lunga e
importanti riconoscimenti ottenuti a
livello anche internazionale grazie
ad un’indiscussa qualità. La
degustazione è stata introdotta
da una relazione storica del giornalista
e scrittore Giampiero Rorato, che ha
ricordato in particolare il ruolo svolto,
soprattutto fra il XII e il XIX secolo,
dai grandi monasteri benedettini del
Padovano, che avevano il loro centro
nel monastero di Santa Giustina, nel
cuore di Padova, sorto già nel VI
secolo ai tempi di San Benedetto,
da cui dipendevano importanti
complessi monastici a Legnaro,
ad Anguillara, a Correzzola e in
altre località della zona. Da queste
storiche realtà religiose iniziarono
delle autentiche opere faraoniche
di bonifica di un vasto territorio a
sud di Padova, prima paludoso,
poi fertilissimo e a cui si è ispirata e
ha preso nome il nuovo Consorzio
Vini DOC, che ha sede legale
proprio all’interno del meraviglioso
complesso Benedettino “Grande
Vanezza” di Correzzola, antico
centro amministrativo dei monaci,
recentemente restaurato, all’interno
del quale sono stati ritrovati antichi
carteggi e manoscritti, fedelmente
r i p r o d o t t i ,
nelle etichette
dei vini Corti
Benedet t ine.
Oltre ai vitigni
internazionali,
di recente
introduzione,
il vitigno
p r i n c i p e
di questa
r e c e n t e
DOC, è da
sempre il
Raboso, prodotto anche nella forma
passita, che anche anticamente
dalle cantine dei monasteri passava
a Venezia, essendo considerato
il miglior vino da viaggio per
nave. La degustazione di quattro
vini: Chardonnay 2008, Merlot
2007. Cabernet 2007 e Raboso
2006, è stata guidata con grande
competenza e professionalità dal
sommelier Fisar Andrea Da Ros, che
si è soffermato sulle aristocratiche
caratteristiche dei quattro vini,
in particolare sull’eleganza e sui
profumi raffinati del Chardonnay,
la signorile personalità del Merlot,
la forte struttura del Cabernet
dal bouquet inconfondibile e la
straordinaria armonia del Raboso,
frutto di vendemmia tardiva (inizio
novembre) con aggiunta di uve
passite in fruttaio, uno dei veri grandi
vini rossi italiani.
Dopo la degustazione è intervenuto
anche il Presidente della “Sansovino
Vigneti e Cantine”, Nicola Zaggia,
che ha illustrato l’enorme impegno
della Cantina Sociale di Conselve
che dal 1950 opera coi suoi tecnici
anche in campagna, presso i soci,
per ammodernare la viticoltura e
portare quindi ad alto livello qualitativo
i vini prodotti. “Ed il mercato”, ha
concluso, “ci sta dando ragione,
privilegiando i nostri vini ancora poco
conosciuti ma di sicuro avvenire,
come abbiamo visto in questi giorni
al Vinitaly, per l’interesse dimostrato
da tanti operatori italiani e stranieri.”
Ha concluso l’incontro il Presidente
del Consorzio Finesso, ringraziando
la Fisar per il prezioso e competetene
contributo dato alla manifestazione,
ottimamente riuscita grazie al
Delegato di Padova Andrea Zampieri
e ai relatori, Giampiero Rorato e
Andrea da Ros, entrambi soci e
docenti dei corsi Fisar.
Presentati al Vinitaly i Vini delle Corti Benedettine del Padovano
Notizia inviata dalla Delegazione di Padova
Il Sommelier Maggio-Giugno 2010 • n. 3
in famiglia
104
La FISAR di Pisa e Litorale, nel
quadro delle iniziative primaverili
per la riscoperta dei sapori della
cucina locale, ha organizzato
una riuscitissima conviviale
al ristorante “La Buca” di via
D'Azeglio, 2 a Pisa. La cena è
iniziata con un ventaglio di squisiti
antipasti : cozze ripiene, crostini
con cacciucchino, insalata
di mare, gamberi gratinati ed
involtini di pesce spada, il tutto
bagnato da un Prosecco IGT
della Cantina Sociale La Marca
dal profumo fruttato e sottile. Per
i primi piatti di Risotto di mare,
mantecato al punto giusto, e
sedanini alla polpa di dentice,
risultati veramente eccezionali,
è stato abbinato il Vermentino
di Sardegna DOC dell'Az. Agr.
Santadì, dai delicati sentori
floreali e fruttati.
Particolarità di questo vino è il 15
% circa di Nuragus, antico vitigno
autoctono, presente una volta,
in tutti gli appezzamenti dediti
alla vigna delle antiche famiglie
del Sulcis e dintorni. Inoltre tutte
le uve vengono vendemmiate a
mano e pressate sofficientemente
per ottenerne il mosto che viene
fatto fermentare in acciaio inox
termocontrollato. Il vino viene
tenuto per qualche mese con i
lieviti e quindi imbottigliato
per la distribuzione. Il
colore lucente paglierino
assume leggeri riflessi
verdognoli e dorati
mentre i profumi
risultano freschi e
piacevoli con delicata
continuità in bocca
accompagnata da
stuzzicante mineralità,
dovuta ai terreni
t e n d e n z i a l m e n t e
di medio impasto
sabbioso e argilloso in cui
le vigne vengono allevate in
controspalliera. Ma la vera
meraviglia dello chef Carmine
Jovine è stata la presentazione
della successiva fantasia di mare
alla griglia:
scampi, gamberoni, totani e
filetto di pesce che ha deliziato i
palati dei convenuti in un tripudio
di sapori esaltati dagli aromi e
dai sentori del Pradalupo Roero
Arnés DOCG 2008 dell'Az. Agr.
Fontanafredda. Questo bianco
in purezza, fermo e secco,
piemontese autoctono, viene
prodotto nel cuore delle Langhe
e, vinificato in acciaio inox, matura
un profilo aromatico intenso
che ci ricorda i frutti tropicali e
a tratti la pera matura. Ottimo
l'abbinamento che ne esplicita
la sapidità, la morbidezza,la
rotondità e la freschezza in
bocca. Ha degnamente chiuso
il menù il Tortino di pasta fillo con
crema pasticcera e pere che ha
suscitato grande apprezzamento
in un bridisi finale di calici colmi
di Strevi Moscato d'Asti DOCG
dell'Az. Agr. Marenco. Al termine,
la delegata Maria Cristina Messina
ha ringraziato, tra fragorosi e
partecipati applausi, la brigata di
cucina ed il rango di servizio per
l'impegno profuso e la bravura
dimostrata. Un riconoscimento
particolare è andato al Sommelier
Roberto Menichetti per l'ottimo
servizio vini effettuato.
Notizia inviata da Tiziano Taccola della Delegazione di Pisa
La Fisar Pisana esplora “LA BUCA”
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