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Saggi

UN CONFRONTO TRA MODELLI DEA (DATA ENVELOPMENT ANALYSIS) E MARS (MULTIVARIATE ADAPTIVE REGRESSION SPLINES) NELLA STIMA DELL’EFFICIENZA PRODUTTIVA NEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO IN ITALIA*

di Francesco Vidoli**, Rita Mileno***

Keywords: technical efficiency, Multivariate Adaptive Regression Splines, water supply in-dustry Parole chiave: efficienza tecnica produttiva, Multivariate Adaptive Regression Splines, ser-vizio idrico integrato

Sommario

Il sistema idrico in Italia è caratterizzato da una moltitudine di forme organiz-zative e da costi ampiamente divergenti, derivanti sia da differenze industriali, ma anche da inefficienze.

L’obiettivo del presente lavoro è quello di valutare l’efficienza tecnica nell’an-no 2008 attraverso una metodologia non-parametrica particolarmente flessibile.

Da un punto di vista metodologico, viene presentata una metodologia originale basata sui modelli MARS (Multivariate Adaptive Regression Splines), utilizzati per stimare la funzione di produzione sulla frontiera efficiente senza, al contempo, e-splicitare ex-ante una specifica forma funzionale. I risultati dell’applicazione di ta-le metodologia sono stati messi a confronto con quelli derivanti dalla tecnica DEA evidenziando forti differenze specialmente tra aziende che operano in aree metro-politane e aree a bassa densità abitativa.

* Il presente lavoro è stato condotto in stretta collaborazione tra gli autori. Quanto alla

redazione del testo, Francesco Vidoli ha scritto i parr. 2, 3 e 4.2; Rita Mileno ha scritto il parr. 4.1. I parr. 1 e 5 sono stati scritti congiuntamente.

** Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Istituzioni pubbliche, Economia e Società, e-mail: fvidoli@sose.it.

*** Utilitatis – pro acqua energia ambiente, e-mail: rita.mileno@utilitatis.org.

Rivista di Economia e Statistica del Territorio, n. 2, 2010

Copyright © FrancoAngeli N.B: Copia ad uso personale. È vietata la riproduzione (totale o parziale) dell’opera con qualsiasi mezzo effettuata e la sua messa a disposizione di terzi, sia in forma gratuita sia a pagamento.

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Abstract

A comparison between efficiency models DEA and MARS (Multivariate Adaptive Regression Splines) in the integrated water service in Italy

Objectives Italy’s water supply industry is characterized by a multitude of utilities and

widely diverging prices, possibly resulting from structural differences beyond the control of firms’ management, but also from inefficiencies.

The aim of this paper is to assess the efficiency in recent years, through a flexible non-parametric methodology.

Methods and Results This paper, from a methodological point of view, enhances a non-parametric

regression method called MARS (Multivariate Adaptive Regression Splines) esti-mated on the production frontier; this method permits to bypass the choice of a specific functional form; the method, in fact, provides for approximate function using linear splines without any assumption on a functional form. We also provide comparisons with other non-parametric techniques.

Conclusions Applying this specific method, despite poor assumptions on the cost function

form, we provide an estimate for the Italian water companies; we have found spa-tial and dimensional patterns, especially in metropolitan vs. low density areas.

JEL: C14, D20, L95

1. Introduzione

Il settore delle public utilities italiano sta attraversando una fase di ra-dicale cambiamento. Le innovazioni introdotte riguardano molteplici aspet-ti del settore: il quadro normativo, la natura giuridica ed economica dei sog-getti coinvolti, gli assetti e le dimensioni dei mercati.

In questo nuovo quadro rivestono una rilevanza sempre maggiore, quin-di, analisi robuste di efficienza ed efficacia dei servizi e dei prodotti erogati dalle Amministrazioni Pubbliche sul territorio, che permettano di approfondi-re l’esame critico delle performance delle singole unità operative.

L’obiettivo del presente lavoro è quello di presentare una metodologia, complementare ai metodi classici, che si basi su una tecnica non parametri-ca di stima, mai trattata in letteratura, applicata all’efficienza produttiva nei servizi pubblici.

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Gli approcci più comuni in quest’ambito sono basati su metodi non pa-rametrici, quali la Data Envelopment Analysis (Farrell, 1957 e Charnes et al., 1978) o il Free Disposal Hull, FDH (Deprins et al., 1984) che offrono numerosi vantaggi fra i quali l’assenza di specificazione della forma fun-zionale nelle relazioni tra input e output in spazi multi-dimensionali, la mi-sura relativamente a una frontiera efficiente e la non necessità di alcun ben-chmark teorico di confronto.

Tali metodi, di contro, non individuando una precisa forma funzionale, non permettono una generalizzazione dei risultati ottenuti; per questo moti-vo e per avere a disposizione strumenti che permettano successive simula-zioni, alcuni ricercatori (Curram et al., 1999) hanno proposto metodi di re-gressione non parametrici alternativi come le reti neurali artificiali.

Il presente paper si propone di stimare l’efficienza produttiva tramite una nuova metodologia che utilizzi le Multivariate Adaptive Regression Splines (Friedman, 1991), una tecnica di regressione che, adottando una strategia computazionale di tipo divide and conquer su diversi sottogruppi di dati, co-struisce la relazione tra input e output grazie a un set di coefficienti e a fun-zioni base in modo completamente data driven, ottenendo per ogni sotto-gruppo una retta o, più in generale, un iperpiano di regressione.

Il presente lavoro si pone, tra gli altri, l’obiettivo di sostenere l’esigenza individuata dal legislatore (art 142 e seguenti D. lgs. 152/06 e s.m.i.) di rea-lizzare un modello industriale di servizio idrico integrato che “deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità”.

2. Il quadro normativo del sistema idrico nazionale

Il concetto di efficienza produttiva è di grande rilievo nel comparto i-drico, settore in cui la variabile economica di riferimento, ovvero il ricavo, è soggetto a regolazione. La legislazione italiana con la legge Galli (L. 5 gennaio 1994, n. 36), poi abrogata e integrata con il Delegato ambientale (D. lgs. 3 aprile 2006, n. 156 e s.m.i.), ha inteso normare in modo struttura-to i servizi pubblici locali e nello specifico quello idrico, per il quale il si-stema di tariffazione è definito dal D.M. 1/8/96, noto anche come “Metodo normalizzato per determinare le componenti di costo e determinare la tarif-fa di riferimento”. Sebbene l’introduzione della tariffa calcolata in base al Metodo normalizzato sia avvenuta con lentezza, a oggi si osserva che il servizio idrico integrato attua un modello “industriale”, applicando per il 79,2% della popolazione (Utilitatis, 2008) una tariffa del servizio che copre i costi di produzione e finanzia gli investimenti.

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Il progressivo abbandono del sistema di tariffazione emanato dal CIPE1, ha avviato una trasformazione nel modo di concepire l’erogazione del servi-zio, introducendo, tra gli altri, alcuni concetti innovativi sintetizzabili in: – integrazione della filiera2, da cui l’accorpamento verticale dei soggetti

che svolgevano singole fasi del servizio. Rientrano nell’alveo della re-golazione la captazione, la distribuzione, la raccolta e la depurazione delle acque.

– pianificazione degli investimenti, effettuata dall’Autorità d’Ambito, per un periodo che va dai venti ai trent’anni che determina una visione chiara dello sviluppo del servizio idrico integrato sia sotto il profilo impiantistico sia dal punto di vista economico finanziario. Infatti, la pianificazione della tariffa individua i ricavi futuri spettanti al gestore destinati a coprire: i costi operativi, gli ammortamenti dei nuovi inve-stimenti e la remunerazione del capitale investito (fissata al 7%);

– riorganizzazione del servizio in base a criteri orientati all’efficienza e al raggiungimento di standard di qualità. Il metodo normalizzato prevede che i costi operativi del servizio di acquedotto fognatura e depurazione siano “progettati” dall’Autorità d’Ambito mediante l’ausilio delle for-mule di costo modellato indicate all’articolo 3.1 del D.M. 1/8/96 al fine di individuare un “costo operativo di progetto” adeguato e orientato all’efficienza3.

1 Al CIPE è stata demandata la fissazione dei “criteri, parametri e limiti per la determina-

zione e l’adeguamento delle tariffe del servizio idrico” destinata a definire un regime transi-torio di incremento tariffario, stabilito annualmente, nelle aree in cui non è ancora stata adot-tata la tariffa secondo il Metodo normalizzato del D.M. 1/8/96. Le delibere che si sono suc-cedute negli anni si sono basate su incrementi tariffari che dipendevano dal piano degli inve-stimenti finalizzato all’incremento degli standard qualitativi e quantitativi del servizio e al recupero di efficienza da parte del gestore stesso; tale metodo, anch’esso ispirato al price cap, consente di adeguare le tariffe del differenziale tra tasso di inflazione programmato e parametro di produttività di settore e/o aziendale. L’ultima Delibera in vigore fino al 2008 è stata la n. 52 del 2001, in cui la possibilità di ottenere incrementi legati alla copertura dei costi viene a mancare; inoltre, l’incremento da price cap per l’anno di riferimento è nullo, poiché il tasso di inflazione programmata è pari al coefficiente di produttività. A sette anni di distanza il CIPE ha emanato una nuova Delibera (n. 117 del 18/12/08) che proroga il regime transitorio per quelle gestioni che ancora non applicano la tariffa del D.M. 1/8/96.

2 Non a caso di parla di “servizio idrico integrato”, abbreviato in SII, come ribadito dal comma 2 art. 141 del D. lgs. 152/06 e s.m.i.

3 Nello specifico l’articolo 6 del Decreto dedicato al “miglioramento di efficienza” sta-bilisce che “nel determinare la tariffa reale media da applicare nel periodo della durata del piano, l’Autorità delibera un coefficiente di miglioramento dell’efficienza che il gestore, an-che per effetto dei previsti investimenti, deve rispettare mediante riduzione della componen-te tariffaria relativa ai costi operativi”.

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Gli elementi evidenziati costituiscono solo alcuni dei passaggi di mag-gior rilievo della riforma del servizio idrico, anche se si osservano difficoltà relative alla loro effettiva attuazione. Ai buoni propositi del legislatore non sempre è corrisposto un risultato positivo, a causa sia della complessità del-la realtà industriale in cui la riforma interviene sia per le carenze del model-lo di regolazione progettato nella normativa, che emergono proprio nella sua fase attuativa.

Il sistema di governo della regolazione del comparto idrico si articola su due livelli: centrale e locale. L’organo centrale è rappresentato dal Co-mitato di Vigilanza sull’uso delle Risorse Idriche (CoViRi) che opera in seno al Ministero dell’Ambiente, cui sono attribuite funzioni di controllo e indirizzo. Il governo locale è strutturato in ambiti territoriali, i cui con-fini sono stabiliti dalle regioni, definiti in base a criteri idrografici (bacini idrografici), di contiguità, di posizionamento degli approvvigionamenti e/o di destinazione dei reflui4, con la finalità di creare delle dimensioni territoriali la cui gestione economica e tecnica raggiunga l’efficienza e l’economicità.

Ciascun ambito territoriale ha un soggetto di riferimento denominato Autorità di Ambito Territoriale Ottimale (ATO) dotato di personalità giuri-dica, al quale spetta il compito di organizzare il servizio idrico integrato. In particolare le ATO redigono il Piano d’Ambito, strumento di programma-zione in cui: – è riportato lo stato delle infrastrutture, ottenuto attraverso la ricognizio-

ne delle opere esistenti nell’ambito territoriale; – è definito il fabbisogno di investimenti con l’individuazione dei singoli

interventi e la previsione di spesa; – è definita la funzione di domanda di risorsa idrica futura nel periodo

della programmazione; – è progettato il modello organizzativo del soggetto che eroga il servizio

e il suo piano economico finanziario, mediante la determinazione della tariffa del servizio. Le ATO individuano la forma di gestione in base alla normativa vigente

e alle direttive comunitarie, mentre lo strumento che governa il sistema di rapporti tra il soggetto gestore affidatario del servizio (l’azienda) e l’Au-torità d’Ambito, è costituito dalla Convenzione di servizio, di cui il Piano d’Ambito è un allegato. La Convenzione stabilisce, tra l’altro, il modello di incentivazione e penalizzazione della gestione volto al raggiungimento de-gli obiettivi di prestazione del servizio di natura tecnica e qualitativa. Non esiste a livello nazionale uno schema tipo di Convenzione, che, invece, è

4 Art. 147 D. Lgs. 152/06 e s.m.i.

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individuato a livello regionale; vi è, tuttavia, una certa discrezionalità delle ATO nell’adattare il contratto di Convenzione che risente, inevitabilmente, dell’equilibrio dei rapporti esistenti tra regolatore e regolato.

Il presente studio fa riferimento ai dati dei Piani d’Ambito da cui sono state estrapolate le informazioni quantitative tecniche ed economiche, tra cui i volumi erogati che rappresentano la variabile di output. Al fine di chiarire il rapporto esistente tra le componenti di spesa e i ricavi regolati si riporta sinteticamente il Metodo normalizzato per la definizione della tarif-fa del servizio idrico integrato (acquedotto, fognatura e depurazione), la cui formula di calcolo5 così come riportata nel D.M. 1/8/96 è la seguente:

1 1 1( )*(1 )t t t tT C A R K�� � �� � � � �

dove l’introito tariffario Tt al tempo t, Ct-1 viene calcolato come somma del-la componente dei costi operativi al tempo t-1, dell’ammortamento (At-1) e della remunerazione Rt-1 (fissata al 7%) ed è sottoposto al vincolo di cresci-ta annuo rappresentato dal limite di spesa K6 e dall’inflazione (�), come e-videnziato di seguito:

1 1 1 1

( ) (1 )( )

n n n nn n

n n n n

T C A R KT C A R

�� � � �

� �� � � �

� �

Il principio di riferimento delle relazioni esposte è quello del price cap, in base al quale le componenti di costo tariffarie sono stabilite ex-ante salvo poi verifica triennale dell’andamento della gestione (regulatory lag) che sottopone a revisione le previsioni di andamento della tariffa stabilite nel Piano d’Ambito.

3. La letteratura di riferimento

Per valutare l’efficienza relativa e la struttura dei costi di un’unità pro-duttiva sono state utilizzate differenti tecniche di analisi.

In particolare, in letteratura si possono citare i lavori di Byrnes et al. (1985), Lambert et al. (1993), Cubbin e Tzanidakis (1998) che utilizzano la metodologia DEA per l’analisi economica del settore idrico, sebbene questi

5 Il Tn individua il costo per unità di prodotto venduto (€/m3) 6 Il limite di crescita K è normato al comma 5 del D.M. 1/8/96 “Metodo normalizzato

per determinare le componenti di costo e determinare la tariffa di riferimento”.

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lavori applicati all’ ambito in esame si siano concentrati principalmente sul-la stima econometrica della funzione di costo.

Stewart (1993), per esempio, stima una funzione di costo per un cam-pione di aziende idriche nel Regno Unito. Come variabili esplicative consi-dera il volume di acqua erogato, la lunghezza della rete, la quota dell’acqua fornita non a fini domestici e altri fattori dimensionali.

Lynk (1993), al contrario, si serve dell’analisi delle frontiere stocasti-che per valutare l’efficienza sia del solo settore idrico sia unitamente del settore idrico e della rete fognaria in Inghilterra e Galles, utilizzando i dati relativi al costo del lavoro, all’acqua erogata al giorno e, per la rete fognaria i volumi d’acqua giornalieri che defluiscono dalla rete, congiuntamente a due variabili dummy, una temporale e una regionale.

Analisi di ottimizzazione dei costi e delle fonti di inefficienza nel setto-re idrico sono state portate avanti, inoltre, da Bhattacharyya (1995).

Sempre per il Regno Unito, per una decina di imprese osservate dal 1989 al 1997, Asthon (1999) analizza il settore idrico e fognario tramite una frontiera di costo di tipo translog. Come output sceglie il numero di fami-glie collegate al sistema distributivo, mentre per gli input considera il costo del lavoro, dei materiali di consumo (definito come rapporto tra il livello di spesa per beni di consumo – tra cui i costi elettrici, i materiali, le imposte, i costi diretti e di assistenza e i costi fissi – e il costo del capitale).

Garcia e Alban (2001) analizzano la struttura dei costi delle aziende i-driche francesi tramite una funzione di costo translog.

Negli ultimi anni l’approccio econometrico ha lasciato il posto a metodi di analisi maggiormente focalizzati sull’efficienza.

Estache e Rossi (2002), per esempio, utilizzano le frontiere stocastiche per stimare una funzione di costo per un campione di imprese asiatiche e della regione del Pacifico; come variabili esplicative considerano il numero di clienti, la produzione giornaliera, la densità della popolazione nella zona servita, la percentuale di acqua da fonti di superficie, i livelli retributivi de-gli addetti, il numero di ore di disponibilità di acqua e il rapporto tra le vendite residenziali e il totale delle vendite in metri cubi.

Thanassoulis (2000), invece, in uno studio sulla regolamentazione dei servizi idrici britannici, in un particolare periodo storico, quale quello della modifica del criterio di calcolo delle tariffe avvenuto nel 1994 per opera del regolatore del settore idrico (OFWAT), stima i risparmi nelle spese operati-ve nella distribuzione dell’acqua tramite un’analisi DEA.

Cardoso, Soares e Martins (2000) utilizzano il metodo DEA applican-dolo al settore idrico portoghese, caratterizzato da una gestione del servizio in parte affidata agli enti locali e in parte ai privati.

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Fra i lavori più recenti è da citare lo studio di Shih, Harrington, Pizer e Gillingham (2006) nel quale sono state misurate l’efficienza tecnica e le economie di scala nei servizi idrici municipali degli USA, focalizzando l’attenzione sui servizi gestiti da imprese di dimensioni “piccole” o “molto piccole”; la piccola dimensione delle aziende, infatti, e lo vedremo anche nel caso italiano, influenza l’efficienza del servizio in quanto gli elevati co-sti di produzione e la difficoltà di raggiungere buone capacità finanziarie, tecniche e manageriali possono limitare la capacità di conseguire elevati livelli di efficienza.

Per quanto riguarda l’Italia, studi recenti condotti sulle imprese italiane hanno dimostrato l’esistenza di economie di scala nel settore idrico, ma la crescita dimensionale delle imprese del settore procede con estrema lentez-za data la contrapposizione degli enti locali. In particolare l’attuale assetto normativo, nella maggior parte dei casi, conduce all’affidamento diretto e al mantenimento di una forte frammentazione dei gestori interni all’ATO.

Tra gli studi più interessanti, in ambito italiano, si può citare sicura-mente il contributo di Pigliapoco (1997) nel quale si analizza una funzione di costo che presenta come output la quantità di acqua erogata e come input i costi relativi al personale, ai materiali, ai servizi e all’energia elettrica uti-lizzata.

Fraquelli, in alcuni suoi lavori, focalizza l’attenzione sia sulle peculiari-tà italiane nella determinazione delle tariffe (Fraquelli e Fabbri, 1997) sia sull’analisi dell’efficienza delle aziende italiane (si vedano in particolare Fraquelli e Giandrone, 2003 e Fabbri e Fraquelli, 2000).

Ci prefiggiamo di articolare il presente lavoro nel modo seguente: nel quarto paragrafo verranno richiamate brevemente la tecnica DEA e i mo-delli MARS; nel quinto verrà presentata la metodologia adottata di confron-to tra DEA e MARS, metodologia applicata ai dati relativi al settore idrico in Italia; i risultati verranno presentati nel paragrafo 6 e le osservazioni con-clusive nel paragrafo 7.

4. Tecniche di stima dell’efficienza

4.1. DEA

La procedura non parametrica denominata Data Envelopment Analysis7 (DEA) permette di valutare l’efficienza di un’unità di produzione (DMU –

7 Introdotta nel 1978 dal lavoro di Charnes, Cooper e Rhodes.

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Decision Making Unit) relativamente a un dato insieme di unità produttive scelte per il confronto, stimando la frontiera di produzione come inviluppo lineare dei dati input-output relativi alle singole imprese.

La forma algebrica del modello è la seguente:

r irr

is is

s

PYMaxE

Q X���

sotto il vincolo:

1, 1,..,r ir

r

s iss

PYi n

Q X� � �

��

,r sP Q dove

Pr = peso output r, Yir = output r per l’unità i, Qs = peso input s, Xis = input s per l’unità i. Le variabili rP e sQ sono, quindi, le incognite del problema ed hanno

come vincolo quello di essere maggiori o uguali ad alcune quantità in modo da evitare che alcuni input o output siano totalmente ignorati nella determinazione dell’efficienza.

Nei modelli DEA la specificazione della tecnologia di riferimento av-viene in via assiomatica ed è, ovviamente, cruciale in quanto può dare ori-gine a diversi punteggi di efficienza. Il semplice modello CCR precedente-mente delineato (Charnes, Cooper e Rhodes, 1978) assume implicitamente l’esistenza di rendimenti di scala costanti. Tale assunzione è appropriata so-lamente quando tutte le DMU operano in una dimensione ottima (in corri-spondenza di un tratto “piatto” della curva dei costi medi di lungo periodo). Questa ipotesi, corretta in mercati in concorrenza perfetta, risulta inadatta per situazioni caratterizzate da imperfezioni nel mercato, tipiche del settore idrico. L’utilizzo di una frontiera con rendimenti di scala costanti (CRS), quindi, comporta una misura dell’efficienza tecnica, in qualche modo con-dizionata da una componente di efficienza di scala (SE). Banker, Charnes e Cooper (1984) suggeriscono un’estensione del modello CCR, che permette di tenere in considerazione l’ipotesi di specificazione dei rendimenti di sca-

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la variabili. Tale modello (denominato BCC), permette la determinazione dell’efficienza tecnica depurata dall’effetto SE; pertanto i punteggi di effi-cienza tecnica ottenuti saranno maggiori o uguali a quelli ottenuti nell’ipo-tesi CRS.

Alcuni dei vantaggi della tecnica DEA, inoltre, risiedono nel fatto di poter valutare modelli multi-input e multi-output aventi unità di grandezza differenti, da non richiedere alcuna forma funzionale (se non alcune caratte-ristiche di essa) e da poter comparare le singole DMU con i propri pari o con gruppi di pari.

Per contro, alcune caratteristiche che ultimamente sono state oggetto di profonde revisioni teoriche (si veda per esempio Daraio e Simar, 2007) li-mitano l’applicabilità e la generalizzazione dei risultati almeno nella formu-lazione classica.

Di tali caratteristiche se ne riporta una, certo non esaustiva, rassegna: – l’estrema sensibilità ai dati anomali: per ovviare a tale problema Ca-

zals (Cazals et al., 2002) ha proposto uno stimatore non parametrico della frontiera più robusto ai valori estremi e anomali. Tale stimatore è basato sul concetto di expected minimum input function di ordine m (order-m). Daraio e Simar nel 2005 hanno esteso tali risultati al caso multivariato. Nel paper in oggetto (Daraio e Simar, 2005), in particola-re, affermano che “invece di ricercare l’inviluppo del supporto di (x,y), come nel caso di tecniche full-frontier del tipo DEA o FDH, il punteg-gio di efficienza di tipo order-m può essere visto come il valore atteso della funzione di minimo dell’unità (x,y) quando è comparata a m DMU casualmente scelte da una popolazione di unità con maggiori li-velli di output rispetto ad y”. Il livello minimo relativo, quindi, per l’unità (x,y), è un benchmark certamente inferiore rispetto al livello minimo assoluto degli input, dato che è comparato solamente con un set di m peers (potenziali competitor) e non con tutte le unità. È da cita-re inoltre il recente lavoro di Simar e Zelenyuk (2008) nel quale, si-milmente ai metodi parametrici come per esempio la Stochastic Fron-tier Analysis (SFA), si decompone la distanza dalla frontiera inefficien-te in inefficienza pura ed errore statistico di stima ottenendo, quindi, misure molto robuste.

– l’impossibilità di effettuare test statistici di adattamento del modello: tale aspetto negativo è stato in parte smussato (si vedano i lavori di Si-mar e Wilson del 1998, 2000, 2004 e 2007) dalla possibilità di ricorrere a metodi di bootstrap che permettesse di ottenere stime non distorte. L’ipotesi chiave, sottesa a tale approccio, è quella che la distribuzione di bootstrap nota ricalchi la distribuzione non conosciuta, qualora il pro-

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cesso di generazione dei dati noto (Data Generating Process – DGP) sia uno stimatore consistente del DGP sconosciuto. In altre parole il proces-so di bootstrap genererà valori che imitano le distribuzioni che sarebbe-ro generate dal DGP non osservato e sconosciuto (Simar e Wilson 2000). Anche per i metodi order-m (Badin et al., 2008) sono state pro-poste tecniche di bootstrap al fine di ottenere stime non distorte.

– la non sempre verificata veridicità delle ipotesi di base riguardanti la forma della funzione di produzione supposta monotona e convessa: se è vero che la tecnica DEA permette di non ipotizzare una forma funzio-nale a priori, il problema di ottimizzazione lineare presuppone comun-que alcune ipotesi di base: la prima è che il set di possibilità produttive sia monotono. Questo implica che se un’unità è in grado di trasformare un dato ammontare di input in un dato livello di output, una maggiore quantità di input sarà sempre in grado di produrre almeno quella deter-minata quantità di output; l’assunzione di monotonicità implica che sia senza costo disporre gli input e gli output in modo differente ed è per questo che questa ipotesi viene solitamente chiamata di free disposal.

Fig. 1 – Il Free disposal hull

Output

Input

A

B

D

C

Free disposal hull di A

L’ipotesi che appare verosimile in molti contesti di analisi, non sembra sempre attinente soprattutto in quei processi produttivi dove la congestione è rilevante (si veda per esempio il lavoro di Tone, 2004), ovvero quando l’impiego di un maggior ammontare di input impedisce o rallenta davvero il processo di produzione.

La seconda ipotesi, generalmente sottointesa nella maggior parte delle applicazioni DEA, nasce dalla seguente domanda: se noi osserviamo le

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combinazioni relative di input e di output relative a due DMU diverse, cosa si può dire sulla praticabilità di quelle combinazioni di input-output che giacciono tra queste due osservazioni? Molti modelli DEA rispondono a questa domanda presumendo che il set di possibilità produttive sia conves-so, il che significa che anche il convex hull delle due unità giace nel set possibile di produzione.

Fig. 2 – La convessità nella funzione di produzione

Output

Input

A

B

O’O

set di possibilità produttive

Convex hull

Inoltre, le assunzioni di monotonicità e di convessità hanno altre due implicazioni importanti: la prima, che sia gli input che gli output siano sempre divisibili (se è possibile ipotizzarlo per esempio per le ore di lavoro, meno ovvio è pensarlo per esempio ai beni capitali), la seconda, che la frontiera di produzione possa essere approssimata da un combinazione line-are degli input-output.

Ne deriva quindi che quando tali ipotesi non sono verificabili o appli-cabili al problema in oggetto, ne risente l’accuratezza delle stime DEA, an-che se Charnes e Zlobec (1989) verificano come i punteggi di efficienza rimangano localmente stabili per arbitrarie perturbazioni sui convex hulls.

Sono stati proposti in letteratura metodi di stima per funzioni non con-vesse (si veda il contributo per esempio di Vanden Eeckaut, 2009), ma tale trattazione, pensiamo, esula dai propositi del nostro articolo.

I modelli MARS, pur con proprie limitazioni teoriche, come il fatto di poter essere applicate a modelli con un solo output, cercano di superare i limiti dei modelli classici sopra esposti.

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4.2. I modelli MARS

Le Multivariate Adaptive Regression Splines (MARS) derivano da al-cune tecniche presentate da Friedman (1991) per risolvere problemi di tipo regressivo.

In letteratura sono impiegate specialmente per indagare strutture com-plesse che spesso nascondono trasformazioni e interazioni tra variabili in spazi multi dimensionali, non facendo alcuna assunzione circa la forma funzionale, sia quando le relazioni sono non monotone sia quando si ha dif-ficoltà ad approssimare l’output con modelli parametrici.

In particolare nei modelli MARS le relazioni non lineari che general-mente legano l’output e gli input sono descritte da un insieme di segmenti lineari di differente inclinazione (si veda la fig. 4) ognuno dei quali è stima-to mediante una funzione base (basis function) in modo completamente da-ta driven.

Per questo motivo il metodo può essere interpretato come basato su strategie di stima di tipo divide and conquer, nelle quali cioè lo spazio degli input viene diviso in sottospazi ognuno con la propria equazione di regres-sione: questo rende i modelli MARS particolarmente appropriati in applica-zioni con molti input dove il curse of dimensionality8 potrebbe creare pro-blemi alle altre tecniche di stima.

Le discontinuità tra gli intervalli sono definite da nodi in un modello che inizialmente sovrastima i dati e che viene successivamente semplificato usando una procedura di convalidazione backward al fine di identificare i termini da mantenere nel modello finale.

Più formalmente, i modelli MARS utilizzano funzioni base lineari a tratti di Px R� nella forma:

8 Per descrivere la “maledizione della dimensionalità” si riporta uno scritto di Friedman:

“The direct extension of piecewise parametric modelling to higher dimensions (n > 2) is straightforward in principle but difficult in practice. These difficulties are related to the so called ‘curse-of-dimensionality’, a phrase coined by Bellman (1961) to express the fact that exponentially increasing numbers of (data) points are needed to densely populate Euclidean spaces of increasing dimension. In the case of spline approximations the subregions are usu-ally constructed as tensor products of K + 1 intervals (defined by K knots) over the n vari-ables. The corresponding global basis is the tensor product over the K + q + 1 basis func-tions associated with each variable (6). This gives rise to (K + q + 1)^n coefficients to be estimated from the data. Even with a very coarse grid (small K), a very large data sample is required”.

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(xj – d)+ = xj – d, se xj > d { 0

altrimenti dove d rappresenta il nodo e j � {1,...p}; la coppia ( ) e ( )j jx d d x� �� � viene chiamata reflected pair.

Fig. 3 – Basis functions – reflected pair

Y

Xjd

(xj-d)+(d-xj)+

Si noti che ogni base (xj - d)+ rappresenta solamente la j-esima compo-nente di Px R� .

La combinazione di tutti i reflected pair è dunque un insieme di funzio-ni base continue e lineari a tratti:

� � � �� �1, 2, ,( ) ( ) ; , ,... , , 1,...,j j j j n j� x d e d x d x x x j p� �� � �

La metodologia MARS utilizza una selezione dei reflected pair e della loro combinazione in B per ricavare un modello finale con la forma:

1( ) ( )

M

m mm

g x h x� ��

� �� [1]

dove ogni ( )mh � è una funzione lineare, o un prodotto di funzioni, in B.

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4.2.1. L’algoritmo di scelta delle funzioni base

La tecnica di costruzione del modello finale coinvolge essenzialmente due fasi: nella prima si costruisce il modello incrementando (forward) la complessità dello stesso aggiungendo di volta in volta funzioni base fino a un livello di complessità predefinito dall’utente; successivamente inizia una procedura backward nella quale si rimuovono dal modello le funzioni meno significative in termini di bontà di adattamento.

Più precisamente l’algoritmo viene implementato nel seguente modo: 1. La procedura inizia con una funzione h0(x)�1. Il set di funzioni base è

quindi, in un questo primo passo, popolato da una sola funzione ed è pari a � �0 ( ) 1B h x� �� . La funzione h0 (genericamente h1) viene utilizzata per stimare la variabile dipendente attraverso una regressione con il metodo dei minimi quadrati ordinari ottenendo, quindi, la stima:

1

n

iiY

n�

���

2. Per r = 1, 2, …t, la procedura viene iterata nel modo seguente:

Si cerca la migliore coppia di funzioni � � � �2 1 2,r rh h�� �� �� � che abbia la forma:

2 1( ) ( ) ( )r l jh h x d� �� � � � � 2 ( ) ( ) ( )r l jh h d x �� � � � �

Per h1 già definito nell’insieme di modelli �B e alcune funzioni base definite in B. La migliore coppia di funzioni è definita come quella che riduce mag-giormente la somma dei residui al quadrato.

Ne segue che il modello stimato, all’iterazione r, è pari a:

� � �2

1( ) ( )

r

m mm

g x h x� ��

� ��

A ogni iterazione r, quindi, il set di modelli �B si accresce aggiungendo la nuova coppia scelta:

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� � � �2 1 2( ), ( )OLD r rB B h h�� � � �

3. Il passo 2 viene iterato fino a un livello di complessità predefinito dal-l’utente.

4. A questo punto si intraprende una selezione backward eliminando di volta in volta quelle coppie di funzioni � �2 1 2( ), ( )r rh h� � � che contribui-scono meno alla bontà complessiva di adattamento in termini di scarto quadratico medio.

5. La selezione backward termina ottimizzando un punteggio GCV (Ge-neralized Cross Validation error) che rappresenta una misura della bon-tà di adattamento e che tiene conto non solo dei residui di stima, ma anche della complessità del modello e che generalmente viene espresso nella forma:

� 2

1

2

( ( ))

(1 )

n

i ii

y g xGCV C

n

��

con

1C cd� �

dove n rappresenta il numero di casi, d il relativo grado di libertà uguale al numero di funzioni base indipendenti e c un parametro di penalità all’ag-giunta di una nuova funzione di base.

5. Utilizzo dei modelli MARS per la stima dell’efficienza

A questo punto si pone l’interrogativo di come utilizzare il metodo MARS per ottenere risultati confrontabili con i metodi classici di stima del-l’efficienza.

Mutuando l’approccio seguito in Athnassopoulos e Curram (1996) dove si confrontavano i risultati derivanti dall’applicazione delle reti neurali con la DEA, si tratta di seguire tre passi metodologici: la stima della funzione che lega l’output agli input a partire dai dati osservati, la traslazione della stessa sotto opportune ipotesi e, infine, il calcolo della distanza tra i singoli punti e la curva ottenuta.

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Come primo passo si tratta quindi di stimare la funzione ( )g x (si veda l’equazione [1]) per ricavare un iperpiano di regressione che rappresenti le prestazioni medie delle unità considerate.

Il rapporto, dunque, tra output effettivo e stimato è superiore ad 1 quando il modello stima un output maggiore della media. Athnassopoulos e Curram (1996) denominano questa soluzione efficienza non standardizza-ta NE

iE :

, 1,..,NE ii

i

yE i ny

� � ��

La seconda parte dell’analisi prevede di traslare la curva stimata attra-verso il modello MARS.

In letteratura è stato proposto il metodo che prevede la traslazione della curva fino al più grande errore di stima positivo (nel seguito del paper chiameremo questo metodo MARS1).

La correzione fino al più grande errore di stima positivo i�

porta il modello, evidentemente, a essere molto sensibile ai dati anomali, ma con il vantaggio che i valori di efficienza si muovano nell’intervallo [0,1].

Athnassopoulos e Curram (1996) denominano questa seconda misura efficienza standardizzata E

iE :

, 1,..,max

E ii

i i i

yE i ny

� � �� ��

[2]

Per ovviare a problemi di sensitività ai dati anomali, in questo paper si propongono due possibili strade: 1. traslare la curva fino a un valore medio dei più grandi errori di stima

positivi (MARS2). Per attenuare l’effetto determinato dal più grande errore positivo, si

può, infatti, traslare la curva non all’errore maggiore, ma alla media di una certa percentuale dei maggiori errori positivi (nel nostro caso si è scelto il 5%9 degli errori):

'5% , 1,..,

( )E ii

i i

yE i ny avg

� � �� ��

[3]

9 In questo caso si otterranno alcune unità con efficienza > 100%.

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2. traslare la curva fino al valore dell’upper whisker10 (MARS3).

' , 1,..,E ii

i

yE i ny UW

� � ���

[4]

Fig. 4 – Funzioni di produzione individuate dal modello MARS

Y

XjO

. . ..

. .. ... .

Iperpiano stimato

MARS1

MARS2, MARS3

6. Analisi empirica

6.1. Dati

Come già anticipato, i dati utilizzati provengono dai Piani d’Ambito redatti dalle ATO. La raccolta sistematica delle informazioni è alla base del-lo studio monografico “Blue Book i dati sul servizio idrico integrato in Ita-lia” (Utilitatis, 2008) che riporta le pianificazioni di 82 ATO relative a 91 Piani d’Ambito (vi è un disallineamento dovuto alla ripartizione di alcuni ATO in sub-ambiti). Il vantaggio di utilizzare queste informazioni, anziché i dati di bilancio risiede nel fatto che i Piani d’Ambito consentono di enu-cleare le informazioni relative al solo settore idrico per le aziende che ope-

10 L’upper whisker in un box-plot (Tukey, 1977) è calcolato come il valore del terzo quartile

sommato a 1.5*IQR, dove IQR è la distanza interquartilica tra il primo e il terzo quartile.

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rano anche in altri settori (multi utility), per esempio nella distribuzione del gas o nell’igiene urbana. Per questi soggetti, infatti, sarebbe molto com-plesso risalire alle competenze di costo del segmento idrico facendo riferi-mento unicamente al bilancio d’esercizio, documento che di solito eviden-zia un assetto consolidato della spesa.

Lo stesso vale per i dati di natura tecnica, come la lunghezza delle reti o i volumi d’acqua venduti, per i quali è possibile individuare un dimensio-namento aggregato a livello di Ambito soltanto a seguito delle ricognizioni effettuate dalle ATO e riportate nei documenti di pianificazione.

Si sottolinea che i costi operativi individuati dall’Autorità di regolazione territoriale comprendono le componenti di natura industriale (diretta e indi-retta) che attengono la gestione caratteristica del servizio idrico integrato rap-presentato dalla captazione, distribuzione, raccolta e depurazione delle acque. Sono pertanto escluse le spese di natura finanziaria come, ad esempio, gli ac-cantonamenti per svalutazione crediti e gli oneri finanziari e della gestione straordinaria e i costi capitali come gli ammortamenti. Non entrano nell’ana-lisi i canoni concessori versati a vario titolo agli enti locali o soggetti proprie-tari degli asset.

La scelta delle variabili di analisi è stata compiuta, oltre che analizzan-do lavori simili già citati in letteratura, anche seguendo la ratio del criterio di definizione della tariffa del servizio idrico integrato (metodo normalizza-to) nella quale la tariffa – e conseguentemente i ricavi – sono legati ai costi operativi industriali11.

Tab. 1 – Le variabili analizzate e il relativo ruolo nell’analisi di efficienza

Variabile Sigla Tipologia Acqua venduta – anno 2008 – migliaia di mc VE_2008 Output Densità di abitanti per km2 DENSITA Input Rete totale di acquedotto (km2) RETE_TOT Input Rete totale di fognatura (km2) RETE_TO1 Input Costo del personale – anno 2008 COSTI_PE Input Costo industriale, escluso canone e personale – anno 2008 COSTI_ES Input Investimenti annui – anno 2008 INVESTIM Input

Fonte: Utilitatis (2008)

Nell’analisi di efficienza tecnica sono state inserite anche altre variabili di costo: queste, con un certo grado di approssimazione dovuto essenzial-mente alla disponibilità dei dati e di cui gli autori sono consapevoli, posso-

11 Si veda il paragrafo 2.

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no essere considerate delle misure della quantità di input fisici impiegati. In particolare, come misura del fattore lavoro si utilizza il costo del personale, ritenendo che tutti i lavoratori abbiano la stessa produttività e che il salario rifletta l’effettivo contributo del lavoratore. Per quanto riguarda il capitale si può ipotizzare che gli investimenti rappresentino una misura della quanti-tà di capitale impiegato12.

Rispetto alla base dati dei Piani d’Ambito, rappresentativa della quasi totalità dell’universo, nella selezione delle variabili alcune osservazioni so-no andate perse a causa dell’incompletezza dei Piani; il campione osservato sarà quindi costituito da 70 Ambiti. Fatta eccezione per alcune ATO di cui si dirà in seguito, la maggior parte delle pianificazioni si trova nel primo quinquennio di attuazione, evidenziando un impegno per investimenti piut-tosto intenso, tipico delle fasi progettuali iniziali le quali devono recuperare uno scarto infrastrutturale pregresso. Tra di esse si osservano, inoltre, pro-cessi di revisione tariffaria triennale già conclusa, che hanno ridefinito le componenti di costo, di investimento o di volumi erogati, rendendo i dati più vicini alla realtà gestionale.

Sembra importante, a nostro avviso, evidenziare che gli operatori del comparto idrico presentano costi per unità di prodotto venduto (metro cu-bo) piuttosto differenti tra loro; parte di questa diversificazione è sicura-mente attribuibile a fattori di carattere geografico, di conformazione del ter-ritorio, nonché di natura impiantistica. È noto infatti che la presenza di zone con dislivelli altimetrici (aree montane o pedemontane), spesso implica la presenza di stazioni di sollevamento (sia della rete di distribuzione che di raccolta reflui) che incidono sul costo energetico e manutentivo. Altresì la razionalizzazione del territorio in Ambiti Ottimali tende a superare questi squilibri unendo zone pianeggianti a quelle di montagna. Lo stesso tema ricorre per le modalità di approvvigionamento, per l’emungimento da poz-zi, che comporta costi energetici maggiori rispetto al prelievo da sorgente, così come per l’approvvigionamento da acque di superficie che, nella mag-gior parte dei casi, richiede processi di potabilizzazione impegnativi a causa della bassa qualità della risorsa. Senza dubbio un’elevata densità abitativa come quella riscontrabile nei grandi centri urbani, favorisce le economie di scala che interessano sia il ramo della distribuzione dell’acqua sia il seg-mento della fognatura e collettamento.

12 Questa ipotesi potrebbe risultare molto forte se si confrontassero imprese di settori dif-

ferenti nei quali lo stock di capitale al tempo 0 e il rapporto tra investimenti e stock di capi-tale fosse molto diverso. Poiché nel presente lavoro si effettua un confronto tra imprese dello stesso settore, l’ipotesi di una proporzionalità costante tra investimenti e stock riteniamo non sia particolarmente vincolante.

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6.2. Risultati

Nel seguente paragrafo vengono presentati i risultati ottenuti dal-l’analisi della funzione di produzione che lega per ogni azienda l’acqua venduta con variabili che rappresentano fattori fisici (densità di abitanti per km2, km di rete di acquedotto e di fognatura), lavoro (tramite il costo per il personale) e capitale (tramite gli investimenti).

Da una prima analisi esplorativa, si nota la presenza di 4 grandi aziende che si discostano nettamente dalle altre in termini di quantità di acqua ven-duta e che operano in grandi metropoli (ATO 2 – Lazio Centrale Roma, ATO MI – Milano Provincia, ATO 2 – Napoli Volturno, ATO 3 – Torinese). Poiché la presenza di dati fortemente disomogenei può influire fortemente sulla stima della frontiera di efficienza, nel prosieguo, per verificare la ro-bustezza dei risultati ottenuti, l’analisi verrà ripetuta sia includendo queste unità sia escludendole.

I risultati evidenzieranno dapprima la stima della funzione attraverso modelli MARS per poi focalizzarsi sulla stima dell’efficienza e sul con-fronto con modelli DEA.

Stima su dati completi. Come in ogni modello di stima è spesso ne-cessario bilanciare le esigenze contrapposte fra il grado di complessità del modello (interazioni lineari, numero di variabili esplicative) e la bontà di adattamento ai dati.

I MARS, come già indicato infatti, utilizzano una strategia di overfit-ting del modello di stima per poi procedere a una selezione (pruning) per quelle parti (funzioni base) che meno contribuiscono alla bontà di adatta-mento complessiva.

Tab. 2 – Scelta del modello MARS – analisi del GCV al variare del numero di basis function – numerosità: 70

Basis function Effective parameters GCV 9 24,727 808.463.343 8 22,091 756.506.186 7 19,455 724.929.149 6 16,818 701.420.501 5 14,182 690.937.032 4 11,545 764.831.102 3 8,909 996.175.305

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Il grado di complessità del modello può essere approssimato dal nume-ro di parametri effettivi (basato sul numero di termini nel modello, il nume-ro di nodi e i gradi di libertà) nonché dal grado di interazione tra le singole variabili esplicative, mentre il GCV (Generalized Cross Validation error) fornisce una misura di adattamento ai dati.

Nella tab. 2 vengono riportati i parametri effettivi e il punteggio del GCV al variare del grado di complessità del modello.

Il trade-off tra complessità del modello e bontà di adattamento del mo-dello è anche illustrato nella fig. 5.

Fig. 5 – GCV e numero di funzioni base, modello n=70

0,00E+00

2,00E+08

4,00E+08

6,00E+08

8,00E+08

1,00E+09

1,20E+09

9 8 7 6 5 4 3

Funzioni base

GC

V

A partire dai risultati esposti, si è quindi scelto di stimare la funzione di produzione relativa al settore idrico con un modello che minimizzasse il GCV ovvero quello con 5 funzioni base nella forma:

BF2 = max(0, RETE_TOT - 7.471,6) BF4 = max(0, DENSITA - 48,861) BF5 = max(0, RETE_TOT - 6.535) BF7 = max(0, COSTI_ES - 50.893,805) BF12 = max(0, 26.768,85 - COSTI_PE) VE_2008 = 55.775,957 - 85,633 * BF2 + 16,811 * BF4 + 66,286 *

BF5 + 1,367 * BF7 - 1,681 * BF12

[5]

Come per i modelli di regressione standard anche nei modelli MARS possono essere calcolate statistiche sulla bontà di adattamento del modello ai dati: nel nostro caso il valore del R2 è risultato pari a 0,929 (R2 corretto = 0,924).

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Dato che i modelli MARS sono costruiti come parti di variabili o fun-zioni base, la fase di interpretazione del modello nella forma [5] può risul-tare a prima vista arduo; per fornire un’altra prospettiva sul modello, si ri-portano i grafici relativi alle 4 variabili elementari selezionate grazie alla fase di pruning e composte dalla combinazione delle funzioni base che le coinvolgono.

Si noti come solamente la variabile “rete totale dell’acquedotto” pre-senti un andamento difficile da interpretare, soprattutto dopo il nodo relati-vo ai 7.471,6 km, dopo il quale si ha un rapporto inverso tra km di rete e acqua venduta. Questo può, con buona probabilità, essere spiegato dall’ef-fetto dei dati “anomali” delle quattro aree metropolitane che a parità di km di rete presentano volumi di acqua venduta nettamente superiori.

Stima su dati “corretti”. Si è quindi ripetuta la stima del modello a-vendo cura di eliminare dall’analisi le 4 aziende che presentavano dati strutturali disomogenei dagli altri.

Questa volta la fase di scelta del modello ci porta a sceglierne uno con 6 funzioni base.

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Tab. 3 – Scelta del modello MARS – analisi del GCV al variare del numero di basis function – numerosità: 66

Basis function Effective parameters GCV 9 22,000 148.781.990 8 19,667 138.252.767 7 17,333 125.523.550 6 15,000 122.971.082 5 12,667 124.597.255 4 10,333 142.751.576 3 8,000 247.071.199

Fig. 6 – GCV e numero di funzioni base, modello n=66

0,00E+00

5,00E+07

1,00E+08

1,50E+08

2,00E+08

2,50E+08

3,00E+08

3 4 5 6 7 8 9

Funzioni base

GC

V

Il modello stimato differisce sia nei parametri di stima, naturalmente, ma anche nelle variabili indipendenti selezionate, con un R2 pari a 0,963 (R2 corretto = 0,959):

BF1 = max(0, COSTI_ES - 66.108,273) BF3 = max(0, DENSITA - 48,861) BF4 = max(0, COSTI_ES - 54.022,594) BF7 = max(0, 43.021,801 - INVESTIM ) BF9 = max(0, 3.744,010 - RETE_TOT ) BF11 = max(0, 17.533,303 - COSTI_PE) VE_2008 = 56.941,129 - 2,444 * BF1 + 15,443 * BF3 + 3,081 *

BF4 - 0,422 * BF7 - 4,525 * BF9 - 1,564 * BF11

[6]

In questo caso il modello stimato, in termini di contribuzione relativa di ogni variabile appare economicamente più corretto; la rete idrica, infatti,

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adesso contribuisce a spiegare in modo crescente variazioni di acqua ven-duta fino al nodo di 3.744 km e l’algoritmo di pruning seleziona, inoltre, la variabile relativa agli investimenti.

Dato che il modello presentato in [6] ci appare economicamente e stati-sticamente più robusto, sceglieremo quest’ultimo, stimato su 66 unità, per portare avanti la nostra analisi di efficienza.

Stima dell’efficienza relativa. I dati relativi alla funzione MARS sti-mata [6] sono stati quindi utilizzati per ricavare una misura dell’efficienza

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relativa secondo le equazioni [2], [3] e [4], per poi confrontarle con i valori derivati da un’analisi DEA a rendimenti costanti e variabili.

I risultati evidenziano due aspetti: il primo riguarda la differente impo-stazione di fondo tra le due metodologie per il fatto che i modelli DEA ten-dono, nei casi in cui sono presenti più input e un solo output, a schiacciare verso l’unità le efficienze massime; il secondo testimonia, a meno delle unità efficienti, una buona correlazione tra i ranghi in modelli che, pur seguendo logiche di stima molto differenti, tendono a fornire risultati comparabili.

Le correlazioni sui ranghi (tab. 4), infatti, confermano le impressioni di cui nella fig. 7 specialmente riguardo il modello DEA a rendimenti costanti e i modelli MARS più robusti (MARS2 e MARS3).

Fig. 7 – Efficienze relative a confronto: DEA a rendimenti costanti e MARS3, modello n=66

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1 1,1

Efficienza DEA rendimenti costanti

Effi

cien

za m

odel

lo M

AR

S3

Tab. 4 – Correlazioni di Spearman tra efficienze relative, modelli DEA rendim. costanti, variabili, MARS1, MARS2, MARS3 – numerosità: 66

Eff. DEA Eff. DEA2 Eff. MARS1 Eff. MARS2 Eff. MARS3

Eff. DEA 0,827 0,630 0,704 0,693

Eff. DEA2 0,827 0,390 0,453 0,441

Eff. MARS1 0,630 0,390 0,966 0,975

Eff. MARS2 0,704 0,453 0,966 0,998

Eff. MARS3 0,693 0,441 0,975 0,998

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Fig. 8 – Efficienza DEA a rendimenti costanti e MARS13 – numerosità: 66

Si rileva ancora più importante approfondire l’analisi delle differenze nei modelli di stima testando la stabilità della geografia ottenuta, ovvero studiando se al variare del modello di stima rimangano stabili i differenti pattern territoriali.

Questo test è stato realizzato analizzando il dato medio a livello regio-nale, con lo scopo di ottenere indicazioni di fondo, pur nella consapevolez-za che all’interno di una stessa regione possano coesistere realtà industriali molto differenti.

13 Soglia1: <=0,5; soglia2: >0,5 e <=0,6; soglia3: >0,6 e <=0,7; soglia4: >0,7 e <=0,8;

soglia5: >0,8 e <=0,95; soglia6: >0,95.

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Da una prima analisi le due metodologie consentono di individuare pattern abbastanza stabili sia efficienti (Puglia, Nord Italia, Sardegna) sia inefficienti (Toscana, Marche, Umbria); altre regioni sembrano, invece, non mostrare indicazioni univoche14.

Non emerge (fig. 9), al contempo, alcuna autocorrelazione spaziale15 tra le efficienze medie a livello regionale (I di Moran = 0,0598), ma solamente in un gruppo di regioni (Basilicata, Calabria e Sicilia) l’indice di autocorre-lazione locale (Lisa) è maggiore dello 0,3, segno che i livelli di efficienza sono più legati alla singola ATO che al territorio di riferimento.

Fig. 9 – Moran plot –Punteggio medio MARS3 a livello regionale

-0,80

-0,60

-0,40

-0,20

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

-2,00 -1,50 -1,00 -0,50 0,00 0,50 1,00 1,50 2,00

Efficienza modello MARS 3

W E

ffici

enza

mod

ello

MA

RS

3

I quattro quadranti del grafico a dispersione di Moran forniscono una classificazione di quattro tipi di autocorrelazione spaziale, facilmente interpretabile secondo il seguente schema:

Categoria Quadranti del grafico Autocorrelazione Interpretazione

Alta-Alta Alto a destra Positiva Cluster “Presento un valore alto così co-me i miei vicini”

Alta-bassa Basso a destra Negativa Outlier “Presento un valore alto diversa-mente dai miei vicini”

Bassa-bassa Basso a sinistra Positiva Cluster “Presento un valore basso così come i miei vicini”

Bassa-alta Alto a sinistra Negativa Outlier “Presento un valore basso diver-samente dai miei vicini”

14 Questo aspetto presenta interessanti spunti di approfondimento che possono essere rea-

lizzati attraverso studio di un indice di robustezza spaziale che permetta di confrontare due ordinamenti nello spazio.

15 Si è scelta come matrice delle distanze basata sul metodo del K-Nearest Neighbor con k=4.

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L’analisi proposta, anche se focalizzata maggiormente sugli aspetti sta-tistico-metodologici, può essere utilizzata con profitto per ricavare alcune indicazioni più strettamente economiche.

Un primo risultato coinvolge il fatto che l’efficienza dipende essen-zialmente da scelte interne agli ATO, dalla loro storia e dalla tipologia di implementazione delle scelte strategiche, gestionali e organizzative; le forti disparità nelle dimensioni aziendali iniziali e l’impossibilità di estendere la propria rete distributiva ha fatto sì che fosse molto difficile per la singola azienda ricercare di aumentare la propria efficienza produttiva; le tendenze aggregative in atto, specie riguardo ai grandi player nazionali, testimoniano anche questa difficoltà.

Un secondo risultato riguarda il Centro Italia, che presenta risultati, in termini di efficienza, molto bassi. A questo proposito si osserva che nel-l’area centrale hanno preso avvio le prime esperienze di regolazione e rior-ganizzazione del servizio idrico integrato16, che oggi presentano un assetto più maturo rispetto ad altre realtà. Tale maturità si presta a molteplici lettu-re, sintetizzabili in: – gli investimenti programmati nel Piano d’Ambito si trovano a uno stato

di realizzazione avanzato, sono aumentate le coperture del servizio, so-prattutto di fognatura e depurazione, con un incremento dei costi legati alla gestione impiantistica, a parità di volumi erogati. I benefici degli investimenti apportano anche un miglioramento della qualità del servi-zio verso l’utente attribuibile anche al maggiore rispetto della carta dei servizi, senza una riduzione tangibile della spesa. Gli effetti positivi dell’attuazione del piano degli interventi potranno essere colti in fasi ancora più avanzate, quando si ridurranno le manutenzioni ordinarie grazie a una raggiunta efficienza dell’infrastruttura;

– le aziende affidatarie del servizio si caratterizzano per essere monouti-lity, avendo completato processi di scorporo del ramo acqua altrove an-cora in corso, per cui è da considerare l’eventualità che siano stati an-nullati potenziali effetti di sussidiazione dei costi, tipici delle multi uti-lity;

– la realtà del Centro Italia è quella che vede più ricorrente la forma della società mista riconducibile al partenariato pubblico-privato; non si e-sclude che la presenza di un socio privato rappresenti un elemento di rigidità, anche nei rapporti tra regolatore e regolato.

16 L’ATO Alto Valdarno, corrispondente all’incirca al comprensorio della provincia di

Arezzo, è stata la prima esperienza partita nel 2000, mentre l’ATO 4 Lazio Meridionale La-tina e l’ATO 5 Lazio Meridionale Frosinone hanno iniziato la gestione nel 2001, infine nel 2002 si sono avviati quattro Ambiti tutti riferiti alla Toscana.

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Nell’ambito del quadro generale della realtà dell’Italia centrale è dove-roso evidenziare il profilo orografico che caratterizza le ATO dell’Umbria, con densità abitative contenute e territori montani. Questi fattori ambientali, di cui si è detto in precedenza, sono un ostacolo oggettivo al raggiungimen-to dell’efficienza del servizio.

Nel Sud Italia e Isole, al di là dei risultati riguardanti l’ATO Unico Pu-glia e l’ATO Unico Sardegna, che presentano alti volumi di acqua erogata, la situazione sembra essere molto variegata e legata principalmente alle scelte industriali di ogni singola azienda. In alcune di queste aree stenta a decollare una gestione unitaria del servizio, per cui vi è compresenza di soggetti che operano come sub-gestori cristallizzando una situazione di frammentazione gestionale, che i bassi quantitativi di acqua venduta so-stengono con difficoltà.

7. Considerazioni finali

Gli obiettivi del paper qui presentato sono stati sia di natura metodolo-gica che applicativa: la valutazione di efficienza delle aziende dal lato della funzione di costo è stata svolta tramite una metodologia di stima originale che si avvale di alcune caratteristiche molto interessanti dei modelli MARS rispetto ai modelli non parametrici classici come la DEA, quali per esempio l’ottenimento della stima di una forma funzionale lineare a tratti interamen-te data driven.

Tale metodologia è stata confrontata con modelli DEA a rendimenti co-stanti e variabili, al fine di proporre un esemplificativo processo di confron-to tra risultati.

I risultati relativi all’efficienza dei singoli ATO si sono dimostrati stabi-li e coerenti con la storia produttiva, la tipologia di implementazione e le scelte interne agli ATO; le forti disparità nelle dimensioni aziendali iniziali e l’impossibilità di estendere la propria rete distributiva ha fatto sì che fosse molto difficile per la singola azienda aumentare la propria efficienza pro-duttiva.

Da un punto di vista metodologico futuri sviluppi della metodologia MARS applicata all’efficienza dovranno riguardare, a nostro avviso, tecni-che più robuste che permettano di non traslare la funzione stimata sui dati medi, ma di stimare la stessa direttamente sulla frontiera di produzione o di costo.

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