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La Theriaca... DominaMedicinarum - IIMithridate re del Ponto: il primo tossicologo sperimentale e il suo team
di esperti.
Hypsicratea e Mitridate cavalcano verso la battaglia.
Regnava in Oriente un re: (...)
Con carni e bevande avvelenate
Ei raccolse ogni spirito vitale
Della terra dei molti veleni.
Prima un pochino, poi sempre di più,
provò ogni sostanza mortale; (...)
Hanno messo l’arsenico nel suo arrosto
Sgranando gli occhi, terrorizzati, mentre il re mangiava;
hanno versato stricnina nella sua coppa:
e hanno tremato nel vederlo svuotare il calice (...)
narro a voi quel che a me fu narrato,
di Mitridate che morì attempato.
(A.E. Housman, He died old...)
Ancora intorno alla metà del’Ottocento la figura di Mitridate re del Ponto (132 – 63 a.C.)
ispirava tanta curiosità e ammirazione da dare vita a una lunga serie di opere di poesia,
musica e teatro fra le quali la prima opera seria di Mozart Mitridate, re del Ponto, del 1770,
almeno 18 libretti per opera lirica e il Mitridate di Racine, tragedia favorita da Luigi XIV. Il
poeta-filologo inglese A.E. Housman in un suo poema del 1896 descrive con queste parole
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quella che doveva essere una normale cena alla corte raffinata ed eclettica di Mitridate, di cui
si favoleggiavano le ricchezze, la capacità di parlare tutte le lingue delle 22 etnie che
rientravano sotto la sua giurisdizione (il termine mithridates poteva indicare anche un libro
scritto in molte lingue), le grandi qualità di stratega, ammirate anche da Machiavelli, e la
passione per i veleni che assumeva egli stesso quotidianamente per rendersi immune.
Gli scrittori antichi concordano nell’indicare che Mitridate sin da piccolo elaborò un
interesse ossessivo per la pratica dell’avvelenamento. Nei spesso fatui e instabili regni
ellenistici, derivati dalla disgregazione dell’impero di Alessandro Magno, la garanzia della
successione nella linea dinastica sembrava spesso giacere non tanto sul “patrimonio
genetico” quanto sulla capacità e sfrontatezza nella manipolazione dell’arsenico! Mitridate
era ben consapevole di tutto ciò da quando iniziò a sospettare la madre di aver avvelenato il
marito durante una cena.
Proprio a tal proposito, non molto lontano nel tempo e nello spazio, Giovenale in una delle
Satire avvertiva “Attenti giovani rampolli destinati a una ricca eredità, badate a voi, nessun
cibo è sicuro: astioso in ogni fetta di torta può scorrere il veleno della matrigna. Se poi ha
figliato anche lei, quel che vi propina l’assaggi prima qualcun’altro, e, anche se non vuole, le
vostre bibite le gusti prima il precettore”.
Mitridate andò ben oltre il consiglio di Giovenale e, come ci informa Plinio, per primo iniziò
ad assumere veleni, in quantità minime, quotidianamente, nella convinzione che questo lo
avrebbe immunizzato da dosi letali e fece questo in modo assolutamente scientifico. È noto
che molti sovrani ellenistici oltre a essere dediti allo studio delle materie classiche e raffinati
cultori delle arti iniziarono a interessarsi di medicina, più o meno direttamente, soprattutto
di quel ramo della farmacologia, la tossicologia, che si andava specializzando in Alessandria e
Pergamo sulla scia della scuola empirica.
Attalo III di Pergamo era considerato pazzo perché preferiva la scienza al governo sino al
punto di allontanarsi dalla corte e mettere da parte la corona per passare le sue giornate
nella cura dei giardini, intento allo studio della botanica, della farmacologia e della
metallurgia. Con le piante benefiche e velenose che vi coltivava componeva intrugli e antidoti
ai veleni che poi sperimentava sui condannati a morte, e per suo ordine Nicandro di
Colofone redasse i due componimenti in versi Theriakà e Alexipharmaka che
contemplavano i più disparati casi di avvelenamento provocato da animali o da ingestione.
Lo stesso Farnace, nonno di Mitridate VI, sembrava aver scoperto un rimedio validissimo
contro molti mali, quasi una panacea, in una pianta da lui individuata e chiamata
pharnaceon, mentre, in un campo assai più civettuolo, ricordiamo che per volere di
Cleopatra sulle sponde del Mar Morto venne creato qualcosa di simile a un moderno “centro
benessere” dove si sfruttavano le proprietà dei famosi sali e si producevano unguenti
profumati, sulla cui composizione la regina probabilmente scrisse anche un trattato. Il
balsamo della Giudea e il famoso unguento reale, ottenuto dalla mescolanza di almeno 27
spezie diverse, erano richiesti ed esportati in tutto il Mediterraneo.
Anche lo scenario geografico che fece da sfondo alla vicenda storica di Mitridate giocò un
ruolo importante nella particolare attenzione data dal sovrano alla ricerca tossicologica. Il
Ponto, localizzato nell’Anatolia nord-orientale, sulle coste del Mar Nero, era una terra
famosa per la sua ricchezza in varietà botaniche e molte specie riconosciute velenose già in
antichità vi crescevano spontanee. Non è un caso se la leggenda di Medea, l’abile
manipolatrice di tutte le sostanze, benefiche e non, fu ambientata proprio nella vicina
Colchide. Oltre a ciò le miniere del Ponto, erano ricche di minerali rari e mortali e il Ponto
era il centro di esportazione del realgar, la “polvere delle caverne”, da cui si otteneva per
riscaldamento l’arsenico.
Nelle aree interne e montuose dell’Anatolia vivevano tribù i cui magi e sciamani erano
esperti conoscitori di piante velenose e degli antidoti ai veleni usati per le frecce; gli sciamani
agari e sciti conoscevano inoltre il segreto curativo del veleno delle vipere, che usavano con
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perizia per sanare le ferite: ben due volte, narrano gli storici, Mitridate durante le lunghe e
sanguinose guerre contro i generali inviati da Roma venne ferito sul campo di battaglia e fu
prontamente guarito dagli sciamani.
Magi e sciamani erano parte integrante del variopinto e dotto seguito di Mitridate. Faceva
parte del team di esperti a sua disposizione anche Kratevas, il rizotomo, ovvero tagliatore di
radici, con il quale coltivava i giardini di piante tossiche e benefiche e che compose un
erbario figurato per il suo re dedicandogli anche due piante, l’Eupatoria e il Mitridatio. Una
vivace corrispondenza doveva intercorrere fra i medici di Mitridate e quelli di altre corti
ellenistiche, con tanto di scambio di trattati specialistici e lettere informative sul procedere
degli esperimenti se le fonti ci informano che un giorno Zopiro, medico reale di Alessandria,
inviò una lettera e un pacco a Mitridate nel quale era contenuto un antidoto... l’invito a
testarlo sul messo che lo aveva consegnato era perentorio... era comunque condannato a
morte!
Mitridate e i suoi collaboratori concretizzarono il frutto di tanta ricerca, durata tutta una
vita, in un antidoto, passato alla storia con il nome di Mithridatum, l’antidoto contro tutti i
veleni. Alla sua efficacia il mondo antico credette a tal punto che Pompeo, nella fase finale
della guerra contro Mitridate, in prossimità della vittoria, ebbe l’ordine di ricercare fra le
carte personali del re fuggitivo la sua ricetta, per riportarla a Roma. Qui, in un ambiente
ideale alla proliferazione di complotti e intrighi, l’antidoto contro i veleni avrebbe avuto
sviluppi impensati per la storia della farmacologia antica.
La ricetta originale del Mitridato è, nella realtà, andata perduta; quello che sappiamo degli
ingredienti che lo componevano ci viene narrato da Plinio che, in un certo momento, doveva
aver avuto sotto mano le carte di Mitridate e che ci informa che il re “con infaticabile lavoro e
ogni possibile esperimento cercò il modo per costringere i veleni a diventare rimedi utili”.
Sembra che entrassero nella composizione dell’antidoto sostanze benefiche assieme a piccole
quantità di veleno, secondo la convinzione antica che per ogni veleno di origine naturale
esistesse un antidoto naturale. Altri ingredienti che entravano nel preparato erano
probabilmente cannella, mirra, cassia, miele, castoreo (estratto dai testicoli di castoro),
incenso, aglio, argilla di Lemno, vino di Chio, carbone, centaurea, aristolochia, zenzero,
iperico (erba di San Giovanni), zafferano, rabarbaro del Volga, prezzemolo, acacia,
cardamomo, anice, oppio.
Studi moderni sui componenti del Mitridato hanno rivelato che molte di queste sostanze
sarebbero effettivamente in grado di stimolare l’attività del sistema immunitario nel senso
della protezione da “intossicazione”. Lo zolfo contenuto nell’aglio è in grado di neutralizzare
l’arsenico, come il carbone può assorbire tossine; l’iperico sembra in grado di stimolare la
produzione di enzimi capace di mettere fuori gioco molte sostanze chimiche pericolose
all’organismo, mentre altri ingredienti avrebbero dimostrato una spiccata attività
antibatterica.
La tragica morte di Mitridate rappresentò probabilmente il più grande “lancio pubblicitario”
che un antidoto al veleno potesse sperare di avere: la dose letale, con la quale pensava di
uccidere sé e le figlie, non risultò efficace su di un corpo ormai assuefatto a esso e, per non
cadere nelle mani dell’odiato nemico, il re, assediato nel suo palazzo, dovette ricorrere alla
spada di un fedele soldato.
I medici della corte imperiale romana rivendicheranno, in seguito, il possesso della formula
originale del Mitridato: da Nerone in poi ogni imperatore ricorrerà all’assunzione giornaliera
dell’antidoto. Modificato e trasformato da Andromaco (con l’introduzione della carne di
vipera e aumentando la dose dell’oppio) sulle esigenze di una corte di livello “imperiale”,
l’"antidoto” inizierà ad assumere i connotati di una “panacea” grazie allo studio e alla
divulgazione delle conoscenze mediche più avanzate del tempo quali erano quelle di Galeno,
il medico dei gladiatori, giunto a Roma da Pergamo per divenire medico di corte di
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06 settembre 2012
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Marc’Aurelio e dei Severi.
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Articolo di Annalisa Cantarini
Foto:
Kratevas, medico di Mitridate.1.
Della Theriaca e del Mitridato. Venezia 1572.2.
Nicandro di Colofone3.
Vaso di ceramica usato per contenere la theriaca.4.
La theriaca di Mitridate era un antidoto contro il morso di serpente.5.
Vaso di ceramica usato per contenere la theriaca.6.
In collaborazione con Aboca Museum www.abocamuseum.it
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