aleksandr solženicyn tra amore e odio between love and hate Алекса́ндр Иса́евич...

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1 di Tatiana Polo La recente scomparsa di Alexandr Solženicyn, il premio Nobel russo per la letteratura, ripropone il rompicapo della sua interpretazione. I titoli dedicati alla sua scomparsa dalla grande stampa russa – “un titano di livello pari a quelli dell’antichità”, “L’Omero del nostro tempo”, “L’unico apostolo della coscienza del XX secolo” – riecheggiano i toni iperbolici tributati allo scrittore negli ultimi anni di vita. Fuori dal coro solo i quotidiani d’opposizione, come la Novaja gazeta (dove lavorava Anna Politkovskaja), i quali si sono limitati a dare la notizia in stile telegrafico. Altri ancora, di modesta tiratura, hanno dato sfogo al risentimento degli ambienti che lo consideravano un traditore della Patria, criminale, antisemita, fantoccio del Cremlino, o semplicemente uno scrittore sopravvalutato. Un questionario on-line sulla figura di Solženicyn proponeva quattro opzioni: a). delatore colpevole della morte dei detenuti nel GULAG b) traditore e calunniatore della Patria c)

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L'analisi della figura e dell'operato dello scrittore sovietico A. Solzenicyn nell'anno della sua scomparsa

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di Tatiana Polo

La recente scomparsa di Alexandr Solženicyn, il premio Nobel russo per la letteratura, ripropone il rompicapo della sua interpretazione. I titoli dedicati alla sua scomparsa dalla grande stampa russa – “un titano di livello pari a quelli dell’antichità”, “L’Omero del nostro tempo”, “L’unico apostolo della coscienza del XX secolo” – riecheggiano i toni iperbolici tributati allo scrittore negli ultimi anni di vita. Fuori dal coro solo i quotidiani d’opposizione, come la Novaja gazeta (dove lavorava Anna Politkovskaja), i quali si sono limitati a dare la notizia in stile telegrafico. Altri ancora, di modesta tiratura, hanno dato sfogo al risentimento degli ambienti che lo consideravano un traditore della Patria, criminale, antisemita, fantoccio del Cremlino, o semplicemente uno scrittore sopravvalutato. Un questionario on-line sulla figura di Solženicyn proponeva quattro opzioni: a). delatore colpevole della morte dei detenuti nel GULAG b) traditore e calunniatore della Patria c)

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scrittore mediocre d) Profeta. L’ultima opzione raccolse un infimo 2 per cento e il questionario dette la stura a chilometrici commenti, dibattiti, insulti, spiegazioni, finché fu silenziato dagli hacker: “Il sito è attaccato dal DDOS. Ci scusiamo per il disagio”. Ma è stata solo una breve tregua in una guerra destinata a durare.

In Italia la situazione è diversa. Qui la furia di sentimenti e pareri opposti, un tempo scatenati dalla sua requisitoria anticomunista, si è acquietata in uno stagno tranquillo. Da noi Solženicyn sbarcò mezzo secolo fa, quando il settimanale L’Espresso pubblicò la prima traduzione occidentale, di Enzo Bettiza, di Una giornata di Ivan Denisovič. La storia di questa pubblicazione, recentemente rievocata da Bettiza sulla Stampa, contiene quell’enfasi sulla comparsa di un nuovo Messia sovietico, che poi caratterizzò la cultura italiana: “Nel novembre del 1962, i cieli delle steppe furono d’improvviso attraversati da un tuono che si ripercosse, simile al preannuncio di una calamità travolgente ma positiva, sui recinti letterari, politici, psicologici, ideologici di Mosca. Lo stesso Kruscev, che aveva già dato in pasto ai cerberi l’inerme Pasternak, decise stavolta di non sprangare il Cremlino all’impatto del tuono Solzenicyn…”1. La burrasca che arrivò dopo questo “tuono” oscurò di brutto non solo e non tanto “i cieli della steppa”, quanto quelli della politica italiana. La Sinistra sentì minacciati la sua identità e i suoi valori, già scossi dal XX congresso del PCUS con la condanna del culto della personalità e soprattutto dalla repressione in Polonia e Ungheria. Le rivelazioni di Solženicyn demolivano il mito della comune patria sovietica; sotto la felice e pacifica repubblica universale retta su principi di giustizia spuntavano baracche e filo spinato. “Lo scrittore si erge come il più grande accusatore del comunismo realizzato e pronuncia la sua immensa, scrupolosa requisitoria. - scrive Barbara Spinelli nel 2001. - Ne saranno scosse durevolmente le intelligenze d'Europa, e le teorie marxiste e socialiste. In alcuni paesi, come in fronda, il fenomeno travolgerà il Partito comunista. Avrà fine la costante egemonia che esso esercitava sui vocabolari del dopoguerra. Intuendo il disastro delle proprie sicurezze, (…) i comunisti resisteranno ancora, e calunniando il testimone denigreranno la testimonianza: fu il caso dell'accoglienza dell'Arcipelago presso l'intelligencija di sinistra in Europa, e specialmente in Italia.”2.

Quest’enfasi senz’altro nobile, protrattasi per più di 40 anni ed espressa quasi ieri da una giornalista di tale spicco, portò alla situazione

1 http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200807articoli/34729girata.asp

2 B. Spinelli, prefazione al romanzo Arcipelago Gulag di Solženisyn, Mondadori, 2001.

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in cui attualmente versa l’intera ala sinistra della politica italiana. Strada facendo si assistette al degrado del vivacissimo ponte culturale tra i due Paesi, iniziative create e tenute in constante manutenzione dall’area vicina al PCI: un degrado che finì poi per compromettere pure le relazioni culturali italo-russe, paradossalmente pure a danno dell’aiuto che l’Italia avrebbe in seguito potuto dare alla nascente democrazia russa. Invano Giorgio Napolitano, attuale Presidente della Repubblica, denunciava su Rinascita, in un commento del 1974 sull’espulsione di Solženicyn, che “…nel nostro paese ci si è, nei giorni scorsi, preoccupati essenzialmente di alzare il solito polverone propagandistico, di sfruttare l’occasione per una polemica a buon mercato sull’URSS, sul comunismo e perfino sul PCI”. L’autore dell’articolo, allarmato dall’immensa portata distruttiva dell’attività di Solzenicyn, ammoniva i lettori, che la negazione dei valori del socialismo impoveriva il mondo. “È questa negazione, fattasi una via sempre più cieca, che ha segnato la condanna di un’opera come quella di Solgenitsyn che pure aveva preso le mosse da una giusta battaglia di rottura col passato staliniano”3. Probabilmente furono i comunisti a rendere possibile l’apparizione in Italiano nella casa editrice di Nicola Teti a Milano di un libro del giornalista cecoslovacco Tomas Resac La spirale delle contraddizioni di Aleksandr Solgenitsyn4. La pubblicazione, basata sui dossier del KGB, tentava una demolizione della figura morale dello scrittore così sopra le righe e talmente goffa da risultare controproducente.

Naturalmente la cultura italiana prese le distanze dalla piega politica presa dal caso Solženicyn e rimase fedele alla sua prima impressione. L’innamoramento, alimentato da vari convegni, incontri e presentazioni, si coagulò in un vaccino contro qualunque critica. Contribuì molto anche

3 G. Napolitano, “Ancora sul caso Solgenitsyn, L’esperienza sovietica e la nostra prospettiva”, in Rinascita, 22.02.1974 N.8 p. 7.

4 Tomas Resac La spirale delle contraddizioni di Aleksandr Solgenitsyn 1977, Teti Editore, Milano Ecco la presentazione del libro, fornita oggi dalla casa editrice:

“Si tratta di un contributo dello scrittore cecoslovacco Tomas Rezac sulla figura controversa di Solgenitzyn. Rezac si è dedicato ad una vera e propria indagine sulla figura del premio Nobel russo, raccogliendo tutto il materiale possibile sul suo conto e interrogando quanti hanno avuto a che fare con lo scrittore (la moglie Natalia Rescetovskaja, gli amici di gioventù Vitkevic e Simonjan, i compagni degli anni di reclusione). Il risultato non appare certo favorevole al premio Nobel, la cui figura morale appare gravemente compromessa. Rezac è riuscito a dimostrare che Solgenitzyn, battagliero esponente per i diritti dell’uomo, non è un cavaliere senza macchia e senza paura, ma un uomo dal passato ambiguo che in prigione si è prestato al ruolo di delatore e di agente provocatore.”

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l’aspetto fisico del Premio Nobel: Russo vecchio stile, barba sempre più lunga, con l’espressione pensosa e solenne del volto.

Più tardi la considerazione del prosatore s’innacquò con lo scetticismo di Carlo Cassola, Umberto Eco e Alberto Moravia, che pare avrebbero avuto qualcosa da rimproverare al Nostro sia sul piano professionale sia su quello socio-politico5. Ma niente poteva intaccare la linea adottata “ufficiale” sul grande Solženicyn.

Il problema, che complica ogni tentativo di affrontare l’argomento, è che i lettori italiani non vogliono consumare il prodotto “Solženicyn” nonostante la crosta caramellata della critica lusinghiera, né il retrogusto amarognolo dei nascosti pareri “alternativi”. È vero che neanche in Patria la popolarità dello scrittore è quella di una volta. Ci fu un periodo, in Russia, in cui fu letto praticamente da tutta la popolazione adulta. Oggi ci sono ben altri best-seller nazionali, mentre il Nostro, diventato fuori moda, occupa il suo legittimo posto tra i classici del Novecento. In Italia invece il calo di popolarità dell’epistola di Solženicyn si è tradotto in netto rifiuto. Dopo il boom degli anni Settanta, quando comparvero almeno una quarantina di traduzioni, oggi l’editoria italiana non propone niente di nuovo. Chissà perché la massa dei lettori considera Solženicyn soltanto un memorialista, l’autore di denunce datate e perciò ormai lo ignora, malgrado gli sforzi dei critici, il Nobel e altri prestigiosi premi, compreso uno italiano, il Brancati del ’94. Il suo nome, tutt’al più, viene citato come termine di paragone: “Xiong Yan, il Solzenicyn cinese”.

Peccato. Quale altro scrittore del XX secolo è stato così osannato e così contestato? Nella storia dell’umanità a pochi toccò la stessa sorte: Napoleone, Casanova, Che Guevara. Sono personaggi complessi, che l’analisi parziale non aiuta a capire. La critica italiana gli fa un pessimo servizio, nascondendo le proprie perplessità dietro una cortina di belle emozioni di tanti anni fa. Tappandosi il naso, lo chiama Profeta, Vate e, poco manca, Duce, ma non riesce a spiegare né a noi né a se stessa, il vero significato di Solženicyn. Se i suoi connazionali lo odiano o lo ignorano - ci vien detto - è perché sono per lo più stupidi e ottusi, indegni del loro geniale rappresentante. Scrive M. Dell’Asta indignata, che Solženicyn resta «…il cuore morale della nazione, persino della nuova Russia che di cose stantie come la morale se ne infischia alla grande. Dopo il plateale insuccesso delle trasmissioni che aveva intrapreso nel 1994 (che avevano fatto dire che è un moralista noioso); dopo che una casa editrice russa aveva sospeso la pubblicazione della 5 v. Irina Alberti sull’Avvenire: http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/comunismo/urss-stalinismo/aleksandr_solzenicyn/articolo.php?id=1912&titolo=Cos%C3%AC%20l#

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sua opera omnia "per mancanza di sottoscrittori", qualcuno aveva cercato di seppellirlo anzitempo come un relitto della tramontata epoca del dissenso»6.

Ancor più ferisce il verdetto di Vittorio Strada, che per valorizzare Solženicyn non trova di meglio che sminuire altri grandi protagonisti della storia e cultura russa: «…Per l’opinione comune, egli è stato il più grande dei “dissidenti”. Ma, a differenza degli altri, con la sola eccezione di Sacharov, Solženicyn non tanto "dissentiva" dall'ideologia al potere nell'Urss e altrove, quanto ad essa era totalmente "contro", e in modo più radicale dello stesso Sacharov. Questo appare ancora più chiaro oggi, di fronte al melanconico spettacolo degli ex "dissidenti" che avevano dimostrato il coraggio della renitenza al vecchio regime, ma non hanno retto alla prova, indubbiamente non facile, della fine di quel regime e, a parte quelli di essi che si sono ritirati a vita privata in qualche nicchia (accademica, per lo più) offerta dall'ospitale Occidente, hanno esaurito la loro carica intellettuale, stranieri nella nuova Russia e nella vecchia Europa. Quanto a quei "dissidenti" mancati (per carenza di coraggio) che sono stati i "frondisti" degli anni Sessanta, nel periodo kruscioviano, e che dopo le piccole rivolte in ginocchio durante la restaurazione brezneviana, erano approdati tra le braccia del gorbaciovismo, costoro, ormai sbalzati via dal nuovo corso storico postsovietico, sembrano dei falsi veterani che esaltano battaglie mai da loro combattute»7.

Arrivata a questo punto, sono stata tentata di partire per Venezia e di sfidare il Professor Strada a duello, dimenticando che sono in ritardo di due secoli e che, in ogni caso, non mi sarebbe stato facile travestirmi da uomo. Ma, stiamo seri, bisogna difendere l’onore di chi aveva pagato con le torture e la propria vita il titolo di dissidente. Bisogna andare fino in fondo per scoprire cosa c’è nel conto presentato dall’odierna società russa allo scrittore e cittadino Solženicyn, senza naturalmente tralasciare il merito che gli spetta. Attraverso una ricostruzione di come si è formato il sentimento prevalente dei russi nei confronti del famoso scrittore loro connazionale, vediamo di dare una nostra interpretazione della sua controversa figura. E cominciamo da lontano…

6http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/comunismo/urss-

stalinismo/aleksandr_solzenicyn/articolo.php?id=1916# 7 V. Strada, Solzenicyn, il dissenso che non va in pensione, Corriere della sera del 19.04.1995

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la reazione degli sciacalli del potere sovietico contro l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura 1958 a Boris Pasternak, lo fece scendere presto nella tomba; il comitato dovette sentirsi in colpa. Due anni dopo il premio toccò a Michail Šolohov, homo sovieticus e ligio alla linea del Partito; non fu una scelta felice8. Quando nel 1969 il Comitato del Nobel individuò il nuovo candidato russo, la scelta sembrò più azzeccata: l’autore, ex-detenuto del campo di lavoro, era un uomo d’acciaio e del pensiero libero e democratico. L’anno dopo il Premio gli fu assegnato. Ma chi era costui?

Aleksandr Isaevič (Isaakovič) Solženicyn, come dice l’edizione russa di Wikipedia9, aveva una biografia assai tormentata. Era nato l’11 dicembre del 1918 a Kislovodsk, nel Caucaso, da Taisia Šerbak e Isaakij Solzenicyn, morto prima della nascita del figlio in un incidente di caccia10. La madre proveniva da famiglia agiata, alla quale durante la rivoluzione d’ottobre erano stati espropriati tutti i beni compresa la casa. La miseria, l’odio verso tutto il mondo e la conflittualità dei parenti accolsero la nuova vita. Taisia, che non si risposò mai, presto decise di trasferirsi a Rostov, dove trovò un lavoro di dattilografa e un rifugio in un appartamento di coabitazione, nel quale per i successivi 15 anni occupò insieme con il figlio non una stanza a parte, ma un angolo della stanza, probabilmente separato con un armadio e un pezzo di stoffa. Conosce il lettore il metodo di eliminazione dei ratti nelle case di campagna russa? Si catturano due ratti e li si mette in una grande botte; dopo una settimana i ratti dentro la botte sono solo uno e il vincitore

8 Della critica di Solzenicyn Šolohov alla fine pagò caro. Fin dagli anni 30 girava la

voceche il suo romanzo fosse in realtà un clamoroso plagio. Non appena esiliato in Europa, Solzenicyn commissionò a I. N. Medvedeva-Tomaševskaja di riassumere tali accuse in un libro intitolato Stremja Tihogo Dona. Zagadki romana (La staffa del Placido Don. I misteri del romanzo), di cui scrisse la prefazione e che pubblicò a Parigi. Cfr. I. Izgaršev Šolohov: žizn’ ne po lži, in Argumenty i fakty, 25.02,2002 http://noblit.ru/content/view/399/1/ 9 Voce “Солженицын” http://ru.wikipedia.org/wiki/%D0%A1%D0%BE%D0%BB%D0%B6%D0%B5%D0%BD%D0%B8%D1%86%D1%8B%D0%BD,_%D0%90%D0%BB%D0%B5%D0%BA%D1%81%D0%B0%D0%BD%D0%B4%D1%80_%D0%98%D1%81%D0%B0%D0%B5%D0%B2%D0%B8%D1%87#cite_note-0 10 Il padre – come risulta dal diploma di maturità rilasciato al futuro scrittore dalla scuola di Rostov – si chiamava Isaak, ed era perciò sicuramente ebreo. Nel passaporto invece il patronimico di Solzenicyn è Isaevič, tipicamente russo. Al rilascio del passaporto i cittadini russi solitamente avevano facoltà di cambiare i propri dati. Sono documentati, ad es., casi in cui fu consentito di cambiare un nome “troppo antiquato”. Le fotocopie del diploma e del passaporto di Solzenicyn sono pubblicate nella rivista Studenčeskij meridian, N°7 1990.

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viene lasciato libero; il problema dell’infestazione della casa è risolto: i roditori scompaiono. Aleksandr apparteneva alla razza dei vincitori e possedeva le attitudini di un campione olimpico di lotta col mondo circostante, ma in questa “palestra” qualcosa si spezzò nell’anima del bambino, alterando la percezione di ogni sua futura vittoria in una dolorosa sensazione di essere egli stesso interiormente percosso e torturato. Per tutta la vita l’angusto, lurido e buio ambiente, dove lo aspetta un pericolo mortale, lo ipnotizza e lo attrae. Gli si sviluppa uno stranissimo complesso psicologico, anzi, secondo il biografo O. Davydov, addirittura uno sdoppiamento della personalità, un alter ego incline al tradimento e suicidio11. Intanto Aleksandr frequenta la scuola e poi l’Università locale, laureandosi in matematica a pieni voti. Secondo la testimonianza della sua compagna di classe Evelina Kušner, possedeva “un talento straordinario da attore” e frequentava la locale scuola di teatro, dove insegnava la futura celebrità del teatro sovietico Jurij Zavadskij. E qui arriviamo al primo capo della futura requisitoria tesa a demolirne l’immagine pubblica: imbarazzo per le proprie origini ebraiche, se non addirittura antisemitismo, per aver mutato in patronimico russo la paternità che lo qualificava in modo eloquente come ebreo. Altri vi trovano la prima traccia della straordinaria abilità e propensione di Solženicyn a raggirare l’interlocutore e a manipolare i fatti, ritengono in coro i suoi irritati oppositori di vari accampamenti. Tanto per citare, ci appoggiamo all’articolo del Dottore in scienze storiche Ju. Fedorovskij Oda dissidentstvu…12.

Gli studi all’Università procedevano brillantemente, ma la vera passione del giovane divenne la letteratura. Produce una mole di opere in prosa e in versi e si iscrive al corso per corrispondenza dell’Istituto della Filosofia, Letteratura e Storia a Mosca. Istituzione assai memorabile per il Nostro, che mescolerà poi le tre discipline nella sua opera, più una quarta – la propria vita. Facendo così impazzire i suoi biografi e critici, che questi addendi vogliono a tutti i costi studiare separatamente13. Ma ecco che nel ‘41 la guerra interrompe i suoi studi. O, meglio, modifica il loro indirizzo. Chiamato alle armi tre mesi dopo l’inizio della guerra, Solzenicyn ottiene il privilegio di accedere alla formazione dei Quadri, frequenta la scuola di ufficiali di artiglieria e parte per il fronte a metà guerra, nel febbraio del 1943 già comandante di una batteria di rilevamento acustico. Lì lo raggiunge presto la moglie Natalia

11 O. Davydov http://www.peremeny.ru/column/view/739/ 12 Fedorovskij http://www.libelli.ru/works/solzh.htm 13 Per esempio, il romanzo storico-biografico l’Arcipelago Gulag viene definito dall’autore come “Saggio di indagine letteraria”

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Rešetovskaja. Ciò dimostra che già allora Aleksandr Isaevic sa ottenere dalla vita quel che gli spetta. In seguito rievocherà in libri e discorsi questa sua esperienza bellica, esponendo il fianco alla collera dei veterani: dice, ad esempio, di aver attraversato il Paese per tutta la durata della guerra quale comandante di batteria ... a volte senza precisare che non si tratta di una batteria d’artiglieria in prima linea, ma di una unità tecnica tenuta in posizione arretrata. False sembrano ai vecchi lupi di guerra le descrizioni delle battaglie, ingiuste le caratteristiche dei comandanti, sbagliati i numeri, gonfiate le proprie fatiche, considerando che viveva con la moglie, che scrisse al fronte una marea di opere letterarie e che veniva servito da un cuoco personale, Ivan Šuchov, cui nome poi diede al protagonista del suo primo celebre racconto. Avranno pure ragione gli esperti militari, ma dimenticano, che le opere di letteratura devono essere giudicati come tali, anche se lo stile del Nostro possa creare l’impressione di un dossier di documenti storici. Ma torniamo alla biografia.

Due volte decorato, promosso capitano, è in Prussia Orientale quando, nel 1945, viene improvvisamente arrestato, rispedito a Mosca e rinchiuso in prigione. L’accusa è di aver organizzato un complotto sovversivo contro il governo. Come racconterà nel primo capitolo di Arcipelago Gulag (“Arresto”), era stato così ingenuo da aver discusso il piano d’azione in una lettera a un amico e cofondatore del “futuro partito sovversivo” Nikolaj Vitkevič. A quest’ultimo l’imprudenza dello scrittore costò due anni di GULAG più del loquace Aleksandr: e non nell’istituto di ricerca scientifica, paradiso dell’universo carcerario, toccato al futuro Nobel, ma in un stabilimento di pena tra i più duri. A Vitkevič fu fatto leggere un verbale dell’interrogatorio di Solzenicyn, in cui lo calunniava: il figlio, Nikolaj Vitkevic-junior, dichiarò poi: “Non voglio che il nome di mio padre venga pronunciato accanto a quello di quel mascalzone di Solzenicyn”14. Che la delazione non fosse inventata al KGB è confermato dalla stessa moglie N. Resetovskaja, la quale scrive nelle sue memorie15 di essere stata lei stessa calunniata dal marito, insieme ad un altro amico, Kirill Simonjan e ad su un casuale compagno di viaggio sul treno, un certo Vlasov, ma per fortuna furono tutti prosciolti. Naturalmente su ciò si è scatenato un putiferio. Visto che il capitano Solženicyn era ben consapevole che tutta la corrispondenza veniva controllata dalla censura (si dice, lo sapevano anche i bambini), 14 L.Samutin, Vospominanija (Ricordi) http://compromat.ru/main/kulturka/solzhenitsyn.htm

15 N. Resetovskaja V spore so vremenem (Discutendo con il tempo), ed. APN, 1975.

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generalmente si ritiene che il vero movente della sua autodenuncia fosse il desiderio di disertare dal fronte. Quindi, oltre che “mascalzone” sarebbe stato pure “codardo” e “traditore della Patria”. Ma è un ragionamento confuso: mancavano pochi mesi alla fine della guerra ed è difficile pensare che un “imboscato” fosse tanto terrorizzato da preferire commutare pochi mesi di retrovia in anni di galera. Su, non vogliamo mica arrivare a pensare che il Nostro volesse rovinare i migliori amici e la donna amata! La questione è più sottile e più interessante. Tanto più che lo scrittore, ricordando gli avvenimenti, non si difende e non riesce a spiegare il motivo delle sue azioni, dice solo: ero smarrito, confuso, mi comportavo da stupido, ingenuo, avevo la mente offuscata, ecc. Noi invece supponiamo che fu quel segreto desiderio di ritrovarsi sul fondo della “botte”, negli “inferi” della realtà, che lo sospinse a fare il passo falso. Forse star bene gli dava semplicemente fastidio, senza che egli se ne rendesse ben conto. Neržin, il protagonista del Primo cerchio, esclamerà: “La felicità delle ripetute vittorie, la felicità dell’avverarsi trionfale dei desideri, la felicità della completa soddisfazione – è una sofferenza! È la morte dell’anima, è un continuo bruciore di stomaco nel senso morale”16. Nella felicità e normalità della vita quotidiana Aleksandr Isaevic percepiva qualcosa di vergognoso e fatale per gli esseri umani; e siccome la guerra contro il fascismo volgeva al termine e si prospettava un periodo di benessere e generale tranquillità, egli sentiva bisogno di salvare se stesso, la moglie e gli amici. È priva di cinismo dunque la sua frase nell’Arcipelago, rivolta al calunniato amico Simonjan: “Peccato che non ti hanno arrestato. Non sai quanto hai perso!”.

La segreta aspirazione del suo animo, la sofferenza, trova nel conscio dell’autore l’adeguata motivazione logica: il rifiuto della “menzogna della vita”, morale e sociale. Lo slogan “Vivere senza menzogna” determina il tema principale della creazione di Solženicyn: la conservazione dell’anima nel contesto del totalitarismo. La purezza dell’anima va continuamente allenata nella sofferenza, che diventa una specie di “sport morale”. “È tremendo pensare, che scrittore io sarei diventato (lo sarei diventato comunque), se non mi avessero arrestato”, - scrive ne La quercia e il vitello. E ancora: “Ero di umore sereno, addirittura felice, e anzi, trionfante durante tutti questi anni in cui scrivevo segretamente, 5 anni in un lager prima della mia malattia e 7 anni di confino…”17.

16 http://lib.ru/PROZA/SOLZHENICYN/vkp1.txt 17 http://www.lib.ru/PROZA/SOLZHENICYN/telenok.txt

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La pagina successiva della biografia del futuro premio Nobel ci illustra ulteriori progressi nell’addestramento dell’”atleta” interno. Non abbiamo motivo di dubitare della sua disponibilità a collaborare con gli agenti del sistema di oppressione sovietico, quando egli stesso racconta nel tomo II dell‘Arcipelago del suo ingaggio come delatore sotto il nome di copertura “Vetrov”, avvenuto nella prigione di Mosca. Lo guida il desiderio di essere buono, giusto, ubbidiente. L’autore sostieneb tuttavia di non aver mai realmente denunciato nessuno: “Così riuscii ad evadere l’impegno. Mai più mi capitò di porre la firma “Vetrov”. Ma ancor oggi mi sento pieno di sgomento, quando per caso m’imbatto in questo cognome”18. Impossibile, - tuonano gli ex-prigionieri dei lager e gli agenti in pensione del sistema penitenziario. Una volta arruolato, sei spia e come tale facilmente ricattato, non ci vuole niente per costringerti a spiare. I detenuti, che dormivano in tanti nelle grosse baracche, non tolleravano i delatori ed erano molto solidali nella loro eliminazione: li uccidevano di notte senz’alcun rischio di essere individuati. Per gli agenti bastava “dimenticare” la lettera d’ingaggio firmata sul loro tavolo mentre qualcuno dei detenuti vi faceva pulizie e uscire per un attimo dalla stanza: la notte stessa i compagni giustiziavano chi l’aveva firmata. Veleno sgorga dalle memorie degli ex-detenuti, quando discutono l’oscuro passato di prigioniero politico dell’autore di Arcipelago. Qualcuno di loro scrive di aver scontato il rifiuto di firmare il contratto d’ingaggio col raddoppio del periodo di detenzione, con l’inasprimento del regime carcerario, con la revoca di piccoli vantaggi in precedenza concessi19. Solženicyn, al contrario, se la passò meglio, come egli stesso più volte ammise. Pur non essendo scienziato, poté scontare la pena nel privilegiato Istituto penitenziario di ricerca scientifica. Per quale merito?

Le prove dell’attività di delatore di Solženicyn sono a portata di mano del nostro lettore. Nel ’74 il KGB, gridando alla vendetta, tirò fuori le denunce firmate “Vetrov” e le regalò a due letterati stranieri: al cecoslovacco Tomas Resak, che li riprodusse nel famigerato libro di cui abbiamo parlato all’inizio, e al tedesco occidentale Franc Arnau. Quest’ultimo, criminologo, grafologo e vero tedesco, esaminò a fondo le denunce e giunse alla conclusione della loro autenticità e appartenenza al pugno di Solženicyn20. Questi affermazioni convinsero un’enorme platea russa che lo scrittore sia stato direttamente responsabile della morte di alcuni detenuti.

18 Solzenicyn, Arcipelago Gulag, Мosca, Zentr «Novyj mir», 1990, II, p. 243. 19 V. Bušin, Aleksandr Solzenicyn, Mosca, Algoritm, 2003. Oppure V. K. Almasov http://warrax.net/48/solzhenitsyn2.html 20 F. Arnau, Neue Politik N.2, Hamburg, 1978.

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Possiamo pure ignorare queste testimonianze, visto che entrambi gli autori sono di parte. E anche se i documenti analizzati sono autentici, è solo un’analisi di documenti. La personalità dello scrittore va indagata “in profondità”. Là, nel fondo della sua anima si nasconde un “demone Nahrap”, come lo chiama O. Davydov, che si cerca un habitat privo delle condizioni umane. Questa sete di disagio viene proiettata sugli altri individui. Analizzando la trama del Primo cerchio, Davydov vi scopre l’antropologia del tradimento: ogni personaggio apparentemente positivo contiene il proprio “demone” che lo spinge in prigione o fa mettere in prigione e uccidere gli altri. Questa voce interna la possiedono Volodin, Gerasimovic, Hobrov, Ruska, Celnov, ma è forte soprattutto nel protagonista Nerzin. «In questo modo, il demone Nahrap trasforma le persone migliori (secondo Solženicyn) in traditori, vigliacchi, sabotatori, che si distinguono dalla gente cattiva solo per il loro idealismo benevolo». In conformità con questa impostazione mentale, Aleksandr Isaevic, senza rendersene conto, causa la morte delle persone e mette in pericolo mortale se stesso, per esempio quando senza alcuna ragione decide di litigare col capo per farsi trasferire dall’Istituto di ricerca, “isoletta d’oro del GULag”, in un posto di detenzione tra i più disumani del sistema, Steplag in Kazakistan. E non riesce a capire, perché l’avesse fatto. Non sa che così il suo interno “genio malvagio” allena i muscoli, sa solo che ciò avvenga per “sconfiggere il male”.

Nel 1953 fu liberato e per tre anni visse in confino nel piccolo paesino in Kazakistan, finché con decreto del Tribunale Supremo non venne definitivamente prosciolto e poté tornare nella Russia centrale. Dal 1957, quando fu pure ufficialmente riabilitato, prese dimora a Rjazan’, dove continuò a insegnare in una scuola. A quell’epoca la Russia attraversava l’incredibile stagione politica del “disgelo”. La condanna dello stalinismo, pronunciata dalla tribuna del XX congresso del Partito, sembrava aprire le porte alle libertà e ai diritti, sognati da molti. Ci fu chi intese alla lettera il supremo messaggio e cominciò a pretendere il “dovuto”. Ma trovò una resistenza enorme della burocrazia partitica, non disposta a tollerare lo sbalzo climatico oltre un certo grado, oltre la tacchetta di rischio per i ghiacci polari del totalitarismo sovietico.

Tra gli ingenui e testardi esattori degli elementari diritti costituzionali, troviamo il Nostro, assettato di lotta e in ottima forma. Scrisse allora quei quattro - cinque suoi racconti, tra cui i capolavori Giornata di Ivan Denisovic (1959) e La casa di Matrjona (1960), che miracolosamente riuscì a pubblicare grazie all’energico intervento del poeta e redattore di Novyj mir A. Tvardovskij. Fu un’esplosione, una scossa elettrica, un terremoto. La cruda realtà della vita nel lager e il degrado della campagna russa martoriata dalla dittatura comunista, descritte in queste

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opere, misero in subbuglio tutta la società e, fulmineamente tradotte in altre lingue, urtarono il mondo. Il magico cristallo della letteratura restituì l’immagine tridimensionale alle asciutte rivelazioni politiche del Cremlino. Il boato prodotto all’interno del Paese era talmente assordante per certe orecchie, che non si poteva pensare di ampliarlo con altre pubblicazioni di Solženicyn, né tanto meno con l’introduzione di altri autori, che pure c’erano. Per esempio, c’era Vasilij Grossman o Varlam Šalamov, entrambi di grandissimo talento, che scrivevano con la stessa passione di Solzenicyn e sullo stesso suo argomento. Ma Khruscev capì a quale pericolo la sua politica esponeva il socialismo sovietico insieme con lui medesimo, e fece un passo indietro. Era tardi. Fu spazzato via dai suoi mandarini e sostituito da Breznev. L’eminenza grigia del Partito era il KGB, guidato fino al ’67 da V. Semičasnyj, poi da Ju. Andropov, che adottò la linea dura nel ripristino della dittatura comunista. Ma il seme era stato gettato. Presto germogliò un intero movimento di dissidenti e difensori della legalità, che agivano da soli o in piccoli gruppi. Le loro idee, profuse in documenti e opere letterarie, copiati con le macchine da scrivere, si diffondevano nel Paese a passo di tartaruga tramite samizdat, la rete di distribuzione illegale e affogavano nell’oceano della propaganda ufficiale. Più efficace era il tamizdat, cioè la pubblicazione presso case editrici della dissidenza all’estero. Per una pubblicazione di questo genere due dei più noti esponenti del dissenso A. Sinjavskij e Ju. Daniel, furono arrestati e sottoposti a un processo, che contribuì ad accrescere la notorietà del movimento. Tre anni dopo altri otto “pazzi” uscirono sulla piazza Rossa con gli striscioni per protestare contro l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia: N. Gorbanevskaja, L. Bogoraz, V. Delaunay, V. Fainberg, K. Babizkij, V. Dremluga, T. Baeva e P. Litvinov. Sempre dal ’68 il movimento prese a redigere e divulgare il suo bollettino bimestrale (Cronaca di avvenimenti attuali), dedicato alla vita e al martirio dei dissidenti rimasti all’interno dell’URSS. Ma si tramava sempre in clandestinità. Gli unici due, che grazie alla loro enorme popolarità internazionale potevano permettersi di lottare apertamente erano il Nostro e il fisico nucleare Andrej Saharov, successivamente insignito del Premio Nobel per la Pace.

Alla fine degli anni ’60 Solženicyn si mise in totale contrapposizione all’ideologia ufficiale. Le autorità fecero vari tentativi per immobilizzare il guanto destro di Khruscev contro lo stalinismo. Cominciò così la persecuzione dello scrittore, che fu pedinato e denigrato dalla stampa. Manifestazioni denigratorie furono organizzare nelle fabbriche, nelle scuole superiori, negli uffici statali. Gli interventi degli oratori dovevano basarsi sull’informazione riportata nei giornali, dalla radio e dallaTV; fu vietato leggere le sue opere. Aleksandr Isaevic si attendeva di essere

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arrestato da un momento all’altro. La casa di amici dove Solženicyn aveva nascosto il suo archivio fu perquisita, e la KGB venne in possesso dell’Arcipelago GULag, e capì che era la fine. Pensò di suicidarsi. Ma con stupore scoprì di essere … più forte di loro! Fu una sorpresa anche per le autorità, che pensavano di trovare in lui uno disposto a negoziare, e invece all’improvviso scoprirono davanti a se un formidabile pugile, incurante della categoria di peso dell’avversario. Quel forzuto, illuminato dalle mille luci dei mass-media stranieri, sembrava non avesse l’istinto di sopravvivenza o non si rendesse conto di poter essere schiacciato. Si prese pure a scimmiottare Davide contro Golia. Il colpo d’incontro Solženicyn lo fece partire a maggio del ‘67, con “La lettera aperta al IV congresso dell’Unione degli scrittori sovietici”, che conteneva la protesta contro la censura e le persecuzioni politiche dei letterati. Il match del secolo iniziò e intorno al ring si faceva le prime scommesse. Un robusto barbuto sferrò al Sistema una serie combinata di colpi, fatti di interventi pubblici, proclami, interviste ai giornalisti stranieri, ma soprattutto di incredibile letteratura. Non più racconti, ma romanzi Nel primo cerchio(1966), La divisione cancro(1966), Arcipelago GULAG (1967), Agosto 1914 (1971) e La ruota rossa, allora iniziata, si riversano durante questo periodo nella circolazione clandestina. Il regime reagiva ruggendo: i libri di Solženicyn vennero proibiti e il reato del loro possesso veniva punito con la reclusione nei luoghi “assai lontani”. Molte erano le vittime. Una aiutante volontaria dello scrittore, Elisaveta Voronjanskaja, si suicidò impiccandosi, dopo che nel suo appartamento durante la perquisizione fu trovata la copia di Arcipelago GULag. Lo spettatore incantato della lotta, l’Occidente premiò Solženicyn con il Nobel. Un’enorme platea dei tifosi russi, gente di ogni ceto e professione, seguiva lo spettacolo con curiosità e cuore in gola. I difensori della legalità con Saharov in capo, gli scrittori, rappresentanti dell’élite intellettuale del Paese come il musicista M. Rastropovič si alzarono e si unirono per difendere suo coraggioso fratello. Solo che egli, - e qui ci stiamo ad un'altra contestazione nei suoi confronti, - non volle essere fratello, ma Padre.

Qui siamo arrivati all’incriminazione di Solženicyn per “mania di grandezza”. Si ritiene, che facesse di tutto per creare il culto della propria personalità. Il risentimento generale di questo tipo si prorompe nelle memorie di chi lo aveva conosciuto personalmente, nelle lettere aperte a lui indirizzate. La sintesi di incriminazioni di questo tipo troviamo da uno dei massimi autori russi contemporanei, Vladimir Vojnovič, che nel ’74 fu diffamato ed espulso dall’Unione degli scrittori proprio per aver pubblicamente difeso Solženicyn, oltre che per aver scritto le sue opere satiriche “non ortodosse”. L’ammiratore

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appassionato, più tardi Vojnovic – caricaturista venne attratto dal personaggio Solzenicyn: “La sua maniera di comportarsi (in pubblico, non in privato) fornisce molto materiale per la parodia: la presunzione incredibile, l’ipocrisia e la bigotteria; nella polemica con gli oppositori – l’inclinazione all’imbroglio”. Così nacque il libro Portret na fone mifa (“Ritratto sullo sfondo di un mito”21, dedicato interamente al culto di personalità di Solzenicyn in Patria. Nelle conclusioni Vojnovič scrive: “A mio avviso, come scrittore Solženicyn non era male, a volte anche straordinario, ma le sue qualità come grandezza, genialità, capacità profetiche e onestà morale devono essere classificate come mitologiche”. Lo stesso parere lo esprime il filosofo e traduttore Lev Kopelev, compagno di prigionia del Nostro e anch’egli scrittore, nella Lettera aperta a Solzenicyn: “Nell’ultimo decennio tu rappresentavi la nostra letteratura con straordinaria dignità e inconfutabile verità, ma da quando tu credesti di essere l’unico portatore di un'unica verità, questa dignità e questa veridicità cominciarono a venir meno, a dare crepe e a sgretolarsi”. E ancora: “Ti ricordi, come Tolstoj spiegava, che ognuno assomiglia a una frazione, dove il nominatore è quello che gli altri ne pensano e il denominatore – ciò che egli pensa di se stesso. A lungo non me ne accorgevo, come aumentava, come “lentamente esplodeva” il tuo denominatore”22. Lo stesso atteggiamento nei rapporti di Solženicyn viene segnalato da tutte le parti. Saharov scrive di avergli chiesto un intervento a favore di Grigorenko e Marčenko, due protagonisti del dissenso sovietico in quel momento sotto processo, l’ultimo dei quali cadde poi martire del regime; e di essersi sentito rispondere: “No! Loro hanno voluto sfondare il muro con l’ariete, sono loro che hanno scelto questa sorte, non si può salvarli. Ogni tentativo può solo nuocere loro e danneggiare gli altri”. “Mi sentii raggelato – commenta Saharov - da questa posizione, così opposta alla spontanea umana reazione”23.

Che dire di tutte queste pretese? Che partono senza capire la natura del personaggio, distruttiva e non costruttiva. I maestri di questo tipo e calibro sono sempre lottatori solitari. È assurdo esigere da un campione del mondo di fare gioco di squadra o far scudo agli atleti “minori”.

Altro tallone d’Achille di Solženicyn era, secondo i critici, il suo “nazionalismo patriottico”, tre volte imperdonabile; un antisemita che

21 http://www.voinovich.ru/portret.htm Purtroppo qualche anno fa una casa editrice italiana aveva rifiutato di stampare questo best-seller dei paesi anglosassoni, malconsigliata da qualche sciagurato “esperto” russista. 22 L.Kopelev http://imwerden.de/pdf/syntaxis_37_pismo_kopeleva_solzhenicynu.pdf 23 А. D. Saharov. Vospominanija (Ricordi), vol. I, с. 423. M,1996

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disprezzava gli altri popoli e travisava il carattere etnico russo. Certo, le le sue ripetute sortite contro gli ebrei si possono spiegare solo con l’autolesionismo, visto che non solo suo padre, ma anche la sua seconda moglie Natalia Svetlova e dunque, anche tutti i suoi figli per tre quarti, sono ebrei. Ironizza Vojnovič, che l’antisemita (razzista) è quello che ha un amico ebreo (negro). E infatti Solženicyn sottolineava che i due amici scrittori che l’avevano aiutato in Germania erano “ebrei”. Secondo lui la rivista degli esuli russi in Occidente era “la rivista degli ebrei in lingua russa”. Ma più che di loro, egli era un grande amico degli scrittori filofascisti come V. Solouchin, che apertamente loda Hitler e sospira ch’egli non abbia risolto la questione ebraica. Il libro “Duecento anni insieme” afferma che essere un ebreo russo significa essere una specie di centauro: le due metà, quella russa e quella ebraica, non si fondono mai completamente. Anche altre nazionalità sono separate dal popolo Russo con un profondo solco; i loro rappresentanti, quando stanno male o muoiono, sono meno degni di compassione rispetto ai Russi. Nazionalisti e patrioti lo accusavano invece di incomprensione dell’anima russa, anzi d vera russofobia, oltre che di intollerabile quietismo nei confronti degli ebrei.

Alla fine le opposte accuse si neutralizzarono a vicenda. Neppure Solženicyn poteva essere contemporaneamente antisemita, nazionalista e russofobo. Ma la sua coerenza stava nell’essere bastian contrario: questa la sua personale bandiera, il suo personale inno patriottico.

Nel 1974 Solženicyn fu privato della cittadinanza ed espulso. L’Europa e poi l’America lo accolsero come eroe. E lui si sentì obbligato a dimostrare le sue qualità professionali, cioè la sua bravura del combattente e “sfascia tutto”. L’incontro con l’Occidente prometteva grandi risultati e dalla distanza ravvicinata il Nostro potenziò i colpi, distribuendoli con entrambe le braccia sul nuovo avversario. Scrisse, che la sua prima reazione era “un sentimento di meraviglia e di compassione”, che la moderna società “libera” era debole, fiacca, incapace di difendere la propria libertà, che l’Occidente tramava contro la Russia ecc. Non intendeva proprio lasciar perdere la vis polemica.

Ma nessuno raccolse la sfida. La risposta fu – ovviamente – un compunto silenzio. La critica occidentale si limitò a non lodare le opere che era impossibile lodare, ma neanche le criticò. La battaglia, semplicemente, non ebbe luogo e Solženicyn rimase deluso, affogato nel benessere economico, felice, e annoiato. Quel che lo consolò e lo fece sperare, furono le nuove ondate di critica provenienti dall’altra parte del globo. L’accusa prevalente era il tradimento dalla patria, l’aver confuso la Madre Russia con l’Unione Sovietica. Così Vjačeslav Rumjanzev, deputato del Parlamento all’epoca di Gorbačev e creatore del portale

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storico-filosofico Chrono: “Era proprio necessario vivere e lavorare negli Stati Uniti, farsi sfruttare dalla propaganda antisovietica, intrecciando le proprie denunce nel massiccio flusso mediatico destabilizzatore? È vero che il regime sovietico e la burocrazia partitocratica rappresentavano un danno per la Nazione, ma per quale motivo bisognava partecipare ai programmi di distruzione della Patria, organizzati dalla CIA e dal Dipartimento di Stato degli USA?”24. È proverbiale la frase detta da Solzenicyn durante il suo intervento al Congresso statunitense: “Per favore, - si rivolse il Premio Nobel ai parlamentari americani, - ingeritevi più spesso nelle nostre questioni interne”. Questo i progressisti russi non glielo potevano perdonare. La voluttà irresistibile di essere colpito da loro e di colpirli a sua volta suonava dolce nelle orecchie del sempre più anziano scrittore.

Nel 1990 Solženicyn torna in Patria. Ma gli anni si fanno sentire ed egli non è più lo stesso. Scrive l’opuscolo “Come dobbiamo riassestare la Russia”, dove è preoccupato a ricostruire, a creare. Istituisce un premio letterario dandogli il proprio nome. Gli osservatori stranieri non si accorgono di niente e sparano retoricamente nel vuoto: “Quale è la ragione della straordinaria forza e durata di quest’uomo che … da piu' di trent'anni è al centro della vita etico-politica, oltre che letterario-intellettuale, non solo del suo Paese, ma, si può dire, del mondo?”25. Stanco e docile, egli accetta dalle mani del Presidente Putin nel 2007 il Premio Statale della Federazione Russa, la stessa onorificenza che aveva rifiutato di accettare da Gorbacev e Elzin.

La fortuna volle riservare il lieto fine al romanzo storico-ideologico della vita di Solženicyn; il genio di distruzione esaurì la sua forza e si spense in pace. Il mondo gli è rimasto grato per quello che ha fatto. Ma perché questa gratitudine rimanga nelle generazioni avvenire e perché i suoi libri continuano ad essere letti, non chiamatelo Profeta. Non era l’unico a predire il crollo dell’URSS e sbagliò completamente le cause. Chiamatelo, caso mai, il Big Cracker, che abbattendosi sul Big System della dittatura staliniana aveva scassinato anche quello, lasciandoci il tesoro dell’informazione.

24 Cit. in Vittorio Strada, art. cit. 25 Vittorio Strada, art. cit.